Presentazione Gita 2 ottobre 2016 ----------------------------------------- Passo Valparola, Forte Tre Sassi e Campo Trincerato Austriaco Edelweiss L'Europa del 1914 Nel 1914 gli equilibri europei sono già da tempo in movimento e la situazione politica del continente era divenuta esplosiva. Formalmente, nel continente, regnava la pace: infatti era dal 1870 che nel continente non si registravano scontri armati fra Nazioni. Questa “pace” era nata dalla politica del Cancelliere tedesco Otto von Bismark, che nel ventennio 18701890 aveva stretto l'Europa nella sua politica di alleanze incrociate. La politica di Bismark poggiava sul programma di congelare le posizioni sul continente tramite una lunga serie di accordi che avrebbero dovuto mantenere lo status quo nel continente (il Trattato dei Tre Imperatori, che univa gli imperi di Austria, Germania e Austri, è stato il trionfo della politica Bismarkiana). Se sul continente Europa la politica di Bismark ebbe effetto dal 1870 al 1914, non si può dire lo stesso per gli altri continenti. Se le Nazioni europee non poteva affrontarsi direttamente, decisero di farlo sul terreno coloniale. Africa e Asia divennero terreno di confronto fra le truppe coloniali dei vari Imperi. In Asia troviamo la guerra a distanza fra Regno Unito e Impero Russo, che vedrà l'Afghanistan come territorio conteso e più volte passato di mano. Questa “strana guerra”, che non vedrà quasi mai i due eserciti scontrarsi direttamente, verrà chiamato “Il Grande Gioco”. In Africa lo scontro si giocherà, sia sul piano militare (guerra boera, la rivolta del Madhi in Sudan – alla quale prenderà parte anche l'Italia come alleato della Gran Bretagna – scontro contro gli zulu, nascita della colonia belga del Congo), sia sul piano delle esplorazioni, che vedrà una corsa verso le parti ancora inesplorate del continente. Questi scontri lasciarono non pochi strascichi fra le Cancellerie europee. La Gran Bretagna si vide ridimensionata causa le non brillanti vittorie durante le guerra contro il Madhi (Sudan), gli Zulu (Sudafrica) e i Boeri (Sudafrica e Botswana); la Germania decise di sfidare la potenza navale e coloniale britannica dando inizio ad un piano imponente di produzione navale e al contempo portando avanti una campagna coloniale anti-britannica, senza dimenticare di tenere la Francia lontana dagli antichi splendori; la Francia diede inizio ad una campagna nazionale anti-tedesca, che passava per la riconquista dei territori persi nel 1870 (Alsazia e Lorena), per recuperare il prestigio perso nella politica del continente; la Russia, sconfitta nel 1905 dal Giappone e ormai impossibilitata a nuovi grandi ampliamenti territoriali, puntava a trovare una vittoria militare contro la Germania per limitare la potenza tedesca, che premeva verso est, e per recuperare parte del prestigio perduto. L'Italia nel 1914 era alleata di Austria e Germania. Questa alleanza era tutt'altro che solida. Se con la Germania, l'alleanza era consolidata da decenni da vittorie militari e politiche, l'alleanza con l'Austria era vista come “molto scomoda”. L'Italia, infatti, aveva ancora mire territoriali con l'Austria-Ungheria (Trentino, Alto Adige, Friuli, Venezia-Giulia, Istria, Dalmazia), e gli austriaci, non si fidarono mai del neo alleato italiano, che aveva strappato via una parte dell'impero (Regno Lombardo Veneto); ma al contempo il Regno d'Italia non era certo felice della politica coloniale italiana, che più volte arrivò a scontrarsi con la polita coloniale italiana (la Tunisia, che divenne territorio francese, era nelle mire del Regno d'Italia, senza contare le interferenze francesi nella politica italiana in Eritrea ed Etiopia). Come si vede da questa allegoria, l'Europa che vive i primi quattordici anni del XX° secolo è tutt'altro che tranquilla, e la definizione