28 settembre 2016_Conferenza Forte Tre Sassi

Presentazione Gita
2 ottobre 2016
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Passo Valparola, Forte Tre Sassi e
Campo Trincerato Austriaco Edelweiss
L'Europa del 1914
Nel 1914 gli equilibri
europei sono già da tempo
in movimento e la
situazione politica del
continente era divenuta
esplosiva. Formalmente,
nel continente, regnava la
pace: infatti era dal 1870
che nel continente non si
registravano
scontri
armati fra Nazioni. Questa
“pace” era nata dalla
politica del Cancelliere
tedesco Otto von Bismark,
che nel ventennio 18701890 aveva stretto l'Europa
nella sua politica di
alleanze incrociate. La
politica
di
Bismark
poggiava sul programma di
congelare le posizioni sul
continente tramite una
lunga serie di accordi che
avrebbero dovuto mantenere lo status quo nel continente (il Trattato dei Tre Imperatori, che
univa gli imperi di Austria, Germania e Austri, è stato il trionfo della politica Bismarkiana).
Se sul continente Europa la politica di Bismark ebbe effetto dal 1870 al 1914, non si può
dire lo stesso per gli altri continenti. Se le Nazioni europee non poteva affrontarsi
direttamente, decisero di farlo sul terreno coloniale. Africa e Asia divennero terreno di
confronto fra le truppe coloniali dei vari Imperi. In Asia troviamo la guerra a distanza fra
Regno Unito e Impero Russo, che vedrà l'Afghanistan come territorio conteso e più volte
passato di mano. Questa “strana guerra”, che non vedrà quasi mai i due eserciti scontrarsi
direttamente, verrà chiamato “Il Grande Gioco”. In Africa lo scontro si giocherà, sia sul
piano militare (guerra boera, la rivolta del Madhi in Sudan – alla quale prenderà parte anche
l'Italia come alleato della Gran Bretagna – scontro contro gli zulu, nascita della colonia
belga del Congo), sia sul piano delle esplorazioni, che vedrà una corsa verso le parti ancora
inesplorate del continente.
Questi scontri lasciarono non pochi strascichi fra le Cancellerie europee. La Gran
Bretagna si vide ridimensionata causa le non brillanti vittorie durante le guerra contro il
Madhi (Sudan), gli Zulu (Sudafrica) e i Boeri (Sudafrica e Botswana); la Germania decise di
sfidare la potenza navale e coloniale britannica dando inizio ad un piano imponente di
produzione navale e al contempo portando avanti una campagna coloniale anti-britannica,
senza dimenticare di tenere la Francia lontana dagli antichi splendori; la Francia diede inizio
ad una campagna nazionale anti-tedesca, che passava per la riconquista dei territori persi nel
1870 (Alsazia e Lorena), per recuperare il prestigio perso nella politica del continente; la
Russia, sconfitta nel 1905 dal Giappone e ormai impossibilitata a nuovi grandi ampliamenti
territoriali, puntava a trovare una vittoria militare contro la Germania per limitare la potenza
tedesca, che premeva verso est, e per recuperare parte del prestigio perduto. L'Italia nel
1914 era alleata di Austria e Germania. Questa alleanza era tutt'altro che solida. Se con la
Germania, l'alleanza era consolidata da decenni da vittorie militari e politiche, l'alleanza con
l'Austria era vista come “molto scomoda”. L'Italia, infatti, aveva ancora mire territoriali con
l'Austria-Ungheria (Trentino, Alto Adige, Friuli, Venezia-Giulia, Istria, Dalmazia), e gli
austriaci, non si fidarono mai del neo alleato italiano, che aveva strappato via una parte
dell'impero (Regno Lombardo Veneto); ma al contempo il Regno d'Italia non era certo felice
della politica coloniale italiana, che più volte arrivò a scontrarsi con la polita coloniale
italiana (la Tunisia, che divenne territorio francese, era nelle mire del Regno d'Italia, senza
contare le interferenze francesi nella politica italiana in Eritrea ed Etiopia).
