Dal Medioevo all`età moderna 2

B - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA 2
2 - L’evoluzione politica dal XIV al XVI secolo: il processo di formazione dello stato nazionale
2 – La nascita dello Stato moderno
3 – La scoperta e la colonizzazione dell’America
2 – LA NASCITA DELLO STATO MODERNO
1 - S. Guarracino - Dalle monarchie feudali allo stato moderno
2 - F. M. Feltri - Stato e società fra feudalesimo e mondo moderno
1 - S. GUARRACINO - DALLE MONARCHIE FEUDALI ALLO STATO MODERNO
Nel XIV secolo le monarchie feudali subirono una profonda trasformazione e si
avviarono a gettare le basi dello stato moderno. Ciò avvenne con la moltiplicazione
degli uffici e della burocrazia e con il passaggio dalle occasionali richieste d'aiuti ai
sudditi ad imposizioni fiscali permanenti. Un ruolo speciale toccò alla guerra: per i
suoi alti costi essa divenne monopolio dei sovrani e strumento di riorganizzazione
della società.
La società feudale era stata caratterizzata da un grande frazionamento dei sistemi
giuridici e dei diritti di giustizia, perché ogni regione e perfino ogni comunità aveva
le sue consuetudini, mentre ogni autorità feudale esercitava una parte più o meno
cospicua dei poteri giurisdizionali: risolvendo i conflitti tra uomini oppure applicando
pene e multe, i signori feudali si erano trovati a detenere una fonte importante di
prestigio personale e di redditi. I re potevano far poco nel campo del diritto canonico
che regolava la materia matrimoniale e familiare e costituiva un possesso geloso della
Chiesa; ugualmente il loro potere doveva arrestarsi di fronte a materie regolate dal
costume, come quella vasta e complicala delle eredità. Ma in fatto di diritto penale,
dall'alto tradimento a tutti quei delitti che turbavano la pace sociale (omicidi, furti,
violenze), i re pretendevano il monopolio pieno e riuscire a spossessare le autorità
feudali dai poteri di "alta giustizia" costituiva uno dei primi e più visibili passi verso
l'affermazione dello Stato: le corti regali e le autorità di polizia venivano a sostituire i
poteri locali della feudalità, la quale tuttavia avrebbe conservato a lungo la "bassa
giustizia", cioè il diritto di applicare multe e pene corporali su reati minori.
L'affermazione della giurisdizione regale non cozzava soltanto contro i poteri
esercitati da tempo immemorabile dai signori: ancora più immemorabile e radicato era
il diritto alla vendetta che ogni uomo e ogni famiglia pretendeva di esercitare contro
chi avesse loro recato offesa. Trasferire al re, ai suoi giudici e ai suoi carnefici,
l'accertamento e la punizione dei delitti era psicologicamente complesso: la vendetta
si esercitava sotto l'influsso dell'ira, in uno stato d'emotività acuta, e far delega allo
Stato significava imparare ad autocontrollare i propri sentimenti, trasformare la rabbia
immediata e soggettiva in una giustizia dilazionata e oggettiva; un esercizio difficile e
doloroso, che richiederà molti secoli per dare qualche risultalo visibile. Ecco perché i
tormenti inflitti sul corpo del delinquente dovevano essere, per tutto il Medioevo e
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oltre - fino al XVIII secolo -, uno spettacolo pubblico di enorme importanza sociale:
il senso materiale e sanguigno della giustizia non poteva essere spento di colpo e le
stesse autorità pubbliche, del resto, partecipavano alla stessa delirante esaltazione dei
sensi e delle emozioni che intesseva l'equazione popolare fra giustizia e vendetta;
perciò, dalla gogna ai marchi a fuoco, dalle esecuzioni capitali ai roghi, tutto avveniva
in pubblico, nelle piazze, in mezzo a grandi folle, fra i rantoli delle membra scempiate
e l'odore delle carni bruciate, in un grande rito pagano che doveva placare la
commozione violenta dei sentimenti e volgerli, con un brusco contrasto, dal tumulto
impietoso al silenzio attonito di fronte alla morte o al pianto dirotto per l'orrendo
destino del delinquente, vittima sacrificale di una società che sentiva in se stessa la
medesima carica di violenza or ora espiata.
Dopo lo "Stato di giustizia" (e seguendo lo schema di analisi proposto da Pierre
Chaunu), dobbiamo dedicare un'attenzione maggiore allo "Stato di finanza''.
I re feudali avevano per lo più tratto le loro risorse dai grandi patrimoni ereditati o
conquistati; a questa fonte maggiore di redditi dobbiamo aggiungere i proventi delle
imposte indirette fatte pagare ai mercanti nei punti daziari di cui un regno era
disseminato. Occasionalmente i re avevano chiesto aiuti finanziari ai propri sudditi,
ma questi interventi di imposizione diretta rendevano impopolare la monarchia e per
essere veramente efficaci avevano bisogno di un gran numero di agenti del fisco: il
costo dell'operazione finiva per sconsigliarla e per rendere preferibile il ricorso a
prestiti da parte di mercanti e banchieri stranieri.
Fino a che l'esercito regio aveva potuto contare sui servizi dovuti dai vassalli per la
raccolta dei contingenti necessari alle operazioni, i bisogni finanziari del sovrano non
erano stati molto elevati, ma dal XIV secolo le guerre erano diventa più lunghe e
costose, perché ci si serviva di truppe mercenarie e nessuno più rispettava in pieno i
periodi di tregua. Per aumentare le proprie risorse i re avevano di fronte a sé tre vie: la
prima era quella della manipolazione monetaria; la seconda era quella
dell'introduzione di nuove imposte; la terza consisteva nel rivolgersi in maniera
massiccia ai prestiti dei mercanti. Quando veniva il momento di onorare i propri
obblighi, pagando gli interessi o restituendo i capitali, i re potevano contare sui
proventi di una guerra vittoriosa, ma più spesso erano costretti a ricorrere alla via delle
imposte oppure a dichiararsi debitori insolvibili, come aveva fatto il re d'Inghilterra
con i banchieri fiorentini dopo il 1340.
La più efficace imposizione fiscale era sempre quella indiretta, estendendola a beni di
prima necessità e scaricandola sui mercanti, che pagavano per primi, alla generalità
dei sudditi che dovevano sopportare gli aumenti dei prezzi: la gabella del sale,
introdotta in Francia nel 1341, divenne il tipo più comune e più pesante di imposta
indiretta.
Ma nel pieno del XIV secolo i re potevano ormai tentare di sostituire autentiche e
regolari imposte dirette, le taglie, che colpivano tutte le famiglie del regno. In Francia
la taglia divenne regolare dal 1370 e da questo momento in poi la storia dello Stato
non è altro che la storia di un peso fiscale che si accresce sempre di più.
In principio la taglia regia venne ad aggiungersi ai prelievi sui redditi del mondo rurale
che erano compiuti dai proprietari della terra e dalla Chiesa (canoni e decime), ed è
difficile dubitare del fatto che le grandi rivolte contadine scoppiate nel periodo tra il
1350 e il 1390 siano legate alla comparsa di questi nuovi prelievi.
I contadini ribelli furono ovunque sconfitti e puniti con brutalità, ma non si può
affermare che quelle rivolte non ebbero alcun risultato: esisteva un limite fisico allo
sfruttamento e le imposte regie dovevano alla fine entrare in concorrenza con i prelievi
feudali. Nel lungo tempo lo sviluppo della fiscalità fu una causa in più della decadenza
delle antiche aristocrazie, perché non sempre i re appoggiavano le loro pretese di
rivedere e innalzare i canoni dovuti dai contadini.
Possiamo collegare strettamente lo "Stato di finanza" con lo "Stato di guerra"', ma
questo rapporto presenta anche altri aspetti su cui è bene soffermarsi un momento. Le
guerre feudali erano state fino sul principio del XIII secolo brevi e discontinue,
interrotte continuamente dalle "tregue di Dio", dalla cattiva stagione, dal bisogno di
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foraggio per i cavalli; raramente esse avevano mobilitato più di qualche centinaio di
cavalieri e un numero forse triplo di fanti: ma i pedoni erano solo delle comparse, dei
contadini strappati a forza dalle loro capanne e messi poi ad azzuffarsi con armi
primitive nel fango e fra le zampe dei cavalli. Più in alto, sui loro destrieri, c'erano i
veri signori della guerra, l'aristocrazia, che prestando servizio militare soddisfaceva ai
propri doveri d'onore e al proprio gusto per la violenza.
Cento anni dopo le cose erano cambiale: i re preferivano ora eserciti composti di
mercenari o di coscritti e la Francia, che era rimasta indietro su questa strada rispetto
all'Inghilterra, aveva visto da vicino come l'ordinata fanteria degli arcieri fosse
superiore alla vecchia cavalleria feudale. La guerra dei cent'anni aveva certamente
avuto l'effetto di scatenare la rissosità dei signori, fino a farla sfociare nel banditismo
puro e semplice, e lo stesso accadde durante le guerre che sconvolsero la Spagna nel
XIV e XV secolo. L'anarchia nobiliare, tuttavia, doveva col tempo diventare sempre
meno significativa: solo i re avevano il prestigio e la forza necessari per mantenere e
rafforzare lo "stato di finanza" e solo chi aveva grandi risorse finanziarie poteva usare
a proprio vantaggio lo "stato di guerra''. Ciò divenne ancor più vero quando accanto
alle truppe mercenarie comparvero anche le armi da fuoco, a partire dalla seconda
metà del Trecento i cannoni divennero sempre più grandi e più costosi, accessibili solo
alla borsa di un re. Il ruolo militare della nobiltà naturalmente non sparì di colpo; se la
fanteria e l'artiglieria divennero le regine della battaglia, i ranghi maggiori della nobiltà
conservarono ancora a lungo i comandi degli eserciti. Ma la psicologia e l'etica della
guerra feudale erano finite assai prima della fine del XIV secolo.
Per ultimo parleremo dello "Stato della burocrazia", intendendo con questa
espressione il composito insieme di individui al servizio del re: se nel mondo feudale
l'idea di servizio era inseparabile da quella di fedeltà personale, nello Stato dei
burocrati contava una fedeltà molto più fredda e astratta, che andava oltre la persona
del re, per riguardare infine l'ufficio stesso visto nella sua impersonalità.
La storia dello Stato ha registrato quella di un continuo aumento del numero dei
funzionari e degli impiegati, come pure quella di un continuo aumento della pressione
fiscale sulla ricchezza globale prodotta da un paese.
Chi erano inizialmente questi burocrati? Erano i membri delle alte corti di giustizia,
a partire (per riferirci ancora alla Francia) dal parlamento di Parigi e dagli altri
parlamenti provinciali: osserviamo che in Francia con parlamento non si intendeva un
organo politico, ma un organo giudiziario, con funzioni di controllo sulla legittimità
degli atti dei funzionari inferiori, ma anche come contrappeso all'autorità del re, oltre
che con funzioni di vera e propria corte giudicante.
La volontà del re restava sovrana, ma essa si doveva esplicare secondo forme legali e
via che gli alti funzionari apprendevano a essere fedele all'impersonalità della legge e
dell'ufficio insegnavano anche al re a incanalare la sua volontà in quelle forme di
legalità che sole distinguevano il potere legittimo dalla tirannide. Le teorie politiche
del XV secolo facevano ancora propria l'idea che il potere discendesse da Dio e che
nulla potesse opporsi alla volontà sovrana: che il potere politico fosse legittimato solo
dal consenso del popolo era una tesi ardita e fuori del senso comune. E tuttavia il
potere del re era qualcosa di più di una qualità della sua persona: la sovranità si
trasmetteva per via ereditaria, quindi doveva essere qualcosa di più astratto della
persona del regnante. La sovranità era un attributo della dinastia legittima, una
sovranità astratta che spettava all'entità Stato, essa veramente immortale.
Queste erano idee da giuristi, che ponevano la legge al di sopra del re, pur sapendo
che era molto difficile stabilire quando il re andava contro la legge. Ma non era passato
il tempo in cui il re esercitava la sua signoria sul suo dominio in base a titoli del tutto
personali? Il regno non si configurava più solo come un possesso privato del re esso,
inoltre, non era un oggetto passivo, ma si componeva di "corpi'" o "ordini'", dei quali
occorreva ascoltare il consiglio e da cui era necessario sollecitare l'approvazione.
In Inghilterra, già dal XIII secolo, l'istituzione del parlamento (un organismo politico),
diviso nelle due camere dei Lord (la nobiltà e l'alto clero) e dei Comuni (la borghesia),
aveva dato una forma istituzionale ai possibili momenti conflittuali del rapporto tra il
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re e il regno; quando il regno era chiamato a pagare nuove tasse o a dare il suo
contributo allo sforzo di guerra imposto dal re, l'azione sovrana ne usciva legittimata
e rinforzata. Il parlamento smussava i rischi dei dissensi gravi; l'ipotesi di un conflitto
insanabile era esclusa, perché il parlamento doveva alla fine accettare la volontà del
re, ma il re stesso non poteva saltare il momento della mediazione. In Francia Filippo
IV il Bello aveva convocato per la prima volta un'assemblea politica nel 1302 per
ottenere l'approvazione della sua politica contro Bonifacio VIII, gli Stati generali: essi
divennero da quel momento, sia pure con un potere effettivo inferiore a quello del
parlamento inglese, un elemento essenziale del prestigio dell'azione regia.
Al di sotto dei grandi organismi giudiziari e delle assemblee politiche, gli stati del XIV
e XV secolo videro un continuo moltiplicarsi dei funzionari provinciali, con uffici
giudiziari, di polizia, di finanza (esattori della taglia e della gabella del sale): alla fine
del Quattrocento la burocrazia statale francese includeva, dai giuristi del parlamento
di Parigi agli impiegati degli uffici locali, qualcosa come 7 o 8.OOO persone.
Per denominare il complesso di istituzioni emergenti alla fine del Medioevo, gli storici
parlano a volte di monarchie nazionali e a volte di Stato moderno. Entrambe le
espressioni sono ricche di sottili implicazioni. Monarchia nazionale vuole alludere alla
grande estensione della base territoriale della sovranità regia, ma anche al fatto che è
il rafforzarsi dello Stato a consentire la prima formazione delle entità nazionali, con
un'unità amministrativa e fiscale abbastanza sviluppata, con una lingua ufficiale che
non è più il latino, ma il francese o il castigliano.
Ma fino a che punto si può parlare di modernità per questi stati moderni? La fine del
Medioevo è stata in realtà un processo molto più lungo e sfumato di quanto le pagine
di questo paragrafo possano aver suggerito. La giurisdizione statale, intrisa com'era di
elementi barbarici, si impose con fatica contro i molti altri sistemi giuridici (la Chiesa,
la bassa giustizia signorile, le consuetudini) che continuavano a sussistere; la fiscalità
statale era ben lontana dall'essere accettata senza discussione e includeva ancora molti
elementi che la facevano somigliare a una rapina imposta con la violenza, per non
parlare delle truffe monetarie. Quanto alla guerra, è vero che le battaglie del
Quattrocento non somigliavano più alle zuffe scomposte di due secoli prima, ma i re
non sapevano decidersi fra un esercito basato sulla coscrizione nazionale, più fidato,
e le truppe mercenarie, più efficienti; nelle battaglie si andò affermando una
professionalità bellica più moderna, ma le guerre continuavano a vedere la prevalenza
del banditismo nobiliare con l'aggiunta dei saccheggi compiuti dai mercenari sbandati.
Quali erano poi i moventi delle guerre? L'idea della potenza e della grandezza del
regno si faceva strada a fatica fra moventi più arcaici, l'orgoglio ferito, l'istinto
irrefrenabile della vendetta, l'onore della propria casata.
La burocrazia, infine, si trovava anch'essa a metà strada fra il vecchio e il nuovo: i
funzionali francesi della fine del Quattrocento erano più numerosi e professionali di
quelli di Luigi IX il Santo e il migliorato stato delle comunicazioni accresceva
l'efficacia della loro azione. Ma gli uffici tendevano irresistibilmente a diventare
possessi di famiglia trasmissibili ereditariamente; spesso essi venivano acquistati e
venduti come un possesso personale e questa degenerazione inutilmente deprecata
ebbe la tendenza piuttosto ad accrescersi che a sparire nel corso del Cinquecento. Gli
uffici erano comprati a caro prezzo perché ci si attendeva da essi un reddito elevato:
la distinzione fra stipendio e corruzione non era affatto chiara e un giudice che si
faceva pagare la prestazione da chi si rimetteva al suo giudizio non era un funzionario
corrotto, ma solo un uomo che metteva a frutto il suo ufficio pubblico.
Questo Stato moderno manteneva dunque alcuni connotati feudali facilmente
riconoscibili e non sempre il suo carattere nazionale emergeva con chiarezza in paesi
dove la babele dei sistemi consuetudinari e dei diversi dialetti regnava sovrana e dove
i comandi del re giungevano ancora con lentezza dal centro alla periferia. Una strada
era stata tuttavia imboccata: il poco percorso già fatto era forse meno importante del
fatto che da quella strada le società europee non sarebbero più tornate indietro.
da S. Guarracino "L'età medioevale e moderna", Bruno Mondadori, 1998, pag. 144-49
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2 - F. M. FELTRI – STATO E SOCIETÀ FRA FEUDALESIMO E MONDO
MODERNO
Nelle aule dei nostri tribunali campeggia la scritta "la legge è uguale per tutti"; la nostra
Costituzione afferma l'esistenza di diritti naturali, appartenenti a tutti i cittadini,
indipendentemente dal sesso, dalla condizione sociale, dal reddito, dalla fede
religiosa. Ogni persona ha le stesse possibilità, formalmente, di accedere ad un posto
pubblico sulla base delle capacità o del merito (accertati mediante pubblici concorsi).
Ogni cittadino, quando commette un reato, viene giudicato dal "giudice
naturale", quello cioè competente per territorio.
Nelle società di "antico regime" (prima, cioè della Rivoluzione francese) la legge
non era uguale per tutti: i diritti erano "privilegi" propri del ceto di appartenenza (i
cosiddetti ordini o stati, in Francia), non esistevano, cioè, diritti "universali";
l'accesso a determinate cariche o funzioni era riservato a pochi: ad esempio, sempre in
Francia, fino al 1789, potevano diventare ufficiali dell'esercito soltanto i nobili; in
Inghilterra i nobili, dalla Magna Charta in avanti, avevano il privilegio di poter essere
giudicati da un tribunale di "pari", cioè di nobili. Le stesse modalità di
applicazione della pena capitale erano diverse: ai nobili veniva tagliata la testa, ai
non nobili era riservata l'impiccagione, pena ritenuta più infamante.
La legge oggi in Italia è eguale dappertutto: la Costituzione, il codice penale, il codice
della strada valgono per l'intero territorio nazionale; nell'antico regime ogni
regione, contea, feudo aveva le proprie norme e consuetudini; persino i sistemi di peso
e di misura erano diversi da luogo a luogo. Sarà la Rivoluzione francese ad imporre
un sistema universale ed omogeneo di pesi e misure (il chilo, il metro, il litro...) in tutto
il paese. L'estensione a tutto il territorio nazionale delle stesse leggi, della stessa
amministrazione, delle stesse procedure (processo già iniziato dai sovrani dell'antico
regime) verrà accelerato e portato a termine dalla rivoluzione.
Lo stato, oggi, è l'unico titolare della sovranità, del potere cioè di fare le leggi e di usare
la forza per farle rispettare. Oggi i poteri di polizia, ad esempio, e di amministrazione
della giustizia appartengono allo stato: nessuno può "farsi giustizia" da solo, o arruolare
eserciti e poliziotti per la propria difesa.
In età comunale Federico Barbarossa scese in Italia e mosse guerra ai comuni della Lega
lombarda per riappropriarsi delle cosiddette regalie (diritto di fare le leggi, di
battere moneta, di imporre tasse, di eleggere magistrati), poteri sovrani, che i
comuni, a suo giudizio, avevano usurpato. La concessione di poteri ai vassalli, in
cambio di fedeltà e di determinati obblighi, fu uno dei meccanismi fondamentali del
sistema feudale: la scarsità di uomini e di mezzi, la debolezza dello stato,
incapace di controllare immensi territori, costrinse imperatori e re a concedere
"poteri pubblici" a conti e baroni, a città e ad abbazie, a signori laici ed ecclesiastici.
Quando l'imperatore decise di "riprendersi" questi poteri (in questo caso il
Barbarossa) ormai la forza, economica e militare, e l'autonomia dei comuni erano una
realtà consolidata e l'Impero non aveva più la forza e l'autorità per imporsi.
Saranno i sovrani "assoluti" di Francia, Inghilterra e Spagna, nel Quattrocento e nel
Cinquecento, a costruire uno stato centralizzato, dotandosi di un esercito, di un
sistema di riscossione delle imposte, di un apparato di funzionari, di
un'amministrazione della giustizia, sottraendo, progressivamente queste funzioni
alle classi nobiliari, riducendo i "privilegi" delle città "libere", ridimensionando
i poteri del clero.
Oggi lo stato svolge una serie di servizi: dall'istruzione all'assistenza sanitaria, alla
tutela previdenziale (pensioni, ...). Inoltre, provvede alle comunicazioni e
all'erogazione di energia, o direttamente o dandone la concessione a privati. Si parla,a
questo proposito, di stato assistenziale o Welfare State.
In passato non era così: pensiamo alla scuola. Fino a tempi molto recenti gran parte
dell'istruzione e dell'assistenza sanitaria era gestita dalla Chiesa; la difesa del territorio
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era affidata ai signori feudali; forme di solidarietà e di "mutualità" (cioè aiuto reciproco,
scambio di lavori e di prestazioni) esistevano a livello di vicinato e di villaggio,
compensando la mancanza dell'intervento pubblico. Per trovare le prime forme
di "previdenza sociale", in Europa, bisognerà aspettare la seconda metà
dell'Ottocento. Nelle società di "antico regime" l'erogazione di determinati servizi da
parte dei nobili e del clero spiega le "immunità" ed i privilegi di cui essi godevano:
in Francia, l'esenzione di questi ceti dal pagamento delle tasse era motivata dalla loro
funzione e dalla loro "utilità" sociale. Quando questa funzione di "interesse
pubblico" venne meno, anche i loro privilegi cominciarono ad apparire ingiustificati
ed illegittimi.
Il concetto di "rappresentanza": nello stato di oggi il giudice emette le sentenze "in nome
del popolo italiano"; i parlamentari fanno le leggi in rappresentanza del popolo dal quale
sono stati eletti e dal quale possono essere revocati. Nell'antico regime coesistevano due
nozioni di origine della sovranità: quella feudale, secondo la quale il sovrano stipulava un
patto di fedeltà con i suoi vassalli, concedendo benefici e poteri in cambio dell'auxilium
(aiuto) e del consilium (consiglio); e quella dell'origine divina del potere, potere che
in quanto tale era "insindacabile" (cioè non poteva essere né giudicato né recuperato dai
sudditi). Lo "stato di diritto" nato dalla Rivoluzione francese ribalterà soprattutto la
nozione di "origine divina del potere", prendendo invece "a prestito", dal mondo
feudale, l'idea di un patto o contratto tra lo stato ed i cittadini: non è un caso, infatti,
che le prime forme di rappresentanza politica "moderna", i primi Parlamenti, siano nati in
Inghilterra, sulla scia della Magna Charta, una vera e propria "Costituzione" di tipo
feudale.
Da F.M. Feltri, “I giorni e le idee”, SEI, 2002, pag. 58-59
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2 - L'EVOLUZIONE POLITICA DAL XIV AL XVI SECOLO: IL PROCESSO
DI FORMAZIONE DELLO STATO NAZIONALE
Poteri dall'alto, poteri dal basso e monarchie feudali
Il declino delle forme di potere universale:
Il rafforzamento degli stati nazionali
Lo stato regionale: il caso italiano
L'impero di Carlo V
Tra l’XI e il XII secolo il territorio dell'Occidente feudale si presentava
frazionato in molteplici centri di potere - principati, ducati, contee, marchesati,
castellanie, abbazie, comunità cittadine - sui quali l'antica autorità pubblica
centrale, dopo la disgregazione dell'Impero carolingio, non riusciva a esercitare
un'efficace e continua azione di controllo e di governo. A provare a contrastare
queste tendenze alla dispersione del potere pubblico vi erano sia le due autorità
che si proclamavano portatrici di un potere universale, la Chiesa e l’imperatore
tedesco, sia le monarchie feudali che tendevano a imporre un potere territoriale
nazionale.
In questo quadro di competizione tra poteri dal basso (signori feudali civili ed
ecclesiastici, comuni) e dall’alto (Chiesa, Impero, monarchie) emerse, sempre
più decisamente a partire dal XIV secolo, un nuovo soggetto, lo stato nazionale,
destinato a realizzare la concentrazione del potere pubblico nelle mani di un
apparato burocratico-amministrativo, in grado di agire in modo uniforme
sull’intero territorio controllato.
Il processo di formazione degli stati nazionali richiese, innanzitutto, il declino
delle forme di potere universale, che vede negli avvenimenti del XIV secolo il
suo momento cruciale, nonché l’assoggettamento di un territorio
sufficientemente ampio e omogeneo, in quanto caratterizzato da strutture
economiche e culturali simili. A definire il territorio controllato furono
molteplici scontri interni tra il re e i potenti feudatari, dal momento che fino,
perlomeno, al XV secolo spesso i re non erano che signori terrieri che esercitavano
la loro piena sovranità sui soli domini familiari; il restante territorio del Regno era
in mano a grandi signori e ai liberi comuni - che pretendevano di esercitare ogni
potere nei loro domini, sottraendosi alla giurisdizione regia. Il declino dei poteri
universali e l’assoggettamento del territorio si accompagnò al processo di
unificazione dei poteri pubblici nell’apparato burocratico-amministrativo, di cui il
re rappresentava il vertice. Quest’ultimo processo ha consentito allo stato
nazionale di assumere le funzioni tipiche dello stato moderno, ovvero fare le
leggi, amministrare la giustizia, controllare l’esercito, e imporre tributi fiscali,
sottraendoli ai poteri dal basso che li detenevano di fatto; lo scontro tra stato e
poteri dal basso, tra re e nobiltà, ha caratterizzato gran parte della vita politica
dell’ancien régime, prendendo spesso, a partire dal Cinquecento, le forme di
guerre religiose.