che più descrive la situazione è quella di una “polveriera pronta ad esplodere”. La politica italiana dal 1870 al 1914 Nel 1860, il Regno di Prussia diede il via ad una campagna di rafforzamento sugli altri stati tedeschi a scapito dell'Impero d'Austria (all'epoca la Germania non esisteva e al suo posto troviamo un numero molto alto di Stati, più o meno grandi, che si aggirava da 150 a 250, a seconda del periodo). Nel 1866 la Coalizione Prussiana, formata da Regno di Prussia, Regno d'Italia e Stati Tedeschi Settentrionali (più tradizionalmente legati alla Prussia), si scontrò con la Coalizione Austriaca, formata dall'Impero d'Austria-Ungheria, Regno di Baviera e dagli Stati Tedeschi Meridionali. La guerra fu molto breve e vide la sconfitta dell'Austria che portò all'acquisizione del Veneto e di parte del Friuli da parte dell'Italia, la nascita della Confederazione del Nord, legata a doppio filo alla Prussia, e aumento dell'influenza prussiana e scapito dell'Austria, ormai incapace di essere il cardine della politica tedesca. L'Italia nel 1870, prese parte, sempre come alleata dell'Impero tedesco, alla guerra Franco-Prussiana, che vide l'annessione di Roma al Regno d'Italia (le truppe italiane fisicamente non combatterono mai le truppe francesi ma fecero varie azioni di disturbo a favore della Prussia). La Guerra Franco-Prussiana e la Guerra Austro-Prussiana disegnarono la nuova geografia europea. Il Regno d'Italia, nel “Valzer” della politica di alleanze di Bismark, nel 1882 si ritrovò alleata dell'Impero di Germania ma anche della vecchia nemica: l'Austria. Il Sistema di Fortificazioni Austriache sul Confine Italiano-Dolomitico (Österreichische Festungswerke) Il Forte Tre Sassi, sul Passo Valparola, rientrava nella serie di forti e campi trincerati, posti al confine con il Regno d'Italia, costruiti dal governo imperiale di Vienna negli anni fra il 1870 e il 1915. Lo scopo era quello di presidiare il confine con l'Italia (alleata sgradita e mai veramente fidata) e, in caso di guerra, garantire la protezione dell'Impero da qualsiasi azione militare italiana. Il sistema difensivo correva, quasi interamente, più a nord rispetto al confine politico (considerato, dai genieri militari difficilmente difendibile), e seguiva l'andamento naturale della conformazione territoriale. I forti e le postazioni trincerate vennero collocate in punti di passaggio obbligati, come i passi di montagna e guadi di fiume, o nei punti di vantaggio strategico in caso di una guerra. A fianco dei forti, furono costruite, svariate postazioni fisse e mobili, come supporto: campi trincerati fissi (come quello di Edelweiss, a fianco del Forte Tre Sassi), sbarramenti stradali mobili, campi fortificati mobili e caserme. Scopo delle fortificazioni era quello di impiegare un numero minimo di forze nel presidiare il confine con il Regno d'Italia. L'Austria-Ungheria riteneva, il possibile fronte italiano, come fronte secondario, mantenendo l'attenzione verso i possibili fronti con l'Impero Russo e la Serbia. La presenza di questa forza difensiva avrebbe dovuto essere anche un deterrente per eventuali idee espansionistiche italiane. Gli analisti austriaci ritenevano che, in caso di guerra, se si fosse bloccata, ad oltranza, l'iniziale avanzata, si sarebbe costretto l'Italia ad un blocco delle operazioni. Forte Tre Sassi e il Campo Trincerato Austriaco Edelweiss I primi, abbozzati, progetti del forte risalgono al 1850 circa, quando l'Austria diede inizio alla costruzione di postazioni nei punti di frontiera con il Regno d'Italia (nel 1850, la zona di Cortina d'Ampezzo e della linea Passo Falzarego-Passo Valparola era sulla linea principale di collegamento fra la Baviera e il Nord della Germania e l'Italia; dal 1866, la zona, sempre in mano austriaca, divenne zona di frontiera) per la lotta