Come si vede da questa allegoria, l'Europa che vive i primi quattordici anni del XX° secolo
è tutt'altro che tranquilla, e la definizione che più descrive la situazione è quella di una
“polveriera pronta ad esplodere”.
La politica italiana dal 1870 al 1914
Nel 1860, il Regno di Prussia diede il via ad una campagna di rafforzamento sugli altri stati
tedeschi a scapito dell'Impero d'Austria (all'epoca la Germania non esisteva e al suo posto
troviamo un numero molto alto di Stati, più o meno grandi, che si aggirava da 150 a 250, a
seconda del periodo). Nel 1866 la Coalizione Prussiana, formata da Regno di Prussia,
Regno d'Italia e Stati Tedeschi Settentrionali (più tradizionalmente legati alla Prussia), si
scontrò con la Coalizione Austriaca, formata dall'Impero d'Austria-Ungheria, Regno di
Baviera e dagli Stati Tedeschi Meridionali. La guerra fu molto breve e vide la sconfitta
dell'Austria che portò all'acquisizione del Veneto e di parte del Friuli da parte dell'Italia,
la nascita della Confederazione del Nord, legata a doppio filo alla Prussia, e aumento
dell'influenza prussiana e scapito dell'Austria, ormai incapace di essere il cardine della
politica tedesca. L'Italia nel 1870, prese parte, sempre come alleata dell'Impero tedesco, alla
guerra Franco-Prussiana, che vide l'annessione di Roma al Regno d'Italia (le truppe italiane
fisicamente non combatterono mai le truppe francesi ma fecero varie azioni di disturbo a
favore della Prussia). La Guerra Franco-Prussiana e la Guerra Austro-Prussiana disegnarono
la nuova geografia europea. Il Regno d'Italia, nel “Valzer” della politica di alleanze di
Bismark, nel 1882 si ritrovò alleata dell'Impero di Germania ma anche della vecchia
nemica: l'Austria.
Il Sistema di Fortificazioni Austriache sul Confine Italiano-Dolomitico
(Österreichische Festungswerke)
Il Forte Tre Sassi, sul Passo Valparola, rientrava nella serie di forti e campi trincerati,
posti al confine con il Regno d'Italia, costruiti dal governo imperiale di Vienna negli anni
fra il 1870 e il 1915. Lo scopo era quello di presidiare il confine con l'Italia (alleata
sgradita e mai veramente fidata) e, in caso di guerra, garantire la protezione dell'Impero
da qualsiasi azione militare italiana. Il sistema difensivo correva, quasi interamente, più
a nord rispetto al confine politico (considerato, dai genieri militari difficilmente
difendibile), e seguiva l'andamento naturale della conformazione territoriale. I forti e le
postazioni trincerate vennero collocate in punti di passaggio obbligati, come i passi di
montagna e guadi di fiume, o nei punti di vantaggio strategico in caso di una guerra.
A fianco dei forti, furono costruite, svariate postazioni fisse e mobili, come supporto:
campi trincerati fissi (come quello di Edelweiss, a fianco del Forte Tre Sassi),
sbarramenti stradali mobili, campi fortificati mobili e caserme.
Scopo delle fortificazioni era quello di impiegare un numero minimo di forze nel
presidiare il confine con il Regno d'Italia. L'Austria-Ungheria riteneva, il possibile fronte
italiano, come fronte secondario, mantenendo l'attenzione verso i possibili fronti con
l'Impero Russo e la Serbia. La presenza di questa forza
difensiva avrebbe dovuto essere anche un deterrente per
eventuali idee espansionistiche italiane. Gli analisti austriaci
ritenevano che, in caso di guerra, se si fosse bloccata, ad
oltranza, l'iniziale avanzata, si sarebbe costretto l'Italia ad un
blocco delle operazioni.
