SOMMARIO Hans Holbein il Giovane (1497-1543), Ritratto di Erasmo da Rotterdam (1523) 2 EDITORIALE SOMMARIO significativa delle conquiste storiche ed è punto di partenza obbligato per le conquiste successive. Una Europa al livello delle sue tradizioni non potrebbe certo costruirsi nella violazione di tali diritti; e perciò siamo tenuti a rifiutare, se vogliamo fare opera meritoria per il futuro, i progetti di sviluppo che pongano in antitesi l’unità dell’insieme e le individualità nazionali che ne sono il fondamento. Le difficoltà e l’originalità del progetto europeo stanno appunto qui: nell’intento, che è anche una necessità, di costruire una comunità nella quale nazionalità differenti - le cui interrelazioni hanno per secoli avuto un ruolo essenziale nella formazione e nel progredire di un comune spirito europeo - riescano a integrarsi in maniera ancora più stringente, non solo nell’ambito politico ma in ogni ambito della vita civile e spirituale. E questa strada - vogliamo ancora sottolinearlo costituisce per noi un percorso obbligato: solo per il suo tramite potrà sorgere l’Europa unita. Ed è allora all’Europa dell’Umanesimo, alla memoria storica di questa e al corpo di valori che ad essa rimane associato da secoli, che dobbiamo innanzitutto fare riferimento. A quella tradizione dell’Umanesimo che - non dobbiamo dimenticarlo - è al tempo stesso patrimonio dei singoli Paesi d’Europa e dell’Europa nella sua interezza. La scelta che è maturata negli ultimi decenni, di essere “europei”, impone dei limiti, delle condizioni; e se vogliamo essere tali dobbiamo guardare alle nazioni d’Europa, alla loro storia e al loro stesso presente, come agli elementi di uno svolgimento unitario, nel quale sempre opera la totalità implicita che l’Europa rappresenta, in quanto entità di civiltà e di cultura, nel nostro mondo tormentato ed ancora solcato da profondissime contraddizioni. L’Italia meridionale, e Napoli in particolare, hanno contribuito al costituirsi di questa tradizione in una maniera determinante, dai primi albori del mondo classico, e per un lunghissimo arco di secoli sono restate sedi privilegiate di questa, senza che mai la sua luce venisse meno e si oscurasse del tutto. E perciò a queste primissime fonti della nostra civiltà, da Napoli, va prima che alle altre il nostro riconoscimento. Lasciatemi aprire a questo punto una parentesi per citare quanto è stato detto da uno dei più grandi filosofi viventi - Hans Georg Gadamer - sulla città di Napoli e sul vostro Istituto: «Sono particolarmente lieto di poter affermare che la grande eredità toccata in sorte a Napoli è oggi in buone mani. E’ un merito inestimabile dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici quello di aver preso qui l’iniziativa. Infatti la ripresa della filosofia promossa a Napoli dall’attività dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è già nota in tutto il mondo. Tornerà a onore della grande tradizione culturale di Napoli, se si riuscirà a tenere viva l’eredità del grande pensiero europeo ed a edificare su queste premesse nuove forme di pensiero e di vita. Tutto ciò ci fa credere in quell’Europa per la quale viviamo e che, come speriamo, sopravviverà alle minacce di questa epoca. Spero che l’Istituto Italiano per gli Studi Filoso- Dal 4 al 10 settembre 1993, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, in Palazzo Serra di Cassano, Napoli, si è tenuto un Convegno internazionale in onore di Egon Alfred Klepsch, Presidente del Parlamento Europeo, sul tema “Europa”. Hanno partecipato ai lavori: Mario Agrimi, Carlo Amirante, Angelo Arpa, Maurice Aymard, Gennaro Barbuto, Antonio Barone, Remo Bodei, Giovanni Bonacina, Monika Bosse, Reinhardt Brandt, Manfred Buhr, Alberto Burgio, Giuseppe Cacciatore, Gaetano Calabrò, Giuseppe Cantillo, Massimo Capaccioli, Vincenzo Cappelletti, Giorgio Capra, Gaetano Cingari, Vera Cocco, Ermenegildo Cocco, Pasquale Colella, Franco Compasso, Girolamo Cotroneo, Umberto Curi, Guido D’Agostino, Biagio De Giovanni, Romeo De Maio, Francesco De Martino, Domenico De Masi, Luigi De Rosa, Raffaella De Vivo, Paul Dibon, Roberto Esposito, Maurizio Ferraris, Mario Forte, Marc Fumaroli, Antonio Gallinaro, Antonio Gargano, Andrea Giordano, Giovanni Grasso, Tullio Gregory, Gerd Held, Yves Hersant, Emilio Hidalgo Serna, Felice Ippolito, Marco Ivaldo, Domenico Jervolino, Gianni Korinthios, Reinhardt Lauth, Alfonso Maria Liquori, Domenico Losurdo, Juha Manninen, Gerardo Marotta, Titti Marrone, Aldo Masullo, Vittorio Mathieu, Nullo Minissi, Giovanni Moretto, Bruno Moroncini, Carmine Napolitano, Nuccio Ordine, Rosario Pinto, Giuseppe Prestipino, Giovanni Pugliese Carratelli, Saverio Ricci, Giovanni Russo, Michele Scudiero, Vittorio Silvestrini, Bruna Soravia, Jan Sperna Weiland, André Stoll, Paolo Strolin, Adriano Tassi, Mario Telò, Nicolas Tertulian, Imre Toth, Aldo Trione, Bruno Vitiello, Lech Witkowski, Stefano Zen e Sergio Zoppi. Il testo che segue riporta l'intervento al convegno dell'on. Egon Alfred Klepsh. Vorrei innanzitutto esprimere il mio ringraziamento all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale siamo tutti ospiti qui, in questo antico e glorioso Palazzo Serra di Cassano. Abbiamo offerto al convegno il patrocinio del Parlamento europeo, e di buon grado abbiamo accolto l’invito a presenziare ai lavori. Porgere il nostro saluto ci rende ora particolarmente lieti, poiché, attraverso gli studi e l’esperienza che abbiamo maturato, da cittadini, nelle istituzioni nazionali e nelle istituzioni unitarie della nuova Europa, abbiamo ben potuto riconoscere quanto sia stato determinante, per il fiorire dell’ideale politico dell’unità europea, l’opera secolare, travagliata e appassionata, della cultura dell’età che chiamiamo moderna. È alla storia, alla cultura, alla religione che per secoli hanno formato i nostri spiriti che occorre fare riferimento per affrontare uno dei maggiori problemi di oggi: come possono e debbono intrecciarsi le esigenze delle singole nazioni, di unità entro i propri confini e di identità nazionale ben garantita, e l’esigenza comune a tutte di dare corpo e sostanza al disegno unitario entro un grande organismo comunitario? E’ un tema da considerare con spirito aperto e con coraggio, lasciando cadere le grossolane ipotesi semplificatrici; nessuna trascuratezza può essere consentita di fronte alle culture nazionali, che hanno il diritto di conservare e svolgere la loro identità specifica, ciò che per ciascun popolo è sempre la più 3 SOMMARIO fici costituirà nel prossimo futuro un modello per l’Europa per superare gli ostacoli rappresentati dalla burocratizzazione degli studi. Senza iniziative di questo tipo la cultura è perduta perché la burocratizzazione degli studi - come conseguenza della tendenza industriale della nostra epoca - significa la pietrificazione della cultura ed una minaccia alla creatività e alla ricchezza dei rapporti umani». Eredità somma, per l’Italia e per l’Europa, fu quella delle scuole di filosofia e di pensiero della Magna Grecia; e altrettanto grande fu quella della vocazione universalistica della civiltà greca, dei suoi legislatori e fondatori di città, del disegno, umanissimo pur se incompiuto, della polis antica. Tutto ciò ha costituito la premessa ideale di un unico svolgimento, che si è protratto per secoli. L’Europa e lo spirito europeo sono il risultato più alto di quel grande moto che, sorto inizialmente nelle città italiane nei secoli della Rinascenza, si propagò al di là dei suoi confini e informò presto di sé l’intera vita degli Stati nazionali dell’Occidente che allora si venivano definitivamente confermando. Qui a Napoli, città che vanta nobili tradizioni di cultura e di impegno civile nei suoi grandi intellettuali, da Bruno a Giannone e da Filangieri a Croce e Omodeo, è d’obbligo considerare un tale processo non solo in quanto vicenda di storia politica, ma più ancora una fatica memorabile delle coscienze e luminosa esperienza interiore, come vicenda emblematica della storia della cultura europea. Rendiamo omaggio, perciò, all’intuizione somma di Bertrando Spaventa, che ha voluto cogliere l’essenziale, nell’evoluzione delle relazioni tra pensiero italiano e pensiero europeo nel corso nell’età moderna, tra Rinascimento e Risorgimento, traducendolo nella giustamente celebrata tesi della circolarità dello svolgimento spirituale europeo in rapporto all’Italia. Lo spirito europeo moderno compì proprio qui le sue prime prove, e innanzi che altrove nel Sud del Paese, nelle regioni stesse che avevano tratto gloria dalle scuole della Magna Grecia e poi, negli anni oscuri delle invasioni barbariche e della decadenza, dai pensatori solitari che dai ritiri di Calabria serbavano e tramandavano la fede nella filosofia, nel pensiero, nella superiorità del vivere civile. E’ molto sintomatico constatare che oggi, alla soglia del terzo millennio, allorché il problema del rapporto fra unità europea e identità degli Stati nazionali si pone con vigore, si sia pensato a fare ricorso ad un concetto - la sussidiarietà - che affonda le sue radici lontano nel tempo. Tale concetto ha infatti una lunga tradizione nella storia delle idee politiche e sociali; se ne possono trovare tracce già nelle opere di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino. Nel pensiero contemporaneo esso viene evocato in termini di scienza politica da Alexis de Tocqueville, secondo il quale l’organizzazione collettiva trova la sua giustificazione nel fatto di consentire lo sviluppo della personalità. La collettività deve dunque dotarsi di strutture che garantiscano in modo ottimale tale svilup- po. A partire da tale postulato di un’autodeterminazione del singolo quanto più ampia possibile, si fissa il principio di sussidiarietà quale fondamento dell’organizzazione delle strutture: gli organismi di rango superiore devono assumersi unicamente i compiti che non potrebbero essere assolti in modo migliore, o con la stessa efficacia, dagli organismi di rango inferiore. Fondamentalmente la sussidiarietà è un termine sociopolitico e non un principio giuridico o costituzionale. All’origine, e nella sua concezione più astratta, la sussidiarietà è una raccomandazione normativa, una regola per fissare disposizioni istituzionali in modo tale da consentire che le decisioni concernenti direttamente la vita delle persone siano prese il più possibile in basso nella catena dell’organizzazione sociale. L’idea sociofilosofica che ne sta alla base è la sovranità, l’Eigenwert dell’individuo. Solo le cose che il singolo non può compiere adeguatamente possono essere assegnate ad un livello più alto di organizzazione sociale. Nella dottrina sociale cattolica, il punto di partenza fondamentale del principio della sussidiarietà è il singolo essere umano, a cui va lasciata quanta più libertà possibile: «...così come è sbagliato togliere all’individuo e affidare ad un gruppo quello che può essere portato a termine da imprese o industrie private, è altresì un’ingiustizia, un grave male e una violazione dell’ordine naturale, che un’associazione più ampia e più importante si arroghi funzioni che possono essere svolte con efficienza da gruppi più piccoli e di rango inferiore» (Papa Pio XI, Quadrigesimo Anno, 1931, paragrafo 79). Nel dibattito moderno sulla sussidiarietà, il rapporto originario tra l’individuo e la collettività, tra il privato e il pubblico, è stato esteso agli organismi e alle autorità politiche. In questa versione la sussidiarietà richiede che i livelli più bassi di autorità e di giurisdizione abbiano la precedenza rispetto ai più elevati e che in taluni settori l’elaborazione e l’assunzione di decisioni non siano soggette ad interferenze del centro. Il principio è utilizzato anche nel diritto costituzionale, in particolare quello concernente gli Stati organizzati federalmente, nel cui ambito disciplina la divisione dei poteri legislativi fra la nazione nel suo complesso ed i singoli Stati membri. L’attuazione del principio di sussidiarietà contribuisce dunque al rispetto delle identità nazionali degli Stati membri e tutela i loro poteri. Esso è inteso a far sì che le decisioni all’interno dell’Unione europea vengano prese il più vicino possibile ai cittadini. Unità dell’Europa e unità nazionali sono dunque una grande bandiera, tessuta e ritessuta attraverso una altissima tradizione secolare, e la forza e la solidità loro discende da questa tradizione, alla quale pur nelle tormentate vicessitudini storiche dell’Occidente sono rimaste strettamente legate. Perché la cultura e la civiltà moderne in Europa muovono dall’unico grande ceppo dell’Umanesimo e la sua tradizione è nella sua essenza unitaria. Per l’Europa furono compiute le ricerche umanistiche e la versione latina di Marsilio Ficino, che resero il pensiero di Platone e di Plotino patrimonio di tutti i Paesi dell’Occidente e fondarono la Respublica literaria. Lo spirito europeo è l’espressione non soltanto delle più 4 SOMMARIO 17 RESOCONTO 41 NOTIZIARIO 17 Ermeneutica, teologia e topologia della storia 43 CONVEGNI E SEMINARI 13 SCHEDA 43 Cinquantenario della morte di Martinetti 13 La stampa filosofica in Russia 44 Heidegger in discussione nell'anno primo del post-comunismo 45 Che ruolo ha la mente nella Natura? 46 Luigi Stefanini: personalismo ed esistenzialismo 19 AUTORI E IDEE 46 ‘De arte combinatoria’ 19 Esistenzialismo italiano 47 Omaggio a Geymonat 20 Lo stato delle cose: Vilém Flusser e il design 50 Omaggio a Dal Pra 21 L’escatologia occidentale 52 Esegesi ed epistemologia nel Seicento 22 Morale senza moralismo 53 Lo spazio dell’immaginazione 22 Introduzione a Gramsci 53 Soggettività e concetto in Hegel 23 Soggettività e modernità 55 Fichte: la ricerca del fondamento 56 Kairòs e tempus 25 TENDENZE E DIBATTITI 57 Topologia del moderno 25 Cassirer: una riscoperta 57 Kant e il problema di Dio 26 Marx e la modernità 58 CALENDARIO 27 Testo e/o immagine nell’estetica francese 29 Due secoli di teologia 59 DIDATTICA 30 Primo piano: ‘Dividi et computa’: la filosofia e il computer 59 Manuali di filosofia a confronto (I parte) La “formattazione”: una metafora per i filosofi 63 Interventi, proposte, ricerche 35 PROSPETTIVE DI RICERCA 64 RASSEGNA DELLE RIVISTE 35 Dilthey e Nietzsche 70 NOVITÀ IN LIBRERIA 37 Filosofia della vita 38 Theunissen su Kierkegaard 39 Il filosofale e il filosofico 40 Nietzsche e il nichilismo 5 RESOCONTO Emanuele Severino (f. di G. Barbaro), Franco Volpi Carlo Sini (f. di M. Totaro), Remo Bodei (f. di M. Totaro) Massimo Cacciari (f. di M. Totaro), Vincenzo Vitiello (f. di M. Totaro) 6 RESOCONTO In occasione della pubblicazione dell’ope- poiché, per definizione, il tempo è tale solo che fa riferimento a un’apocalisse prossira di Vincenzo Vitiello, Topologia del in quanto posto al di fuori della portata ma, implica una tensione; quello di “promoderno (Marietti, Genova 1992), si è svol- dell’uomo. Nella storia, e solo in essa, gresso” è invece un concetto che nasce to a Napoli (Istituto Suor Orsola Beninca- nasce il problema del “senso” - nell’acce- quando viene rimossa la nozione di apocasa, 18-19 novembre 1992) un seminario di zione letterale del termine - della storia lisse, come distruzione e disvelamento e, studi dedicato al tema: “Ermeneutica, teo- medesima, e le domande sul senso della con essa, viene rimosso il carattere aionico logia e topologia della storia”, a cui hanno storia sono poste dall’uomo, che ne viene del tempo dal futuro, dall’escatologia. In partecipato, tra gli altri, Remo Bodei, Mas- trasceso, in quanto abitatore del tempo esca- questo modo la storia diviene, vichianasimo Cacciari, Felix Duque, Bruno Forte, tologico. mente, “civile”, affare dell’uomo e della Umberto Galimberti, Pier Aldo Rovatti, A questo proposito, ha rilevato Bruno sua progettualità, dilatata indefinitamente. Emanuele Severino, Carlo Sini. Il conve- Forte, l’impostazione di Cacciari si pre- Si verifica così una perdita del futuro, una gno si è segnalato non solo per quantità e clude la possibilità, offerta invece dal pen- compressione del tempo nella presentificaqualità degli interventi, ma soprattutto per siero cristiano, di fondare una filosofia zione dell’istante, dello Jetzt; correlatival’effettiva struttura seminariale dei lavori, della storia, il cui programma potrebbe mente, si presenta l’esigenza di dare senso, dove larga parte è stata dedicata alla discus- appunto essere sintetizzato nella formula: da un punto di vista soggettivistico, alla sione delle tesi presentate dai relatori. “alla ricerca del senso perduto”. Secondo frammentazione che ne risulta, al “momenIl convegno si è articolato in tre momenti, Forte, la filosofia della storia non può che to”, che rimane altrimenti indeciso. La necentrati sul rapporto tra tempo storico ed essere cristiana, perché solo per il cristiano gatività dell’attimo si presenta però in queescatologia, tra nichilismo e redenzione, e la determinazione dell’eskaton qualifica il sta prospettiva come irredimibile, e il protra linguaggio e contraddizione. Per quanto presente come “penultimo”, distendendolo blema, ha sostenuto Bodei, consiste nel riguarda il primo momento, Massimo Cac- nella storia. Così accade nella tradizione di trovare un’alternativa a una storia che finisce per non spiegare più nulla e ciari ha rilevato come l’odiera un’escatologia che, per chi no carattere “futuribile”, attrinon è cristiano, non dice nulla buito ai termini di “tempo storirispetto al futuro. Per questo co” e di “escatologia”, rimuova occorre, a parere di Bodei, non il primitivo significato testauna topologia matematica, bensì mentario, secondo il quale una considerazione cronotopil’escatologia non fa riferimenca che sappia pensare il passato to a un “tempo che verrà”, ma che non passa e l’avvenire che piuttosto a un “tempo che vienon avviene, senza rimanere ne”. Il tempo futuro, indicato nella lallazione concettuale. dal termine eskaton, si rappresenta come realizzazione, in atto Il dibattito sull’eskaton ha inin questo tempo storico; lo si trodotto il tema del nulla come può riscontrare, particolarmendeprivazione di senso del prete, nel nuovo testamento, ladsente. In questo contesto di ricon interventi di Pier Aldo Rovatti dove, più che a un “futuro eterflessione è intervenuto Felix Carlo Sini, Vincenzo Vitiello, Franco no”, è possibile pensare a un Duque, che ha connesso la que“eterno che è presente”. Certo, stione del nichilismo a quella Volpi ha osservato Cacciari, non per della redenzione, mettendo in tutti l’eterno è presente, ma solo evidenza il carattere “per natuper colui che sa interpretare, ra” para-dossale dell’uomo. cioè per il credente; per gli altri, Duque ha con ciò voluto indil’eskaton apparirà come tale care il collocarsi dell’uomo ai solo nel futuro, nel momento margini della doxa, in forza della a cura di Flavio Cassinari del disvelamento apocalittico. sua duplicità di “animale logiA esso non è peraltro estranea co”. La natura animale dell’uola dimensione del nascondimento, in quan- Paolo, dei sinottici e di Gioacchino da mo, per come essa è stata indagata da to scoperta della profondità, dell’insonda- Fiore, dove il tempo viene pensato come Nietzsche, consiste nell’essere fuori di sé bilità di quell’abisso che è Dio. Per credenti aion, eone che si distende nella storia. A della vita, nel collocarsi di quest’ultima al e non credenti, tuttavia, ogni momento è questa tradizione Forte contrappone la pro- di là di ogni individualità costituita come decisivo, e cessa quindi di esser tale, cioè di spettiva dell’ideologia, che a suo parere tale. Etica e logica sono appunto funzionali essere elemento di una serie, per diventare può trovare un’ascendenza giovannea e al “tenere assieme”, dal punto di vista del“punto critico”, luogo della krisis, decisivo agostiniana, accomunante ortodossi e pro- l’identità individuale dell’uomo, la vita; in quanto “prossimo” a un fine e alla fine. testanti e alla quale viene ascritto, con per questo i filosofi, come sosteneva PlatoDal punto di vista di un’escatologia consi- Bultmann, lo stesso Cacciari. Essa consiste ne, parlano sempre di morte. Quest’ultima, derata in senso finalistico, il tempo storico nel ridurre il tempo a funzione della proget- come istanza rappresentativa della natura, implode dunque nell’attimo. tualità; in questo modo la storia si annichi- è il contrario del logos, ma è al contempo In realtà, ha sostenuto Umberto Galim- lisce, perché il futuro fagocita il presente. ciò che conferisce ad esso il suo senso. berti, tale implosione è caratteristica di un A parere di Forte, questa posizione, con Risiede qui, a parere di Duque, il terreno in tempo concepito in funzione tecnico-ope- l’enfatizzazione del carattere “critico”, cioè cui si connettono nichilismo e redenzione, rativa, dove la dimensione scopica del “darsi decisivo, dell’attimo, in cui l’istante bruto laddove la seconda consiste nell’accettada fare” provoca una contrazione del tem- diventa “gravido di Dio”, è assai poco laica zione della morte, in quanto possibilità di po: il tempo “serve” al progetto, non c’è e antistorica, perché sottolinea l’unicità congiungere logos e natura. In questa prouna serie, ma soltanto un “sempre imme- dell’eskaton a scapito della pluralità dei spettiva il male arrecato all’altro, la morte diatamente” prima e un “sempre immedia- momenti della storia. Proprio questa, ha che gli si infligge, è male, è morte che si tamente” dopo l’attimo, concepito come però implicitamente sostenuto Remo arreca a sé medesimi, una sua anticipaziokairos, come “buona occasione” per il pro- Bodei, è la lettura contemporanea dell’eska- ne; d’altra parte, solo accettando la propria getto. Il tempo storico nasce perciò, a pare- ton, impostasi con le filosofie del progres- morte, il proprio nulla in quanto esseri re di Galimberti, solo come escatologia, so settecentesche. La prospettiva eonica, vitali, ci si salva in quanto esseri razionali. Ermeneutica teologia topologia della storia 7 RESOCONTO A questo proposito, Pietro Coda ha rilevato come, nel pensiero occidentale, il concetto di nichilismo e quello di redenzione siano a tal punto connessi, che nell’idea di redenzione è implicita una dimensione nichilistica, dalla quale, secondo Coda, è necessario liberarsi. In questa prospettiva la topologia proposta da Vitiello può essere interpretata non come una sorta di primato della determinazione spaziale nei confronti di quella temporale, ma come loro compresenza. Nello stesso senso la redenzione dal nichilismo, implicito nell’idea stessa di redenzione, può attuarsi laddove si interpreti la “fine della storia” come carattere finito della storia medesima; concetto, questo di finitezza della storia, che non ha nulla a che spartire con quello di un compimento redimente (e perciò nichilistico) della storia medesima. A partire dalla celebre sentenza heideggeriana che sottolinea la non identità di filosofia e teologia, Carlo Sini ha sostenuto, contro Forte, il carattere irresolubile dell’alternativa fra topologia e storia: la filosofia non si identifica né con l’una, né con l’altra, proprio perché si differenzia in modo radicale, in quanto pratica di domande, dalla teologia che è pratica di risposte. In questo senso, ha affermato Sini, la filosofia è “ermeneutica”, laddove il termine va inteso non come interpretazione di testi, o di tradizioni, ma come espressione di una domanda portata al suo massimo livello di radicalità, poiché essa verte sul domandare, sull’interpretare medesimi. Non è tale, secondo Sini, l’ermeneutica contemporanea quando si chiede, per esempio, cosa siano nichilismo o redenzione, e si colloca così sul livello della domanda sociologica, piuttosto che su quello della domanda filosofica. Questa ermeneutica rimane infatti nell’equivoco della “superstizione delle cose”, ovvero nella presupposizione che si dia qualcosa come nichilismo, redenzione, tempo, e così via. Al contrario, ha osservato Sini, non esiste la “cosa” indipendentemente dalle pratiche che la