al contrabbando e contro le possibili unità criminali della zona. Il progetto del forte rimase allo stadio di idea fino al 1867 quando, dopo la sconfitta nella Guerra Austro-Prussiana, il governo dell'Impero decise di collocare postazioni difensive lungo il nuovo ed aggiornato confine con il Regno d'Italia. I lavori iniziarono nel 1897 e furono terminati nel 1901, con alcune migliorie nel 1905 e nel 1910. La funzione del forte, che è situato fra il Passo Falzarego e il Passo Valparola, era quella di sbarrare un possibile tentativo di sfondamento italiano verso la Val Badia, Merano e Bolzano, che avrebbe accerchiato le forze austriache nella zona di Trento, Rovereto e dell'Adamello-Ortles. Il forte era dotato di cannoni leggeri, da 8cm e da 6cm (le due versioni dell'M98), di quattro mitragliatrici, rivolte verso il Passo Falzarego e il Col di Lana, e un osservatorio sul tetto per la segnalazione di movimenti di truppe. La guarnigione fissa del forte era composta da 50 uomini, al comando di due ufficiali e due sottoufficiali, che avevano il compito di presidiare il forte e il campo trincerato Edelweiss, a lato del forte. Durante la guerra, la guarnigione, subì svariati cambiamenti di organico, arrivando a toccare anche le 100 unità, dovendo presidiare, in alcuni periodi della guerra, alcune postazioni situate a sud del campo trincerato, sul Sass de Stria. La vita operativa del forte, nel periodo bellico, fu breve. Il 5 luglio 1915, alle 13.00, il forte venne pesantemente colpito dalle artiglieria italiane, con granate da 210mm che perforarono la copertura in calcestruzzo non armato e lesionarono la struttura. Il comando austriaco decise che il forte era troppo danneggiato per continuare ad usarlo e decise di abbandonarlo, ritirandosi nelle altre postazioni trincerate della zona, continuando ad illuminare il forte con lanterne e candele. Lo scopo era quello di far credere ai comandi italiani che il forte fosse ancora operativo, almeno parzialmente. Lo stratagemma dell'illuminazione interna effettivamente ingannò l'artiglieria italiana che, fino al settembre/ottobre 1916, colpì il forte ormai non operativo. Durante questo periodo i soldati austriaci commentarono: “Agli italiani viene a costare di più bombardarlo che agli austriaci costruirlo”, anche se non sappiamo quanto sia vero, dato la mancanza di dati sul costo della costruzione del forte. Da fonti austriaci sappiamo che ne primi due mesi furono sparate circo 80 proiettili da 210mm e 450 granate di vari calibri. Da parte italiana non sappiamo quanto l'inganno sia stato valido, nel periodo del bombardamento la zona del forte venne esplorata da unità di intelligence e sembrerebbe strano che nessuno si accorse che il forte non era operativo, dato anche la mancanza di attività da parte dell'artiglieria del forte. Il numero di colpi che colpirono il forte fu comunque abbastanza bassa, rispetto alle possibilità operative, e queste informazioni lasciano ipotizzare che il forte venne colpito per evitare che fosse riparato e tornasse in servizio. Oggi presso il forte, dopo un appropriato restauro, sorge il museo della Grande Guerra, che è di proprietà della regola di Cortina d'Ampezzo. La vendita dell'immobile diede origine a complesse e confuse trattative negli anni '30. Le operazioni militari nella zona del Forte Tre Sassi Durante la Prima Guerra Mondiale, la zona del Forte Tre Sassi, non fu particolarmente protagonista di operazioni di guerra. La zona fu sopratutto protagonista durante le prime fasi del conflitto. L'esercito italiano era interessato alla zona per cercare di sfondare nel settore dell'alto trentino e del basso Alto Adige, verso Bolzano e Merano, per creare una enorme sacca, tagliando così i collegamenti fra l'Impero e le truppe nella zona di Trento, Rovereto e la zona Adamello Ortles. Dopo