Forte Tre Sassi e il Campo Trincerato Austriaco Edelweiss
I primi, abbozzati, progetti del forte risalgono al 1850 circa, quando l'Austria diede
inizio alla costruzione di postazioni nei punti di frontiera con il Regno d'Italia (nel 1850,
la zona di Cortina d'Ampezzo e della linea Passo Falzarego-Passo Valparola era sulla
linea principale di collegamento fra la Baviera e il Nord della Germania e l'Italia; dal
1866, la zona, sempre in mano austriaca, divenne zona di frontiera) per la lotta al
contrabbando e contro le possibili unità criminali della zona. Il progetto del forte rimase
allo stadio di idea fino al 1867 quando, dopo la sconfitta nella Guerra Austro-Prussiana,
il governo dell'Impero decise di collocare postazioni difensive lungo il nuovo ed
aggiornato confine
con
il
Regno
d'Italia. I lavori
iniziarono nel 1897
e furono terminati
nel
1901,
con
alcune migliorie nel
1905 e nel 1910. La
funzione del forte,
che è situato fra il
Passo Falzarego e il
Passo Valparola, era
quella di sbarrare un
possibile tentativo
di
sfondamento
italiano verso la Val
Badia, Merano e
Bolzano,
che
avrebbe accerchiato
le forze austriache
nella zona di Trento, Rovereto e dell'Adamello-Ortles.
Il forte era dotato di cannoni leggeri, da 8cm e da 6cm (le due versioni dell'M98), di
quattro mitragliatrici, rivolte verso il Passo Falzarego e il Col di Lana, e un osservatorio
sul tetto per la segnalazione di movimenti di truppe. La guarnigione fissa del forte era
composta da 50 uomini, al comando di due ufficiali e due sottoufficiali, che avevano il
compito di presidiare il forte e il campo trincerato Edelweiss, a lato del forte. Durante la
guerra, la guarnigione, subì svariati cambiamenti di organico, arrivando a toccare anche
le 100 unità, dovendo presidiare, in alcuni periodi della guerra, alcune postazioni situate
a sud del campo trincerato, sul Sass de Stria.
La vita operativa del forte, nel periodo bellico, fu breve. Il 5 luglio 1915, alle 13.00, il
forte venne pesantemente colpito dalle artiglieria italiane, con granate da 210mm che
perforarono la copertura in calcestruzzo non armato e lesionarono la struttura. Il
comando austriaco decise che il forte era troppo danneggiato per continuare ad usarlo e
decise di abbandonarlo, ritirandosi nelle altre postazioni trincerate della zona,
continuando ad illuminare il forte con lanterne e candele. Lo scopo era quello di far
credere ai comandi italiani che il forte fosse ancora operativo, almeno parzialmente. Lo
stratagemma dell'illuminazione interna effettivamente ingannò l'artiglieria italiana che,
fino al settembre/ottobre 1916, colpì il forte ormai non operativo. Durante questo
periodo i soldati austriaci commentarono: “Agli italiani viene a costare di più
bombardarlo che agli austriaci costruirlo”, anche se non sappiamo quanto sia vero, dato
la mancanza di dati sul costo della costruzione del forte. Da fonti austriaci sappiamo che
ne primi due mesi furono sparate circo 80 proiettili da 210mm e 450 granate di vari
calibri. Da parte italiana non sappiamo quanto l'inganno sia stato valido, nel periodo del
bombardamento la zona del forte venne esplorata da unità di intelligence e sembrerebbe
strano che nessuno si accorse che il forte non era operativo, dato anche la mancanza di
attività da parte dell'artiglieria del forte. Il numero di colpi che colpirono il forte fu
comunque abbastanza bassa, rispetto alle possibilità operative, e queste informazioni
lasciano ipotizzare che il forte venne colpito per evitare che fosse riparato e tornasse in
servizio.
Oggi presso il forte, dopo un appropriato restauro, sorge il museo della Grande Guerra,
che è di proprietà della regola di Cortina d'Ampezzo. La vendita dell'immobile diede
origine a complesse e confuse trattative negli anni '30.
Le operazioni militari nella zona del Forte Tre Sassi
Durante la Prima Guerra Mondiale, la zona del Forte Tre Sassi, non fu particolarmente
protagonista di operazioni di guerra. La zona fu sopratutto protagonista durante le prime
fasi del conflitto. L'esercito italiano era interessato alla zona per cercare di sfondare nel
settore dell'alto trentino e del basso Alto Adige, verso Bolzano e Merano, per creare una
enorme sacca, tagliando così i collegamenti fra l'Impero e le truppe nella zona di Trento,
Rovereto e la zona Adamello Ortles.