Il moderno stato nazionale, pur rappresentando una tendenza di fondo della storia
europea, non si realizzò in modo omogeneo in tutta Europa. In tal senso si
possono, infatti, distinguere tre aree geo-politiche costituite da: Francia,
Inghilterra e Spagna dove il processo, già tra XV e XVI secolo, portò alla
costituzione di stati che controllavano vasti territorio e con una struttura centrale
in via di rafforzamento; l’Europa dell’est, Polonia, Ungheria e Russia, dove il
controllo di vasti territorio non si accompagnò ad un rafforzamento delle
strutture centrali; infine, l’area tedesca e l’Italia in cui il rafforzamento delle
strutture centrali si realizzò all’interno di stati che rimasero di dimensioni
regionali, raggiungendo l’unità nazionale solo nella seconda metà
POTERI DALL'ALTO, POTERI DAL
BASSO E MONARCHIE FEUDALI
Dispersione del ___________________
(poteri dal _____________________)
pretese
dei
_____________________
poteri
(poteri dall’ ___________________)
e stato __________________________
Condizioni ________________________
_________________________________
1 - _______________________________
2 - _______________________________
3 - _______________________________
funzioni stato:
1- ________________________________
2 - _______________________________
3 - _______________________________
4 - _______________________________
sottratte ___________________________
Stati nazionali e aree geo-politiche:
1 - _______________________________:
stati _____________ + territorio ________
2 - _______________________________:
stati _____________ + territorio ________
3 - _______________________________
stati _____________ + territorio ________
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dell’Ottocento.
Per comprendere la storia di questo processo secolare cominceremo con
l’esaminare i poteri universali che sicuramente costituiscono la forma più tipica
del potere nel medioevo e, come tali, verranno superati dallo stato moderno.
IL DECLINO DELLE FORME DI
POTERE UNIVERSALE:
Il declino delle forme di potere universale:
Il papato
L’Impero
A - IL PAPATO
IL DECLINO DEL PAPATO
Reso evidente da:
A - _________________________________________
__________________________________________________
B - __________________________________________
_________________________________________________
Pag. _____ riga _______
Con l'espressione concezione ierocratica del potere si indica l'insieme dei presupposti
teologici che stanno alla base dell'azione politica del Papato. Essa fu elaborata da
papa Gregorio VII (1073-1085), ma venne perfezionata, nel XII secolo, da
Bernardo di Chiaravalle, secondo il quale Dio aveva dato entrambi i poteri - sia
quello spirituale sia quello temporale – a Pietro e ai suoi successori, cioè i papi. I
pontefici, dal canto loro, mentre usavano personalmente la spada (= il potere)
spirituale, avevano invece delegato ai sovrani la spada temporale, cioè l'esercizio del
potere politico. Dunque, in virtù di tale mediazione ecclesiastica, Bernardo chiedeva
ai monarchi una sottomissione pressoché totale, visto che - nella sua teoria delle
due spade - i re esercitano la sovranità solo nella misura in cui il papa conferisce
loro il diritto di far uso del potere temporale.
All’inizio del secolo successivo, tale concezione venne ripresa da papa Innocenzo III
(1198-1216), il quale, per spiegare che l'autorità del pontefice è superiore a quella
dell'imperatore, ricorse al paragone tra il sole e la luna. Nel mondo naturale la
luna non brilla di luce propria, bensì la riceve dal sole, così - nella società umana
- il papa ha ricevuto da Dio tutto il potere, in ogni campo e in ogni ambito; i
sovrani, al contrario, esercitano unicamente quanto hanno ricevuto in delega dal
papa e solo nella misura in cui il papa permette loro di farlo. Il pontefice, infatti,
ha il diritto-dovere di deporre il sovrano che si comporti modo indegno o
assuma un comportamento contrario alla legge di Dio. Così, non meraviglia
che Innocenzo III abbia preferito, al tradizionale titolo pontificio di vicario di
Pietro, quello ancor più prestigioso di vicario di Cristo: in tal modo, egli
rivendicava per il papato un'assoluta e completa pienezza di poteri (plenitudo
potestatis) su tutti i cristiani, principi compresi.
Sulla scena politica degli anni a cavallo fra il Duecento e il Trecento, la figura
dominante fu quella di Bonifacio VIII, che venne eletto papa nel 1294, in circostanze
del tutto particolari. Il suo predecessore, Celestino V, si era infatti dimesso
dall'incarico pochi mesi dopo l'elezione pontificia. Costui era un eremita abruzzese
(Pietro da Morrone), la cui elezione era stata vista come una svolta da tutti coloro
che desideravano un ritorno alla purezza originaria della Chiesa. Tuttavia poiché
Celestino V era assolutamente privo di ogni esperienza in campo politico, giuridico
ed amministrativo, ed essendosi subito reso conto di non poter guidare
un'organizzazione complessa e articolata come la Chiesa senza venir meno al suo
modello di vita cristiana, preferì rinunciare all'incarico.
La concezione _____________________
del potere:
- ________________________________:
le due _____________________________
- ________________________________:
__________________________________
da _____________________________ a
______________________________
LO SCONTRA TRA PAPATO E ____________
_________ E IL TRASFERIMENTO DEL
PAPATO A ____________________
da ____________________________ a
__________________________________
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Poco più tardi, la delusione di quanti avevano riposto in lui le proprie speranze fu
doppiamente cocente, visto che il suo posto venne preso da Benedetto Caetani
(Bonifacio VIII 1294-1303), che era noto per la risolutezza con cui sosteneva la
tradizionale concezione ierocratica del potere.
Il principale avversario politico di Bonifacio VIII fu il re di Francia Filippo IV il Bello
(1285-1314). Impegnato in un conflitto col re d'Inghilterra Edoardo I, nel 1296 il
sovrano francese - per reperire fondi - sottopose a tributo anche i beni della Chiesa.
Bonifacio VIII replicò con una prima bolla (= documento ufficiale, emanato da
un’autorità), nella quale minacciava di scomunica il re se non avesse immediatamente
ritirato i provvedimenti fiscali nei confronti del clero. Tuttavia, Filippo il Bello non
solo non si piegò dinanzi alle severe parole del papa, ma anzi passò al contrattacco,
vietando l'uscita dal regno di ogni somma di denaro che fosse diretta a Roma.
Si ripresentava così, ma all’interno di un quadro molto diverso, la stessa
situazione che si era venuta a creare tra il papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico
IV, all’epoca delle lotte per le investiture1. Alla fine del XIV secolo, infatti, non ci
troviamo più di fronte a un imperatore dotato di scarse risorse e costretto a competere
con dei grandi signori capaci di rivaleggiare col sovrano sia in ricchezza sia
in potenza militare. Nell'XI secolo - quando l'imperatore si trovava in queste
circostanze - l'arma spirituale della scomunica (per il semplice fatto che
autorizzava i subordinati a sentirsi liberi dal giuramento di fedeltà prestato) era
micidiale e capace di provocare gravi problemi al principe che ne fosse stato colpito.
Nella Francia della fine del Duecento, Filippo IV poteva invece contare su risorse
infinitamente più elevate, che gli permettevano innanzitutto di avere a sua
disposizione una schiera di funzionari che dipendevano direttamente dal re (perché
retribuiti da lui) e, cosa ancora più importante, potevano essere sostituiti da altri
servitori più fedeli nel caso in cui non obbedissero ai suoi ordini. Di fronte a questa
nuova e solida struttura statale, l'arma della scomunica non creava alcun danno ai
sovrani; pertanto, Bonifacio VIII fu costretto a desistere dal proseguire la lotta,
ovvero finì per lasciar cadere, di fatto, la bolla del 1296 e fu trovato un
compromesso che consisteva nel permesso provvisoriamente accordato da
Bonifacio VIII al clero francese di sovvenzionare il sovrano. Il conflitto divenne
più aspro nel dicembre del 1301, quando Bonifacio VIII reagì al tentativo di
Filippo IV di estendere anche ai vescovi i poteri giurisdizionali della corona. Il
papa sospese i suoi privilegi e con una bolla affermò la propria superiorità su tutti
i poteri terreni. Filippo rispose convocando gli stati generali, l'assemblea dei tre
"ordini" del regno di Francia, e ottenendo l'appoggio non solo della nobiltà e del
"terzo stato" (gli esponenti dei ceti cittadini), ma anche dello stesso clero2.
Bonifacio emanò allora la bolla Unam Sanctam (18 novembre 1302), la più ampia
e solenne rivendicazione mai fatta da un papa della superiorità del potere
Lo scontra tra ____________________ e
__________________________________
1 – lo scontro per ____________________
__________________________________
dallo scontro _________ / ____________
allo scontro _______ / _______________
2 - _______________________________
________________________________
contro
_________________________________
1 Nel 1075 Gregorio VII vietò l'investitura laica dei vescovi., l’imperatore e il papa si deposero a vicenda, ma
la scomunica papale si rivelò un'arma più forte, capace di condurre la Germania alla guerra civile, perché
scioglieva i sudditi di Enrico IV dal dovere dell'obbedienza. Nel 1077 l'imperatore dovette chiedere il perdono
del papa e lo ottenne nel castello appenninico di Canossa.
Il conflitto fra papa e imperatore riprese però ben presto, intrecciandosi con la guerra civile
tedesca, e durò ben oltre la vita dei due contendenti, morti rispettivamente nel 1085 e nel 1106.
Solo nel 1122 il concordato di Worms riuscì a porre termine alla contesa con un compromesso.
L'imperatore manteneva l'investitura temporale, cioè dei beni e delle funzioni pubbliche, ma
riconosceva il diritto esclusivo del papa a quella spirituale e alla consegna del pastorale e
dell'anello; in Germania l'investitura temporale sarebbe avvenuta prima di quella spirituale.
2
Gli stati generali erano le più importanti assemblee rappresentative, si svolgevano sia a livello locale che
nazionale, vi erano rappresentati i gruppi sociali presenti nell’ancien régime nobiltà, clero, terzo stato,
ovvero tutto il resto della popolazione rappresentata in prevalenza dall’alta borghesia. Mentre i parlamenti
avevano una prevalente funzione giudiziaria, gli stati generali, in quanto rappresentativi, possono essere
paragonati agli attuali parlamenti, tenendo presente almeno le seguenti differenze: gli stati generali non
rappresentavano un istituzione autonoma e stabile come i moderni parlamenti in quanto venivano
convocati per volontà del re in modo del tutto saltuario. Inoltre, non esercitavano il potere legislativo:
potevano solamente esprimere un loro parere che non vincolava il re o l’apparato burocratico statale.
78
spirituale. Richiamandosi alla dottrina delle due spade, Bonifacio VIII,
riprendendo le teorie di Bernardo di Chiaravalle, sosteneva che le spade erano sì
due, quella spirituale e quella temporale, ma che Gesù le aveva consegnate
entrambe a san Pietro e ai suoi successori; l'uso di quella temporale era
effettivamente riservato ai re, ma questa veniva loro consegnata dal papa, affinché
se ne servissero secondo la volontà del papa stesso.
Alla rivendicazione teorica contenuta nella bolla Unam Sanctam, Bonifacio VIII
non aveva fatto ancora seguire la logica conseguenza della scomunica del re.
Questi fu in complesso molto più abile nel giocare la carta della propaganda La cattura di __________________ e il
antipapale: Filippo IV chiese la convocazione di un concilio e fece dichiarare il
papa simoniaco ed eretico da una assemblea di prelati e giuristi; un esercito fu __________________________________
inviato a catturarlo ad Anagni. Bonifacio, salvato solo da un'insurrezione popolare
contro i soldati francesi, morì poco tempo dopo; trascorsi due anni, il conclave
elesse papa un cardinale francese, Clemente V, che trasferì, nel 1309, la sede
papale ad Avignone, una cittadina della Francia meridionale che, pur non
appartenendo direttamente ai re di quel paese, era però soggetta alla loro
influenza; fu qui che risiedettero fino al 1377 i suoi sei successori, tutti francesi.
IL PAPATO AVIGNONESE
Entro certi limiti, pertanto, il rapporto previsto da Bonifacio VIII fra il papa e i
sovrani risultava semplicemente capovolto, a tutto vantaggio, nel caso specifico,
di Filippo il Bello e dei suoi successori. A questo proposito gli storici cattolici hanno
parlato addirittura di "cattività babilonese", quasi che nella settantina d'anni trascorsi
in Avignone i papi fossero "prigionieri" dei re di Francia, come nell'antichità erano
stati prigionieri gli Ebrei deportati a Babilonia da Nabucodonosor. L'espressione,
ormai consacrata dalla tradizione, e spesso tradotta in "cattività avignonese”, è però
alquanto esagerata: appunto in quel periodo, infatti, la Chiesa fu bensì soggetta
all'influenza dei sovrani francesi, ma nello stesso tempo consolidò la propria
organizzazione e divenne così una sorta di “monarchia centralizzata
sovrannazionale”, che mediante il più efficiente apparato fiscale dell'epoca traeva da
tutti i paesi cristiani le decime, le imposte dovute dai titolari dei benefici concessi
dal papa, i proventi della vendita delle indulgenze, le tasse pagate per i più diversi
motivi da coloro che avevano a che fare con la curia papale. Anzi, per molti versi
la monarchia papale, non solo divenne una fedele alleata del potere politico, ma la
sua organizzazione costituì un modello per quest’ultimo per quanto riguarda
l’efficienza dell’apparato burocratico-amministrativo e dell’apparato giudiziario
(vedi tribunali della S. Inquisizione).
Il convento dei domenicani a
Savigliano in un’incisione seicentesca.
Poiché all’ordine dei domenicani era
affidato il tribunale dell’inquisizione
anche il convento saviglianese ne fu
sede. Attualmente la chiesa è la sede di
un magazzino comunale.
La monarchia papale fondava il suo potere sui progressi nella centralizzazione delle
istituzioni ecclesiastiche e su una stretta alleanza con i poteri politici. A dimostrazione
di ciò valga questo unico esempio. Nella prima metà del secolo XII il diritto di
eleggere i vescovi fu sostanzialmente limitato ai membri dei capitoli delle singole
cattedrali. Successivamente però le frequenti discordie dei canonici nelle elezioni
episcopali favorirono sempre più numerosi interventi papali nelle elezioni stesse,
tanto che nella prima metà del XIV secolo si era ormai consolidata la prassi di
avocare al pontefice la nomina dei nuovi prelati. Il processo di accentramento in
tale delicato settore giunse a tal punto che gli ultimi papi residenti ad Avignone
79
si « riservarono » il diritto, tradotto poi in consuetudine, di nominare i titolari
di tutti gli episcopati e di tutte le abbazie maschili. Una consuetudine che, se da un
lato favoriva la rapidità delle nomine e poneva fine a tutta una serie di intrighi
locali, non impediva affatto il patteggiamento con i poteri politici, poiché lo
innalzava anzi a sistema di governo papale. I principi, in cambio del proprio
appoggio in quanto « braccio secolare » nella repressione del dissenso religioso e
nella difesa della gerarchia ecclesiastica e delle imposizioni finanziarie della chiesa
di Roma, condizionarono la scelta dei vescovi e il conferimento dei benefici degli
enti ecclesiastici attraverso la segnalazione dei loro protetti al favore papale.
Caratterizzò il papato avignonese, insieme alla centralizzazione delle istituzioni
ecclesiastiche e all’alleanza con i poteri politici, un irrigidimento ideologico che portò
a un incremento della repressione del dissenso religioso. Vennero condannate dai
PAPATO AVIGNONESE
1 - ____________________________________________________________________
A - ______________________________________________________________________ (decime e ____________)
B - _____________________________________________________________________________________________
2 - ____________________________________________________________________
A - _____________________________________________________________________________________________
B - _____________________________________________________________________________________________
3 - _____________________________________________________________________
A - _______________________________________________ (_________________________________ , Fra Dolcino)
B - ______________________________________________________________________ (_____________________)
papi avignonesi come eretiche le dottrine dell'ala pauperista dei francescani,
inviando buona parte di questi ultimi al rogo; nei primi anni del Trecento, il
movimento pauperistico-ereticale dei fratelli apostolici, che, sorto attorno al 1260
per iniziativa di Gerardo Segarelli di Parma, mandato al rogo dall'inquisizione, era
allora diretto da fra' Dolcino. Questi poté essere catturato con migliaia di aderenti
solo per mezzo di una vera e propria campagna militare effettuata in seguito a un
appello alla crociata lanciato da papa Clemente V (1305-1314).
Il fatto che la repressione del dissenso religioso e sociale fosse di fatto una scelta legata
alla stretta alleanza della la monarchia papale con i poteri politici è, del resto, resa
evidente dalle vicende che portarono alla soppressione dell'ordine monastico-militare
dei templari. Impegnati, dopo la fine degli stati crociati, soltanto nella gestione dei
propri beni e divenuti ormai soprattutto dei finanzieri, i templari si videro accusare
di simonia, pratiche magiche e omosessualità. Filippo IV fece arrestare i capi
dell'ordine, che sotto le torture confessarono le colpe più improbabili e stravaganti.
Fra il 1307, e il 1310 l'ordine dei templari venne smantellato in tutta Europa e nel
1312 fu sciolto dal papa; il gran maestro finì sul rogo e le ricchezze dell'ordine
furono spartite fra i cavalieri di san Giovanni e il re di Francia, che nel dar vita
allo scandaloso affare non aveva avuto altro scopo che incamerare quelle
ricchezze.
La Chiesa era ormai lontana in maniera irrecuperabile dallo spirito della riforma;
ricchezza, simonia, commistione con gli aspetti peggiori della politica erano la sua
ragion d'essere e Avignone divenne in pochi anni una corte splendida per lusso
e cultura, ma del tutto priva di valori spirituali.
Il ritorno del papa a Roma era visto come una condizione preliminare di ogni
tentativo di purificazione della Chiesa da parte di tutte quelle forze intellettuali
80
e spirituali, laiche ed ecclesiastiche, che ancora credevano possibile una rinascita della religione di Gesù e della sua comunità di credenti; solo dopo il
1350 i papi cominciarono a prendere in considerazione questa possibilità,
cogliendo soprattutto l'evidenza di un fatto preoccupante: le famiglie
aristocratiche romane avevano ricostituito in pieno i loro poteri feudali nel
Lazio e la città di Roma aveva ridato vita alla sua esperienza di comune
autonomo. Inoltre, con la fine dell'autorità imperiale sull'Italia il ritorno del papa
a Roma poteva coprire un vuoto politico e tentare la costruzione di un vero Stato
della Chiesa, ponendo fine all'anarchia delle signorie locali e creando una
forza territoriale che garantisse davvero l'indipendenza del vertice della Chiesa
cattolica.
Dopo una lunga e accorta preparazione, il papa Gregorio XI ristabilì infine nel
1377 il ruolo di Roma come Santa Sede, ma alla sua morte, avvenuta nel 1378,
apparve con drammatica chiarezza che i 70 anni di permanenza ad Avignone
non erano stati solo una parentesi. Il conclave del 1378 elesse pontefice un
vescovo italiano, ma i cardinali francesi sostennero che quella elezione, era stata
estorta con la forza dal popolo romano abilmente sobillato. Un nuovo conclave
elesse un secondo papa e per quasi quarant'anni la Chiesa ebbe due papi (il
cosiddetto Grande scisma): uno romano, riconosciuto dalla maggior parte
della cristianità, e uno avignonese, riconosciuto dai re di Francia e di Napoli e,
più tardi, anche dai sovrani spagnoli. Lo scandalo era grande: due papi, due
collegi cardinalizi, ma nessuna giustificazione veramente religiosa per questo
scisma che sarebbe durato fino al 1417; la scelta per l'uno o l'altro indegno
successore di Pietro era solo un atto politico del tutto interno ai rapporti che si
venivano delineando tra le emergenti strutture statali nazionali.
L’unità della chiesa fu ristabilita dal concilio ecumenico di Costanza (1414-18):
dopo tre anni di discussioni e lo spontaneo ritiro del papa pisano, eletto da un
precedente concilio che non era riuscito a riportare l’unità nella chiesa, e
di quello romano (ma non di quella avignonese, che rimase però isolato),
dopo ripensamenti e difficoltà, si arrivò all'elezione di un nuovo papa (Martino V
1417-31) che dovette promettere che avrebbe governato insieme al concilio,
destinato a diventare un organo della Chiesa da riconvocare con periodicità brevi.
L’idea che il reggimento della comunità cristiana non poteva essere affidato
a un solo uomo, ma andava dato a un organo collegiale, il concilio, che aveva
consentito alla Chiesa di superare questa lunga crisi venne presto sconfitta dalla
politica dei papi. In un nuovo concilio ecumenico, che si aprì a Basilea nel
1431, i padri conciliari non riuscirono ad affermare il principio uscito a
Costanza, la superiorità del concilio sul papa: Eugenio IV (1431-47) sciolse
l'assemblea e, dopo diversi anni e contrasti, la riconvocò a Ferrara; una parte
dei vescovi restò a Basilea ed elesse un antipapa. La Chiesa era di nuovo nel
marasma, ma la prospettiva di una lunga lacerazione indusse il partito conciliarista
a recedere dalle sue posizioni; nel 1449 1’antipapa si dimise e Basilea si
riconciliò col papa.
Negli anni cruciali 1430-50 si affermò di fatto l'idea che il papa fosse una sorta
di presidente di una confederazione di chiese nazionali, ciascuna con i propri
privilegi e le proprie autonomie.
In Inghilterra già dalla fine del XIV secolo i re avevano cominciato a imporre
le loro decisioni in materie ecclesiastiche; ma fu soprattutto in Francia che,
con la Prammatica sanzione, emanata nel 1438 dal re Carlo VII si affermò una
Chiesa nazionale "gallicana". Anche se essa non fu riconosciuta da Roma, i vescovi
francesi cessarono di venire nominati dal papa e venne negata ogni superiorità
gerarchica del papa stesso sul clero francese. D'ora in poi l'universalismo papale
non è più il quadro nel quale si pone la religiosità individuale: essa oscillerà
piuttosto fra il quadro della Chiesa nazionale e quello della propria coscienza.
I papi della seconda metà del Quattrocento saranno a volte degli uomini di
cultura di grande valore, a volte dei politici abili, ma lungo questa strada
Il ritorno __________________________
il significato per ____________________:
__________________________________
il significato per ____________________:
a - ________________________________
b -________________________________
Il ________________________________
(_________ - _________)
atto _______________________ e non
________________________________
Il concilio di _______________________
e la _______________________________
__________________________________
Papa e __________________________
la sconfitta dei ______________________
Le ________________________________
81
usciranno anche degli autentici criminali come Alessandro VI (14921503). La
Chiesa universale era veramente finita.
Oltre che dalla perdita del potere universale la crisi della chiesa nel XIV e nel XV
secolo è sottolineata anche dal diffondersi di teorie eretiche, legate sia a motivi
religiosi che sociali che, benchè sconfitte, prepareranno il terreno alla Riforma
protestante del XVI secolo che, ponendo fine all’unità religiosa dell’Europa,
contribuirà a un ulteriore ridimensionamento del ruolo egemonico che la Chiesa
aveva svolto nel Medioevo.
Quando il concilio di Costanza si sciolse nel 1418, l'unità e la pace della cristianità
erano state raggiunte, ma decenni di scandalo avignonese e la lunga vergogna dei
due o tre papi in lotta fra di loro non potevano essere cancellati tanto facilmente.
Già prima dell'inizio dello scisma, un professore di filosofia dell'università di
Oxford, John Wycliffe, era giunto a conclusioni molto più radicali dei futuri
conciliaristi: la Chiesa come corpo separato degli ecclesiastici non era affatto un
elemento essenziale della vita del cristiano. L'essenza della scelta cristiana
era data soltanto da Cristo, dal Vangelo, dalla fede. Bisognava cancellare tutta
l'incrostazione di assurdità che i lunghi secoli dell'ignoranza avevano depositato
sulle limpide pagine evangeliche, come il culto dei santi o quello delle reliquie;
sugli stessi sacramenti Wycliffe avanzava dei dubbi, ma la sostanza del suo
pensiero che giunse fino ai rivoltosi inglesi del 1381 era l'egualitarismo
evangelico e il rifiuto della mediazione della Chiesa fra Dio e gli uomini. La rivolta
inglese venne stroncata, ma le idee di Wycliffe si sparsero col sangue dei contadini
massacrati su un suolo europeo pronto a generare nuove stirpi di rivoltosi.
Ciò accadde in Boemia, inizialmente sul solo terreno religioso, come istanza
di una riforma della Chiesa e con forti aspetti di polemica verso la gerarchia
ecclesiastica. Nel 1415 Jan Hus, la maggiore autorità intellettuale del movimento boemo, era stato invitato al concilio di Costanza: in maniera piuttosto
inaspettata venne condannato come eretico e mandato al rogo insieme al suo
compagno Girolamo di Praga. Questo delitto compiuto col tradimento dai
padri conciliari trasformò il movimento religioso in un fatto politico e sociale: i
boemi si ribellarono sia contro l'imperatore, sotto la cui garanzia si era svolto il
concilio di Costanza, sia contro la Chiesa. Gli hussiti chiedevano la completa
abolizione della proprietà ecclesiastica e un ruolo più incisivo dei laici nella
vita della comunità cristiana. Un'ala ancora più radicale riprendeva le idee di
egualitarismo evangelico che avevano animato i ribelli inglesi del 1381 e chiedeva un
ritorno allo spirito originario del Vangelo.
