PARLAMI DI FILOSOFIA

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Eliano Zigiotto
PARLAMI DI FILOSOFIA
Dialogo tra padre e figlia
sulla filosofia e la vita quotidiana
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Filosofia, perché no?
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1. Al parco
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2. Al mercato
23
3. A scuola
33
4. Al circolo
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5. A teatro
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6. Al cinema
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7. In chiesa
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Indice dei filosofi citati
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Postfazione
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Filosofia, perché no?
– Papà, perché la filosofia si insegna solo al liceo? Alla nostra scuola
ci sono insegnanti di ogni materia, ma nessuno di filosofia. Perché?
– Bella domanda, bambina mia. Anch’io penso che sia una stranezza. Dicono che sia difficile, che parli di cose astratte e troppo complicate, e perciò che non sia adatta per i più piccoli.
– Ma perché, la matematica, la geometria o la letteratura sono forse
materie tanto semplici?
– E la religione? Parla di questioni di non poco peso, eppure viene
insegnata fin dall’infanzia.
– E allora?
– C’è un pregiudizio diffuso che pesa sulla filosofia, ma forse è un
po’ anche colpa nostra, di quelli che la insegnano o se ne occupano a
vario titolo. Molti pensano che parlare di filosofia ai ragazzi della tua
età sia come abbassarla, banalizzarla, svilirla, o comunque un’impresa
impossibile. Pensano che non sia veramente di tutti e per tutti, ma solo
per pochi. Insomma, l’indifferenza che molti nutrono verso la filosofia
si sposa purtroppo perfettamente col carattere spesso elitario di quelli
che la praticano. E il risultato finale è l’immagine di una materia sì molto raffinata e sottile, ma in fondo lontana dalla vita comune, un sapere
ozioso e in ultima analisi inutile. Un vero peccato!
– Io invece sono molto curiosa di questa materia “inutile”.
– Inutile, forse, ma preziosa come l’aria. Ci pensi mai all’aria durante il giorno? Eppure è la condizione per fare qualunque cosa. Bisognerebbe chiedersi che cosa s’intende per “utile”.
– Utile… è ciò che ti serve per vivere.
– Ti dà da vivere il pane, ma anche le rose. A che cosa servono le
rose? A niente. Eppure se non ci fossero, come sarebbe desolata la nostra vita. Come sarebbe la nostra vita senza l’arte, la musica, la poesia,
senza aver letto un romanzo o visto un buon film, senza feste con gli
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amici, senza il gioco, senza il viaggiare e il danzare – tutte cose notoriamente oziose e “perditempo”…
– Sarebbe una noia infinita.
– E vuoi vedere, allora, che ciò che appare inservibile ai fini pratici,
perché fine a se stesso e “servo” a nient’altro, non sia invece il sapere
più libero e perciò più necessario? Così la pensava Aristotele, un grande
filosofo dell’antica Grecia. Ma io non voglio alzare monumenti o sciogliere incensi, non è proprio il caso, perché qui si tratta di un sapere che
torna sempre su se stesso, fatto più di domande che di risposte. Penso
soltanto che la filosofia attenda ancora oggi, per così dire, la sua “democratizzazione”. Dovrebbe diventare come il pane e le rose a cui tutti
hanno diritto, senza barriere di età o di condizione sociale, come pensava Epicuro, perché tutti hanno il diritto di crescere in umanità. Secondo
me, senza filosofia, la vita perde qualcosa di molto importante.
– Non pensi che bisognerebbe intanto fare qualcosa?
– Per esempio?
– Comincia tu con me, ti prometto che sarò un’alunna molto diligente e attenta.
– Ah, un’alunna davvero speciale, non c’è che dire. Però… accidenti, mi cogli un po’ alla sprovvista. È una bella sfida che mi proponi.
– Dài, pensaci un poco e vedrai che sarà più facile di quello che credi.
– Ok, allora facciamo così. Dialogheremo insieme tra noi liberamente, ma dandoci un limite, un tempo e un contesto, altrimenti finirei
per annoiarti con discorsi troppo lunghi o troppo lontani dalla tua esperienza. Una volta al giorno, per una settimana, ci recheremo in un posto,
in un luogo caratteristico della città che siamo soliti frequentare, e lì ci
lasceremo interrogare dalle cose che osserviamo, dalle emozioni, esperienze, pensieri che suscitano in noi. Che ne dici, può andare?
