RISCHIO UMANO DA ESPOSIZIONE AMBIENTALE

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CAP.X
RISCHIO UMANO
DA
ESPOSIZIONE
AMBIENTALE
1
DISCLAIMER: parte del materiale che è stato la base del presente capitolo è stato elaborato da opere dei seguenti
autori: P.Pancheri, Stress, emozioni, malattia e Ciranfi, Schlechter, Bairati – Automatismi biologici e malattia. A
tali scienziati va la mia ammirazione ed il mio grazie sincero per il contributo da loro dato all’Ecotossicologia.
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10.0.0.0.- Trasferimento dei risultati ecotossicologici dall'individuo singolo
alla popolazione, agli ecosistemi ed all'uomo
I risultati delle indagini ecotossicologiche finora viste sono riportabili al
singolo individuo. Ma dal punto di vista della popolazione cui quell’individuo
appartiene gli effetti di uno stress chimico o fisico su quel solo individuo hanno poco
significato. La vita di un singolo organismo é troppo breve per poter valutare,
indirettamente,
l’effetto
di
uno
stress
sulla
popolazione
in
cui
importa
principalmente la abbondanza degli individui, la produzione e la persistenza.
Molte popolazioni sono influenzate da fattori spaziali e di tempo e dalla
contemporanea presenza d’altri stress non necessariamente legati ad azioni
chimiche e fisiche ambientali come ad esempio modifiche ambientali dovute
all’uomo (dighe, diversione dei fiumi ecc.) o alterazioni nella dimensione delle
popolazioni per interessi economici (basta pensare alla pesca ed allo sfruttamento
degli oceani). Ancora una popolazione può difendersi attraverso la sua propria
capacità di adattamento per compensare l’esposizione ai vari stressori.
La valutazione dell’effetto sulla popolazione di un tossico richiede studi molto
complessi ed a lungo termine con costi sperimentali assai elevati. Ciò spiega il
numero limitato delle ricerche finora svolte che sono state, in genere, più rivolte a
studi di sopravvivenza ed estinzione ovvero di selezione riproduttiva con scopi
economici (pesca, caccia ecc.) che non con fini ecotossicologici.
Il trasferimento dall’individuo e/o dalla popolazione all’ecosistema é un
processo ancora più difficile che non quello dall’individuo alla popolazione. Ma di
questa parte della dinamica ambientale non ce ne occuperemo. Il motivo é implicito
nelle
premesse
al
corso
d’Ecotossicologia:
secondo
il
nostro
criterio
l’Ecotossicologia deve essere vista in un'ottica mista dell'Ecologia (come scienza
basilare), della Chimica e dell’Igiene ambientale.
L’informazione ecotossicologica può essere utilizzata in termini probabilistici per
definire il rischio per l’essere umano: l’effetto di un tossico su un singolo individuo
biologico di riferimento non umano pur se possiede un ruolo suo proprio ha
senso se consente il trasferimento all'uomo (bioindicatore---->uomo). Anche
gli effetti globali su un ecosistema devono essere visti non solo in relazione
all’ecosistema stesso ma nel caso in cui le variazioni ecosistemiche siano in tale
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scala da alterare le condizioni di sopravvivenza della popolazione umana. Gli effetti
sull’ecosistema hanno valori cronologici di grandi dimensioni (secoli o millenni) e
come tali vanno viste nella previsione di qualità delle generazioni future.
L’Ecotossicologia deve occuparsi del quotidiano intendendo come quotidiano il
termine cronologico anni-->secolo.
10.1.1.0. - Transfer degli effetti sugli organismi alla popolazione. Criteri e
procedure.
Quello che lo studio della popolazione comporta é l’inferenza delle
caratteristiche dei singoli individui nei gruppi d’individui (ossia la propria
popolazione); tali caratteristiche includono il numero totale degli individui (chiamato
anche biomassa), la velocità di accrescimento della popolazione (ovvero la velocità
di declino), l’età, le dimensioni, il sesso o la composizione genotipica.
Caratteristiche, ripetiamolo, che sono in realtà l’espressione collettiva delle
caratteristiche di vita o morte dei singoli individui governate dai processi di crescita
e senescenza, dagli effetti con l’ambiente chimico, chimico-fisico e fisico in cui sono
inseriti, dalle interazioni limitanti o meno con altri individui allo stesso livello
ecologico od in altro livello ed, infine, da azioni dirette o indirette da parte dell’uomo.
Se il trasferimento dei dati tossicologi tra l’individuo e la popolazione fosse
governata da una legge esprimibile in forma di relazione diretta e lineare, il compito
dell’ecotossicologo sarebbe assai semplificato. Ma ciò in genere non succede per
quanto già detto precedentemente. Ancora, infatti, si potrebbe dire sul diverso ruolo
degli animali a vita lunga rispetto a quelli a vita breve, per ciò che concerne la
risposta di popolazione. Ad esempio, sia attraverso analisi teoriche che di
esperienza nell’allevamento a scopo economico, si é potuto rilevare come vertebrati
a vita lunga (mammiferi di grandi dimensioni come le balene, elefanti od uccelli
predatori) siano più sensibili alla mortalità come adulti di quanto non siano animali
a vita breve come le quaglie o le acciughe.
Questi ultimi, invece, sono assai più sensibili ad episodi di alterazioni ambientali
nei primi stadi del loro sviluppo. Si potrebbe dire ancora che una popolazione
resisterà meglio ad uno stressore chimico, chimico-fisico o fisico, se avrà una storia
pregressa di buona variabilità ambientale naturale (capacità di adattamento rapido
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a variazione ambientale), rapida e frequente riproduzione (organismi molto fecondi)
e, probabilmente, vita non troppo lunga. Tutto ciò a parità di concentrazione o di
potenza dello stressore coinvolto.
Una partenza possibile nella valutazione della popolazione in funzione o
meno di stressori può essere la quantificazione del potenziale di riproduzione
della popolazione medesima. Per ottenere tale potenziale dovremo determinare la
frazione di organismi che sopravvivono da una età ad un’altra ed il numero di
nascite di un organismo ad una data età. Ad esempio, supponiamo che l’età
massima raggiungibile dall’organismo in esame sia n anni. Indichiamo ancora con
lm la frazione degli organismi che sopravvivono dalla nascita fino all’età x, e con mx
il numero di nascite prodotte da un organismo di età x. Supponendo costanti lx e mx
, vi é una relazione univoca tra riproduzione, mortalità, longevità e crescita della
popolazione. Possiamo esprimere ciò con:
n
∑ e lx mx = 1
− rx
x =1
dove r é il coefficiente richiesto per eguagliare a 1 la parte sinistra
dell’equazione. r é chiamato parametro Malthusiano o velocità intrinseca di
aumento naturale od anche velocità geometrica di incremento. Noi lo chiameremo
semplicemente fattore di potenziale riproduttivo. Se r é maggiore di zero, la
popolazione va crescendo in maniera indefinita; se r
é minore di zero, la
popolazione decrescerà tendendo alla estinzione; se, infine, r = 0, la popolazione
permarrà immutata in numero di individui. Si può rilevare che la distribuzione
dell’età si stabilizzerà verso una distribuzione stabile che si mantiene generazione
per generazione, se non vi sono stress e/o fattori di noxia esterni.
r é quindi un fattore che può essere indicatore del declino o della scomparsa
di una popolazione come é stato dimostrato anche recentemente per alcune animali
importanti sotto molteplici aspetti (il condor della California, la civetta macchiata
americana ecc.)
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L’applicazione del potenziale di riproduzione é stata anche fatta recentemente su
popolazioni di Daphnia e Ceriodaphnia usando le variazioni di r dopo aver
sottoposto gli animali ad un tossico a concentrazioni ben definite.
Un metodo moderno di valutazione della risposta delle popolazioni a stress
chimici, chimico-fisici e fisici é dato dalle matrici di proiezione sulla popolazione.
Non é qui il caso si approfondire la metodica per la quale si rinvia a lavori
specializzati.
Si ricorda solo, a titolo d’esempio, che il modello di proiezione di popolazione é
stato usato dall’USEPA nel 1989 per supportare la proposta di cancellare la
registrazione di un presidio sanitario (carbofuran granulare) che si era rivelato
particolarmente tossico per gli uccelli ed in particolare per l’aquila dalla testa bianca
(!). I dati ottenuti con il modello fornirono gli elementi probanti per il proseguo della
proposta di cancellazione.
Un ottimo esempio d’applicazione del modello di proiezione di popolazione
espresso attraverso il calcolo matriciale é stato sviluppato da Tripton et al. (1980) e
riportato da Suter (1993). Tripton ha usato una matrice di proiezione della
popolazione per relazionare i livelli di inibizione della colinesterasi con i
cambiamenti nella popolazione. La colinesterasi é un enzima che si riscontra nel
sangue e che viene inibito da moltissimi composti (esempio classico: i pesticidi
organofosforici); la determinazione colorimetrica si può effettuare di routine anche
sugli animali.
La matrice sviluppata da Tipton é basata su un modello a stadi. Gli stadi sono
stadi patologici e sono: inibizione della colinesterasi (0, 25 %, 50 %, e 100 %),
mortalità collegata ai pesticidi, mortalità naturale. La popolazione iniziale d’uccelli
scelti per la ricerca é in vari stadi e quindi gli elementi della matrice rappresentano
la probabilità per ciascun animale di spostarsi in un altro stadio durante il tempo da
t a t+1.
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La matrice di transizione T é espressa da:
T=
0.23 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00
0, 70 0, 04 0, 00 0, 00 0, 00 0,00
0, 00 0, 79 0,01 0, 00 0, 00 0,00
0, 00 0, 00 0, 48 0, 01 0, 00 0,00
0, 05 0,15 0, 49 0, 97 1, 00 0,00
0, 02 0, 02 0, 02 0, 02 0, 00 1, 00
ove le colonne rappresentano il tempo (t, t+1,T+2 ecc.) e le righe i valori di
probabilità di zero inibizione della colinesterasi, del 25 %, 50 %, 100 % di inibizione,
di morte dovuta al pesticida e di morte naturale. La somma dei valori delle colonne
é sempre 1 (100% di probabilità). Leggendo la matrice così come scritta
nell’esempio si conclude che al primo tempo di rilevamento della intossicazione il
23 % della popolazione é in perfetta salute, ma il 70 % ha una inibizione della
colinesterasi del 25 %, il 5 % é morto per causa del pesticida ed il 2 % per cause
naturali.
Al tempo t+1 (2 settimane nel caso studiato), non esiste alcun animale che sia
totalmente sano, il 4% ha una inibizione della Colinesterasi solo del 25 % e ben il
79 % la ha del 50 %; ancora nessun animale ha una inbizione del 100 % ma ora la
morte del 15 % della popolazione é dovuta al tossico rimanendo il 2 % deceduto per
cause naturali.
Passando a t+3, si nota che permane in vita l’1% della popolazione con una
inibizione del 100 % della colinesterasi. Il 99 % della popolazione é già morta e di
questa percentuale ben il 97 é dovuta al pesticida. Chiaramente al tempo t+4 , il
100 % della popolazione é scomparso.
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10.1.2.0.- Il trasferimento del dato tossicologico ambientale.
10.1.2.1.- Premesse
Il trasferimento del dato tossicologico ambientale a quello umano non é facile
poiché, ovviamente, gli animali si comportano in maniera differente nei confronti di
un tossico. Alcuni animali (primati) sono reattivi in maniera abbastanza simile
all'essere umano ma per altri animali od altri substrati biologici é necessaria molta
prudenza nell'applicare i risultati sperimentali di tossicità, cancerogenesi e
mutagenesi all'uomo.
Per utilizzare i dati di tossicità che si riscontrano in letteratura é necessario
conoscere il linguaggio con cui i composti chimici vengono classificati e con il quale
vengono indicate le azioni nei confronti dell'ambiente, degli animali e dell'uomo.
Alcuni parametri (BOD,ThOD,TOC,COD, BAF ecc.) sono stati già discussi in
capitoli precedenti di questo testo. Qui di seguito descriveremo i criteri più
aggiornati che sono alla base delle classificazioni adottate da NDIS per la
valutazione degli effetti tossici dei composti chimici.
In tossicologia va inoltre definita la unità di dose ossia i termini con cui sono
espresse le quantità in gioco. Normalmente i termini sono di quantità di sostanza
per unità di peso corporeo o quantità di sostanza per area di superficie di cute o,
infine, per unità di volume d'aria respirata.
Le dosi sono generalmente espresse come milligrammi per chilogrammo (mg kg1
); in alcuni casi, per problemi di concentrazione, le unità possono essere grammi
per chilogrammo (g kg-1), micro - o nanogrammi per chilogrammo (mg kg-1, ng kg-1).
Le sostanze gassose sono di solito espresse in ppm (volume su volume). Si
usavano inoltre l'espressioni: parti per cento (pph), parti per milione (ppb--->10-9) e
parti per trilione (ppt--->10-12), queste ultime, rispettivamente, concentrazioni di
sostituite, oggi, dai valori ponderali più semplici: mg L-1, ng L-1.
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10.2.0.0.- Definizione del rischio
L'analisi del rischio rappresenta il futuro previsionale delle ricerche ambientali.
Infatti, la complessità delle interazioni ambientali rende sempre assai complicata, se
non impossibile, la valutazione preventiva del rischi per l'ambiente e per la salute
pubblica attraverso indagini e metodologie dirette a costo contenuto e realizzabili in
tempi brevi.
Per questo il criterio di previsione dl rischio consente di avere dei valori
probabilistici di ciò che succederà a seguito dell'immissione di uno stressore
nell'ambiente.
Il cosidetto risk assessment essula dagli argomenti di questo testo pìoiché
richiederebbe uno spazio troppo grande per essere incluso in uno specifico testo di
ecotossicologia.
Svilupperemo solo alcuni concetti prendendo degli esempi applicativi che
allacciano la qualità dell'ambiente al rischio per la salute dell'uomo, che, come
abbiamo più volte sottolineato, é il vero obiettivo dell'ecotossicologia.
Poiché abbiamo sempre detto che l'acqua é l'ambiente più importante in tutti i
processi ambientali, la consideremo, in particolare per quel che riguarda un suo uso
fondamentale: quello alimentare. Tale uso é assolutamente generale nel senso che
tutti, bambini e/o anziani, devono alimentarsi d’acqua almeno per tre litri al giorno
Per questo é importante mettere in evidenza criteri di qualità che tengano conto
dell'uso dell'acqua alimentare.
Per questo useremo, come esempio, il criterio sviluppato dall'EPA e definito
Health Advisory (HA). L'Health Advisory discende da dati sperimentali sugli animali
NOAEL e LOAEL (No-Observed-Adverse-Effect-Level e Lowest-Observed-EffectLevel) nei quali vengono introdotti i tossici potenziali sia per via inalatoria che per
ingestione. L'assunzione dei composti, disciolti o dispersi nell'acqua alimentare,
viene quantificata in dati riferiti alla quantità d'acqua introdotta dall'animale uomo. I
valori di HAs sono stabiliti per brevi esposizioni (un giorno), per dieci giorni, per un
periodo di sette anni e per tutta la vita.
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In realtà il calcolo per un giorno é in genere basato su dati di tossicità acuta su
esseri umani o su animali (più frequentemente, com'é ovvio), e implica fino a sette
giorni d'esposizione; il valore di HA per 10 gg é basato su studi di tossicità subacuta
in animali con esposizioni comprese tra 7 e 30 gg. La relazione é la seguente:
HA =
NOAEL x BW
(mg L−1 )
UF x Vw
ove NOAEL (o LOAEL) é la concentrazione massima alla quale non si
registrano effetti (o quella minima necessaria per iniziare un effetto), BW é il peso
corporeo (70 chili nell'adulto e 10 chili nel bambino), UF é il fattore di correzione
(10,100,1000,10000, a seconda della sicurezza dei dati disponibili), Vx é il consumo
di acqua giornaliero, valutato in 1 L d-1 per il bambino e 2 L d-1 per l'adulto.
Il valore del Fattore di Sicurezza o di Incertezza (UF) é scelto secondo i
seguenti criteri:
•
Un fattore di 10, quando sono disponibili dati di tossicità cronica o subcronica
sull'uomo tali da individuare il valore di NOAEL e, inoltre, suffragati da altri dati
sperimentali su altre specie animali.
•
Un fattore di 100 é scelto, invece, quando non sono disponibili dati sull'uomo
pur essendovi una buona conoscenza d’informazioni di tossicità cronica su animali
per definire il NOAEL ovvero quando vi sono dati per definire un LOAEL per l'uomo.
•
Un fattore di 1000 é scelto a fronte di dati incompleti di tossicità cronica o
subcronica o quando si hanno dati su animali per definire un LOAEL ma non il
NOAEL.
•
Un fattore di 10.000 viene scelto quando i dati discendono da studi di
tossicità subcronica con determinazione di LOAL ma non di NOAEL.
Gli HAs ad un giorno e a 10 gg sono calcolati tenendo in considerazione solo
l'acqua potabile come sorgente del tossico in esame. Ciò non può essere vero nel
caso in cui si voglia considerare tutta la vita dell'individuo. Altre sorgenti di
contaminazione, infatti, entrano in gioco, in questo caso (es.: aria, alimenti ecc.) e
delle quali bisogna tenere conto.
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Per questo motivo per calcolare l'Health Advisory per tutta la vita (lifetime) é
necessario procedere per stadi. Il primo prevede il calcolo della Dose di Riferimento
(RfD) (chiamata nel passato ADI, dose di assunzione giornaliera accettabile). RdF é
una stima dell'esposizione umana giornaliera che non provoca rischi apprezzabili
nell'arco di tutta la vita e viene derivato dal NOAEL (o LOAEL), identificato
attraverso studi cronici o subcronici e diviso per uno o più fattori di incertezza.
RfD =
NOAEL (LOAEL )
UF
con UF = fattore (o ∑fattori) di incertezza.
Dal RdF si passa al secondo stadio che é il DWEL o al Livello Equivalente
dell'Acqua Potabile (Drinking Water Equivalent Level). Il DWEL é un livello di
concentrazione riferito al mezzo specifico (in questo caso, l'acqua) assumendo che
il soggetto sia esposto al 100% di quel mezzo e che non vi siano azioni
cancerogene. Il DWEL viene calcolato moltiplicando il RdF per il peso corporeo
assunto e dividendo per il volume d'acqua utilizzato giornalmente.
DWEL =
RfD x BW
DWA
con BW = peso corporeo (di norma 70 kg) e DWA la quantità di acqua
introdotta giornalmente dal soggetto (di norma 2 litri). Nel terzo stadio, il valore di
HALT (HA lifetime), viene calcolato riducendo il valore di DWEL in proporzione alla
quantità di esposizione all'acqua potabile rispetto alle altre sorgenti. In assenza di
dati precisi si può ritenere, come dato cautelativo, che il contributo relativo (RSC)
sia del 20%.