L'evoluzione dei movimenti evangelici, dai primi eretici dell'XI secolo agli
ussiti, si presenta, ai nostri occhi, come una continua risorgenza
dell'immagine di una Chiesa povera e semplice, del desiderio di un contatto Motivi ______________________
diretto col Vangelo, non mediato dalle interpretazioni e dalle aggiunte fatte dalla
tradizione clericale: ma a ogni nuovo soprassalto, da Pietro Valdo a San Francesco, e motivi _____________________
dai lollardi inglesi (questo era il nome dei seguaci più radicali di Wycliffe) agli
ussiti, i motivi sociali della protesta assunsero un carattere sempre più netto
accanto ai temi religiosi. Ma né i francescani spirituali, né i ribelli inglesi, né
i boemi riuscirono mai a stabilire un chiaro rapporto fra i due ordini di motivi e
ogni volta il millenarismo religioso (la credenza in un prossimo totale
rinnovamento del mondo) introdusse elementi di fanatismo, che potevano
andare dal recupero del mito della crociata all'ondata di antisemitismo, dalla
sottovalutazione della forza militare degli avversari a un uso sconsiderato
della violenza. Neppure gli hussiti si sottrassero a questo esito e, benché la
rivolta boema sia durata più di venti anni, i momenti di delirio e la ricerca esaltata
del martirio ebbero la prevalenza sulla capacità organizzativa e politica. Già dal
1433, del resto, la maggioranza dei boemi finì per accettare un compromesso che
assicurava alcuni privilegi alla Chiesa e in particolare il diritto per ogni fedele
di comunicarsi sia con il pane sia con il vino, tenendo con le proprie mani il
calice.
82
Nonostante l’avvenuto accordo con la chiesa boema, una delle chiese nazionali
di cui abbiamo detto sopra, i motivi di fondo di chi riteneva necessaria una
riforma della chiesa e del papato rimasero del tutto attuali, tant’è che nel giro di
nemmeno un secolo essi si riproposero, con la Riforma protestante, con una
forza tale da rompere definitivamente l’unità dei cristiani europei.
I MOVIMENTI DI RIFORMA
1 - ___________________________________________________
A - _____________________________________________________________________________________________
B - _____________________________________________________________________________________________
C - _____________________________________________________________________________________________
1 - ___________________________________________________
A - _____________________________________________________________________________________________
B - _____________________________________________________________________________________________
C - _____________________________________________________________________________________________
Le vicende dell'altro polo dell'universalità, l'Impero, furono meno drammatiche,
ma giunsero allo stesso risultato:la perdita di un ruolo egemonico.
L'Impero era tradizionalmente formato di tre nuclei territoriali, l'Italia, il regno
di Borgogna e la Germania. Anche all’interno di tali aree il potere veniva
esercitato effettivamente solo per brevi periodi e solo legato alla presenza di
personaggi di particolare rilevanza quali Federico Barbarossa o il figlio
Federico II. In ogni caso, l’imperatore, per poter esercitare il suo potere
universale, poteva contare solo sulle risorse che gli provenivano dai suoi
domini ereditari e da quelli acquisiti grazie alla politica matrimoniale (clan
famigliare) che impiegava per imporre ai suoi vassalli in Germania la propria
autorità, ottenendo in questo modo le risorse necessarie per organizzare un
esercito con cui tentare una “discesa in Italia”, per scontrarsi con
l’opposizione dei signori feudali, dei comuni e della Chiesa.
L’allontanamento dalla Germania, inoltre, finiva per rafforzare il potere dei
signori e delle città tedesche, impedendo in questo modo all’imperatore di
esercitare effettivamente il suo potere.
Dopo Enrico VII di Lussemburgo (1308-13)3, morto di malaria durante
l’ultima discesa in Italia di un imperatore tedesco, l’impero subì un processo
di germanizzazione che lo trasformò in una forza politico-militare
specificatamente tedesca. La conferma di tale definitiva germanizzazione
dell’Impero si ebbe nel 1356 quando un accordo tra l’imperatore regnante e i
principi fu stilata la lista definitiva dei "grandi elettori", tre principi
ecclesiastici (gli arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri) e quattro laici (il
re di Boemia, i duchi di Brandeburgo e di Sassonia, il conte del Palatinato).
Dopo essere stata attribuita varie volte ai conti di Lussemburgo (che erano
anche re di Boemia) o ai duchi di Baviera, la corona imperiale tornò nel 1439
alla famiglia degli Asburgo, che l'avevano già avuta due volte alla fine del XIII
secolo. In questo secolo gli Asburgo avevano lasciato i loro antichi possessi sulle
montagne svizzere, per concentrarsi sul più recente acquisto del ducato d'Austria.
In Svizzera, che di nome era parte dell'Impero, si era sviluppata una lega di
3
B - L’IMPERO
Il potere dell’_______________________
1 - _______________________________
__________________________________
2 - _______________________________
__________________________________
3 - ________________________________
__________________________________
4 - _______________________________
Processo di _______________________
Gli _______________________________
La discesa in Italia di Enrico VII ebbe l’incondizionato appoggio di Dante Alighieri.
83
città e di cantoni montani, che era stata in grado più volte di respingere le
pretese dei duchi d'Austria. Al contrario, nel loro ducato gli Asburgo
avevano costruito una forza statale efficiente, sul modello di quella francese;
a partire dal 1439 la corona imperiale venne sempre attribuita all'erede della
loro famiglia. La realtà politica della Germania continuò tuttavia a mantenere i Frammentazione Germania: prevalere
caratteri di profonda frammentarietà. Se alcuni principati territoriali come la
Baviera, la Sassonia e il Brandeburgo si avviarono nel corso del Quattrocento a __________________________________
prendere la via della costruzione statale, il resto della Germania restò un
coacervo caotico di città libere, di principati ecclesiastici e di piccole signorie
feudali che si contavano ormai nell'ordine del centinaio.
L'equilibrio tra la forza statale degli Asburgo e la polverizzazione territoriale
della Germania poteva forse evolvere nel senso di un'espansione tedesca del
ducato d'Austria, ma certamente a metà Quattrocento il titolo imperiale non
aveva più da tempo nessun significato universale.
Il rafforzamento degli stati nazionali
Le monarchie feudali
Dalle monarchie feudali agli stati nazionali
Assoggettamento del territorio e accentramento dei poteri pubblici
Il caso francese
Il caso inglese
IL RAFFORZAMENTO DEGLI STATI
NAZIONALI
LE MONARCHIE FEUDALI
Tra XI e XIII secolo l’intero territorio dell'Occidente feudale si presentava
frazionato in molteplici centri di potere - principati, ducati, contee, marchesati,
castellanie, abbazie, comunità cittadine - sui quali l'antica autorità pubblica,
dopo la disgregazione dell'Impero carolingio, non riusciva a esercitare
un'efficace e continua azione di controllo e di governo.
In origine i sovrani, esattamente come gli imperatori, benché vantassero una sacra
unzione regale e trasmettessero il loro titolo ai propri discendenti, non erano che
signori terrieri che esercitavano la loro piena sovranità sui soli domini familiari, il
restante territorio del Regno essendo in mano a grandi signori - duchi, conti,
marchesi - che pretendevano di esercitare ogni potere nei loro domini, sottraendosi
alla giurisdizione regia.
Per arginare il particolarismo determinato dalla presenza di questi signori e contenere la
forte conflittualità che si accendeva tra essi, i sovrani cercarono di rafforzare gli
strumenti di governo preesistenti, appoggiandosi alle istituzioni feudali: nella rete
vassallatico-beneficiaria essi trovarono uno strumento per inquadrare in una struttura
ordinata gerarchicamente e fondata su forti vincoli di fedeltà e aiuto i molteplici e
dispersi centri di potere locale. Attribuendo funzioni e attività pubbliche a uomini di
loro fiducia - che assumevano il titolo di vassalli - i sovrani cercarono di assicurarsi
un piú ampio e ordinato controllo del Regno: con l'investitura feudale essi concedevano
infatti ai loro vassalli non solo beni o rendite patrimoniali, ma cariche pubbliche che
assicuravano il diritto di riscuotere imposte, dazi, gabelle, di amministrare la bassa
giustizia (relativa cioè a controversie di minore importanza), di procedere al
reclutamento di uomini armati. Lo stesso termine feudo in questi secoli venne
sempre più a indicare l'insieme dei diritti e delle cariche pubbliche, oltre che dei beni
patrimoniali, che il vassallo riceveva dal suo superiore e che trasmetteva alla propria
discendenza come un patrimonio familiare.
In questo modo la monarchia feudale riuscì a garantirsi un ruolo superiore di
coordinamento dei molti potentati signorili, ponendosi al vertice di un sistema
gerarchico che affidava ai signori precise funzioni di governo, ma al tempo stesso
cercavano di impedire che un eccessivo frazionamento del potere e del territorio
degenerasse in anarchia e sfociasse in aperta e continua conflittualità.
(____________________)
La dispersione dei _________________
I poteri del re: _____________________
Il rapporto ________________________
concessione di ______________ (terre)
+
_________________________________
al fine di __________________________
__________________________________
ruolo del re: _______________________
__________________________________
84
A fondamento della loro sovranità i re medievali richiamavano ora l'investitura La giustificazione del potere del re:
divina, che faceva di loro degli "unti" del Signore responsabili solo dinanzi a Dio della
loro azione politica, ora il contratto feudale, che imponeva ai re responsabilità e doveri A - _______________________________
nei confronti dei vassalli con cui avevano stretto il patto.
Nei Regni dove piú marcato era il richiamo all'origine divina della sovranità, come Re _____________________________
quello di Francia, la Corona tendeva ad accentuare gli elementi sacrali e
taumaturgici della dignità regale: in essi il re trovava la giustificazione della __________________________________
natura soprannaturale del suo potere, della sua superiorità su ogni uomo e esempio:_________________________
quindi anche sui potenti signori feudali.
Resa forte dalla sacralità riconosciutale dai sudditi e dalla continuità dinastica, la
monarchia francese affermava il suo dominio, in origine circoscritto ai territori il dominio originario:_________________
familiari dell'Ile de France, ai molti ducati, alle contee, alle città, alle abbazie, ai
vescovati che nel corso dei secoli XII e XIII vennero annessi grazie a conquiste militari, confische dei feudi di vassalli infedeli, alleanze matrimoniali con dinastie
signorili. I sovrani che si succedettero tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo, tra cui l’organizzazione del _________________
Luigi IX (I226-1270) e Filippo IV il Bello (1285-1314), estesero il territorio sottoposto ______________: ___________________
alla loro autorità provvedendo a riorganizzarlo aumentando il numero e le funzioni
degli ufficiali del re (prevosti, balivi e siniscalchi), responsabili dinanzi al sovrano
del buon andamento del fisco, della giustizia, della difesa e del controllo dell'attività
svolta da funzionari minori e signori locali.
Il prestigio della Corona continuò ad aumentare lungo tutto il Duecento ed essa Le conquiste _______________________
estese il suo controllo a nuove regione: nel 1215 sconfiggendo il re d'Inghilterra
vennero riportato sotto il dominio francese ampie regioni della Francia - _________________________________
occidentale; Luigi IX (in seguito proclamato santo) sconfiggendo le comunità
albigesi, contro cui era stata indetta una crociata, riportò sotto il dominio francese il - _________________________________
territorio della potente contea di Tolosa.
Tutto ciò rafforzava il prestigio della Corona e con esso quello della Francia
che consolidava la propria identità - francese e cristiana - e rimodellava la sua
struttura politica e amministrativa, avviandosi a trasformarsi da regno feudale in
monarchia nazionale.
Se la sovranità assumeva in Francia un prevalente carattere teocratico, quella inglese B - _______________________________
invece rivelava un carattere feudale: infatti, il potere del monarca trovava qui forza e
giustificazione nel contratto feudale piú che nell'investitura divina. Ciò accadeva in Re _____________________________
virtú della particolare natura della monarchia inglese che prendeva origine dalla esempio: __________________________
occupazione normanna che introduceva dall’alto le strutture feudali, già collaudate nel
ducato di Normandia, ma sconosciute nell'isola. Infatti, Guglielmo il Conquistatore,
che nel 1066 aveva iniziato la conquista dell’isola britannica, distribuì i territori l’occupazione _____________________ e
conquistati ai propri compagni d'armi, imponendo un solenne giuramento di fedeltà e di
__________________________________
obbedienza in cambio dell'investitura feudale e del titolo di barone.
Proprio perché, almeno nei primi secoli, la sua sovranità diretta era limitata ai domini
familiari, il re quando necessitava di contributi in denaro, in uomini e in armi doveva La ________________________________
ricorrere ai vassalli che, per questo loro ruolo, finivano per essere consultati quando
dai ______________________________
era necessario prendere le decisioni più importanti.
Nella prima fase della monarchia medievale il solo ceto ritenuto degno di essere consultato alle ______________________________
dai sovrani era l'alta nobiltà; ma quanto piú, nel corso dei secoli XIII e XIV, aumentò
il peso economico e sociale delle città e dei ceti mercantili e quello politico della nobiltà
minore dei cavalieri, si impose al monarca la necessità di riconoscere a questi ceti
emergenti una qualche voce o rappresentanza politica.
Senza rinunciare alla pienezza dei loro poteri, i sovrani di quasi tutti gli Stati
europei - di propria iniziativa o accogliendo pressioni dal basso - presero la
consuetudine di convocare periodicamente assemblee composte da rappresentanti
dell'alta aristocrazia feudale, della nobiltà minore, della borghesia delle città,
degli ecclesiastici. Queste assemblee che assunsero differenti denominazioni Parlamento in Inghilterra, Dieta in Germania, Stati generali in Francia, Cortes in
Spagna – costituivano un'evoluzione degli antichi consigli del re cui partecipavano i
grandi vassalli, fondate sul principio della rappresentanza che impose la
85
tradizione di convocare i rappresentanti dei ceti perché dessero la loro
approvazione alle iniziative del re, soprattutto in materia fiscale (vedi nota
2).
La dialettica che si creò in questi secoli tra Corona e assemblee rappresentative consentì,
a Stati come l'Inghilterra e la Francia, di affrontare e superare momenti di particolare
gravità senza pregiudicare la pace interna e la stabilità delle istituzioni. Nel 1215 quando
il sovrano inglese Giovanni Senza Terra (1199-1216), premuto dalle esigenze
finanziarie, cercò di aumentare l'imposizione fiscale senza chiedere il dovuto consenso,
violando le garanzie giurisdizionali da tempo riconosciute ai sudditi, il parlamento
richiamò con fermezza il sovrano ai suoi impegni, imponendogli di firmare la Magna
Charta in cui venivano ribadite le libertà dei sudditi inglesi. Quasi un secolo dopo,
nella grave controversia sorta tra il re di Francia Filippo il Bello e il pontefice
Bonifacio VIII , in merito al diritto regio di sottoporre il clero al proprio fisco, il
sostegno degli Stati generali darà al re la forza e l'autorità necessarie per tener testa
con successo al pontefice.
Nel tardo Medioevo (XIV-XV secolo) il processo di trasformazione delle
monarchie medioevali in stati nazionali ebbe un notevole impulso che portò alla
ridefinizione dei loro confini, portando a termine, almeno nel caso di Francia,
Spagna e Inghilterra, l’assoggettamento di un territorio ampio e omogeneo, e al
rafforzamento del processo di affermazione dell’unificazione dei poteri pubblici
nell’apparato burocratico-amministrativo, di cui il re rappresentava il vertice.
Quest’ultimo processo ha consentito, come abbiano già detto, allo stato
nazionale di assumere le funzioni tipiche dello stato moderno, ovvero fare le
leggi, amministrare la giustizia, controllare l’esercito, e imporre tributi fiscali,
sottraendoli ai poteri dal basso (nobiltà civile ed ecclesiastica, comuni) che li
detenevano di fatto (vedi lettura Guarracino “Dalle monarchie feudali allo stato
moderno”).
Il processo di accorpamento dei territori del regno e di stabilizzazione dei confini si
realizzò in Francia e in Inghilterra nel corso di un lungo conflitto, denominato guerra
dei Cent'anni (1328-1420): alla sua conclusione il Regno d'Inghilterra non ebbe
più domini continentali (salvo il porto di Calais); il Regno di Francia recuperò gran
parte dei domini inglesi e si estese nell'ampio territorio che corrisponde, in linea di
massima, all'attuale Francia. Nella seconda metà del secolo XV ai già cospicui domini
si verranno poi ad aggiungere i territori della Borgogna e della Piccardia, sottratti ai
duchi di Borgogna.
Nel corso del secolo XV anche la Spagna realizzò l'unificazione dei territori: il
matrimonio dei sovrani di Aragona e di Castiglia, Ferdinando e Isabella, unificò nel
1469 le Corone dei due Regni, che inglobavano i piú antichi Regni di Galizia,
Navarra, Catalogna. Il compimento del lungo processo di reconquista, che si
realizzò nel 1492 con la liberazione del Regno di Granada, aggiungerà alla
Corona di Spagna i territori meridionali sino ad allora sotto il dominio islamico.
Il ruolo ___________________________:
1 – La _________________________:
_________________________________
2 - _______________________________:
__________________________________
DALLE MONARCHIE FEUDALI
AGLI STATI NAZIONALI
ASSOGGETTAMENTO DEL TERRITORIO E
ACCENTRAMENTO DEI POTERI PUBBLICI
1 _______________________________
2 - _______________________________:
a ________________________________
b ________________________________
c ________________________________
d ________________________________
Francia e ___________________
________________________________
_________________________________
IL CASO FRANCESE
Entrambi i processi, l’assoggettamento del territorio e l’unificazione dei poteri
pubblici, furono occasione di molteplici scontri interni tra il re e i potenti
feudatari, di cui l’esempio più tipico è la già citata guerra dei Cent’anni (13371453), nome con il quale si è soliti indicare un secolare conflitto sorto come
conflitto signorile tra il re di Francia e un suo vassallo, il re d’Inghilterra,
complicato da tumulti cittadini e rivolte nelle campagne, conclusosi un secolo
dopo come guerra tra due stati nazionali.
La chiave di lettura delle prime fasi della guerra dei Cent’anni è dunque lo scontro
tra fazioni opposte della grande nobiltà feudale. Infatti, il re d’Inghilterra in terra
di Francia era uno dei rappresentanti della nobiltà feudale, come lo erano il duca
di Borgogna o il conte delle Fiandre, che nominalmente era soggetta al re di
LA GUERRA DEI CENT’ANNI (_____ - ____)
Dai conflitti __________________ ai
conflitti tra _________________
86
Francia, ma che a lui si opponevano in difesa della sua autonomia e contro le
pretese di centralizzazione del potere. La guerra dei Cent’anni fu dunque, da
questo punto di vista, lo scontro tra la grande nobiltà feudale, legata da legami
personali o famigliari, e le forze, il re e la borghesia mercantile, che spesso lo
finanziava con prestiti, che invece miravano alla costruzione di una struttura
politica su base territoriale nazionale.
Su questi motivi fondamentali di contrasto si innestò nel 1328 una contesa
dinastica: in quell'anno infatti morì senza eredi il re di Francia Carlo IV, ultimo
discendente diretto dei Capetingi, e il re d'Inghilterra Edoardo III (che pure in
via materna era imparentato con i Capetingi) in un primo tempo riconobbe come
re di Francia Filippo VI di Valois (1328-1350), ma quando questi proibì
l'importazione nelle Fiandre della lana inglese, rivendicò per sé la corona
francese e diede inizio alla guerra (1337).
I primi decenni del conflitto furono disastrosi per la Francia, che fu ripetutamente sconfitta per terra e per mare, mentre all'interno la peste nera e le
rivolte contadine mettevano a repentaglio la sopravvivenza stessa della monarchia. Si giunse perciò alla pace di Brétigny (1360), che sanciva il dominio
inglese su gran parte delle regioni francese affacciate sull’Atlantico.
Caratterizzato da alterne vicende militari legate all’indebolimento o al
rafforzamento del potere regio, spesso minacciato da vicende dinastiche (ad
esempio la minorità e, in seguito, la malattia mentale di Carlo VI, re tra il 1364 e
il 1380) e da guerre civili interne alle fazioni nobiliari, il conflitto mutò
radicalmente di significato a partire dal secondo decennio del XV secolo. Fino
allora era sembrato che la guerra riguardasse soprattutto sovrani, feudatari e soldati
delle compagnie di ventura, quasi fosse uno sport cavalleresco nel quale nobili e
soldati di mestiere esibivano il proprio valore, mentre i contadini, depredati
dalle truppe di passaggio, pagavano il prezzo del grandioso "torneo". Nella sua
fase finale invece, quando il popolo non fu più disposto a subire passivamente gli
orrori della guerra, questa si trasformò in una lotta per la liberazione della Francia, sia
dagli Inglesi invasori sia dai feudatari loro alleati.
Un esempio del manifestarsi di tale sentimento popolare è dato dalla nota
vicenda di Giovanna d'Arco, una contadina giovane e ispirata accorsa a
liberare Orléans assediata dagli Inglesi e, successivamente, caduta nelle
loro mani presso Parigi, processata e giustiziata come strega (1431) con la
complicità della monarchia francese che temeva eventuali pericolosi sviluppi
della guerra popolare che avrebbero potuto mettere in discussione gli assetti
politico-sociali.
Grazie ai successi militari fu possibile la ripresa; nel 1436 Carlo VII (14221461) rientrava in Parigi (che era passata sotto il controllo inglese nel 1415),
ma già l'anno precedente egli aveva raggiunto un accordo col duca di
Borgogna, tradizionale alleato degli inglesi. Il potere monarchico poteva
riprendere la sua parabola ascendente.
Contemporaneamente al rafforzamento della monarchia francese il conflitto con
l’Inghilterra tese a trasformarsi sempre più in una guerra tra nazioni e le ragioni
del conflitto si identificarono sempre più con i motivi economici. Ed è proprio
questa la seconda chiave di lettura della guerra.
Infatti, la presenza inglese in Francia aveva una sua giustificazione
nell’esistenza di un’area economica che effettivamente legava tra loro le
regioni della costa atlantica continentale e l’Inghilterra. Così, ad esempio, la
prosperità delle Fiandre dipendeva in gran parte dall'importazione della lana
greggia inglese, che lì veniva lavorata trasformata in pregiatissimo panno: la
dipendenza politica delle Fiandre dalla Francia era, dunque, in contraddizione
con la dipendenza economica delle Fiandre stesse dall'Inghilterra. A difendere
questo legame con le città fiamminghe al termine del conflitto, nel 1453, sul
continente non rimaneva all'Inghilterra che il porto di Calais, ma d’altra parte
la ristrutturazione delle attività manifatturiere seguita alla crisi del Trecento
87
stava trasformando l’Inghilterra da paese esportatore di lana grezza in paese
produttore di tessuti di lana.
Il ducato di Borgogna continuò ad essere il principale antagonista del re francese
fino alla metà degli anni ’70 del XV secolo, quando il tentativo dell’ultimo duca,
Carlo il Temerario (1433-1477), e delle città fiamminghe di dar vita a un grande
stato che si estendesse dal confine della Savoia alle Fiandre venne sconfitto.
La disfatta del duca di Borgogna significò la disfatta delle ambizioni egemoniche
dell’alta aristocrazia. Nel giro di pochi decenni passarono a vario titolo alla corona
la Borgogna, la Franca Contea, la Piccardia, l'Angiò, la Provenza, il Berry, la
Bretagna. L’estensione del potere della monarchie francese alle Fiandre invece
non venne mai completata, anche perché, come vedremo, la regione nel XVI
secolo cadde sotto il controllo della corona spagnola. La scomparsa dei più
potenti poli d'attrazione della nobiltà aveva consolidato fortemente la
monarchia.
LE CHIAVI DI LETTURA DELLA ____________________________________
1 - _________________________________: scontro __________________________:
_________________________
2 - _________________________________: scontro tra ________________________ per motivi __________________
IL CASO INGLESE
Anche in Inghilterra, nel Trecento e nella prima metà del Quattrocento, il potere
regio ebbe momenti di crisi connessi con difficoltà incontrate nella guerra francoinglese, con periodi di reggenza, con rivolte sociali. Anche qui lo scontro tra re e
grande nobiltà prese spesso la forma di guerra interna tra fazioni nobiliari di cui
l’esempio più tipico è, nella seconda metà del Quattrocento, la guerra delle Due rose
(1455-1485).
La nobiltà inglese, che da secoli viveva come struttura militare sovrapposta alla
società civile, abbandonando la Francia finì per rivolgere contro se stessa la
propria attitudine alla guerra.
Mentre il paese era scosso da disordini e da rivolte contadine e vi si riversava la
massa di nobili e avventurieri sconfitti in Francia, il re Enrico VI (1422-1461)
dava segni di squilibrio mentale e le opposte fazioni principesche, sorrette da
cospicue clientele militari, rivendicavano la corona. Ebbe così inizio la guerra delle
Due Rose tra il partito degli York (un ramo della famiglia dei Plantageneti che
aveva come emblema una rosa bianca) e quello dei Lancaster (il cui emblema
era una rosa rossa), una guerra tremenda, povera come non mai di motivi ideali,
che portò lo Stato sull'orlo della rovina e che distrusse gran parte della vecchia e
turbolenta classe dirigente.
Quando, nel 1485, la trentennale guerra civile ebbe termine e il gioco delle
alterne confische dei partiti al potere ebbe posto la corona in possesso di patrimoni
immensi, che si aggiungevano ai lauti profitti che i re inglesi percepivano
sull'esportazione della lana, il nuovo re d'Inghilterra Enrico VII Tudor (14851509) poté disporre di tutti gli efficaci strumenti amministrativi che, una
ormai da tempo collaudata tradizione di governo, gli poneva nelle mani. Da
tempo infatti il re era illuminato nell'opera di governo dal proprio consiglio, era
assistito per le questioni amministrative dal personale della cancelleria del palazzo
reale, dello Scacchiere e dei più recenti uffici del Guardaroba; da tempo una
giustizia più uniforme si andava estendendo a scapito dei tribunali di signoria e
la volontà del re raggiungeva i sudditi attraverso gli sceriffi, che, assistiti da
assemblee locali non puramente consultive, continuavano a svolgere
importanti funzioni in materia giudiziaria e fiscale. Se dal punto di vista
amministrativo Enrico VII poté basarsi su questi importanti strumenti, dal punto
di vista sociale egli dovette far leva sulla borghesia e sulla gentry, cioè sulla media
LA GUERRA DELLE ___________________
(________-__________)
Il ritorno della _________________ dalla
_____________ e le _________________
Il rafforzamento ____________________:
1 - ________________________:
________________________________ +
_________________________________
2 - _______________________________
3 - _______________________________
88
nobiltà. La corona aveva infatti interesse a impedire un rilancio dell'influenza
dell'alta aristocrazia: lo dimostra il fatto che per combatterla il re non esitò a istituire
la cosiddetta Camera stellata, una corte straordinaria di giustizia incaricata di
perseguire quanti ancora tentavano di ricostituire milizie proprie.