– Va benissimo. Sarà anche un modo per passare un po’ di tempo
insieme. Tu sei sempre così impegnato nei tuoi studi…
– Hai ragione, mi piace inseguire un pensiero e dargli la caccia attraverso i libri, finché non l’ho afferrato, facendo però spesso anche delle
soste, ogni volta che trovo un’isola beata, un’oasi, un ristoro all’ombra
del pensiero dei grandi maestri. E il tempo vola, neanche me ne accorgo. Ma adesso che la scuola è finita sarò completamente a tua disposizione.
– Grazie, papà! Non vedo l’ora di cominciare con te un’altra scuola:
quella estiva di filosofia!
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1. Al parco
dove si parla della natura, dei suoi principi, se sia una specie di
macchina o un organismo vivente, una realtà divina oppure no,
degna comunque sempre di rispetto
– Ciao, papà. Sei pronto?
– Buongiorno signorina! Siediti, vieni prima a far colazione.
– Dove mi porterai oggi? Di che cosa parleremo?
– Mm, oggi è lunedì, il primo giorno della settimana. Che ne dici se
parliamo di quello che – secondo la Bibbia – fece Dio il primo giorno
della creazione?
– E che cosa fece?
– Come, non te lo ricordi? Creò il cielo e la terra, e poi di seguito tutto il resto: il giorno e la notte, le stelle e gli astri del firmamento, i mari
e i fiumi, le piante e gli alberi, ed infine gli animali, compresi quelli più
o meno ragionevoli come noi. Insomma, il creato, la natura, il cosmo:
la casa che tutti abitiamo.
– Ha fatto un’opera bellissima.
– Già, una fonte continua di meraviglia, che sconcerta per la sua
immensità.
– È vero, quando guardo il cielo stellato, d’agosto, mi vengono i
brividi dall’emozione.
– Sai, è da un’emozione come questa che è nata la filosofia.
– Allora posso diventare una filosofa anch’io?
– Certo, i filosofi, in fondo, sono come i bambini. Provano stupore
per le cose, come le vedessero per la prima volta. E coltivano domande
– il “perché” di ogni cosa – che possono durare tutta la vita e perfino
attraversare i secoli.
– Ok, ma adesso andiamo. Hai deciso dove portarmi?
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– Penso che oggi andremo al parco. In mezzo al verde potremo fare
meglio i nostri “ragionamenti”.
Intanto che ci andiamo, però, meglio chiarire subito che il racconto
biblico della creazione, che puoi leggere nelle prime pagine della Genesi, non ha nulla a che fare col pensiero filosofico delle origini.
Il Dio della Bibbia ha creato tutte le cose dal nulla, solo mediante la
parola. Per gli antichi greci questo era impossibile, perché pensavano
che dal nulla non può nascere nulla. Quindi per loro il mondo naturale
è sempre esistito. Il problema semmai era di capire come e perché si
dà un ordine della natura, senza ricorrere alle spiegazioni fantastiche
fornite dai miti o alle verità rivelate delle diverse religioni, spesso in
contraddizione tra loro, ma poggiando unicamente sul ragionamento
con le sue coerenze logiche interne.
– Io ho sempre pensato che i miti fossero delle “favole”.
– Il mito è un “racconto” che cerca di spiegare, a suo modo, come
sono andate e come vanno le cose.
Il fatto è che, a un certo punto, non sembra più sufficiente a soddisfare la nostra sete di conoscenza.
– Del resto, non tutti si accontentano di “credere” nei racconti della
tradizione. È anche un fatto di crescita, no?
– Già, e infatti arriva prima o poi il momento in cui ognuno cerca
di capire le cose con la propria testa, seguendo solo il filo del ragionamento.
Ma ecco, siamo arrivati. Lì c’è una panchina che fa per noi. Dài,
sediamoci. Ora possiamo cominciare dall’inizio.
– Da dove?
– Dai primi filosofi greci, che vissero tanti secoli fa.
Essi pensavano che la natura fosse essa stessa qualcosa di divino, il
fondo “da cui tutto nasce” (come, appunto, indica il termine “natura”)
e a cui tutto ritorna. Come una grande madre che genera e accoglie in
sé tutte le cose. Vedi quel fiorellino? È appena nato, adesso cresce, si
sviluppa, infine sfiorisce e muore, ritorna là da dove è venuto, secondo
necessità, diceva Anassimandro, cioè secondo un certo ordine del tempo. Questo è il ciclo eterno della vita cosmica. Si tratta di capire cos’è
precisamente che ne sta all’origine, qual è il principio (l’arché, per i
greci) o l’elemento primo che la costituisce, che è presente in tutti i suoi
fenomeni, e quali sono le leggi che la governano.