HALT = DWEL x RSC
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Se il composto presenta anche rischio cancerogeno, é evidente che le
considerazioni finora fatte decadono. É peraltro possibile individuare ancora un
rischio cancerogenico attraverso modelli complessi (One-hit, Weibull, Logit, Probit o
Multistage). Quest'ultimo usa dati dose-risposta per calcolare un fattore di potenza
cancerogeno (q1*) per l'uomo. Questo fattore é quindi usato per determinare le
concentrazioni del composto nell'acqua potabile che sono associate con il limite
superiore di rischio cancerogeno in eccesso per tutta la vita di 10-4, 10-5 e 10-6
secondo la seguente relazione:
10− x x BW
Concentrazione acqua = *
q1 x DWA
con 10-x = livello di rischio (x = 4,5,6), BW = 70 kg; q1*= il fattore cancerogeno
summenzionato (in µg kg-1d-1); DWA = 2 L d-1.
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BOX 1
Definire il rischio tossicologico del Diclorometano
Risposta.
Si effettua prima di tutto un esame generale delle caratteristiche del composto:
Numero di CAS : 75-09-2
Sinonimi: Cloruro di Metilene, DCM
Usi: solvente per insetticidi, pitture, vernici, sgrassante.
Proprietà: formula chimica, peso molecolare, stato fisico, punto di ebollizione,
densità, tensione di vapore, solubilità in acqua, Log Kow, limiti all'odore, sapore.
Farmacocinetica.
Assorbimento:
-il Diclorometano viene assorbito completamente quando ingerito; una singola
dose orale di 1 o 50 mg kg-1 di DCM marcato somministrata ad un ratto di sesso
maschile, venne esalata come DCM immutato dopo 48 ore.
Distribuzione:
-la distribuzione del DCM nel tessuto dopo la somministrazione precedente
dimostrò che il DCM era presente per la maggior parte nel fegato e per la minima
parte nel grasso 48 ore dopo il dosaggio.
Metabolismo:
i maggior metaboliti del DCM sono l'ossido di carbonio e l'anidride carbonica .
Nelle condizioni degli esperimenti precedenti, dall'88 al 28 % della dose risultò
metabolizzato.
Escrezione:
i metaboliti del DCM sono eliminati con le urine mentre bassa é l'eliminazione
attraverso le feci.
Effetti sulla salute umana: Uomo
Bonventre et al. (1977) descrivono una intossicazione fatale di DCM che erà
stato usato come sverniciante. L'esame post-mortem rivelò la presenza di DCM nel
fegato, nel sangue e nel cervello. Si era formata anche una saturazione al 3 % di
carbossiemoglobina.
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Segue BOX1
Animali
Esposizione a breve termine
La dose LD50 per i topi é stata riscontrata in 1,987 mg kg-1 e per i ratti in 1,121
mg kg-1 (Kimura et al. 1971, Aviado et al.1977) ed un LOAEL di 1,326 mg kg-1d-1.
Esposizione a lungo termine
Bormann e Loeser (1987) amministrarono DCM nell'acqua potabile a 125 mg L-1
a 30 ratti Wistar (30 maschi e 30 femmine) per 13 settimane. Ciò é equivalente ad
una dose di circa 15 mg kg-1d-1. L'animale venne esaminato per ciò che concerneva
i cambiamenti nel comportamento, peso corporeo, chimica del sangue e delle urine.
Non si osservarono effetti dovuti al trattamento anche quando alcuni ratti
consumarono 250 mg DCM. Da questo studi si identificò un NOAEL di 125 mg kg1 -1
d .
Effetti sullo sviluppo
Nessuna conclusione positiva può essere tratta sul potenziale del DCM nei
confronti dello sviluppo dell'animale.
Mutagenicità
Il DCM é stato indicato come mutageno in molti batteri e lieviti come pure nei
mammiferi.
Cancerogenicità
In un test di cancerogenicità polmonare, il DCM, somministrato per via
intraperitoneale non ha fatto aumentare l'incidenza dei tumori nei topi.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.13
10.2.1.0.- Calcolo del Criterio per l'esposizione ad un giorno (One-day HA)
Lo studio di Kimurta et al. (1971) é stato selezionato per servire come base
per la valutazione del criterio d’esposizione di un giorno per un bambino di 10 kg di
peso. Pertanto:
One day HA =
1326 (mg kg −1 die −1 ) x 10 (Kg )
(
1000 x 1 L die −1
)
=13,3 mg L−1
dove il LOAEL é di 1326 (mg kg-1 die-1), il peso del bambino é 10 e 1000 é il
fattore di sicurezza o di incertezza. Infine 1 litro é il volume d'acqua che si presume
beva giornalmente un bambino.
10.2.2.0.- Calcolo del Criterio per l'esposizione a 10 giorni (Ten-day HA)
Dagli studi di Bornmann e Loeser (1967) nei quali il DCM venne somministrato
nell'acqua potabile a 125 mg L-1 per 13 settimane e riportando il valore a mg kg-1die1
si ha:
Ten day HA =
15 (mg kg −1 die −1 ) x 10 (Kg )
(
100 x 1 L die
−1
)
= 1,5 mg L−1
In questo caso il valore di 15 mg kg-1 die-1 é il NOAEL basato sull'assenza di
effetti sull'accrescimento corporeo,sul chimismo delle urine e del sangue, sulle
funzioni riproduttive, sul rapporto di peso organi/corpo e su cambiamenti
istopatologici.
10.2.3.0.- Calcolo del Criterio per l'esposizione a Lungo Termine.
Non ci sono elementi sufficienti per definire questo HA.
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10.2.4.0.- Calcolo del Criterio per l'esposizione per tutta la vita. (Lifetime
Health Advisory)
I° passo: Determinazione della Dose di Riferimento (RfD): per un uomo di 70 kg il
valore del RfD é dato da:
5 (mg kg −1 die −1 )
RfD =
= 0,05 mg kg −1 die −1
100
II°passo: Determinazione del Livello Equivalente di Acqua Potabile (DWEL):
0.05 (mg kg −1 die −1 ) x 70 (Kg )
DWEL =
= 1,75 mg L−1
−1
2 L die
(
)
III° passo: Determinazione del criterio per tutta la vita (HALT).
L'esame dei dati di cancerogenesi ha dimostrato che il DCM é un probabile
cancerogeno anche per l'uomo. In tal caso il semplice calcolo di Life-time HA
secondo quanto già detto (v.HALT) non può essere fatto dovendosi dare
precedenza al fattore cancerogeno. Il Rischio di Eccesso di Tumori associato
all'esposizione per tutta la vita al DCM ad una concentrazione nell'acqua di 1,75 mg
L-1 é di 3,7x10-4 che và assunto come riferimento.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.15
10.3.0.- Espressione dei dati in funzione degli effetti sull'animale
10.3.1.0.- Irritazioni
10.3.1.1.- Irritazione della pelle e degli occhi.
Le sostanze che vengono applicate topicamente sulla pelle o sulle mucose
possono sviluppare sia effetti sistemici di natura acuta o cronica o effetti locali più
propriamente definiti come "irritazione primaria".
Una sostanza irritante primaria é quella che, se presente in quantità sufficiente e
per un periodo di tempo congruo, produce una reazione della pelle non allergica,
infiammatoria nel punto di contatto. Inoltre, per definizione, tali sostanze non sono
corrosive (l'acido solforico, quindi, non é un irritante).
10.3.1.2.-Irritazione cutanea primaria
Per l’irritazione cutanea la tecnica adottata segue di solito la procedura di
Draize modificata che consiste nell'applicare sulla cute rasata dell'animale da
esperimento (di solito 12 animali) una quantità di 0,5 ml o 0,5 g di sostanza posta
su una garza di un pollice quadro. Sei animali vengono "saggiati" con la cute intatta
e 6 con cute graffiata in modo, peraltro da non provocare bleeding (sanguinamento)
o interessare il derma.
La garza viene fissata con un nastro adesivo e lasciata in loco per 24 ore (primo
controllo) e poi fino a 72 ore controllando la eventuale formazione di un eritema,
escara e/o edema. Qualunque grado di positività fa classificare la sostanza come
irritante per la pelle.
Si riporta qui una classificazione dei risultati del test di Draize. É da tener
presente, peraltro, che non esiste, attualmente, una classificazione standard e che
altri ricercatori classificano i risultati delle irritazioni in altre maniere.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.16
Irritazione
Codice
Leggera
MLD
Reazione cutanea
Eritema ben definito e leggero edema
(bordi dell'area ben definiti)
Moderata
MOD
Edema moderato/notevole
edema severo (aree di circa 1 mm)
Elevata
SEV
Eritema elevato fino a formazione
di escara profonde ed edema severo
(aree > 1 mm oltre la zona di esposizione)
10.3.1.3.- Irritazione oculare primaria
Negli animali da esperimento un irritante oculare primario é definito quel
composto che produce una risposta irritata alla prima esposizione. Le procedure
sono simili a quelle per l'irritazione cutanea primaria con la evidente variazione che
la localizzazione della prova é limitata all'occhio dell'animale. La sperimentazione
può essere fatta, inoltre, con o senza lavaggio dell'occhio (con cloruro sodico) 24
ore dopo l'instillazione del composto.
10.4.0.0.-Tossicità
10.4.1.0.-Espressione dei Dati di Tossicità
10.4.1.1.-TDLow
Toxic Dose Low: é la dose più bassa di una sostanza introdotta nell'organismo
attraverso qualsiasi route, diversa dall'inalazione, in grado da non produrre un
effetto significativo tossico e/o cancerogeno negli animali e nell'uomo.
10.4.1.2.- TCLow
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.17
Toxic Concentration Low: ossia la concentrazione più bassa di una sostanza
in aria alla quale l'animale o l'uomo é stato esposto per ogni dato periodo di tempo
e che ha prodotto qualsiasi effetto tossico negli esseri umani o ha prodotto un
effetto cancerogeno o riproduttivo negli animali o nell'uomo.
10.4.1.3.- LDLow
Lethal Dose Low: la dose più bassa (inferiore a quella del LD50) di una sostanza
introdotta attraverso altre vie che non l'inalazione assunta in qualsiasi periodo di
tempo, in una o più assunzioni e che ha provocato la morte nell'uomo o negli
animali.
10.4.1.4.- LD50
Lethal Dose Fifty: é la dose calcolata di una sostanza,introdotta nell'organismo
attraverso qualsiasi via ad esclusione di quella inalatoria, che ci si aspetta provochi
la morte del 50% degli animali di esperimento. Valori anche di LD1, LD10, LD30 e
LD99 si riscontrano in letteratura (il significato é ovvio) quando non é possibile avere
LD50.
10.4.1.5.- LCLow
Lethal Concentration Low: la concentrazione più bassa in aria che é stata
individuata provocare la morte negli animali e negli uomini. Può riferirsi a periodi di
esposizione inferiori alle 24 ore (effetti acuti) o maggiori di 24 ore (effetti cronici).
10.4.1.6.- LC50
Lethal Concentration Fifty: rappresenta la concentrazione calcolata di una
sostanza in aria che provoca, a seguito di esposizione, la morte del 50% degli
animali da esperimento.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.18
10.5.0.0.- Mutazioni
10.5.1.0.- Espressione dei Dati di Mutazione
Una mutazione é definita come ogni cambiamento ereditario nel materiale
genetico. Contrariamente agli studi sulla formazione d’irritazioni, sulla riproduzione,
sugli aspetti tumorigeni e, in genere, tossicologici, che prendono in considerazione
l'animale nella sua totalità, i dati relativi agli aspetti mutageni si riferiscono a studi su
animali inferiori come batteri, lieviti e insetti nonché a colture cellulari in vitro. I test
utilizzati per valutare capacità mutageniche sono di vario tipo e possono essere
classificati nei seguenti tipi:
1) Mutazioni nei microrganismi: per esposizione diretta al tossico.
2) Microsomial Assay: verifica l'attivazione enzimatica in vitro di promutageni in
presenza di un organismo indicatore.
3) Test del Micronucleo: si basa sul fatto che i cromosomi o i frammenti di
cromosomi possono non essere incorporati in una o nell'altra delle cellule figlie
durante la divisione cellulare.
4) Alterazione del DNA: DNA damage, DNA Repair, unscheduled DNA
synthesis e DNA inhibition, sono alterazioni del comportamento del DNA
conseguente all'azione di un composto mutageno.
5) Conversione Genica e Ricombinazione Mitotica: esamina il recupero
ineguale dei markers genetici nella regione di scambio durante la ricombinazione
genetica.
6) Analisi citogenetica: analisi delle aberrazioni cromosomali
7) Sister Chromatid Exchange: rivela l'interscambio di DNA in preparazioni
citologiche di cromosomi metafasici fra prodotti di replicazioni.
8) Sex Chromosome Loss e Non-disfunction: analizza la non separazione di
cromosomi omologhi durante la meiosi e la mitosi.
9) Dominant Lethal Test (DLT): un dominant lethal é un cambiamento
genetico in un gamete; nei mammiferi il DLT misura la riduzione del litter size
esaminando l'utero e annotando il numero di implanti sopravviventi e morti.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.19
10) Mutazioni nelle cellule somatiche di mammiferi: analizza l'induzione e
l'isolamento di mutanti in cellule coltivate di mammifero identificando il cambiamento
genetico.
11) Host Mediated Assay: il sistema usa due specie separate, normalmente
mammiferi e batteri, per rilevare alterazioni genetiche ereditarie causate dalla
conversione metabolica della sostanza chimica in esame.
12) Morfologia dello sperma: esamina lo scostamento dalla forma normale
degli elementi riproduttivi maschili.
12) Test di traslocazione ereditario: esamina la trasmissibilità di traslocazioni
indotte alle generazioni successive.
14) Trasformazioni oncogeniche: utilizza criteri morfologici per evidenziare
diversità citologiche tra celle normali e tumorigene.
15) Capacità d’inibizione fagica: utilizza un virus lisogenico per evidenziare un
cambiamento nelle caratteristiche genetiche per trasformazione del virus da non
patogeno e patogeno.
16) Body Fluid Assay: utilizza due specie, mammiferi e batteri. Sui primi
vengono prelevati i liquidi organici (sangue ed urine) che vengono saggiati in vitro
mentre i batteri vengono seguiti per la parte di mutazioni.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.20
10.7.0.0.0.- Mutagenesi e cancerogenesi ambientale.
Un cenno ancora va fatto ai processi di mutagenesi e cancerogenesi
ambientale che si trovano in stretta relazione con il fenomeno delle popolazioni ad
alto rischio. É ovvio, infatti, che tali popolazioni saranno di gran lunga più
predisposte ai fenomeni mutageni e cancerosi di quelle che hanno predisposte
difese immunitarie e biochimiche consistenti.
Il concetto di mutagenesi ambientale si riferisce alla modificazione
genetica conseguente ad un'azione dell'ambiente ossia ad una modificazione di
quelle informazioni essenziali che una cellula trasmette a quella che essa sta
generando. Com’é noto, infatti, la cellula umana,animale o vegetale, ha a
disposizione una funzione informativa genetica che invia, nel corso della
riproduzione della cellula stessa, informazioni precise su come la nuova cellula
deve essere costruita. Indica, in pratica, quali proteine devono essere sintetizzate,
come le stesse devono essere assemblate nelle varie strutture cellulari.
Questo sistema "informativo" può proseguire nel tempo in maniera
indefinita fino alla morte fisiologica dell'individuo, producendo copie esatte della
cellula madre. Tutto prosegue indisturbato fintando che qualche stress chimico o
fisico non interferisce.
Questa interferenza, che può essere anche naturale, modifica il
pacchetto d’informazioni portando ad una nuova entità cellulare differente in
maniera maggiore o minore dalla cellula progenitrice.
In natura esistono frequenti alterazioni della "informazioni genetica" e
ne è prova la presenza di specie nuove nel contesto di un ecosistema. Se noi
esaminiamo, ad esempio, un prato costituito da culture apparentemente omogenee
di graminacee, ci accorgiamo con una verifica attenta, che una certa parte di esse
ha sviluppato, ad esempio, una resistenza naturale ai metalli pesanti, senza che vi
sia, in quel ecosistema, una loro concentrazione particolarmente elevata.
Questa modifica della "informazioni genetica" che viene trasmessa
successivamente alle generazioni successive viene comunemente definita come
"mutazione". Pertanto, la "mutazione" è un processo naturale che si ripete con
minor o maggior frequenza secondo gli ecosistemi considerati.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.21
Se sul normale svilupparsi di queste mutazioni si inserisce un’azione
esterna, come ad esempio quella di un prodotto chimico o di una radiazione fisica ,
il
fenomeno
può
amplificarsi,
realizzando
nuove
caratteristiche differenti dalla struttura progenitrice.
specie
biologiche
con
La cellula è, come si dice,
mutata.
E ben noto come molti composti chimici utilizzati nell'era moderna
siano in grado di produrre delle mutazioni cellulari; alcune di queste, in particolari
condizioni e sotto l'azione combinata di più processi confluenti, possono dar luogo a
processi patologici indicati, clinicamente, come tumori.
É qua necessario sottolineare subito un concetto che deve essere ben
chiaro: i composti mutageni non sono necessariamente cancerogeni. É vero il
contrario e cioè che tutti i cancerogeni sono anche mutageni. Anche se i due
fenomeni sono collegati, l’individuazione della capacità mutagenica non significa
assolutamente che vi sia nello stesso tempo una capacità tumorigena.
Di tale aspetto vedremo alcuni elementi qualitativi e quantitativi che
spiegheranno ampiamente il perché di tale fenomeno. Ma, prima di scendere in
questi dettagli, bisogna porci la domanda su quale tipo di "popolazione" la
"mutazione" va a realizzarsi, chiederci, cioè, quale è il soggetto passivo del
processo di mutazione.
Siamo abituati a parlare di popolazione come di una struttura
omogenea ed uniforme; quando pensiamo all'azione di un o stress (chimico o fisico)
non ci poniamo il problema se la popolazione che lo subisce abbia , nel suo
contesto, una reattività differenziata : diciamo solo che il tal composto chimico è
tossico per la popolazione.
É ciò un errore di superficialità assai grave che porta spesso a
conclusioni errate. Per cercare di capire quale è la reale reattività dei soggetti che
subiscono lo stress, dobbiamo fare alcune considerazioni.
Abbiamo già accennato come il fenomeno della cancerogenesi sia
legato a quello della mutagenesi. Un composto chimico cancerogeno è sempre
mutageno mentre un composto mutageno in moltissimi casi non è cancerogeno. In
realtà il processo di cancerogenesi è un processo multi-stadio che si realizza
attraverso molti e diversi passaggi biochimici.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.22
Il fenomeno va riferito, come minimo, a due reazioni successive ma
sembra che, normalmente, gli stadi di reazione siano, in numero, superiori a cinque.