In Inghilterra la presenza fra gli organi supremi dello Stato di un'istituzione
rappresentativa come il Parlamento, dotata sin dall'inizio di un proprio ruolo I rapporti __________________________
politico e generalmente disposta alla collaborazione con il potere monarchico, rese l'evoluzione del potere regio sensibilmente diversa da quella francese,
in cui molto minore consistenza ebbero le forme di rappresentatività dei ceti.
Lo stato regionale: il caso italiano
Lo sviluppo della vita politica delle città
Le forme del governo cittadino
Dalle signorie ai principati
L’assestamento degli stati regionali
LO STATO REGIONALE: IL CASO
ITALIANO
Lo sviluppo della vita politica delle città
Le forme del governo cittadino
L'ultima discesa imperiale in Italia, quella di Enrico VII di Lussemburgo, sostenuto
dall'opinione di molti che in lui vedevano il restauratore dell'ordine e il
pacificatore - tra costoro c'era, com'è noto, anche Dante Alighieri -, era tragicamente
finita nel 1313 con la morte dell'imperatore presso Siena. L'Impero non funzionava ormai più in Italia neppure come intermittente strumento di efficace
coordinazione politico-militare, era sempre più una forza politico-militare
specificamente tedesca, che durava fatica a coordinare attorno al potere regio gli
stessi principati territoriali germanici. Funzionava però ancora, come vedremo,
quale strumento di legittimazione del potere signorile.
D’altra parte, già nei secoli precedenti, l’intermittenza della presenza del
potere imperiale aveva favorito anche in Italia il verificarsi di processi di
consolidamento degli ordinamenti politici e di riorganizzazione dell’assetto
territoriale che nel XIV e nel XV si fermarono, a differenza degli altri paesi
europei con l’esclusione della Germania, su scala regionale.
L’Italia, come l’intera Europa, tra l’XI e il XIII secolo era caratterizzata dalla
compresenza tra poteri dall’alto (Chiesa, Impero o Regno) e poteri dal basso,
costituiti quest’ultimi soprattutto dalla nobiltà feudale e dai Comuni. I Comuni, che
hanno anticipato di un buon secolo le forme poi assunte dagli stati nazionali
(in fatto di giurisdizione, sistemi monetari e fiscali ecc.), possono essere
considerati, per molti versi, l’espressione dei ceti emergenti legati all'economia di
scambio che si era sviluppata all’interno delle città. Pur non appartenendo all'antica
nobiltà, che basava il proprio potere sul possesso della terra, tali ceti disponevano
di cospicui beni economici e godevano di grande prestigio. Grazie ai traffici e alla
produzione manifatturiera nelle città si concentrarono notevoli ricchezze, si differenziarono le attività lavorative, si specializzarono le competenze. Gli abitanti
acquisirono modi di vita, consuetudini e atteggiamenti mentali e anche uno stato
politico e giuridico che li distinguevano dalle popolazioni delle campagne. Di fronte
ai signori feudali che esercitavano il loro potere di comando su vasti territori, essi
godevano di maggiore libertà e di più ampi diritti economici, fiscali, politici
rispetto agli abitanti delle aree rurali. Non solo ai singoli, ma alle città stesse
come organismi collettivi vennero riconosciuti particolari diritti. Le comunità
cittadine, infatti, avevano poco per volta ottenuto di poter eleggere liberamente i
propri rappresentanti, gli amministratori, i funzionari che si occupavano del
L’IMPERO E L’ITALIA
L’impero perde funzione ______________
__________________________________
ma conserva funzione di ______________
__________________________________
LO SVILUPPO DELLA VITA
POLITICA DELLE CITTÀ
Poteri dall’alto: __________ e _________
poteri dal basso: ___________ e comuni
LA FORMAZIONE
DEI _________________
I comuni = espressione delle forze
________________________________
nobiltà = controllo ___________________
borghesia = controllo _______________ e
__________________________________
______________________ e contado:
- ≠ _________________________
- +__________________________
- + _______________________ (Comuni)
89
governo, di darsi proprie norme per regolare la vita associata. Erano così nati i Comuni,
ovvero governi autonomi costituiti dagli stessi abitanti delle città.
Il fenomeno comunale interessò l'intera Europa a partire dalla fine del secolo XI. Nell'Italia centro-settentrionale, tuttavia, esso fu più incisivo che altrove e portò alla
formazione di veri è propri Stati-città. Il motivo stava nella crescita urbana,
particolarmente precoce e vigorosa, verificatasi in quest'area e nel dinamismo
delle forze borghesi, che rappresentavano i nuovi ceti di artigiani e mercanti. Inoltre,
nel periodo in cui si andavano strutturando come organismi autonomi, le città
italiane del Centro-nord non furono ostacolate da una superiore autorità, come
avvenne in altre zone dell' Europa. L'Impero tedesco, a cui erano formalmente
sottoposte, era lacerato dai contrasti fra le grandi famiglie feudali. L'alta nobiltà
italiana era pure indebolita dalle continue lotte interne per la conquista della
supremazia, perciò le città poterono crescere e rafforzarsi, organizzandosi come veri
e propri Stati cittadini, che si dotavano di proprie leggi, battevano moneta,
riscuotevano le tasse, mantenevano uomini armati, controllavano e amministravano
il territorio circostante. Diverso fu il caso dell’Italia meridionale e di molti dei centri
d'Oltralpe, dove la presenza di poteri piú forti, come ad esempio la monarchia, o la
minore spinta della crescita cittadina non consentirono alle città, che pure si diedero
una propria amministrazione, di arrivare all'autonomia politica.
______________________ dello sviluppo
____________ delle città italiane:
1 – crescita __________________ e
__________________________________
2 – mancanza di _____________________
A - _______________________ e ______
B - _______________________________
FORME DI GOVERNO DELLE CITTÀ ITALIANE
1 – ( sec. ______) ________________________: espressione ____________________________________________________________
2 - ( sec. ______) ________________________: ______________________________________________________________________
3 -( sec. _______) ________________________: espressione ____________________________________________________________
4 - ( sec. ______) ________________________: superamento ___________________________________________________________
5 - ( sec. ______) ________________________: ______________________________________________________________________
Usciti sostanzialmente vincitori dai tentativi di Federico Barbarossa e di Federico II
di imporre il controllo imperiale, fra Duecento e Trecento i Comuni italiani
consolidarono il proprio controllo sul territorio circostante, sia pure con differenze da
zona a zona. Ad esempio esso fu piú compatto nell'area toscana, dove le campagne
furono assoggettate in maniera pressoché sistematica alle città, meno nell'area
padana, dove molte famiglie nobili, che avevano grandi proprietà terriere nel contado,
contrastarono il pieno dominio dei governi cittadini.
Anche se in origine al governo delle città stavano gli esponenti delle famiglie piú in vista,
esso fu espressione dell'intera cittadinanza (rappresentata dall'assemblea dei cittadini)
e sull'intera cittadinanza estendeva la propria autorità. Tale autorità venne inizialmente esercitata dai consoli. In numero variabile (da due a più di venti), i
consoli costituirono una magistratura collegiale, in carica per un breve periodo di
tempo (da sei mesi a un anno). Fra le maggiori famiglie dell'aristocrazia e della ricca
borghesia di imprenditori e mercanti si scatenarono aspre lotte per il controllo del
governo comunale, attraverso l'elezione a console di propri esponenti. L'esigenza di
portare ordine e stabilità all'interno della vita cittadina - necessari al buon andamento
delle attività economiche, oltre che al benessere comune - portò quindi a modificare le
istituzioni comunali. In numerose città il governo venne affidato a funzionari
forestieri, i podestà, non direttamente coinvolti nel gioco degli interessi economicopolitici delle famiglie influenti.
Intanto però aumentava all'interno delle singole sedi il peso della cosiddetta "gente
nuova", mercanti, artigiani, professionisti, che non facevano parte della classe dirigente della prima età comunale. Grazie all'agiatezza e alla rispettabile condizione
LE FORME DEL GOVERNO
CITTADINO
90
sociale conquistata con le proprie attività, questi ceti emergenti cercarono di svolgere un
ruolo nella vita politica cittadina. Si organizzarono in associazioni di mestiere (le arti o
corporazioni), diedero vita alle società delle armi che riunivano i cittadini appartenenti
allo stesse quartiere in corpi armati per la difesa della città; formarono degli
organismi detti "di popolo" che costituirono delle forme di autogoverno affiancate a
quelle ufficiali cittadine. In alcune città gli organismi popolari e i loro magistrati
(consigli del popolo e capitani del popolo) riuscirono a imporsi sugli organismi e le
magistrature tradizionali, oppure a far si che la scelta dei magistrati fosse affidata, in
maniera diretta o indiretta (con un controllo sulle procedure elettive), alle corporazioni
di mestiere. Attraverso diverse forme in un gran numero di città centro-settentrionali
la parte popolare contrastò con successo le vecchie classi dirigenti. Di qui, il
susseguirsi di forti tensioni tra i due schieramenti, di conflitti civili e instabilità politica.
Nella seconda metà del secolo XIII il mondo comunale italiano fu attraversato da
aspre lotte che si svilupparono sia all'interno delle città fra gruppi sociali, partiti
e fazioni, sia tra città e città, ciascuna tesa a imporre la propria supremazia sul
territorio circostante. L'affermazione dei ceti popolari e la nascita dei Comuni di
popolo avevano allargato il campo dei conflitti, prima limitati all'interno
dell'aristocrazia consolare. L'ascesa e le fortune degli uomini "nuovi", che con le loro
attività economiche avevano alimentato la crescita della vita urbana, concorrevano
ora a minarne la stabilità.
All'acuirsi delle tensioni avevano contribuito anche le prese di posizione di città e
gruppi sociali nelle lotte fra papato e Impero; vecchie rivalità intercittadine si erano
rinvigorite nei conflitti tra lo schieramento filoimperiale (ghibellini) e quello
filopapale (guelfi); anche all'interno delle singole città si fronteggiavano sostenitori
del papa e sostenitori dell'imperatore. Il violento antagonismo di partiti e gruppi
fuoriusciva dalle sedi di governo per irrompere nelle piazze, minando la sicurezza
della vita cittadina. Soprattutto nelle aree settentrionali, altre minacce venivano
dalle autonome iniziative dei signori del contado su cui i governi cittadini riuscivano
a esercitare uno scarso controllo. Il risultato fu una forte insicurezza politica di
fronte a cui gli ordinamenti tradizionali del Comune si dimostrarono impotenti; essi
non furono, infatti, capaci di coordinare le diverse spinte sociali e di incanalare le
tensioni in forme che non mettessero in pericolo la stessa sopravvivenza delle
istituzioni cittadine.
A documentare le forti tensioni che attraversavano la vita dei comuni italiani,
anche nella dimensione quotidiana, vi è una delle caratteristiche peculiari
dell’edilizia della prime civiltà comunale italiana, ovvero la fioritura di torri che,
all'interno delle mura, segnalavano le dimore dei cittadini più in vista. Le
dimensioni e l'altezza delle torri erano considerate importanti indici del prestigio
della ricchezza dei proprietari; non va, peraltro, dimenticato che la funzione
principale di queste costruzioni era eminentemente difensiva servendo a
rifugiarsi per non essere sopraffatti dalla fazione avversa. Il bisogno di uscire da
questo stato endemico di lotte, di disordine sociale, di contrasti, che insidiavano il
benessere civile e la crescita economica, sollecitò la ricerca di nuove formule
LE LOTTE POLITICHE NEL PERIODO COMUNALE
1 controllo ______________________________: a - interne _______________________ (______________ e ___________________)
( lotte ____________ alla città)
b - tra ______________________ e ______________________________________
2 controllo ______________________________ : a - tra ___________ e ________________
b – tra ___________ e ___________________
le lotte politiche assunsero spesso la forma dello scontro tra ________________ (filo__________) e ___________ (filo ___________)
91
Torri di origine medioevale nel centro di
Savigliano, in via S. Andrea.
Torri che sono il chiaro segno dell’alta
conflittualità politica delle città medioevali.
politiche in grado di assicurare maggiore stabilità e una piú energica azione di Le _________________________
governo, di tenere sotto controllo la dinamica della vita interna e di orientare in
modo coerente e oculato la politica estera cittadina. Dalla seconda metà del
Duecento - dopo la morte di Federico II - la situazione dell'Impero favorì lo
sviluppo di nuovi assetti politico-territoriali nell'Italia del Centro-nord. Infatti,
la crescente cura degli imperatori germanici - a cui erano tuttora formalmente
sottoposte le terre italiane - per i loro interessi tedeschi e la crescente difficoltà a
esercitare una qualche forma di dominio in Italia lasciarono spazio a nuove
iniziative.
IL CASO DI FIRENZE: LA RIVOLTA
DEI CIOMPI
Anche nella fase dei governi popolari (Comune di popolo) il Comune, che pure
era governato da autorità e da assemblee elettive, non può essere considerato un
regime democratico nel significato odierno del termine: esso fu piuttosto un
regime che permise alla borghesia più ricca, detta talvolta popolo grasso, di
difendere i propri privilegi e di dirigere la vita politica.
Non tutte le Arti avevano infatti lo stesso peso: le Arti maggiori (dei medici e
farmacisti, dei giudici e notai, dei mercanti di lana, dei pellicciai, dei cambiatori
eccetera) contavano assai più delle Arti minori (dei calzolai, dei fabbri, dei fornai,
dei macellai e delle altre categorie di piccoli artigiani e di piccoli commercianti).
Gli operai salariati e i contadini, infine, non avevano il diritto di associarsi in
corporazioni che li difendessero, e non erano tenuti in alcun conto.
Benché non tutelasse affatto gli strati inferiori della popolazione, il Comune fu in
ogni modo un progresso: riduceva infatti o eliminava del tutto il potere dei feudatari, e accresceva il potere della borghesia, favorendo così lo sviluppo della
produzione.
Il caso di Firenze, con la rivolta dei Ciompi, rappresenta uno dei pochi momenti
in cui anche le classi subalterne si posero come obbiettivo la partecipazione alla
gestione del potere politico (vedi le caratteristiche delle rivolte sociali nelle
società preindustriali in “Dal Medioevo all’età moderna 1-La crisi del trecento:
dall'economia medioevale all'economia”, pag. 36).
All'inizio del Trecento i Neri, grazie all'appoggio di Bonifacio VIII, erano riusciti
a prevalere sui Bianchi, e la loro vittoria fu, sostanzialmente, la vittoria del popolo
grasso. I vincitori, organizzati nella parte guelfa, controllavano direttamente il
governo cittadino per mezzo dei priori e del gonfaloniere di giustizia. Tramite il
magistrato di parte guelfa, inoltre, essi potevano comminare l'ammonizione a
qualsiasi cittadino o farlo interdire dai pubblici uffici liberandosi così a piacere
di ogni avversario temibile del regime oligarchico da loro instaurato (Dante è
sicuramente il più conosciuto tra coloro che subirono tale destino, vedi commento
foto).
Ostili al dominio del popolo grasso erano ovviamente tutti coloro che ne
pagavano le spese: in primo luogo, i lavoratori a giornata, gli operai e i braccianti,
Il Comune non ____________________
ma _____________________________
1 - _____________________________
_______________________________
2 - ______________________________
________________________________
però riduzione potere _______________
La rivolta dei _________________
unica ________________ delle classi
subalterno con ____________________
_______________________________
Il governo dei Neri = _______________
_______________________________
ostili al governo dei Neri:
1 - ___________________________
2 - __________________________
92
che costituivano il proletariato dell'epoca; in secondo luogo, la più modesta
borghesia dei piccoli artigiani e dei bottegai, organizzati nelle Arti Medie e
Minori. I più tartassati erano comunque i proletari, che venivano retribuiti
mediante una svalutatissima moneta di rame (mentre nel grande commercio si
usavano monete d'oro e d'argento) e che non avevano diritto di associarsi.
La piccola borghesia, organizzata nelle Arti, riuscì a far sentire la propria voce
nell'amministrazione politica di Firenze, ma la grande massa dei proletari (che
pur comprendeva forse un terzo della popolazione fiorentina) non poteva
esercitare sul governo neppure la minima influenza, non avendo una corporazione
che li rappresentasse.
La tensione sociale era intanto destinata a farsi più aspra per gli effetti disastrosi
determinati dal fallimento dei grandi banchieri Bardi e Peruzzi, ai quali i re di
Inghilterra e di Francia non avevano restituito le ingenti somme di denaro ricevute
in prestito.
Nel 1345 la città venne scossa dal duro sciopero dei tintori: lo guidò l'operaio
Ciuto Brandini, che rivendicava il diritto dei proletari ad organizzarsi autonomamente e a partecipare al potere. Il governo del popolo grasso reagì però
con estrema decisione e Ciuto Brandini venne processato e messo a morte come
sedizioso.
La repressione peraltro non risolve i problemi: le tensioni interne rimasero, e
trent'anni più tardi esplosero violente proprio mentre Firenze si trovava in gravi
difficoltà perché era in lotta col pontefice avignonese Gregorio XI. Le milizie
mercenarie del papa condussero infatti ripetute e minacciose scorrerie nei territori
di Firenze, e la città rispose alle provocazioni con la guerra (1375-1378). Il papa
reagì a sua volta con l'interdetto4 e con una serie di rappresaglie contro i
Fiorentini.
Nel 1377 un improvviso calo nella produzione delle pezze di lana ridusse alla
disperazione i lavoratori salariati dell'industria laniera, detti Ciompi, molti dei
quali rimasero disoccupati. Col pieno appoggio delle Arti Minori essi tentarono
perciò di uscire dalla situazione insostenibile insorgendo nel luglio del 1378
contro il potere costituito. La ribellione in un primo momento sembrò avere
partita vinta: la parte guelfa venne sciolta; un capo dei Ciompi, Michele di Lando,
fu eletto gonfaloniere (cioè capo del governo comunale); si riconobbe che i priori
dovevano essere scelti fra tutte le Arti, comprese le tre nuove Arti del popolo di
Dio, nelle quali si organizzarono rispettivamente gli stessi Ciompi, i tintori e i
farsettai (produttori di farsetti, cioè di corpetti da uomo). Non si trattò però di una
rivoluzione, perché i Ciompi e i loro alleati non intendevano rovesciare il sistema
corporativo ma semplicemente inserirsi in esso con un'adeguata rappresentanza
politica.
L'esperimento ebbe comunque breve durata. Il popolo grasso ben deciso a
riprendere le redini del governo sfruttò abilmente ogni occasione favorevole.
Michele di Lando si dimostrò sensibile alle proposte della fazione meno
conservatrice del popolo grasso, e svolse fra i ribelli la parte del moderatore. I
tintori avevano interessi in parte convergenti con gli industriali della lana ed erano
quindi disposti a rompere l'alleanza che li aveva temporaneamente legati ai
Ciompi. Né mancarono gli eccessi atti a giustificare un ripensamento dei "ribelli
più moderati": i Ciompi avevano infatti chiesto il condono dei propri debiti verso
i padroni e appiccato l'incendio alle case degli imprenditori più odiati.
Alla fine di agosto, in conclusione, l'ambiguo Michele di Lando, il gonfaloniere
voluto dai Ciompi, scatenò contro di loro una dura repressione. E i Ciompi
rimasero isolati, perché anche i tintori e i farsettai si allearono col popolo grasso
e col popolo medio nella lotta contro di loro.
il riconoscimento _________________
_______________________________
il fallimento ___________________
lo _____________________________
la ____________________________
1377:
la crisi __________________________
___________________________
l’alleanza tra Ciompi e ____________
________________________________
L’insurrezione di ________________ e
il governo di ____________________
il riconoscimento _________________
________________________________
non __________________________
___________________ ma __________
_______________________________
Cause debolezza dei Ciompi:
1 - ____________________________
2 – il convergere degli interessi tra ____
________________________________
3 - ______________________________
la repressione dei __________________
4
L'interdetto è una condanna ecclesiastica che vieta la celebrazione o la partecipazione ai riti
religiosi e proibisce che si impartiscano i sacramenti a determinate persone o in determinati luoghi.
93
L'Arte dei Ciompi, ovviamente, venne subito abolita; ma la stessa sorte tocca nel
1382 anche alle Arti dei tintori e dei farsettai, poiché il popolo grasso giudicò che,
una volta liquidati i Ciompi, l'alleanza con queste categorie di artigiani-lavoratori
non gli era più di alcuna utilità. E lo stesso Michele di Lando venne allontanato
da Firenze, benché conservasse un incarico importante, affidatogli dal comune.
Nel 1382, dunque, si aprì un periodo di rigida oligarchia, durante il quale Firenze
fu dominata da un numero esiguo di grandi famiglie di mercanti e di banchieri,
che per reazione a quanto avvenuto erano meno disposte che mai a dividere il
potere con gli altri ceti. Questa situazione avrà però termine verso la metà del
'400, quando Cosimo il Vecchio della famiglia dei Medici instaurerà di fatto in
Firenze la propria signoria.
L’ abolizione delle ______________
_____________________________
l’allontanamento di ________________
l382:
a restaurazione del ________________
____________________________
Dante bandito da Firenze nel 1302, miniatura del sec. XV. Londra.
L'esilio di Dante viene rappresentato dal miniaturista nel modo più semplice
e diretto: Dante è fisicamente spinto fuori dalla porta della città. Durante le
lotte fra Bianchi e Neri, che lacerarono la città tra la fine del Duecento e
l'inizio del Trecento, Dante, nel periodo di governo dei Bianchi (fra i quali
militava), svolse un'intensa attività pubblica; cosicché quando prevalsero i Neri
fu processato e,nel gennaio del 1302 fu condannato a un'ammenda, a un
temporaneo esilio e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nel marzo
successivo, non avendo pagato l'ammenda e non essendosi presentato per
discolparsi, fu condannato al rogo, ossia, in linea di fatto, al bando
perpetuo.L'esilio è motivo ricorrente nella sua poesia.
DALLE SIGNORIE AI PRINCIPATI
Fra i secoli XIII e XIV, più precocemente nell'area padana, poi nell'Italia centrale, si
affermò progressivamente la tendenza a superare la gestione collegiale che aveva fino
a quel momento caratterizzato l'esperienza dei Comuni. Questo significava
concentrare il potere nelle mani di una sola persona, di un signore. Chiamato a
governare al di sopra delle parti, perché riportasse ordine, pace, giustizia, il signore
poteva essere membro di una famiglia signorile del contado o della nobiltà
cittadina, un esponente dell'alta borghesia o anche un condottiero che metteva a frutto
la fama conquistata con le glorie militari. Fra le prime esperienze in questo senso vi
furono quelle di alcuni potenti signori rurali; grazie all'intraprendenza e all'energica
azione militare, essi riuscirono ad assoggettare terre e centri cittadini; ma le loro
costruzioni ebbero vita breve. Esemplare è il caso di Ezzelino (1194-1259), della
famiglia dei conti da Romano che contava su estese proprietà feudali nella zona di
Treviso. Schierato al fianco di Federico II, di cui fu un valido coadiuvante sul piano
militare, fra il 1226 e il 1237 egli sottomise al proprio controllo Verona, Vicenza,
Padova e Treviso, fino al 1259, quando venne sconfitto da un'ampia coalizione di
città e signori di ispirazione guelfa.
Maggiori possibilità di durata ebbero quelle Signorie che nello stesso periodo si formarono in alcune sedi urbane - Ferrara, Milano, Verona, Padova, Mantova - ed
estesero il proprio controllo sulle campagne e sui centri minori. Dalle città si avviava
cosí un processo che ebbe come risultato di ricomporre e riorganizzare il territorio dal
punto di vista politico-amministrativo. Con la nascita fra Duecento e Trecento di vasti
domini che facevano capo a un signore, tale processo portò alla formazione di
organismi di piú ampie dimensioni e politicamente piú compatti, gli Stati
regionali. Al loro interno, nel corso di un processo che può considerarsi compiuto
entro la prima metà del Quattrocento, vennero via via organizzati e inquadrati i
particolarismi cresciuti nei secoli precedenti. Il superamento degli istituti comunali
avvenne gradualmente, attraverso una lenta evoluzione, che tendeva a mettere in
primo piano gli elementi di continuità tra il passato e il presente piuttosto che le
innovazioni. I membri di partiti e famiglie dominanti prendevano il controllo della
situazione assumendo le tradizionali magistrature cittadine (podestà, capitani del
popolo), ma via via le piegavano alle esigenze di un governo piú autoritario, non
4 – LE _________________________
La provenienza __________________ del
____________________________
Signorie ______________________
Signorie __________________________
dalle signorie agli ___________________
il superamento ______________________
_____________________________
94
sottoposto a controlli, né limitato nel tempo e tendenzialmente ereditario. Nominati
sulla base di deliberazioni e atti comunali, anche se per lo piú non spontanei, questi
podestà e capitani del popolo governavano poi in maniera dispotica. Tale linea
d'azione tendeva a svuotare delle loro competenze e facoltà di decisione gli organi
tradizionali del Comune (i consigli, le assemblee), senza tuttavia abolirli, almeno in
un primo tempo. Significativa in questo senso è la testimonianza del poeta Pace del
Friuli sulla prima signoria di Matteo Visconti a Milano (1287-1302). Pace era un sostenitore dei Torriani (la famiglia avversaria dei Visconti nello scontro per la conquista del potere a Milano). In un poemetto satirico egli descrisse con acutezza l'ascesa al
potere del tiranno. Per raggiungere il suo fine, Matteo aveva recitato il ruolo di
protettore delle leggi del Comune e della giustizia; aveva favorito le lotte interne
all'aristocrazia per dividerla e dominarla; aveva conquistato l'appoggio popolare
distribuendo favori, ma anche assicurando maggiore tranquillità con la sottomissione
dei nobili turbolenti che avevano alimentato le fazioni cittadine.