l'iniziale, e limitata, avanzata lungo le cime fra la Marmolada e il Monte Cristallo, che venne fermata dagli austriaci a nord-ovest di Cortina d'Ampezzo, la situazione rimase di stallo. Per vedere il primi tentativi di azione italiana nel settore del forte bisogna aspettare il 18 e il 19 ottobre 1915, quando due plotoni di alpini occuparono alcune posizioni lungo il versante sud del Piccolo Lagazuoi, posizioni che vennero ribattezzate Cengia Martini. Per cacciare gli avversari da queste posizioni, fortificate e scavate nella roccia, gli austriaci fecero esplodere tre mine, la più potente delle quali il 22 maggio 1917 fece saltare in aria una parte della parete alta 199 metri e larga 136. Nonostante ciò, le posizioni italiane sulla cengia non vennero abbandonate. A loro volta gli italiani scavarono una galleria di duecento metri di dislivello all'interno della montagna, fino all'anti-cima del Piccolo Lagazuoi. La mina italiana venne fatta brillare 20 giugno 1917. Dopo la battaglia di Caporetto, e la ritirata italiana sul Piave, gli italiani si ritirarono da tutte le loro posizioni e le operazioni militari nella zona ebbero fine. La trincea La Prima Guerra Mondiale viene contraddistinta dall'uso massiccio della Trincea. La Trincea, come mezzo di guerra difensiva, è usata da tempi antichi. Il primo esempio documentato fu quello di Giulio Cesare durante l'assedio alla tribù di Vergingetorige, dove i romani usarono la Trincea unita a fortificazioni in legno, sia per scopo offensivo (assediare il villaggio) sia per scopi difensivi (difendersi contro le incursioni degli alleati dei galli assediati). La Trincea, venne dimenticata durante il periodo Medievale fino al 1600, quando l'uso dei cannoni e delle armi da fuoco, fecero riscoprire la sua utilità. Il primo uso moderno va ricercato nella Guerra Civile Americana (Guerra di Secessione) quando, dal 1863, l'avanzata delle forze Unioniste (Nordisti) costrinse le forze Confederate (Sudiste) alla difensiva e alla protezione delle città. Tanti furono gli assedi che si susseguirono durante l'avanzata verso sud (Petersburg, Vicksburg, Atlanta,...) e in tutti, le forze Confederate, nella loro eroica difesa, usarono le trincee per fermare le forze nemiche. Il secondo grande uso fu nell'Estremo Oriente, durante la Guerra RussoGiapponese del 1905. Qui durante la ritirata delle forze russe, tallonate da quelle giapponesi, si riscontra un ampio uso delle trincee, in particolare durante le battaglia nella Penisola della Kamchatka. Il fronte italiano della Prima Guerra Mondiale, come gli altri fronti di guerra, venne segnato dal massiccio uso delle trincee, ma con una particolarità. Sugli altri fronti, il terreno e le circostanze militari, portarono alla creazioni di trincee temporanee, che solo successivamente divennero trincee fisse. Queste trincee avevano il problema che, essendo scavate nel fango, erano soggette ad allagamenti quanto pioveva. Durante le piogge autunnali ed invernali, i terreni di battaglia divenivano un pantano, dove oltre al nemico, il problema giornaliero era il fango e lo sporco. Le trincee italiane invece evitarono o limitarono questo problema. Le trincee italiane ed austriache erano, per la gran parte scavate nella roccia, limitando il fango e gli allagamenti. Il fango e lo sporco furono il nemico silenzioso dei fanti, anche nel fronte italiano, ma molto limitato. Le trincee italiane vennero più volte infestate da vari animali infestanti: • topi • pulci • mosche • scarafaggi causa l'uso massiccio di legno e paglia per difendersi dal freddo dell'inverno di montagna. Altra differenza, che ha contraddistinto il fronte italiano, fu la presenza o la progettazione, di trinceramenti prima ancora che la guerra ebbe inizio. Poche furono le trincee provvisorie, sorte durante le prime battaglie, la maggior