Indipendentemente dal numero degli stadi di reazione e certo che
perché si realizzi un tumore, sono necessari due specifici momenti: il momento
d’iniziazione (initiation) ed il momento di promozione (promotion).
Il momento d’iniziazione è svolto da un composto chimico (iniziatore)
che è mutageno e che esplica un'azione irreversibile ed additiva senza una
threshold apparente. Questo composto sembra legarsi in maniera covalente al DNA
o ad altre macromolecole cellulari.
Il processo di promozione, invece, è svolto da un composto chimico
che non necessariamente è cancerogeno e che, di solito, viene a contatto con la
cellula "iniziata" molte volte con esposizione prolungata. Sembra esista un
threshold ed il composto non è mutagenico. Particolarmente importante è che il
composto promotore, nei suoi stadi primari d’azione, mostra una reazione
reversibile e non additiva. Questo fatto spiega, in buona misura, il sorprendente
risultato che si riscontra nei casi in cui dopo una "iniziazione" il processo di
"promozione" viene ad essere sospeso. In tal caso, anche un eventuale inizio di
tumore può regredire ed annullarsi.
Questo fenomeno è descritto più volte dalla Organizzazione Mondiale
della Sanità relativamente al problema del fumo. E noto che un forte fumatore di
tabacco sviluppa nel tessuto polmonare una serie di microulcere precancerose che
sono la conseguenza della attività mutagena (iniziazione) dei numerosi composti
chimici presenti nel fumo.
La
varietà
di
composti
chimici
è
tale
che
sono
contemporaneamente sia i composti iniziatori sia i composti promotori.
presenti
Questo
porta alla iniziazioni delle cellule cutanee polmonari ed alla successiva promozione
(ulcere precancerose) delle stesse. Se il contatto con l'agente promotore viene
interrotto (ad esempio se il soggetto interrompe l'abitudine al fumo) non esistono
più le condizioni di continuità d’esposizione al promotore, condizioni necessarie
perché il processo precanceroso diventi canceroso irreversibile. Il tessuto
polmonare regredisce nella sua condizione patologica fino a cicatrizzare le ferite
iniziali.
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Se, invece, l'agente promotore continua il contatto con il substrato gia
"iniziato" la probabilità di svilupparsi un tumore diventa tanto più grande quanto più
lungo è il periodo del suddetto contatto.
Il processo mutageno-cancerogeno quindi, è legato al tempo
d’esposizione della cellula alla coppia iniziatore-promotore.
Lo svilupparsi della
patologia finale richiede, in alcuni casi, molti anni di "induzione" per i motivi che
adesso appaiono chiari. E questo spiega il fatto che molti fumatori incalliti muoiono
di morte "naturale" senza sviluppare alcuna patologia tumorale.
In realtà è molto probabile che essi abbiano sviluppato una condizione
precancerosa che non riesce a trasformarsi in quella "cancerosa" perché il
"soggetto" perviene al exitus prima della trasformazione medesima.
Questo fatto viene definito da solito attraverso il concetto di "tempo
d’induzione" che rappresenta il periodo in anni necessario perché la cellula, dopo
la "iniziazione" subisca i molti hit (aggressioni o stress chimici) provocati dai
composti "promotori"ed è anche il tempo d’attesa che le difese dell'organismo,
come abbiamo visto, degradino a livelli sufficienti perché l'agente tossico possa
agire.
Vi è quindi una "speranza" di difesa indiretta del nostro organismo nei
confronti dei composti cancerogeni legata, per assurdo, alla brevità della vita
umana. Forse è, quindi, una fortuna che il limite della vita umana sia condizionato
da un numero critico massimo di riproduzioni della cellula genitrice oltre al quale
subentra la scomparsa biologica .
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10.8.0.0.- L’uomo come target finale delle ricerche in tossicologia
dell’ambiente
10.8.1.0.- Premesse
Come abbiamo detto fin dall'inizio di questo testo, le scienze
ambientali, a nostro avviso, devono mirare a fornire le basi per la valutazione del
rischio che l'essere vivente corre per la presenza di tossici nell'ambiente.
Lo sviluppo tecnologico particolarmente accentuato negli ultimi
quarant'anni ha portato all’immissione, nell'ambiente, di prodotti chimici di nuova
formulazione in numero e quantità crescenti d’anno in anno.
Sono più di tremila i nuovi composti chimici che annualmente trovano
impiego nella prassi tecnologica industriale e nella vita giornaliera della comunità.
In particolare l'industria chimica organica ha giocato un ruolo
importantissimo fornendo i prodotti farmaceutici che hanno consentito di sradicare
molte malattie infettive, i pesticidi e gli erbicidi che hanno consentito l'aumento della
produttività agricola, le materie plastiche che sono entrate in tutti i settori dell'attività
civile e una miriade d’altri prodotti che incontriamo giornalmente nella nostra vita.
La produzione intensiva di tali composti chimici non ha tenuto conto,
all’inizio, del loro comportamento
di nell'ambiente. Non si è pensato, infatti, che
molti di essi non si degradavano naturalmente, ma, al contrario, si accumulavano
negli ecosistemi. Ancora si é scoperto che i prodotti chimici originali, se degradati,
producevano nuovi composti "figli" in alcune occasioni più tossici o pi persistenti dei
loro progenitori. Due esempi solo potremmo citare che chiaramente indicano la
dimensione del problema su esposto: il caso del DDT e il caso dei PCB.
Ambedue i composti, come noto, sono composti aromatici clorurati. Il
DDT, potente antiparassitario, é stato usato ampiamente nel dopoguerra
nell'agricoltura e nella sanità pubblica fornendo risultati eccezionali che hanno
certamente consentito di salvare milione di vite. Contemporaneamente, però,
essendo poco biodegradabile e solubile nei grassi, si è accumulato nelle parti
grasse degli organismi viventi e, attraverso le catene alimentari, è arrivato fino
all'uomo.
Oggi le popolazioni d’età variante da 50 a 60 anni hanno una
concentrazione non indifferente di DDT nella parte grassa del proprio tessuto.
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I PCB (o policlorobifenili) sono stati usati in epoca più recente come
ottimo fluido per condensatori elettrici, come plastificanti per inchiostri tipografici,
come additivi nelle vernici marine. Anche i PCB sono di difficile biodegradazione;
sono solubili nei grassi e per questo si sono progressivamente accumulati negli
organismi e, attraverso la catena alimentare, sono pervenuti all'uomo.
L'immissione di tali composti chimici nell'ambiente ha modificato
sostanzialmente quella che era la "capacità aggressiva" dell'ambiente. Una volta,
infatti, la patologia era relativamente molto chiara poiché gli agenti patogeni erano
essenzialmente di tipo biologico (batteri e virus) nei confronti dei quali era possibile
sviluppare un’azione preventiva, almeno nei limiti delle conoscenze nel campo
dell’immunologia e della profilassi.
Con l'avvento di quella che gli ecologi chiamano società del
benessere, la patologia è, eziologicamente, più chimico-fisica ambientale che non
microbiologica in modo che, all'epoca attuale, possiamo affermare che l'ambiente è
l'agente più significativo per quanto riguarda lo stato di malessere della
popolazione. La tecnica medica è oggi in grado di permettere la sopravvivenza
anche ad individui privi del normale bagaglio immunitario. Consente, cioè, anche al
bambino privo d’anticorpi di sopravvivere ed all'individuo con limitate capacità
anticorpali di riprodursi creando così delle generazioni sempre più deboli.
L'individuo e sempre più difeso e, per assurdo, ha sempre più necessità di difesa.
Infatti, le ricerche mediche moderne si sono sempre più rese conto
come molte patologie classiche siano scomparse e come, contemporaneamente, si
presentino al clinico nuove forme di malattia, alcune delle quali drammaticamente
aggressive (tumori ecc.) la cui vera eziologia é spesso sconosciuta od assai difficile
da individuare. Oggi, infatti, siamo in grado di debellare con relativa facilità, quasi
tutte le malattie infettive che, nel passato, significavano morte certa per l'ammalato.
Siamo invece, solo all'inizio delle terapie delle nuove malattie che sono diventate,
quasi come una rivincita della natura sulla capacità antievoluzionaria
dell'uomo, non diremo condizione di morte naturale, ma almeno prevalente causa
della mortalità dell'individuo adulto moderno.
Poiché l'ambiente (in senso lato) è l'unico fattore modificatosi
drasticamente ed in peggio negli ultimi cinquant'anni, esso è l'indiziato numero
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.26
uno per tale brusca svolta nella patologia umana e quindi la politica sanitaria va
sempre più orientata verso la prevenzione dei fattori ambientali che predispongono
l'individuo alle nuove forme patologiche. Vedremo, di seguito, cosa intendiamo con
fattori ambientali che non sono necessariamente, solo di tipo naturale, ma anche,
ed in misura elevata, di tipo comportamentale.
10.9.0.0.- Inquinamento dell’ambiente e popolazione a rischio.
Durante l'arco della sua vita, il soggetto "uomo" viene ad incontrare,
come abbiamo già detto, una nutrita serie di composti chimici immessi nell'ambiente
dalle attività civili ed industriali. Non solo esso prenderà contatto i prodotti originali
ma anche tutta quella sequela di composti che i processi di degrado e di
modificazione biochimiche e chimico-fisiche hanno formato da quel prodotto
originale.
Giorno dopo giorno, ora dopo ora, il soggetto uomo assorbirà aliquote
successive di tali composti e, contemporaneamente, n’eliminerà una parte. Se
l’eliminazione è quantitativa evidentemente non ci sarai alcun fenomeno
d’accumulo; se, viceversa, l'eliminazione è inferiore al processo d’accumulazione
nell'organismo dell’uomo si realizzerà uno stoccaggio del composto chimico in
esame che diventerà sempre maggiore man mano che gli anni passeranno.
Il composto chimico in oggetto può essere completamente innocuo; ciò
significa che una volta indovatosi nell'organismo esso non provoca danni
significativi all'infuori di qualche fenomeno locale. É da tener presente, peraltro,
come valga sempre la vecchia regola della "dosis facit venenum" che, nel caso,
appare fondamentale. Abbiamo detto, infatti, come il soggetto uomo assorba
nell'arco della sua vita aliquote progressive di composti chimici ambientali.
Se il composto chimico non viene eliminato quantitativamente la sua
concentrazione in una parte o più parti dell'organismo tende a crescere finché
raggiungerà quel valore al quale si realizza un processo degenerativo della struttura
biologica che si esprime, praticamente, con uno stato di sofferenza della struttura
fisica del soggetto uomo e quindi con uno stato patologico.
Partendo dalla constatazione della realtà di fatto di un ambiente già
contaminato, appare evidente come sia necessario, nell'epoca attuale, parlare di
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nuovi standard di qualità di vita. Infatti, se una volta si riteneva sufficiente fissare
dei limiti ambientali per gli inquinanti alla luce delle nuove conoscenze appare
sempre più impellente la necessità di definire tali limiti in termini assoluti. Ciò
significa che se nel passato si riteneva sufficiente fissare le concentrazioni massime
ammissibili in termini di mg L-1 per l'acqua, di mg m-3 per l'aria, di mg kg-1 per i
tossici negli alimenti, oggi è indispensabile valutare l'ambiente nella sua totalità
riferendoci al contributo giornaliero dai singoli ambiti (acqua, aria, alimenti) nei
confronti del soggetto uomo.
Quale sarà allora il nuovo standard di qualità? Sarà ovviamente uno
standard relativo che deve obbedire ad un principio fondamentale: la quantità di un
tossico non deve raggiungere nell'arco della vita media di un uomo concentrazioni
superiori alla soglia che noi indicheremo come soglia del benessere.
La soglia del benessere non è facile, anzi, come vedremo, impossibile da
definire in assoluto ma è chiaro che lo "standard di qualità" al quale bisogna
tendere, sarà allora di volta in volta individuato in funzione dell'ambito che si
considera.
Se ad esempio si vuole definire lo standard di qualità per il cadmio
(cancerogeno) dobbiamo considerare diverse sorgenti legate al comportamento
quali, in maniera preponderante il fumo e gli alimenti. Negli alimenti il cadmio è
presente in concentrazioni variabili a seconda del prodotto; il grano e la verdura
prodotti in aree con applicazioni di fertilizzanti su vasta scala possono contenere da
12 a 36 mg di cadmio ma la gran parte degli alimenti mostra valori di
contaminazione intorno ad 1 mg kg-1. Nell'acqua alimentare il cadmio di solito è in
concentrazione inferiore ad 1 ug L-1 anche se la sua quantità può aumentare
passando attraverso tubazione metalliche usate per la distribuzione. Nell'aria libera
le concentrazioni del cadmio oscillano dal valore 0 a 0,062 ug m-3; nell'atmosfera
dei posti di lavoro la concentrazione del cadmio può variare da 0,17 a 3 mg m-3.
Nel fumo di sigarette i livelli del cadmio sono di circa 30 ug per pacchetto.
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Fig.10.1 Ciclo del cadmio nell’uomo
L'escrezione del cadmio nell'organismo è molto lenta. In questa maniera
una persona che dalle varie sorgenti assumesse 62 ug di cadmio al giorno
raggiungerebbe, all'età' di 50 anni, una concentrazione nella corteccia renale di 50
ug g-1.
Oggi sappiamo che la concentrazione di cadmio media nella corteccia
renale degli adulti varia da 30 a 80 ug g-1 in funzione della nazione d’appartenenza.
Se ora noi fissiamo la quantità di cadmio massima nell'organismo al disotto della
quale non si hanno fatti patologici del soggetto "uomo" possono verificarsi due casi:
•
Nel primo caso la somma dei contributi dei vari ambiti (aria, acqua,
alimenti ecc.) fornisce una dose giornaliera al soggetto "uomo" tale che nell'arco
della sua vita detto soggetto non raggiunge mai livelli in cadmio pericolosi;
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•
Nel secondo, invece, la concentrazione massima viene oltrepassata; in
questo caso bisognerà agire su uno degli ambiti riducendone il contenuto al valore
necessario.
Si tratterà quindi di operare una scelta difficile che assai spesso
coinvolge aspetti economici, sociali e politici, individuando quale ambito dovrà
essere destinato per primo all'intervento.
Evidentemente una prima e rapida azione potrà essere fatta nei riguardi
dell'abitudine al fumo, che, essendo un fatto comportamentale, può essere
modificato senza particolari costi, anzi, in termini di salute, con costi negativi. In altri
casi potrà essere possibile intervenire sull'approvvigionamento idrico con idonei
impianti di depurazione; analogamente potrà essere fatto nei casi d’inquinamento
atmosferico.
Meno facile sarà l'intervento nel settore degli alimenti per i quali potrà
essere studiata una differenziazione in termini dietologici che abbia, comunque,
com’effetto finale, la riduzione del tasso del metallo pesante che giornalmente il
soggetto "uomo" viene ad introdurre nel proprio organismo.
10.9.1.0.– Inquinamento dell’ambiente.
L’immissione di un qualsiasi composto chimico, tossico o no,
nell'ambiente da una sorgente puntiforme rappresenta il primo passo di
contaminazione ambientale. L'inquinante xenobiotico, infatti, s’inserisce in un punto
qualsiasi di un ciclo naturale, e si accoda ai composti naturali che percorrono quel
ciclo. Noi siamo ben consci della diversa importanza, per quanto riguarda la
diffusione degli inquinanti, dell'ambito che va ad essere inquinato. É, infatti, assai
diverso immettere un inquinante nell'aria piuttosto che nell'acqua, nell'acqua
piuttosto che nel suolo. Nel primo caso, infatti, la dispersione del tossico a gran
distanza è assai rapida; nel secondo caso, invece, relativamente lenta, nel terzo,
lentissima.
Se immettiamo nell'atmosfera, ad esempio, con una ciminiera molto alta,
un composto chimico esso può diffondersi, in certe condizioni, anche a velocità
dell'ordine di 15 - 30 metri al secondo. Questo significa che in meno di 24 ore esso
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.30
può raggiungere distanze notevoli, rispetto al punto d’immissione.
Nell'acqua il
prodotto chimico si sposta con la velocità dell'acqua stessa, velocità raramente
maggiore di 1 m s-1. Nel suolo, infine, o nel sottosuolo la migrazione di un composto
chimico può essere anche di frazioni di millimetro al giorno per cui la sua diffusione,
in termini di tempo, risulta modesta.
La differenza base, comunque, sta nella velocità di trasferimento
dell'inquinante internamente ai sistemi ma non inficia la permanenza dell'inquinante
stesso. Ciò significa che se l'inquinante nell'atmosfera si sposta internamente al
sistema aria esso arriverà prima di quello che si sposta nel sistema suolo al
bersaglio (tessuto biologico, acqua superficiale o profonda, ecc) ma, in linea
generale, con uguale capacità aggressiva.
Questo fatto essenziale indica che non è sufficiente la mancanza
d’elementi obiettivi nell'arco di un breve lasso di tempo per dichiarare
immune da rischi ambientali un certo sistema.
L'immettere nel suolo, ad esempio, quantitativi elevati di scarichi
industriali e il non vederli comparire dopo alcuni anni nell'acqua sotterranea o in
quella superficiale può indurre all'equivoco che il sistema suolo si auto-salvaguardi.
Viceversa l'avanzamento del fronte d’inquinamento, nel suolo, per quanto molto
lento, porta l'inquinante a ricomparire dopo un notevole lasso di tempo, alle volte
anche di decine d’anni e, per un processo di cromatografia, anche più concentrato
nel punto d’uscita che non in altri punti della falda.
L'esistenza di numerosi cicli ambientali naturali permette al composto
tossico di passare attraverso i vari sistemi. Il punto d’inserimento nei vari step di tali
cicli sarà legato alla velocità di spostamento, come già detto, ma ciò non inficierà,
ripetiamolo, la persistenza del tossico stesso. Ovviamente i prodotti chimici
nell'ambiente possono essere di vario tipo dal punto di vista della loro persistenza.
Molti composti, infatti, subiscono rapida biodegradazione; altri sono difficilmente
biodegradabili: altri ancora (i metalli) non sono biodegradabili.
Infine è da tener presente come molti composti chimici subiscono delle
modificazioni nell'ambiente tali da trasformare completamente sia la loro struttura
chimica sia la loro capacità tossica. I nuovi composti cosi formatisi s’inseriscono
anch'essi nei cicli ambientali con una fondamentale differenza rispetto ai composti
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originali rappresentata nel fatto che, di norma, la loro tossicità è completamente
sconosciuta.