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– E loro lo hanno scoperto?
– Beh, ci hanno provato, facendo ricorso soltanto all’osservazione e
al ragionamento. Per Talete, ad esempio, che è il pioniere della filosofia
perché per primo si è posto il problema dell’origine di tutte le cose, il
principio era l’acqua. Per Anassimandro invece era l’infinito, una materia indefinita e illimitata, che qualcuno interpreta come polvere di terra.
Anassimene pensava che fosse l’aria ed Eraclito il fuoco. Ed ecco l’acqua, la terra, l’aria e il fuoco: i quattro elementi che, fin dall’antichità,
stanno alla base dei processi naturali.
– Sono i quattro elementi dei segni zodiacali!
– Esatto. Fu Empedocle di Agrigento a pensarli tutti insieme, come
elementi eterni che, combinandosi o dividendosi tra loro, per effetto
delle forze cosmiche di Amore e Odio, danno origine al divenire di tutte
le cose, al loro apparente nascere e perire.
– In che senso “apparente”?
– Nel senso che, in realtà, “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto
si trasforma”.
– L’ho già sentita questa frase.
– È di Lavoisier, un famoso scienziato francese del ’700, fondatore
della chimica moderna. Oggi, sia detto tra parentesi, gli elementi chimici conosciuti sono circa un centinaio, ma la formula H2O non vale
ancora per noi il significato naturale e concreto dell’acqua. Comunque,
la frase di Lavoisier, sulla scia di Empedocle, vuole dire che il nascere e
il dissolversi delle cose sono solo fenomeni secondari (apparenti) di una
realtà che, certo, diviene, cioè cambia modo di essere, ma che permane
immutata nei suoi elementi primari.
– E dunque questo divenire, secondo Empedocle, è determinato dal
contrasto tra amore e odio: l’amore unisce e fa nascere e vivere le cose,
l’odio divide e distrugge e fa morire le cose. Anch’io la penso così.
– Così la pensava in fondo anche Freud, uno studioso della psiche
umana vissuto il secolo scorso. Anche dentro di noi – diceva – c’è una
pulsione di vita, Eros, che tende a unire e a realizzare qualcosa di positivo, e una pulsione di morte, Thanatos, che invece tende a dividere, ad
aggredire e distruggere. Questo per dire che le riflessioni dei primi filosofi non erano poi tanto lontane da quelle dei pensatori contemporanei,
e anzi spesso le hanno ispirate.
– Mi piace Empedocle, ma anche Talete aveva ragione, perché senza
l’acqua non c’è vita. Quel fiorellino senza l’acqua non sarebbe potuto
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nascere. E ora non potrebbe neppure crescere. Questo l’ho imparato a
scuola, ma anche a casa sappiamo bene che se non metti l’acqua ai fiori,
questi appassiscono, vero papà?
– Eh sì, e avrai sicuramente studiato anche il processo di trasformazione dell’acqua, che mediante il caldo e il freddo può diventare gassosa (vapore) o solida (ghiaccio), e così dare origine a tutte le cose, che
infatti possono essere liquide, gassose o solide. Ma pensa anche all’aria
che respiriamo. È il respiro che ci tiene in vita e col respiro siamo uniti
alla vita dell’intero universo. Quando, come si dice, un uomo “esala
l’ultimo respiro”, è come se la sua anima, il soffio vitale, se ne volasse
via dal corpo e così sopraggiunge la morte.
– La natura, vista così, mi fa un po’ paura.
– Hai ragione, la natura è un ciclo continuo di vita e di morte, un
eterno divenire che per i primi filosofi greci rappresentava il senso tragico dell’esistenza. L’uomo nasce, vive e muore come tutti gli altri esseri viventi. Però egli anche sa di dover morire e questo lo spinge a
chiedersi perché e a cercare la ragione di tutto questo, il Lógos, come
dice Eraclito, secondo il quale non c’è vita senza morte, e viceversa.