I signori arrivarono al potere grazie alla loro influenza politico-economica quando non
alla violenza della conquista armata. Per questo già nel Trecento essi cercarono di
legittimare la propria posizione e quella del proprio gruppo familiare attraverso un
riconoscimento ufficiale da parte delle superiori autorità dell'imperatore o del papa. Di
qui l'acquisto, anche dietro pagamento, dei titoli di vicario imperiale o pontificio,
premessa al vero e proprio principato. Alla posizione di principe il signore pervenne poi,
attraverso il conferimento di un titolo (conte, marchese, duca) e l'investitura feudale
da parte dell'imperatore. Tali concessioni di titoli principeschi erano indice di una
stabilizzazione dei poteri signorili sulle città dell'area padana. Riconoscere la
sovranità imperiale e dichiararsi vassalli dei lontani imperatori non andava
contro gli interessi dei signori, se in cambio (oltre che dietro il pagamento di
una congrua somma di denaro) essi potevano a loro volta essere riconosciuti
come autorità legittime. Fu in questo modo che le signorie, alla cui origine
vi era pur sempre un atto di usurpazione, si trasformarono in principati con
nuove dinastie ereditarie.
La nascita delle Signorie non coinvolse solo le aree segnate dall'esperienza comunale. Soprattutto nelle zone montuose ai piedi delle Alpi o lungo gli Appennini,
si consolidarono cospicui domini politico-territoriali sotto la guida di antiche
dinastie di conti e marchesi, come la Contea di Savoia e i Marchesati del Monferrato
e di Saluzzo in Piemonte, che traevano origine dall'ordinamento pubblico dell'età
carolingia. Nell'area alpina orientale si affermarono altre Signorie non collegate
all'evolversi degli istituti comunali, come i Principati ecclesiastici di Trento e di
Bressanone, affidati al dominio vescovile sin dalla prima metà del secolo XI.
Altrove la crisi degli ordinamenti comunali non sfociò, almeno immediatamente,
nella nascita delle Signorie. Fu il caso di Genova e di Venezia. In quelle sedi i ceti
dirigenti di origine mercantile cercarono di assicurare maggiore stabilità politica,
contro le spinte disgregatrici, ampliando i poteri dei tradizionali organi di governo o
creando nuove magistrature con specifiche competenze e ampie facoltà di decisione.
Altrettanto avvenne in diverse città dell'Italia centrale, come Lucca, Firenze,
Siena, Perugia, dove i gruppi mercantili e artigiani, particolarmente forti,
resistettero a lungo all'introduzione di governi dispotici. Anche qui, tuttavia, si
affermò la tendenza a soffocare le tensioni politico-sociali restringendo l'esercizio
del potere a gruppi chiusi di grandi famiglie di antica nobiltà o di solide fortune
economiche.
Un caso particolare è rappresentato da Firenze, dove i membri della famiglia Me
dici (potente famiglia di banchieri di origine non nobile) di fatto detenevano il
potere nella città. Il persistere di forti tensioni politico-sociali suggerì loro una
linea d'azione di apparente continuità col passato, per non accentuare i motivi di
instabilità interna. Essi si sforzarono perciò di mantenere il rispetto formale delle
istituzioni e delle magistrature repubblicane, che saranno abbandonate solo nel
Cinquecento. Fino a quel momento la Signoria medicea, pur indirizzando, guidando
e tenendo sotto controllo la vita politica cittadina, grazie anche all'appoggio di un
5 - I _________________________
La ___________________________ del
potere ____________________________:
__________________________________
__________________________________
95
folto “partito” legato ai Medici da motivi di interesse, non ebbe alcun riconoscimento
giuridico. Il diplomatico spagnolo Pietro Martire d'Anghiera, nel dare notizia della
morte di Lorenzo de' Medici in una lettera del 15 maggio 1492, osservava come
egli avesse avuto rapporti alla pari con sovrani incoronati e avesse agito come
negoziatore di pace ai massimi livelli pur essendo formalmente solo un privato
cittadino.
Il diverso corso degli eventi, che tra il secolo XI e il XIII aveva confermato la divisione
tra le due Italie (l'esistenza dei Comuni nel Centro-nord, la monarchia normanno-sveva
al Sud), si prolungò nei secoli del tardo Medioevo: mentre nell'Italia centrosettentrionale si sviluppava la parabola dei Comuni, le terre del
Mezzogiorno continuarono a essere
LE DIVERSE FORME DI GOVERNO TRA
sottoposte a un potere regio, sotto due
_____________ SECOLO
diverse dinastie, quella degli angioini,
di origine francese, e quella degli
1 - _________________________________
aragonesi, di origine spagnola. Ma
es.:_________________________________
proprio l'evoluzione delle città del
centro-nord - con il progressivo
2 - _________________________________
svuotamento degli istituti comunali
e l'affermazione di un potere
es.:_________________________________
signorile "monarchico" - attenuava
3 - _________________________________
le distanze fra Nord e Sud. Infatti,
qui le città non avevano mai
es.:_________________________________
raggiunto le forme di autonomia
caratteristiche delle sedi comunali
____________________________________
del Centro-nord; esse furono
4 - _________________________________
piuttosto subordinate al controllo
regio.
Anche
nelle
regioni
es.:_________________________________
meridionali si costituirono i Comuni,
che furono però semplici organismi
amministrativi, non dotati di poteri
politici, legislativi, militari, fiscali.
Le lotte interne che avevano agitato le città italiane si esaurirono poco per volta. Ciò
avvenne grazie all'imporsi di un ristretto ceto di governo, stabile e compatto. Si formò
un'oligarchia che si faceva garante dell'ordine, di una guida politica efficiente e duratura nel tempo, in grado di frenare o bloccare le dirompenti spinte dal basso. Si verificò
quello che è stato chiamato un processo di aristocratizzazione, cioè un processo di
consolidamento dei ceti già dominanti, sviluppatosi in forme diverse da sede a sede,
ma in maniera sostanzialmente omogenea. I nuovi ceti di governo potevano
comprendere gruppi diversi (uomini dell'aristocrazia feudale o cittadina, esponenti del
mondo economico di antica o recente fortuna, membri del personale politico,
amministrativo, militare che avevano accompagnato il signore nella sua ascesa), ma
uniti dalla volontà di tutelare in primo luogo la propria posizione di preminenza
sociale. Questo obiettivo era perseguito anche a costo della perdita della libertà di
fronte al governo autoritario del signore o dell'indipendenza del proprio Comune
cittadino risucchiato nella sfera di una città dominante o di un signore a capo di vasti
territori.
L'affermarsi delle Signorie e delle Repubbliche oligarchiche rappresentò la fine
dei governi allargati e di ogni vivace confronto fra gruppi politico-sociali che aveva
caratterizzato la vita dei Comuni, soprattutto nella fase di affermazione del popolo.
Ma da un altro punto di vista rappresentò l'avvio di una nuova fase istituzionale,
di un grande processo di trasformazione delle strutture amministrative e di
governo. Tale processo, che si sviluppò in forme non dissimili da quelle dei grandi
Stati europei, fu al centro dell'esperienza degli Stati regionali. Al loro interno, la piú
sicura autorità, la piú ampia e forte capacità di azione si espressero in vari modi:
vennero rese omogenee le leggi e le corti di giustizia sull'intero territorio; si affinarono
gli strumenti della finanza pubblica e della riscossione fiscale; si istituirono nuovi
Duplice funzione Signorie/Principati:
1 - _____________________________
________________________________
I __________________________ di
provenienza
Signorie e _________________________
e stato _____________________
2 - __________________________ delle
strutture ________________________ e di
_______________________:
1- ________________________________
2- ________________________________
3- ________________________________
96
uffici e commissioni che rispondessero alle esigenze di una piú funzionale e capillare
presenza dello Stato. Venne progressivamente costruita una burocrazia centrale, alla
quale faceva capo una fitta rete di funzionari periferici; si avviarono stabili rappresentanze diplomatiche a sostegno della politica estera dello Stato; si cercò di
eliminare la violenza armata come strumento di lotta politica. La burocrazia
divenne ben presto un mezzo di ascesa sociale: la carriera burocratica consentì, infatti,
la promozione e l'inserimento di uomini nuovi nella cerchia delle classi dirigenti.
Importanti trasformazioni si verificarono pure sul piano militare. L'età delle Signorie
vide il tramonto delle truppe cittadine, composte dagli stessi abitanti della città, per
lasciare il posto a professionisti delle armi o soldati, che combattevano sotto la guida
di condottieri.
Se il fenomeno del mercenarismo fu comune a tutta l'Europa, in Italia esso assunse
un significato particolare. Nella situazione di frazionamento della penisola,
in assenza di un forte potere centrale, la carriera militare consentì a molti condottieri
di acquisire potenza e prestigio fino a crearsi un proprio dominio, magari temporaneo
(è il caso, per esempio, di Braccio da Montone, signore di Perugia dal 1416 al
1424). Per altro verso alcuni signori di piccoli Stati si fecero condottieri nella
prospettiva di aumentare i propri possessi o almeno le proprie entrate, grazie al servizio
presso altri signori e ai bottini di guerra. Un caso esemplare è quello di Federico da
Montefeltro, abile uomo politico e condottiero. Nel corso del Quattrocento egli riuscì a
triplicare le dimensioni del proprio Stato, ottenendo nel 1474 dal papa Sisto IV il
titolo di duca. Ma l'inaffidabilità delle truppe mercenarie, pronte a passare dalla
parte del miglior offerente anche nel corso di una guerra, portò progressivamente gli
Stati, soprattutto quelli piú potenti, a dotarsi di mezzi stabili di difesa. Si arruolarono
allora, in servizio permanente, degli eserciti di mestiere, posti sotto il diretto controllo dei
governi, che cercarono di assicurarsi la piena disponibilità dei piú abili condottieri,
legandoli allo Stato con la concessione di terre e feudi.
La fine dei governi comunali e la crescita di nuovi assetti politici rimettevano in questione
il rapporto città-contado quale si era configurato nell'età dei Comuni. Allora le città
avevano cercato di portare sotto il proprio controllo politico-amministrativo le campagne
circostanti. Ora nell'ambito dello Stato regionale le sedi urbane e i territori rurali erano
ugualmente sottomessi al dominio di un signore, impegnato a costruire un sistema di
potere accentrato. A tal fine principi e città dominanti si sforzarono di realizzare un piú
vigile governo del territorio, attraverso magistrature e funzionari direttamente
dipendenti dal centro. Tale sforzo di riorganizzazione fu accompagnato da sentimenti
diversi: di attesa quasi liberatoria nelle zone rurali, che aspiravano finalmente a
emanciparsi dal predominio cittadino; di risentita opposizione, da parte delle città, per il
ridimensionamento loro imposto nella nuova prospettiva. Ma le città avevano diverse carte
da giocare con successo. I ceti cittadini continuavano ad avere un peso notevole, una forte
capacità di pressione di fronte al signore, grazie al loro rilievo economico-politico. I nuovi
apparati di governo, chiamati a definire norme, uffici e competenze del personale
amministrativo, tendevano a riprodurre i modelli comunali, messi alla prova e consolidati
da una lunga pratica, riaffermando la priorità del centro urbano sul territorio rurale.
Cosí nel corso del Quattrocento, quando il sistema degli Stati regionali si era
ormai stabilizzato, le città recuperarono posizione. Anche se nella nuova realtà
risultava impossibile un pieno ripristino delle antiche prerogative e dei poteri di
controllo sul contado, esse ebbero diverse competenze amministrative; soprattutto
furono il punto di riferimento privilegiato nel rapporto col principe o la città dominante.
Non solo la città, ma anche i cittadini come individui privati vantavano condizioni di
privilegio rispetto agli abitanti delle zone rurali: nel trattamento fiscale e
giudiziario, nella tutela delle loro proprietà terriere (che, poste nel contado, erano
spesso al centro di tensioni con i lavoratori rurali), nell'esercizio di attività
commerciali e artigiane. L'eredità dello Stato cittadino comunale, che assegnava
alle città una funzione di preminenza rispetto al territorio, si conservò
nell'ambito dello Stato regionale: alle città furono conferiti poteri autonomi e
4- ________________________________
5- ________________________________
dal ___________________________ allo
__________________________________
Il _______________________________
IL CONTROLLO ______________________
Comuni: sottomissione _______________
Signorie: sottomissione _______________
Città ________________________ e città
_____________________:
a - ________________________________
b - _______________________________
__________________________________
Città e __________________________
nell’ambito _______________________
97
strumenti per esercitarli sul territorio, secondo un'impostazione di ordinamento provinciale che perdurò nell'Età moderna.
Fra Trecento e Quattrocento
la dinastia dei Savoia riuscì
ad allargare i propri domini
soprattutto in direzione delle
terre italiane, ottenendo nella
persona di Amedeo VIII il
riconoscimento del titolo di
duca
da
parte
dell'imperatore Sigismondo
(1416).
Tuttavia ancora alla fine del
Medioevo 1’influenza dello
Stato
savoiardo
sulla
situazione italiana rimane
relativamente modesta: la
maggior parte del suo
territorio si trovava in area
trans-alpina, mentre i domini
al di qua delle Alpi
comprendevano solo una
parte del Piemonte. Ma
proprio
la
posizione
geografica ebbe notevole
importanza nella storia dello
Stato sabaudo, destinato a
essere nell’Ottocento il
motore
dell’unificazione
italia-na; a cavallo delle
Alpi, infatti, la Savoia fu in
grado di mantenere la
propria autonomia e di
ampliare progressivamente i
propri confini muovendosi
con destrezza tra le
maggiori
potenze
continentali.
A differenza degli altri Stati italiani, il Ducato di Savoia si avvicinava alle grandi monarchie
nazionali europee per la sua struttura di monarchia feudale, una caratteristica su cui si sarebbe
costruita, come negli altri Paesi, seppure ben piú tardi (secolo XIX), la sua funzione di Stato
guida dell'unità d'Italia. A sottolineare la vicinanza del Ducato di Savoia alle compagini
nazionali europee è anche il fatto che nella seconda metà del Quattrocento esso era l'unico Stato
italiano dove era prevista una rappresentanza degli ordini sociali, un parlamento simile a
quelli che si erano formati in Francia, in Inghilterra, in Spagna (l'altra regione italiana in cui era
presente un sistema di rappresentanza degli stati, la Sicilia, era ormai parte del Regno
d'Aragona). La carta mette in evidenza l'avvio, nel tardo Medioevo, dell'espansione "italiana"
che si sarebbe progressivamente allargata in Età moderna
Il _______________________________
L’ASSESTAMENTO DEGLI STATI
La storia della penisola italiana fra Trecento e Quattrocento può essere letta come
REGIONALI
la storia del progressivo assestamento di Stati e territori aperto dalla crisi degli
istituti comunali e concluso nella prima metà del Quattrocento, quando la carta
geografica italiana assume una forma in qualche modo definita. Allora, al posto A – I TENTATIVI DI ___________________
della miriade di Stati cittadini che avevano caratterizzato la fase comunale, si
presentano alcune ampie formazioni territoriali e statali, accanto a cui permangono
tuttavia formazioni di minore entità. I grandi protagonisti della storia italiana, dagli I 5 maggiori stati:____________________
ultimi decenni del Trecento, sono il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la __________________________________
98
Repubblica di Firenze, lo Stato della Chiesa, il Regno di Napoli. Gli altri Stati entrano
in maniera intermittente sulla scena politica, talvolta come comprimari, piú spesso
in funzione dell'atteggiamento assunto dai maggiori protagonisti. Fra questi nessuno
riuscí tuttavia a svolgere un ruolo egemonico nei confronti degli altri, nonostante
diversi tentativi: da parte degli angioini di Napoli, nella prima metà del Trecento, da
parte del Ducato di Milano, fra la seconda metà del Trecento e i primi decenni del
Quattrocento, e da parte di Venezia nella prima metà del Quattrocento. Ciò
avvenne in un gioco intricato di alleanze, controalleanze, ribaltamenti di posizioni,
su cui influivano di volta in volta le operazioni militari, il calcolo politico, gli umori
e le personali fortune, le rivalità e i contrasti interni ai singoli Stati. Una generale
situazione di stanchezza e di logoramento, prodotta dalle incessanti lotte portò alla
pace di Lodi, nel 1454, alla cui conclusione non furono estranei i timori suscitati in
Occidente, in primo luogo nella Repubblica di Venezia, dalla presa di Costantinopoli
(1453) e dall'espansione turca.
I tentativi egemonici di:
a - ________________________________
(________________________)
b - _______________________________
(________________________)
c - ________________________________
(________________________)
La pace di _________________ (______)
L’Italia dopo la pace di Lodi
(1454)
La fine dei conflitti, cristallizzando la situazione esistente, sanciva la nascita di un B - _________________________
sistema politico basato sulla preminenza dei cinque maggiori Stati territoriali, intorno
(_____________________)
a cui ruotavano gli altri Stati grandi e piccoli. All'accordo fece seguito la costituzione
della Lega italica (1454) che aveva il compito di assicurare la pace nella penisola,
mantenendo una sorta di bilanciamento tra i cinque Stati maggiori. Seguì allora un La Lega __________________________
quarantennio di relativa tranquillità, punteggiata tuttavia da conflitti di dimensione
locale, riguardanti soprattutto l'assetto interno di singoli Stati. In questa fase un
notevole contributo al mantenimento della politica di equilibrio venne da Lorenzo de'
99
Medici, a capo del governo fiorentino, il quale si adoperò per rafforzare l'alleanza tra
Milano, Firenze e Napoli come garanzia di generale stabilità della penisola, contro
l'irrequieta potenza veneziana e le incertezze della politica pontificia. La morte di
Lorenzo nel 1492 chiuse un'epoca della storia d'Italia. Di li a poco, sollecitati dall'ambizioso signore di Milano Ludovico il Moro, sarebbero giunti in Italia i
francesi, aprendo la via all'invasione straniera della penisola.
Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo due novità caratterizzano la situazione
italiana. La definitiva trasformazione del papato, che prima aveva preteso di
svolgere una funzione universale, in una monarchia regionale italiana con
l’affermazione dello Stato della Chiesa nell’Italia centrale, iniziata da papa
Alessandro VI (1492-1503) e suo figlio Cesare Borgia, che, con l’aiuto di Luigi
XII di Francia, avevano provveduto a spazzare via le piccole signorie locali, e
portata a termine da papa Giulio II (1503-13). L’italianizzazione del papato si
manifestò, inoltre, sia attraverso una costante presenza del papato nelle principali
alleanze e guerre del periodo, sia nel sempre maggior controllo delle grandi
famiglie italiane sull’elezione del papa.
La seconda novità è rappresentata dall’intervento delle potenze straniere. Per tutto
il Quattrocento la politica italiana dell'equilibrio era stata solo un continuo
alternarsi di alleanze, diplomazie, guerre giocate quasi più con le astuzie e le
prudenze delle cancellerie che con le armi, ma anche avventurismi, violenza
e cinismo. L'equilibrio era in verità un vicolo cieco ed era potuto sembrare il
non plus ultra delle raffinatezze politiche solo perché le potenze vicine, la
Francia e la Spagna, erano in preda alla guerra e alla guerra civile. Intorno al
1490 quest'epoca di transizione era finita e ai confini italiani si affacciavano le
più solide strutture politiche, finanziarie e militari dei nuovi stati.
La prima discesa di un re straniero avvenne nel 1494 ad opera di Carlo VIII di
Francia chiamato, come abbiamo detto, da Ludovico il Moro per contrastare le
pretese del re di Napoli sul ducato di Milano. Respinto Carlo VIII da una Lega
antifrancese tra stati italiani e potenze straniere (Spagna e Asburgo d’Austria), il
suo successore, Luigi XII, riprese la sua politica riuscendo nel 1499 a sconfiggere
Ludovico il Moro e a imporre il dominio francese sulla Lombardia.
Tra il 1499 e il 1516 l’Italia fu quasi ininterrottamente teatro di cinque guerre che
videro tra i loro protagonisti, oltre agli stati italiani, gli spagnoli, i francesi e gli
svizzeri e che finirono per affermare il controllo francese sulla Lombardia e
spagnolo sul regno di Napoli.
L'impero di Carlo V
Un impero per il controllo del flusso di ricchezze in arrivo dal Nuovo
Mondo
Lo scontro con la Francia
Dall'impero cristiano all'impero coloniale
Le forme della guerra
Lorenzo __________________________
C – GLI
STATI ITALIANI TRA
____________
SECOLO
a - _______________________________
1 _________________________________
2_________________________________
3_________________________________
b - _______________________________
Francia e Spagna e il _________________
__________________________________
Le discese in Italia di:
- _______________ (_______________)
- ________________ (_______________)
- ________________ (_______________)
vedi capitolo successivo
L'IMPERO DI CARLO V
UN IMPERO PER IL CONTROLLO DEL FLUSSO
Tra la fine del XV e l’inizio del XVI, come abbiamo visto per le vicende italiane,
DI RICCHEZZE IN ARRIVO DAL NUOVO
MONDO
ai vecchi protagonisti della politica internazionale, papato e impero, si sostituirono
le nuove entità costituite dagli stati nazionali, dal momento che i veri protagonisti
I nuovi protagonisti della politica _______
divennero la Francia e la Spagna.
Tra i due la Francia di Francesco I (1515-47) era sicuramente il paese in cui il ___________________: ______________
processo di formazione dello stato nazionale era stato più coerente, rafforzando le
strutture centrali dello stato e ponendo sotto il suo controllo un territorio ___________________
omogeneo e ampio. In Spagna il processo era invece rallentato dal fatto che i regni
100
di Castiglia e Aragona, uniti formalmente da un matrimonio, erano ancora dotati
di strutture autonome e di economie differenziate. Lo stesso re spagnolo, Carlo V
d’Asburgo (1516-58), era in realtà un fiammingo che aveva concentrato nelle sue
mani un potere che era una via di mezzo tra il potere di un re nazionale e di un
imperatore medievale. Carlo V, infatti, per via dinastica aveva ereditato il potere
politico nei Paesi Bassi e nel Lussemburgo, nella Castiglia, nel regno d’Aragona
e in Catalogna in Spagna, nel regno di Napoli, in Sicilia e in Sardegna in Italia, e
in Austria e, quindi, anche il diritto di candidarsi al titolo imperiale, e, infine, nei
possessi americani legati alla Castiglia.
La sua azione politica fu appoggiata e finanziata dai banchieri e dai mercanti delle
città fiamminghe o che agivano in queste città, come gli operatori italiani e
tedeschi, e che facevano di queste città il centro del commercio internazionale.
L’interesse di queste forze economico-finanziarie era quello di poter controllare il
flusso di ricchezze che cominciava ad arrivare in Europa dal Nuovo mondo,
creando un sistema che aveva nella Spagna il punto di partenza e arrivo delle merci
da e per l’America e in Anversa il punto di ridistribuzione per tutta l’Europa.
Appoggiato da queste forze Carlo V assunse dapprima la corona spagnola (1516)
e, in seguito, quella imperiale (1520) e concepì il progetto politico di imporre
all’Europa un nuovo impero sovranazionale, fondato sulla comune identità
cristiana. Progetto che incontrò l’opposizione dei principi e delle popolazioni
tedesche, che proprio in quegli anni aderendo alla Riforma di Lutero infrangevano
l’unitarietà della comune identità cristiana, e della Francia che si opponeva alle
pretese sovranazionali del progetto di Carlo V per impedirgli un’egemonia sul
continente.
La Francia di _______________________
La Spagna di _______________________
Il potere di _______________________:
- la concentrazione di poteri nazionali per
__________________________________
- _________________________________
__________________________________
I progetti dei _______________________:
__________________________________
I progetti di ________________________:
__________________________________
Gli oppositori:
1 _________________________________
2 _________________________________
LO SCONTRO CON LA FRANCIA
Il teatro dello scontro tra le due potenze europee furono dapprima l’Italia e, in
seguito, la Germania.
Le guerre in Italia iniziarono nella seconda metà degli anni venti per il controllo
della Lombardia che era francese, ma aveva un’importanza strategica per Carlo V,
dal momento che il porto di Genova e Milano avrebbe consentito un collegamento
tra i possedimenti spagnoli e l’area tedesca senza passare tramite la Francia. Nel
1525 Francesco I venne sconfitto e fatto prigioniero a Pavia, imprigionato a
Madrid per quattordici mesi e liberato solo dopo essersi impegnato a cedere la
Lombardia e la Borgogna.
Le resistenze francesi a cedere la Borgogna provocarono una nuova guerra che
coinvolse nuovamente l’Italia in quanto alcuni stati, tra cui il papato, aderivano
alla Lega antispagnola organizzata dal re di Francia. Un esercito di 18.000
lanzichenecchi, i fanti mercenari tedeschi al soldo di Carlo V, entrò
improvvisamente in Italia nella primavera del 1527, puntando direttamente su
Roma, dopo aver battuto facilmente le truppe della lega. Il 6 maggio la città dei
papi fu presa d'assalto e nei giorni successivi venne brutalmente violentata dai
contingenti al soldo dell'imperatore. Essendosi gli avvenimenti ormai intrecciati
con la Riforma luterana, era difficile sottrarsi all'impressione che un esercito di
luterani stesse punendo i misfatti del papato e dell'immorale e corrotta Italia
rinascimentale. Comunque sia nell’estate del 1529 venne firmato una nuova
pace con Francesco I che sanciva di fatto il dominio spagnolo in Italia.
Nella seconda metà degli anni trenta, quando con l’estinzione degli Sforza il
ducato di Milano venne annesso direttamente ai domini di Carlo V, in risposta
Francesco I invase il ducato di Savoia, mantenendolo anche dopo la tregua
firmata nel 1538.
Nel 1542 la Francia ruppe di nuovo la tregua e iniziò una quarta guerra tra
Francesco I e Carlo V, dopo quelle del 1521-25, 1526-29 e 1535-37, seguita nel 1552
da un quinto scontro che si svolsero nei Paesi Bassi e nella Francia, il primo, e in
Germania il secondo, intrecciandosi alle lotte tra protestanti (appoggiati dal re
francese, Enrico II (1547-59), dopo la morte di Francesco I) e cattolici, di cui era
A Le guerre in ____________________
1 – 1521- ___________
Sconfitta _________________ a _______:
gli spagnoli in ______________________
2 - ____________________
__________________________ a Roma
affermazione del ____________________
_________________________________
Invasione ducato di __________________
da parte _________________________
B – Le guerre _______________________
Cattolici e __________________
contro ___________________________
_____________________
101
paladino Carlo V.