parte esisteva come rinforzo a sistemi difensivi preesistenti o erano già state progettate, dai vari comandi, nelle varie azioni che si sarebbero succedute. La trincee moderna, che vedremo in uso durante la Prima Guerra Mondiale, erano complicati corridoi che coprivano centinaia di chilometri, e che avrebbero dovuto servire come basi di lancio per offensive e come protezione dalle offensive nemiche. Le trincee si presentavano con uno schema a zig-zag, con svolte a 90° e/o ampie curve, che serviva a limitare i danni di eventuali esplosioni di bombe nella trincea e per rendere più facile la difesa in caso che assalitori riuscissero ad entrare nella trincea. Sul fondo, solitamente si usavano pietre o legno, per isolare i fanti dal terreno e limitare la fanghiglia e il ristagno d'acqua; i bordi erano mantenuti in piedi da un sistema di assi di legno, pietre o cemento, sia armato sia non armato, (per il fronte italiano ci si limitava alle sole pietre, dato la presenza di pareti rocciose); sulla parte alta della trincea si collocavano i sacchetti di sabbia che aveano la doppia funzione sia di evitare che l'acqua cadesse dentro la trincea sia di aumentare il cono d'ombra della linea di fuoco, proteggendo i soldati al loro interno. A distanze regolari troviamo scalette, più o meno improvvisate, che servivano sia alle vedette per osservare i movimenti nemici sia per l'assalto delle truppe che le usavano per uscire dalla trincea. Alternate alle scalette avremmo trovato svariate postazioni di fucileria e nidi di mitragliatrici che servivano come protezione dagli assalti nemici e come luogo ideale di tiro per i cecchini. I nidi di mitragliatrice spesso erano collocati non frontalmente alla trincea nemica ma con l'apertura di fuoco laterale in modo da rendere maggiore il campo di fuoco e proteggere le postazioni dal fuoco nemico, tramite coperture di sacchi di sabbia e cemento. Lungo i camminamenti trincerati avremmo potuto vedere piccole postazioni attrezzate per la vita in trincea. Queste postazioni, posizionate nelle rientranze lungo i corridoi delle trincee erano fornite, solitamente, da piccole stufe (usate sia per cucinare sia per riscaldarsi) e venivano usate come luoghi di pausa dalle truppe. Queste postazioni erano costruite alla meglio, sfruttando la forma del terreno. Alcune zone delle trincee vennero adibite come riparo, con la costruzione di tettoie. Queste tettoie, oltre a fornire una protezione dalle schegge dei bombardamenti, sono utili alle truppe come protezione dalle intemperie (pioggia, neve, sole,...). Le tettoie erano costruite solitamente in legno, con sopra sassi e terra, anche se non mancarono le tettoie in lamiera, più o meno spesse. Il sistema di trinceramenti italiani e austriaci Durante la Prima Guerra Mondiale, ogni esercito elaborò una propria versioni delle linee trincerate che correvano lungo il fronte di guerra. Il sistema italiano e quello austriaco erano molto diversi e rispecchiavano due forme di visione militare. Fra le due concezioni, quella più moderna era quella italiana. Il sistema di linee trincerate italiane si fondava sulla presenza di 4 linee trincerate che dovevano operare in maniera sincrona, nella sue varie parti. In ogni linee fungeva ad una particolare esigenze e le sue caratteristiche rispecchiavano la sua funzione. La 1° linea aveva il compito di fermare le avanzate della fanteria austriaca e di essere il punto di partenza per le offensive italiane. Lungo la linea avremmo visto trinceramenti complessi e articolati difesi da nidi di mitragliatrici. Alle sue spalle (fra 1 e 10 km) troviamo postazioni di artiglieri leggera, con il compito di formare uno sbarramento di supporto della prima linea in caso di attacco nemico o di avanzata contro il nemico. A ridosso della 1° linea venivano collocati le postazioni mediche