Pensa a un arco: non potrebbe esistere né funzionare come tale (cioè
tirare una freccia) senza una tensione reciproca di forze tra il legno e
la corda. Arriviamo così a comprendere che gli opposti, richiamandosi
l’un l’altro, generano il divenire di tutte le cose, e che il divenire, cioè
il passare da un opposto all’altro, è la vita stessa dell’intero universo:
“tutto scorre”, ma insieme “tutto è uno”. Per questo egli pensava che il
principio di tutte le cose fosse il fuoco, che arde e vive proprio mentre
consuma e distrugge.
– È bello il fuoco quando arde la legna nel camino, perché dà luce e
calore, senza il quale non ci potrebbe essere vita, ma è spaventoso, ad
esempio, quando incendia un bosco. Il fuoco è vita e morte insieme.
– Già, è bello e terribile, come la natura. Per questo gli uomini fin
dall’antichità hanno cercato di scoprirne i segreti, di studiarne le leggi,
sviluppando il sapere scientifico che consente, almeno in parte, di controllarla, di prevederne gli effetti negativi e assicurarsi quelli positivi.
Ecco a che cosa serve il sapere: a vivere una vita umana il più possibile
serena e degna dell’uomo.
– A me è venuta voglia di studiare anche le scienze.
– Gli antichi greci non distinguevano nettamente tra scienza e filosofia, l’una e l’altra miravano semplicemente al sapere, in senso generale.
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Solo nell’età moderna si sono separate e la scienza si è suddivisa in tanti
ambiti specifici. Ma in molti scienziati rimane ancor oggi il sentimento
di una radice comune del sapere e l’esigenza di mantenerla viva, soprattutto dopo aver capito che anche la scienza non è infallibile, è – come
dice Popper – un sapere fondato non sulla roccia, ma su palafitte, cioè
su ipotesi, congetture, su idee più che sui fatti. Ecco quindi il terreno per
un nuovo incontro tra scienza e filosofia.
Del resto, senza Pitagora, senza Democrito – altri due importanti
filosofi della Grecia antica – forse non avremmo mai avuto l’idea che il
mondo fosse misurabile o che fosse costituito di atomi.
– Pitagora e Democrito… Non me ne hai ancora parlato.
– Se ti stanchi, però, dimmelo.
– No, papà, riesco a seguirti. Però tu non dare nulla per scontato.
– Okay, okay. Dunque, Pitagora è un po’ diverso dagli altri citati
prima. Per lui il principio di tutte le cose è il numero.
– Come, il numero? Il numero genera la vita?
– Aspetta. Il numero, per Pitagora, è un po’ il codice segreto della
natura. La genera nel senso che la spiega. Di una cosa puoi studiare tutte
le qualità: puoi dire che è fatta di legno, è colorata, è pesante, ecc. Ma
ciò che spiega le diverse qualità è la struttura quantitativa che ne sta alla
base. Ad esempio, quando premi una corda sulla chitarra, esce una nota,
poniamo un sol. Ma quella nota è data da una certa misura della corda: più
è lunga e più la nota che ottieni è grave, e viceversa, più è corta, più il suono è acuto. Dunque le note “dipendono” dalla posizione delle dita sulla
tastiera, cioè la qualità (il sol) dipende dalla quantità di corda pizzicata.
– È vero!
– Anche l’avvicendarsi del dì e della notte non è casuale, ma ha un
ritmo, una cadenza che si può misurare precisamente in ore: ha cioè una
struttura regolare, quantitativa, che è data dal numero, inteso appunto
come misura della quantità. Il numero poi, per Pitagora, non è un qualcosa che esiste semplicemente nella mente, ma è qualcosa di reale. Hai
mai sentito parlare di “calcoli” al rene?
– Certo, son quelli che hai avuto anche tu perché esageri col sale.
– Esatto, e sai cosa sono? Sono dei “sassolini”. Ebbene, immagina
che i numeri pitagorici siano intesi così, come dei sassolini, o dei “punti” geometrici disposti nello spazio. Ora, osserva: se un punto corrisponde all’1, con 2 punti ottieni una linea, con 3 punti una figura piana
(il triangolo), con 4 punti un corpo solido (il tetraedro). Ordinando e
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sommando questi numeri avrai un triangolo con 10 punti, che comprende le strutture basilari della realtà. Per questo i pitagorici veneravano la
sacra “tetrade”, un triangolo equilatero con quattro punti per lato, ed è
forse grazie a loro se noi oggi calcoliamo in base dieci.
– Geniale! Io poi ricordo che le tabelline le ho imparate a memoria
sulla tavola pitagorica.