costituiscono: non si può chiedere cosa sia il tempo e come lo si possa pensare, perché non si dà “il tempo”, ma solo pratiche finite, immagini di mondo. Così pure per la redenzione, che non esiste “in sé”, ma come insieme di pratiche (discussioni, aspettative, e altro) per cui si viene posti “nella disposizione d’animo della redenzione”. Per comprendere, da un punto di vista autenticamente filosofico, cosa sia ad esempio la “redenzione dal dolore”, occorre per Sini dare ascolto, fenomenologicamente, alla propria pratica finita; da essa appare come tale redenzione, lungi dal consistere in un rapporto di risarcimento per il dolore patito, si manifesti invece come consapevolezza del proprio stare, spinozianamente, come modo finito in una sostanza finita. Tale consapevolezza non ha affatto il carattere del “sapere qualcosa”: nell’apocalisse, quando il velo sulla verità si solleva, si scopre che non c’è nulla, e che questo nulla coincide con il tutto. Il rapporto tra nichilismo e redenzione, come ha sottolineato Duque, può essere riformulato in termini diversi nel rapporto fra linguaggio e contraddizione. Il linguaggio è infatti un modo per fuggire l’immediatezza, guardando “le cose stesse” da una distanza che permetta di coglierle. Per Hegel il linguaggio è il luogo della contraddizione tra il nome e la cosa, tra il logos e la vita; al termine della Logica la contraddizione si compone quando il linguaggio perviene a un nome che non è un nome, bensì la “cosa stessa”. Qui il nome si trasforma in pro-nome, ovvero nella condizione di possibilità della cosa; il logos diventa condizione di possibilità della vita, e la mediatezza del linguaggio dilegua nell’immediatezza, nella morte. La questione della distanza, come luogo di nascita dell’essenza contraddittoria del linguaggio, è stata affrontata da Pier Aldo Rovatti a partire da tematiche di carattere psicoanalitico. Il gioco del fort-da costituisce l’inizio della difesa dall’angoscia attraverso il simbolico, attuata tramite un controllo dell’assenza. Proprio qui si colloca però la contraddizione, perché tale controllo porta con sé la coazione a ripetere, che appartiene essenzialmente al dominio del linguaggio. In altri termini, attraverso il linguaggio si sta nella contraddizione e, con ciò, nella distanza. Quest’ultima accade in due modi, che indicano ciò da cui “si tiene la distanza”: anzitutto come distanza dall’impossibile, da ciò che non è esprimibile in quanto non semiotizzabile, ovvero la distanza dagli oggetti, che è anche la distanza dalla morte dell’io; in secondo luogo come distanza dall’immaginario, ovvero da ciò che viene approssimato dall’immagine, l’io medesimo. La nostra distanza è quindi non solo dalle cose, ma anche dall’io; il carattere contraddittorio delle parole consiste nel loro stesso essere poste. Risiedere in questa contraddizione comporta un “mettersi in gioco”, che consiste tanto in un’apertura (lo “stare in ascolto” del linguaggio), quanto in una chiusura, per via della dimensione prospettica in cui ci si viene a collocare. Franco Volpi ha tuttavia messo in dubbio l’assimilazione di linguaggio e contraddizione, sostenuta da Duque e da Rovatti sulla base del fatto che il linguaggio sarebbe, contemporaneamente, il luogo della significanza e quello della sua distruzione, e l’uomo semplice “frammezzo” (zwischen) tra l’uno e l’altro. Tale posizione, ha rilevato Volpi, è anche espressa in Topologia del moderno da Vitiello, che arriva a condividere la posizione di Emanuele Severino circa l’eternità del tutto, ovvero l’eternità di tutti gli enti, chiamando a sostegno Kant, quando afferma che il tempo è eterno, proprio perché esso non accade nel tempo. Volpi ritiene, invece, che proprio Kant possa essere utilizzato in tutt’altra direzione, facendo riferimento alle sue riflessioni sulla contraddizione, esposte nella Dialet8 tica trascendentale. Con la trattazione delle antinomie, a parere di Volpi, si prospetta per Kant la possibilità di procedere oltre il principio di non contraddizione aristotelico, arrivando a configurare un luogo dove tertium datur, dove cioè tesi e antitesi possano essere entrambe false, o entrambe vere. Così pure potrebbe accadere, ipotizza Volpi, per la contrapposizione fra le tesi, entrambe false, che sostengono l’eternità o il divenire degli enti. Vincenzo Vitiello ha a sua volta precisato il proprio dissenso da Volpi, sottolineando di non ritenere residenza dell’uomo la contraddizione come luogo della non significanza, e mettendo conseguentemente in evidenza la propria distanza dalla posizione di Severino. Vitiello ha infatti ribadito che il carattere contraddittorio di ciascun discorso va ricondotto alla necessità di dire con esso il suo proprio orizzonte, in modo tale però che questo dire non risulti esaustivo; deve cioè configurarsi un discorso che sia, a un tempo, inclusivo e non inclusivo di sé, a differenza di quanto ritiene Severino. Per quest’ultimo, ha continuato Vitiello, la relazione “A=A”, l’ “Uno è Uno” è, gentilianamente, reale; il problema, piuttosto, è per Vitiello quello di pensare questa relazione, che è, a suo avviso, intimamente contraddittoria. Precisando la propria posizione, Emanuele Severino ha ribadito come egli, pur d’accordo con la tesi di Vitiello, secondo la quale «l’Identico è da sempre», non ritenga affatto l’Identico un ente particolare, bensì la totalità degli enti. L’Identico è “già da sempre”; quindi (e solo in forza di ciò) le cose del mondo sono “già da sempre”. La contraddizione si costituisce solo nella misura in cui il soggetto intende presentarsi come isolato; il suo significato non appartiene in questo modo al predicato, in quanto questo soggetto pretende l’autoesaustività. Conseguentemente, quando “si dice”, il dire si pone come un’alterità rispetto a ciò di cui si dice, e ha così luogo la contraddizione. Nasce in questo modo il pregiudizio relativo al divenire degli enti, interpretato come il passare da un ente a un nulla, e viceversa: una volta il soggetto ha un determinato predicato e un’altra volta quel predicato è, per il soggetto, un nulla; in questo modo, ha chiarito Severino, la categoria del divenire proviene dalla considerazione del soggetto come isolato, ed è cespite della contraddizione. Da essa non riesce a liberarsi il principio di non contraddizione che, anzi, la assume come proprio presupposto. A parere di Severino, occorre invece riconoscere che la relazione fra soggetto e predicato non si instaura fra enti isolati, ma è originaria; solo così si evita la contraddizione, l’isolamento del soggetto, il divenire. Sostenere, come fa Volpi (e Platone), che alcune cose possono essere eterne, e altre no, implica, secondo Severino, l’ammissione dell’isolamento del soggetto, del divenire, della contraddizione. Nella contraddizione cade la filosofia con- RESOCONTO temporanea (quando, con Derrida e Gadamer, considera inseparabili linguaggio ed essere, linguaggio e pensiero), che non può più disporre della categoria della necessità avendola liquidata. A questo esito si giunge quando la riflessione connette in primo luogo il pensiero al linguaggio, in secondo luogo alla storicità, e conclude che il pensiero non è incontrovertibile. Ma entrambe le connessioni, soprattutto la seconda, sono ipotesi ermeneutiche accettate come incontrovertibili, utilizzate per negare la possibilità della categoria di incontrovertibilità. Eppure, identità ed eternità dell’ente, ha obiettato Sini, sono tali solo in riferimento a una totalità che non si dà come tale, ma di cui esse sono evento; e Felix Duque ha ribadito come, non dandosi l’identità, il movimento è da un nulla a un nulla. Nella tavola rotonda che ha concluso il convegno, durante la quale sono stati messi a fuoco alcuni nodi tematici presenti nell’opera di Vitiello, Topologia del moderno, Bruno Forte ha definito quest’opera una “celebrazione dell’idea”, e su questa base l’ha accostata alla prospettiva hegeliana, in forza del suo concepire il moderno come utopia: il “non luogo” originario di Hegel fa da correlato al domandare dell’uomo, è onnipresente e, proprio per questo, “in nessun luogo”. A parere di Forte, è centrale nell’opera di Vitiello il rapporto fra tempo ed eternità: laddove l’eskaton si esaurisce nel presente, la storia si annulla; qui risiederebbe il debito con quella che Forte ha definito l’ “ebbrezza hegeliana” per il compimento. Relativamente al suo debito con Hegel, Vincenzo Vitiello ha tuttavia ribadito che la topologia solo in prima istanza consiste in un pensiero dell’Assoluto, perché l’eskaton indica non una fine, ma un orizzonte: la categoria del moderno non accade “dopo” quella di Medioevo, ma si identifica, piuttosto, con la storicità in quanto tale. Vitiello ha ribadito di non pensare a una fine, intesa come “compimento” della storia, perché ciò implicherebbe ancora un primato del tempo, che egli pone, invece, come complanare allo spazio. A partire dalla tematica della contra-dizione, Pier Aldo Rovatti, che ha peraltro affermato la propria sintonia con la prospettiva di Vitiello, ha rilevato in essa il permanere di un “residuo di soggettività”. Se la contra-dizione è infatti implicita nella sospensione del giudizio, nell’epoché fenomenologica, in essa sopravvive, in posizione residuale, ma nondimeno ineliminabile, un orizzonte di soggettività, il cui mancato riconoscimento porta alla tesi di una dissoluzione dell’evento nel linguaggio. A questa obiezione Vitiello ha risposto che la contraddizione non può rappresentare l’ultima parola, pena la ricaduta in una filosofia dell’identità di stampo hegeliano; occorre, invece, mantenere la contraddizione all’interno della contraddizione. Da parte sua Carlo Sini ha invitato Vitiello a precisare il rapporto fra la sua nozione di topologia e l’ermeneutica, nonché quello, in una prospettiva topologica, che intercorre fra la pratica filosofica e la questione del tempo. In altri termini, ha rilevato Sini, non è chiaro se a partire dalla topologia sia ancora possibile il darsi di una scrittura filosofica, né se la topologia medesima le appartenga; sullo sfondo rimarrebbe, dunque, il rischio di reintrodurre la nozione di “fine della filosofia”. A questa considerazione Vitiello ha risposto che la topologia, posta l’ermeneutica come disciplina storica, riguarda le condizioni di possibilità di ogni ermeneutica. Per quanto riguarda poi l’osservazione di Sini circa il carattere fondativo della pratica nei confronti della to- pologia, Vitiello ha a sua volta sollevato la questione del rapporto fra tempo e pratica, interrogandosi su quale dei due termini sia condizione di possibilità per l’altro. A questo proposito, affermando la contiguità di topologia e monadologia, Vitiello ha avvicinato la propria posizione a quella di Leibniz, e quella di Sini a quella di Spinoza. Massimo Cacciari ha individuato invece tratti schellinghiani nella riflessione di Vitiello, soprattutto laddove vengono ritrovate in Dio le scissioni che caratterizzano e definiscono l’uomo, prima fra tutte quella frattura, irredimibile, che colloca appunto il suo “soggiorno”, il suo ethos, nell’utopia, in quel non luogo cioè che è il frammezzo, la contra-dizione fra uno e molti. Rispondendo ancora a Sini, che gli chiedeva di tematizzare la questione della distanza che accade nel rimando, e che è, quindi, implicita nella struttura del segno linguistico, Vitiello si è detto d’accordo sul fatto che sia proprio l’evento ciò che occorre pensare attraverso il linguaggio. Egli ha affermato però di ritenere la categoria di “evento”, per come essa è utilizzata da Sini, eccessivamente ipotecata da una vena mistica, e ha ribadito la necessità di dire l’evento. Se la filosofia, ha concluso Vitiello, consiste nel domandare, ciò va inteso a suo parere in senso radicale: non pretendendo, cioè, in alcun modo una risposta, non pretendendo neppure di sapere chi si sia, che cosa si domandi. Non è lecito, in altri termini, neppure rispondere alla domanda se, dietro al velo sollevato dall’interrogante, vi sia un nulla, o non piuttosto un qualcuno, o un qualcosa. A proposito di alcune delle tematiche emerse durante il convegno, Pier Aldo Rovatti, Carlo Sini, Vincenzo Vitiello e Franco Volpi hanno cortesemente risposto ad alcune domande rivolte loro da Flavio Cassinari. Vitiello: Più che di “fine della storia”, si può forse D. Nell’insieme, il dibattito sul volume di Vincenzo sostenere che la storia non sia incominciata, in quanto non è mai iniziata la condizione di possibilità di ogni storia. Occorre chiedersi se la contrapposizione, nel senso della domanda, fra una prospettiva “policentrica” e una “monocentrica”, non si ponga comunque a partire dal fatto che ammettiamo, come loro condizione di possibilità, un orizzonte. La topologia intende mettere in discussione proprio questo orizzonte di possibilità, riflettendo sulla dimensione spaziale del tempo; riflettendo, cioè, sul suo orizzonte, che non è storia, ma metastoria. Una riflessione che voglia essere radicale deve dunque esercitarsi su questo orizzonte. Sini: Non vedo opposizione tra storicità e topologia, ma piuttosto un differente modo di intendere e interpretare la storicità. La fine della storia, del resto, non può essere sancita da una “teoria”, per di più filosofica. Si ha una fine della storia solo se vien meno la pratica dello sguardo storiografico (che la filosofia ha potentemente contribuito a innescare, almeno a partire da Aristotele), e con esso tutta quella tradizione di pratiche, anzitutto di scrittura e di lettura, che lo sostanziano. Non mi pare di vedere all’opera nulla di questo genere in una topologia come la Vitiello, Topologia del moderno, sembra essersi sviluppato attraverso una serie di opposizioni, la prima delle quali può essere individuata dalla coppia storicità-topologia. Il primo termine rinvierebbe a una prospettiva escatologica, in quanto orientata verso “un centro”, mentre il secondo configurerebbe piuttosto un policentrismo, una “compresenza di centri”. In che senso va inteso il rapporto fra le due prospettive, e la seconda può essere considerata espressione della “fine della storia”? Rovatti: L’ultima parte della domanda contiene l’orizzonte in cui collocherei una risposta. Occorre che si faccia “spazio” a una pluralità di punti di vista, a queste “due prospettive”, creando cioè, in luogo di gerarchia e dipendenza, uno spazio di “gioco” e di coinvolgimento. Proprio la questione di uno spazio siffatto mi sembra il tema messo a fuoco nel testo di Vitiello tramite la nozione di topologia. In questo modo non si tratta di penalizzare o di escludere la prospettiva del tempo, ovvero della storia, bensì di ricondurla in tale “orizzonte” o, per dirla con un’espressione a me congeniale, di indebolirla. 9 RESOCONTO intende Vitiello, indipendentemente dalle sue intenzioni. Volpi: Il binomio storicità-topologia configura, a mio avviso, più che un’opposizione, una complementarità. Il primo termine indica infatti un problema, ossia il carattere eminentemente storico, e dunque temporale, dell’uomo e della sua esperienza con tutto ciò che ne consegue, in primo luogo la questione del modo in cui le manifestazioni e le espressioni storiche della vita possono essere adeguatamente conosciute. Il secondo termine indica, invece, una determinata disposizione metodologica per affrontare, in maniera filosoficamente accorta, il problema della storicità. Se si vuole parlare di antitesi, essa sussiste non tanto fra storicità e topologia, bensì fra topologia e “storicismo”, qualora si intenda con questo secondo termine un atteggiamento ingenuamente narrativo, orientato sulla mera successione cronologica e storiografica. Avremmo, in questo caso, l’opposizione di due modi di affrontare il problema della storicità, alternativi l’uno all’altro: quello topologico, che si profila come un approccio storicamente consapevole, e quello storicistico. Quest’ultimo, se nel secolo scorso, nella contrapposizione al positivismo, ha avuto la sua grande stagione e anche, certamente, le sue buone ragioni d’essere, appare oggi (specialmente tenendo conto delle critiche mosse a tale posizione già da Nietzsche, poi da Heidegger e infine dall’ermeneutica successiva) come una posizione non sufficientemente radicale, ed esposta agli esiti del relativismo culturale e del mero “narrativismo”. aggancio con le forme della razionalità argomentativa? Su questo punto si potrebbe dire che gli esponenti del pensiero ermeneutico hanno a lungo esitato o, quantomeno, non hanno fornito risposte univoche e concordi. L’adesione del giovane Heidegger al programma metodologico della fenomenologia è stata più che altro uno spunto iniziale (fatta salva la grandezza dell’inizio heideggeriano,) la cui enigmaticità e problematicità è racchiusa nella tesi secondo la quale la possibilità (della fenomenologia) sta più in alto della sua realtà, cioè della sua realtà storica di movimento filosofico. Gadamer, pur nel suo contrapporsi a ogni restringimento metodologico del libero gioco del comprendere, ha sottolineato e teorizzato la struttura dialogica dell’esperienza ermeneutica. Ulteriori precisazioni “di metodo” sono state fornite, dai loro rispettivi punti di vista, da Richard Rorty e anche da Gianni Vattimo, che ha recentemente reclamato, dal punto di vista dell’ermeneutica, un “diritto all’argomentazione”. La prospettiva della topologia può inserirsi a mio avviso proficuamente in questa problematica, e aprire uno scorcio interessante per affrontare di petto la questione. Rovatti: Lo “sguardo topologico” è certamente una variazione ermeneutica; o, piuttosto, un rilancio rispetto alla prospettiva di quest’ultima. Esso si incarica infatti di circoscrivere, e possibilmente di descrivere, una zona filosofica che l’ermeneutica (per esempio, quella di Gadamer) si accontenta di costeggiare. Non saprei indicare altrimenti tale zona se non con il termine, ovvio, di “soggettività”. Il problema consiste, appunto, nel mettere a tema lo “sguardo topologico”, nel determinare a quale modalità di “vedere” esso appartenga, con quale tipologia di “soggetto” risulti congruente. Vitiello: A mio parere l’ermeneutica, anche quella gadameriana, che pure pone il problema della fusione degli orizzonti, non mette in questione l’orizzonte complessivo, quello al cui interno si danno tutti gli altri orizzonti, le condizioni di possibilità particolari. L’ermeneutica si limita, infatti, ad affermare questo orizzonte: così accade, ad esempio, quando essa parla del linguaggio come del mondo stesso al cui interno avvengono tutti i rapporti storici, e a partire dal quale la storicità medesima è pensabile. Il paradosso consiste qui nel volere ermeneuticamente portare nella storia, nel flusso del divenire storico, il movimento storico; eppure, già per Kant, «die Zeit bleibt und wechselt nicht», il tempo rimane, e non muta. D. Che rapporto sussiste fra lo “sguardo topologico” da una parte e il punto di vista dell’ermeneutica dall’altra? Sini: L’unico “punto di vista dell’ermeneutica” che abbia effettiva consistenza filosofica è quello di Heidegger. Quanto è poi seguito sotto tale nome è solo sociologia della cultura o storia delle idee, le cui proposte e conclusioni non solo sono filosoficamente irrilevanti o infondate, ma, proprio per questo, non si fanno in alcun modo carico delle reali - e fruttuose - aporìe contro le quali si scontra il cammino heideggeriano. Vi è solo la presunzione di un “superamento” che si riduce a formulette superficiali, nelle quali nessun esercizio di pensiero è, di fatto, messo in opera; un tale esercizio, chissà perché, viene piuttosto dichiarato impossibile. La topologia di Vitiello - come, per altri versi, la meditazione “sull’inizio” di Massimo Cacciari - in quanto effettivi esercizi di pensiero, non hanno nulla a che vedere, pare a me, con questi “punti di vista ermeneutici”. Semplicemente li lasciano alla loro attualità “presunta” e, invero, già appannata; oppure li lasciano alla loro attualità effettiva, per quanti amano leggere di filosofia senza farla, cioè senza sapere che significhi farla. Volpi: Se topologia ed ermeneutica vanno di pari passo nell’opposizione allo storicismo, dei cui problemi esse peraltro intendono farsi carico, una volta che ci si lasci alle spalle il confronto con lo storicismo, la prospettiva topologica sollecita l’ermeneutica in direzione di un problema di fondo che ne travaglia la definizione metodologica, e che, in breve, può essere così formulato: qual è la logica, qual è la razionalità propria dell’ermeneutica? Segue essa un metodo meramente narrativo, o trova un D. Se il punto di vista storico appare come correlato di quello teologico e come cifra della filosofia, mentre, pur con molti distinguo, l’ermeneutica si collocherebbe sul lato dello sguardo topologico, in che misura il tema della “fine della filosofia”, che viene qui introdotto, non porta con sé quello del superamento della filosofia medesima, e cosa si può intendere con ciò? Rovatti: Fine della filosofia? Ma non è piuttosto la fine della filosofia intesa, per lo più e innanzitutto, come storia? Potremmo parlare, allora, e semmai, di “altro inizio”. E ci si potrebbe chiedere: questo iniziare a guardare la filosofia come se essa fosse sempre stata 10 RESOCONTO nell’orizzonte topologico (nel senso che a questo termine Saggiatore, Milano 1992). conferisce Vitiello) comporta o no qualcosa come un Vitiello: La topologia vuole essere “filosofia”; essa re“oltre” rispetto alla filosofia? Vorrei introdurre qui quel- spinge infatti ogni discorso relativo a una “fine della lo che per me, dopo quello relativo alla questione della filosofia”, e richiede perciò un diverso rapporto con la “soggettività”, è il secondo problema fondamentale, il filosofia medesima. La topologia accetta, con sincerità e problema del linguaggio. Più precisamente: il problema serietà, la tesi della contemporaneità della storia. Quedella parola filosofica e della sua pretesa stabilità, o della st’ultima, assunta da Benedetto Croce in una prospettiva sua riconosciuta trasparenza. Dove lo sguardo topologi- esclusivamente psicologica, e da Marx in una solo socioco - se vogliamo continuare a chiamarlo così - “vede” logica, trova invece con Hegel e con Nietzsche la sua soprattutto la contraddizione, la filosofia pretende subito espressione filosofica più rigorosa. Mi riferisco in partiche questo “oggetto”, che viene visto, sia in piena luce, colare ai passi, posti al termini della parte introduttiva che sia suscettibile di “una” logica, che resti al suo posto delle Lezioni sulla filosofia della storia, nei quali Hegel senza muoversi. Ma lo afferma che solo in appasguardo topologico non renza lo storico guarda al vede questo tipo di oggetpassato, perché, in realtà, to, e forse non ha in vista egli guarda invece sempre nulla che si possa chiamare al presente. Non si tratta davvero oggetto. Infatti la qui del presente che passa, contraddizione è contradma di quello eterno, lo Jetzt dittoria: la parola “contradche sempre è. Per ciò che dizione” va messa tra virriguarda Nietzsche, occorgolette e tra parentesi, non re invece riferirsi alla dotè né stabile né trasparente, trina dell’eterno ritorno che, non è semanticamente uniinterpretata filosoficamenvoca. Indica uno spazio di te, cioè al di fuori da ogni oscillazione, e come tale è arcaicismo e misticismo, si“impropria”. Questo effetgnifica comprensione delto di improprietà, che lo lo spazio della storicità. sguardo topologico confeL’anulus aeternitatis raprisce al linguaggio, potrebpresenta l’orizzonte non be suggerirci l’ “oltre” delmutevole del flusso del temla filosofia. Non una superpo; l’eternità si presenta filosofia, bensì piuttosto la come eternità del tempo, sua lateralizzazione; per non soltanto nel tempo. così dire, la possibilità di Ogni escatologia non può scavare un vuoto attorno perciò essere che successialle parole filosofiche, perva alla concezione topoloché continuino a parlare. gica, e ciò vale anche per Sini: Per quanto mi riguarl’ermeneutica. da, la fine della filosofia non è da intendersi come D. La questione della “fine” “utopico” passaggio ad aldella filosofia rimanda a tro. Solo chi non ha inteso il quella del suo “inizio”; senso profondo della filonell’uno e nell’altro caso, sofia, e il carattere filosofinon si rischia di reintroco della “fine” e della “fine Giorgio de Chirico, Il pomeriggio di Arianna (part.), 1913 durre nella prospettiva della filosofia”, può nutrire “topologica” lo “sguardo ingenue e precipitose speranze in tal senso. Le quali sono storico”? Fino a che punto i tentativi per sfuggire ala loro volta figure della fine, spesso patetiche nella loro l’eventuale contraddizione non si risolvono in una sorta presunzione. Quell’orizzonte, che già Heidegger chia- di “raddoppiamento” dei concetti, che appaiono per un mava “fine della filosofia”, e che indubbiamente in vario verso come “originari”, per l’altro come debitori alla modo ci concerne (nonostante i successi della filosofia prospettiva che si intenderebbe superare? come cultura da mass-media, o Weltzivilisation), va inteso, a mio avviso, come possibilità “etica”; ovvero Rovatti: Se ci siamo un poco capiti sul senso del discorso, come un nuovo modo di frequentare la filosofia - e, più in allora sarà chiaro che “contraddizione” e “raddoppiagenerale, il sapere, a cominciare dal saper fare e dal saper mento” non sono da intendersi qui come dei limiti. Il vivere - come un nuovo “abito di scrittura”, in cui la gioco è in perdita, ed è un gioco di rilanci: ci si dovrà tradizione stessa si rinnova senza superstizioni e acquisi- infine interrogare su cosa è un gioco, e su quale processo sce nuovi sensi. Che cosa poi voglio dire qui con “scrit- abbia da compiere l’ “io” del giocatore. Sono i problemi tura” non è possibile, né opportuno, sintetizzarlo: non che mi interessano, e che vorrei segnalare, per arrivare posso far altro che rinviare al mio Etica della scrittura (Il all’esigenza di rappresentare, nel discorso filosofico 11 RESOCONTO medesimo, la intenibilità della propria posizione, l’effetto di scivolamento. L’ “originario” non scompare come qualcosa di falso, né dovrà ricomparire come quel “vero” di cui volevamo evitare il ritorno, per il semplice motivo che si tratterà di rappresentarlo come pretesa, o come illusione necessaria al nostro proprio “stare al gioco”. Si tratterà, dunque, di “metterlo in scena”, di riuscire a ospitarlo. Sini: Non credo che ci si possa liberare dallo sguardo storico, limitandoci per esempio a sconvolgerne le cronologie. In realtà, non abbiamo altro che lo sguardo storico; questo è tuttora il nostro modo di comprendere. Possiamo però cominciare ad abitare altrimenti lo sguardo storico stesso; il che implica, alla lunga, una modificazione. In questa direzione la topologia di Vitiello dà indubbiamente un importante contributo, il cui valore, già oggi considerevole, è da vedersi in movimento verso ulteriori e significative prospettive che da Vitiello è lecito attendersi, con vantaggio di tutti coloro che amano ancora pensare filosoficamente. Vitiello: In merito alla questione della “fine” e dell’ “inizio”, della storia e della filosofia, va precisato che, all’interno dell’orizzonte topologico, si danno molti inizi e molte fini, tutti gli inizi e tutte le fini possibili. Detto ciò, va subito aggiunto che non si è ancora detto l’essenziale, ovvero che se l’orizzonte della storia, cioè l’eterno del tempo, non cade nel flusso del tempo, è però vero che questo orizzonte è finito, cioè mortale; l’orizzonte è sempre orizzonte di un aoriston, di un indefinito. Senza questo indefinito, non ci sarebbe l’orizzonte; orizzonte è sempre orizein ton aoriston, definire ciò che non è definito, dire l’indicibile. Volpi: La problematica della fine e dell’inizio della filosofia (che investe poi la questione, più vasta, della sua autocomprensione storica) viene alla luce in tutta chiarezza nel pensiero heideggeriano: esso pretende di non essere più filosofia, e di stare quindi oltre la filosofia, e tuttavia altro non è, né potrebbe essere altrimenti, che un radicale confronto con la filosofia e con le sue grandi questioni e, quindi, una continua rievocazione di quello che la filosofia è stata. In tal senso, Heidegger parla di Andenken, di pensiero che rievoca, di pensiero rammemorante. Anche la prospettiva della decostruzione, teorizzata da Derrida, non oltrepassa questa difficoltà; semmai, la esaspera e la radicalizza. La questione del linguaggio, nel suo incrociarsi con gli interrogativi qui sollevati, rappresenta senza dubbio un punto di riferimento, e di passaggio obbligato: è la dimensione in cui “tutto l’essere che può essere compreso” è situato, e nella quale dunque ogni “altro inizio”, per quanto nuovo sia, è già sempre storicamente collocato, e perciò “topologicamente determinato”, e quindi allacciato all’antico. Il linguaggio è, contemporaneamente, la dimensione in cui la tradizione si sedimenta e si decanta, e lo “spazio di azione”, lo SpielRaum, nel quale può avvenire l’apertura del nuovo. l’“inizio”, della filosofia, in che misura le appartengono? Rovatti: Credo di aver già detto come orienterei la mia risposta. Aggiungo che il linguaggio filosofico, secondo la mia interpretazione, non corrisponde a una logica: si potrebbe dire che esso immetta in una “confusione” di tipi logici, e con ciò tenti di avvicinarsi proprio allo “spazio” del linguaggio. Per esempio, pone domande alla parola poetica, e da essa ottiene suggerimenti sulle regole del gioco; ovvero, su come il gioco funziona, su come il linguaggio agisce in questo gioco. Ma dove “abita” allora la filosofia, se essa ha bisogno di questa “distanza” da se stessa? Si potrebbe ipotizzare che abiti la paradossale consapevolezza del gioco del linguaggio. Sini: La questione del dicibile e dell’indicibile, se viene considerata alla luce di ciò che io chiamo “pratiche” (per le quali valga il precedente riferimento a Etica della scrittura) si vanifica pressoché interamente. Non esistono né il dicibile, né l’indicibile; o, meglio, esistono solo nella pratica universalizzante della concettualità filosofica. Esistono molteplici pratiche della parola e, correlativamente, del silenzio. Ma solo se si è raggiunta effettivamente (non solo come nozione teorica, cioè buona per un “dibattito”) la dimensione che io chiamo “etica”, allora divengono evidenti e comprensibili le espressioni con le quali mi riferisco qui alle “molteplici pratiche della parola e del silenzio”. Naturalmente nessuno è obbligato ad accedere effettivamente a una dimensione etica, nel senso in cui intendo tale termine; bisogna vedere se può farlo, il che è di nuovo una questione etica che riguarda lui. Per parte mia, tenendo conto del cammino che, in certo modo, mi sono trovato costretto a percorrere, in quanto cammino “segnato”, posso dire solo che se può farlo, allora certamente lo farà. Non avrà altra scelta, e in questo, con apparente paradosso, consisterà la sua libertà. Si potrebbe dire: libertà dalla teoria nella teoria. Ovvero: modo di abitare il circolo ermeneutico nella maniera giusta, e perciò di permanervi. Vitiello: La questione del linguaggio, intesa come questione del rapporto tra l’indefinito e l’orizzonte che lo definisce, riassume tutti i problemi e tutte le difficoltà, non solo - sarebbe poco - della topologia, ma della stessa filosofia nella e della quale viviamo, volenti o nolenti che si sia, almeno da Platone. Non a caso l’ultima parte di Topologia del moderno è dedicata al rapporto tra silenzio e linguaggio; è questo un problema tutto filosofico e consiste non solo e non tanto nella contraddizione, bensì nel dire la contraddizione. In questo senso, la topologia osa riprendere la questione “filosofia” ab origine, cioè dall’aporìa del mentitore, dalla questione della contraddizione in cui, dicendo, ci si pone. D. Dal problematico rapporto fra sguardo topologico, ermeneutica, e prospettiva storica, emerge dunque la questione del linguaggio, come questione del rapporto fra dicibile e indicibile; ma se questo è poi il problema della filosofia, la soluzione di questo rapporto è ancora interna alla filosofia? La “fine”, o 12 SCHEDA N el 1991, le principali pubblicazioni periodiche a cui continuavano a fare riferimento i filosofi (ancora per poco) sovietici, erano tre: i “Voprosy filosofii” (“Questioni di filosofia”), organo dell’Istituto di Filosofia dell’Accademia delle scienze dell’Urss, le “Filosofskie nauki” (“Scienze filosofiche”), del Ministero dell’istruzione speciale superiore e media dell’Urss, e la serie 7/Filosofia del Bollettino dell’Università di Mosca (“Vestnik Moskovskogo universiteta”). I “Voprosy filosofii” uscivano ogni mese, e avevano raggiunto da qualche anno una tiratura di circa cinquantacinquemila esemplari per numero. Le “Filosofskie nauki” e il bollettino filosofico dell’Università della capitale tiravano rispettivamente settemila esemplari dodici volte all’anno, e tremila esemplari sei volte all’anno. La preminenza dei “Voprosy” datava dalle origini, dal 1947, dalla svolta determinata nei vari campi della vita culturale da Andrej Zdanov. Il primo numero aveva avuto appunto come unico contenuto gli atti della discussione sulla Storia della filosofia dell’Europa occidentale di Georgij Aleksandrov, quando i maggiori specialisti erano stati costretti a riconoscere al cospetto del Segretario del Comitato centrale del Partito comunista le proprie responsabilità per il passato, e a promettere nel lavoro futuro di Giovanni una maggiore intransigenza ideologica. E’ significativo che il vecchio studioso incaricato di celebrare in piena perestrojka il quarantesimo anniversario della fondazione della rivista avesse evitato di fermarsi su questo precedente imbarazzante (e di fare addirittura il nome di Zdanov, pur ricordando come niente il dibattito da lui promosso) e si fosse piuttosto diffuso sul grande lavoro compiuto in tanto tempo, prima «nonostante le difficoltà connesse al periodo del culto della personalità di Stalin», poi nelle condizioni via via determinate dal XX Congresso e dalle vicende politiche ad esso seguite. Era un patrimonio di esperienze e soprattutto di competenze che non doveva andare disperso col resto, a vantaggio del dilettantismo «dei grafomani della filosofia e degli altri sedicenti ‘riformatori’ della scienza, la cui attività arreca un danno serio alla scienza filosofica» (C. G. Arzakanjan, Filosofskaja mysl’ i filosofskij zurnal, “Voprosy filosofii”, 1987/7, pp. 133 sgg.). L’uso voleva che l’attività delle vere e proprie riviste fosse integrata dalle raccolte, anch’esse ufficiali, dei vari gruppi di studio. A. L. Andreev e K. Ch. Delokarov avevano così curato ancora nel 1989, per le edizioni Nauka di Mosca, una prima serie di “Obscestvennaja mysl’” (“Il pensiero sociale”), con ricerche sulla storia delle idee nella Russia dei secoli XII-XIX, sul pensiero sociale russo dell’Ottocento, su Hutcheson, Hume e Hegel, sul leninismo in Occidente e su Bucharin, e con un testo attribuito a Radiscev e uno di Rozanov su Solov’ev. Negli ultimi tempi, lo spazio di tali pubblicazioni era stato occupato da altre dello stesso tipo ma indipendenti, e alla fine da altre riviste. A Mosca, dove già usciva da qualche anno un “Annuario storico-filosofico” (“Istoriko-filosofskij ezegodnik”), fra il 1990 e il 1991 erano apparsi una rivista intitolata “Celovek” (“L’uomo”), una raccolta letterario-filosofica intitolata “Opyty” (“Esperienze”) e diretta da A. V. Gulyga, un almanacco intitolato “Kvintessencija” (“Quintessenza”) a cura di V. I. Mudragej e V. I. Isanov, una raccolta di studi ebraici intitolata “Targum” e diretta da M. Scneider, una rivista intitolata “Naciala” (“Principi”) e diretta da N. V. Skorobogat’ko, una rivista intitolata “Voprosy metodologii” (“Questioni di metodologia”) e diretta da G. P. Scedrovickij, un almanacco intitolato “Paralleli” e diretto da A. Kara-Murz, una rivista filosofico-letteraria intitolata “Logos” e diretta da V. V. Anascvili, e una intitolata “Socio-logos”, di sociologia, antropologia e metafisica, a cura di V. V. Vinokurov e A. F. Filippov. A Leningrado/S. Pietroburgo, una rivista filosofica intitolata “Stupeni” (“Gradi”) e diretta da V. I. Smirnov, un almanacco fiMastroianni losofico-artistico intitolato “Silentium” e diretto da L. M. Morev, e un altro “Logos”, diretto da N. B. Ivanov e G. L. Tul’cinskij, anch’esso inteso a rinnovare l’edizione russa del 1910-1914 della celebre rivista internazionale di filosofia della cultura di Georg Mehlis. Quanto su queste stesse iniziative pesassero gli equivoci e i compromessi della particolare fase politica, non si sa dire. Ma Arsenij Gulyga, il direttore degli “Opyty”, aveva curato nel 1988 con Aleksej Losev la prima edizione sovietica di Vladimir Solov’ev. La sua prefazione si chiude (a p. 46 del primo dei due volumi di Mysl’ di Mosca) con una sottolineatura dell’opposizione del filosofo della onniunità al positivismo, all’idealismo razionalistico, al nietzscianesimo «e alle altre specie di decadentismo». E col commento, tratto dai Quaderni filosofici di Lenin: «Quando un idealista ne critica un altro, ha la meglio com’è noto il materialismo». Proprio del 1990 è questa giustificazione di Gulyga, per la pubblicazione di altri testi di Solov’ev in un volume della Biblioteca dell’ateo di Sovetskaja Rossija di Mosca: «Il lettore non deve meravigliarsi del fatto che le opere di Vladimir Solov’ev siano incluse nella serie ateistica: la concezione del mondo materialistica può essere solida solo ad una condizione, se essa si basa sulla conoscenza, sulla storia La stampa filosofica in Russia nell’anno primo del post-comunismo 13 SCHEDA della cultura, di cui fa parte integrante anche la storia del pensiero religioso» (p. 5). Nel 1992, i “Voprosy filosofii” si sono subito ripresentati come organo dell’Istituto di filosofia dell’Accademia delle scienze russa (non più dell’Urss). Sul frontespizio interno, sotto l’indicazione dell’inizio della pubblicazione (“luglio 1947”), esibivano quella del nuovo finanziatore, la Banca panrussa della borsa. I lettori hanno insieme saputo della costituzione di un Fondo Filosofico Moscovita, organizzazione sociale non commerciale, avente anzitutto il compito di aiutare la «più vecchia pubblicazione filosofica russa a “sopravvivere» (p. 191 del n. 1). La tiratura è diminuita, ma a poco meno di quarantamila esemplari per mese. Le “Filosofskie nauki” hanno invece interrotto le pubblicazioni dopo solo tre numeri. Il competente Comitato per la scuola superiore presso il Ministero della scienza, della scuola superiore e della politica della tecnica della Federazione russa non ha evidentemente fornito il sostegno in cui la redazione sperava. Il “Vestnik Moskovskogo universiteta” è uscito come al solito. Altre pubblicazioni indipendenti si sono aggiunte a quelle sopra indicate. A Minsk, un nuovo “Istoriko-filosofskij ezegodnik”, sotto la direzione di A. Michajlov. A Mosca, una rivista di filosofia, letteratura e cultura intitolata “Zdes’ i teper’” (“Qui e ora”) e diretta da M. Nemcov. A Kiev, ma in lingua russa, una rivista trimestrale artistico-filosofica e di logica della cultura intitolata “Novyj krug” (“Il nuovo cerchio”) e diretta da A. Mokrousov. A S. Pietroburgo, una raccolta dei lavori della Scuola religioso-filosofica superiore, a cura di G. I. Benevic, sotto il titolo “Patrologija. Filosofija. Germenevtika”. Stava per uscire una nuova rivista del Fondo Filosofico Moscovita, intitolata “Filosofskie issledovanija” (“Ricerche filosofiche”). I “Voprosy filosofii” compivano a luglio altri cinque anni. Il numero 7 è uscito con un bel 45 in rosso sulla copertina, e a pp. 3 sgg. un editoriale del direttore, Vladislav Lektorskij, inteso a precisare i risvolti e le implicazioni della «profondissima crisi, vissuta dalle scienze sociali». La crisi non significa «che in generale negli ultimi settanta anni i rappresentanti delle nostre scienze sociali ed umane non abbiano creato niente che meriti una qualunque attenzione». Se tanti filosofi hanno lavorato «all’applicazione dei dogmi del ‘socialismo sviluppato’ nelle altre discipline sociologiche», è anche vero che «negli anni più difficili, in condizioni incredibilmente pesanti, nella situazione della persecuzione ideologica e delle repressioni politiche, nel nostro paese sono vissuti e hanno operato pensatori eminenti come M. M. Bachtin, A. F. Losev, V. F. Asmus, S. L. Rubinstejn, Ja. A. Golosovker». Negli anni sessanta è apparsa «una nuova generazione di uomini interessanti, i cui lavori ripubblicheremo (e non di rado li pubblicheremo per la prima volta, perché a suo tempo non potevano essere pubblicati)». Si tratta, per non dire che dei morti, di M. K. Mamardascvili, fra l’altro a lungo collaboratore e anche direttore dei “Voprosy”, di E. V. Il’enkov, P. V. Kopnin, M. K. Petrov, E. G. Judin. La storia dei “Voprosy filosofii” non è stata ancora scritta. Ma per tutti coloro che hanno seguito le nostre pubblicazioni negli anni 60 e negli anni del “ristagno”, è indubbio il fatto che la rivista ha giocato in questo tempo un ruolo unico nella nostra cultura e ha cercato di contrastare la pressione ideologica esercitata su di essa. Altra cosa è che questo non sia sempre riuscito, che non in tutte le sfere della conoscenza filosofica questo fosse anche possibile (specialmente nella filosofia sociale e nella teoria della società sovietica). Certo, ora noi lavoriamo in una situazione in linea di principio diversa. E non possiamo non capire che oggi non basta seguire le vecchie, anche belle, tradizioni. Adesso si tratta non semplicemente di singole ricerche professionali, persino di problemi filosofici importanti, bensì della necessità di una intera rivoluzione della concezione del mondo, non solo della rinuncia ai cliché del marxismo dogmatico, bensì della demolizione di molti profondi orientamenti della coscienza sociale, di stereotipi fortemente radicati del pensiero e della condotta. Occorre sviluppare «la linea che si è tracciata nella rivista già quattro anni addietro», la linea cioè dei tempi di Gorbacev, con gli aggiustamenti suggeriti da un contesto sociale e culturale “in continuo cambiamento”. Il “pluralismo” impone di salutare con favore le nuove riviste; ma esse «si distinguono dalla nostra, o per un indirizzo problematico assai concreto (per esempio, il chiarimento delle questioni della metodologia), o per la presenza di preferenze filosofiche nettamente determinate (fenomenologiche, postmodernistiche, religiosofilosofiche, etc.), o ancora in chi sa quali rapporti». I “Voprosy filosofii”, la più vecchia rivista filosofica russa, ha una sua riconosciuta specificità, i suoi lettori e autori. Noi pensiamo che nelle condizioni della varietà della stampa periodica di filosofia questa specificità può meglio manifestarsi. I “Voprosy filosofii” tendono insomma a prendere il posto tenuto fino al 1917 dai “Voprosy filosofii i psichologii”. Com’è mostrato nel volume che li illustra in dettaglio (Guerini e Associati, Milano 1989), i “Voprosy filosofii i psichologii” avevano la funzione di un punto d’incontro al di sopra delle parti, per le ricerche, i libri e le riviste speciali di più sicura qualifica scientifica, a prescindere (come si diceva) dalle differenti concezioni del mondo. E’ un esito paradossale, per un periodico inaugurato da Zdanov nel nome della discontinuità e autosufficienza del marxismo rispetto a tutte le filosofie precedenti, ma non incredibile. Si è infatti ricreata da un lato una situazione assai simile, in circostanze ovviamente diverse, a quella che descriveva Vladimir Solov’ev nel commentare con la solita ironia nel primo numero del 1891 il “largo programma” dei “Voprosy filosofii i psichologii” - «un programma che non esclude nessuna veduta e nessun indirizzo di pensiero». «Io non so se è o non è desiderabile coltivare palme da dattero sulle rive / gelate due terzi dell’anno / del fiume Peciora, ma so che questo è impossibile. Altrettanto impossibile è una pubblicazione filosofica collettiva di indirizzo rigorosamente-determinato ed esclusivo, dove la cultura filosofica si trova ancora allo stadio delle “nebulose”, e dove ogni pensatore è l’unico seguace del suo indirizzo, e l’unico rappresentante della sua scuola» (pp. 117 sgg. della sezione speciale per la critica e la 14 SCHEDA bibliografia). Gli operatori in servizio hanno dall’altro lato gli stessi validi motivi di prima, per restare uniti attorno al vecchio centro e alla sua tradizione. Non è facile rinunziare ai vantaggi pratici di una grossa struttura editoriale e di distribuzione, né liberarsi degli abiti contratti nella lunga partecipazione alle riflessioni organizzate su larga scala. Soprattutto, le posizioni e i titoli acquisiti nel periodo sovietico mantengono tutta intera la loro validità solo se non interviene una rottura, se non prevale un’idea del rinnovamento incapace di distinguere fra le strumentalizzazioni politiche del passato e le tecniche strumentalizzate. Da qui anche l’interesse all’apologia della filosofia del settantennio, persino con l’annessione ad essa per l’occasione in qualità di esponenti più illustri degli esclusi e perseguitati di allora. Lo spoglio che si presenta a conclusione, comprende l’elenco di tutti gli articoli, testi, documenti, note e recensioni usciti nel 1992 nei “Voprosy filosofii” (VF), nelle “Filosofskie nauki” (FN), e nel Bollettino filosofico dell’Università di Mosca (VMU). Per dare una prima impressione della specie e della proporzione dei temi, gli articoli, etc., sono stati distribuiti in cinque sezioni, a secondo che riguardino questioni del pensiero russo prerivoluzionario e dell’emigrazione (I) e di quello del periodo sovietico (II), questioni del pensiero occidentale Nivat su destino di Paul Pascal, A. N. Gorski sulla critica postmodernistica, M. Gasparov e O. Sedakova su Bachtin. Ci sono poi estratti di un trattato inedito del futurista ucraino A. Bogomazov (1880-1930). Si annunziano per il secondo numero un altro articolo di Mamardascvili, un Rozanov e Dostoevskij di A. Pjatigorskij, una crisi dell’antiideologia di V. Bibichin, e traduzioni da Cassirer e Heidegger. “Patrologija. Filosofija. Germenevtika” contiene nella sezione filosofica articoli di O. M. Nogovicyn, sulla forma dell’uomo e sulla individualità trascendente, e A. G. Cernjakov, sul tempo nella storia della metafisica europea, nonché la traduzione di Il tempo e l’altro di Levinas. I L’agosto dei cambiamenti - la visione di un emigrato russo (intervista a N. B. MORAVSKIJ), VF/1. AKSENOV G. P., Il potere del tempo (Su Valerian Mudrav’ev e la sua filosofia), VF/1. BERDJAEV N. A., Lettere a M. O. Gersenzon, a cura di M. A. Kolerov, VF/5. e in genere non russo (III), dibattiti in corso attualmente in Russia (IV) e questioni del marxismo (V). La prima sezione è di 100 item. La seconda di 70. La terza di 84. La quarta di 108. La quinta di 7. Sembra un mondo rivolto all’indietro e al di fuori, più che in avanti. Il silenzio su Marx e Lenin non è forse una semplice reazione. Delle altre riviste dello stesso anno si sono potute vedere le sole descrizioni di tre primi numeri, date da A. Ogurcov nel numero 9 dei “Voprosy filosofii”. “Zdec’ i teper’” ha questo titolo per la convinzione che sia impossibile capire la Russia di oggi al di fuori della sua storia e della storia del mondo. Fra gli autori stampati o ristampati o intervistati: M. Mamardascvili, sui rapporti lingua-pensiero e le loro possibili cristallizzazioni; S. Choruzij, sul problema della persona nell’ortodossia; M. B. Turovskij, sulla dipendenza della cultura dalla filosofia; V. S. Bibler, sulla differenza fra cultura e civiltà; alcuni esponenti del cinema russo; S. Dzimbinov, sugli studi degli ultimi venti anni intorno ai filosofi religiosi. Il “Novyj krug” riprende anch’esso note di Mamardascvili e Bibler, sul concetto della filosofia e sulle forme storiche del dialogo, ed altre di A. Scevcenko sul rapporto Russia-Occidente nella filosofia della storia di Mamardascvili, G. Tul’cinskij sull’essere come atto, Georges BOLDYREV A. 