Dopo l'iniziale, e limitata, avanzata lungo le cime fra la Marmolada e il Monte Cristallo,
che venne fermata dagli austriaci a nord-ovest di Cortina d'Ampezzo, la situazione
rimase di stallo. Per vedere il primi tentativi di azione italiana nel settore del forte
bisogna aspettare il 18 e il 19 ottobre 1915, quando due plotoni di alpini occuparono
alcune posizioni lungo il versante sud del Piccolo Lagazuoi, posizioni che vennero
ribattezzate Cengia Martini. Per cacciare gli avversari da queste posizioni, fortificate e
scavate nella roccia, gli austriaci fecero esplodere tre mine, la più potente delle quali il
22 maggio 1917 fece saltare in aria una parte della parete alta 199 metri e larga 136.
Nonostante ciò, le posizioni italiane sulla cengia non vennero abbandonate. A loro volta
gli italiani scavarono una galleria di duecento metri di dislivello all'interno della
montagna, fino all'anti-cima del Piccolo Lagazuoi. La mina italiana venne fatta brillare
20 giugno 1917. Dopo la battaglia di Caporetto, e la ritirata italiana sul Piave, gli italiani
si ritirarono da tutte le loro posizioni e le operazioni militari nella zona ebbero fine.
La trincea
La Prima Guerra Mondiale viene contraddistinta dall'uso massiccio della Trincea.
La Trincea, come mezzo di guerra difensiva, è usata da tempi antichi. Il primo esempio
documentato fu quello di Giulio Cesare durante l'assedio alla tribù di Vergingetorige,
dove i romani usarono la Trincea unita a fortificazioni in legno, sia per scopo offensivo
(assediare il villaggio) sia per scopi difensivi (difendersi contro le incursioni degli alleati
dei galli assediati). La Trincea, venne dimenticata durante il periodo Medievale fino al
1600, quando l'uso dei cannoni e delle armi da fuoco, fecero riscoprire la sua utilità.
Il primo uso moderno va ricercato nella Guerra Civile Americana (Guerra di Secessione)
quando, dal 1863, l'avanzata delle forze Unioniste (Nordisti) costrinse le forze
Confederate (Sudiste) alla difensiva e alla protezione delle città. Tanti furono gli assedi
che si susseguirono durante l'avanzata verso sud (Petersburg, Vicksburg, Atlanta,...) e in
tutti, le forze Confederate, nella loro eroica difesa, usarono le trincee per fermare le forze
nemiche. Il secondo grande uso fu nell'Estremo Oriente, durante la Guerra RussoGiapponese del 1905. Qui durante la ritirata delle forze russe, tallonate da quelle
giapponesi, si riscontra un ampio uso delle trincee, in particolare durante le battaglia
nella Penisola della Kamchatka. Il fronte italiano della Prima Guerra Mondiale, come gli
altri fronti di guerra, venne segnato dal massiccio uso delle trincee, ma con una
particolarità. Sugli altri fronti, il terreno e le
circostanze militari, portarono alla creazioni di
trincee temporanee, che solo successivamente
divennero trincee fisse. Queste trincee avevano
il problema che, essendo scavate nel fango,
erano soggette ad allagamenti quanto pioveva.
Durante le piogge autunnali ed invernali, i terreni di
battaglia divenivano un pantano, dove oltre al nemico,
il problema giornaliero era il fango e lo sporco.
Le trincee italiane invece evitarono o limitarono
questo problema.
Le trincee italiane ed austriache erano, per la
gran parte scavate nella roccia, limitando il
fango e gli allagamenti. Il fango e lo sporco
furono il nemico silenzioso dei fanti, anche nel
fronte italiano, ma molto limitato. Le trincee
italiane vennero più volte infestate da vari
animali infestanti:
• topi
• pulci
• mosche
• scarafaggi
causa l'uso massiccio di legno e paglia per difendersi dal freddo dell'inverno di
montagna.