– Attraverso i numeri, tutta la realtà diventa conoscibile, perché si
può misurare, quindi determinare. E misurandola il mondo diventa trasparente alla ragione, non è più caos, ma cosmo, cioè un tutto armonico
e ordinato, una specie di armonia musicale, come poi fu codificata in
seguito nella terza legge di Keplero. Di qui il concetto greco di bellezza, che significa proporzione tra le parti e armonia dell’insieme. Hai
cominciato anche tu a usare i “cosmetici”, o sbaglio?
– Beh, ma che c’entra?
– I cosmetici non hanno nulla a che fare col cosmo pitagorico? Pensaci bene.
– Già, i cosmetici servono ad abbellire…
– Capito? In questa parola è rimasta l’idea greca di cosmo come
bellezza.
– Non pensavo che Pitagora si nascondesse anche nel beauty-case.
E Democrito?
– È un altro bel tipo. Se Pitagora è il mago dei numeri, Democrito
ha invece l’aria dello scienziato che non si lascia ingannare dalle apparenze. Per lui la vera realtà è fatta di atomi e vuoto. Gli atomi, impercettibili ai nostri sensi ma non all’occhio dell’intelletto, sono infiniti e in
eterno movimento vorticoso, come quel pulviscolo sospeso in aria che
vedi quando entra un raggio di sole dalla finestra.
Urtandosi tra loro, aggregandosi e disgregandosi, danno origine a
tutte le cose e a infiniti mondi.
– Se questi atomi sono invisibili, come facciamo a sapere che esistono?
– Te l’ho detto, col puro ragionamento: ai suoi tempi non c’erano gli
strumenti scientifici che abbiamo oggi. Egli pensava pressappoco così:
i sensi ci mostrano delle cose, queste cose possono essere divise in parti
sempre più piccole, ma non all’infinito, perché altrimenti svanirebbero
nel nulla e – questo per gli antichi greci, come già sai, era una verità
incontestabile – dal nulla non può derivare nulla, così come dalla somma di tanti zeri non può che risultare sempre zero. Dunque, la divisione
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deve avere un termine ultimo, cioè devono esistere delle particelle minime di materia non ulteriormente scomponibili, e queste sono appunto
gli atomi, termine che in greco significa “non divisibile”.
– Incredibile come col puro ragionamento si possa vedere la realtà
più a fondo che con i sensi.
– I sensi spesso c’ingannano. Vedi questo bastoncino? Com’è?
– È bello dritto.
– Vieni. Ora lo immergiamo nell’acqua di quella vasca. Come appare adesso?
– Sembra spezzato.
– Ma non lo è. Anche il sole nel cielo appare un piccolo disco luminoso, grande come il tuo pollice. In realtà è una stella molto più grande
della terra. Ma bisogna riconoscere ai sensi la loro importanza: essi ci
guidano nella nostra vita quotidiana e dai loro errori impariamo a ragionare, non ti pare?
– Sì, i sensi e la ragione sono fondamentali per conoscere le cose e
devono andare sempre insieme: occorre osservare attentamente le cose,
senza fermarsi alle apparenze.
– Bravissima la mia discepola. Ma c’è dell’altro.
– Che cosa?
– La natura pone degli interrogativi che spesso sorpassano le nostre
capacità di comprensione. Ad esempio, secondo te, la natura è come
una macchina che funziona da sé, per cause meccaniche sue proprie,
come una specie di grande robot, oppure c’è un’intelligenza che dà ordine e finalità in tutto ciò che accade?
– Non saprei.
– Guarda quel tiglio. Qualcuno l’ha piantato lì qualche tempo fa.
Ma poi è cresciuto per conto suo, alto, forte, bello e profumato, come
avesse un programma incorporato. Guarda le sue foglie: sono perfette,
neanche un artista provetto saprebbe farle meglio. La pianta ha un’intelligenza? Oppure è venuta su così, a caso? E guarda quelle due rondini. In autunno, quando comincia a fare freddo, migrano in paesi più
caldi e sanno dove andare, senza aver prima studiato la geografia o le
correnti dell’aria. Quando poi ritornano, si costruiscono un nido nei
posti più protetti e con una tecnica costruttiva davvero speciale. Come
hanno imparato a farlo? C’è un’intelligenza innata nelle rondini? Oppure fanno tutto così, a caso, cioè senza un disegno preciso, ma per cause
puramente naturali e meccaniche?
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