avanzate, dove oltre a smistare i feriti verso i centri medici delle retrovie si curavano i soldati in quelle situazioni di normale amministrazione medica. I dottori di queste postazioni mediche dovevano anche svolgere le funzioni di controllo sanitario delle trincee. Fra la 1° e la 2° linea venivano collocati gli ospedali da campo dove i soldati ricevevano le prime cure complesse. Questi ospedali erano completi di tutto, e il Regio Corpo Militare di Sanità fu il primo a dotare questi ospedali da campo di 1° linea di tende per fare le radiografie direttamente sul campo. Questi siti medici di 1° linea furono una grande innovazione per il periodo, infatti per vederli in altri eserciti del tempo dovremo aspettare il 1916, e alcuni non se ne doteranno mai (Francia, Impero Ottomano, Impero Russo), costringendo i soldati feriti a trasferimenti senza prima essere stati stabilizzati con una mortalità che saliva del 90%. Queste postazioni permisero di curare molti soldati, con un aumento dell'efficacia pari al 35/45%. La 2° linea si presentava come la 1° linea con un numero più alto di postazioni di artiglieria. L'artiglieria presente nelle postazioni di 2° linea era di maggiore calibro. Sulla seconda linea venivano collocati anche gli ospedali da campo nel caso non ci fosse la possibilità di collocarli fra la 1° e la 2° linea. Fra la 2° e la 3° linea erano allestiti centri medici completi per l'assistenza dei soldati dopo le operazioni di emergenza fatte negli ospedali da campo. Questi centri erano di passaggio, infatti i soldati qui stazionavano poco tempo. Se avevano bisogno di cura da lungo degenza erano trasferiti nei centri di riabilitazione, posti dopo la 4° linea, altrimenti, in questi centri, si svolgevano le cure necessarie per fare tornare in servizio i soldati feriti. La 3° linea era di solito adibita allo smistamento delle informazioni e della logistica in generale. Qui si collocavano le postazioni di smistamento di informazioni, della posta, dei viveri e delle armi. Qui vennero collocate varie postazioni di artiglieria pesante a lunga gittata, che aveva il compito di coprire la propria prima linea in caso di attacco o colpire pesantemente la prima linea nemica. La 4° linea era molto simile alla 3°, ma a differenza delle prime tre linee si presentava come una rete meno intricata di trinceramenti, che di solito correvano a fianco delle fortificazioni con artiglieria pesante. Il Regio esercito italiano pose i forti difensivi lungo le varie linee, sfruttando i vantaggi che il terreno dava. Dietro la 4° linea troviamo gli ospedali per la lungo degenza e la riabilitazione dei soldati feriti. Questa divisione schematica non sempre venne seguita principalmente a causa della distanza fra le linee che variava da zona a zona. I genieri poi cercarono sempre l'adattamento al territorio, variando molto lo schema di base. Da ricordare la presenza l'esistenza delle postazioni avanzate, che collocandosi davanti alla prima linea, nei punti più complessi, raccoglievano spesso apparati che in condizioni normali sarebbero state divise fra le varie linee (l'artiglieria era da montagna e smontabile, telegrafo, posta, centri medici complessi, comandi,...). Geograficamente le linee italiane si potevano identificare: 1° linea = Il fronte dei combattimenti, identificabile con il fiume Isonzo e le zone di combattimento sulle dolomiti 2° linea = Fiume Tagliamento 3° linea = Fiume Isonzo 4° linea = Fiume Po – Fiume Mincio Gli austriaci, seguendo la linea di principio di impiegare un numero minimo di uomini per difendere le postazioni di confine, decisero di concentrare le forze in un unica linea. Lo schema austriaco si svolgeva con la linea di fanteria coperta da nidi e postazioni di mitragliatrice ai fianchi. Le mitragliatrici non erano rivolte direttamente verso la linea