Altra differenza, che ha contraddistinto il fronte italiano, fu la presenza o la
progettazione, di trinceramenti prima
ancora che la guerra ebbe inizio.
Poche furono le trincee provvisorie,
sorte durante le prime battaglie, la
maggior parte esisteva come rinforzo
a sistemi difensivi preesistenti o
erano già state progettate, dai vari
comandi, nelle varie azioni che si
sarebbero succedute.
La trincee moderna, che vedremo in
uso durante la Prima Guerra
Mondiale, erano complicati corridoi
che coprivano centinaia di chilometri,
e che avrebbero dovuto servire come
basi di lancio per offensive e come protezione dalle offensive nemiche.
Le trincee si presentavano con uno schema a zig-zag, con svolte a 90° e/o ampie curve,
che serviva a limitare i danni di eventuali esplosioni di bombe nella trincea e per rendere
più facile la difesa in caso che assalitori riuscissero ad entrare nella trincea. Sul fondo,
solitamente si usavano pietre o legno, per isolare i fanti dal terreno e limitare la
fanghiglia e il ristagno d'acqua; i bordi erano mantenuti in piedi da un sistema di assi di
legno, pietre o cemento, sia armato sia non armato, (per il fronte italiano ci si limitava
alle sole pietre, dato la presenza di pareti rocciose); sulla parte alta della trincea si
collocavano i sacchetti di sabbia che aveano la doppia funzione sia di evitare che l'acqua
cadesse dentro la trincea sia di aumentare il cono d'ombra della linea di fuoco,
proteggendo i soldati al loro interno. A distanze regolari troviamo scalette, più o meno
improvvisate, che servivano sia alle vedette per osservare i movimenti nemici sia per
l'assalto delle truppe che le usavano per uscire dalla trincea. Alternate alle scalette
avremmo trovato svariate postazioni di fucileria e nidi di mitragliatrici che servivano
come protezione dagli assalti nemici e come
luogo ideale di tiro per i cecchini. I nidi di
mitragliatrice spesso erano collocati non
frontalmente alla trincea nemica ma con l'apertura
di fuoco laterale in modo da rendere maggiore il
campo di fuoco e proteggere le postazioni dal
fuoco nemico, tramite coperture di sacchi di
sabbia e cemento. Lungo i camminamenti
trincerati avremmo potuto vedere piccole
postazioni attrezzate per la vita in trincea. Queste
postazioni, posizionate nelle rientranze lungo i
corridoi delle trincee erano fornite, solitamente,
da piccole stufe (usate sia per cucinare sia per
riscaldarsi) e venivano usate come luoghi di
pausa dalle truppe. Queste postazioni erano
costruite alla meglio, sfruttando la forma del
terreno. Alcune zone delle trincee vennero adibite
come riparo, con la costruzione di tettoie. Queste
tettoie, oltre a fornire una protezione dalle
schegge dei bombardamenti, sono utili alle truppe come protezione dalle intemperie
(pioggia, neve, sole,...). Le tettoie erano costruite solitamente in legno, con sopra sassi e
terra, anche se non mancarono le tettoie in lamiera, più o meno spesse.
Il sistema di trinceramenti italiani e austriaci
Durante la Prima Guerra Mondiale, ogni esercito elaborò una propria versioni delle linee
trincerate che correvano lungo il fronte di guerra. Il sistema italiano e quello austriaco erano
molto diversi e rispecchiavano due forme di visione militare. Fra le due concezioni, quella
più moderna era quella italiana. Il sistema di linee trincerate italiane si fondava sulla
presenza di 4 linee trincerate che dovevano operare in maniera sincrona, nella sue varie
parti. In ogni linee fungeva ad una particolare esigenze e le sue caratteristiche
rispecchiavano la sua funzione.