Dopo tre anni di strategia di logoramento l'imperatore si decise alla pace e alla
smobilitazione del suo cumulo di poteri personali che lo aveva portato a
L’Italia dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559)
scontrarsi per più di trent’anni con la Francia, gli stati italiani, i principi e le città
La dieta di ______________________ e il
tedesche, nonchè i turchi per il controllo del Mediterraneo.
Nel settembre 1555 rinunciò a favore del figlio Filippo alle corone spagnole e riconoscimento _____________________
subito dopo accettò la pace con i protestanti.
La dieta di Augusta stabilì dunque la vittoria della riforma dei principi; la ________________________________
religione riformata luterana era liberamente professabile in Germania, ma i
sudditi di ciascun territorio dovevano seguire la scelta religiosa del loro
DALL'IMPERO CRISTIANO ALL'IMPERO
sovrano. Una tregua con la Francia venne firmata nel 1556.
COLONIALE
Dopo la prima abdicazione del 1555, Carlo V compì il suo ultimo viaggio dai
Paesi Bassi alla Spagna e qui si ritirò in un convento, dove morì nel 1558 dopo
aver proceduto a una seconda abdicazione in favore del fratello Ferdinando. La
divisione dei regni di Carlo fra i due eredi avvenne secondo un preciso criterio: a
Ferdinando I (1558-64) toccò il complesso delle terre asburgiche (Austria, Stiria,
Carinzia, Tirolo, Slesia, Moravia), con una quasi certezza di ottenere la corona
imperiale (che, infatti, gli elettori gli attribuirono nel 1558); egli inoltre già
possedeva le corone di Boemia e d'Ungheria (occupata però per due terzi dai
turchi). A Filippo II (1556-98) toccarono, oltre alla Spagna, sia i Paesi Bassi sia i
possessi italiani, Milano, Napoli e la Sicilia.
Dopo una breve tregua, la guerra riprese nel 1557, opponendo ora Filippo II di
Spagna a Enrico Il di Francia; due, anni dopo i costi insostenibili della guerra
costrinsero i contendenti ad arrivare a una pace generale e dai risultati duraturi,
firmata a Cateau-Cambrésis nell'aprile 1559. I Trattati stabilirono che Enrico
doveva rinunciare alle terre dei Savoia, mantenendo solo il possesso di cinque piazze
militari, e riconoscere l'egemonia spagnola in Italia; toglieva però all'Inghilterra, che
aveva appoggiato la Spagna in questi ultimi anni, Calais, l'ultimo residuo della
presenza inglese sul territorio di Francia.
L’abdicazione di ___________________
La divisione dei regni di _____________
__________________________: impero
austro-ungarico
____________________: ____________,
________________, _________________
La nuova ___________________
La pace di _________________ (______)
Francia: ___________________________
_________________________________
Spagna:____________________________
102
L'ultimo viaggio di Carlo verso la penisola iberica (agosto 1556) avvenne 39 anni
dopo il primo viaggio verso la stessa meta compiuto per succedere a Ferdinando il
Cattolico. In tutto questo tempo Carlo aveva viaggiato da un capo all'altro del suo
troppo vasto e disperso Impero, compiendo una trentina di viaggi.
Era giunto in Spagna nel 1517 come l’uomo dei Fugger e dei banchieri di Anversa;
aveva poi sposato la causa dell'Impero universale dopo le vicende del sacco di Roma;
aveva fatto propria la causa della crociata antiturca nel Mediterraneo; nella lotta
contro il luteranesimo aveva cercato di dare un contenuto reale al possesso della
corona imperiale tedesca. L'unione finale della Spagna e dei Paesi Bassi sotto il
governo di Filippo dimostrò, infine, che l'importanza dell'economia atlantica e dei
lontani domini americani, cui egli aveva dedicato solo un'attenzione marginale,
cominciava a mettere in second'ordine gli affari tedeschi ed europei.
Con Carlo V tramontava definitivamente il progetto di un impero europeo cristiano
che si era affermato per la prima volta nel IX secolo con Carlo Magno e il Sacro
Romano Impero. Tramontava perchè l’Europa, con il successo della Riforma imposta
dai principi tedeschi, non era più un’unica entità religiosa e, con il rafforzamento degli
stati nazionali, si stava trasformando in una multiforme entità geo-politica.
Mentre tramontava l’idea di un impero cristiano si affermava però un nuovo tipo di
impero quello coloniale che vedeva uno stato europeo imporre il suo controllo non su
un altro stato europeo bensì su un altro continente. Infatti, la forza militare di Carlo V
era dipesa anche dall’oro che proveniva dai domini coloniali americani e che
permetterà alla Spagna di svolgere, per un secolo ancora, un ruolo egemonico in
Europa.
Carlo V un ______________________:
Il tramonto ________________________:
1 _________________________________
2 _________________________________
L’affermazione dell’__________________
___________________________
LE FORME DELLA GUERRA
Nel corso di questi anni la natura della guerra aveva cominciato a subire nuovi cambiamenti legati ai progressi delle armi da fuoco: i cannoni standardizzarono i loro
calibri e comparvero tipi più leggeri. Anche l e armi portatili compirono un grande
salto tecnico, con l'acciarino a ruota, che eliminava gli inconvenienti della miccia.
Negli anni quaranta comparve, infine, la pistola che poteva essere usata con una
mano sola e perciò entrare a far parte dell'equipaggiamento normale della cavalleria
leggera. La presenza massiccia dei vari tipi di bocche da fuoco rilanciò l'uso delle
armature, ma l'effetto più importante della rivoluzione della tecnologia militare
apparve piuttosto nella strategia: dopo Pavia (1525) gli eserciti accettarono
raramente la battaglia campale decisiva e nei 35 anni successivi si contano solo
quattro grandi battaglie. La strategia era piuttosto quella della guerra di
logoramento, con tre caratteristiche principali: in primo luogo, lo sviluppo della
tecnica degli assedi (con l'invenzione delle mine e ancora più con i progressi
delle fortificazioni delle città e delle fortezze); in secondo luogo, il sistematico
saccheggio, da parte delle truppe occupanti, delle risorse agricole di un
territorio;infine, elemento forse decisivo, il prolungamento delle a operazioni
belliche per ottenere la crisi finanziaria dell’avversario. Finché i soldati mercenari
ebbero una parte prevalente negli eserciti il principio era che chi per primo finiva il
denaro aveva anche perso la guerra, perché senza paga i soldati non combattevano.
I progressi ________________________
La strategia: la guerra di ______________:
1_________________________________
2 _________________________________
3 _________________________________
__________________________________
103
3 – LA SCOPERTA E LA COLONIZZAZIONE DELL’AMERICA
La conquista europea dell'egemonia mondiale
Dal Cinquecento all'Ottocento: le tappe della conquista europea del
mondo
Le tendenze che hanno favorito l'egemonia europea
L'Occidente e l'esplorazione dell'Atlantico
L'esplorazione dell'Atlantico
I viaggi di Colombo e le scoperte geografiche del Cinquecento
Il nuovo mondo
Il popolamento del nuovo mondo
Risorse vegetali e animali del nuovo mondo
I tratti comuni delle civiltà precolombiane
Le civiltà americane
Le diverse culture delle società americane
I maya e gli aztechi
Le strutture sociali e politiche
La cultura: la concezione religiosa
Gli incas
La società andina
Lo stato inca
La conquista del nuovo mondo
Lo spopolamento dell'isola di San Domingo
La conquista del Messico
La conquista dell'impero Incas
Lo sfruttamento economico del nuovo mondo
Lo sterminio delle popolazioni locali
Le fasi del ciclo dello sfruttamento coloniali
La conquista europea dell'egemonia mondiale
L’esplorazione dell’Atlantico e la scoperta del continente americano, a cavallo
tra il XV e il XVI secolo, segnarono l’inizio di una trasformazione dei rapporti
tra l’Europa e il resto del mondo destinato a segnare la storia dei secoli
seguenti sino ai nostri giorni. Negli ultimi secoli del Medioevo l’Europa aveva
ripreso i contatti commerciale con l’oriente asiatico attraverso il Mediterraneo
e il Mar Nero che avevano visto sorgere numerose basi commerciali,
soprattutto grazie all’intraprendenza di Genova e Venezia. Il controllo di
questi due mari si esprimeva nella presenza di queste basi commerciali che
garantivano ai mercanti genovesi e veneziani il monopolio sui prodotti (spezie,
sete e altri beni di lusso) provenienti dal lontano Oriente.
Nell’America Centromeridionale gli europei invece non si limitarono a
stabilire basi commerciali in quanto il loro arrivo implicò, non tanto lo
stabilirsi di nuove relazioni commerciali, quanto lo sfruttamento delle risorse
materiali ed umane prodotte dalle società preesistenti fino alla loro rapida
scomparsa, con la sostituzione di una nuova società in cui gli europei avevano
il ruolo di èlite dominante. Nei secoli successivi un analogo dominio si impose
sul Nord America, mentre le esplorazioni oceaniche portarono alla scoperta
dell’Australia. Nel corso dell’Ottocento il dominio coloniale europeo finì con
l’imporsi anche sulla stessa Asia e Africa, che fino allora avevano continuato
a vedere la sola presenza di basi commerciali europee. Il Novecento, pur
LA CONQUISTA EUROPEA
DELL'EGEMONIA MONDIALE
DAL CINQUECENTO ALL'OTTOCENTO: LE
TAPPE DELLA CONQUISTA EUROPEA DEL
MONDO
104
avendo posto termine ai regimi coloniali, non ha visto però la riacquistata di
una vera autonomia politica, né ha certamente posto fine alla dipendenza
economica.
RAPPORTO EUROPA ALTRI CONTINENTI:
- ultimi secoli Medioevo:
luoghi dei traffici commerciali:_____________________________________________________________________________________
forme della presenza europea:___________________________________________________________________________ ___________
XV-XVIII secolo:
- esplorazione coste _________________ e scoperta __________ _________________________________________________________
- forme della presenza europea:
____________________________________________________ in ___________________________________________________
Ottocento: colonizzazione ________________________________________________________________________________________
Novecento: ____________________________________________________________________________________________________
LE TENDENZE CHE HANNO FAVORITO
La conquista di questa egemonia mondiale è stata il frutto di due tendenze,
strettamente connesse, tipiche delle società europee. La prima di queste è
L'EGEMONIA EUROPEA
rappresentata dallo sviluppo tecnologico garantito dal prevalere, a partire dalla
Rivoluzione scientifica del Seicento, di nuove forme di sapere interessate a
risolvere problemi pratici, a garantire un maggior controllo da parte dell’uomo
sulla natura. La seconda tendenza è invece rappresentata dall’emergere di
forme di economia capitalista che tende a sganciare l’attività produttiva dalla
semplice sussistenza.
Accanto a queste due tendenze agirono anche le condizioni politiche. La
formazione delle grandi monarchie nazionali si era accompagnata alla costituzione
di eserciti di massa, di un'amministrazione complessa e articolata, di una politica
edilizia di prestigio: tutte esigenze vitali, che non potevano essere soddisfatte dal
normale prelievo fiscale. S'imponeva così la necessità di procurarsi in altro modo
le ricchezze indispensabili al mantenimento di un'organizzazione statale e di forze
armate efficienti; soltanto una politica di potenza e di conquista avrebbe
assicurato il controllo di rotte commerciali da sfruttare in esclusiva, scardinando,
sostituendo e ampliando il monopolio delle città italiane; oppure, più
semplicemente, avrebbe consentito di mettere le mani su nuove miniere d'oro o
d'argento.
Premessa e conseguenza di questa politica di potenza furono i grandi viaggi Dall’iniziativa ______________________
di esplorazione. Viaggi dunque molto diversi dai precedenti: imprese come
quella di Marco Polo o di altri mercanti erano frutto della iniziativa all’iniziativa ________________________
individuale; alla loro base stava certamente l'attivismo commerciale delle
Repubbliche marinare, da cui venivano stimoli e suggestioni, ma non un apparato
statale in grado di utilizzare quelle esperienze per una politica di espansione
su scala mondiale. Cosa che, come vedremo, avvenne soltanto nel XVI secolo.
105
LE TENDENZE CHE HANNO FAVORITO L'EGEMONIA EUROPEA
Tendenze strutturali (di fondo):
1 - _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
Tendenze occasionali:
1 - _________________________________________________________________________________________________________
L'Occidente e l'esplorazione dell'Atlantico
I viaggi nell'Atlantico erano già iniziati alla fine del Duecento; la linea diretta
di navigazione in mare aperto da Genova a Londra e Bruges, con uno scalo
principale a Lisbona, era stato il risultato più importante e duraturo di questa
fase medievale dell'apertura di una frontiera extramediterranea. Non aveva
invece avuto seguito il tentativo sfortunato dei fratelli Vivaldi lungo le coste
africane dell'Atlantico, le cui rotte erano state abbandonate durante la crisi
generale della seconda metà del XIV secolo.
La spinta alla ripresa delle esplorazioni atlantiche venne alla fine del XV secolo,
oltre che dall’uscita della crisi del Trecento che aveva favorito la nascita di forme
di economia mercantile-capitalista, dalla perdita dell’egemonia sul Mediterraneo e
sul Mar Nero a causa dell’espansione dell’Impero ottomano che, con la conquista
di Costantinopoli nel 1453, pose fine all’impero bizantino, erede diretto dell’Impero
romano d’Occidente. Il nuovo impero, l’Impero ottomano, destinato anch’esso a
lunga vita (cessò di esistere solo nel 1922, dopo la prima guerra mondiale),
giungendo nel corso del Seicento e del Settecento a occupare l’intera Europa
balcanica e le coste asiatiche e africane del Mediterraneo, costituì a lungo una
minaccia per il resto dell’Europa, senza tuttavia mai trasformarsi in un effettivo
pericolo per la sua sopravvivenza. Nel corso dell’Ottocento la colonizzazione
dell’Africa e dell’Asia, da parte soprattutto della Francia e della Gran Bretagna,
portarono alla marginalizzazione dell’impero turco.
L'iniziativa del nuovo e decisivo assalto alla frontiera dell’Atlantico venne dal
Portogallo, anche se i capitali furono forniti in buona parte dai mercanti genovesi.
II Portogallo era il più piccolo degli stati della cristianità, con 89.000 kmq e forse 1
milione di abitanti verso il 1400; l'epoca delle sue guerre civili si era chiusa più
precocemente che nelle altre monarchie europee, già dal 1385, quando il re
Giovanni I d'Avis aveva assicurato la corona a sé e alla sua dinastia con l'aiuto dei
mercanti di Lisbona. Nel 1394 era nato il suo secondogenito Enrico, che più
tardi fu detto il Navigatore; Enrico visse fino al 1460 e fu il grande
organizzatore dei viaggi portoghesi sulla costa occidentale dell'Africa, ma i
primi passi di questa lunga avventura - conclusasi diversi decenni dopo il 1460 non furono dettati da una direzione centrale e cosciente ed ebbero piuttosto spinte
molteplici ed eterogenee. C'era prima di tutto la nobiltà portoghese, che dopo il
1385 aveva perduto una parte del suo potere e che desiderava rifarsi con una
crociata, insieme feudale e cavalleresca, nel Marocco. Questa tensione espansiva
nobiliare condusse nel 1415 alla conquista di Ceuta, una sorta di
prolungamento della reconquista in terra africana. La conquista di qualche terra
in Marocco era poi sollecitata dalla corona stessa, come fonte dì rifornimento
granario per la capitale Lisbona. Una terza spinta espansiva era invece di natura
L'OCCIDENTE E L'ESPLORAZIONE
DELL'ATLANTICO
L'ESPLORAZIONE DELL'ATLANTICO
Fine XIII sec.:
la rotta Genova - ___________________
__________via ____________________
XIV sec.: _______________________
Fine XV secolo:
l’iniziativa _______________________
106
commerciale e vedeva in testa l'iniziativa dei mercanti di Lisbona (insieme ai
genovesi).
Da tempo si sapeva che la fonte principale dell'oro circolante in Occidente
sotto forma di fiorini e di ducati si trovava nell'Africa a sud del Sahara, ma
fino al XIV secolo erano stati gli arabi e i berberi ad avere il controllo di
questo commercio attraversando il Sahara con le loro carovane. I mercanti del
Maghreb scambiavano tessuti e sale sahariano con l'oro e gli schiavi offerti dai
rappresentanti dei re negri del Senegal e del Niger.
Il commercio attivo dell'Europa con il Nordafrica aveva di solito consentito ai
mercanti cristiani di assorbire una parte dell'oro del continente nero: i portoghesi
cercarono, all'inizio del Quattrecento, di impossessarsi del metallo prezioso
saltando la mediazione commerciale dei musulmani. Ma i feudi, il grano e l'oro
non erano gli unici moventi del Portogallo; un certo ruolo, soprattutto come
accumulo di esperienza nautica, va attribuito anche ai pescatori che,
allargando in questo periodo il loro raggio d'azione, arrivarono ad avvistare di
nuovo le isole atlantiche già scoperte una prima volta quasi un secolo prima.
Dietro i pescatori vennero subito i mercanti e i cavalieri: aver preso Ceuta non
significava ancora essere vicini alle fonti dell'oro (su cui i cristiani avevano le
idee molto vaghe, a paragone degli arabi), bisognava navigare molto più a sud
lungo la costa africana. Così nel 1419 Madera venne occupata dai portoghesi,
che qualche anno più tardi ritrovarono anche le Azzorre, mentre le Canarie
vennero occupate dagli spagnoli.
Cause dell’espansionismo portoghese:
1 precoce __________________________________________________________________________________________________
2 _________________________________________________________________________________________________________
3 controllo del grano marocchino per rifornimento Lisbona
4 _________________________________________________________________________________________________________
5 _________________________________________________________________________________________________________
È di grande importanza rendersi conto dell'utilizzazione economica di queste
isole nelle quali si anticiparono le forme dello sfruttamento coloniale dei
territori extraeuropei nei secoli successivi.
Esaminiamo il caso di Madera che insieme alle isole vicine più piccole raggiunge
un'estensione di circa 800 kmq e che si trova a 500 km al largo del
Marocco;l'isola era disabitata come le Azzorre (le Canarie invece erano popolate
da indigeni chiamati guanci, che presto si estinsero: ricordiamo questo
fenomeno, perché, su più grande scala, l'arrivo degli europei significò, anche
altrove e in seguito, la scomparsa di intere popolazioni).
Enrico il Navigatore suddivise le terre fra propri feudatari, mentre i banchieri
genovesi e i mercanti di Lisbona fornirono i capitali necessari per avviare la
produzione della canna da zucchero e dei vini greci. Madera dette, in seguito,
il proprio nome a un'eccellente varietà di vino dolce che superò la fama di quelli
prodotti a Creta e nell'Egeo.
Lo zucchero fu un affare di dimensioni molto maggiori; nel Medioevo questo
dolcificante esotico, trapiantato nel bacino mediterraneo dagli arabi, era
classificato fra le spezie e gli venivano attribuite virtù medicamentose, ma il suo
impiego principale era come condimento dei cibi (un uso rimasto oggi solo
nella cucina anglosassone). Nel XIV secolo la canna era coltivata soprattutto
nell'isola di Cipro, che con le sue 300 tonnellate annue conservava ancora alla
fine del Quattrocento il ruolo di maggior centro di produzione della cristianità.
Cipro doveva essere perciò il modello delle piantagioni di Madera; lo zucchero
L’esperienza _______________________
Feudatari, ______________________ e
_______________________
Il ___________________
Lo _______________________________
107
dell'isola egea, e così pure le terre che lo producevano, era controllato dai
veneziani e la schiavitù aveva un ruolo considerevole, anche se non esclusivo, in
questa impresa economica.
In realtà la schiavitù era praticamente scomparsa nell'Europa feudale, ma in
tutti i grandi centri mercantili e cosmopoliti del Mediterraneo, da Venezia a
Costantinopoli, le grandi famiglie tenevano al loro servizio un certo numero
di schiavi domestici.
I mercanti veneziani commerciavano spesso la merce umana, acquistandola
non più tra gli slavi (come avevano fatto in passato), ma fra i tartari di Crimea.
Solo a Cipro gli schiavi venivano impiegati direttamente nella produzione e, in
questo senso, l'isola dello zucchero divenne un modello per i portoghesi che
trapiantarono la canna a Madera a partire dal 1440.
A questo punto il proseguimento delle spedizioni sulla costa atlantica
dell'Africa veniva ad avere una motivazione in più: accanto alla ricerca delle
fonti dell'oro si poneva il bisogno di ottenere nuova manodopera schiavile e,
come Cipro era stato un modello per Madera, questa lo fu, con le sue
piantagioni e i suoi schiavi negri, per le economie coloniali dei secoli successivi.
Ancora a metà Quattrocento la conoscenza cartografica dell'oceano Indiano da
parte degli europei era molto limitata; mentre attraverso l'Asia centrale dei
mongoli si era giunti nel XIII-XIV secolo ad avere qualche conoscenza diretta del
continente asiatico e della Cina, sull'oceano Indiano e sulle sue terre
continuavano invece a valere soltanto illusioni, miti ed errori. Ciò dipendeva
largamente dal fatto che i passaggi verso quel mare e le sue reti commerciali erano
controllati dagli arabi, mentre per l'Europa cristiana quel mondo lontano era
soltanto un luogo sul quale proiettare i propri sogni, le paure e le immaginazioni
esotiche. L'India era il paese delle immense ricchezze, dell'oro e delle pietre
preziose a profusione, dei balsami e degli incensi, un mondo pieno di cose
mirabili, nel quale tutto era possibile. Tutto ciò che di più strano, aberrante e
favoloso si poteva pensare, veniva immancabilmente situato in quelle contrade, non
soltanto le attraenti ricchezze, ma anche i mostri più stravaganti, nani e giganti,
uomini con un solo piede o un solo occhio o senza testa, e un profluvio di animali
fantastici, suggestivi, inquietanti, repulsivi.
La proiezione sull'India delle proprie fantasie deliranti e angosciate è uno
degli aspetti più significativi dei turbamenti dell'Europa nella crisi del
Trecento e Quattrocento; ma a ciò dobbiamo aggiungere veri e propri errori
geografici.
La carta del mondo ricavabile dalla Geografia di Tolomeo dimostrava facilmente
come le conoscenze geografiche del mondo antico fossero ben più ricche e
precise di quelle diffuse nell'Europa medievale. E tuttavia questa carta (oltre
a sopravvalutare molto la distanza fra i due estremi del continente
eurasiatico) conteneva due errori capitali. In primo luogo la rappresentazione
del mondo secondo Tolomeo dava l'impressione che l'oceano Indiano fosse un
mare chiuso; in secondo luogo, escludendo la possibilità di terre abitate
nell'emisfero meridionale, abituava all'immagine di un'Africa molto più corta di
quanto fosse nella realtà.
Proseguendo nel loro tentativo di doppiare la punta meridionale dell'Africa, i
portoghesi dimostravano di non essere più impacciati dal primo errore, ma il
secondo errore li indusse invece a sottovalutare i tempi necessari alla circumnavigazione del continente nero. Nel 1469, quando si era da poco iniziato
a penetrare nel golfo di Guinea, il re del Portogallo Alfonso V affidò a un
mercante-navigatore, Fernando Gomes, l'appalto dell'esplorazione di 100
leghe l'anno di costa, per cinque anni (cento leghe sono pari a circa 550 km):
in questo periodo la navigazione proseguì lungo il golfo di Guinea arrivando
fino all'attuale Camerun.
Nel 1482 fu raggiunto l'equatore, nel 1483 furono raggiunte le foci del Congo,
in Angola, e ancora per qualche anno si continuò a cercare il passaggio a sud-
L’esempio dei veneziani a ____________:
l’utilizzo___________________________
L’esplorazione delle coste _____________
e la ricerca ________________________
L’EUROPA MEDIOEVALE E ______________
________________________________:
conoscenza diretta di _________________
_________________________________
l’immagine ________________________
__________________________________
Gli errori della rappresentazione
cartografica ________________________:
1- continente eurasiatico ______________
2 – Oceano indiano __________________
3 – Africa __________________________
L’esplorazione ______________________
__________________________________
1469- _________: dalla _______________
al ____________________________
108
est verso l'oceano Indiano e le spezie, arrivando fino alla latitudine di 22°
sud. Alla fine del 1487 una nuova spedizione guidata da Bartolomeo Días aveva
finalmente raggiunto il capo d'Africa. Durante una tempesta Días lo doppiò
senza accorgersene e solo qualche settimana più tardi (febbraio 1488) si
persuase che la costa africana piegava verso nord-est. Con un'impresa durata
più di due generazioni i portoghesi avevano posto in comunicazione per la
prima volta l'oceano Atlantico e l'oceano Indiano.
L'ESPLORAZIONE DELL'ATLANTICO
Fine XIII sec.:
la rotta Genova - ______________________________via _____________________
XIV sec.: _______________________
Metà - fine XV secolo:
l’iniziativa _______________________: 1 - l’esperienza ________________________
2 - l’esplorazione ________________________________________________________
1498: ________________________________________________________________
Fine XV – inizio XVI sec:
l’iniziativa ______________________: ___________________________________________________________________________
1492: _______________________________________________________________________
1502: ________________________________________________________________________
1520: ______________________________________________________________________________________________________
La Spagna - o per meglio dire la Castiglia - aveva partecipato in misura assai
limitata alle esplorazioni dell'Africa atlantica del XV secolo; la sua presenza si
era limitata alla costa del Marocco e alla zona delle isole e, dopo una guerra con
il Portogallo, si era vista riconoscere la sovranità sulle Canarie (nel 1481).
In realtà i problemi della Castiglia erano in questo periodo essenzialmente
terrestri e non marittimi. Il matrimonio regale fra la principessa Isabella e il
re d'Aragona Ferdinando, avvenuto nel 1469, aveva gettato una prima base
per l'unificazione spagnola e quando, nel 1474, Isabella era diventata regina di
Castiglia si era posto con maggiore urgenza il problema di eliminare l'ultima
presenza araba nella penisola iberica, il regno di Granada. In questo ultimo atto
della riconquista furono gettate tutte le risorse economiche e umane del regno;
fu ancora l'obiettivo di Granada a incanalare l'anarchia della piccola nobiltà
spagnola, che si inquadrava con difficoltà nelle strutture statali.