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AUTORI E IDEE Eugenio Garin, Giovanni Gentile Nicola Abbagnano, Luigi Pareyson 18 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Esistenzialismo italiano A cinquant’anni dall’inchiesta sull’esistenzialismo, presentata sulla rivista “Primato” nel 1943, che rappresentò l’atto di nascita ufficiale del cosiddetto “esistenzialismo positivo” italiano, viene oggi pubblicato sull’argomento un volume, L’ESISTENZIALISMO IN ITALIA (Paravia, Torino 1993) a cura di Bruno Maiorca, con un’appendice su “Abbagnano e Gentile” di Giovanni Fornero. L’edizione, che ha anche lo scopo di ricordare degnamente la figura e l’opera di Nicola Abbagnano, recentemente scomparso, si segnala nel contempo come uno strumento di documentazione particolarmente idoneo alla ridefinizione della categoria storiografica di “esistenzialismo” e all’aggiornamento scientifico e didattico dei docenti di filosofia. L’inchiesta su L’esistenzialismo in Italia che la rivista “Primato” offrì ai suoi lettori dalle proprie colonne nel fatidico 1943 rappresenta uno snodo culturale e ideologico significativo nelle vicende della filosofia italiana contemporanea. Ad essa presero parte sia gli esponenti riconosciuti dall’esistenzialismo italiano (Abbagnano e Paci), sia i loro oppositori e contraddittori (Carlini, Spirito, Olgiati, Guzzo, Carabellese, Pellizzi, Della Volpe, Luporini, Banfi, Gentile). Chi, come, in modo esemplare, Eugenio Garin, si è soffermato sul significato generale dell’episodio, ne ha per lo più rilevato il valore di sintomo di una crisi della vecchia egemonia idealistica e della emergenza di nuovi protagonisti (se non di nuove egemonie) nella futura scena filosofica del dopoguerra. Interessante dunque sul piano ideologico, l’episodio è stato viceversa scarsamente valutato sul terreno strettamente filosofico, dove la cifra (ripresa nello stesso dibattito da alcuni protagonisti come Banfi) dell’esistenzialismo come filosofia della crisi (quando non addirittura come “moda” giovanile) sembrò polarizzare, per tutti gli anni Quaranta e anche nei successivi anni Cinquanta, il giudizio prevalente della opinione filosofica ufficiale. A compensare questa lacuna interviene ora il volume curato da Bruno Maiorca, che insiste viceversa sul significato filosofico di quella vicenda e rovescia il giudizio tradizionale, ricostruendo nell’ampio saggio introduttivo l’intera parabola teorica dell’esistenzialismo italiano (che amò definirsi, in polemica con quello tedesco e francese, positivo, anziché negativo e nichilistico), dagli inizi negli anni Trenta alle sue ultime propaggini nell’ultimo trentennio del dopoguerra. Un merito particolare di questo volume non è solo quello di metterci a disposizione per la prima volta in maniera integrale i testi (ormai introvabili) dell’inchiesta di “Primato”, ma di seguire con puntigliosa attenzione la successiva evoluzione dell’esistenzialismo italiano, attraverso una scelta straordinaria di pagine antologiche dei suoi protagonisti e dei suoi storici e critici (da Filiasi Carcano a Bobbio; da Paci ad Abbagnano, a Pareyson; da Lombardi a Battaglia; da Prini a Stefanici, A Garin, ecc.), dal 1943 al 1989. Ne risulta un quadro ricchissimo e informato su un fenomeno che ha interessato tanta parte (e la migliore) della nostra cultura filosofica, e a cui va ormai riconosciuto un posto e un ruolo non episodico nella filosofia novecentesca. Un discorso a parte merita l’appendice, che contiene un saggio di Giovanni Fornero su “Abbagnano e Gentile”, che fa il punto sulla questione di fondo dell’esistenzialismo italiano, riguardante cioè i suoi rapporti con la tradizione idealistica, dominante in Italia nella prima metà del secolo. Fornero affronta tale complessa questione storiografica a proposito dei due autori che delle due rispettive posizioni (l’idealistica e l’esistenzialistica) si possono giustamente ritenere i maggiori rappresentanti e capofila: Giovanni Gentile e Nicola Abbagnano. Egli rileva l’esistenza di opposte tradizioni interpretative, affermanti una linea di continuità o, all’opposto, una rottura tra l’esistenzialismo positivo di Abbagnano e l’idealismo attualistico di Gentile. La prima tradizione di lettura risale a Luigi Pareyson, che fin dai suoi Studi sull’esistenzialismo (Firenze 1943) aveva considerato l’esistenzialismo di Abbagnano «come una filosofia muoventesi ancora nell’orbita speculativa dell’attualismo» come sua estrema propaggine. La seconda tradizione, già implicitamente presente nelle 19 Cronache di filosofia italiana di Eugenio Garin e più ampiamente ripresa da Antonio Santucci e Giuseppe Semerari, sottolinea viceversa «l’irriducibile tendenza antiintellettualistica ed antiattualistica della filosofia di Abbagnano, concepita come estranea all’attualismo ed ad esso antitetica». Fornero non si limita ad argomentare le ragioni del proprio dissenso dalla prima linea interpretativa e della propria adesione alla seconda (fatta propria, del resto, dallo stesso Abbagnano), ma va a fondo nella ricerca delle ragioni che hanno determinato questa apparentemente contraddittoria situazione ermeneutica. Si tratta in effetti di spiegare come mai «il filosofare di Abbagnano, pur non essendo mai stato orientato idealisticamente, presenti alcune consapevoli concordanze con l’attualismo». Fornero individua tre fondamentali tesi speculative che accomunano oggettivamente l’attualismo gentiliano e l’esistenzialismo positivo di Abbagnano: 1) il principio dell’umanità dell’essere e l’affermazione della presenza dell’uomo; 2) la visione dell’uomo come autocrisi e problematicità sempre aperta; 3) il concetto dello spirito come valore ed eticità intrinseca. Ma, a qualificarne il valore e a demarcarne il diverso significato nelle due posizioni, a fronte di ciascuna di esse sta una tesi contraria, che segnala la discontinuità delle impostazioni: 1) la dottrina dell’Io come principio assoluto e la risoluzione del finito nell’infinito; 2) la definizione dell’esistenza come pensiero e l’assunzione della soggettività come presupposto; 3) l’ottimismo metafisico e l’incapacità di giustificare la singolarità e gli aspetti costitutivamente limitanti della condizione umana. Il rigetto, da parte di Abbagnano, dei presupposti metafisici dell’impostazione attualistica fa assumere cioè «un senso radicalmente non gentiliano» alle comuni istanze dell’umanesimo, dell’attivismo, dell’eticità, presenti sia nell’idealismo che nell’esistenzialismo. I rapporti di continuità tra le due posizioni non vanno spiegati in una sorta di “eclettismo” della posizione di Abbagnano (come sostiene la maggior parte dei suoi critici idealisti), bensì in «una confluenza su certi motivi da parte di due filosofie strutturalmente dissimili e tra di loro inconciliabili». AUTORI E IDEE La conclusione di Fornero è infatti che «il gentilianesimo, complessivamente considerato, appare una filosofia dell’uomo proposta nei termini di una metafisica idealistica dello spirito infinito, mentre il pensiero di Abbagnano si configura come un’analisi della condizione umana nella sua finitudine esistenziale condotta tramite la categoria del possibile». E’ una conclusione che farà certo discutere, anche in presenza delle recenti rivalutazioni del pensiero di Gentile, ma che merita comunque di essere presa in seria considerazione, alla luce delle pazienti indagini storiografiche cui Maiorca e Fornero si sono sottoposti in questo impegnativo volume. A.V. Lo stato delle cose: Vilém Flusser e il design Saggi e articoli sul design e sull’architettura, già pubblicati su riviste specialistiche, testi finora inediti di conferenze, analisi “fenomenologiche” di oggetti e situazioni della vita quotidiana: questo (e altro) nel volume “postumo” del filosofo e saggista Vilém Flusser dal titolo: VOM STAND DER DINGE. EINE KLEINE PHILOSOPHIE DES DESIGN (Lo stato delle cose. Una piccola filosofia del design, a cura di Fabian Wurm, Steidl Verlag, Göttingen 1993). Come ricorda Fabian Wurm nella postfazione a questa raccolta di saggi e articoli, Vilém Flusser amava esercitare la propria riflessione su situazioni della vita quotidiana, su oggetti e situazioni “minime”, come l’abbigliamento, gli ombrelli, il telefono, la macchina da scrivere, la macchina fotografica. Ma partendo da tali oggetti - si veda ad esempio l’ultimo volume da lui pubblicato in vita, Gesten. Versuch einer Phänomenologie (Gesti. Tentativo di una fenomenologia, Bollmann, DüsseldorfBensheim 1991, - Flusser riusciva a far vedere, in una sorta di fenomenologia della vita e della cultura quotidiana, nuove relazioni tra questi oggetti all’interno di una determinata cultura e a sviluppare nuove teorie, all’incrocio di diverse discipline scientifiche. Flusser praticava questo approccio intermedio tra filosofia, critica della cultura e giornalismo già negli anni ’60 e ’70 in Brasile, dove era arrivato negli anni ’40 per sfuggire alla persecuzione nazista (di cui caddero vittime i genitori e la sorella) e dove negli anni ’60 - dopo avere lavorato come direttore di una fabbrica di trasformatori - era divenuto docente di filosofia del linguaggio e della comunicazione e aveva collaborato a riviste di cultura e alla stampa quotidiana. Dalle colonne della “Folha de Sao Paulo”, uno dei più grandi quotidiani del Brasile (e dal 1966 anche dalle pagine della “Frankfurter Allgemeine Zeitung”), Flusser presenta le sue osservazioni antropologiche e di filosofia e critica della cultura del grande paese subtropicale. Se nel 1972 Flusser doveva lasciare il Brasile a causa della dittatura militare, nello stesso anno si interrompeva anche la sua collaborazione con il quotidiano di Francoforte, dopo che egli ebbe affermato in un articolo che «anche le zuppe sono cultura» in quanto da esse è possibile sviluppare osservazioni e deduzioni sui caratteri generali di un determinato ambiente culturale: un po’ troppo per il paludato e serioso giornale francofortese. Questo atteggiamento di spregiudicatezza ha fatto sì che a Flusser venisse da alcuni affibbiato il ruolo di enfant terrible e di provocatore. Un ruolo che egli del resto accettava volentieri. A quanti gli rimproveravano di coltivare il gusto della provocazione fine a se stessa, rispondeva: «Voglio risvegliare dubbi. Tutto quello che dico suona come una tesi, ma non ben sostenuta. Non si presta attenzione al fatto che in quello che dico c’è sempre anche un po'di ironia. Non mi prendo del tutto sul serio. E anche i problemi non li prendo del tutto sul serio. Quello che voglio è provocare. Provocare nel vero senso della parola: chiamar fuori». Questo atteggiamento provocatorio e ironico, e questo approccio di critica della cultura tra filosofia e giornalismo (realizzantesi in una scrittura di grande godibilità) si trova anche nei saggi raccolti in questo volume, suddivisi a seconda del tema (tra gli altri: il concetto di design e quello di forma, i rapporti del design con la teologia e con l’etica, il design e la guerra, la filosofia di Wittgenstein, la fabbrica) in quattro parti: “Dei fondamenti”, “Sullo stato delle cose”, “Creazioni e edifici”, “Oltre l’orizzonte”. Si veda, ad esempio, il saggio “Design come teologia” dove, partendo dalla constatazione dell’uniformità tra cultura occidentale e orientale (due culture altrimenti separate, nella loro concezione della vita e della morte, da un abisso) prodottasi a partire dalla compenetrazione di tecnica e design e dai codici computerizzati, si sostiene la tesi di un significato “teologico” delle nuove forme del design: «Non si esprimono forse in questo design un ebreo-cristianesimo e un buddismo, che hanno “oltrepassato se stessi”, per i quali oggi ci mancano le parole? Questa è un’ipotesi ardita, avventurosa. Ma se si prende in mano un apparecchio radio tascabile giapponese e ci si concentra sul suo design, l’ipotesi non appare più così avventurosa, diventa addirittura necessaria. Suggerire tutto ciò è l’intenzione di questo saggio, che deve però ammettere di considerare come qualcosa di provvisorio quello che in esso viene proposto. Esso vuole essere letto come saggio, come tentativo di un’ipotesi.» La concezione che Flusser ha del design 20 è anch’essa enfatica e in qualche misura provocatoria (probabilmente molti designer non sarebbero disposti ad accettala). Il design sembra essere per lui un’espressione per così dire concentrata e simbolica del rapporto della specie umana con la natura, della trasformazione della natura in cultura e storia. Il design si situa al punto di confluenza di scienza, arte ed economia, e il designer non esercita, come giardinieri, urbanisti ed ecologisti, un’attività di abbellimento di un mondo già esistente, ma è creatore di mondi, ha a che fare con il progetto e con il possibile. Questa concezione, sottesa a tutti i saggi, viene sviluppata più esplicitamente nell’articolo “Sulla parola design”. Qui Flusser tenta di comprendere, in senso semantico e non storico, come la parola “design” sia giunta ad avere il suo attuale significato: essa appartiene per Flusser allo stesso campo semantico dei termini “astuzia”, “trucco”, al quale apparterrebbero anche termini come “meccanica”, “macchina”, “tecnica” e “ars”, traduzione latina del greco “techné”: tutti termini che rinviano all’atteggiamento esistenziale di un controllo e di una formazione della natura da parte dell’uomo. Nel design si esprime così una connessione interna tra tecnica, scienza e arte. In questo senso ampio il design starebbe così alla base di ogni cultura in quanto trasformazione tecnico-scientifica della natura. Lo sguardo del designer diventa così quello del “secondo occhio” dell’anima che, secondo un verso del Pellegrino Cherubico di Angelus Silesius, guarda dal tempo all’eternità (mentre il “primo occhio” è rivolto dal tempo nel tempo). Qui Flusser cita i momenti fondamentali della storia delle scienze e delle tecniche della cultura occidentale, dai profeti delle culture mesopotamiche (che, prevedendo gli eventi naturali, permettevano di incanalare il corso dei fiumi), alla geometria di Euclide e alla meccanica galileiana e newtoniana, fino agli sviluppi contemporanei della meccanica quantistica e delle geometrie non-euclidee. Il profeta (e oggi il designer) è colui che vede non il corso dell’Eufrate, ma la forma eterna di ogni corso d’acqua, non il singolo fenomeno, ma la sua “idea” in senso platonico. Anche se oggi non crediamo più che la scienza “scopra” delle forme preesistenti in un ordine divino del mondo, ma che le “inventi”, resta il fatto che tali forme sono qualcosa di sovratemporale, e che il ruolo del designer - inconsapevole di tutto ciò - è simile a quello di un demiurgo platonico. «In Mesopotamia - scrive Flusser a proposito del designer - lo si chiamava profeta. Ma egli si merita piuttosto il AUTORI E IDEE Mathias Grünewald, Polittico d’Issenheim (1505-1516, particolare), Colmar nome di un dio. Solo, grazie a Dio, egli non ne è consapevole e si considera un tecnico o un artista. Possa Dio conservargli questa fede.» M.M. L’escatologia occidentale Le attese escatologiche che attraversano la storia della teologia cristiana e della filosofia occidentale, il rapporto tra modernità, cristianesimo ed ebraismo, tra messianismi religiosi e utopie secolari, le potenzialità rivoluzionarie dell’escatologia: questi alcuni dei temi presenti nello studio di Jacob Taubes, ABENDLÄNDISCHE ESCHATOLOGIE (Matthes & Seiz, Munchen 1993), apparso per la prima volta nel 1947 e recentemente ristampato. Abendländische Eschatologie, rimasto l’unico libro di Jacob Taubes, è anche la sua dissertazione, e venne pubblicata per la prima volta nel 1947 nei “Beiträge zur Soziologie und Sozialphilosphie” diretti dal sociologo di Zurigo Réné König. Taubes nacque a Vienna da una famiglia ebrea (dalla quale da quattro generazioni provenivano rabbini), che nel 1936 dovette trasferirsi a Zurigo, dove il padre - anch’egli rabbino - era stato chiamato dalla comunità ebraica. Fu questo fatto che permise a Taubes e alla sua famiglia di sfuggire ai pogrom hitleriani. Ordinato rabbino nel 1943, Taubes studiò poi filosofia e storia a Basilea e a Zurigo. Le riflessioni storicoteologiche presentate nella Abendländische Eschatologie non sarebbero state riprese in altri libri, ma nell’attività di insegnamento universitario: da New York e Gerusalemme - dove era stato chiamato da Gershom Scholem - Taubes giunse nel 1966 a Berlino, dove insegnò filosofia della religione e diresse l’Istituto di Ermeneutica della Freie Universität. Dalla cattedra berlinese egli avrebbe dato, fino alla morte nel 1987, sempre nuovi impulsi alla comprensione del presente nel confronto con gli intricati testi della tradizione teologico-filosofica occidentale. Nella sua attività di studioso Taubes collegò motivi teologici con temi politici e con figure di pensiero provenienti sia dalla tradizione di sinistra che da quella conservatrice, nell’orizzonte della teologia e della filosofia della storia. Fu fautore di un confronto tra la filosofia tedesca e quella francese e analizzò l’influenza del pensiero ebreo sulle teorie della modernità. E’ in questo orizzonte problematico che si inserisce la Abendländische Eschatologie, in cui viene ripercorsa la storia di oltre due millenni di attese escatologiche nel pensiero e nella storia culturale e religiosa dell’Occidente, dall’apocalittica antico-testamentaria alla «rottura assoluta, anticristiana, con la tradizione occidentale» sul finire del XIX secolo. Questa rottura rap21 presenta per Taubes una svolta epocale, che porta ad un riconoscimento della caducità e labilità dei riferimenti del pensiero occidentale alla tradizione teologicoescatologica: «Se Marx costruisce la società senza Dio,Kierkegaard pone solo il singolo prima di Dio: il presupposto generale è la frattura tra Dio e il mondo, la separazione del divino e del mondano.» Guardando all’indietro a partire dalla prospettiva aperta da questa rottura epocale, Taubes mostra storicamente come dall’apocalittica ebraica l’idea di una fine dei tempi - nella quale l’”eternità” ha la meglio sul “principio mortale del tempo” - sia attiva e si trasformi nella gnosi ellenistica, nella teologia cristiana e nella filosofia moderna. Tale continuità è individuabile ad esempio nello schema storico delle tre epoche in cui si articola la civiltà occidentale (Antichità - Medioevo - Età Moderna), una trasformazione o secolarizzazione di quello trinitario (Padre - Figlio- Spirito Santo), che trova una formulazione eretica nella concezione di un “terzo regno” spirituale di Gioacchino da Fiore. Taubes mette anche in luce le potenzialità rivoluzionarie, rivelatesi soprattutto nei movimenti dell’età moderna, implicite nello schema di pensiero di una fine dei tempi: da Thomas Münzer all’Illuminismo (Lessing, il chiliasmo, i motivi escatologici presenti nella religione della ragione e nell’antropologia di Kant) alla forma triadica della dialettica in Hegel e in Marx. Ma è proprio con il momento di crisi «caratterizzato dall’ap- AUTORI E IDEE moderna”. Ed è questa la condizione della contemporaneità, di un presente inteso come “tempo fissato” (Frist), come momento di passaggio o di attesa tra un “nonpiù” e un “non-ancora”. M.M. Morale senza moralismo Parlare di morale è già praticarla; fin dalle prime righe dell’introduzione lo studio di Jean-Marie Domenach, UNE MORALE SANS MORALISME (Una morale senza moralismo, Flammarion, Paris 1992), avverte che non è possibile un discorso sulla morale che voglia rimanere disimpegnato da una scelta di valori. (Riprendiamo qui un discorso che ha già avuto spazio nei precedenti numeri di questa rivista.) Il rapporto tra parola e azione - quale è stato tracciato da Hegel nella Fenomenologia dello Spirito - è necessariamente complementare, dialettico: tra la teorizzazione di una moralità interiore, particolare, e l’azione «che non possiede validità in se stessa», ma per la coscienza di un dovere, si pone la parola, il «linguaggio dello spirito etico», che «sopprime la particolarità» tanto del giudizio individuale, quanto la presunta universalità di una «coscienza sicura di sé». Hegel vuole che il linguaggio morale, esprimendosi, si confessi apertamente all’altro e ne attenda il riconoscimento, in un rapporto di uguaglianza. Il linguaggio si pone dunque come elemento costitutivo della morale che risulta così essere “performativa”, dal momento che opera attraverso l’enunciazione stessa. Su questo terreno si è sviluppata in Francia la recente polemica nei confronti delle tesi di Gilles Lipovetsky, espresse in Le crépuscule du devoir (Il crepuscolo del dovere, Gallimard, Parigi 1992), dove, sulla base di una descrizione sociologica, si metteva in evidenza come la persistenza epigonale di una moralità sia oggi incentrata su dei valori individualistici, minimalistici, e come in definitiva abbia un carattere “indolore”. L’obbligazione etica non sembra più avere oggi un valore morale, bensì sociale; è veicolata dai media, ha un carattere emulativo e agisce attraverso il richiamo dell’ingiunzione pubblicitaria. Se il confronto con l’attualità e con il mondo della comunicazione mediatica si rivela centrale anche nelle analisi di Jean-Marie Domenach, quest’ultimo tuttavia non rinuncia al concetto di responsabilità che è implicito in qualsiasi atto morale, al contempo individuale, sociale e storico ed esiste in rapporto ad un determinato contesto. Per Domenach, responsabile dell’attuale impasse morale del mondo contemporaneo sarebbe invece l’individualismo: non si dà morale se non nel legame che si vuole stabilire con l’altro; la morale è un prodotto e una realizzazione storica che vive, oltre che negli atteggiamenti degli individui, nelle loro forme politiche, nel diritto, nei costumi. La morale misura del resto i propri limiti e la propria necessità in quei territori di frontiera dove sorgono i casi di coscienza e dove viene messa alla prova l’astrattezza dei grandi principi etici. Il mondo dei media sembra introdurre una nozione quietistica, emulativa e in definitiva “irresponsabile” del comportamento morale; per chiunque non voglia rassegnarsi alla messa in scena della moralità mediante gli spettacoli a favore di iniziative umanitarie, la tele-solidarietà, la sfida che si pone è quella di realizzare una deontologia della comunicazione mediatica. E.N. Introduzione a Gramsci Per venire incontro all’esigenza di una “introduzione” al pensiero gramsciano è oggi disponibile l’edizione italiana dell’opera di James Joll, GRAMSCI (trad. it. di Andrea Di Gregorio, Mondadori, Milano 1992). Nel frattempo la rivista catalana “Realitat” dedica un intero fascicolo (n. 34, gennaio 1993) al rivoluzionario sardo. Nella sua recente raccolta di saggi dedicati a Gramsci e Togliatti (Roma 1991), Giuseppe Vacca lamentava il fatto che «a Gramsci ancora non è stata dedicata una monografia che ne abbracci tutta l’opera», esigenza già a suo tempo sollevata dallo stesso Togliatti, allo scopo di far meglio risaltare il «nesso evidente che unisce il pensiero ai fatti e movimenti reali», gli scritti alla vita dell’autore. In effetti, se in questi ultimi tempi è stata fatta sempre maggior luce su alcuni aspetti meno noti della biografia di Gramsci e si è giunti ad una migliore conoscenza dei suoi testi, manca ancora un’opera complessiva che saldi i due aspetti. Inoltre, se si esclude la rapida Guida al pensiero e agli scritti di Antonio Gramsci, dovuta a Antonio A. Santucci (Roma 1987), non era ancora disponibile un testo divulgativo su un autore che ha fatto della necessità di un «legame organico» tra intellettuali e masse e quindi della nascita di una «letteratura nazionalpopolare» nel senso migliore del termine uno degli obiettivi primari della sua battaglia politico-culturale, preliminare alla conquista dell’«egemonia» da parte delle classi popolari, senza la