La 1° linea aveva il compito di fermare le avanzate della fanteria austriaca e di essere il
punto di partenza per le offensive italiane. Lungo la linea avremmo visto trinceramenti
complessi e articolati difesi da nidi di mitragliatrici. Alle sue spalle (fra 1 e 10 km) troviamo
postazioni di artiglieri leggera, con il compito di formare uno sbarramento di supporto della
prima linea in caso di attacco nemico o di avanzata contro il nemico. A ridosso della 1° linea
venivano collocati le postazioni mediche avanzate, dove oltre a smistare i feriti verso i centri
medici delle retrovie si curavano i soldati in quelle situazioni di normale amministrazione
medica. I dottori di queste postazioni mediche dovevano anche svolgere le funzioni di
controllo sanitario delle trincee.
Fra la 1° e la 2° linea venivano collocati
gli ospedali da campo dove i soldati
ricevevano le prime cure complesse.
Questi ospedali erano completi di tutto, e
il Regio Corpo Militare di Sanità fu il
primo a dotare questi ospedali da campo
di 1° linea di tende per fare le radiografie
direttamente sul campo. Questi siti medici
di 1° linea furono una grande innovazione
per il periodo, infatti per vederli in altri
eserciti del tempo dovremo aspettare il 1916, e alcuni non se ne doteranno mai (Francia,
Impero Ottomano, Impero Russo), costringendo i soldati feriti a trasferimenti senza prima
essere stati stabilizzati con una mortalità che saliva del 90%. Queste postazioni permisero di
curare molti soldati, con un aumento dell'efficacia pari al 35/45%.
La 2° linea si presentava come la 1° linea con un numero più alto di postazioni di artiglieria.
L'artiglieria presente nelle postazioni di 2° linea era di maggiore calibro. Sulla seconda linea
venivano collocati anche gli ospedali da campo nel caso non ci fosse la possibilità di
collocarli fra la 1° e la 2° linea.
Fra la 2° e la 3° linea erano allestiti centri medici completi per l'assistenza dei soldati dopo
le operazioni di emergenza fatte negli ospedali da campo. Questi centri erano di passaggio,
infatti i soldati qui stazionavano poco tempo. Se avevano bisogno di cura da lungo degenza
erano trasferiti nei centri di riabilitazione, posti dopo la 4° linea, altrimenti, in questi centri,
si svolgevano le cure necessarie per fare tornare in servizio i soldati feriti.
La 3° linea era di solito adibita allo smistamento delle informazioni e della logistica in
generale. Qui si collocavano le postazioni di smistamento di informazioni, della posta, dei
viveri e delle armi. Qui vennero collocate varie postazioni di artiglieria pesante a lunga
gittata, che aveva il compito di coprire la propria prima linea in caso di attacco o colpire
pesantemente la prima linea nemica.
La 4° linea era molto simile alla 3°, ma a differenza delle prime tre linee si presentava come
una rete meno intricata di trinceramenti, che di solito correvano a fianco delle fortificazioni
con artiglieria pesante. Il Regio esercito italiano pose i forti difensivi lungo le varie linee,
sfruttando i vantaggi che il terreno dava. Dietro la 4° linea troviamo gli ospedali per la
lungo degenza e la riabilitazione dei soldati feriti.
Questa divisione schematica non sempre venne seguita principalmente a causa della
distanza fra le linee che variava da zona a zona. I genieri poi cercarono sempre
l'adattamento al territorio, variando molto lo schema di base. Da ricordare la presenza
l'esistenza delle postazioni avanzate, che collocandosi davanti alla prima linea, nei punti più
complessi, raccoglievano spesso apparati che in condizioni normali sarebbero state divise
fra le varie linee (l'artiglieria era da montagna e smontabile, telegrafo, posta, centri medici
complessi, comandi,...).
Geograficamente le linee italiane si potevano identificare:
1° linea = Il fronte dei combattimenti, identificabile con il fiume Isonzo e le zone di
combattimento sulle dolomiti
2° linea = Fiume Tagliamento
3° linea = Fiume Isonzo
4° linea = Fiume Po – Fiume Mincio
Gli austriaci, seguendo la linea di principio di impiegare un numero minimo di uomini per
difendere le postazioni di confine, decisero di concentrare le forze in un unica linea.