Per molti aspetti la storia dell'affermazione dello Stato in Castiglia era
paragonabile a ciò che era avvenuto e stava avvenendo in Francia o in
Inghilterra, ma con almeno questa grande differenza: la Spagna era nata sul
terreno militare e religioso dalla guerra contro i mori e questo fatto aveva lasciato
alla piccola nobiltà cavalleresca un ruolo e un prestigio ancora considerevoli.
Dopo la conquista di Malaga e Almeria (1487 e 1488), nel gennaio del
1492 Ferdinando e Isabella fecero il loro ingresso regale nella capitale dei mori
(Granada), tappa finale della "riconquista". L'anno 1492 era stato dunque un anno
fatale per la Spagna: in quello stesso 1492 si preparò e si svolse il viaggio di
Cristoforo Colombo, che doveva condurre alla scoperta del Nuovo Mondo. Fino
a quella data il genovese Colombo, allora quarantenne, aveva percorso come
I VIAGGI DI COLOMBO E LE
SCOPERTE GEOGRAFICHE DEL CINQUECENTO
La formazione ______________________
la ________________________________
il ruolo ____________________________
Il 1492:
- _________________________________
__________________________________
109
marinaio e come mercante tutte le rotte possibili, fino in Islanda e fino a
Madera; nel 1484 aveva sottoposto all'attenzione del re portoghese Giovanni
II il suo progetto di viaggio atlantico verso il mar della Cina. Dal punto di vista
teorico il progetto di Colombo non aveva nulla di impossibile; per gli uomini
di cultura e gli esperti di geografia e astronomia era ormai da tempo del tutto
ovvio che la Terra fosse sferica e che perciò si poteva andare in Cina sia
navigando verso levante sia navigando verso ponente. Si trattava solo di un
problema pratico, un fatto di distanze: i consiglieri di Giovanni II erano molto
meno ottimisti di Colombo nello stimare la distanza che separava Lisbona
dalla Cina attraverso l'Atlantico e perciò sconsigliarono l'impresa.
Tre anni dopo troviamo Colombo in Spagna, a riproporre ai consiglieri di
Isabella di Castiglia il suo progetto, su cui aveva continuato a studiare,
leggendo fra l'altro il libro di Marco Polo, con le sue descrizioni degli itinerari
e delle ricchezze della Cina. Anche questa volta ebbe una risposta negativa, ma
la regina scavalcò il responso dei suoi scienziati e accettò la proposta.
Altri quattro anni erano passati in questo modo: si era ormai nel 1492,
Granada era caduta e gli ebrei erano stati espulsi. Il finanziamento
dell'impresa costò 2 milioni di maravedì (questo era il nome della moneta di
conto castigliana), pari a 4330 ducati d'oro, cioè 18,5 kg di metallo prezioso;
tre navi partirono all'alba del 3 agosto 1492 dal piccolo porto di Palos, due di
queste avevano una stazza di 60 tonnellate, la terza di 100 o poco più; l'intero
equipaggio comprendeva 90 uomini, oltre a Colombo stesso. La prima tappa
furono le Canarie e da qui avvenne la vera e propria partenza, il 6 settembre; il
viaggio durò 36 giorni e la notte fra 1'11 e il 12 ottobre venne avvistata terra, ma
non si trattava né della Cina né del Giappone, bensì dell'isoletta di Watling del
gruppo delle Bahamas, che Colombo battezzò San Salvador.
È difficile stabilire un ordine d'importanza fra i diversi moventi dell'impresa
di Colombo, ma è certo che nel loro complesso dovevano essere molto forti,
perché nonostante il suo ottimismo 1’”ammiraglio del mare Oceano" (questo il
titolo che si fece attribuire dai sovrani spagnoli) sapeva bene che nessuno,
nell'esperienza europea e mediterranea, aveva mai navigato in mare aperto, cioè
senza avere in vista un'isola o un promontorio, per più di qualche giorno.
Colombo era mosso dal puntiglio personale (dimostrare che la sua idea era
giusta), oltre che da uno "spirito di evangelizzazione" abbastanza di maniera
(portare la vera fede dall'altra parte del mondo). Ma l'oro e le spezie
occupavano indubbiamente in modo quasi ossessivo la sua mente, come si
può vedere scorrendo il suo giornale di bordo, scritto giorno per giorno dal
3 agosto 1492 al 15 marzo 1493. A San Salvador egli trovò soltanto selvaggi
primitivi e nudi, dal carattere mite e ospitale, ma niente che somigliasse alle
favolose ricchezze d'Oriente. Poteva essere San Salvador un'isola vicina al
Giappone? Continuando a navigare alla cieca, la piccola flotta spagnola toccò
il 28 ottobre Cuba, ma anche qui non si trovarono tracce di spezie, anche se
i piccoli monili d'oro che portavano gli abitanti di quest'isola sembravano
suggerire l'esistenza di grandi miniere.
I VIAGGI DI COLOMBO
i tentativi con _______________________
l’appoggio di_______________________
Il ________________________________
L’arrivo a _________________________
Le motivazioni di Colombo
a ________________________
LE MOTIVAZIONI DI COLOMBO:
1___________________________________________________________________________________________________________
2___________________________________________________________________________________________________________
3___________________________________________________________________________________________________________
La terza tappa del viaggio fu un'altra grande isola, che Colombo chiamò
Hispaniola (l'attuale Haiti o San Domingo); questa nuova terra sembrava più a ____________________________
popolata e i suoi abitanti praticavano l'agricoltura e possedevano strutture
110
sociali apparentemente più evolute. Anche i loro ornamenti d'oro erano più
numerosi; Colombo scrive di aver sospettato che le difficili conversazioni con
questi isolani fossero fondate più sul fraintendimento che sulla comprensione,
ma si illuse che la sua insistente domanda “dove sono le miniere d'oro?” avesse avuto
una risposta consolante.
In realtà ad Haiti non esistevano miniere, ma solo dell'oro alluvionale, che gli
indigeni avevano raccolto pazientemente e a cui non parevano attribuire grande
valore.
Era chiaro che quelle isole non erano né il Giappone né la Cina, ma quando
Colombo decise di fare ritorno, lasciando ad Haiti una quarantina di uomini,
egli si era ormai convinto che molto vicino si trovassero grandi miniere d'oro. Si
poteva pensare già ad allestire un altro viaggio su scala maggiore e con l'oro
come obiettivo. Le spezie della Cina dovevano di certo essere nei dintorni:
questo primo risultato sembrava porre le condizioni per cercarle con maggior
facilità e profitto.
Quando Colombo tornò dal suo primo viaggio oltre Atlantico, nel 1493,
sembrava che la via scelta dagli spagnoli per arrivare alle ricchezze delle Indie
fosse la più rapida, di fronte ai lunghissimi tempi richiesti dal periplo
dell'Africa tentato dai portoghesi.
Negli anni 1510-15, quando Lisbona aveva ormai acquistato il monopolio del
traffico delle spezie, era da un pezzo evidente che le isole scoperte da Colombo
non si trovavano affatto nei paraggi del Giappone e tanto meno della Cina, anche
se rimase l'uso di riferirsi a esse con il nome di Indie occidentali. Il passaggio
dagli entusiasmi alle delusioni coincise con i risultati delle successive spedizioni
di Colombo nelle isole Antille.
I125 settembre 1493 partì da Cadice una grande flotta, con 17 navi, 1200 uomini
e tutto il necessario (animali, sementi e attrezzi) per impiantare una vera e
propria colonia. Prima dì dirigersi su Hispaniola, Colombo esplorò questa volta le
Piccole Antille, trovandole abitate da popolazioni che praticavano il
cannibalismo e che accolsero gli spagnoli con il lancio di frecce avvelenate,
dimostrandosi molto diverse dai miti arawak incontrati a Hispaniola e a Cuba.
La permanenza nelle Antille durò 28 mesi: gli spagnoli rastrellarono nelle due
isole maggiori tutto l'oro che riuscirono a trovare (un centinaio di chili) e lo
inviarono in Spagna insieme a un carico di schiavi catturati fra gli indiani
caraibici. Di spezie neanche l'ombra.
Nel giugno 1496 Colombo fu nuovamente di ritorno in Spagna e gli fu
concesso di organizzare una terza spedizione, che partì nel gennaio 1498, e
viaggiando molto più a sud delle due volte precedenti raggiunse l'isola di Trinidad
e una terra nella quale sfociava un fiume con una grandissima portata d'acqua.
Quel fiume era l'Orinoco e la terra era l'attuale Venezuela: Colombo aveva
finalmente scoperto il continente americano ed egli si trovò nella difficile
situazione di continuare a pensare che doveva trattarsi di un'altra isola nei pressi
del Giappone o di ammettere che alle spalle di un fiume di quella portata doveva
trovarsi quasi un continente, un vero mondo nuovo. Dopo aver rimesso piede a
Hispaniola (Haiti), Colombo trovò che nell'isola c'erano stati dei disordini, che era
arrivato dalla Spagna un nuovo governatore e che egli stesso veniva considerato
responsabile del cattivo governo della colonia. Arrestato e messo in catene, fu
riportato in Castiglia. La sua stella era ormai tramontata: la via giusta per le Indie era
quella di da Gama, che proprio quell'anno era tornato a Lisbona con un ricco carico di
spezie. Le terre del mar delle Antille erano solo un miraggio, prive di evidenti
ricchezze naturali, popolate da selvaggi nudi e cannibali. Navi spagnole partivano
ormai regolarmente per quelle isole, portando soldati e avventurieri, ma nessun
paragone era possibile fra il grande successo portoghese e le inutili colonie spagnole
nel Nuovo Mondo. Nel 1502 Colombo compì il suo quarto e ultimo viaggio oltre
Atlantico, esplorando questa volta le coste dell'Honduras e del Costa Rica
nell'America centrale, terre dal clima orribile, piene di paludi, di foreste tropicali,
il ___________________________
Il ________________________________
Le ___________________________
Il ________________________________
Il _____________________________
l’__________________________
Il ________________________________
111
di insetti apportatori di malattie micidiali. Quattro anni dopo egli morì in Spagna,
completamente dimenticato e consapevole del totale fallimento dei suoi progetti.
I viaggi di Colombo avevano avuto fin dall'inizio uno scopo prevalentemente
economico: l'apertura di una rotta più breve per le Indie, terra delle spezie Il trattato di ______________________
e di tante altre ricchezze. Al ritorno di Colombo dal suo primo viaggio, la Spagna
si affrettò quindi a ottenere dal papa Alessandro VI il riconoscimento dei propri diritti
su tutte le terre d'Occidente, cosa che avvenne nel 1493. Questo riconoscimento
provocò la pronta reazione del Portogallo, che si vedeva preclusi i mari d'Occidente.
Il 7 giugno 1494 Spagna e Portogallo firmarono pertanto il trattato di Tordesillas, che
regolava le rispettive sfere di espansione: l'Oceano, dall'Artico all'Antartico, fu
«diviso» da un meridiano (la raya), distante 370 leghe dalle isole di Capoverde.
Alla Spagna sarebbero toccate tutte le terre a occidente del meridiano, al Portogallo
quelle a oriente.
I viaggi di Colombo verso quelle che egli riteneva le estreme propaggini dell'Asia
furono seguiti, già qualche anno dopo, da altri viaggi e da altre scoperte. Nel 149798 il portoghese Vasco da Gama doppiò il Capo di Buona Speranza e si spinse fino a Altre _____________________________
Calicut. Nel 1500 un altro navigatore portoghese, Pedro Alvarez Cabral, spinto da
una tempesta verso occidente, mentre costeggiava l'Africa, scoprì casualmente
una nuova terra, che chiamò Brasile dal nome di un legno tintorio di colore
rosso. Al fiorentino Amerigo Vespucci toccò il compito di esplorare, nel 1502,
le coste meridionali del Nuovo Mondo (che da lui prese successivamente il
nome di America) e di rivelare che Colombo non aveva scoperta la via più breve
per le Indie, ma un nuovo, gigantesco continente.
Notizie e resoconti sulla vastità e le ricchezze delle terre occidentali scoperte
da Colombo giungevano intanto alle corti europee. Gli inglesi, ignorando il trattato
di Tordesillas, si dedicarono alle regioni settentrionali dell'America, che
sarebbero più tardi divenute una delle zone privilegiate della loro espansione
coloniale.
Circa trenta anni dopo la scoperta dell'America fu effettuato il primo viaggio
intorno al mondo. Ne fu protagonista il portoghese Ferdinando Magellano, che,
tra il 1519 e il 1520, superò l'estrema punta meridionale dell'America e sbarcò nelle
Filippine. Il costo umano della spedizione fu altissimo: dei 265 partecipanti ne
sopravvissero meno di una ventina e lo stesso Magellano fu ucciso dagli
indigeni filippini.
LE VALUTAZIONI DELLA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO NELLA GARA TRA PORTOGHESI E SPAGNOLI PER LA CONQUISTA DELL’ATLANTE
1 - ________________________________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________________________________
2 - ________________________________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________________________________
3 - ________________________________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________________________________
Il nuovo mondo
Il _____________________________ del
Nuovo mondo:
40- 30 000 anni fa: l’uomo arriva in
Il popolamento umano del Nuovo Mondo era iniziato certamente molto tempo
prima del 10 000 a.C: l'esame dei più antichi reperti archeologici condotto col America passando __________________
metodo del carbonio 14 sembra suggerire date risalenti persino a 30 000 o 40 _______________________
112
000 anni fa. Apporti dalle isole del Pacifico - dalla Micronesia e dalla
Polinesia - non sono stati del tutto provati e comunque devono aver giocato
un ruolo minore, perché essi comportavano viaggi marittimi di migliaia di
chilometri senza scalo. L'uomo americano venne dalla Siberia, attraverso lo
stretto di Bering gelato, in piccoli gruppi e in ondate successive molto
distanziate nel tempo. La fine dell'ultima glaciazione, 15-12 000 anni fa,
interruppe il collegamento fisico fra l'Asia e l'America e da quel momento gli
amerindi si svilupparono nel più completo isolamento, in un mondo con
caratteri radicalmente diversi da quelli dell'Eurasia e dell'Africa, quasi un altro
pianeta.
Al momento della scoperta europea, gli indiani delle grandi pianure
nordamericane si trovavano per lo più allo stadio della caccia, della pesca e della
raccolta, con densità umane inferiori a un abitante per chilometro quadrato, ma
esistevano anche gruppi nomadi che seguivano gli spostamenti delle mandrie
di bufali; l'agricoltura era ovunque poco sviluppata. Ancora più radi erano i
popolamenti e primitive le tecniche di sopravvivenza diffuse nelle regioni
amazzoniche dell'America meridionale. Ma intorno all'anno 1500 l'America era
tutt'altro che un continente vuoto: in una lunga regione verticale, dal Messico
al Perù, interrotta dalla zona di fitta foresta tropicale nella regione di Panama,
la rivoluzione agricola era avvenuta a partire dal Messico e dal 3000 a.C., per
produrre, quarantacinque secoli dopo, eccezionali densità umane, fino a 40 e 50
abitanti per kmq.
Le ragioni di questa grande vittoria dell'uomo americano stanno in buona parte
nel suo felice incontro con il mais, un cereale ignoto al Vecchio Mondo, che,
se coltivato in condizioni ambientali adatte, consente rendimenti unitari molto
elevati, senza richiedere cure eccessive o una grande quantità di forza-lavoro.
Le qualità nutritive di questa pianta sono certo inferiori a quelle del frumento
e anche del riso, ma le regioni americane di civiltà agricola superiore avevano a
loro disposizione un vasto patrimonio vegetale, completamente diverso da
quello dei vecchi mondi: oltre al mais, esso includeva la manioca, la patata e
la batata (o patata dolce) sull'altopiano andino, il fagiolo, il pomodoro, il
peperone, la zucca, l'avocado, l'ananas, il cacao. Ugualmente di origine americana sono l'albero della gomma e il tabacco.
Molto più povero, al paragone con i vecchi mondi, era il patrimonio animale del
continente americano, e ciò determinava una grande debolezza di fondo delle
società indigene, tanto sul piano alimentare (per la scarsità di proteine animali)
che su quello energetico (per i traini animali e i trasporti). Escludendo il
bisonte, che si trovava in territori troppo a nord anche per i messicani, le società
dell'America agricola sviluppata non avevano nessuna specie di bovini, non
conoscevano il cavallo, non avevano né pecore, né suini. Il solo Perù
possedeva nel lama un animale adatto alle grandi altitudini, ma poco robusto
(un carico di 25 kg è la prestazione normale) e molto lento (15 km al giorno),
mentre gli affini alpaca e vigogna sono degli animali da lana tutti con una carne
poco commestibile. L'unica specialità americana nel mondo animale era
rappresentata dal tacchino, cui si potevano aggiunge-re alcune varietà di uccelli
acquatici come l'anatra.
15- 12 000 anni fa: fine _______________
_________________
uomo americano
__________________
Le civiltà locali al ___________________
_________________________________
America del Nord: ___________________
__________________________________
America del Sud: ___________________
__________________________________
America centrale:
____________________
__________________________________
Il _______________________
Le risorse del continente americano:
+ ricco di risorse ____________
+ povero di risorse ___________
Il livello ___________________________
delle ______________________________
In questa realtà naturale così diversa da quella eurasiatica si erano sviluppate
alcune civiltà che possedevano una serie di evidenti tratti comuni. Sia le società
messicane sia quelle peruviane erano pervenute a un'agricoltura evoluta, che
faceva largo uso di attrezzature idrauliche, ma fra di loro era sconosciuto
l'aratro e i semi erano deposti nei fori aperti nel terreno con il bastone da scavo.
Gli amerindi non conoscevano la scrittura (anche se i maya e gli aztechi erano
arrivati a una forma primitiva di geroglifici) e non erano mai arrivati all'uso
della ruota; sapevano lavorare con finezza metalli preziosi come l'oro e
113
l'argento, ma non possedevano nessuna conoscenza della metallurgia ferrosa. Da
questo punto di vista essi erano dunque fermi all'età della pietra e ci appaiono
perfino più arretrati dei popoli africani, con i loro forti allevamenti, i loro
carri e i loro artigiani del ferro. Ma più che l'arretratezza, è lo sviluppo
diseguale a essere caratteristico degli amerindi. Essi erano giunti a una civiltà
urbana molto evoluta, con città che raggiungevano e superavano i 100.000 abitanti
e con un'imponente architettura monumentale, nella quale però era sconosciuto
l'impiego dell'arco. Le forme politiche e l'organizzazione economica esistenti
negli altopiani erano il segno di una civiltà superiore; ma nonostante le grandi
riserve di metalli preziosi, gli amerindi non conoscevano la moneta e non
possedevano un'economia di mercato (con una parziale eccezione per gli
aztechi nell'ultima fase della loro storia), non avevano flotte marittime;
inoltre, essendo privi di veicoli a ruote, dominavano con difficoltà gli spazi
LE CIVILTÀ AMERICANE
Le civiltà americane
LE DIVERSE CULTURE DELLE SOCIETÀ
Nonostante l'esistenza di civiltà evolute, con alle spalle una storia non meno
lunga e complessa di quella europea, le varie regioni del continente
americano erano vissute per secoli in un isolamento reciproco relativamente
forte. Il Messico aveva continuato a ricevere invasioni di nomadi dal nord, il
mais aveva viaggiato dall'America settentrionale a quella meridionale, mentre
la patata si era estesa su una grande superficie nel mondo andino (ma senza
riuscire a varcare la regione dell'istmo di Panama). Nonostante ciò, le
popolazioni americane presentavano ancora nel XV secolo notevoli differenze
negli stadi di sviluppo della civiltà materiale; accanto alle civiltà urbano-agricole
non c'erano soltanto i nomadi e i cacciatori del Messico settentrionale e delle
pianure a nord del Rio Grande, ma anche le piccole e isolate comunità dedite
alla caccia e alla raccolta. Il sistema di relazioni che, al di là di tutte le
differenze, aveva coinvolti in una storia comune le civiltà eurasiatiche,
mediterranee e (in misura minore) africane era assai più antico e solido di
quello che si poteva trovare in America.
L'avviamento all'unificazione dei due altopiani, quello andino e quello
messicano, era nel XV secolo un fatto ancora molto recente, ma fra l'uno e
l'altro l'isolamento era ancora quasi totale (in mancanza di una civiltà
marittima adeguata) al momento dell'arrivo degli europei. Costoro sarebbero
venuti così a conoscenza di una società ormai in declino, quella dei maya, e di
due imperi che sembravano allora in piena espansione, quello azteco e quello
inca. Alle loro spalle c'era una lunga storia, di due o tre millenni, che ci è ancora
in gran parte sconosciuta. Alcuni tratti culturali ci appaiono particolarmente in
rilievo nell'intera area maya-azteca: le grandi piramidi a gradini, i sistemi di
misurazione del tempo, la parte enorme tenuta nella vita sociale dai cerimoniali
religiosi, la rigida stratificazione sociale, il grande peso politico e carismatico tenuto
dalla casta sacerdotale. Già nel periodo compreso fra il III e l’VIII secolo la valle di
Teotihuacàn, nel Messico centrale, si era coperta di templi monumentali, segno di
una civiltà molto evoluta: la grande "piramide del sole" ha un base quadrata con il
lato di 240 metri e si innalza fino a 60 metri. L'intera area dei templi e delle residenze
dei sacerdoti, intorno alla grande piramide, doveva misurare intorno ai 32 kmq,
individuando un centro di attrazione urbana di notevoli dimensioni. Continue
ondate di invasori nomadi giunte dalle regioni settentrionali avevano poi distrutto
questa civiltà nel suo periodo più creativo e della valle dei templi non erano rimaste
che le rovine.
AMERICANE
La ____________________________
All’arrivo degli europei: ______________
__________________________________
Prima degli europei:
la civiltà di ________________________
(________-___________ sec.)
114
LE PECULIARITÀ DELLE CIVILTÀ AMERICANE RISPETTO ALLE CIVILTÀ EURASIATICHE
1 - _______________________________________________________________________________________
Es.: ___________________________________________________________________________________________________________
2 __________________________________ perché ____________________________________________________________________
LE CARATTERISTICHE COMUNI DELLE CIVILTÀ DELL’AMERICA CENTRALE
A – l’organizzazione _______________(città _______________) B - ____________________________________________________
C - __________________________________________________ D - ____________________________________________________
Nello stesso periodo in cui rapidamente raggiungeva l'apogeo e crollava la
civiltà di Teotihuacàn, raggiungeva anche il massimo sviluppo quella dei maya.
Un centinaio di centri urbani maggiori appartenenti alla civiltà maya esistevano
fra l'VIII e il IX secolo, su una superficie di 300.000 kmq, che includeva gli
attuali territori dell'Honduras, del Guatemala, del Salvador e dello Yucatan.
Per ragioni che ci restano sconosciute (ancora una volta invasioni di nomadi?)
queste città (che come Teotihuacàn erano soprattutto città santuario, con una
popolazione stabile di sacerdoti e funzionari) vennero improvvisamente
abbandonate, per essere poi ritrovate intatte e nascoste nella giungla dagli
spagnoli del XVI secolo. La civiltà maya sopravvisse solo nello Yucatan
conservando le sue enigmatiche contraddizioni: un'agricoltura primitiva,
senza aratro e fondata sul mais, una tecnologia rimasta all'età neolitica, ma
un'astronomia incredibilmente esatta e un'aritmetica così sviluppata d includere la numerazione posizionale con l'uso dello zero.
Gli aztechi erano solo uno dei più recenti popoli invasori, penetrato forse
nel XIII secolo nell'altopiano dell'antica civiltà agricola, e al tempo del loro
ultimo imperatore, Montezuma II (1503-20), erano ancora in piena espansione.
Gli aztechi avevano raccolto un'eredità culturale complessa e il loro mondo di valori
appare come un equilibrio precario fra elementi eterogenei. L'immagine
azteca del mondo è percorsa da un forte sentimento della precarietà: il mondo
intero poggia sul vuoto, la natura è piena di forze distruttive che vanno attentamente sorvegliate. La concezione del tempo degli aztechi vedeva un periodico
ritorno di momenti di catastrofe, attraverso quattro o cinque ere concluse da
invasioni di belve selvagge, da uragani distruttori o da piogge di fuoco. Il calendario
messicano, come quello dei maya, univa perciò a una prodigiosa capacità di
osservazione astronomica la percezione di una ciclicità minacciosa. L'anno solare
stesso, di 365 giorni e diviso in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, includeva
periodicamente 5 giorni infausti; il ritmo annuale del tempo era poi suddiviso
secondo un criterio molto diverso, in venti settimane di 13 giorni ciascuna e questo
ciclo di 260 giorni veniva a coincidere con quello di 365 nel corso di un periodo più
lungo composto di 52 anni solari. L'orrore di una prossima catastrofe rendeva pieni
di ansia gli ultimi cinque giorni del secolo azteco di 52 anni, allorché il fuoco,
rimasto acceso ininterrottamente sull'altare sacro, veniva spento e se ne
accendeva uno nuovo, con un culto pieno di elementi simbolici solari. Di fronte al
Sole gli aztechi esprimevano a fondo tutto il loro senso di incertezza: persino gli
dèi erano dovuti morire alla fine di ogni epoca, perché il Sole potesse rinnovarsi e
perciò, per tenere sotto controllo le forze della dissoluzione, era necessario procedere
a continui sacrifici umani, a divinità inquietanti.
Tenere sotto controllo l'ignoto, la violenza, la vocazione al nulla presente
nella realtà stessa: questo era il compito cosmico che gli aztechi attribuivano
a se stessi e la loro intera vita era dominata da complicati cerimoniali diretti a
I MAYA
Le città ____________________________
GLI AZTECHI
LA CULTURA: LA CONCEZIONE RELIGIOSA
La concezione del _________________
Il culto _________________
Il controllo _________________________
__________________________________
115
questo scopo. Umanisti e insieme dotati di un cupo senso del tragico, essi non
amavano molto la guerra e avevano elaborato un rituale simbolico capace di
porre fine in fretta e senza spargimenti di sangue ai conflitti che li opponevano
alle altre città messicane. Ma la guerra era in qualche modo indispensabile: la
burocrazia statale e la classe sacerdotale crescevano a dismisura e avevano
bisogno di città sottomesse e tributarie; la guerra inoltre procurava quelle vittime per i sacrifici umani, condotti senza odio ma con apprensione, perché il
mondo ne aveva assolutamente bisogno per sopravvivere.