Potremmo concludere quindi con alcune affermazioni di base:
a) La patologia dell'epoca moderna è, in gran misura, legata a fattori
ambientali più che a fattori biologici.
b) I fattori ambientali sono conseguenti all’immissione nell'ambiente di una
sequela di stress chimici e fisici nonché ai prodotti che per modificazione chimica o
microbiologia si sono formati, dai primi, nell'ambiente.
c) I fattori ambientali derivati sono di solito sconosciuti sia per quanto riguarda
la loro composizione sia per ciò sia concerne la capacità tossica sull'uomo. Molti
dati sperimentali su animali, infatti, non sono utilizzabili sull'uomo poiché, in molti
casi, la tossicità può essere legata allo specifico metabolismo di quell'animale
considerato.
d) un’ulteriore difficoltà nella valutazione dell’ambiente come responsabile
delle forme di morbilità e mortalità umana è legata al fatto che, sebbene si
conoscano con una certa accuratezza molti cicli ambientali, si può affermare che la
scienza delle dinamiche dei composti chimici inquinanti sia ancora in gran parte
sconosciuta.
10.9.2.0.– Popolazione ad alto rischio
10.9.2.1.– Generalità
Quando si discute dell'azione di certi tossici ambientali sull'uomo si
ritiene consuetudinariamente il soggetto "uomo" come qualcosa d’omogeneo
senza tener conto delle variazioni significative che esistono nelle diverse
popolazioni. É noto, infatti, come gli individui di razze diverse abbiano differenti
livelli di risposta fisiologica. Non si considera invece quella serie di differenze
fondamentali, che, internamente alle singole razze, seleziona individui con capacità
di risposta ai tossici molto diverse tra di loro.
E questa la "famiglia" dei soggetti della popolazione ad alto rischio.
Tale popolazione é formata da individui che, per fattori
- di sviluppo
- genetici
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.32
- patologici
- comportamentali
Risentono dei tossici nell'ambiente in misura di gran lunga maggiore di quanto
non faccia la media della popolazione.
I fattori di sviluppo sono legati all'improprio sviluppo fisico dell'individuo
allo stato fetale od infantile e sono classificabili nei seguenti gruppi:
a) individui che hanno i sistemi enzimatici di detossificazione immaturi;
b) individui che hanno il sistema immunologico immaturo;
c) individui che mostrano deficienza nella risposta immunologica
conseguente all'invecchiamento;
d) altri fattori legati all'età (declino delle funzione renale ecc.);
e) gravidanza;
f) ritmi biologici.
I fattori genetici sono classificabili in cinque principali categorie:
a) disordini dei globuli rossi;
b) disordini serici;
c) disordini del sistema regolatorio omeostatico;
d) disordini immunologico;
e) disordini legati all'assorbimento.
I fattori collegati con la dieta sono classificabili, a loro volta, in:
a) deficienza in vitamine;
b) deficienza in minerali;
c) deficienza in proteine-aminoacidi;
d) deficienza in grassi;
e) deficienza in carboidrati.
I fattori legati alle patologie sono rispettivamente:
a) patologia del cuore -polmone;
b) patologia della milza;
c) patologia del fegato.
Fattori infine, sui quali è teoricamente facile incidere a livello sociale sono
quelli comportamentali e precisamente:
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a) abitudine al fumo;
b) abitudine al bere;
c) abitudine ai farmaci;
d) abitudine d’alimentazione scorretta.
Noi esamineremo alcuni di questi fattori ed in particolare quelli relativi alla
risposta biochimica ed ai fattori comportamentali.
10.9.2.2.– Fattori di sviluppo
10.4.2.2.1.- Sistemi enzimatici immaturi
É noto che l'individuo appena nato possiede in parte una serie di difese
biochimiche che gli sono trasmesse della madre durante il periodo di gestazione.
Alla nascita, quindi, il bambino, ha già un certo bagaglio di difese che, per un certo
periodo, lo protegge da alcuni attacchi esterni sia biologici sia chimici. Appena
inizia la sua attività biochimica nei confronti dell'esterno il nuovo nato è però
relativamente indifeso e fino all'età' di 3-7 anni è disponibile a malattie tipiche
dell'infanzia alcune delle quali anche di tipo degenerativo.
La scoperta della ridotta o nulla capacità a metabolizzare sostanze
chimiche tossiche da parte del feto è un fenomeno ben noto. Molte ricerche sono
state compiute al riguardo specialmente in relazione alla trasmissione placentare di
composti (specialmente farmaci) somministrati alla madre e passati nel feto. Nel
feto è stata riscontrata una trascurabile attività metabolica nei confronti di sostanze
estranee anche se si è visto che tale attività aumenta dopo la nascita con velocità
dipendenti dalla specie e dal substrato. (Jondorf,Maickel e Brodie )
In genere il metabolismo del fegato per molti composti chimici è molto
minore di quello dell'individuo adulto. Pelkonen et al. hanno dimostrato che il fegato
fetale umano metabolizza il 3,4-benzopirene, l'anilina, l'aminopirina e l'esobarbital
con una velocità di reazione che va dal 2.4 al 36.1% di quella che si riscontra
nell'individuo adulto. Tali ricerche sono confermate da molti autori che attestano
intorno al 40% massimo il valore della velocità di reazione metabolica nel feto
rispetto all'individuo adulto. Ciò implica che il feto è sensibile all'azione dei tossici
per lo meno con un fattore 2 rispetto agli adulti.
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Un sistema che è presente in maniera completa negli adulti mentre è
deficitario nel feto è quello legato ai microsomi del fegato. Il sistema consiste in due
componenti catalitici dell'ossidazione (detossificazione) di molti composti chimici: il
primo è il citocromo P-450 ed il secondo è una flavoproteina che catalizza questo
citocromo da parte del NADPH; questa flavoproteina è nota come NADPHcitocromo-P-450
reduttasi.
Questo
sistema
è
un
potente
mezzo
di
detossificazione: ad esempio il colorante cancerogeno 4-dimetilaminoazobenzene
viene demetilato ossidativamente a 4-aminobenzene e formaldeide.
Al sistema che implica il NADPH si collegano molti altri sistemi ossidativi
(Citocromo C-reduttasi, citocromo b5 - reduttasi ecc.)
Se i suddetti sistemi enzimatici sono ben sviluppati nell'adulto non
altrettanto si può dire del feto che così è esposto sempre più a processi di
bioaccumulo del tossico non riuscendo a smaltirne che una piccola parte proprio
per la sua ridotta difesa enzimatica.
Un esempio più complesso che implica sia la detossificazione sia
l'escrezione è dato dell'inquinamento da PCB (Policlorobifenili). Calabrese ha posto
in rilievo come molti individui non siano in grado di detossificare ed eliminare i PCB
e quindi com’essi ricadano nella popolazione ad alto rischio per detti composti.
I PCB di solito vengono escreti negli adulti mammiferi ed umani in gran
parte attraverso la formazione di glucosiduronide o di solfati-coniugati. Ora il feto ed
i neonati di 2-3 mesi sono deficienti nel sistema di glucuronidazione e sono pertanto
predisposti all'azione di composti come i PCB o composti fenolici.
Un caso drammatico che conferma quanto già detto è dato dalla morte di
30 bambini prematuri (Smith e Williams) trattati con l'antibiotico cloramfenicolo nel
corso di un’epidemia di malattia infettiva. Il cloramfenicolo è metabolizzato proprio
attraverso il sistema di reazione con l'acido glucuronico che, nel neonato è
praticamente inattivo. Di conseguenza il farmaco fu metabolizzato in misura
inferiore alla quantità che veniva introdotta nel corpo e che, quindi, raggiunse il
livello letale che diede luogo all'exitus.
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10.4.2.2.2.- Sistemi immunitari immaturi
Com’esempio d’immaturità del sistema immunitario considereremo quello
che implica il ruolo del timo. Il ruolo del timo nei processi immunitari è sempre stato
sospettato da quando si è visto che animali timectomizzati perdevano alcune
proprietà importanti legate al sistema immunitario. Ad esempio si riscontrava una
congrua riduzione del linfociti del sangue ed una riduzione delle aree delle cellule T
nei linfonodi e nella milza. L’emissione dell’ormone timosina da parte del timo ha
rilevato una stretta correlazione con le difese immunitarie legate alle cellule (CMI cell mediated immunity).
L’escrezione
di
timosina
diminuisce
col
passare
degli
anni
in
corrispondenza, ovviamente, con la riduzione del volume e della funzionalità del
timo. Si ritiene che ciò sia la causa della maggior facilità di molte malattie connesse
con la riduzione delle difese immunitarie e che si riscontrano nell'anziano e nei
bambini in prima età.
Fig.10.2 Sviluppo del timo e relazioni con la difesa immunitaria
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La riduzione, nel tempo, della timosina (e quindi di una parte almeno delle
difese immunitarie) darebbe ragione, secondo alcuni autori, del fenomeno di delay
(ritardo) riscontrato nell'instaurarsi di processi cancerosi nonostante la probabile
costante presenza dell'agente scatenante. Secondo tali autori in realtà lo stato
canceroso sarebbe sempre presente e latente nelle cellule del soggetto e si
svilupperebbe in modo conclamato solo molto tempo dopo il processo
d’iniziazione/attivazione in funzione della riduzione delle difese immunitarie.
Sono ben noti i casi dei tumori da asbesto e da arsenico e si sa che essi si
sviluppano dopo un periodo di latenza di circa 30 anni. Analogamente il fumo di
sigarette, ben ricco di cancerogeni, provocherebbe una cancerogenesi latente che
si svilupperebbe quando le condizioni di difesa immunitaria sono assai deboli per
vari motivi e principalmente per l'età' del soggetto.
Le persone che hanno, quindi, per motivi d’età o d’altri processi biologici,
una riduzione delle capacità immunitarie entrano nella popolazione ad alto rischio.
10.4.2.2.3.- Caso particolare: la gravidanza
Una condizione che porta il soggetto in alto rischio è certamente la
condizione di gravidanza. É ben noto come il soggetto gravido subisca numerosi
cambiamenti fisiologici che interessano particolarmente il metabolismo del calcio e
del ferro. É altresì noto che la carenza di ferro predispone i soggetti agli effetti
tossici di metalli come il Cadmio, il Manganese ed il Piombo; nel caso del soggetto
gravido ci si può aspettare una minor difesa nei confronti di tali metalli tossici cosa
che, in realtà, è stata indirettamente verificata attraverso le condizioni del neonati
così partoriti.
Particolarmente importanti sono stati gli studi nei confronti di gravide
esposte a contaminazione da composti organoclorurati; vi sono prove evidenti di
un’alterazione congrua dei processi naturali di gestazione dell'embrione che può
portare all'aborto o ad altre patologie significative della sfera genitale della femmina.
10.4.2.3.0.- La cronobiologia: iI periodo dei ritmi biologici.
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Come si é gia visto, i bioritmi sono fondamentalmente caratterizzati dal loro
periodo. Benché da un punto di vista generale il periodo dei ritmi biologici possa
essere estremamente vario, é un dato di fatto che i bioritmi fondamentali siano
raggruppabili in quattro categorie fondamentali:
1) ritmi circadiani (periodo == circa 24 ore);
2) ritmi circamensili (periodo = circa 29 giorni);
3) ritmi circannuali (periodo = circa 365 giorni);
4) ritmi ultradiani (periodo < 24 ore).
É interessante notare come questi bioritmi, con eccezione dei ritmi ultradiani,
siano sincronizzati con alcuni eventi naturali astronomici: ciclo di rotazione della
Terra sul suo asse (ritmi circadiani), ciclo di rotazione della Luna attorno alla Terra
(ritmi circamensili), e ciclo di rotazione della Terra attorno al Sole (ritmi circannuali).
Come si é visto, i bioritmi principali hanno una base genetica, vale a dire sono
determinati endogenamente; pertanto, é da ritenersi che si siano formati
nell'essere vivente in tempi assai antichi, attraverso un processo evolutivo svoltosi
presumibilmente nell'arco di molte migliaia d’anni.
Senza entrare in merito al complesso problema della trasmissione ereditaria
dei caratteri acquisiti, e restando per comodità espositiva nell'ambito di una teoria
evoluzionista classica, é importante mettere in rilievo il significato adattativo dei ritmi
biologici. Quest’argomento non é stato studiato ancora a fondo fino ad oggi, e
richiede conferme sperimentali; tuttavia costituisce un’interessante ipotesi di lavoro
guardare ai bioritmi come ad una periodica modificazione fisiologica dell'organismo
che permette un migliore adattamento e una migliore resistenza al mutare delle
condizioni fisiche ambientali.
10.4.2.3.1.- Il ciclo circadiano
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Fig.10.3 Descrizione geometrica di un bioritmo
I ritmi biologici ed emozionali circadiani sono i più importanti ed i più
conosciuti, poiché corrispondono ad un ritmo fondamentale di riposo-atttivitá che si
svolge nelle 24 ore. Nell'arco di 24 ore molte funzioni, infatti, dimostrano di ripetere
sempre lo stesso ciclo che, pertanto è chiamato, circadiano (circa diem=intorno al
giorno).
Tipici cicli circadiani sono quelli della crescita cellulare, della mitosi, del
livelli ormonali, della temperatura corporea, dell'attività' del sistema nervoso
centrale ecc.
É intuibile che uno stress ambientale che colpisca un soggetto in un
momento in cui un certo processo di difesa si trovi al suo minimo energetico del
processo ciclico circadiano, potrà avere una capacità aggressiva di gran lunga più
efficace rispetto al momento in cui, invece, il soggetto si trova nel momento del
ciclo circadiano cui corrisponde il massimo delle condizioni di difesa.
Molti fatti significativi della vita biologica dell'individuo (morte, nascita
ecc.,) si verificano prevalentemente nel momento di minima attività,' dal punto di
vista dei cicli circadiani (rest span) mentre ciò risulta meno frequente negli altri
periodi di "all'erta" (activity spain).
Così agenti chimici cancerogeni sembra
inducano effetti maligni in funzione della periodicità circadiana durante la quale
vengono assunti dall'organismo.
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10.4.2.3.1.1.- Ritmi psicofisiologici circadiani
Lo studio sistematico dei ritmi circadiani ha mostrato come un gran numero di
funzioni fisiologiche e comportamentali manifesti una variazione continua e periodica
del livello d’attività per adattare fisiologicamente e psicologicamente l'individuo a
richieste dell'ambiente, anch'esse variabili in rapporto a diversi momenti della
giornata.
Mentre nell'animale usualmente vi é un sincronismo tra periodo d’attività
(esplorazione, caccia, ecc.) e periodo di massima funzionalità psicofisiologica,
nell'uomo, data la complessità delle strutture sociali in cui si trova ad operare, tale
sincronismo può essere ridotto o perduto. Può cioè accadere che si verifichi una
richiesta di massima prestazione psicofisiologica in una fase bioritmica orientata nel
senso del riposo e dell'attivazione di processi recupero della fatica, e viceversa.
Fig.10.4 Ciclo circadiano per alcuni indici biochimici nel topo
Questa desincronizzazione dei ritmi sociali e dei ritmi psicofisiologici può
comportare sia la comparsa di disturbi emozionali che di disturbi somatici, come
conseguenza della condizione di stress temporale a cui i bioritmi sono sottoposti.
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In questa prospettiva, diventa particolarmente importante, per prevenire la
possibile comparsa di disturbi psicosomatici e somatopsichici, sincronizzare il ritmo
della vita con il ritmo psicobiologico dell'organismo. Ciò può essere ottenuto rilevando
sistematicamente i principali bioritmi psicofisiologici circadiani e tracciando delle
'mappe circadianéche permettano di visualizzare la condizione fisiologica ed
emozionale d’ogni individuo in ogni momento della giornata.
L'analisi delle mappe circadiane mostra come un gran numero di variabili
metaboliche
si
modifichino
continuamente
secondo
precisi
ritmi
circadiani
sincronizzati tra loro. Il ritmo d’escrezione degli elettroliti urinari, del metabolismo del
glucosio, la composizione biochimica e figurata del sangue, sono alcune delle variabili
più studiate, ma l'evidenza clinica e sperimentale tendono a deporre per la presenza
di molte altre variabili metaboliche che variano in modo continuo secondo un ritmo
circadiano.
Fig.10.5 Ciclo circadiano nell’uomo
Senza entrare in un’analisi dettagliata dei singoli bioritmi, é importante
sottolineare il significato in medicina psicosomatica di tali mappe circadiane. La
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malattia somatica, infatti, non s’instaura più o meno improvvisamente come tale, ma é
preceduta da alterazioni reversibili del substrato biologico (precursori della malattia).
I bioritmi, con il loro reciproco sincronismo, condizionano il plasmarsi fisiologico
del substrato somatico alle richieste della biosfera; ogni alterazione di tali bioritmi, ad
opera di determinanti psicosociali suscettibili di produrre reazioni emozionali, può
indurre nell'organismo la formazione di precursori della malattia.
Tutti i ritmi metabolici circadiani conosciuti variano in sincrono tra loro e
sincronicamente con ritmi endocrini a cui sono probabilmente collegati; la diversa
reattività agli stimoli e la diversa suscettibilità alla malattia in momenti diversi della
giornata sono pertanto da porsi in rapporto alla diversa fase del ciclo metabolico in
cui avviene l’impatto tra agente patogeno ed organismo.
10.4.2.3.1.2.- Suscettibilità ai batteri e alle infezioni
É stato dimostrato che la reattività dell'organismo ai batteri e alle infezioni
segue un ritmo circadiano abbastanza ben definito. Gruppi d’animali da esperimento,
iniettati con colture batteriche ad intervalli regolari, mostrano nette variazioni nelle
percentuali di mortalità e di sopravvivenza in rapporto al momento dell'esposizione
all'agente patogeno.
É evidente che questa variabilità temporale nella resistenza alle infezioni é a
sua volta dipendente dai ritmi metabolici, endocrini e immunitari dell'organismo, e dal
loro reciproco integrarsi in maniera armoniosa.
Alcuni parametri biologici considerati come spiccatamente difensivi (numero e
tipo dei leucociti circolanti, contenuto plasmatico in gammaglobuline) hanno infatti
variazioni circadiane apparentemente in fase con le variazioni della sensibilità ai
batteri. A loro volta questi parametri difensivi sarebbero condizionati da bioritmi
endocrini legati all'alternanza delle fasi riposo-attivitá. Nel ratto si assiste ad una
netta variazione circadiana dei linfociti circolanti, con valori più bassi subito dopo
l'instaurarsi dell'oscurità, e dopo circa 4 ore dall'instaurarsi del massimo d’attività
surrenalica.