quale non potrà avvenire la loro ascesa al potere. Ad entrambe le esigenze sopra accennate si propone di venire incontro la recente traduzione italiana del saggio di James Joll, Gramsci, un’opera che accanto agli indubbi pregi (oltre al merito di essere, come si è visto, pressoché un unicum nel suo genere) presenta tuttavia anche difetti. Il principale limite del libro è dovuto al fatto che l’edizione originale è del 1977, e 22 da allora ci sono state tali novità, sia nella bibliografia gramsciana, sia, più in generale, nell’intero assetto politico-economico mondiale, da renderlo per alcuni aspetti anacronistico. Si aggiungano poi alcuni evidenti schematismi (ad esempio nella descrizione delle correnti del PSI alla vigilia della scissione di Livorno), fraintendimenti (si pensi all’unità di teoria e pratica auspicata da Gramsci, qui giudicata come già fece Maria A. Macciocchi «non dissimile da quanto fu praticamente fatto nella Cina maoista trent’anni più tardi, quando agli intellettuali fu imposto di svolgere a periodi lavori manuali») e veri e propri errori (addirittura clamorosa l’affermazione secondo la quale, per quanto riguardava «la possibilità di leggere ciò che desiderava e di ricevere libri e riviste (...), le autorità carcerarie (...) furono abbastanza liberali» nei confronti di Gramsci). Ma veniamo ai pregi dell’opera di Joll. Innanzitutto, nella sintetica ma esauriente prima parte biografica, l’interpretazione si sottrae ad alcuni luoghi comuni ormai sfatati dalla critica più attenta, ma ancora presenti in molti studi su Gramsci; così Joll nega che la sua famiglia d’origine fosse povera, e non si lascia fuorviare dal mito di un Gramsci marxista fin dai banchi della scuola (il cui primo scritto teorico sarebbe... un tema di terza liceo su “Oppressi ed oppressori”, che non a caso apriva la vecchia edizione dei suoi Scritti giovanili (Torino 1958), ma riconosce come egli «sia diventato un marxista vero e proprio» soltanto dopo che «la sua attività di militante socialista era già cominciata». Nella seconda parte del volume, dedicata all’analisi dei principali nuclei teorici dei Quaderni, pur nella brevità della trattazione si segnalano spunti che, se non proprio originali, ancora non sono entrati nella vulgata del pensiero gramsciano: così l’idea che questo, pur contrapponendosi esplicitamente a quello di Bucharin e Trockij, mostra spesso insospettate analogie con essi, rispettivamente a proposito «dell’interpretazione del marxismo come filosofia vivente e in perpetua evoluzione (“sarebbe strano se il marxismo stesse mai fermo”», aveva scritto l’autore del Saggio popolare), e dell’interesse per l’«americanismo», nonostante i rischi «bonapartisti» insiti nelle proposte trockijane. Inoltre, accanto al riconoscimento che l’interpretazione non meccanica del rapporto tra struttura e sovrastruttura da parte di Gramsci costituisce uno sviluppo delle tesi dell’ultimo Lenin e che uno dei concetti chiave di tale interpretazione, quello di “blocco storico”, non è privo di ambiguità, si sottolinea come «i teorici marxisti della generazione di Gramsci che ne condivisero alcune delle sue preoccupazioni furono l’ungherese György Lukács e il tedesco Karl Korsch». Il confronto tra le concezioni gramsciane e quelle lukácsiane è al centro anche di due tra i saggi contenuti nel numero monografico dedicato a Gramsci dalla rivista “Rea- AUTORI E IDEE litat”: in particolare Giuseppe Prestipino coglie la carica antistaliniana presente, almeno implicitamente, nel pensiero dei due autori; mentre Michael Löwy, criticando la generica categoria di “marxismo occidentale” nella quale essi sono stati spesso inclusi, preferisce riprendere, privandola del suo intento svalutativo, la definizione althusseriana di «interpretazione umanistico-storicista del marxismo», tesa a «superarne la versione positivista [...] dominante tanto nella Seconda quanto nella Terza Internazionale (soprattutto dopo il 1924, l’anno della morte di Lenin)». Particolarmente interessante, anche perché l’unico non già noto al lettore italiano, risulta il testo dell’intervento al convegno di Barcellona del ’91 di Iohanna Börek, dal significativo titolo: “Gramsci: un filologo legge il testo frammentario della realtà”, dove il carattere asistematico “per eccellenza” dei Quaderni del carcere viene messo in relazione con la formazione filologica giovanile dell’autore, evidenziandone la capacità di aprirsi a quella «visione ampia e contemplativa di cui parlava Adorno nei Minima Moralia», proponendo inoltre stimolanti ed inedite analogie tra il concetto gramsciano di “senso comune” e quello husserliano di “conoscenza quotidiana”, nonché il “microdialogo” bachtiniano. Interessante infine il testo di Giorgio Baratta su “Tre modelli di americanismo”, in cui si evidenzia come Gramsci, rifuggendone sia il fascino (il “mal d’America” descritto da Marcuse), sia «una critica romantica, puramente nostalgica o romantico-regressiva», lo consideri realisticamente «come la forma specifica assunta nel nostro secolo dal modo di produzione capitalista», manifestando nei suoi confronti quello stesso «spirito di resistenza» che si ritrova in due suoi grandi contemporanei: il Chaplin di Tempi moderni e il Kafka di Amerika. Chiudono la rivista spagnola l’annuncio dell’avvenuta costituzione ed il manifesto dell’ “Associazione Catalana di Studi Gramsciani”, affiliata a quella “International Gramsci Society” che dovrebbe assicurare, oltre all’approfondimento degli studi sul pensiero gramsciano, una sua migliore divulgazione, coniugando, sull’esempio dell’opera del rivoluzionario sardo, rigore d’indagine e semplicità di esposizione. G.C. Soggettività e modernità Di fronte allo strapotere della politica e della tecnica nel XX secolo - e alle sue conseguenze distruttive - abbiamo bisogno oggi di una ricostruzione della filosofia che aiuti l’uomo ad autodeterminarsi nel suo essere umano e nella sua soggettività: questa la tesi fondamentale sostenuta da Hans Ebe- ling nel suo recente DAS SUBJEKT IN DER MODERNE. REKONSTRUKTION DER PHILOSOPHIE IM ZEITALTER DER ZERSTÖRUNG (Il soggetto nella modernità. Ricostruzione della filosofia nell’epoca della distruzione, Rowohlt, Reinbek 1993). Nelle sue precedenti opere Hans Ebeling si è occupato di questioni che possono essere ascritte all’ambito della filosofia morale: la libertà e la morte, l’uguaglianza e la ragione, la soggettività e la modernità, il tutto sullo sfondo di un confronto critico con la filosofia di Heidegger. Questi temi ritornano in Das Subjekt in der Moderne, un’opera progettata nel 1988-89 e scritta dal 1990 al 1992, un periodo cruciale e denso di mutamenti, di cui ancora non è dato vedere l’esito, negli equilibri politici e sociali europei. Il risultato della storia europea nel periodo 1914-1989, e della “negazione di sé dell’Europa” che in questo periodo si delinea, è per Ebeling la “perdita della soggettività”. Gli indici di tale perdita sono individuabili ai tre livelli della “liquidazione” politica, tecnica e intellettuale. Nonostante le diverse premesse ideologiche, comune alla dittatura nazista e stalinista è per Ebeling il tentativo di produrre l’uomo così come si producono animali, di renderlo “uomo-animale”. Risultato è la morte, non solo metaforica, del “soggetto politico”. Alla radice di questa “duplice paralisi” della soggettività, in particolare in Germania, si trovano per Ebeling (che sembra qui proporre alcune variazioni di un cliché già immesso non molti anni or sono sul mercato della cultura dai cosiddetti nouveaux philosophes) proprio due filosofi, Marx e Nietzsche, che liquidano la “teoria del soggetto” sostituendo ad essa una “dottrina delle pulsioni”. Sulla stessa linea, anche la tecnica porterebbe nella direzione di una animalizzazione dell’uomo - un animal che solo accidentalmente ha il carattere di rationale - e di una rimozione della coscienza umana della finitezza: «Decisiva non è di per sé la liquidazione della razionalità (Vernünftigkeit) e della finitezza, ma la produzione dell’assenza di presa di coscienza: assieme alla coscienza della finitezza la tecnica si prende ogni coscienza. Il suo ideale è l’assenza di coscienza dell’animale, che in questo modo resta meglio consegnato al calcolo. Corrispondentemente c’è bisogno di espellere dall’uomo la coscienza della morte». Momento storico cruciale di questa “liquidazione tecnica di ogni razionalità nontecnica” è la fine dei sistemi dell’idealismo tedesco: non solo delle teorie da Kant a Hegel, ma della «soggettività europea che attraverso di esse si è costituita». Alla liquidazione politica e tecnica si accompagna (o si aggiunge) quella intellettuale, della quale esponenti esemplari (oltre al decostruzionismo francese e al post-moderno anything goes, amuzing ourselves to death) sono per Ebeling Heidegger, Horkhei23 mer e Adorno e Habermas: il primo con la sostituzione del Dasein alla soggettività trascendentale; i francofortesi, che portano dialetticamente l’illuminismo alle sue conseguenze estreme, e giungono così a un “illuminismo privo di linguaggio”; Habermas, infine, che sostituisce al paradigma della coscienza le strutture comunicative della ragione, e porta, con la propria concezione intersoggettiva e linguistica della razionalità, a una “comune priva di coscienza”. Coerentemente con la premessa che - pur nella situazione di perdita della soggettività, delineata in questo testo con toni a tratti apocalittici - non è possibile ritornare semplicemente alla teoria della soggettività precedente il 1914, cancellando con un colpo di spugna ciò che è successo a partire da quell’anno cruciale, Ebeling si confronta nella prima parte del suo studio con le posizioni di Heidegger, della teoria critica e di Habermas, mentre nella seconda parte dell’opera delinea alcuni aspetti di una nuova concezione della soggettività, intesa come principio di resistenza rispetto ai diversi tentativi di liquidazione. Nella terza parte vengono prese in considerazione le resistenze che il “doppio caos” del tempo e della tecnica, da una parte, il futuro, dall’altra, oppongono a un’affermazione della soggettività nel senso delineato da Ebeling. Per quanto riguarda il primo aspetto, afferma Ebeling, «il soggetto nella modernità deve ugualmente aver messo a distanza il caos del tempo e il dis-ordine della tecnica, se vuole avere “futuro”». Le possibilità di una ricostruzione della soggettività (e della filosofia) si trovano, nella direzione del futuro, messe a confronto da una parte con il problema dell’ “unità di modernità e malinconia” e con quello dell’ “avvenire dello stato”, ed entrambe le questioni costituiscono le due facce di un problema più generale: quello «di produrre non solo un avvenire di un soggetto sopravvissuto a se stesso, ma dell’essere cosciente stesso». Per Ebeling questo ha al tempo stesso a che fare con il rinnovamento della figura hegeliana di una ragione “speculativa” che non offre solo una conoscenza di ciò che è, ma che «penetra con lo sguardo in ciò che deve essere.» Convinto che per l’umanità l’alternativa all’essere “soggetto” sia la perdita di se stessa, Ebeling individua il ruolo della riflessione filosofica nella testimonianza dell’imprescindibilità della soggettività, e intende il proprio lavoro come un invito e uno stimolo alla riflessione filosofica intesa come “amore della saggezza”. Con l’avvertenza, però, che ciò è, per l’appunto, solo un invito e uno stimolo, e che il percorso o l’esperienza della filosofia deve essere fatta dal soggetto stesso. M.M. TENDENZE E DIBATTITI Ernst Cassirer 24 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Cassirer: una riscoperta La filosofia di Cassirer sembra conoscere negli ultimi anni una ripresa di studi, che si è tradotta in convegni, pubblicazioni e traduzioni. Ne sono testimonianza i due recenti fascicoli monografici, dedicati a Cassirer, pubblicati dalla “Revue de Metaphysique et de Morale” (n. 4, 1992) e dalla “Internationale Zeitschrift für Philosophie”. E’ inoltre annunciata la prossima pubblicazione, presso la casa editrice Meiner di Amburgo, dei progetti relativi al IV volume della FILOSOFIA DELLE FORME SIMBOLI CHE , cui seguirà la pubblicazione di altri inediti. Nella sua presentazione del fascicolo monografico della “Revue de metaphysique et de morale” dedicato a Ernst Cassirer, Marc B. de Launay sottolinea come tale pubblicazione sia stato concepito «in un’atmosfera decisamente europea, fatta non più di dichiarazioni d’intenti, ma di collaborazione effettiva, d’affinità intellettuali e d’amicizia». Il numero raccoglie infatti alcuni dei contributi e degli interventi pronunciati in occasione dell’incontro su “Il contributo di Cassirer alla filosofia del XX secolo”, tenutosi nel settembre 1991 a Heidelberg presso la Forschungsstätte der Evangelischen Studiengemeinschaft. In quell’occasione studiosi tedeschi, francesi e italiani (ma provenienti anche dal Portogallo e dal Brasile) si riunirono intorno a C. F. von Weizsäcker e a P. Aubenque, grazie all’iniziativa di H. Wismann, di F. Capeillères e di Ch. Berner. Il colloquio faceva seguito ad un precedente incontro tenutosi a Nanterre dal 12 al 14 ottobre del 1988, i cui atti sono stati raccolti e pubblicati da J. Seidengart nel volume Ernst Cassirer. De Marbourg a New York (Cerf, Paris 1990). Nel caso del convegno di Heidelberg, invece, alcuni contributi appaiono oggi sulla “Revue de metaphysique et de morale”, altri sono usciti sul secondo numero della “Internationale Zeitschrift für Philosophie”, a cura di G. Figal e di E. Rudolph. Anche nella sua resa editoriale, l’in- contro di Heidelberg segnala l’aspetto di apertura internazionale di un fenomeno che non sarebbe ingiustificato chiamare una vera e propria “rinascita cassireriana”. J. M. Krois, nel suo intervento, pubblicato sulla “Revue de metaphysique et de morale”, dal titolo: “Cassirer, Neo-Kantianism and Metaphysics (Cassirer, il neokantismo e la metafisica, già apparso in Italia sul fascicolo monografico de “Il cannocchiale”, n. 1-2, 1991, dedicato ai “Filosofi della scuola di Marburgo”), interpreta l’itinerario teorico di Cassirer come un progressivo distanziamento dai presupposti teorici della scuola neokantiana di Cohen e di Natorp, il cui metodo trascendentale, a suo avviso, si contraddistingueva per una limitazione dell’indagine filosofica al piano della “teoria della conoscenza”. A giudizio di Krois, Cassirer con la sua Filosofia delle forme simboliche ha trasformato la teoria del conoscere in una teoria della comprensione del senso. Sulla base di una precisa conoscenza dei testi lasciati inediti da Cassirer, molti dei quali risalgono al periodo dell’esilio dopo il 1933, Krois mette poi in luce il tentativo di pervenire ad una “metafisica delle forme simboliche”, al cui interno una funzione centrale era svolta da una ripresa della dottrina di Goethe del “fenomeno originario” e della teoria della Gestalt di Kurt Godsteins. Gli inediti saranno pubblicati presso l’editore Meiner di Amburgo dallo stesso Krois e da O. Schwemmer: il primo volume includerà i progetti cassireriani relativi ad un quarto volume della Filosofia delle forme simboliche, e se ne prevede anche un’edizione inglese, a cura di D. P. Verene, presso la Yale University Press. Nel suo intervento sulla “Internationale Zeitschrift für Philosophie”, dal titolo: “Der Werkbegriff in der Metaphysik der simbolischen Formen” (Il concetto d’opera nella metafisica delle forme simboliche), O. Schwemmer ci dà utili ragguagli circa la struttura del progetto, lasciato incompiuto da Cassirer, del IV volume della Filosofia delle forme simboliche. Si trattava in origine di manoscritti raccolti da Cassirer sotto un’unica 25 copertina e risalenti a periodi diversi: nella forma editoriale prevista, essi si articoleranno in una prima parte, sul tema di una “Metafisica delle forme simboliche”, che comprende due capitoli, “Spirito e vita” e “Il problema del simbolo” come problema fondamentale dell’antropologia filosofica, entrambi risalenti al 1928 e collegantesi al III volume dell’opera maggiore di Cassirer; in una seconda parte con abbozzi di testi sui “fenomeni di base” (Basisphänomene, il termine in cui Cassirer ritraduce la dottrina goethiana del “fenomeno originario”), scritti intorno al 1940, nel periodo dell’esilio svedese dell’autore; in una terza parte, infine, che comprende progetti, abbozzi e appunti della fine degli anni Venti, che riguardano la tematica complessiva della filosofia delle forme simboliche. Come notano G. Figal e E. Rudolph in apertura del fascicolo monografico della “Internationale Zeitschrift für Philosophie”, da alcuni anni si assiste, sia in Europa (specialmente in Germania, in Francia e in Italia) che negli USA, ad una riscoperta di Cassirer come filosofo originale e sistematico, la cui riflessione investe i campi non solo delle discipline filosofiche, ma anche della teoria politica, della linguistica, dell’etnologia, della storia delle religioni e, in posizione di rilievo, dell’epistemologia. Al problema del perché in Germania, la patria che Cassirer fu costretto ad abbandonare nel 1933, la sua filosofia sia rimasta, dal dopoguerra fino ad oggi, ai margini della discussione accademica, si riallaccia l’intervento sulla medesima rivista di J. M. Krois, dal titolo: “Aufklärung und Metaphysik. Zur Philosophie Cassirers und der Davoser Debatte mit Heidegger” (Illuminismo e metafisica. Sulla filosofia di Cassirer e il dibattito di Davos con Heidegger), secondo il quale a questa eclissi ha contribuito anche il prevalere nel dibattito filosofico degli ultimi decenni di un orientamento critico verso quelle che vengono definite (e liquidate) come filosofie del soggetto, di vocazione umanistica. L’attuale riscoperta della filosofia cassireriana avviene però in un quadro complessivo che consente di ri- TENDENZE E DIBATTITI valutarne appieno tutto lo spessore teorico-sistematico. Al centro di questa ripresa sono, secondo Figal e Rudolph, i temi relativi ad una teoria della cultura e alla discussione circa il confronto fra culture diverse; e inoltre i temi concernenti un’ermeneutica interdisciplinare e una critica della modernità che recuperi la filosofia della soggettività, senza accomiatarsene in modo dogmatico. La stessa diffusione dell’ermeneutica di origine heideggeriana in quest’ultimo decennio ha imposto la necessità di guardare al confronto fra Cassirer e Heidegger al di là degli stessi termini del celebre dibattito fra i due filosofi svoltosi a Davos nel ’29. Spunti in questa direzione si possono cogliere sia nell’intervento di Krois, che nel resoconto del dibattito a più voci (P. Aubenque, L. Ferry, E. Rudolph, J. F. Courtine, F. Capellières) tenutosi durante i colloqui di Heidelberg e pubblicato sulla rivista tedesca. Si tenga presente, a questo proposito, che il dibattito di Davos tra Cassirer e Heidegger è stato ripubblicato, nella sua versione originale, in appendice alla edizione per la “Gesamtausgabe” heideggeriana di Kant und das Problem der Metaphysik (Kant e il problema della metafisica, V. Klostermann, Frankfurt a.M. 1991; utili precisazioni in merito si possono trovare nella nota di M. Ferrari, “Cassirer e Heidegger. In margine ad alcune recenti pubblicazioni”, apparsa su “Rivista di storia della filosofia” n. 2, 1992). Una riprova dell’ampiezza dell’attuale interesse per la filosofia di Cassirer, sono i titoli dei contributi pubblicati sulle due riviste sopra segnalate, che spaziano dai temi dell’epistemologia a quelli della filosofia della cultura cassireriane. Si segnalano, oltre gli interventi già richiamati, i due articoli di M. Ferrari sul problema dello spazio nella filosofia di Cassirer (“Cassirer und der Raum. Sechs Variationen über ein Thema” e “La philosophie de l’espace chez Ernst Cassirer, apparsi rispettivamente sulla rivista tedesca e su quella francese), l’articolo di J. Seidengart, “La physique moderne comme forme symbolique privilégiée dans l’enterprise philosophique de Cassirer” (La fisica moderna come forma simbolica privilegiata nell’impresa filosofica di Cassirer), pubblicato su entrambe le riviste); inoltre i contributi di H. G. Dosch, “Ernst Mach und Ernst Cassirer”, di D. Marcondes, “Language and Knowledge in Cassirer’s Philosophy of Symbolic Forms” (Linguaggio e conoscenza nella filosofia delle forme simboliche di Cassirer), di E. W. Orth, “Ist der Neukantianer Ernst Cassirer ein Nominalist? Verlegenheiten der Substanzkritik” (E’ il neokantiano Ernst Cassirer un nominalista? Difficoltà della critica della sostanza) - apparsi sulla rivista tedesca-, ed inoltre gli articoli di E. Rudolph “La résurgence de l’aristotélisme de la Renaissance dans la philosophie politique de Cassirer” (Il risorgere dell’aristotelismo del Rinascimento nella filosofia politica di Cassirer), di F. Capeillères “Sur le néo-kantisme de E. Cassirer” (Sul neokantismo di E. Cassirer ) e la recensione di M. B. de Launay all’edizione francese (Gallimard, Paris 1993) del Mito dello stato di Cassirer apparsi sulla rivista francese. Sulla medesima rivista F. Capeillères, cui si deve la traduzione e la cura di una raccolta di inediti di Cassirer, pubblicati col titolo: L’idée de l’histoire (Cerf, Paris 1988), fa il punto, nella rassegna “L’édition française de Cassirer” (L’edizione francese di Cassirer), sugli studi dedicati a Cassirer e sulle traduzioni delle sue opere in francese. In questo contesto di ripresa di studi su Cassirer si segnalano, infine, due recenti lavori. Si tratta del saggio di Th. Knoppe, Die theoretische Philosophie Ernst Cassirers. Zu den Grundlagen transzendentale Wissenschafts- un Kulturtheorie (La filosofia teoretica di E.C. Sui fondamenti della teoria trascendentale della scienza e della cultura, Meiner, Hamburg 1992), e del lavoro di C. Savi, Bruno Bauch ed Ernst Cassirer (Bibliopolis, Napoli 1992). Movendo dai temi relativi alla critica della conoscenza, affrontati da Cassirer in Sostanza e funzione, Knoppe tenta un’esposizione complessiva del suo pensiero e del suo progetto di una filosofia della cultura; dal canto suo l’autrice del saggio in lingua italiana avvia un confronto sistematico fra i rispettivi lavori di interpretazione kantiana del più giovane esponente della Scuola neokantiana del Baden e dell’erede della Scuola di Marburgo, individuando sia i differenti modelli di kantismo, cui tali interpretazioni si rifanno, sia gli esiti cui essi pervengono negli anni ’20. Sono di recente stati pubblicati due volumi che raccolgono, in traduzione italiana, alcuni saggi cassireriani degli anni ’20 e ’30. Nel volume Spirito e vita (Edizioni 10/17, Salerno 1992) R. Racinaro ha raccolto, insieme ad altri testi, gli interventi di Cassirer su Scheler, su Heidegger e Bergson, risalenti agli anni 1930-34, che dovevano originariamente confluire nel libro preannunziato nella prefazione al III volume della Filosofia delle forme simboliche con il titolo: “Vita” e “Spirito”: critica della filosofia contemporanea (le cui vicende si intrecciano con quelle degli inediti di cui abbiamo riferito sopra). Nel volume Mito e concetto (La Nuova Italia, Firenze 1992) sono stati pubblicati (a c. di R. Lazzari) 26 due saggi, intitolati: “La forma del concetto nel pensiero mitico” e “Il concetto di forma simbolica nella costruzione delle scienze dello spirito”, che furono composti da Cassirer tra il 1921 e il 1922, all’inizio della sua collaborazione con la “Biblioteca Warburg” di Amburgo. R.L. Marx e la modernità Venuta meno la fuorviante identificazione tra teorie marxiane e regimi sedicenti comunisti, numerosi studiosi si dedicano ora a precisare meglio i rapporti tra Marx e le strutture teoricopolitiche di quello che fino a qualche anno fa era il mondo occidentale, ma che ora tende a coincidere con l’intero orizzonte della Modernità. Segnaliamo in particolare il volume di Jacques Bidet, TEORIA DELLA MODERNITÀ (trad. it. di Gianluca Foglia, Editori Riuniti, Roma 1992), il saggio di Jacques Texier, MARX ET