italiana, ma erano rivolte verso di lato per aumentare l'area di fuoco e coprire con maggiore precisione le proprie trincee. Alle spalle delle postazioni di mitragliatrici troviamo i forti e le varie fortificazioni trincerate del Österreichische Festungswerke, dove venivano ospitate le postazioni di soccorso da campo e i centri logistici. A distanza dai forti trincerati venivano posti gli ospedali da campo. Confrontando i due sistemi trincerati si può riscontrare che il sistema austriaco aveva il vantaggio di concentrare il fuoco difensivo e i mezzi senza disperdere le forze, ma al contempo si presentava come un sistema fisso e poco adatto a grandi spostamenti. Il sistema italiano permetteva alle truppe di essere più mobili e di sopportare maggiori stress. Il risultato fu che se l'esercito italiano dopo Caporetto poté ritirarsi in maniera da attestarsi sulla terza linea, avendo una eventuale quarta linea di arretramento, l'esercito austro ungarico si ritrovò costretto, durante l'avanzata verso il Piave, a rallentare per attendere la copertura delle mitragliatrici che erano rimaste indietro e successivamente, durante la ritirata di Vittorio Veneto, fu impossibilitato ad attestarsi su una qualsiasi linea di difesa, lasciando la capitale Vienna e l'Impero a rischio di una invasione. La guerra delle Mine La zone del forte venne più volte interessata da una particolare tecnica di combattimenti: l'uso delle mine sotterranee. La tecnica della mina risale al periodo del medioevo. Durante il Medioevo l'assedio dei castelli era la parte più complessa delle guerre. Prima che i castelli si dotassero di fossato, o quando i fossati venivano asciugati dagli attaccanti, era possibile eseguire una particolare manovra di assedio. Se il terreno era morbido e non roccioso, gli attaccanti davano inizio a una attività di scavo che consisteva in un tunnel che terminava sotto le fondamenta delle mura e delle torri. A questo punto si costruiva una camera dove si spargeva pece, per poi portare al suo interno un numero variabile di maiali. A questo punto si chiudeva la camera con mattoni e tramite una miccia si dava fuoco alla pece. Nella camera, l'unione fra pece e grasso di maiale, faceva raggiungere una temperatura sufficiente da danneggiare ed indebolire le strutture in muratura, oltre a danneggiare le parti in legno delle fondamenta. Se il lavoro era svolto correttamente le mura sarebbero crollate, permettendo l'assalto. Questa tecnica rimase un po' dimentica da parte dei comandanti militari. Furono i turchi a reintrodurla in Europa durante l'Assedio di Vienna. I turchi, per piegare la resistenza della città, fecero esplodere almeno 4 mine sotto le mura viennesi. Le forze viennesi, per difendere la città intrapresero una singolare difesa. Sapendo di non poter resistere ad altre esplosioni (il bastione Loebhel, davanti alla pianura del Kahlenberg, era ormai a pezzi e un altra mina avrebbe fatto crollare le difese) misero in atto azioni sotterranee contro le forze turche che preparavano la mina (per scovare i punti di scavo si misero dei piselli sul un tamburo. Se sul tamburo, che era posato a terra, i piselli saltavano voleva dire che sotto si scavava e i difensori allora davano inizio ad una scavo per fermare i turchi). La mina decisiva venne disinnescata solo a pochi secondi dalla esplosione, mentre nella piana di Kahlenberg le forze turche veniva travolte dalla carica di cavalleria degli Ussari alati di Polonia (12 settembre 1683). I turchi per le loro mine, usarono per la prima volta la polvere da sparo, in sostituzione della pece e dei maiali, ma il resto della tecnica rimaneva uguale. La tecnica delle mine, divenne, dal 1800, più utilizzata. Il primo vero uso massiccio delle mine avvenne durante la Guerra Civile Americana, quando le forze della Confederazione, in