Nell'uomo non sono state ancora dimostrate variazioni circadiane della reattività
agli agenti batterici e alle infezioni analoghe a quelle dimostrate nell'animale, ma
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.42
sono state messe in evidenza variazioni circadiane a carico della resistenza
linfocitaria, che fanno supporre una possibile ciclicità dell'attività immunitaria nei
confronti d’agenti patogeni di tipo infettivo. É stato visto infatti che la risposta dei
linfociti umani ad un agente mitogeno varia, in vitro, in rapporto al momento in cui
essi sono stati prelevati dal circolo con un’acrofase di reattività localizzabile intorno
alle 9 del mattino, e limiti fiduciari abbastanza ampi.
Il significato dei cicli circadiani può essere spiegato ricordando che i
ritmi specifici degli organi, lenti o veloci che siano, devono coordinarsi con il
metabolismo che fornisce energia e nutrimento alle cellule ed ai tessuti e detti
ritmi debbono integrarsi tra di loro e con l'ambiente in cui si trovano. Il corpo
riesce a far ciò sviluppando quello che è chiamato ordine sequenziale nel
tempo.
Ed è proprio l'organizzazione circadiana che impone una forma d’interazione tra
le varie funzioni del corpo che permette al corpo umano stesso di adattarsi
progressivamente all'ambiente terreno (Halberg ).
Ritmi circadiani ben noti sono quelli riscontrati nella crescita cellulare, nella
mitosi, nei livelli ormonali, nella temperatura del corpo, nell'attività' del sistema
nervoso centrale ed anche, ciò che ha interesse per l'argomento specifico trattato,
nella risposta a stimoli e stress da parte d’agenti chimici o biologici esterni alla
struttura fisica del soggetto (agenti xenobiotici).
Nella sperimentazione su animali, si è visto, a tal proposito, come il
Benzopirene , noto cancerogeno, inducesse tumori maligni secondo criteri di
periodicità circadiana ossia lo sviluppo di tumori era correlabile con il
momento in cui il cancerogeno veniva somministrato.
Le considerazioni dei vari ricercatori sono riassumibili in una definizione di
Calabrese : “……sembra che tutti gli individui abbiano periodi nell'arco delle 24 ore in
cui, come individui, sono più suscettibili ai vari stressori ambientali. Se i dati da cui si
derivano gli standard di qualità ambientali non tengono conto di questi punti deboli,
l’adeguatezza
degli
standard
per
proteggere
la
salute
pubblica
è
molto
problematica…….”
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Nella valutazione, quindi, dei fattori tossici ambientali dovremo tener conto
di questi momenti in cui anche la popolazione normale risulta predisposta e quindi
classificabile come ad alto rischio.
10.4.2.3.2.0.- Ritmi psicofisiologici circannuali
I ritmi psicofisiologici circannuali sono indubbiamente meno conosciuti e meno
indagati dei ritmi circadiani o circamensili, sia perché essi sono più difficili da studiare
sul piano metodologico, sia anche perché i risultati ottenuti sull'animale sono
difficilmente estrapolabili all'uomo.
Benché la disponibilità di mappe circannuali possa rivelarsi assai utile in
psicosomatica, fino ad oggi dobbiamo limitarci ad osservazioni sporadiche di singole
funzioni di significato psicofisiologico non ancora del tutto chiarito.
Gli studi su primati, fisiologicamente simili all'uomo, hanno aperto interessanti
prospettive allo studio sistematico dei ritmi circannuali. R. Michael e D. Zumpe hanno
effettuato una serie di ricerche su alcuni ritmi psicoendocrini circannuali e sui relativi
correlati comportamenti della scimmia Rhesus, di cui un esempio interessante é
costituito dalle correlazioni tra il ritmo circannuale del testosterone plasmatico e i
comportamenti aggressivi.
I dati ottenuti mostrano come vi sia una caduta parallela d’aggressività e di
testosterone plasmatico nei mesi che precedono l'estate, con un caratteristico
recupero di entrambi i parametri nel periodo autunnale. Al di là comunque delle
evidenti correlazioni esistenti tra livelli di testosterone plasmatico e aggressività
comportamentale, si può rilevare come, in condizioni sperimentali opportunamente
controllate, sia possibile effettuare uno studio sistematico di bioritmi psicofisiologici
circannuali.
La conoscenza dei bioritmi assume una rilevante importanza pratica e clinica in
psicosomatica quando viene applicata allo studio della reattività somatica agli stimoli
ambientali.
Gli studi di cronobiologia effettuati negli ultimi anni hanno infatti mostrato come
la reattività psicologica e fisiologica dell'organismo ad una serie di stimoli fisici,
chimici, batterici e ormonali vari notevolmente a seconda del momento del ciclo
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biologico in cui avviene l'impatto tra l'individuo e lo stimolo. Uno stesso agente
patogeno può dunque avere effetti assai diversi a seconda del tempo biologico
dell'individuo in cui esso agisce e uno stesso stressori d’origine psicosociale può
produrre modificazioni della reattività del terreno biologico (animale e/o uomo) assai
variabili se agisce in momenti diversi.
10.4.2.3.2.1.- Ritmo delle mitosi cellulari e tumori
F. Halberg e altri ricercatori del Chronobiology Laboratory dell'Universitá del
Minnesota hanno sottoposto ad indagini sistematiche il problema del ritmo della
divisione cellulare, mostrando come quest'ultima si svolga secondo una
periodicità circadiana, sotto l'influenza di determinanti ancora poco noti.
Anche per quanto riguarda il metabolismo del DNA e dell'RNA é stata
messa in rilievo un'attività fasica con periodo circadiano, ed é stato dimostrato
che DNA e RNA raggiungono la loro acrofase in punti diversi.
Si é inoltre dimostrato che variazioni nei sincronizzatori esterni possono
influenzare sia il ritmo delle mitosi cellulari che quello dell'attività DNA-RNA ad
essa funzionalmente collegata. Un andamento circadiano nelle mitosi cellulari é stato
anche talvolta notato in alcuni tumori endocrinodipendenti, ma i dati disponibili sullo
sviluppo dei tumori maligni mostrano come la proliferazione cellulare neoplastica sia
in genere dissociata dagli usuali pacemaker circadiani dell'organismo.
Questa osservazione ha suggerito la possibilità di un uso d’antimitotici o
dell'irradiazione mirati cronologicamente scegliendo, per il trattamento, le ore di
scarsa attività mitotica delle cellule normali, tenendo eventualmente conto anche dei
momenti di maggiore attività delle cellule tumorali, quando questa sia rilevabile.
Al di là comunque della chemioterapia dei tumori, va osservato come la
possibilità di effettuare terapie mirate in rapporto alle fasi di maggiore o di minore
sensibilità dell'organismo (cronofarmacologia) abbia oggi aperto nuove e assai
promettenti possibilità d’intervento clinico in un gran numero di malattie d’interesse
somatico e psicosomatico.
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10.4.2.3.2.2.- L'età'
Abbiamo già posto in evidenza la riduzione delle difese immunitarie in
funzione diretta dell'età' parlando del timo e del suo ormone timosina. Ma altri effetti
non solo negativi sono propri dell'età avanzata probabilmente interagenti e coderivati
da fattori comuni. Ad esempio l'assorbimento di metalli pesanti è molto più elevato
nei giovani e giovanissimi che non nell'adulto e si riduce man mano che passano gli
anni. Stronzio, Piombo e Ferro sono tra i metalli più ' noti in questo fenomeno.
La clearence renale per i fluoruri aumenta progressivamente fino all'età' di
50 anni e poi decresce. L'effetto delle radiazioni è più sensibile nei bambini che non
negli adulti nel senso che bastano 5 - 10 rads nel bambino per ottenere ciò che
nell'adulto richiede più di 50 rads.
10.4.2.3.2.3.- I disordini genetici
Si calcola che almeno 150 disordini genetici siano presenti in maniera
quantitativa nella popolazione umana. (Stanbury J.B. Wyngaarden J.B. e Fredrickon
D.S.) . Molti di questi sono stati individuati come predisponenti per gli effetti tossici
d’alcuni inquinanti.
Cinque gruppi principali di disordini genetici sono di particolare interesse:
la talassemia, la deficienza dell'enzima Glucosio-6-Fosfato Deidrogenasi, la
deficienza dell'Antitripsina alfa1 serica (SAT), le varianti della pseudocolinesterasi, la
deficienza d’Immunoglobulina A (IgA).
La Talassemia, com’é noto, chiamata anche anemia mediterranea, è
caratterizzata da un'anomalia nella velocità di sintesi dell'emoglobina. In termini
fisiologici la sindrome talassemica, causata dalla mancanza di produzione
d’emoglobina e di sintesi di globina non bilanciata, porta allo sviluppo d’agglomerati
instabili di globina precipitata. Ciò porta ad un danno della membrana degli eritrociti
con una vita media delle suddette cellule ridotta. Il trasporto d’ossigeno, di
conseguenza è pure ridotto.
La frequenza della talassemia è particolarmente elevata per gli abitanti
delle regioni mediterranee, del Medio Oriente e dell'Estremo Oriente; dal 7 al 15%
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della popolazione della Sicilia e Sardegna sembra soffrire di tale disordine genetico
ma anche popolazioni della Turchia,dell'India,del Sudan e della Tailandia presentano
elevate percentuali di soggetti talassemici.
Pochi studi sono stati fatti sulla suscettibilità dei talassemici agli agenti
inquinanti nonostante l'evidente importanza che tale stato di predisposizione
rappresenta. Peraltro, dalle poche indagini realizzate si è potuta rilevare una
sensibilità aumentata dei talassemici, rispetto alla popolazione comune, al piombo,al
benzene ed agli ossidanti, in particolare, l'ozono. (Toche et al.).
La deficienza della Glucosio-6-Fosfato Deidrogenasi (G-6-PD) è un
disordine genetico legato al sesso che si caratterizza principalmente da un difetto
biochimico degli eritrociti difetto che interferisce fortemente nella integrità stessa della
membrana eritrocitica. Ciò significa che soggetti deficienti in G-6-PD non sono in
grado di mantenere l’integrità della membrana dei globuli rossi in condizioni di stress
emolitico.
Le prime indicazioni su tale tipo di disordine genetico vengono dalla
terapia antimalarica dove si scoperse che alcuni farmaci del tipo dei sulfonamidi,
nitrofurani sulfoni ed altri, provocavano elevata sensibilità emolitica nei soggetti.
Poiché
molti
composti
d’origine
industriale
presenti
nell'ambiente
hanno
caratteristiche simili ai suddetti farmaci è facile aspettarsi un’elevata sensibilità dei
soggetti stessi anche alla contaminazione ambientale.
É specialmente nei confronti dell'ozono e probabilmente di tutti gli
ossidanti che i soggetti deficienti in G-6-PD possono essere considerati ad alto
rischio per possibile azione emolitica. Tale azione può portare ad una crisi acuta
d’emolisi dopo circa 3 ore d’esposizione ad una concentrazione d’ozono di 0,5 ppm.
Secondo Beutler l'incidenza di tale deficienza negli Stati Uniti è molto
elevata comprendendo più dell'11% della popolazione maschile nera. Nella
popolazione bianca essa varia notevolmente. Secondo Stokinger e Mountain e
Lazarow la distribuzione della deficienza è dello 0,1% nei bianchi Americani, dello
0,1% nei Britannici, tra 1 e 2% nei Greci, tra 1 e 8% nei Sardi, dello 0,3% negli
Indiani asiatici, dell'11% negli Ebrei mediterranei, tra il 12 ed il 13% nei Filippini.
La deficienza nell’Immunoglobulina A (IgA) è un’altro disordine genetico
del tipo immunologico assai importante. É noto che l’IgA è la maggiore
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immunoglobulina presente nella saliva, nelle lacrime, nelle secrezioni nasali,
bronchiali e gastrointestinali nonché nel colostro (Eisen, Koistinen). Il suo ruolo
consiste nella protezione delle superfici secretorie nei confronti di composti estranei e
al sua deficienza è stata indicata come causa della sensibilità di molti soggetti a
malattie infettive o a patologie eziologicamente non identificate principalmente
dell'apparato respiratorio. La frequenza tra la popolazione normale di tale deficienza
è stata calcolata tra lo 0,0003 e lo 0,0030%; assumendo una frequenza dello 0,0025
può calcolare che, nei paesi occidentali si potrebbero avere più di 2.500.000 di
soggetti ad alto rischio per IgA deficienza. (Koistinen; Cassidy e Nordby, ; CollinsWilliams et al; Frommel et al.; Natvig et al.; Pai et al.; Pai et al.).
Tutto quanto finora esposto si è sviluppato per millenni senza contrasto se
non quello, naturale, dell'evoluzione che selezionava i soggetti più forti e resistenti. E
ciò sino all'avvento della moderna farmacologia.
Con tale avvento l'uomo ha incominciato ad andare contro natura in
senso evoluzionaristico. Infatti l'intervento massiccio di farmaci anti-immunitari e la
progressiva farmacodipendenza ha portato ad esseri che vivono e si riproducono
anche senza avere le caratteristiche d’autodifesa che la natura richiederebbe. Si
sono creati, in senso naturalistico dei mostri immunitari, assolutamente ben accetti
sul piano umano, sia ben chiaro, ma ripudiabili nel criterio evoluzionistico della
natura.
L'indebolimento
immunitario
dell'uomo
ha
avuto
conseguenze
drammatiche anche se difficilmente ravvisabili dalla popolazione comune. L'individuo
è diventato sempre più facile preda di malattie infettive, di malattie auto-immunitarie
(quante le forme d’allergia oggi esistenti), di tumori e, in genere, di molte forme
patologiche che possono, in maniera maggiore o minore, essere legate all'influenza
dell'ambiente in cui l'individuo vive.
Già per quanto concerne l'aspetto dell'immunità timo-dipendente abbiamo
visto com’esistano significative differenze tra l'individuo allo stato fetale, quello nella
prima infanzia, nella floridità della giovinezza, nella maturità della età media e nella
vecchiaia. Se consideriamo che i processi biochimici legati al timo ed alla timosina,
per quanto esempi significativi, sono solo due della grande e complessa famiglia
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delle reazioni di difesa immunitarie appare evidente che l'età è già di per sé un
fattore importantissimo nella verifica della reattività individuale ad uno stress.
Il primo e l'ultimo periodo della vita sono, intuitivamente, quelli a maggior
rischio nei confronti di uno stress ambientale
mentre il minimo rischio è nell’età da
10 ai 20 anni ed un medio rischio nell'età' matura.
10.4.2.3.3.0.- Fattori comportamentali
Data la complessità dei fattori genetici e gli aspetti ovvi dei fattori
dietologici e di quelli legati alla patologia riteniamo più significativo considerare, come
secondo gruppo, i fattori comportamentali.
Di essi, di gran lunga più significativo è quello dell'abitudine al fumo.
Infatti alcuni comportamenti dell'individuo tendono a portarlo in un’esposizione
maggiore del normale ad alcuni specifici inquinanti. Nel caso del fumo il
comportamento tende addirittura ad aggiungere un’esposizione addizionale a vari
inquinamenti.
Com’é noto, il fumo della sigaretta ha un effetto paralizzante sulle ciglia
del polmone con conseguente irritazione della struttura tissutale e modifiche generale
della funzionalità respiratoria; ma il fatto più importante e collegato alla presenza che
numerosissimi composti cancerogeni o iniziatori di tumori presenti nel fumo di
sigaretta. Ovviamente tale fenomeno tossico viene espletato anche su soggetti che
non fumano ma che sono costretti a respirare il fumo degli altri in quanto vivono in un
ambiente di fumatori. Ciò é particolarmente drammatico nel caso dei bambini che
iniziano, cosi, ad accumulare tossici cancerogeni fin dalla prima infanzia.
Oltre all'effetto intrinseco del fumo ve n'é un altro importantissimo da
considerarsi: quello della creazione d’individui ad alto rischio. Infatti il fumatore è
notoriamente un soggetto predisposto all'azione tossica di molti composti chimici
esistenti nell'ambiente.
I
fumatori
risentono
più
rapidamente
ed
in
misure
maggiore
dell'inquinamento atmosferico in quanto già predisposti a livello polmonare ad una
fase acuta delle azioni caustiche e aggressive dei polluenti atmosferici; risentono
ancora della presenza di prodotti cancerogeni esistenti negli ambienti di lavoro per
l'effetto contemporaneo degli altri cancerogeni intrinsechi alla composizione del fumo
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stesso di sigarette; sono estremamente facilitati nella generazione di malattie
cardiovascolari ed agli effetti sinergici d’altri fattori comportamentali.
L'alcool, ad esempio, esalta l'azione di cancerogeni presenti nel fumo e,
in maniera analoga il fumo esalta l'azione tossica di tale fattore comportamentale.
Un forte consumatore d’alcool ha una probabilità (espressa in rapporto di rischi) di
un cancro orale di 2,33; se però la persona è anche un grosso fumatore, la
probabilità sale di colpo a 15,5.
L'abitudine all'uso, alle volte indiscriminato, di farmaci porta a stati di
"eccitazione" o di "disattivazione" delle strutture fisiologiche dell'individuo.
Accoppiati con momenti particolari del ciclo circadiano tale concentrazione di farmaci
può provocare un’esaltazione di fenomeni tossici.
Resta ancora da accennare all’erronea alimentazione che tante volte
porta l'individuo a sovraccaricare l'organismo si dà renderlo predisposto a fatti tossici.
E d'altro canto e intuibile come molte funzioni fisiologiche (funzione renale ecc.)
incontrino notevoli interferenze in un soggetto dietologicamente squilibrati
10.6.0.0.0.- L’influenza dell’ambiente sulla salute degli animali. La
risposta psicosomatica
Fig.10.6 (da Pancheri, 1993)
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.50
10.4.2.3.4.0.- Stimolazione emozionale e risposta del sistema HPA
Seguendo Mason, possiamo delineare due fasi nella ricerca delle correlazioni
tra emozione e risposta HPA. In una prima fase, l'attenzione dei ricercatori si é
prevalentemente centrata sullo studio della risposta adrenocorticale in gruppi di
soggetti sottoposti a situazioni stimolo considerate dai soggetti stessi più o meno
stressanti.
In particolare, la relazione tra situazioni stressanti, stimoli emozionali, e reazioni
corticosurrenali é stata documentata in seguito ad interviste a contenuto stressante
in stati emozionali associati a sport competitivi, in stati emozionali, in situazioni
preoperatorie, con elevazioni ormonali correlabili al grado d’arousal, in occasione di
procedure diagnostiche, di situazioni d’esame, in situazioni estreme, come durante
operazioni belliche, in nuove esperienze psicologicamente significative come
l'ingresso in ospedale, nel corso d’ipnosi, in rilassamento profondo o sotto l'effetto di
stress emozionali.