LA DÉMOCRATIE. PREMIERS PARCOURS (“Actuel Marx”, n. 12, 1992) e la prosecuzione del dibattito sui “tre concetti di libertà” nella “nuova serie” di “Critica marxista” con gli interventi di Maurizio Lichtner, LIBERTÀ INDIVIDUALE E RELAZIONE SOCIALE (n. 6, 1992), e di Roberto Finelli, LA (n. 3, 1993). Nel frattempo è ripresa la pubblicazione dell’edizione critica delle opere di Marx ed Engels (la cosiddetta MEGA). LIBERTÀ TRA UGUAGLIANZA E DIFFERENZA In estrema sintesi, la tesi di Jacques Bidet è la seguente: la “modernità” si caratterizza per la presenza di una “matrice economica, giuridica, politica, ideologica”, presupposto dei due sistemi produttivi che fino a ieri si ponevano come alternativi, capitalismo e comunismo. Il misconoscimento di tale matrice da parte dei marxisti, chiusi nella rigida contrapposizione tra struttura e sovrastruttura, è fonte della debolezza della loro analisi del capitalismo e causa non ultima del recente crollo dei regimi che su di essa sono stati costruiti. Di fronte a tale sconfitta storica Bidet propone un “metamarxismo postcomunista”, vale a dire, secondo la definizione che egli stesso fornisce, una «teoria generale della modernità, che integra l’apporto di Marx e di altre tradizioni in un processo di reciproca interpretazione (...) orientata verso il socialismo», che tenga presente l’«esperienza storica del comunismo». Cardine di tale teoria è una riproposta, sulle orme di Rawls, del contrattualismo, dal quale originano insieme la democrazia e la «antinomia tra la contrattualità centrale dello Stato e la contrattualità interindividuale della società civile» che, «insolubile nel quadro del capitalismo», sarebbe stata ignorata dai «teorici del comunismo» (ma altrove Bidet riconosce l’apporto fondamentale di Gramsci TENDENZE E DIBATTITI in proposito). «L’appuntamento mancato di contrattualismo e socialismo», a causa dell’influenza esercitata su Marx dagli “anticontrattualisti” (Hegel e i socialisti francesi, eredi della tradizione illuminista), ha provocato le deviazioni autoritarie e centralizzatrici del marxismo che, sul piano economico, si sono tradotte nell’identificare «il piano come la forma naturale» di organizzazione, mentre altrettanto facevano i teorici del liberalismo rispetto al «mercato», «con un effetto simile di sospensione del paradigma del contratto sociale». In realtà, secondo Bidet, piano e mercato, anziché escludersi a vicenda, sono «due mostri da padroneggiare, due forme della nostra ragione», che «possono essere umanizzate, trasformate in società civile» in uno «spazio intermedio» tra l’«inter-individualità» e lo Stato, quello dell’«associazione», che solo la «forma-contratto» rende possibile, grazie alla «sottomissione del mercato al piano e del piano al contratto». Per Bidet si tratta, in sostanza, di riprendere e sviluppare (Bidet dice «radicalizzare») alcuni spunti contenuti nelle opere di Marx, in cui il capitalismo, anziché identificarsi con il mercato, ne appare «come uno specifico svolgimento strutturale accanto ad altri possibili». Tali possibilità sono invece state trascurate dallo stesso Marx e, soprattutto, dai marxisti che, concentrandosi sulla teoria del «valore-lavoro» (ed ignorando le smentite ad essa portate dalla realtà empirica) hanno colto solo la “superficie” e non la “sfera interna” dell’analisi marxiana. Bidet invece, rifacendosi a quest’ultima ed integrandola con «un certo liberalismo», tenta di elaborare una «teoria dello Stato» che, pur assente negli scritti di Marx, «s’impone come una necessità logica» a partire dalla trattazione del «sistema mercantile in generale» contenuta nel Capitale: il sistema mercantile, infatti, richiede un potere centrale «che assicuri che ognuno paghi i propri debiti», ma nulla impedisce che tale potere possa «volere qualcosa di diverso, e in particolare regolamentare, organizzare, privilegiare, pianificare»; sarebbe quindi possibile un «passaggio al socialismo», senza fuoriuscire dall’ambito della «contrattualità» e delle garanzie “liberali” da essa assicurate. Per parte sua Jacques Texier, nei suoi Premiers parcours su Marx et la démocratie, si dichiara convinto del carattere «fondamentalmente democratico» del pensiero marx-engelsiano, anche se è possibile trovare nei loro testi espressioni di segno contrario e, in ogni caso, il problema della democrazia appare subordinato a quello della rivoluzione. Per sostenere la propria tesi Texier richiama passi finora ingiustamente sottovalutati in cui i fondatori del materialismo storico ipotizzarono che nel mondo anglosassone, «ove il proletariato costitui(va) la grande maggioranza della popolazione», la transizione al socialismo potesse avvenire in forma pacifica, grazie alla conquista del suffragio universale e delle altre libertà politiche, purché il voto venisse trasformato «da strumento di inganno, quale è stato finora, a strumento d’emancipazione». Inoltre da ricordare l’autocritica del vecchio Engels per aver fatto lui e Marx eccessivo affidamento anche per quanto riguarda il “continente” sui «colpi di mano» (i “moti” del 1848, la Comune parigina del ’71) per ottenere trasformazioni sociali possibili solo al termine di quella che Gramsci chiamerà «guerra di posizione», per vincere la quale ed ottenere l’«egemonia» il proletariato ancora minoritario dovrà allearsi con i contadini e la piccola borghesia. Resta ancora da chiarire, conclude Texier che si propone di approfondire ulteriormente la sua ricerca , se la democrazia sia da considerarsi solo una tappa di quella «rivoluzione permanente» che porterà alla sua negazione, prima in favore della «dittatura del proletariato» e poi della società senza classi, o se invece l’obbiettivo della rivoluzione comunista non sia che l’instaurazione di una più compiuta e “reale” forma di democrazia. Il problema del valore da attribuire ai tradizionali ideali liberali dell’ ’89 ed in particolare alla libertà ha continuato ad animare il dibattito teorico sulla “nuova serie” di “Critica marxista”: gli ultimi interventi in ordine di tempo sono stati quelli di Maurizio Lichtner, che come Texier sottolinea che «l’atteggiamento concreto di Marx verso la democrazia non è affatto così liquidatorio come oggi si vuol far credere», anche se egli, tutto teso all’analisi storicoeconomica della società capitalista e all’elaborazione di un progetto di emancipazione della collettività da essa, ha sovente dimenticato l’individuo. Oltre a questo «marxismo della “contraddizione”», Roberto Finelli ritiene tuttavia «di poter estrarre ed esplicitare dall’opera di Marx anche un cosiddetto marxismo dell’ “astrazione”, da cui poter tornare a muovere un confronto, forse più adeguato dei precedenti, con la realtà sociale contemporanea». In tale prospettiva la «libertà socialista» non consisterebbe «nella generalizzazione, a tutti coloro che finora ne sono stati esclusi, della libertà liberaldemocratica, che muove dall’individuo atomistico e dalla naturalizzazione e neutralizzazione dell’economico», ma in una «liberazione dall’Astratto», il Capitale, appunto. Il processo di rilettura dei testi marxengelsiani, di cui gli studi citati non sono che alcuni esempi, non può che trarre ulteriore impulso dalla ripresa della pubblicazione dell’edizione critica delle opere dei fondatori del materialismo storico, segnalata da Jacques Grandjonc sul n. 13 (1993) di “Actuel Marx”. Iniziata nel 1921 a Mosca per volontà di Lenin, interrotta nel ’35 alla vigilia delle più terribili “purghe” staliniane (durante le quali, due anni dopo, verrà fucilato il suo stesso direttore, Rjazanov), ripresa nel ’75 sotto la “tutela” dei partiti comunisti sovietico e tedesco-democratico, la MEGA sembrava 27 destinata ad essere vittima del loro crollo nell’ ’89. In quello stesso anno, però, è sorto un comitato scientifico internazionale, finalmente indipendente da ogni condizionamento politico, che si occuperà della pubblicazione dei volumi ancora inediti e della revisione di quelli sinora comparsi. G.C. Testo e/o immagine nell’estetica francese Assume sempre più consistenza, nel pensiero francese contemporaneo, la riflessione sul rapporto fra immagine e testo, figura e scrittura. Ormai abbandonata, dai più, la messe di referenze freudiano-lacaniane che hanno abbondato negli anni passati, si preferisce un approccio multiplo (storico, semiotico, filosofico) al problema, attento alle singole elaborazioni storiche, capace di allargare il compasso della riflessione, senza le eccessive forzature ideologiche della moda del momento. Le linee di tendenza di quest’interesse si possono individuare in base a tre eventi di rilievo di questi ultimi mesi: il volume postumo di Louis Marin, pionere in questo campo, dal titolo: LES POUVOIRS DE L’IMAGE (Il potere dell’immagine, Seuil, Paris 1993); il convegno LA PENSÉE DE L’IMAGE. SIGNIFICATION ET FIGURATION DANS LE TEXTE ET LA PEINTURE, organizzato da Gisèle Mathieu-Castellanie e dal gruppo di ricerca “Poétique et Poésie”, tenutosi alla Sorbona e all’Università Saint-Denis di Parigi dal 27 al 29 maggio 1993; il volume collettivo L’ARTISTE EN REPRÉSENTATION (L’artista in rappresentazione, Desjonquères, Paris 1993), curato da René Demoris, che raccoglie gli atti del congresso omonimo, tenutosi a Parigi dal 16 al 17 aprile 1991. Al confine fra letteratura e pittura, l’ultimo studio, pubblicato postumo, di Louis Marin, Les pouvoirs de l’image, riprende temi a lui cari, ma, per così dire, alza il tiro della riflessione, affrontando la dinamica rappresentativa inerente all’immagine della trans-figurazione e della visione. Analizzando infatti gli “effetti” dell’immagine nel testo, e la metamorfosi del figurale nella scrittura, Marin si pone un triplice scopo: cogliere il potere “sovversivo” dell’immagine, la sua capacità di sostituzione e presentificazione dell’assente; descrivere i dispositivi mediante i quali nell’esibizione dell’altro assente si costituisce qualcosa come un soggetto “di ritorno”. Presentando nell’immagine la rappresentazione di un assente, il soggetto si costituisce come “sguardo”. E’ in questo gioco di specchi, a volte vertiginoso, che gli effetti dell’immagine danno forza al soggetto come attore o autore dello sguardo. In questa autocostituzione è possibi- TENDENZE E DIBATTITI Max Ernst, La grande roue orthochromatique qui fait l’amour sur mesure, 1919 28 TENDENZE E DIBATTITI le cogliere la dinamica di tale strana riflessività: nello sguardo di ritorno, il sé è restituito come un altro, come un “nemico” - secondo un’espressione di Hegel, ripreso da Marin. Ma cogliere in atto la forza, i “poteri” dell’immagine, significa interrogarsi sulle condizioni di possibilità dell’immagine stessa, sull’esistenza di a-priori materiali e sensibili, come la luce e l’ombra; e qui Marin si riallaccia alla tradizione fenomenologica di Merleau-Ponty. Sebbene, come ha ricordato Pier-Antoine Fabre in una serata al Beaubourg dedicata al volume postumo di Marin, i motivi teologici non costituiscano tanto il “fondamento” dell’immagine, quanto “un fondo senza fondo” a partire da cui un’immagine prende consistenza, poiché è l’immagine stessa che genera il suo potere di significazione, il rapporto fra testo e immagine concerne, quasi naturalmente, gli studiosi di problemi teologici. E’ ciò che è emerso al convegno “La pensée de l’image”, dove Claude Gandelman, storico della religione, si è occupato di analizzare le strategie testuali (pictogrammi) con cui è stato arginato il divieto ebraico della rappresentazione di Dio. In questo caso, è il testo che “imita” la figura e cerca di disegnare con il proprio corpo l’immagine interdetta, cercando così una «sovversione legale della legge» e una via d’uscita alla «pulsione d’iconicità». Jean Wirth ha invece ricostruito magistralmente il pensiero medioevale relativo all’immagine, e in particolare all’espressione: “a immagine di”, secondo cui Dio avrebbe creato l’uomo, lasciandogli in consegna di fare altrettanto con la natura circostante. Wirth ha così seguito lo sviluppo delle idee di “imago”, “icona”, “pictura” da Hugo di San Vittore a Scoto. Per altri studiosi, comprendere il “potere genealogico dell’immagine” di cui parla Marin, significa cogliere “sul fatto” i prestiti, i “furti” reciproci fra immagine e testo. E’ come se si potesse scrivere meglio, imparando a vedere di più; e viceversa, come se si potesse supplire alle lacune oculari con la descrizione verbale. Da questo punto di vista, un fecondo campo di studio è quello offerto dagli “esempi” storici d’incrocio fra testo e immagine. A questo proposito, tra gli interventi contenuti nella raccolta L’artiste en représentation, Pierre-Louis Rey, affrontando il problema della compresenza, se non della concorrenza fra testuale e figurale, ha esaminato le figure “concorrenti” di Bergotte, lo scrittore, Elstir, il pittore, Vinteuil, il musicista, in A’ la recherche du Temps perdu. Estremamente convincente risulta l’analisi proposta da Rey della visita del narratore nell’atelier d’Elstir: l’apprendistato della “metafora” letteraria si gioca qui nella seduzione dei quadri e dell’immagine trasla- ta della realtà. Henri Behar si è invece preoccupato di studiare i dispositivi autobiografici con cui Picasso si autoritrae nelle sue tardive poesie. Ancora sulla rivalità fra testo e immagine è intervenuto anche, tra i partecipanti al convegno “La pensée de l’image”, Yves Hersant, rivendicando la portata teorica, spesso dimenticata, di Luciano e delle sue “Immagini” a partire dal problema: chi meglio ritrae una donna bella? Luciano schizza una vera e propria teoria delle possibilità e dei limiti della figurazione e della scrittura, e della differenza fra eikona e eidolon. Altri interventi, sempre raccolti nel volume L’artiste en représentation, si sono occupati di ricostruire come l’universo pittorico lavori all’interno della letteratura. In particolare René Demoris, presente anche al convegno “La pensée de l’image”, si è interessato di ricostruire l’immagine e l’ideale della pittura nell’inchiostro dei critici letterari del secolo delle Lumières e la paura dell’allegoria in pittura nel medesimo periodo. Emmanuelle Baumgartner ha invece analizzato come il paradigma pittorico agisca all’interno della scrittura di Christine de Pizan nel Livre de la Cité des Dames, nella prospettiva di consegnare una legittimità al lavoro della scrittrice stessa. Altri hanno “spiato” il pittore all’opera: Jean-Rémy Mantion si è ccupato di Hubert Robert; Jeannine Guichardet di Claude Lantier. Interventi più specificatamente esteticoletterari non sono mancati neanche al convegno “La pensée de l’image”. Eliane Formentelli ha esaminato la tentazione dell’immagine in Balzac; Marcel Tetel ha analizzato la tensione fra scritto e immagine nella “Délie”; Paul J. Smith si è invece occupato della fiaba illustrata. Infine una tavola rotonda, diretta da Daniel Arasse, studioso affermato di arti visivopittoriche, ha fatto il punto sulle piste ulteriori di ricerca aperte dal tema: “testo e/o immagine: quali direzioni, dunque?” Difficile dirlo: forse quelle che portano sulle vie dimenticate della retorica, dell’ekphrasis, della devisa, dell’allegoria. F.M.Z. Due secoli di teologia Due ampie opere di ricostruzione storico-critica sono oggi disponibili per gli studiosi di teologia che intendano operare un bilancio degli sviluppi di pensiero di questa disciplina da Kant ai teologi di questo secolo: è il caso del volume di Hendrikus Berkhof, DUECENTO ANNI DI TEOLOGIA E FILOSOFIA. DA KANT A RAHNER (trad. di Michele Fiorillo, Claudiana, Torino 1992) e dell’opera di Rosino Gibellini, LA TEOLOGIA DEL XX SECOLO (Queriniana, Brescia 1992). Da segnalare, 29 in quest’ambito di riflessione, due prospettive interpretative che prendono spunto da diverse ipotesi tematiche: si tratta dello studio di Xavier Tilliette, LA SETTIMANA SANTA DEI FILOSOFI (Morcelliana, Brescia 1992), che affronta il problema della morte di Dio in rapporto anche all’ateismo, e del volume di Vittorio Possenti, OLTRE L’ILLUMINISMO. IL MESSAGGIO SOCIALE CRISTIANO (Paoline, Cinisello Balsamo 1992), che analizza il ruolo del cristianesimo come dottrina sociale. In uno dei saggi raccolti nel volume Credere e comprendere (1933-1965) il biblista e teologo Rudolf Bultmann (1884- 1976), amico e collaboratore di M. Heiddeger all’università di Marburgo dal 1923 al 1929, osservava che la teologia «mentre parla di Dio deve, nel contempo, parlare dell’uomo». La considerazione appare solo a prima vista banale; in realtà recensisce la relazione o la tensione presente nel dibattito teologico-filosofico da Kant in poi. Lo strappo operato da Kant nel campo della metafisica e della teologia è capitolo ormai noto e tuttavia non differibile a chi si accinga alla riflessione filosofica e teologica contemporanea. E’ proprio Kant, infatti, il punto di partenza teoretico e storiografico adottato dal teologo olandese Hendrikus Berkhof nella sua opera 200 Jahre Theologie. Ein Reisebericht, pubblicato in prima edizione nel 1985 e recentemente tradotto anche per il pubblico italiano con il titolo: Duecento anni di teologia e filosofia. Da Kant a Rahner . A fronte delle interpretazioni “dualiste” di Kant, per le quali ragion pura e ragion pratica appaiono giustapposte e in definitiva irrelate, così che lo sforzo di Kant sarebbe da intendere soprattutto nella prospettiva della «distruzione universale» (M. Memdelsohn) e dello smantellamento delle prove dell’esistenza di Dio, Berkhof sottolinea invece la complementarietà di fede e ragione, ravvisabile nella coordinazione della Critica della ragion pura alla Critica della ragion pratica. Il dualista Kant sarebbe così un “monista in speranza”, laddove la speranza risulterebbe essere «il concetto centrale della filosofia kantiana della religione» e il concetto di Dio, causa morale del mondo, colmerebbe il fossato tra natura e moralità. In realtà, come Berkhof riconosce, dopo Kant «la distanza tra filosofia e teologia si è fatta sempre più grande» e il tentativo operato dalla cosiddetta Teologia Liberale (A. Von Harnack, E. Troeltsch, A. Ritschl, J. W. Hermann, A. Julicher ecc.) di inserirsi più profondamente nella storia (cristiana nel caso di Von Harnack, delle religioni nella prospettiva di Troeltsch) suscitò la reazione di Karl Barth. La critica del grande teologo rilevò soprattutto la riduzione del cristiane- TENDENZE E DIBATTITI simo a fenomeno intramondano, perdendo di vista l’oggetto teologico proprio. In Barth, almeno nel Barth del Romerbrief (Lettera ai romani), viene radicalmente distrutta ogni possibilità psicologica, storica, metafisica di giungere a Dio. Il fossato, la distanza tra Dio e l’uomo è colmata solo dall’intervento di Dio, dal suo venire incontro all’uomo nella realtà di Gesù Cristo. L’uomo non ha possibilità di valicare la Todeslinie che lo separa da Dio e l’irruzione della resurrezione rappresenta la vera parola nuova che tocca il mondo e lo mostra come mondo vecchio, peccatore. Il mondo è così sottomesso al “no” del peccato e del giudizio di Dio, ma anche al “si” di Dio in Cristo; ciò costituisce la struttura dialettica della rivelazione cristiana e conseguentemente fonda anche la dialetticità del procedere teologico che non può in alcun modo armonizzare Dio e uomo, fede e ragione. Ma «i teologi dialettici erano tutti convinti che la rivelazione di Dio fosse risposta alla questione dell’esistenza. Presto doveva ripresentarsi la questione antropologica». Torniamo così alla battuta di Bultmann posta in apertura. Quest’ultima citazione e le considerazioni che la precedono sono contenute in un’ampia, documentata e anche erudita opera del teologo e filosofo Rosino Gibellini, La Teologia del XX secolo , che passa in rassegna il pensiero teologico di questo secolo dalla teologia liberale ai più recenti sviluppi contemporanei. La questione antropologica, fa notare Gibellini, insita anche nella “seconda svolta” barthiana (cioè a partire dall’opera L’Umanità di Dio del 1956) si esprime, a partire dalla seconda metà del secolo, nei termini del rapporto tra teologia e modernità, tra fede cristiana e mondo divenuto ormai adulto. L’ingresso della tematica della secolarizzazione appare in questo senso emblematica. Nell’elaborazione di Dietrich Bonhoeffer, morto nel 1945 nel campo di concentramento di Flossemburg, essa appare non solo nel senso di un dato oggettivo, culturale, ma di occasione promettente, processo innescato dalla stessa rivelazione cristiana. La provocazione bonhoefferiana, investendo la teologia, ha innescato un vero e proprio dibattito su quella che venne poi chiamata la “teologia della secolarizzazione”. Come rileva Gibellini non è facile ricondurre ad unità un movimento teologico che, nelle sue espressioni più consapevoli, si riproponeva di introdurre la “secolarizzazione come tema della teologia” (F. Gogarten). Al suo interno fiorirono infatti anche posizioni radicali come quelle che intesero argomentare, in maniera provocatoria, intorno alla morte di Dio”. L’evocazione del morire di Dio richiama immediatamente alla memoria Hegel (Fede e sapere, 1802) e Nietzsche (Gaia Scienza, 1882), ma la riflessione di Hegel non può essere interpretata attraverso una problematica atea come sarà poi in Nietzsche. E’ questa la convinzione, polemica quindi anche nei confronti del cristianesimo ateo, del filosofo gesuita Xavier Tiliette che intende «ricostruire la meditazione dei filosofi sul triduum mortis nella sua recente opera La Settimana Santa dei Filosofi . Il confronto con il Venerdì santo speculativo hegeliano, equivocamente inteso alle origini dell’ateismo, permette invece di cogliere il senso estremo e necessario della Kenosi di Cristo come morte per la quale l’Uomo-Dio diviene piena manifestazione dello Spirito. Ne scaturisce una ricca e suggestiva riflessione che lascia interagire con fiducia il dato della fede con l’argomentazione della filosofia, della letteratura, della poesia nella convinzione che «certe profondità...e certe arditezze...hanno il loro posto in filosofia». In ambito cattolico, fa notare Gibellini, il tema della secolarizzazione non produsse le radicalizzazioni incontrate invece nel mondo protestante. Già però in un articolo del 1954, “Significato teologico della posizione del cristiano nel mondo moderno”, K. Rahner, più tardi interprete della cosiddetta “Svolta antropologica” in teologia, attraverso il recupero “kantiano” dell’apriori religioso come apertura radicale al mistero, segnalava la condizione di diaspora del cristiano dopo l’epoca costantiniana e medievale. In questo contesto potevano così emergere nuove impostazioni teologiche che raggiungevano consapevolezza nelle prospettive aperte dalla “teologia politica” (J. B. Metz) e della “teologia della liberazione (G. Gutierrez, C. Boff, J. Comblin ecc.). Tali prospettive riproponevano problemi (quali il rapporto tra fede e società, tra fede e trasformazione sociale, tra Chiesa e istituzioni) che il cattolicesimo, soprattutto europeo, aveva con fatica affrontato e che ancor’oggi non finiscono di tormentare la coscienza cristiana. Le vicende politiche che dall’800 in poi hanno caratterizzato la presenza cattolica nella società liberale, industriale e post-industriale hanno prodotto un genere letterario - quello di “dottrina sociale” - che, dopo un decennio di oblio, è ritornato prepotentemente alla ribalta con il pontificato di Giovanni Paolo II. Se ne occupa, nella prospettiva di una riabilitazione e chiarificazione teorica, Vittorio Possenti nel suo Oltre l’Illuminismo. Il messaggio sociale cristiano . La dottrina sociale viene qui definita una «forma peculiare di filosofia pubblica cristiana» che, nel rifiuto dei modelli privatistici di fede operanti nelle teorie sociali e politiche illuministiche, rivendica lo statuto di insegnamento pratico e il proprio ruolo di «dottrina morale sui fatti sociali». Il dialogo dell’autore con le prospettive di J. 30 Maritain è costante e Primo piano: filosofia e computer ‘Divide et computa’: la