ritirata dal 1863 si trincerarono a difesa delle città del Sud. La prima grande mina Unionista contro i sudisti fu fatta esplodere sotto le linee di Petersburg (30 luglio 1864), ma andò male per gli attaccanti che non riuscirono a sfruttare il vantaggio e finirono a loro volta nel buco creato. Le truppe unioniste cadute nel cratere, durante la carica, riportarono 504 morti, 1.881 feriti e 1.413 catturati e dispersi, contro 361 morti, 727 feriti e 403 catturati o dispersi. Le mine vennero usate massicciamente sul fronte francese durante la Grande Guerra. Sul fronte Italiano le mine ebbero gli effetti più evidenti dato la conformità del territorio. I genieri ebbero però non pochi problemi nella loro collocazione, dato la durezza dei terreni da scavare. Per ovviare a questi problemi si decise spesso di far brillare le mine in superficie e non sotto. Le opere di scavo delle gallerie e delle camere di esplosione non furono semplici. Bisognava scavare un tunnel, a volte lungo centinaia di metri, stando attenti a infiltrazioni d'acqua, ai gas del sottosuolo e ai crolli del terreno scavato. Come si vede da questa immagine i tunnel erano puntellati da assi di legno che ricoprivano le pareti e il soffitto, il tutto rafforzato con travi e puntelli. Il problema principale era l'aria per respirare, in particolare nei tunnel molto lunghi, e le trovate furono ingegnose e, spesso sperimentali. Solitamente si usavano pompe a mano che creavano un circolo forzato d'aria, ma poteva capitare che questo circolo d'aria creasse problemi a causa della polvere, che muovendosi, poteva rendere difficile la visibilità, e allora le soluzioni più adoperate furono: sfiati d'aria in superficie (usati sopratutto dagli americani); e l'uso di un tubo che il soldato che scavava e che doveva servire a farlo respirare (come si vede dall'immagine). I tunnel di scavo spesso seguivano le conformazione del terreno, con vari sali e scendi, ma si è sempre tenuto una curva all'ingresso della camera di scoppio Le camere di esplosione venivano sempre chiuse con dei mattoni in moda da non disperdere la forza esplosiva nel tunnel, ma indirizzandola tutta verso la superficie. L'entrata era sempre rinforzata per evitare crolli a causa delle bombe nemiche. Capitava spesso che l'artiglieria nemica, per evitare e rallentare gli scavi, sparasse nelle zone dove si riteneva che si stesse scavando. Le operazioni di scavo si svolgevano sempre nel riservo più assoluto per non compromettere il risultato dell'esplosione. La guerra alpina Il fronte italiano fu uno dei fronti più spettacolari della storia militare. Durante la Prima Guerra Mondiale lungo le montagne delle Dolomiti si arrivò a combattere fino ai 3.000 metri di altezza, con duelli di artiglieria di montagna fra i vari contendenti. Le truppe alpine italiane e austriache si affrontarono lungo le cime innevate, con rischi decisamente maggiori rispetto agli altri fronti. Più del 35% delle perdite militari furono causate da frane, cadute dalle pareti e da valanghe. Le trincee vennero più volte posizionate in luoghi al limite delle possibilità. Caso particolare fu la Città di Ghiaccio austriaca, scavata dentro il ghiacciaio della Marmolada. Molte postazioni furono costruite lungo le pareti rocciose a strapiombo, lungo i vecchi sentieri di montagna. Le postazioni militari venivano rifornite tramite: • muli • trasporto a spalla • teleferica Entrambi gli eserciti dovettero ingegnarsi per rifornire le postazioni avanzate. Fra i due eserciti il Regio Esercito si dimostrò migliore arrivando non solo a fornire le materie prime per continuare le operazioni militari, ma arrivando a consegnare regolarmente la posta e riscendo a fornire il necessario per allestire, anche in queste postazioni, posti medici attrezzati e riuscendo a trasferire i feriti in tempi molto rapidi.