Lo schema austriaco si svolgeva con la linea di fanteria coperta da nidi e postazioni di
mitragliatrice ai fianchi. Le mitragliatrici non erano rivolte direttamente verso la linea
italiana, ma erano rivolte verso di lato per aumentare l'area di fuoco e coprire con maggiore
precisione le proprie trincee. Alle spalle delle postazioni di mitragliatrici troviamo i forti e le
varie fortificazioni trincerate del Österreichische Festungswerke, dove venivano ospitate le
postazioni di soccorso da campo e i centri logistici. A distanza dai forti trincerati venivano
posti gli ospedali da campo.
Confrontando i due sistemi trincerati si può riscontrare che il sistema austriaco aveva il
vantaggio di concentrare il fuoco difensivo e i mezzi senza disperdere le forze, ma al
contempo si presentava come un sistema fisso e poco adatto a grandi spostamenti. Il sistema
italiano permetteva alle truppe di essere più mobili e di sopportare maggiori stress. Il
risultato fu che se l'esercito italiano dopo Caporetto poté ritirarsi in maniera da attestarsi
sulla terza linea, avendo una eventuale quarta linea di arretramento, l'esercito austro
ungarico si ritrovò costretto, durante l'avanzata verso il Piave, a rallentare per attendere la
copertura delle mitragliatrici che erano rimaste indietro e successivamente, durante la
ritirata di Vittorio Veneto, fu impossibilitato ad attestarsi su una qualsiasi linea di difesa,
lasciando la capitale Vienna e l'Impero a rischio di una invasione.
La guerra delle Mine
La zone del forte venne più volte interessata da una particolare tecnica di combattimenti:
l'uso delle mine sotterranee. La tecnica della mina risale al periodo del medioevo.
Durante il Medioevo l'assedio dei castelli era la parte più complessa delle guerre.
Prima che i castelli si dotassero di fossato, o quando i
fossati venivano asciugati dagli attaccanti, era possibile
eseguire una particolare manovra di assedio. Se il terreno
era morbido e non roccioso, gli attaccanti davano inizio a
una attività di scavo che consisteva in un tunnel che
terminava sotto le fondamenta delle mura e delle torri. A
questo punto si costruiva una camera dove si spargeva
pece, per poi portare al suo interno un numero variabile
di maiali. A questo punto si chiudeva la camera con
mattoni e tramite una miccia si dava fuoco alla pece.
Nella camera, l'unione fra pece e grasso di maiale,
faceva raggiungere una temperatura sufficiente da
danneggiare ed indebolire le strutture in muratura, oltre a
danneggiare le parti in legno delle fondamenta. Se il
lavoro era svolto correttamente le mura sarebbero
crollate, permettendo l'assalto.
Questa tecnica rimase un po' dimentica da parte dei comandanti militari. Furono i turchi
a reintrodurla in Europa durante l'Assedio di Vienna. I turchi, per piegare la resistenza
della città, fecero esplodere almeno 4 mine sotto le mura viennesi. Le forze viennesi, per
difendere la città intrapresero una singolare difesa. Sapendo di non poter resistere ad
altre esplosioni (il bastione Loebhel, davanti alla pianura del Kahlenberg, era ormai a
pezzi e un altra mina avrebbe fatto crollare le difese) misero in atto azioni sotterranee
contro le forze turche che preparavano la mina (per scovare i punti di scavo si misero dei
piselli sul un tamburo. Se sul tamburo, che era posato a terra, i piselli saltavano voleva
dire che sotto si scavava e i difensori allora davano inizio ad una scavo per fermare i
turchi). La mina decisiva venne disinnescata solo a pochi secondi dalla esplosione,
mentre nella piana di Kahlenberg le forze turche veniva travolte dalla carica di cavalleria
degli Ussari alati di Polonia (12 settembre 1683). I turchi per le loro mine, usarono per la
prima volta la polvere da sparo, in sostituzione della pece e dei maiali, ma il resto della
tecnica rimaneva uguale. La tecnica delle mine, divenne, dal 1800, più utilizzata. Il
primo vero uso massiccio delle mine avvenne durante la Guerra Civile Americana,
quando le forze della Confederazione, in ritirata dal 1863 si trincerarono a difesa delle
città del Sud. La prima grande mina Unionista contro i sudisti fu fatta esplodere sotto le
linee di Petersburg (30 luglio 1864), ma andò male per gli attaccanti che non riuscirono a
sfruttare il vantaggio e finirono a loro volta nel buco creato. Le truppe unioniste cadute
nel cratere, durante la carica, riportarono 504 morti, 1.881 feriti e 1.413 catturati e
dispersi, contro 361 morti, 727 feriti e 403 catturati o dispersi. Le mine vennero usate
massicciamente sul fronte francese durante la Grande Guerra. Sul fronte Italiano le mine
ebbero gli effetti più evidenti dato la conformità del territorio. I genieri ebbero però non
pochi problemi nella loro collocazione, dato la durezza dei terreni da scavare. Per
ovviare a questi problemi si decise spesso di far brillare le mine in superficie e non sotto.