filosofia e il computer Gli ultimi quaranta anni sono stati segnati dagli straordinari miglioramenti tecnici relativi al modo in cui la logica binaria e sequenziale della macchina di Turing è stata implementata elettronicamente. In questo breve arco di tempo la microelettronica ha reso possibile la costruzione della quarta generazione di macchine di von Neuman e l’informatica è divenuta la “tecnologia caratterizzante” della nostra epoca, un po’ come il mulino lo è stato per l’epoca medievale, l’orologio meccanico per la cultura seicentesca ed il telaio per la rivoluzione industriale. Oggi quella del computer si presenta ai nostri occhi come una infratecnologia. L’elaborazione elettronica pervade in modo orizzontale la maggior parte degli ambiti economici, scientifici, amministrativi e sociali della nostra vita e nel nord del mondo il microprocessore sta diventando tanto diffuso quanto il motore elettrico. Molti sintetizzano questi vari fenomeni parlando di una rivoluzione informatica. Vi siano o meno i termini per una caratterizzazione a tinte così forti, sicuramente l’informatica rappresenta in questi anni un settore strategico non solo da un punto di vista industriale e politico, ma anche da quello scientifico. Le varie tecnologie legate allo sviluppo e alla diffusione dei computer influenzano in modo sempre più diffuso la crescita, la gestione e la fruizione del sapere, almeno per due aspetti fondamentali. Anzitutto, l’informatica ha enormemente facilitato, o molto più spesso reso semplicemente possibile, la risoluzione di un vasto numero di problemi di tipo matematico o comunque rigorosamente formalizzabili. Per sua natura il computer è un “calcolatore”, perciò le sue più dirette applicazioni hanno spesso riguardato l’avanzamento del sapere a base quantificabile. I grandi sviluppi tecnologici e scientifici della seconda metà del nostro TENDENZE E DIBATTITI secolo devono moltissimo alla possibilità di realizzare calcoli che avrebbero richiesto tempi umanamente insopportabili, anche se fossero stati effettuati da legioni di assistenti. Sarebbe tuttavia un errore limitare la valutazione dell’impatto delle innovazioni tecnologiche connesse alla diffusione dei computer alle sole dirette applicazioni della loro potenza di calcolo e quindi alla loro utilità nelle scienze matematizzate. L’informatica risulta ormai insostituibile in qualsiasi area che sia sottoponibile ad analisi binaria, e di conseguenza alla manipolazine di bits (cioè binary digits, insieme di numeri binari 0/1). Le applicazioni grafiche, i programmi C.A.D. (computer aided design) e C.A.I. (computer aided instruction), i sistemi C.A.M. (computer aided manufacture), le macchine C.N.C. (computer-numericallycontrolled), le banche dati, la telematica, le simulazioni di modelli, la posta elettronica, il word-processing, l’emergente tecnologia legata alla creazione di realtà virtuali sono solo alcuni tra i più importanti esempi in cui le potenzialità simbolico-computazionali degli strumenti informatici sono state impiegate a fini diversi dalla risoluzione di complessi calcoli numerici. In molti di questi casi l’informatica ha messo a disposizione dell’uomo i mezzi necessari alla gestione delle sue conoscenze. L’importanza di questa funzione manageriale è difficilmente sopravalutabile. L’universo delle conoscenze e delle informazioni è uno spazio intellettuale la cui densità ed estensione sono in continua crescita esponenziale. Alla fine degli anni settanta si calcolava che nei vari settori della matematica venissero prodotte ogni anno circa duecentomila dimostrazioni di teoremi. Il lettore potrà pensare con lo stesso sgomento al ritmo in cui si pubblicano articoli su riviste specialistiche, interventi su quotidiani, relazioni da convegni, antologie, recensioni o monografie in campi anche più specifici quali l’etica, ad esempio, o la filosofia della mente. Effetto diretto di questa esplosione del sapere è stata la progressiva diffusione della specializzazione. Già da molto tempo uomini e donne hanno abbandonato l’ambizione di poter dominare anche solo una galassia del sapere umano e si sono limitati, necessariamente, a suoi ben circoscritti settori. Se il fenomeno può apparire come una triste ma ineluttabile necessità in altri campi, nell’ambito di una disciplina quale la filosofia, esso risulta vieppiù frustrante e pericoloso. Pericoloso, perché la filosofia è forse il sapere che più di ogni altro ha bisogno di mantenere coese le proprie ricerche all’interno di un quadro unitario, seppure molto articolato, e compatto, seppure ricco di contrasti, in ferma contrapposizione ad una ormai endogena tendenza alla frammen- tazione e alla dissoluzione della propria specificità. Frustrante, perché una filosofia divisa in rigidi settori e fatta da specialisti è in stridente contraddizione con le ambizioni universali ed unificatrici di una riflessione razionale che si presenta, per sua stessa natura, quale ultima soglia del pensiero teorico. La necessità di sottolineare l’utilità gestionale dell’informatica risiede quindi nell’importante ruolo che questo settore della tecnologia avanzata ha iniziato a rivestire nei confronti di almeno alcuni dei problemi generati dall’enorme crescita e frammentazione del sapere. Grazie all’informatica è forse oggi divenuto possibile opporsi, se non addirittura invertire, quel processo di sempre maggiore specializzazione cui è andata soggetta anche la stessa filosofia, e con ciò superare il relativo stallo da eccesso di informazione in cui spesso i filosofi, come molti altri loro colleghi, percepiscono di trovarsi. E’per questo che da molte parti si è parlato dell’era del computer come di un ritorno della mentalità rinascimentale. Non è un caso che l’informatica giunga proprio oggi a cercare di risolvere i nostri problemi di gestione del sapere. Al contrario, il suo insorgere deve essere visto come frutto diretto di un processo di autoregolazione del sapere stesso. La domanda di informazione cresce in modo interattivo con il grado di complessità di un sistema e questo, a sua volta, promuove la creazione di tutti quei mezzi che, risultando ragionevolmente ottenibili, ovvero adottabili, siano utili a migliorare l’accesso al quantitativo di informazione richiesto dal proprio funzionamento. Si tratta di un processo di ottimizzazione a stadi omeostatici. I sistemi presi in considerazione possono essere i più diversi, da una compagnia assicurativa alla struttura burocratica di una grande facoltà universitaria. Nel caso in cui il sistema sia costituito dall’intero universo del sapere, la domanda di informazione aumenta in modo direttamente proporzionato all’incremento della quantità di informazioni già accumulatasi. Ciò comporta, per il sistema stesso, la necessità di individuare procedure gestionali sempre più efficienti, volte al trattamento dell’informazione economicamente più efficace. Nel corso dei secoli la capitalizzazione del sapere ha finito per autoregolamentare la sua crescita. Le conoscenze hanno promosso al contempo sia il loro stesso ampliamento che il rinvenimento degli strumenti per la propria gestione. Nel caso della filosofia, ma non solo della filosofia, si è passati dalla memoria labile della tradizione orale, alla memoria permanente di quella scritta, dai rotoli di papiro ad accesso lineare ai codici di pergamena ad accesso casuale, dalla creazione di grandi biblioteche alla stampa di volumi cartacei, 31 dalle semplici tavole dei contenuti alla comparsa degli indici analitici, dai manuali alle opere enciclopediche, per giungere fino ai lessici filosofici, ai dizionari concettuali, ai grandi lavori biografici e bibliografici e ai primi data-base su CDROM. Ciascuna innovazione è stata resa possibile non solo dal clima culturale (si pensi alla nascita della storiografia filosofica nel Rinascimento), ma anche dalla comparsa di nuove tecnologie, ed ha segnato un importante passo avanti, nella scala della fruizione del sapere, grazie al quale la riflessione ha potuto avvalersi al meglio del proprio passato. La civiltà moderna delle macchine, del motore, del petrolio, dei materiali sintetici, dell’energia elettrica e termonucleare ha rappresentato una fase di acuta crescita del quantitativo di informazioni prodotte e richieste. Dall’ultimo dopoguerra ad oggi si è perciò assistito alla corrispondente reazione gestionale. L’universo della conoscenza è divenuto un dominio così ricco e complesso e le varie forme di conoscenza una risorsa così preziosa un bene, se non spesso una merce - che le procedure di amministrazione hanno richiesto in modo sempre più urgente una tecnologia adeguata alle loro dimensioni e alla loro importanza. Il sapere ha iniziato a produrre strumenti all’altezza della propria amministrazione razionale attraverso l’informatica. La lezione che si deve trarre da questa dinamica è chiara. Se da un lato l’avvento dell’elaboratore elettronico ha fatto sì che il processo di espansione delle conoscenze, già avviato dall’invenzione della stampa, è venuto ad accellerarsi ulteriormente - ed ha perciò contribuito parimenti a promuovere la conseguente corsa alla specializzazione - d’altro lato la stessa informatica deve anche essere vista come il settore tecnologico avanzato che ha iniziato a fornire almeno una parziale risoluzione ai problemi sorti proprio dalla gestione di un sapere ormai smisurato. Stabilito che la nostra civiltà attraversa oggi una fase storica in cui i problemi della gestione delle informazioni sono tanto importanti quanto quelli relativi alla loro creazione, rimane ora da chiedersi in quale misura questo fenomeno macroculturale riguarda in modo specifico anche la filosofia. Per dare una risposta a questo quesito è necessario compiere un passo indietro e individuare almeno quattro punti di riferimento orientativi all’interno della mappa dei diversi rapporti che intercorrono oggi tra filosofia e informatica. Da un lato si possono raccogliere tutte quelle considerazioni di sociologia della conoscenza che hanno occupato i filosofi sin da quando si è cercato di comprendere la natura e la portata delle trasformazioni culturali comportate dalla diffusione del computer, delle banche dati elettroniche, dei sistemi intelligenti, della posta elettro- TENDENZE E DIBATTITI nica, insomma dei vari strumenti forniti dall’informatica come tecnologia applicata (a questo proposito un testo sulla situazione italiana, esemplare anche per il suo approccio fortemente ideologizzato, è quello di G. Battista Gerace, Le politiche dell’informatica, Editori Riuniti, Roma 1991). Questioni di etica informatica, insieme a problemi connessi con l’alfabetizzazione e la didattica, rappresentano zone di confine di questa prima area . Più recentemente, si è iniziato a parlare di Epistemologia Informatica, ovvero di Epistemologia del Computer. Si tratta in questo caso di un approccio che investiga l’informatica come scienza autonoma. Lo statuto di questa emergente branca del sapere filosofico, ancora largamente in via di sviluppo, sembra essere simile a quello di altri speciali settori quali la filosofia della logica o la filosofia della fisica, formatisi già da diversi anni. Contrariamente a quanto avviene per la filosofia del linguaggio, ad esempio, queste discipline dibattono temi che riguardano principalmente non fenomeni naturali, ma saperi codificati, ovvero questioni teoriche che emergono dalla nascita di quegli insiemi di conoscenze che di volta in volta vanno sotto il nome di logica matematica, fisica, o informatica. Lo studio dell’intelligenza artificiale (A.I.) in relazione all’intelligenza umana rappresenta la terza e più nota area di contatto tra informatica e riflessione filosofica. Il tema è certamente ben noto e qui ci si può limitare ad osservare che purtroppo l’acceso dibattito sulle analogie o addirittura le possibili identità tra mente e computer ha contribuito, negli scorsi anni, ad allontanare più di un filosofo anche dalla sfera pragmatica dell’uso dell’informatica come semplice strumento. Proprio quest’ultimo aspetto, che con un gioco di parole viene oggi definito dell’augmented intelligence (A.I.), è quello su cui ho cercato di attrarre l’attenzione nelle pagine precedenti. In questo ambito, chiedersi che cosa possa comportare l’uso della tecnologia informatica per lo sviluppo del pensiero filosofico vuol dire, in sostanza, cercare di capire sia in che modo e in quale misura la filosofia possa trarre vantaggio dalle recenti innovazioni tecnologiche sia che cosa significhi per un filosofo essere all’altezza della tecnologia in suo possesso. Riguardo alla prima questione, si tratta di vedere quali sono gli strumenti che l’informatica mette a disposizione dello studioso di filosofia, quale è la loro funzione e valutarne la loro utilità. In filosofia le aree direttamente interessate dalla così detta humanities computing sono tre: gli ausili didattici, i testi elettronici su cui opera ogni analisi quantitativa e la gestione dati (indice delle citazioni, cataloghi elettronici, bollettini, liste di di- scussione, giornali elettronici, ecc.). La seconda questione merita invece qualche parola di commento in più. Oggi essere all’altezza della più avanzata tecnologia vuol dire, in primo luogo, essere in grado di avvantaggiarsi degli strumenti informatici forniti dall’ingegneria sia per lo svolgimento più veloce e più efficiente dei propri compiti di insegnante e di ricercatore, sia al fine di contrastare la specializzazione settoriale attraverso una più ricca interdisciplinarietà. In secondo luogo, significa ampliare l’ambito del teoricamente fattibile per andare ad includere tutte quelle ricerche finora mai promosse a causa di un approccio necessariamente limitato dalle risorse e dagli strumenti a propria disposizione. Si pensi, ad esempio, alla già concreta possibilità di studiare la fortuna di un autore o un testo attraverso l’analisi quantitativa del numero di citazioni che la sua opera ha ricevuto sulle più importanti riviste di uno specifico settore nel corso dell’ultimo decennio (una determinata regione spazio-temporale dell’universo del sapere). Infine, significa per il filosofo proporsi come utente informato ed intelligente, che promuove e guida l’offerta delle nuove tecnologie per ottenere un servizio sempre più adeguato e flessibile. In breve, si tratta di essere in grado di trarre vantaggio da ciò che è stato reso più facile, di sfruttare ciò che oggi viene reso possibile per la prima volta ed infine di suggerire nuove applicazioni per nuove esigenze future. Soprattutto nell’ultimo caso, più che il supporto tecnologico quello di cui si sente il bisogno sono le idee da implementare. L.F. Boden, Margaret A. (a cura di), The Philosophy of Artificial Intelligence, O.U.P., Oxford 1990. Bolter, J. David, L’uomo di Turing, la cultura occidentale nell’età del computer, Pratiche, Parma 1985 (ed. orig. ing. 1984). Di Giandomenico, Mauro e Lepschy, Antonio (a cura di), Epistemologia Informatica, in “BioLogica”, 5 (1991). Gerace, G. Battista, Le Politiche dell’Informatica, Editori Riuniti, Roma 1991. Miall, David S. (a cura di), Humanities and the Computer, New Directions, Clarendon Press, Oxford 1990 (nuova ed.). Pagels, Heinz R. (a cura di), La Cultura dei Computer, Boringhieri, Torino 1989 (ed. orig. ing. 1984). Rota Giancarlo, La libertà nasce dal numero, “Il Sole-24 Ore”, 29 Dicembre 1991 (n. 332), p. 21. Vamos, Tibor, Epistemologia del Computer, ed. it. a cura di Franco Filippazzi, Sperling & Kupfer, Milano 1993 (ed. orig. ing. 1991). La “formattazione”: 32 una metafora per i filosofi Il nuovo, si sa, ha spesso il potere di disincagliare il pensiero e di istituire delle possibilità impensate, e sembra che anche la nozione di “formattazione” sia non soltanto facilmente spendibile, ma in grado di aprire orizzonti importanti, o almeno di suggerire un approccio inedito quanto promettente ad una serie di assunti comunemente recepiti in filosofia, specialmente in rapporto a vari aspetti della teoria (e della pratica) della comunicazione e dell’interpretazione. Per poter usare i dischetti quando lavoriamo al computer, dobbiamo prima formattarli. Li si devono cioè predisporre per poter recepire in un modo predefinito i dati che vogliamo immettervi; dopo di che dobbiamo usare una macchina predisposta a riconoscere quel particolare tipo di formattazione sia per scrivervi qualcosa, sia per poter poi riconoscere quei dati quando li andremo a leggere. La formattazione è dunque un codice “scritto”in un linguaggio appropriato (il “linguaggio macchina”), che rimane peraltro inaccessibile alla generalità degli utenti. Anche i programmi di scrittura istituiscono ulteriori forme di predisposizione (a livello di file) sotto forma di ulteriori segni diacritici. Scopriamo l’esistenza di questo secondo livello di codificazione quando pretendiamo di leggere un file prodotto con il sistema di scrittura A sulla base del sistema di scrittura B. In tal caso infatti compaiono, soprattutto all’inizio, una quantità di segni che non sapevamo di aver introdotto e che, fin quando continuiamo a lavorare con il sistema di scrittura B, non significano più nulla né per noi, né per la macchina. Del resto, se salviamo il nuovo file sulla base del linguaggio B e poi andiamo a rileggerlo utilizzando il sistema di scrittura A, puntualmente accade che tutti quei segni diacritici scompaiano (perché tornano a funzionare, appunto, da segni diacritici), mentre ne compaiono molti altri che, di nuovo, non significano più nulla né per noi né per il programma di scrittura che stiamo utilizzando. Dietro al dato tecnico affiora un simbolo (o una metafora) degna di nota: anche la nostra mente è “formattata”. Lo si vede molto bene a partire dall’osservazione di come significhiamo, perché ad ogni comunicazione si accompagna una vastissima gamma di presupposti che servono appunto per “formattare” a dovere la nostra unità comunicazionale. Poniamo che suoni il telefono e io risponda con il consueto “Pronto!”. Ciò basta per trasmettere una gamma di informazioni molto precise di cui è difficile fare l’inventario. Con il nostro “Pron- TENDENZE E DIBATTITI to!” mettiamo infatti gli altri in condizione di identificare il nostro sesso, approssimativamente la nostra età, la nostra calma o concitazione, la nostra sicurezza o insicurezza, l’affiorare o meno di determinate forme di ansietà, alcuni modelli culturali che abbiamo assimilato, quasi sempre lo strato della società cui apparteniamo, spesso persino se siamo o non siamo dei fumatori, quasi sempre la nostra lingua materna (si sente subito, per esempio, se chi dice “Pronto!” è un francese, un greco o un italiano). Inoltre ci facciamo quasi sempre riconoscere. Poiché queste informazioni vengono date, si presume, senza troppo pensarci, seguendo gli automatismi di abitudini ormai stabilizzate, quindi persino con il rischio di nuocere a noi stessi (in quanto può accadere che alcune delle informazioni che diamo senza pensarci vengano usate contro di noi); in esse dobbiamo vedere dei valori meramente semiotici. Infatti, è già diverso se accade che io mi sforzi di dire “Pronto!” come lo potrebbe dire un genovese o un molisano, o come potrebbe dirlo un francese, se provo ad affettare una voce accentuatamente senile, o infantile, se cerco di farmi scambiare per mio fratello o di imitare il timbro di voce o almeno lo standard comunicazionale di un noto attore comico, e via di seguito. In questo caso ha luogo una cosciente ricerca volta a comunicare significati artificialmente aggiunti alla gamma di significati che viene comunemente associata ad una così ricorrente unità comunicazionale; si decide di modificarne alcuni (allo scopo di accreditare un’immagine diversa della nostra personalità), eventualmente di sopprimerne molti (come accade nel caso in cui si voglia essere impersonali fino al punto di essere virtualmente irriconoscibili). Siamo cioè in presenza di una selezione intenzionale, un’organizzazione funzionale dei significati che il parlante vuol far arrivare al ricevente. L’analista che si misurasse con un dato “Pronto!”, per spremerne ogni possibile informazione cercherebbe, in primo luogo, di stabilire se la parola è stata pronunciata con spontaneità o affettazione; quindi isolerebbe i valori semiotici della risposta; passerebbe poi a chiedersi se quel “Pronto!” ha anche dei valori retorici. In tal caso dovrebbe avviare tutta una serie di analisi ulteriori (identificazione dell’obiettivo comunicazionale, ecc.). Il modo forse più semplice e più appropriato di evocare l’insieme delle indicazioni associate ad un comunissimo “Pronto!” è, per l’appunto, di dire che questo è un “Pronto!” debitamente formattato, eventualmente sottoposto ad una formattazione mirata. Comprendiamo allora che la formattazione introduce delle opzioni, delinea una corsia preferenziale, precostituisce I nastri magnetici di una biblioteca elettronica (Don Mc Coy) 33 TENDENZE E DIBATTITI degli automatismi (potremmo dire: delle “macro”) sotto forma di convenzioni semplificanti. Da un lato accredita dunque dei criteri di decodifica dell’unità comunicazionale, vale a dire dei principi metacritici, e di conseguenza attiva forme anche cospicue di «riduzione della complessità» (Niklas Luhmann), dall’altro istituisce tra i parlanti (tra i partecipi del “giuoco” comunicazionale) una intesa, un’aria di famiglia, eventualmente un senso di complicità che marca la differenza rispetto agli estranei (identificati come coloro che non hanno familiarità con certi codici). Donde il senso (solitamente percepito come gratificante) della coappartenenza ad una cultura, ad una fetta della società, ad un gruppo più o meno ricco di connotazioni identificanti. Trasforma cioè l’interlocutore in un partner col quale si capisce di avere già molto in comune, ed è appena il caso di annotare che l’operazione si svolge, per gran parte, a livello subliminale: di solito ha luogo senza che il desitinatario se ne renda pienamente conto, e può ben accadere che non se ne renda ben conto nemmeno chi la determina. Non c’è limite ai livelli di formattazione della comunicazione (verbale o non). Le pagine di Dostojevski, di Nietzsche, di Kierkegaard, di Cartesio, di Platone raggiungono livelli di formattazione molto alti, e determinano un condizionamento potente nei ricettori. Viene anzi naturale pensare che Socrate e Platone vadano annoverati tra i più antichi maestri in formattazione (= nell’arte del creare un’atmosfera molto definita e magari avvolgente): se il primo si dedicò a formattare i suoi interlocutori, il secondo si è dedicato con somma maestria a formattare e con ciò stesso ad educare i suoi lettori. Quanto a Platone, poi, egli ha fatto molto di più che indurre milioni di lettori a sentirsi in sintonia con Socrate, anziché con Eutifrone o con Trasimaco. Ne è buon indizio il fatto che nei nostri anni Ottanta sia stata da più parti lanciata la seguente parola d’ordine: «Leggere Platone come egli voleva essere letto». Ma con un presupposto che, a pensarci bene, ha dell’incredibile: con la convinzione che la sola “lettura” veramente legittima sia appunto quella di chi riesce a vedere la realtà “con gli occhi di Platone”, il che indubbiamente costituisce un modo di penetrare il testo, ma non senza esporre il lettore (in questo caso proprio il lettore specializzato) a rischi di prim’ordine. Un simile atteggiamento inplica infatti, in pari tempo, che ci si precluda quasi ogni possibilità di decondizionarci dalla magia della pagina platonica e che si accetti di assumere, verso questo autore, un atteggiamento non meno globalmente ricettivo di quello che può assumere chi si rivolge al “suo padre spirituale” per farsi guidare ed illuminare. In tal caso come si potrebbe ancora sperare di “capire” Platone? Perché non si può “capire” senza identificare il maggior numero di fattori miranti a formattare il lettore, cioè ad indirizzarlo, ma anche a renderlo docile e ricettivo, in ultima analisi