Tutti gli studi che hanno seguito questo indirizzo hanno confermato quanto già
noto dalla sperimentazione sugli animali, in particolare sulle scimmie, vale a dire che
una stimolazione sufficientemente intensa può provocare un'attivazione del sistema
HPA. Tutte queste ricerche, tuttavia, sono state centrate sulla correlazione tra
situazioni a presunto valore evocativo-emozionale, piuttosto che sull'impatto di tali
situazioni sull'individuo e sulle sue modalità di reagire emozionalmente alla
situazione. In effetti, la variabilità interindividuale dell'attivazione del sistema HPA ha
mostrato d’essere assai elevata, e non spiegabile semplicemente con la normale
curva della variabilità individuale di risposta biologica allo stimolo.
Vari ricercatori, in studi su genitori di bambini leucemici hanno trovato che non
solo i valori basali di 17-OHCS erano assai diversi da individuo ad individuo ma che
la variazione rispetto ai valori basali, in seguito ad un aumento dello stato di 'stress',
in alcuni soggetti seguiva un andamento paradosso.
In una seconda fase pertanto gli studi di psicoendocrinologia relativi alla
attivazione emozionale del sistema HPA si sono rivolti all'analisi più approfondita dei
'meccanismi di difesa o meglio alle 'strategie di gestione dell'emozione evocata dallo
stimolo.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.51
In questa prospettiva, Mason ha suggerito che, se il livello dei corticosteroidi é
un buon indice della stimolazione emozionale, come é stato dimostrato dagli studi
citati in precedenza, allora le variabilità individuali di fronte alle stesse stimolazioni
ansiogene sono una misura dei differenti tipi e della diversa efficacia dei sistemi di
difesa utilizzati.
In una serie di studi condotti tra il 1964 e il 1968 sulla produzione di 17-OHCS
in genitori di bambini leucemici e nello studio parallelo dei meccanismi di controllo
della situazione stressante, Wolff e altri hanno mostrato che quanto più
efficacemente i soggetti si difendevano contro la minaccia di perdita del figlio, tanto
più bassi erano i valori urinari di 17--OHCS. In molti casi l'assenza di reazione del
sistema HPA era sicuramente da porsi in rapporto con meccanismi di
É interessante notare che, in uno studio successivo condotto sui medesimi
soggetti dopo la morte dei bambini, si é mostrato che quei soggetti che avevano
valori di 17-OHCS al di sopra della media durante la malattia dei bambini,
mostravano in seguito (sei mesi dopo la morte) un abbassamento significativo di tali
valori, mentre coloro che avevano valori al di sotto della media del gruppo
mostravano, a sei mesi di distanza dalla morte del figlio, un innalzamento
statisticamente significativo.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.52
Fig.10.7 (da Pancheri 1993)
Questi dati tenderebbero a suggerire che la messa in atto di meccanismi di
negazione e di rimozione nei confronti della reazione emozionale prodotta da una
grave situazione stressante provoca una successiva reazione emozionale ad eventi
stressanti più intensa, almeno a livello psicoendocrino, di quanto non avvenga in
quei soggetti che hanno reagito più intensamente e, in apparenza, meno
efficacemente alla situazione stressante.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.53
Fig.10.8 (da Pancheri 1993)
Analogamente é stato osservato che in una situazione chiaramente stressante
come l'attesa di una biopsia alla mammella, l'impiego di meccanismi di difesa, come
la negazione e la razionalizzazione, frequentemente si associa ad una più bassa
produzione di corticosteroidi, mentre l'impiego di proiezione e spostamento
corrisponde a livelli di corticosteroidi più elevati.
Correlazioni di significato simile sono state segnalate non solo nel caso di una
difesa verso situazioni stressanti esterne, precise e definite, come le precedenti,
oppure nel corso d’operazioni militari; ma anche, più in generale, in studi prospettivi
sulla capacità difensiva individuale verso tensioni e stress di tipo quotidiano. É
verosimile supporre che il correlato neurofisiologico di queste osservazioni sia
costituito da impulsi inibitori provenienti da centri superiori e diretti alle strutture
limbiche implicate nella regolazione dello stato emozionale, e quindi con successiva
interferenza, a livello ipotalamico-ipofisario, nei meccanismi neuroendocriti.
Tali dati si accordano con il modello integrativo della malattia psicosomatica
centrato sull'ipotesi della bilancia tra espressione emozionale aperta ed espressione
somatica della condizione di stress. In questo contesto, la messa in atto sistematica
di meccanismi di rimozione e di negazione in situazioni apertamente frustranti
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provocherebbe una sensibilizzazione somatica a microstimolazioni successive, con
risposta psicoendocrina potenziata.
La complessità dei fattori interessati nella produzione di 17-OHCS è mostrata
da un crescente numero di studi che tendono ad esplorare sia le variabili sia hanno
agito in precedenza nel soggetto sia la situazione d’interazione psicosociale
attuale del soggetto.
Alti livelli di responsabilità nell'ambito di un gruppo sono stati trovati correlati
ad alti valori d’attivazione del sistema HPA (asse ipotalamo-pituitaria-adrenale);
tali valori sono d'altra parte associati a particolari caratteristiche di personalità.
L'importanza delle esperienze precedenti [Life Stress Events: vedi più avanti]) nel
determinare il livello di 17-OHCS nell'adulto é stata dimostrata sia nella scimmia sia
nell'uomo.
Fig.10.9 (da Pancheri,1993)
Nell'uomo, la perdita di un genitore nell'età infantile produce nell'adulto valori
medi d’escrezione di 17-OHCS o più elevati o più ridotti rispetto alla media. É
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interessante notare come i soggetti con perdita della madre in età infantile hanno
valori più elevati rispetto a quelli con perdita del padre.
Tali dati suggeriscono la messa in atto di meccanismi di difesa diversi nei
confronti della stimolazione emozionale prodotta da eventi della vita quotidiana e che
tali meccanismi di difesa siano condizionati quantitativamente dalla esperienza per la
perdita sofferta in età infantile.
10.4.2.3.5.0.- Il sistema immunitario ed il suo ruolo nelle risposte ambientali.
II sistema immunitario ha il compito di difendere l'organismo dal possibile
rischio patogeno costituito dalla penetrazione d’elementi estranei alla fisiologia
dell'ospite;
tali
elementi
possono
avere
struttura
tessutale,
cellulare
o
macromolecolare e possono provenire dall'esterno cosi com’essere prodotti
all'interno dell'organismo stesso in particolari circostanze.
Nel caso di reazioni dell'organismo nei confronti di cellule o tessuti estranei, la
reazione immunitaria é innescata e sostenuta da strutture macromolecolari, presenti
nelle sostanze introdotte, che vengono identificate e riconosciute com’estranee dalle
strutture specializzate del sistema immunitario.
Un primo tipo di reazione immunitaria di fronte alla presenza di sostanze
estranee é costituito dalla produzione di macromolecole specifiche che hanno la
caratteristica di interagire con la sostanza estranea producendo un composto
inattivo, o distruggendola. In questo tipo di reazione la macromolecola estranea é
definita antigene, mentre la macromolecola difensiva prodotta dal sistema
immunitario é definita anticorpo.
Questa reazione immunitaria ha la caratteristica della rapidità, in quanto la
produzione d’anticorpi avviene con un tempo di latenza relativamente breve e gli
anticorpi vengono immessi nel circolo sanguigno al fine di garantirne la diffusione e
facilitarne l'interazione con gli antigeni.
La reazione immunitaria caratterizzata dalla presenza d’anticorpi circolanti é
usualmente definita come immunità umorale. In essa, gli anticorpi sono costituiti da
una serie di molecole proteiche definite come immunoglobuline (Ig) che vengono
prodotte da cellule specializzate: i linfociti B (borsadipendenti).
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L'immunità umorale é responsabile delle reazioni difensive sia nei confronti
d’agenti batterici o virali, che nei confronti d’altri agenti in grado di indurre una
reazione anticorpale. A livello clinico, l'immunità umorale é interessata nella
patogenesi d’alcune classiche malattie a componente psicosomatica come l'asma e
la rinite allergica, cosi come nella produzione dello shock anafilattico.
Fig.10.10 (da Pancheri, 1997-3)
Un secondo tipo fondamentale di reazione immunitaria é costituito da una
reazione difensiva basata non sulla presenza d’anticorpi circolanti ma sulla reattività
specifica di cellule specializzate presenti in circolo. In questo caso, l'antigene viene
identificato e riconosciuto da alcuni recettori localizzati sulla membrana di tali cellule
specializzate, definite come linfociti T (timodipendenti), che interagiscono con
l'antigene producendo una reazione difensiva mediata direttamente dai linfociti T
stessi.
Questo secondo tipo di reazione immunitaria é definito come immunità cellulare
ed é responsabile, ad esempio, del rigetto dei trapianti di tessuto non omologhi, vale
a dire provenienti da individui con struttura genetica diversa da quella dell'ospite, e
della resistenza verso vari agenti infettivi o verso i tumori.
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I due tipi di reazione immunitaria sono entrambi altamente specifici, in quanto la
reazione difensiva che viene messa in atto é personalizzata sull'antigene introdotto;
é interessante notare inoltre che, in molte circostanze, le due risposte umorale e
cellulare sono in stretto rapporto funzionale l'una con l'altra.
10.4.2.3.6.0.- II sistema immunitario come struttura relazionale.
Esistono alcune interessanti analogie funzionali tra sistema immunitario e
sistema nervoso che aiutano a comprendere i rapporti, osservati clinicamente e
sperimentalmente, tra stressori, emozioni e malattia somatica.
Come il sistema nervoso, il sistema immunitario é costituito da cellule
altamente specializzate e differenziate diffuse in tutti i tessuti, che forniscono una
risposta specifica a stimoli esterni o interni particolari.
Nel sistema nervoso, gli stimoli afferiscono alle cellule specializzate (neuroni)
attraverso i canali sensoriali stimolati dai sensi specifici; nel sistema immunitario gli
stimoli sono costituiti da agenti chimici, usualmente a struttura macromolecolare, che
afferiscono per via umorale o tessutale alle cellule specializzate (cellule
immunocompetenti).
Come nel sistema nervoso, anche nel sistema immunitario avviene
un’elaborazione 'centralé dello stimolo, che produce quindi una risposta condizionata
dallo stimolo stesso, ma collegata ad esperienze precedenti (memoria) che
condizionano a loro volta la natura e l'entità della risposta specifica. Infine,
analogamente alla risposta che si verifica nel sistema nervoso, anche nel sistema
immunitario si verifica un'azione a distanza della risposta immunitaria con una
tendenza alla generalizzazione della risposta a tutti i tessuti dell’organismo.
Possiamo dunque osservare, anche nel sistema immunitario, una fase di
stimolo, una fase d’elaborazione, e una fase di risposta che si svolgono in gran parte
automaticamente, in analogia a quanto avviene nei meccanismi d’adattamento
viscerale neurovegetativo e che, come questi ultimi, possono essere influenzati da
determinanti esterni di vana natura.
L'informazione, proveniente generalmente dall'esterno dell'organismo o, nel
caso dei fenomeni autoimmuni, anche dal suo interno, qui costituita dall'antigene o,
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più genericamente, da una qualsiasi struttura macromolecolare con caratteristiche
d’estraneità. L'antigene, a contatto con gli organi sensoriali immunitari rappresentati
dai linfociti B e T e dai macrofagi, innesca il processo d’identificazione e di
riconoscimento dello stimolo.
Analogamente ai processi d’elaborazione dell'informazione che si verificano nei
centri nervosi, nel sistema immunitario, lo stimolo viene valutato dal punto di vista
del suo significato di minaccia per l'organismo, tenendo conto sia dell'informazione
genetica impressa nel sistema, che delle esperienze precedenti del sistema stesso
(precedenti esposizioni allo stesso stimolo). Come il sistema nervoso, anche il
sistema immunitario può, in questa fase, commettere errori di valutazione e di
riconoscimento reagendo in modo inadeguato di fronte ad una minaccia reale o
mostrando
una
reazione
eccessiva
nei
confronti
di
materiali
provenienti
dall'organismo stesso e usualmente non considerati come antigeni.
Nella fase di risposta, analogamente al sistema nervoso che produce
alterazioni somatiche e comportamentali destinate a distruggere o ad allontanare la
minaccia, il sistema immunitario tenta di neutralizzare lo stimolo estraneo, con la
produzione di complessi antigene-anticorpo che inattivano l'antigene attraverso vari
meccanismi, e attraverso reazioni cellulari dirette.
Al di là comunque delle analogie funzionali tra sistema immunitario e sistema
nervoso appare evidente il significato di struttura relazionale tra ambiente esterno e
tessuti che può essere attribuito al sistema immunitario a livello macromolecolare.
In questa prospettiva, sistema nervoso vegetativo, sistema endocrino e sistema
immunitario possono essere considerati unitariamente come strutture relazionali
complesse tra l'ambiente esterno e le strutture biologiche dell'organismo, con
un'azione rispettivamente a livello tessutale (SNV), a livello cellulare (SE) e a
livello macromolecolare (SI).
Questa diversità di livelli d’azione dei tre sistemi relazionali biologici sembra
trovare un corrispettivo a livello dell'evoluzione filogenetica. I sistemi d’elaborazione
dell'informazione
di
tipo
immunitario
sembrano
essere
una
caratteristica
fondamentale della materia vivente fin dal livello più elementare, mentre i sistemi
relazionali di tipo endocrino fanno la loro comparsa in organismi strutturalmente più
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complessi e differenziati, parallelamente allo sviluppo delle prime strutture nervose
differenziate.
L'aumento della complessità strutturale dell'organismo vivente e della
differenziazione tessutale comporta uno sviluppo parallelo del sistema nervoso, fino
alla creazione di una struttura relazionale specializzata costituita dal sistema nervoso
centrale.
Ciò comporta anche una gerarchizzazione funzionale dal punto di vista
dell'azione diretta dei vari stressori sui tre sistemi relazionali. Dall'azione diretta e
immediata degli stressori sul sistema nervoso vegetativo, si passa all'azione più
mediata sul sistema endocrino, fino all'azione indiretta, ma non per questo meno
importante dal punto di vista psicobiologico, sul sistema immunitario.
Queste ragioni rendono intrinsecamente più complesso il problema dello studio
dei rapporti tra stress, emozioni e reazioni immunitarie, benché una crescente
evidenza, scaturita da osservazioni cliniche e da ricerche sperimentali, abbia ormai
dimostrato l'influenzabilità del sistema immunitario da parte di stressori emozionali di
varia natura.
10.4.2.3.7.0.- Effetti dello stress e delle emozioni sull’immunità.
Un'ampia letteratura clinica ha ormai stabilito, nell'uomo, un rapporto
eziopatogenetico tra stressori emozionali di varia natura e insorgenza di malattie
somatiche provocate da disfunzioni del sistema immunitario.
Asma bronchiale, febbre da fieno e dermatiti allergiche sono classici
esempi di malattie nelle quali sono stati identificati determinanti precisi su base
immunitaria parallelamente a precise alterazioni della reattività emozionale, ma la
concomitanza di reattività del sistema immunitario e di fattori emozionali é stata
anche rilevata in malattie autoimmuni come l'artrite reumatoide.
Questi studi e queste osservazioni cliniche, tuttavia, non chiariscono i rapporti
causali che possono intercorrere tra stress e reazioni immunitarie intese come
precursori della malattia.
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La concomitanza di disturbi o di problemi emozionali e d’alterazioni immunitarie
in una sindrome morbosa non permette di affermare un rapporto di causalità, in
quanto entrambi i fattori possono dipendere da un terzo determinante sconosciuto.
Da qui la necessità di studi clinici e sperimentali che possano chiarire i rapporti
tra stressori emozionali e reazioni immunitarie, prescindendo, per quanto possibile,
dalla mediazione d’altri sistemi relazionali.
Negli ultimi anni, un numero crescente di studi ha permesso di provare con
certezza che gli stressori di natura emozionale interferiscono a vario livello con la
reattività del sistema immunitario condizionandone l'efficienza in modo notevole fino
al punto da portare, negli animali da esperimento, ad un aumento della suscettibilità
alle malattie infettive e della mortalità.
In varie specie animali stressori emozionali protratti e intensi possono
deprimere sia la risposta immunitaria umorale sia cellulare.
La risposta mediata da anticorpi (risposta umorale) appare particolar mente
sensibile: la quantità d’anticorpi circolanti verso antigeni di varia natura é ridotta in
misura statisticamente significativa nei topi sottoposti a stress emozionale rispetto ai
gruppi di controllo.
La depressione immunitaria cosi prodotta ha portato, in alcuni studi, ad effetti
letali per gli animali da esperimento". In seguito a stress, é risultata depressa anche
la reazione immunitaria secondaria, cioè la reazione consistente in un aumento della
concentrazione d’anticorpi che si osserva dopo la seconda somministrazione
d’antigene (la reazione immunitaria secondaria é comunemente usata nelle
vaccinazioni).
La reazione emozionale causata dalla ripetuta esposizione a suoni e luci
disturbanti (alcuni minuti, tre o quattro volte il giorno, a caso, per un mese) provoca
anche nelle scimmie alterazioni immunitarie come il ritardo nel tempo di formazione
degli anticorpi verso antigeni iniettati nello stesso periodo, con un titolo anticorpale
finale più basso, in confronto ai gruppi d’animali di controllo.
É importante rilevare come negli animali sottoposti a situazioni stressanti
croniche di questo tipo si associno alterazioni a carico degli organi linfatici che
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giocano un ruolo rilevante nelle difese immunitarie (ipotrofia della milza e del timo,
linfocitopenia), e modificazioni di tipo endocrino (aumento dei 17-OHCS).
Oltre al settore dell'immunità umorale, anche il compartimento cellulare del
sistema immunitario é elettivamente sensibile all'azione di vari stressori. Stimoli
stressanti di varia natura possono modificare le reazioni d’ipersensibilità ritardata nei
topi e nelle cavie; anche il rigetto dei trapianti cutanei, una tipica reazione mediata da
cellule, risulta infatti d’entità ridotta, rispetto ai controlli, negli animali sottoposti per
due settimane a reazione d’evitamento prima del trapianto
L'effetto é probabilmente imputabile alla protratta ipersecrezione d’ormoni
corticosteroidi.
Anche la reazione graft-versus-host, cioè la reazione del trapianto verso
l'ospite, viene depressa in seguito all'applicazione di stressori al ricevente sia prima
sia»dopo l'iniezione di linfociti.
L'azione degli stressori si esercita anche a livello del processo di ricircolazione
dei linfociti T, che é ritenuto di particolare importanza ai fini dei processi d’interazione
dei linfociti con gli antigeni. Studi effettuati con linfociti T marcati hanno infatti
mostrato che la ricircolazione linfatica di queste cellule, più precisamente l'output dal
dotto toracico, viene alterata e ridotta da stimoli stressanti anche lievi, come la
manipolazione, o più intensi, come operazioni chirurgiche. Lo stesso effetto può
essere riprodotto con un’iniezione d’ACTH oppure d’ormoni corticosteroidi.