Le opere di scavo delle
gallerie e delle camere di
esplosione
non
furono
semplici. Bisognava scavare
un tunnel, a volte lungo
centinaia di metri, stando
attenti a infiltrazioni d'acqua,
ai gas del sottosuolo e ai
crolli del terreno scavato.
Come si vede da questa
immagine i tunnel erano
puntellati da assi di legno
che ricoprivano le pareti e il
soffitto, il tutto rafforzato
con travi e puntelli.
Il problema principale era
l'aria per respirare, in
particolare nei tunnel molto
lunghi, e le trovate furono
ingegnose
e,
spesso
sperimentali. Solitamente si
usavano pompe a mano che
creavano un circolo forzato
d'aria, ma poteva capitare
che questo circolo d'aria
creasse problemi a causa
della
polvere,
che
muovendosi, poteva rendere
difficile la visibilità, e allora
le soluzioni più adoperate
furono: sfiati d'aria in
superficie (usati sopratutto
dagli americani); e l'uso di
un tubo che il soldato che scavava e che doveva servire a farlo respirare (come si vede
dall'immagine).
I tunnel di scavo spesso seguivano le conformazione del terreno, con vari sali e scendi,
ma si è sempre tenuto una curva all'ingresso della camera di scoppio
Le camere di esplosione venivano sempre chiuse con dei mattoni in moda da non
disperdere la forza esplosiva nel tunnel, ma indirizzandola tutta verso la superficie.
L'entrata era sempre rinforzata
per evitare crolli a causa delle
bombe
nemiche.
Capitava
spesso che l'artiglieria nemica,
per evitare e rallentare gli scavi,
sparasse nelle zone dove si
riteneva che si stesse scavando.
Le operazioni di scavo si
svolgevano sempre nel riservo
più
assoluto
per
non
compromettere
il
risultato
dell'esplosione.
La guerra alpina
Il fronte italiano fu uno dei fronti più spettacolari della storia militare. Durante la Prima
Guerra Mondiale lungo le montagne delle Dolomiti si arrivò a combattere fino ai 3.000
metri di altezza, con duelli di artiglieria di montagna fra i vari contendenti. Le truppe
alpine italiane e austriache si affrontarono lungo le cime innevate, con rischi
decisamente maggiori rispetto agli altri fronti. Più del 35% delle perdite militari furono
causate da frane, cadute dalle pareti e da valanghe.
Le trincee vennero più volte posizionate in luoghi al limite delle possibilità. Caso
particolare fu la Città di Ghiaccio austriaca, scavata dentro il ghiacciaio della
Marmolada. Molte postazioni furono costruite lungo le
pareti rocciose a strapiombo, lungo i vecchi sentieri di
montagna. Le postazioni militari venivano rifornite
tramite:
• muli
• trasporto a spalla
• teleferica
Entrambi gli eserciti dovettero ingegnarsi per rifornire
le postazioni avanzate. Fra i due eserciti il Regio
Esercito si dimostrò migliore arrivando non solo a
fornire le materie prime per continuare le operazioni
militari, ma arrivando a consegnare regolarmente la
posta e riscendo a fornire il necessario per allestire,
anche in queste postazioni, posti medici attrezzati e
riuscendo a trasferire i feriti in tempi molto rapidi.