GLI INCAS
Se le sottili speculazioni sul tempo ciclico e i complicati apparati del
controllo sulle forze oscure del reale sono i caratteri più visibili del mondo
messicano, la società peruviana aveva invece concentrato i suoi sforzi nella
soluzione di problemi di vita materiale e organizzazione sociale.
Nel XV secolo l'area andina era dominata dalla città di Cuzco, situata a 3500
metri di altitudine, il cui signore veniva chiamato inca. Ma anche l'Impero
inca, come quello azteco, era solo l'ultimo arrivato in una lunga serie di civiltà
successive che partivano dalle lontane età degli inizi della coltivazione del
mais e della fabbricazione di ceramiche. I tratti peculiari della società andina si
erano venuti formando già molto prima della comparsa degli inca: gli altopiani
erano stati lentamente colonizzati e la diffusione del mais era stata resa
possibile solo dalla costruzione di ardite opere idrauliche, derivando canali dai
fiumi che scendevano verso la costa; la patata era stata acclimatata alle
grandi altitudini, selezionando molte centinaia di diverse varietà; le comunità
andine avevano poi sviluppato delle forme complesse di proprietà collettiva
del suolo, affidate agli ayllu, i gruppi parentali allargati, che provvedevano a
ridistribuire periodicamente la terra fra le singole famiglie, per ottenere sempre
una corrispondenza fra bisogni, forza-lavoro e terre da coltivare.
Ma più ancora di questa organizzazione del possesso terriero, l'elemento che meglio
denota il senso dell'orchestrazione sociale delle comunità andine è la divisione
del lavoro in corrispondenza alla natura verticale dello spazio umano: dalla pianura
costiera ai più elevati ripiani montani si offrivano diverse possibilità di
utilizzazione dello spazio, la pesca e la coltivazione del cotone in pianura, 1a
coltivazione del mais e della patata sull'altopiano, il pascolo dei la ma al l e
maggiori altitudini. Il controllo di tutti i piani di questo spazio verticale richiedeva
una continua circolazione dei beni dall'uno all'altro, ma ciò non avveniva nella
forma dell'economia di mercato, perché gli andini non conoscevano il denaro:
la circolazione era piuttosto affidata a un meccanismo di reciprocità, fatto di doni
e controdoni, prestazioni e restituzioni, capaci di costituire un'articolata coesione
sociale su spazi molto ampi.
Stando ai racconti leggendari, gli inizi dell'Impero inca andrebbero posti al
principio del XII secolo, ma è difficile collocare nel tempo i primi cinque o
sei sovrani inca, ammesso che ai loro nomi corrispondano personaggi reali.
Alla fine del XIV secolo le strutture di fondo dello Stato erano già cosa fatta:
una società fortemente stratificata, con un'aristocrazia militare e burocratica al
vertice e le comunità contadine degli ayllu alla base. Lo Stato inca aveva dimostrato grandi capacità di unificazione dei popoli dell'altopiano e delle pianure
(in corrispondenza a una parte più o meno estesa dei territori degli attuali Perù,
Bolivia e Cile); le forme di integrazione economica fra i diversi piani spaziali
erano state favorite o ulteriormente promosse e, ancora nel XV secolo, la società
andina non aveva bisogno di proprietà privata o di economia di mercato. Al
sistema di circolazione dei beni basato sulla reciprocità, gli inca ne avevano
aggiunto un secondo basato sulla ridistribuzione: i membri degli ayllu dedicavano
una parte del loro tempo alle terre e .ai pascoli pubblici dell'inca o della divinità
solare e partecipavano alla edificazione di grandi opere; lo Stato, a sua volta,
distribuiva i beni pubblici ai soldati, ai funzionari, ai sacerdoti, agli addetti
ad attività produttive nelle regioni periferiche.
116
Lo Stato inca si presentava come un centro di minuziosa regolamentazione
dell'intera vita sociale, sempre informato su tutti gli aspetti della produzione e in
grado di organizzare censimenti e di svolgere una continua politica demografica
capace di far sviluppare in maniera equilibrata la popolazione e il controllo del suolo.
La società andina non arrivò mai alla scrittura, ma seppe produrre un accurato mezzo
di contabilità governativa, rappresentata dai quipu, le cordicelle colorate sulle
quali i nodi rappresentavano numeri e oggetti della statistica.
Le comunità azteche conoscevano, come quelle peruviane, una religione
complessa, con molte divinità accanto a quella solare e con una concezione del
tempo fatta di età successive e catastrofi. Ma anche nella religione peruviana, nella quale i sacrifici umani avevano un ruolo secondario, era l'organizzazione
sociale ad avere il primo posto: la sua funzione era quella di stabilire legami orizzontali
e verticali fra i diversi nuclei etnici e fra i diversi ripiani dello spazio umano.
Per tutto il XV secolo l'Impero inca aveva continuato a estendersi e sotto il
decimo inca esso aveva incluso il territorio dell'attuale Ecuador con la città di
Quito: da Cuzco a Quito era stata allora costruita una strada, che veniva a
completare il sistema viario, una perfetta rete ingegneristica e sociale di
comunicazioni, lungo la quale le notizie correvano solo secondo le possibilità dei
messaggeri a piedi, ma riuscendo a realizzare velocità eccezionali (2.000 km
percorsi in sei o sette giorni). Con una lunga storia alle spalle, il mondo
americano più evoluto contava verso il 1515 almeno 25 milioni di abitanti
nel Messico e altrettanti nell'Impero inca, 600.000 kmq da una parte e un
milione dall'altra: uno sviluppo avvenuto nell'isolamento reciproco e
nell'isolamento nei confronti dei vecchi mondi.
LA SOCIETÀ ANDINA
Rapporti sociali: __________________________________________________________________________________________
Forme di proprietà:
1 ___________________________________________________________________________________________________ con
ridistribuzione periodica per________________________________________________________________________________
2 ______________________________________________________________________________________________________
Divisione del lavoro: ______________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
Circolazione dei beni:
1_______________________________________________________________________________________________________
2 ______________________________________________________________________________________________________
Ruolo dello stato:_________________________________________________________________________________________
_______________________________________________________________________________________________________
Differenze con l’economia europea: 1 - ______________________________________________________________________
2 - ______________________________________________________________________
3 - ______________________________________________________________________
117
La conquista del nuovo mondo
Se durante il secondo decennio del Cinquecento poteva sembrare che la via scelta
dagli spagnoli non avesse portato ad alcun risultato concreto, poiché il Portogallo,
grazie al suo controllo delle coste africane, aveva conquistato il mercato delle
spezie orientali, alla fine degli anni venti la situazione nei territori del Nuovo
Mondo era mutata completamente, facendo intravedere una fonte di ricchezza
di pari importanza delle spezie dell'Indonesia: l'oro.
È molto probabile che l'isola di San Domingo avesse nel 1492 non meno di
600.000 abitanti: questi indigeni arawak furono presto messi a raccogliere col
setaccio le pagliuzze d'oro alluvionale che si trovavano nei fiumi dell'isola;
subito al barbarico sfruttamento operato dagli spagnoli si aggiunsero le
devastazioni delle malattie sconosciute agli arawak e importate dai
conquistatori insieme alla bramosia dell'oro. Nel 1514 il vaiolo, il morbillo e
la furia spagnola avevano ridotto la popolazione indigena a sole 27.000 unità. La
caduta della manodopera disponibile spinse allora gli spagnoli a occupare più
stabilmente anche Cuba, Portorico e la costa continentale. È difficile dire se
nelle Antille si esaurì prima l'oro alluvionale o la manodopera indigena, ma è
certo che già nel 1513-18 il ciclo dell'oro volgeva inesorabilmente al suo
termine, dopo aver consentito di raccogliere 7 o 800 chili di metallo giallo ogni
anno. Al declino del ciclo dell'oro, le Antille videro presto l'affermarsi di un
diverso impiego economico della terra, la coltivazione della canna da zucchero,
che vi era stata trapiantata assai per tempo e che dopo un inizio incerto non
cessò di estendere la sua conquista delle isole per buona parte del Cinquecento. Ma
anche la canna da zucchero richiedeva un notevole impiego di forza-lavoro:
l'esempio di Madera, l'altra isola dello zucchero (800 tonnellate all'anno),
venne presto seguito anche alle Antille, dove molto presto furono importati
schiavi negri, razziati o conquistati da mercanti portoghesi sulle coste del golfo
di Guinea.
Le piantagioni di canna non potevano comunque dare risultati immediati e
mentre gli arawak di San Domingo si avviavano all'estinzione (nel 1530 essi
erano ridotti a 10.000) le importazioni di schiavi africani furono in principio solo
di poche centinaia all'anno. Questo fatto è sufficiente a spiegare perché le
Antille fossero sempre più in fermento via via che le speranze di un rapido
arricchimento dei soldati e degli hidalgos spagnoli si rivelavano illusorie. Non
restava che tentare nuove avventure spingendosi sulle coste del golfo del Messico.
LA CONQUISTA DEL NUOVO
MONDO
LO SPOPOLAMENTO DELL'ISOLA DI SAN
DOMINGO
Il ciclo dell’__________________
l’annientamento della popolazione locale
in 20 anni da ____________ a _________
l’occupazione ______________________
La coltivazione _____________________
l’arrivo degli _______________________
LA CONQUISTA DEL MESSICO
Fu così che nel 1517 una prima spedizione partì da Cuba giungendo a esplorare le
coste dello Yucatan e prendendo un primo contatto con le popolazioni maya.
Nel 1518 una seconda spedizione si spinse più a fondo sulla costa messicana. La spedizione di ___________________
Infine, nel febbraio 1519, partì un piccolo esercito, sotto il comando di Hernàn
Cortés: undici navi, 508 soldati (senza contare i marinai, che erano un centinaio),
sedici cavalli, quattordici cannoni e 45 uomini armati di balestra o di fucile. I due
viaggi del 1517-18 avevano soprattutto raccolto molte notizie sull'esistenza di un
grande regno dove c'erano quantità enormi d'oro e ciò era bastato per spingere
quegli uomini a un'impresa di conquista che doveva apparire più come l'incanto
di un miraggio che come un ragionevole fatto militare.
Il comportamento indubbiamente coraggioso, ma anche esaltato, brutale e I _______________________ (hidalgos)
temerario fino alla follia, degli spagnoli sarebbe incomprensibile se
dimenticassimo che neppure una generazione era passata dalla fine delle guerre
di crociata contro i musulmani in Castiglia: solo nel 1492 era caduto il regno
moro di Granada. La fine della guerra aveva lasciato allo sbando una vera e
propria classe sociale, composta di soldati e piccoli nobili, con un'etica
militaresca fatta di un orgoglioso senso della propria dignità, di un
cristianesimo fanatico e intollerante, ma anche di un idealismo non privo di valori
118
culturali e capace di spingere all'azione. Lo stesso Cortés era un caratteristico
esemplare di questo tipo d'uomo: a Salamanca aveva fatto qualche anno di
università e nelle Antille si era procurato un po' di esperienza militare e
amministrativa. Alla partenza da Cuba portò con sé un notaio, per legalizzare
le sue prese di possesso di terre e città in nome del re di Spagna: appena
sbarcato sulla costa messicana compì l'atto formale di fondare una città, Vera
Cruz, per attribuirsi un potere del tutto autonomo da quello del governatore di
Cuba.
Soltanto un po' più di due anni dopo, il 13 agosto 1521, al termine di un
assedio durato due mesi e mezzo, la capitale azteca Tenochtitlàn cadde in mano Un esercito di _______ uomini conquista
ai conquistadores spagnoli. La città era costruita sul lago Texcoco e fra le case
una città di _____________ abitanti
scorrevano canali; dappertutto si vedevano palazzi, templi ed edifici
monumentali. Non è azzardato parlare di una popolazione superiore ai 500.000
abitanti.
La sproporzione di forze fra l'imperatore messicano Montezuma e gli spagnoli I motivi della superiorità spagnola
è tale che è inevitabile chiedersi come fu possibile una simile impresa, cui seguì
con impressionante rapidità il tracollo di tutta la costruzione statale e imperiale
elevata dagli aztechi nel corso del secolo precedente. Una prima risposta, ma
ancora molto parziale, si può trovare nel confronto delle tecnologie belliche: da
un lato i messicani, che non possedevano neppure una metallurgia del ferro,
dall'altro gli spagnoli, con le loro armi da fuoco e le spade d'acciaio. Ma la
superiorità negli armamenti non evitò agli spagnoli un momento di grave
difficoltà. Essi erano entrati una prima volta a Tenochtitlàn l'8 novembre 1519 e
i loro rapporti con gli aztechi si erano subito guastati di fronte alla vista dell'oro
e per l'atteggiamento profanatorio tenuto verso i simboli religiosi messicani.
Alla fine Cortés sequestrò lo stesso Montezuma; gli abitanti di Tenochtitlàn si
ribellarono e, mentre nel tumulto l'imperatore restava ucciso, gli spagnoli si
diedero alla fuga con tutto l'oro che erano riusciti ad arraffare (luglio 1520).
Il successo nell'assedio di Tenochtitlàn, iniziato alla fine del maggio 1521, ha
altre tre spiegazioni accanto all'efficacia delle armi spagnole. Cortés si era
alleato con la città di Tlaxcala, solo da poco sottomessa dai messicani e pronta
ad approfittare dell'occupazione per ribellarsi; in secondo luogo, già dall'estate
del 1520 gli spagnoli avevano diffuso un'epidemia di vaiolo fra le città
dell'altopiano messicano e la malattia, fino ad allora sconosciuta in quelle terre,
aveva avuto conseguenze disastrose. Infine, si ha quasi l'impressione che gli
aztechi non sapessero adattarsi al modo di combattere degli spagnoli, che
non arretravano di fronte alle battaglie più sanguinose e non si davano mai per
vinti. In quegli uomini barbuti e ferrigni, alti sui loro spaventosi cavalli, forse
gli aztechi credettero di scorgere delle divinità irresistibili e solo troppo tardi
si decisero a combatterli senza quartiere. Durante l'assedio di Tenochtitlàn
gli acquedotti furono tagliati, il vaiolo tornò a far strage, gli edifici furono
distrutti a uno a uno con meticolosa ferocia. Quando tutto finì, Tenochtitlàn
era ormai una città morta, una città di morti.
MOTIVI DELLA SUPERIORITÀ SPAGNOLA:
1 - Tecnologia militare:_________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 – Mentalità: ________________________________________________________________________________________________
119
LA CONQUISTA DELL'IMPERO INCAS
A distanza di pochi anni la tragedia del Messico si ripeté senza grandi differenze
nell'Impero inca. Punto di partenza dei conquistadores fu questa volta Panama, la
città fondata nel 1519. Già dal 1522 la guarnigione spagnola di Panama aveva avuto
notizia di un grande Impero che si trovava da qualche parte all'interno del
continente sudamericano. Negli anni successivi, viaggiando sempre più a sud lungo
la costa dell'Ecuador, gli spagnoli ebbero modo di constatare l'esistenza di
centri urbani e videro i segni di un'amministrazione statale evoluta. Nel gennaio La spedizione di ____________________
1531 partì la spedizione che soltanto tre anni dopo avrebbe fatto crollare la potenza
peruviana: la guidavano Francisco Pizarro, un oscuro uomo d'armi stabilitosi a
Panama nel 1519, e Diego Almagro, un altro militare spagnolo, giunto in America
nel 1514, ed era costituita inizialmente da tre navi, 185 uomini e 27 cavalli.
In quel tempo la società andina stava attraversando una fase di debolezza politica
perché il titolo di inca era conteso fra due fratelli e la guerra civile fra i seguaci L’inserimento nelle contese ___________
dei due rivali non accennava a placarsi, benché uno dei due fosse riuscito a
imprigionare il fratello e a occupare Cuzco, la capitale imperiale. Questi fatti
avvenivano mentre Pizarro percorreva verso sud la costa peruviana e
cominciava poi a salire sull'altopiano. Nel novembre 1532 Pizarro si incontrò
infine con l’inca, nella città di Cajamarca posta lungo la grande strada del Sole
che congiungeva Cuzco con Quito. L'incontro, che doveva essere pacifico, si
risolse in una furibonda battaglia che vide una vera strage di peruviani e la
cattura dell'inca. Per la sua liberazione Pizarro chiese un enorme riscatto in oro,
ma non appena questo fu consegnato venne ugualmente assassinato. Tre mesi
più tardi, nel novembre 1533, i conquistadores presero d'assalto Cuzco,
approfittando della rapida dissoluzione delle strutture imperiali che aveva seguito _________ uomini conquistano un impero
la morte, dell'inca. Ma la sottomissione dello Stato incaico si rivelò poi più lunga
e difficile del previsto. I peruviani resistettero più a lungo dei messicani, mentre
fra i capi spagnoli, che ricevettero continuamente rinforzi, scoppiavano
dissidi e contese violente. Tanto Almagro quanto Pizarro rimasero uccisi da
partigiani della fazione avversa in una guerra che, sommando la folle
allucinazione dell'oro e lo scatenamento di una ferocia illimitata, trasformò i
conquistadores in predoni e assassini senza virtù e senza onore.
Lo sfruttamento economico del nuovo mondo
LO SFRUTTAMENTO ECONOMICO
DEL NUOVO MONDO
La popolazione delle due grandi aree di densità umana (Messico e America
centrale da una parte Impero inca dall'altra) è stata valutata da recenti studi a 25
milioni per il solo Messico centrale e forse a 40 milioni per l'intera regione del LO STERMINIO DELLE POPOLAZIONI LOCALI
Messico e dell'America centrale; per l'Impero inca si oscilla fra i 10 e i 35
milioni, ma la cifra giusta sembra essere comunque assai superiore alla stima più
bassa. Il totale generale resta molto ipotetico, ma il collasso demografico delle civiltà
precolombiane non è per questo meno impressionante: alla fine del Cinquecento i
50 o 70 milioni di abitanti dei 2.5 milioni di kmq dell'intera area delle civiltà
americane superiori difficilmente arrivavano ai 4 milioni.
Più ancora che di fronte alle armi degli spagnoli, gli indios erano indifesi di
fronte alle malattie che i conquistatori avevano fatto apparire per la prima volta
nel Nuovo Mondo: il vaiolo, il morbillo, il tifo, le febbri influenzali. Il primo e
più grave crollo demografico, avvenuto nei primi due o tre decenni dalla
conquista, non può avere altre spiegazioni. Alle malattie occorre però aggiungere
altri due fattori di spopolamento: il primo è il lavoro forzato cui gli indio
furono sottoposti, soprattutto nel lavoro di estrazione dell'oro e dell'argento;
il secondo è la distruzione delle infrastrutture materiali dell'agricoltura, cioè i
canali di irrigazione. Infatti i dominatori spagnoli si preoccuparono più della
propria alimentazione carnea che del mais degli indios e importarono subito una
gran quantità di bovini dilla Spagna, destinando al loro allevamento brado
120
grandi estensioni di terra coltivata. La brutalità e la crudeltà del dominio dei
conquistadores, che torturarono, uccisero e deportarono senza limiti, non può
comunque essere negata. Essi spinsero oltre ogni limite allora conosciuto il
pregiudizio etnocentrico e attribuirono agli indios vizi e perversioni di ogni
genere, arrivando a negare loro l'appartenenza al genere umano.
E tuttavia le interazioni fra questi fenomeni (le malattie, i lavori forzati, il
mutamento dei rapporti fra uomo ambiente, i massacri) non rappresentano
ancora spiegazioni sufficienti. Gli spagnoli che si stabilirono in Messico e in Perù
si possono contare solo nell'ordine delle migliaia e ancora nel 1570 non
arrivavano a 150.000. È difficile credere che negli anni successivi alla conquista,
in un rapporto di uno a 10.000 con la popolazione india, essi potessero
totalmente distruggere una civiltà, se questa non possedeva già in sé elementi di
debolezza fatale. L'isolamento in cui da sempre erano vissute le civiltà
amerindie è certo uno di questi elementi, che comportava dal punto di vista
biologico la mancanza di immunizzazione alle malattie altrui. Ma la causa
profonda, il fattore veramente decisivo, è però un'altra: il sistema sociale
tradizionale, con le sue regole di produzione, solidarietà, divisione del lavoro,
non era in grado di reggere a un urto sconvolgente. Se pensiamo alla Cina o
all'India che per secoli hanno subito e assorbito gli assalti dei popoli nomadi
dell'Asia centrale, viene da supporre che i peruviani e, più ancora, i messicani
ebbero la sensazione di un completo annullamento culturale; il baratro del
nulla, l'angosciosa ossessione degli aztechi, si era infine aperto e di fronte a esso
gli indios reagirono con il suicidio e con una drastica riduzione della natalità.
LE RAGIONI DEL CROLLO DEMOGRAFICO DEGLI IMPERI PRECOLOMBIANI
1 __________________________________________________________________________________________________________
2 __________________________________________________________________________________________________________
3 __________________________________________________________________________________________________________
4 __________________________________________________________________________________________________________
5 __________________________________________________________________________________________________________
6 __________________________________________________________________________________________________________
Un intero continente e pochi uomini spinti da una forsennata rapacità: ciò basta a
spiegare perché la conquista coloniale assuma così spesso la forma del "ciclo", cioè lo
sfruttamento di una terra, fino all'ultima goccia, dei suoi uomini e delle sue risorse
più superficiali. Il primo ciclo fu sempre quello del puro e semplice saccheggio: a
esso seguì il ciclo dell'oro, la ricerca sistematica di tutto il metallo giallo nascosto nei
fiumi e nella terra. Questo fu il primo destino delle Antille. A ciò seguì un nuovo
ciclo, dell'allevamento del bestiame o della piantagione di zucchero, ma mentre
avveniva questo sviluppo i conquistadores avevano già trasferito altrove la spinta
dei due primi cicli, nei territori del Messico e quindi del Perù.
A differenza delle Antille, i due grandi imperi americani possedevano non solo una
quantità molto maggiore di metalli preziosi accumulati nei secoli precedenti, ma
delle risorse minerarie enormi.
E qui perciò il ciclo dell'oro e dell'argento durò molto più a lungo, non solo una
decina d’anni, ma per un secolo circa, fino al 1630-50.
La prima fase dello sfruttamento delle miniere venne condotta con tecniche
ancora imperfette e compiuta attraverso uno sfruttamento selvaggio della forzalavoro degli indios: il costo di produzione dei metalli risultava molto basso, ma
solo perché la miniera era una fornace nella quale gettare senza risparmio le
vite umane dei popoli conquistati. Già dopo il 1555 la manodopera cominciò a
LE FASI DEL CICLO DELLO SFRUTTAMENTO
COLONIALI
Lo sfruttamento delle miniere
1- sfruttamento _____________________
__________________________________
La riduzione
________________________
locale
121
scarseggiare in Messico e si tentò di introdurre qui il lavoro degli schiavi negri.
Ma i negri, a differenza degli indios, avevano un costo ed essi poi non riuscivano
a sopravvivere al clima degli altipiani e delle montagne. Perciò dal 1560
divenne necessario pensare a una nuova tecnologia di produzione. Iniziò il tempo
dell'amalgama al mercurio, una tecnica utile solo per l'estrazione dell'argento dalla
massa grezza di minerale: l'argento si amalgama al mercurio, che viene poi eliminato
senza difficoltà per volatilizzazione. Questo fatto ci spiega bene perché la produzione
di oro cadde e poi ristagnò, mentre quella di argento si triplica nel 1561-70. Il
mercurio era importato dalle miniere europee e poteva essere avviato fino ai filoni
argentiferi del Messico. Il Perù era troppo lontano e avrebbe continuato ancora per
qualche tempo con le vecchie tecniche. La grande epoca dell'argento peruviano si
apri nel 1570, quando le miniere del Potosí, situate a 4000 metri di altitudine,
cominciarono a usufruire di un mercurio che non veniva da lontane località. Un ricco
giacimento di mercurio venne scoperto a 1.800 km dal Potosí boliviano, e lunghe
carovane di portatori indiani avrebbero percorso in seguito questi due mesi di
cammino rendendo possibile il rapido sviluppo della produzione di argento nel
1580-1600.
Le prestazioni di lavoro forzato degli indios, che altrove erano state abolite da tempo
(almeno in teoria), furono di nuovo imposte nei territori peruviani: 4.500 minatori
indiani lavoravano ogni giorno alle miniere del Potosí, con orari e in condizioni
letteralmente massacranti. Il viceré del Perù aveva imposto l'alternanza di una
settimana di lavoro a due di riposo e aveva limitato a un anno l'impiego degli
indiani nella mita (con questo termine si indicavano i turni di lavoro forzato); perciò
13.500 erano gli indiani tenuti annualmente alla mita, ma la mortalità fra di loro
doveva essere molto alta e gli spagnoli concessionari delle miniere violavano
continuamente le prescrizioni del viceré. L'impresa dell'argento attraversò
comunque una fase di grande prosperità e la città mineraria di Potosí, che era stata
creata nel 1545 e aveva mantenuto modeste dimensioni fino al 1570, crebbe
rapidamente alla fine del secolo, fino a toccare i 160.000 abitanti. Dopo tre decenni
di produzione stagnante, a partire dal 1630 tanto le miniere messicane che il Potosí
entrarono in una crisi profonda. Le cause di questo declino furono molte, ma è
difficile negare che una certa parte sia stata giocata dalla riduzione della manodopera
indiana.
Con il 1630 il ciclo dell'argento americano era finito e come ogni vicenda ciclica del
Nuovo Mondo spagnolo esso lasciò profondi segni di distruzione. Il futuro delle
colonie stava ormai nell'allevamento e nell'agricoltura, oltre che nelle
monocolture di esportazione come lo zucchero (in attesa della prossima età del
cotone, del tabacco e del caffé).
i tentativi di _______________________
__________________________________
2 – l’amalgama con _________________
per l’estrazione _____________________
Le condizioni ____________________
degli indios
Il ciclo dello sfruttamento spagnolo:
1 ___________________________________________________________________________________________________________
2___________________________________________________________________________________________________________
3 __________________________________________________________________________________________________________
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