Il differente effetto in rapporto alla durata dell'azione dello stressori sulla
risposta dei linfociti T e dei linfociti B é stato studiato da A. A. Monjan e M. I.
Collector che hanno dimostrato uno schema bifasico di risposta della reattivitá
immunitaria.
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STRESS E REAZIONI IMMUNITARIE
Animale: TOPO
Stressori: sonoro
Effetto: riduzione della produzione d’interferone
Animale: RATTO
Stressori: manipolazione
Effetto: inibizione della ricircolazione dei linfociti T
Animale: TOPO
Stressori: sonoro
Effetto: schema bifasico di reattività
(immunodepressione seguita da incremento)
dei
linfociti
B
e
T
Animale: TOPO
Stressori: risposta d’evitamento
Effetto: riduzione della velocità di rigetto di trapianti cutanei
Animale: RATTO
Stressori: isolamento o sovraffollamento
Effetto: non effetti significativi alla risposta dei linfociti T alla PHA;
riduzione della risposta
specifica dei linfociti sensibilizzati
Animale: TOPO
Stressori: raggruppamento
Effetto: riduzione della produzione d’anticorpi
Animale: SCIMMIA
Stressori: stimoli sonori e luminosi
Effetto: riduzione e ritardo della formazione d’anticorpi
Animale: RATTO
Stressori: sovraffollamento
Effetto: riduzione della risposta anticorpale primaria e secondaria,
scomparsa dell'effetto 'booster'
Animale: TOPO
Stressori: centrifugazione
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Effetto: riduzione della produzione d’anticorpi
Stressori: raggruppamento
Effetto: riduzione del titolo anticorpale
In concomitanza con il primo periodo di stress (1-20 giorni) é stata rilevata una
notevole iporeattivitá, fino alla immunosoppressione, che ha raggiunto il suo
massimo livello tra il 4° e il 10° giorno; con il protrarsi dell'esposizione allo stimolo
stressante, in un secondo periodo (a distanza di 20-40 giorni) é stato osservato un
graduale e progressivo ripristino della reattività, che ha raggiunto dal 25° al 35°
giorno un vero e proprio carattere di potenziamento delle risposte
. Nei primi dieci giorni era presente una forte elevazione dei corticosteroidi
plasmatici; successivamente, i livelli sono progressivamente tornati alla norma.
Altri studi, infine, condotti sempre sull'animale da esperimento (ratto) hanno
dimostrato un’immunodepressione cellulare in seguito all'esposizione a stressori
quali l'isolamento o il sovraffollamento".
In seguito a stress, possono dunque essere colpite sia le funzioni del sistema
timodipendente, cioè del sistema cellulare T, sia le funzioni del sistema
borsadipendente, o umorale; esse, inoltre, possono essere interessate ciascuna a
più livelli delle proprie sequenze.
Non si hanno dati precisi, per il momento, per stabilire quale sequenza sia in
assoluto più suscettibile allo stress; come si é visto, molto dipende e varia secondo il
tipo d’animali studiati, delle condizioni e del disegno dell'esperimento, del tipo di
stressori, dei tempi d’esposizione.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.64
Fig.10.11
10.4.2.4.0.- Studi sull'uomo
L'evidenza degli studi sperimentali sugli animali sembra provare che l'entità’
degli effetti reattività immunitaria può essere anche notevole fino ad una netta e
marcata depressione. Nel caso dell'uomo, almeno per il momento, non sono
disponibili numerose ricerche come gli animali. Le prime indagini compiute in vivo e
la larga quantità di studi sui mediatori sembrano peraltro dimostrare la realtà
dell’ipotesi secondo cui anche il sistema immunitario dell'uomo é particolarmente
sensibile a stimoli stressanti emozionali.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.65
L'attuale carenza di studi sperimentali umani é in rapporto al fatto che gran parte
delle conoscenze sul sistema immunitario si sono sviluppate solo di recente, e solo da
pochi anni sono disponibili, per le ricerche sul rapporto tra stress e immunità, le
conoscenze teoriche e le possibilità tecniche per progettare e realizzare esperimenti
adeguati.
Un altro problema é costituito dalle ovvie difficoltà che si incontrano nello studio
e nel controllo delle innumerevoli variabili coinvolte nel rapporto tra stimoli stressanti,
personalità, modificazioni endocrine e immunitarie, e possibilità di malattia.
Oltre agli esperimenti in vitro sui linfociti umani, alcuni primi studi effettuati in
vivo sull'uomo appoggiano l'ipotesi secondo la quale è probabile attendersi
modificazioni immunitarie in rapporto a stimoli emozionali.
Ad esempio, nel corso degli esperimenti del programma Skylab della NASA, é
stata rilevata nel giorno dello splashdown (ammaraggio) una significativa depressione
della formazione di rosette e della trasformazione linfocitaria da parte dei linfociti degli
astronauti.
Ma di maggiore interesse, perché in stretta relazione con gli aspetti della vita
emozionale, sono i risultati di una ricerca che per la prima volta ha mostrato come uno
stressori psicologico intenso produca alterazioni misurabili nella funzione immunitaria.
Sono stati esaminati ventisei soggetti, fisicamente sani, che avevano subito di
recente un evento tra i più fortemente stressanti, come la perdita del coniuge a causa
d’incidenti o di malattia. Nel corso di questo studio prospettivo sono stati presi in
esame, a distanza dall'evento, vari parametri immunologici.
A distanza di sei settimane, é stata rilevata nel gruppo dei soggetti in lutto,
rispetto ad un gruppo di controllo selezionato, una netta e statisticamente significativa
alterazione funzionale dei linfociti T, non accompagnata da alterazione di tipo
quantitativo. Vale la pena osservare che, in questa ricerca, i livelli plasmatici dei
cosiddetti ormoni dello stress (cortisolo, GH, prolattina) erano nell'ambito della norma,
suggerendo quindi un possibile effetto delle emozioni sul sistema immunitario non
mediato dal sistema endocrino.
Sono stati oggetto di ricerca, nell'uomo, anche altri aspetti dell'immunità nella
prospettiva dei loro rapporti con stressori di tipo disturbante a scarsa componente
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.66
emozionale diretta. L'esposizione ad uno stressori sonoro d’elevata intensità si
associa ad alterazioni significative nella produzione d’interferone, una proteina che é
parte di una linea di difesa naturale per combattere le infezioni da virus negli animali
superiori. In particolare, si assiste ad un aumento progressivo nella produzione
d’interferone durante lo stress, che si protrae anche dopo la cessazione dello stimolo
disturbante.
Esperimenti condotti, sempre nell'uomo, con le medesime modalità hanno
mostrato che l'esposizione allo stimolo stressante riduce la capacità fagocitaria dei
leucociti, cosi come il numero dei polimorfonucleati e dei monociti circolanti, con
ripristino delle condizioni di base solo dopo alcune ore dall'allontanamento dallo
stimolo stressante.
In questo caso, gli ormoni dello stress dosati (adrenalina, noradrenalina,
cortisolo e tiroxina) risultano elevati, suggerendo la possibilità di una mediazione
ormonale tra stressori e attività immunitaria d’alcuni elementi figurati del sangue.
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10.4.2.4.1.- Stress, sistema immunitario e malattie.
Si é visto come la funzione del sistema immunitario sia quella di effettuare una
sorveglianza nei confronti di sostanze estranee, dotate di possibile potere patogeno
per l'organismo. Una depressione del sistema d’identificazione e d’intervento
immunitario può permettere ad agenti batterici o virali di svilupparsi nell'organismo,
provocando malattie infettive di varia natura.
Una depressione immunitaria é stata anche ipotizzata come una delle possibili
concause dei carcinomi e d’altri tumori (teoria della immunosorveglianza).
Un’iperattività del sistema immunitario può invece condurre a reazioni immunitarie
dirette contro gli stessi tessuti dell'organismo, identificati com’estranei e combattuti
come tali (e questa sarebbe l'origine delle malattie autoimmuni).
In altre malattie ancora (le cosiddette malattie allergiche) il sistema immunitario
appare intervenire patogeneticamente a vari livelli condizionando sia l'insorgenza sia
il decorso della malattia.
In queste malattie, e molto probabilmente anche in altre non ancora
sufficientemente studiate, le alterazioni del sistema immunitario assumono il
significato di precursori della malattia stessa.
Come tali, essi esercitano la loro azione in parallelo con altri precursori, e sono a
loro volta influenzati da una serie di concause, il cui peso eziopatogenetico varia non
solo da malattia a malattia, ma nell'uomo, soprattutto da soggetto a soggetto
Lo stress, e la reazione emozionale ad esso associata, è solo una delle molte
variabili in gioco, e benché l'evidenza clinica ne mostri in molti casi l'importanza
decisiva, la loro importanza clinica é difficilmente quantificabile a livello sperimentale.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.68
Fig.10.12 (da Pancheri, 1993)
10.4.2.4.2.- Le malattie infettive ed il loro legame con gli stress
Le malattie infettive sono il campo clinico-sperimentale dove è oggi disponibile il
maggior numero di dati, e dove il rapporto tra stress e insorgenza della malattia è
stato meglio dimostrato.
In differenti specie animali, l'esposizione a stressori acuti e cronici è in grado di
interferire con la resistenza biologica ad infezioni naturali e sperimentali, e di influire
sul decorso della malattia: è, infatti, stata documentata, in topi sottoposti a varie
situazioni di stress (da reazione d'evitamento, da shock-stress, da raggruppamento)
rispetto ai gruppi di controllo un’aumentata suscettibilità all'Herpes simplex e ai
Coxsachie B virus
Nel caso di neoplasie indotte da agenti virali, lo stress può essere un fattore
decisivo nel favorire la malattia, e ceppi d’animali geneticamente resistenti alla
malattia perdono questa loro naturale resistenza in situazioni stressanti.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.69
Risultati analoghi sono stati riportati anche in studi condotti con altri agenti come
il virus della stomatite vescicolare, con la Salmonella Typhimurium, e con
l’Escherichia coli. Nella maggior parte di questi esperimenti è stata accertata una
concomitante iperattività della corteccia surrenale.
Non sono stati invece ottenuti risultati indicativi in indagini condotte con il virus
dell'influenza. Anche altri stressori comunemente impiegati come l'isolamento, si sono
mostrati efficaci nell'indurre elevazione dei tassi plasmatici di corticosterone e
aumento delle percentuali di mortalità dopo infezione con virus dell'encefalomiocardite
in confronto ai gruppi di controllo.
Nel caso d’infezione con il virus della leucemia murina, lo stress cronico ha, al
contrario, portato ad un certo aumento della sopravvivenza media rispetto al gruppo di
controllo non stressato; questo fatto è forse da mettere in rapporto con l'effetto che gli
elevati livelli plasmatici d’ormoni corticosurrenali hanno sulle cellule linfatiche
neoplastiche poiché scompare negli animali privati del surrene.
Anche stimoli di natura più strettamente emozionale sono in grado di interferire
con le capacità biologiche di difesa. Quando per esempio dei topi vengono esposti
ripetutamente ad un gatto, dietro la protezione di una lastra di vetro, per alcuni minuti
al giorno, dopo un paio di settimane la capacità del loro organismo di difendersi da
una nuova esposizione ad un agente infettivo (Hymenolepis nana) col quale già erano
stati in contatto si presenta molto diminuita.
Si osserva cioè una. depressione dell'immunità acquisita verso un determinato
antigene; più precisamente, cioè é stato visto che mentre nel gruppo d’animali
sottoposti a questo stressori i tassi di reinfezione erano del 50, in un altro gruppo,
sottoposto ad uno stressori d’intensità minore, come la manipolazione, i tassi di
reinfezione erano del 25.
É stato anche interessante osservare che quanto più spesso e quanto più a
lungo i topi venivano esposti al gatto, tanto maggiore era il loro rischio di ammalarsi,
vale a dire tanto più risultava depressa la loro immunità acquisita.
Si é visto in precedenza come anche nell'uomo l'esposizione ad uno stressori
sonoro produca alterazioni sai nella produzione d’interferone sia a livello degli
elementi figurati del sangue coinvolti nelle difese immunitarie.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.70
Questi dati possono, alla luce della sperimentazione animale esistente fornire
una prima spiegazione a livello dei precursori della frequente osservazione clinica di
un rapporto di causalità tra esposizione ad uno stressori emozionale e insorgenza di
malattie infettive.
II ruolo importante esercitato dal sistema immunitario nella genesi e nello
sviluppo dei tumori é ampiamente dimostrato sia nell'animale sia nell'uomo. Dopo la
prima dimostrazione di Gold e Freedman nel 1965 che i carcinomi del colon nell'uomo
hanno antigeni specifici suscettibili di produrre nel paziente una reazione immunitaria,
sono stati in seguito dimostrati antigeni in un gran numero di tumori umani in grado di
produrre un’intensa immunità di tipo cellulare.
Questi dati hanno suggerito la possibilità di esercitare un effetto terapeutico
potenziando in maniera non specifica le difese immunitarie di tipo cellulare nei
confronti degli antigeni tumorali. Non si hanno ancora, a livello clinico, conferme
dell'efficacia di quest’approccio, mentre vari studi sperimentali condotti su animali
sembrano confermare che una stimolazione specifica delle risposte immunitarie può
essere utile per prevenire lo sviluppo d’alcuni tumori virali sperimentali negli animali.
Questi dati sperimentali, accanto ai dati ottenuti dallo studio immunitario in vitro
di linfociti prelevati da pazienti affetti da varie forme tumorali, hanno permesso di
proporre un modello interpretativo dell'oncogenesi che, benché discusso, permette di
collegare in modo logico i dati clinico-sperimentali oggi disponibili.
In quest’ipotesi, lo sviluppo del tumore viene visto come una competizione tra
proliferazione delle cellule tumorali e linfociti immuni destinati a neutralizzarle.
II tumore si svilupperebbe quando la proliferazione delle cellule è troppo rapida
rispetto ai linfociti immuni disponibili, oppure per un’immunosoppressione che riduce
in modo abnorme il numero di linfociti immuni, oppure infine per l'intervento d’anticorpi
prodotti dal tumore che neutralizzano l'attività difensiva dei linfociti.
In questa prospettiva, la mutazione genetica che genera la cellula tumorale
sarebbe un fenomeno normale che avviene comunemente nei tessuti dell'organismo;
in condizioni normali, tuttavia, le difese immunitarie cellulari avrebbero ragione
rapidamente delle cellule mutate mentre in condizioni d’immunosoppressione o per
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.71
altre ragioni le cellule tumorali prolifererebbero fino al raggiungimento di una massa
critica non più controllabile anche in condizioni di normalità delle difese immunitarie.
Benché sostenuto da dati clinici ricavati dall’immunosoppressione clinica
nell'uomo e sperimentale nell'animale, questo modello é attualmente posto in
discussione, almeno nella sua formulazione originale. Esso, tuttavia, appare oggi il più
efficace per spiegare i possibili rapporti tra stress e insorgenza dei tumori,
ampiamente dimostrati negli animali da esperimento, e sospettati a livello clinico in
patologia tumorale umana.
Gran parte degli studi sperimentali condotti sull'animale hanno indagato gli effetti
di stressori, acuti o cronici, di varia natura sul decorso e lo sviluppo di tumori
sperimentali.
STRESS E TUMORI
Animale: TOPO (suscettibile)
Stressori: stress cronico
Effetto: accelerato sviluppo di neoplasie indotte da virus polioma
Animale:TOPO (resistente)
Stressori:stress cronico
Effetto:scomparsa della 'resistenzà genetica allo sviluppo di tumori da
virus polioma
Animale:TOPO
Stressori:rottura dell'ordine sociale
Effetto:aumento della frequenza di tumori mammari
Animale:RATTO
Stressori:shock-stress cronico
Effetto:minore frequenza di tumori mammari DMBA-indotti
Animale:RATTO
Stressori:immobilizzazione, stressori sonoro, shock-stress
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.72
Effetto:inibizione della crescita di tumori trapiantati e di tumori indotti da
DMBA
Stressori:shock-stress
cloropromazina
stessi
stressori
+
somministrazione
di
Effetto:scomparsa della inibizione della crescita di tumori negli animali
stressati
Animale:RATTO
Stressori:nevrosi sperimentale
Effetto:inibizione della crescita e dello sviluppo di tumori trapiantati e
DMBA-indotti
Animale:TOPO
Stressori:shock elettrico (prima della inoculazione del virus
Effetto:riduzione del diametro di sarcomi indotti dal virus
Stressori:shock elettrico (dopo l’inoculazione del virus)
Effetto:aumento del diametro dei sarcomi indotti da virus
Animale:TOPO
Stressori:stimoli ambientali di vario tipo
Effetto:aumento dell'incidenza, a pari età, di tumori mammari spontanei
negli animali stressati
I dati ricavati da questi studi hanno dimostrato che stressori caratterizzati da una
potenzialità di stimolo emozionale più o meno intensa (da stimoli di carattere
psicosociale vero e proprio a semplici stimoli disturbanti) possono agire in varia
misura sul decorso del tumore.
Di particolare interesse é uno studio di Riley, effettuato nel 1975, che ha
dimostrato come il rischio di carcinomi mammari spontanei nell'animale da
esperimento fosse in stretto rapporto con la quantità di stress ambientale cui
l'animale era sottoposto.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.73
In una situazione ambientale protetta dal punto di vista della presenza di
stressori ambientali, l'incidenza di carcinoma per animali di pari età era del 7% mentre
in una condizione d’intenso e protratto stress emozionale essa saliva al 92%.
Nel campo della patologia tumorale umana esiste oggi un’estesa letteratura
clinica che ha tentato, negli ultimi anni, di esplorare i rapporti intercorrenti tra
stimolazioni emozionali, meccanismi di difesa, struttura della personalità e insorgenza
di tumori maligni.
Nel complesso i dati ottenuti sono contraddittori, anche se in alcuni casi vi é una
significativa associazione tra incidenza di particolari categorie di stressori emozionali
(perdita o lutto) e comparsa di manifestazioni neoplastiche.
Va rilevata tuttavia, in tutti questi studi, l'intrinseca difficoltà metodologica di
dover studiare soggetti nei quali la malattia ha usualmente raggiunto uno stadio
clinicamente evidente, e quindi suscettibile di modificare tutta la situazione
sperimentale.
Sia i dati della ricerca clinica che i dati della ricerca animale tendono comunque
a suggerire che l'azione degli stressori emozionali sulla genesi e sullo sviluppo dei
tumori si esplichi soprattutto attraverso alterazioni dei meccanismi immunitari.
Alla luce di quanto si é visto in precedenza sui mediatori endocrini dei rapporti
tra stress e risposta immunitaria, i dati oggi disponibili suggeriscono una stimolante
prospettiva alla ricerca, effettuata con studi prospettici e longitudinali in popolazioni
umane sottoposte a rischio tumorale, sui rapporti tra stress, reazione endocrina,
modificazioni immunitarie e insorgenza della malattia.
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.74
10.4.3.0.- La ricerca degli eventi stressanti. Il Life Stress Events ed la Social
Readjustment Rating Scale
Una ricerca degli avvenimenti esistenziali stressanti nei loro rapporti con la
malattia somatica richiede dunque in via preliminare la possibilità di identificare
alcuni gruppi o categorie d’eventi particolarmente significativi, che possano essere
descritti in modo standardizzato per impostare analisi statistiche su gruppi di
pazienti. In secondo luogo, richiede la possibilità di una valutazione dell'impatto
emozionale che l'avvenimento ha prodotto sui soggetti, ed infine richiede che tali
variabili possano essere espresse in termini quantitativi per costruire profili temporali,
calcolare correlazioni, stabilire relazioni di dipendenza come base per l'elaborazione
di un modello interpretativo generale.
Un approccio di questo tipo, definibile come statistico, non esclude
naturalmente un'analisi clinica condotta sui singoli casi con metodi diversi, ma
costituisce la necessaria premessa per ogni studio di tipo scientifico sull'argomento.
Esso pone tuttavia alcuni importanti problemi di tipo metodologico.
Una prima difficoltà é rappresentata dalla necessità di predisporre una lista
standardizzata d’avvenimenti (Life Stress Events, LSE) che presumibilmente
provocano un cambiamento nella vita di un individuo tale da produrre una reazione
emozionale prolungata nel tempo.
Necessariamente, gli avvenimenti di questo tipo devono essere abbastanza
importanti da essere riconosciuti come tali dall'individuo; vengono pertanto esclusi i
piccoli avvenimenti della vita quotidiana, familiare o lavorativa che non producono
rilevanti variazioni nella vita e che non richiedono rilevanti sforzi d’adattamento alla
nuova situazione.
Un approccio di questo genere presenta molte limitazioni, poiché non tiene
conto dell'effetto sommatorio di una serie di microstimolazioni croniche che
possono condurre attraverso un lungo periodo a modificazioni fisiologiche stabili, e
quindi alla malattia somatica.
D'altra parte, la necessità di predisporre una lista standardizzata d’avvenimenti,
tale da permettere il confronto di gruppi d’individui in studi retrospettivi o prospettivi,
impone necessariamente una scelta, tra tutti gli avvenimenti possibili potenzialmente
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G.PERIN - AMBIENTE E SALUTE - 13/11/2004- RISCHIO /UOMO pg.75
nella vita di una persona, di quelli che probabilmente provocano le modificazioni
psicobiologiche più nette, stabili e persistenti.
Un secondo problema é rappresentato dal peso relativo di tali avvenimenti nel
determinismo delle modificazioni biopsicologiche che possono condurre ad una
malattia somatica. Dal punto di vista dell'intensità della stimolazione, la morte di una
persona cara é ovviamente diversa da un cambiamento di residenza o da un
mutamento d’attività lavorativa. II centro del problema é quindi quello di mettere a
punto un sistema di misura degli stimoli che permetta di stabilire un coefficiente di
potenzialità stressante per ognuno degli stimoli considerati.
In realtà il peso di ognuno degli avvenimenti stimolo deve essere considerato
da due punti di vista. II primo é di peso 'assolutò o 'socialé dell'avvenimento, il
secondo é il suo peso 'relativò o 'individualé.
II peso assoluto o sociale é il valore medio di stimolazione che viene stabilito,
per tale evento, da una popolazione d’individui normali assimilabile per le sue
caratteristiche generali al singolo soggetto che viene esaminato.
II peso relativo o individuale é il valore di stimolazione che viene attribuito
all'avvenimento dal particolare individuo preso in considerazione.
Come discusso più volte in precedenza, infatti, ogni evento acquista un valore
di stimolazione emozionale in dipendenza del suo significato per l'individuo sul quale
esso agisce. II significato sociale può essere considerato come il valore medio del
significato assegnato da ogni individuo a tale avvenimento, ma esso può venire
modificato più o meno pesantemente quando si prende in considerazione la
particolare costellazione biopsicologica del singolo individuo.
il punto critico é l'attribuzione di significato in termini numerici, trattabili
statisticamente.
Un altro problema riguarda la sequenza temporale degli eventi stressanti che
intervengono nella vita di un individuo, dove assume particolare importanza il loro
addensarsi in alcuni periodi critici della vita. É da attendersi infatti che una sequenza
assai ravvicinata d’eventi in un periodo ristretto comporti un effetto sommatoria assai
più intenso di quanto non avvenga se i medesimi avvenimenti sono diluiti in un
periodo di tempo più lungo.
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Pertanto, dopo l'identificazione degli eventi significativi e dopo la loro
valutazione in termini d’impatto sull'individuo, sembra particolarmente importante una
loro precisa localizzazione temporale.
Un ultimo problema resta aperto: quello del valore eziologico degli avvenimenti
stressanti e dei loro rapporti con la struttura di personalità dell'individuo. Se si
prendono in considerazione gli eventi nella vita di una persona, si tende in genere a
considerare tali eventi come casuali, quasi si trattasse d’eventi naturali nel cui
determinismo l'individuo ha una parte del tutto secondaria.
In realtà, ogni evento può essere almeno parzialmente considerato come
determinato da alcuni comportamenti o da alcune motivazioni inconsce dell'individuo.
Non solo, ma gli eventi precedenti possono predisporre l'individuo a provocare,
consciamente o inconsciamente, eventi successivi, riducendo cosi grandemente il
rigido determinismo con cui usualmente tali eventi tendono ad essere considerati.
Talvolta, un evento può essere inconsciamente provocato da un individuo per
scaricare una condizione d’ansia repressa tale da non poter più essere gestita
adeguatamente; in questo caso, evidentemente, l'evento non rappresenta una
modificazione dell'omeostasi, con successivo bisogno di riadattamento e relativi
correlati fisiologici (potenziali precursori della malattia), ma una scarica liberatoria
dell'ansia che può assumere un significato diametralmente opposto.
II problema di mettere a punto una metodologia obiettiva di valutazione e di
misura degli avvenimenti esistenziali stressanti in rapporto al loro significato
eziopatogenetico si é rivelato pertanto estremamente complesso, ed ha stimolato un
rilevante interesse sia a livello della ricerca psicologica che psicosomatica. Il lavoro
sistematico di ricerca in questo campo è iniziato circa quindici anni fa e si é
sviluppato attraverso due fasi successive.
1) Nella prima fase, partendo dal lavoro fondamentale di Holmes e Rahe si é
cercato di mettere a punto uno strumento obiettivo per la valutazione del peso
sociale degli eventi stressanti e di controllarne la validità attraverso una serie di studi
clinici.
2) Nella seconda fase, iniziata in tempi più recenti, si é cercato di perfezionare il
sistema di misura degli strumenti al fine di permettere una migliore previsione
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dell'insorgenza di una malattia somatica sulla base del peso individuale degli eventi
stressanti sperimentati dall'individuo.
Sulla base dei dati ricavati da un preesistente questionario, e in seguito ad una
serie di studi clinici eseguiti presso l'Università di Washington, R. Rahe e
collaboratori nel 1964 hanno isolato una serie di 43 eventi che appaiono con
apparente significativa frequenza prima dell'inizio di molte malattie somatiche.
Un'analisi del contenuto di tali eventi ha mostrato com’essi, in misura maggiore
o minore, provochino un cambiamento nelle precedenti condizioni esistenziali
relativamente stabilite dell'individuo, e richiedano pertanto un riadattamento
dell'individuo stesso alla mutata situazione esistenziale.
Partendo da tale lista d’eventi, T. Holmes e R. Rahe nel 1967 misero a punto
un sistema di 'pesì per gli eventi della lista originale che tenesse conto del diverso
impatto potenziale di tali eventi e, quindi, del loro possibile diverso significato
eziopatogenetico. II metodo seguito fu quello suggerito da Stevens" per ottenere una
misura o 'peso sociale per ognuno degli eventi considerati.
La lista dei 43 eventi originari fu somministrata a 400 soggetti normali,
randomizzati per sesso, età, razza, religione, classe sociale e livello d’istruzione. Ad
uno degli avvenimenti di questa lista (matrimonio) fu attribuito un valore fisso
arbitrario pari a 500; i soggetti furono quindi invitati a dare un valore numerico
superiore o inferiore a questo punto di riferimento in rapporto all'importanza che
veniva attribuita a tutti gli altri avvenimenti della lista.
I valori medi cosi ottenuti per ogni singolo item furono quindi normalizzati, e gli
item furono successivamente riordinati in rapporto alla loro importanza decrescente.
La scala cosi ottenuta fu denominata Social Readjustment Rating Scale
(SRRS) e lo strumento da essa derivato per l'uso clinico fu denominato Schedule of
Recent Experience (SRE).
La
SRE
risulta
pertanto
costituita
da
un
questionario
di
43
item
(successivamente ridotti a 42), che viene riempito dal paziente stesso, sulla base
degli eventi che hanno interagito con la sua vita nel periodo precedente l'inizio della
malattia (usualmente da sei mesi a tre anni).
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Per il calcolo del profilo temporale dei Life Stress Events é stata messa a punto
una formula per misurare i cosiddetti Life Change Units (LCU), vale a dire la
quantità di cambiamenti avvenuti nella vita del paziente nell'unità di tempo:
LCU f x SRR
=
T
T
dove LCU sono i Life Change Units, f la frequenza dell'evento, SRRS il peso
dell'evento, T l'unità di tempo.
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THE SOCIAL READJUSTMENT RATING SCALE
Ordine
Evento
Valore medio
1
morte del coniuge
100
2
divorzio
73
3
separazione dal coniuge
65
4
imprigionamento
63
5
morte di un parente stretto
63
6
incidente o malattia
53
7
matrimonio
50
8
licenziamento
47
9
riconciliazione matrimoniale
45
10
pensionamento
45
11
di salute di un membro della famiglia
44
12
gravidanza
40
13
problemi sessuali
39
14
acquisizione di un nuovo membro familiare
39
15
cambiamento negli affari
39
16
cambiamento nello stato economico
38
17
morte di un amico stretto
37
18
cambiamento d’attività lavorativa
36
19
variazione nei contrasti con il coniuge
35
20
ipoteca d’entità rilevante
31
21
ostacolo nel riscatto di un debito o di un’ipoteca
30
22
cambio di responsabilità sul lavoro
29
23
allontanamento da casa di un figlio
29
24
problemi con parenti acquisiti
29
25
notevole successo personale
28
26
inizio o fine del lavoro da parte del coniuge
26
27
inizio o fine della scuola
26
28
cambiamento nelle condizioni di vita
25
29
mutamento nelle abitudini personali
24
30
problemi con il capo sul lavoro
23
31
cambiamento negli orari o condizioni lavorative
20
32
cambiamento di residenza
20
33
cambiamento di scuola
20
34
cambiamento nelle attività del tempo libero
19
35
cambiamento nelle attività religiose
19
36
cambiamento nelle attività sociali
18
37
ipoteca o prestito d’entità non rilevante
17
cambiamento nelle abitudini del sonno
16
38
39
40
cambiamento nel numero delle riunioni familiari
15
cambiamento nelle abitudini alimentari
15
41
vacanze
13
42
Natale
12
43
lievi violazioni della legge
11
Da Holmes e Rahe (1967).
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É noto da molto tempo che, in alcuni casi, l'inizio di una malattia somatica é
preceduto da avvenimenti caratterizzati da particolare potenzialità stressante per
l'individuo, ma solo negli ultimi anni il problema é stato sottoposto ad indagine
sistematica con metodi obiettivi. Oggi, lo studio dei rapporti tra eventi stressanti e
malattia é condotto con due strumenti principali, denominati rispettivamente SRE
(Schedule of Recent Experience) e LES (Life Experience Survey). Entrambi gli
strumenti sono costituiti da liste standardizzate d’avvenimenti esistenziali stressanti,
ma la SRE attribuisce a ciascuno di tali avvenimenti un 'peso sociale o medio,
mentre il LES valuta il 'peso individuale espresso dalla valutazione soggettiva
dell'impatto dell'evento su ciascun individuo.
Tali strumenti permettono di avere una valutazione quantitativa e distribuita nel
tempo dello sforzo di riadattamento richiesto ad ogni soggetto in conseguenza
dell'azione di vari eventi stressanti. Si é visto che l'inizio di molte malattie somatiche
é preceduto da un aumento dei punteggi di stress esistenziale cosi calcolati. Infarto e
malattie coronariche sono stati i settori più studiati, ma sono disponibili anche dati
relativi a malattie respiratorie, malattie reumatiche, malattie gastrointestinali e disturbi
psichiatrici.
Sono anche disponibili alcuni dati relativi alle correlazioni positive tra punteggi
d’eventi stressanti e generica tendenza ad ammalare, e dati che depongono per un
possibile rapporto tra quantità d’eventi stressanti e attivazione catecolamminica. Ma i
dati più significativi provengono dagli studi che tengono conto del vissuto soggettivo
dell'avvenimento: é stato visto infatti che l'analisi contemporanea degli avvenimenti
considerati come negativi e di quelli considerati come positivi nella vita del paziente
permette una migliore discriminazione tra gruppi di malattie somatiche e
psichiatriche. I fattori che condizionano la reattività psicobiologico individuale agli
eventi esistenziali sono comunque molteplici; tra essi assumono particolare rilievo la
reattività emozionale di base, il ricordo d’avvenimenti simili, le associazioni
simboliche con altri eventi traumatizzanti pregressi e la rete dei rapporti
interpersonali attuali.
Le modificazioni biologico-comportamentali che si verificano nella attivazione
emozionale hanno, nell'animale, un significato adattativo che migliora le
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possibilità di sopravvivenza dell'individuo e della specie. II problema, nell'uomo,
é tuttavia reso più complesso dalla relativa scarsità di situazioni che minaccino in via
diretta la sopravvivenza individuale e dalla grande importanza che assumono invece
gli stimoli psicosociali come fonte di stress.
Nell'uomo,
inoltre,
i
rapporti
tra
attivazione
biologica
e
attivazione
comportamentale possono essere facilmente alterati sia direttamente dalle
interazioni sociali sia in via mediata attraverso l'apparato concettuale e cognitivo. Ci
troviamo dunque di fronte al problema di interpretare il significato adattativo della
reazione emozionale nell'uomo, e di comprendere il peso dei determinanti
psicosociali nei meccanismi psicobiologici delle emozioni.
Ciò assume un’importanza pratica particolare quando ci si pone il problema
della malattia psicosomatica. Essa infatti appare come un prezzo che l'uomo deve
pagare per la maggiore complessità della sua reazione emozionale in confronto a
quella degli altri esseri viventi, e per l'importanza dominante dei rapporti sociali e
interpersonali.
Una migliore conoscenza dei determinanti della reazione di stress nell'uomo ci
può dunque aiutare ad evitare di pagare questo prezzo, attraverso interventi a livello
preventivo e terapeutico.
Si é visto come l'organismo biologico modifichi transitoriamente il suo stato
funzionale per meglio adattarsi a cambiamenti del mondo esterno che siano
rapportabili alla conservazione della vita individuale o alla sopravvivenza della
specie. Queste modificazioni somatiche rappresentano il supporto metabolico e
fisiologico
per
un’attivazione
comportamentale
adattativa
e,
nell'uomo,
si
accompagnano a particolari vissuti soggettivi definiti com’emozionali.
Sistema endocrino, sistema nervoso vegetativo, sistema immunitario e, sul
versante comportamentale, sistema muscoloscheletrico e cerebrospinale agiscono in
modo integrato per dare origine a schemi reattivi coordinati e complessi che
permettono un migliore adattamento e una migliore sopravvivenza dell'individuo e
della specie.
Questi schemi integrati di reazione, che abbiamo definito in precedenza
com’emozioni, sono caratterizzati da una complessità crescente nella scala dello
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sviluppo filogenetico a mano a mano che aumentano le capacità d’apprendimento e
di simbolizzazione, e parallelamente all'aumento delle loro possibilità d’attivazione da
parte di stimoli di tipo psicosociale. Nell'uomo queste possibilità raggiungono il loro
massimo livello, assieme alla possibilità di elaborare meccanismi di controllo e di
gestione della reazione emozionale, socialmente indotti e determinati.
Questa maggiore complessità aumenta le capacità d’adattamento e di difesa e
permette un più efficace controllo delle stimolazioni esterne aumentando le
possibilità di sopravvivenza dell'individuo e della specie ma, al tempo stesso,
potenzia notevolmente la vulnerabilità del sistema di fronte a stimoli di varia natura.
Le
stesse
capacità
d’apprendimento,
di
concettualizzazione
e
di
simbolizzazione derivate dallo sviluppo corticale dell'uomo e modulate dalla sua rete
di rapporti sociali possono rappresentare anche una potente fonte di disturbo per il
normale svolgersi della reazione emozionale. Una notevole massa di dati
sperimentali e clinici tende oggi a dimostrare, infatti, che la genesi e il decorso di
numerose malattie somatiche possono essere influenzati da modalità sbilanciate o
atipiche di manifestazione o di gestione della reazione emozionale.
In questa prospettiva, la potenzialità patogena non é insita nella reazione
emozionale in quanto tale, ma nei suoi caratteri intrinseci d’espressione, a livello
somatico o comportamentale.
Questo modello interpretativo del fenomeno psicosomatico appare oggi utile
non solo dal punto di vista puramente conoscitivo, ma principalmente dal punto di
vista preventivo e terapeutico. Un intervento clinico, sia esso centrato sullo stimolo o
sulla reazione deve infatti essere basato su un’adeguata conoscenza delle modalità
fisiologiche di manifestazione delle emozioni e delle possibili alterazioni di queste
ultime.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, abbiamo un’adeguata quantità
d’informazioni circa le modalità di reazione emozionale di fronte a stimolazioni di
natura acuta e critica, ma, almeno nell'uomo, sono ancora scarti i dati relativi alle
situazioni di stimolazione cronica (stress cronico) e ai meccanismi che legano queste
ultime alla genesi della malattia somatica.
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Un secondo punto ancora non completamente chiarito riguarda gli effetti delle
modificazioni somatiche indotte dallo stress emozionale sulle strutture encefaliche
che controllano il comportamento. Le diverse componenti della reazione emozionale
interagiscono infatti tra loro attraverso complessi circuiti riverberanti che possono
presentare alterazioni con significato patogeno a diversi livelli. Infine, e questo é
forse oggi il compito più difficile della ricerca psicosomatica nell'uomo, resta da
identificare il peso rispettivo dei determinanti genetici, dell'imprinting psicobiologico e
dell'apprendimento nella genesi delle reazioni emozionali sbilanciate che possono
condurre ad una malattia somatica.
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