acritico. (E’tutt’altra cosa, perciò, provare a leggere Platone così come egli probabilmente voleva che lo si leggesse; qualcosa del genere, del resto, l’abbiamo fatto tutti in modo spontaneo la prima volta che abbiamo letto un suo dialogo, e proprio in virtù dell’accuratissima formattazione a cui egli ha sottoposto gran parte dei suoi scritti.) Esiste dunque una formattazione involontaria (quella che abbiamo assorbito, e che spesso non possiamo non riprodurre alquanto meccanicamente) e una formattazione intenzionale (indotta artificialmente, per mezzo di una comunicazione sapientemente mirata che suole avvalersi di forme sempre nuove di dissimulazione). Un’antica e celebrata forma di screening dei livelli di formattazione, sia volontari che involontari, si deve a Francesco Bacone (teoria degli idola). Ed esistono anche i professionisti della formattazione intenzionale (più o meno accuratamente mimetizzata). Tra costoro sembra appropriato annoverare non soltanto giornalisti e pubblicitari, insegnanti, sacerdoti e politici, ma anche quanti ‘sanno trattare’con i bambini o con una determinata clientela, e persino chi si sia specializzato nell’addomesticare ed eventualmente addestrare cani, cavalli o elefanti per fini particolari. Ognuno a suo modo cerca infatti di creare un’atmosfera o addirittura una forma mentis (ecco un antecedente specifico della nozione di formattazione), si adopera per istillare dei convincimenti e/o delle abitudini (e intanto induce qualcuno a modificare i suoi schemi, cioè ad adottare un apparato diacritico modificato), e prim’ancora si studia la formattazione che i destinatari della sua comunicazione hanno nel frattempo assorbito o adottato, allo scopo di prevenire il rischio di un dialogo tra sordi. Analogamente, delle “rivoluzioni scientifiche” si può ben dire che esse consistono nell’escogitare ed accreditare il passaggio da una formattazione presuntamente obsoleta ad una di nuovo tipo. (E sembra appropriato ricordare che un elemento essenziale del gap tra “primo” e “terzo” mondo più in generale tra diversi tipi di società è proprio la diversa formattazione delle nuove generazioni, il diverso standard di formattazione che ha corso in un determinato ambiente.) Ad un livello più tecnico si dovrà invece far parola, se non altro, della logica informale, il cui obiettivo è di individuare le premesse tacite che precisano il senso di ciò che viene argomentato (cioè, di nuovo, la formattazione strisciante). La riflessione sulle operazioni di formatta34 zione sembra idonea a spingere l’attenzione degli analisti dallo schema logico (innocuo) alle forme di contestualizzazione che danno “colore” al singolo argomento, e alle insidie che in esse puntualmente si celano. Analogamente lo studio delle fallacie può trovare nuovo impulso dato che, per potersi insinuare nel discorso senza compromettere l’attendibilità di ciò che il locutore asserisce, la fallacia (e per la verità non soltanto la fallacia) “scommette” su quattro diversi livelli di formattazione: la formattazione del locutore, la formattazione della situazione, la formattazione preesistente dei ricettori intenzionati, la formattazione indotta che il locutore sta sforzandosi di accreditare. Di conseguenza, basta introdurre la nozione di formattazione nella teoria delle fallacie per istituire eo ipso la necessità di estendere l’analisi a questi quattro livelli, ciò di cui non si era ancora avvertita l’esigenza. Prende forma, inoltre, la nozione di “formattazione responsabile”, e si intuisce immediatamente la sua rilevanza non solo pedagogica, ma anche etica e filosofica. Formattazione vuol dire infatti quadro di riferimento, albero dei presupposti, “orizzonte” entro cui si muove un determinato pensiero, forme e livelli di precomprensione, distinzione tra livello precategoriale (o antepredicativo) e livello già “manipolato” della rappresentazione. Prospettive degne di nota si delineano, pertanto, anche in rapporto alla nozione di “circolo ermeneutico”, in quanto l’idea di una formattazione a più livelli lascia intravedere delle eccellenti possibilità di sottoporre una simile galassia alle necessarie operazioni analitiche. Un ambito elettivo per l’uso della nozione di cui stiamo discutendo sembra che sia l’idea di cultura. Se ogni cultura (e ogni sub-cultura) è un tipo di formattazione, va da sé che anche la più “primitiva” delle culture non possa non celare una complessità e una capacità di tenuta che siamo sempre sul punto di sottovalutare (tra l’altro: quella complessità e quella capacità di tenuta, in virtù delle quali è così difficile impostare lo sviluppo delle aree più refrattarie del terzo mondo). S’intravede, del pari, qualche inedita possibilità di analizzare le strutture, gli assunti di base, le modalità di “lettura” della realtà, le semplificazioni accreditate, le forme di arroccamento che contraddistinguono ciascuna cultura, e così pure le condizioni di permeabilità, la dinamica delle grandi trasformazioni. S’intravede, con ciò stesso, anche un’ “ideologia” della formattazione. Nella disputa tra “olisti” e “riduttivisti”, la riflessione sulle varie forme di formattazione sembra implicare un’automatica opzione a favore dei primi. E non si vede come una simile idea non possa non alimentare, tra l’altro, un sano discredito nei confronti dell’attitudine, così dif- PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Dilthey e Nietzsche Nello studio PHILOSOPHIE DER FLUKTUANZ. (Filosofia della fluttuanza. Dilthey e Nietzsche, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1992) Werner Stegmeier propone, con l’obiettivo di mettere in luce “unità e differenza” delle loro filosofie, un confronto analitico tra due pensatori che nel passato sono stati accomunati sotto l’etichetta di “filosofi della vita”. DILTHEY UND NIETZSCHE Furono Scheler nel 1915 e Rickert nel 1920, nella situazione filosofica in cui in Germania si andavano gradualmente affermando la fenomenologia e il neo-kantismo, ad interpretare, il primo con un’accentuazione positiva, il secondo in un senso critico, il pensiero di Dilthey e Nietzsche (assieme a quello di Bergson), sotto la denominazione comune di Lebensphilosophie, “filosofia della vita”. Il termine avrà in seguito una grande fortuna nella cultura tedesca, e servirà a caratterizzare una serie di posizioni filosofiche e di critica della cultura (ai nomi di Dilthey, Nietzsche e Bergson si aggiungeranno quelli di Spengler, Simmel, Klages, Th. Lessing, W. James e Dewey) che oppongono di volta in volta l’intuizione al concetto, la vita al meccanismo, l’organico all’inorganico, la natura alla cultura, ciò che è spontaneo a ciò che è irrigidito, il movimento alla staticità ecc. Se il termine, tanto in Rickert quanto in Husserl viene usato in senso polemico, come sinonimo di “relativismo”, “antropologismo” e “irrazionalismo” (un’accusa che ritornerà nelle critiche di parte marxista di Lukács e Lieber, che ad essa aggiungono l’aggravante di avere preparato o sostenuto l’ideologia fascista e nazista negli allievi diretti di Dilthey e nell’ambiente della “scuola diltheyana” (Misch, Larsch e Bollnow) il termine assume invece una connotazione positiva, ma a patto di distinguere tra la filosofia della vita di carattere astorico e antiscientifico di Nietzsche e quella diltheyana, che non oppone la “vita” alla “storia” o allo “spirito”, ma la concepisce in senso storico, in quanto obiettivata nelle forme e nei sistemi della cultura (arte, scienza, filosofia, religione), e vede in essa l’“oggetto” delle scienze dello spirito. Nel frattempo tanto la ricezione diltheyana quanto quella nietzscheana si sono lasciate alle spalle questa chiave interpretativa vitalistica, e il pensiero dei due filosofi viene oggi considerato nell’ampiezza delle sue connessioni storiche e nella sua ricchezza tematica, che spesso precorre problemi di grande importanza nella filosofia del Novecento. Partecipi della crisi d’identità della filosofia derivante dalla dissoluzione dei sistemi idealistici e dall’affermazione delle scienze e del positivismo, Dilthey e Nietzsche sono per Werner Stegmeier accomunati dal fatto di non credere più che la filosofia possa produrre una qualche verità in grado di recidere il suo legame con la situazione storico-culturale e temporale in cui essa ha origine. Da questo punto di vista entrambi i pensatori, visti con una certa diffidenza dalla filosofia universitaria (ad onta della posizione accademica di Dilthey, e del successo “postumo” e “post-moderno” della filosofia di Nietzsche), esprimono o precorrono una tendenza di fondo del pensiero e della cultura del nostro secolo: quella di una filosofia dell’incommensurabilità e dell’individualità che Stegmaier rintraccia in pensatori anche assai diversi tra loro, da Lévinas, che pur non menzionando Dilthey e Nietzsche impiegherebbe il concetto di vita e di alterità in quanto irriducibilità al sistema filosofico, a Wittgenstein, che mosso dal problema dell’incommensurabilità del linguaggio sviluppa la propria teoria dei “giochi linguistici”, per giungere, sulla stessa linea di filosofia analitica e del linguaggio, fino a Carnap, Quine, Putnam, Goodman e Rorty. A giustificazione della propria interpretazione della filosofia contemporanea come filosofia dell’incommensurabilità, Stegmeier si rifà a Lyotard, secondo cui il sapere “post-moderno” è quello che rafforza la nostra capacità di sopportare l’incommensurabile. Nonostante le analogie suggerite dalla situazione storica e da alcune delle risposte che a essa danno, tra Dilthey e Nietzsche rimangono nette differenze: Dilthey, che ha immediatamente riconosciuto la grandezza di Nietzsche, ma che si è anche espresso criticamente nei suoi confronti, mirava a fondare filosoficamente la conoscenza e l’interpretazione del mondo stori35 co, e la “vita” è in lui sempre vita storica; Nietzsche vedeva nella scienza e nel sapere un’espressione della “volontà di potenza”, e con il suo prospettivismo e il suo “filosofare col martello” sembra situarsi agli antipodi dell’atteggiamento critico e scientifico di Dilthey. Ma al di là di analogie e differenze superficiali tra i due pensatori, scopo dello studio di Stegmeier è di «chiarire unità e differenza» delle loro filosofie. Tale intento si trova di fronte a difficoltà di carattere testuale, storico, biografico e critico. Anzitutto il carattere “frammentario” delle opere, e il fatto che entrambi i filosofi hanno esercitato la loro influenza più attraverso testi postumi che per mezzo di opere pubblicate in vita. Dilthey non portò a compimento le sue opere sistematiche fondamentali, l’Introduzione alle scienze dello spirito e la Vita di Schleiermacher; e i saggi da lui pubblicati in vita, dedicati al problema di una fondazione delle scienze dello spirito, sono la parte emergente di un progetto filosofico di dimensioni più ampie (come risulta dalla pubblicazione di testi inediti diltheyani a cura di H. Johach, H.-U. Lessing e F. Rodi nei voll. XVIII e XIX delle Gesammelte Schriften). E anche Nietzsche, le cui opere, testi postumi e lettere sono oggi raccolte nell’edizione critica di Colli e Montinari, fu soprattutto scrittore aforistico. Ogni interpretazione di carattere globale, come vuole essere quella di Stegmeier, rischia quindi l’unilateralità, in quanto costretta a fissare e irrigidire un pensiero dalle mille sfaccettature. Dilthey e Nietzsche, poi, non si sono mai incontrati, né risulta che si siano cercati. Nelle loro biografie sono individuabili dei parallelismi. Le origini familiari e il corso degli studi, ad esempio: figli di pastori protestanti, entrambi iniziano con la teologia, per dedicarsi poi allo studio della storia e alla filosofia. I disturbi fisici legati ai ritmi e ai modi della vita di studio sono documentati con abbondanza nelle opere di Nietzsche (che in Ecce homo indica in essi una causa della propria saggezza), e anche nei diari di Dilthey non mancano testimonianze circa disturbi alla vista, causati dalla lettura, e squilibri di carattere nervoso, dovuti all’eccesso di concentrazione. Diverso è invece il rapporto dei due PROSPETTIVE DI RICERCA Wilhelm Dilthey, Oswald Spengler Henri Bergson, John Dewey Friedrich Nietzsche, Georg Simmel 36 PROSPETTIVE DI RICERCA filosofi con l’accademia e il loro atteggiamento rispetto alla filosofia e al sapere. Nel 1867 Dilthey viene chiamato all’università di Basilea, dove Nietzsche arriverà nel 1869. I due, però, non si incontrano. Dopo Kiel e Breslavia, Dilthey giunge nel 1883 a Berlino, nella più prestigiosa università del Reich (dove sarà però considerato a lungo come un outsider), mentre Nietzsche conduce una vita sempre più vagabonda, alla ricerca di luoghi adatti al suo filosofare solitario. Il metodo scelto da Stegmaier nel suo studio è di sviluppare prima un’analisi delle filosofie di Dilthey e Nietzsche nella loro singolarità, per mettere successivamente in evidenza ciò che esse hanno in comune. Ai margini di tale zona di comunanza dovrà però poi ancora apparire la specificità dei due universi di pensiero. Nei primi due capitoli dello studio viene analizzata la situazione storica in cui Dilthey e Nietzsche iniziano a filosofare: la crisi dell’idealismo, la mancanza di punti di riferimento filosofici (come per la generazione degli idealisti erano stati ad esempio Kant e Spinoza); e viene delineata la nuova immagine della filosofia proposta da Dilthey e Nietzsche, la cui critica del meccanicismo appare a Stegmeier influenzata in modo decisivo dal concetto di sviluppo e dalla teoria darwiniana dell’evoluzione. Per quanto riguarda Dilthey, vengono analizzati anche i suoi rapporti con alcuni filosofi della tradizione tedesca: Leibniz, Kant, Hegel e Schleiermacher. Nel terzo capitolo l’elemento comune ai due pensatori viene definito come una “filosofia della fluttuanza” (Philosophie der Fluktuanz), intesa come una filosofia degli oggetti storici in quanto oggetti che mutano in modo irreversibile, ma che conservano al tempo stesso un’identità e continuità con se stessi: «Una fluttuanza è una sostanza fluente; fluttuanza è la categoria dell’autonomia in una filosofia dell’incommensurabilità». Concetti che hanno questo carattere “fluttuante” sono in Dilthey quello di “connessione strutturale acquisita” e in Nietzsche quello di “forma fluida”. L’ultimo capitolo, dedicato alla “radicalizzazione nietzscheana della filosofia della fluttuanza”, analizza le differenze della posizione di Nietzsche, che Stegmeier considera più radicale a livello teorico, da quella di Dilthey, più preoccupato della questione della fondazione in senso critico e gnoseologico: tali differenze riguardano essenzialmente il problema del “comprendere”, la cui analisi rovescia in Nietzsche la possibilità del “venir-compreso” nella necessità dell’incomprensione. Temi dell’ultimo capitolo sono anche la critica della morale in Nietzsche, la fondazione di tale critica in una filosofia dell’interpretazione sviluppata in base alla dottrina della volontà di potenza, e, infine, la critica di tale fondazione svolta da Nietzsche come critica della “ragione della sua vita”. M.M. Filosofia della vita Nel volume LEBENSPHILOSOPHIE. ELE- MENTE EINER THEORIE DER SELBSTER FAHRUNG (Filosofia della vita. Elemen- ti di una teoria dell’esperienza di sé, Rowohlt, Amburgo 1993) Ferdinand Fellmann presenta una panoramica storica dei diversi orientamenti di questa composita tendenza filosofica. I problemi sistematici che fanno da filo conduttore della ricostruzione storica sono quelli della soggettività e dell’esperienza che il soggetto fa di se stesso: una questione che per l’autore sembra diventare sempre più attuale in un’epoca caratterizzata da una “crescente reificazione e mediatizzazione del mondo”. Il concetto di Lebensphilosophie è andato incontro nel nostro secolo a diverse ed alterne fortune. Impiegato da Wilhelm Dilthey per caratterizzare lo sforzo della propria filosofia a una comprensione della vita storica e umana che partisse “dalla vita stessa”, senza sottoporla a spiegazioni di carattere metafisico o scientifico-naturale, il concetto - e il programma che esso sottintende - è stato ripreso esplicitamente da allievi diretti e indiretti di Dilthey come Georg Misch, Herman Nohl, O. F. Bollnow. Alla Lebensphilosophie diltheyana si è successivamente richiamato Martin Heidegger in Sein und Zeit e in altri scritti e lezioni universitarie, riaprendo la discussione con la Dilthey-Schule dopo le critiche del suo presunto relativismo sviluppate da H. Rickert, dal punto di vista di una filosofia dei valori di matrice neo-kantiana, e da E. Husserl nella prospettiva di una filosofia “come scienza rigorosa” (ma negli anni ’20 Husserl si riavvicinerà all’impostazione diltheyana attraverso il problema del rapporto tra psicologia e fenomenologia e quello di una fenomenologia del mondo della vita). Se il concetto di “filosofia della vita” è stato impiegato in senso sistematico soprattutto da Dilthey e dalla sua scuola, al suo interno sono stati compresi, in ricostruzioni successive, anche pensatori come Nietzsche, Simmel, Spengler, Bergson, W. James. Con la sua più recente opera Ferdinand Fellmann - già autore di importanti studi di estetica fenomenologica e del volume Symbolischer Pragmatismus, dedicato all’ “ermeneutica dopo Dilthey” - presenta una panoramica storica delle diverse correnti della Lebensphilosphie, a cui fa da filo conduttore sistematico la questione della soggettività. Per Fellmann la ricerca sulla filosofia della vita è legata alla passione per la vita individuale e per la sua unicità. Il fascino che tale orientamento filosofico esercita è legato a due ragioni: da una parte la Lebensphilosophie insegna che «la riflessione filosofica ha un valore solo quando serve alla vita», dall’altra essa permette 37 di affrontare problemi e di comprendere fenomeni in un modo più ricco che con gli strumenti delle scienze e di una filosofia ispirata ad un modello “naturalistico” e logico-formale di scientificità, in quanto contiene «forme di pensiero più ricche e flessibili di quelle della logica formale». Centrale nello studio di Fellman è il concetto di “esperienza di sé” (Selbsterfahrung), che si realizza già nella vita quotidiana, in esperienze e nella terapia di gruppo, nell’analisi individuale, nell’introspezione e nella meditazione, e che può essere intesa come una forma moderna dell’imperativo delfico “conosci te stesso”. Non appena ci si chieda che cosa (o chi) sia il Sé di cui si tratta in questo tipo di esperienza, risulta chiara la dimensione filosofica del problema, che non può essere risolto da una scienza empirica come la psicologia, in quanto riguarda i fondamenti stessi della teoria e della scienza. Chi si è posto la questione del soggetto e della coscienza si è trovato spesso, nella storia della filosofia, di fronte a una secca alternativa, quella tra esperienza e a priori, tra “persona empirica” (esemplare è per Fellman a questo proposito la posizione di Peter F. Strawson) e “soggetto puro” (tipica è la posizione di Kant). Rifacendosi a Jaspers, Fellmann ritiene più appropriato utilizzare il concetto di “Sé”, che costituisce “la realità dell’esperienza personale di sé” nella sua paradossabilità e non completa conoscibilità. Importante è anche - e qui si chiarisce il legame di questa problematica con la Lebensphilosophie - il concetto di “esperienza della vita” (Lebenserfahrung), diversa dall’esperienza oggettuale delle scienze e però caratterizzata da una propria, specifica obiettività, sedimentantesi non in proposizioni universalmente valide, ma “nel comportamento concreto dell’uomo”. Per queste sue caratteristiche di flessibilità e per la sua aderenza alla fatticità della vita nella sua dialettica di individualità e generalità l’esperienza della vita espressa da categorie specifiche e diverse da quelle scientifico-naturali, come ad esempio le categorie della vita diltheyane o gli esistenziali heideggeriani - diventa il modello della Selbsterfahrung. E’ questo della Selbsterfahrung, di una “teoria dell’esperienza nella prospettiva del soggetto”, il punto di vista che nell’interpretazione di Fellmann conferisce carattere unitario alla Lebensphilosophie. L’uomo - scrive Fellmann riecheggiando Ernst Bloch - vive troppo vicino a sé: il vivere non è mai completamente cosciente e trasparente a se stesso, coscienza e vita non possono coincidere. Solo una filosofia della vita che non si risolva in una retorica dell’immediatezza, ma che sia consapevole di questa tensione tra vita e coscienza può servire alla costruzione di una teoria dell’esperienza di sé e della soggettività; al concetto di una coscienza intenzionale rivolta agli oggetti si sostituisce qui quello di “vita” come modalità della comprensione PROSPETTIVE DI RICERCA della soggettività, nella prospettiva non di una “fondazione logica della conoscenza scientifica” ma di un “chiarimento di strutture dell’esperienza del mondo della vita”. Fellmann individua due grandi epoche della Lebensphilosophie, entrambe interpretabili come una reazione agli eccessi sistematici della filosofia e alle pretese di assolutezza della ragione: la prima tra XVIII e XIX secolo, espressa nei Beiträge zur Philosophie des Lebens (1781) di Karl Philipp Moritz e nelle Vorlesungen einer Philosophie des Lebens (1827) di Friedrich Schlegel; la seconda negli anni tra la crisi dell’idealismo tedesco e le due guerre mondiali. E’ su questo secondo periodo che si concentra l’attenzione di Fellmann, e in particolare su Schopenhauer e Nietzsche, considerati, nella prima parte dell’opera, come precursori della Lebensphilosophie, su rappresentanti “classici” di questo orientamento di pensiero come Bergson, James, Dilthey, Simmel (seconda parte), sulla “fase ideologica” della filosofia della vita, quella che con autori come Spengler, Klages e Th. Lessing più si espone al sospetto dell’“irrazionalismo” (terza parte). Nelle ultime due parti vengono rispettivamente prese in considerazione le risposte alla filosofia della vita da parte della fenomenologia, dell’esistenzialismo e dell’antropologia filosofica (centrali sono qui le figure di Husserl, Heidegger, e Scheler) e, con riferimento a Wittgenstein, si indicano alcune vie, percorrendo le quali, attraverso i metodi della filosofia analitica del linguaggio, può venire chiarita e sviluppata l’idea della filosofia della vita. M.M. Theunissen su Kierkegaard Nel suo ultimo libro, DER BEGRIFF VER- ZWEIFLUNG . KORREKTUREN AN KIERKEGAARD (Il concetto di disperazione. Correzioni a Kierkegaard, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1993) Michael Theunissen propone un’analisi dettagliata dello scritto di Kierkegaard LA MALATTIA MORTALE con l’obiettivo di mettere in luce i presupposti taciti su cui si basa l’analisi della disperazione del filosofo danese. Studioso di Kierkegaard e di Hegel, autore di una Negative Theologie der Zeit (Teologia negativa del tempo, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991), Michael Theunissen sostiene in questo suo studio, con consapevole unilateralità, la necessità di analizzare la filosofia di Kierkegaard, e in particolare lo scritto La malattia mortale, dal punto di vista dei contenuti e della concettualità, piuttosto che da quello della forma e dei mezzi retorici. In questo, Theunissen si muove in opposizione sia a Kierkegaard stesso - che si preoccupava dell’efficacia della forma nella trasmissione dei contenuti del discorso filosofico - sia ad alcune recenti tendenze delle ricezione kierkegaardiana che concentrano la propria attenzione sulle forme retoriche dell’esposizione. E’ solo concentrandosi sui contenuti - sostiene Theunissen in controtendenza rispetto alle posizioni “decostruzioniste” e “post-moderne” - che si rende giustizia alla “serietà” del pensiero kierkegaardiano (un tema, questo della serietà, a cui egli dedicò ventiduenne, nel 1955, la propria dissertazione Der Begriff der Ernst bei Sören Kierkegaard, pubblicata nel 1958). Già la presentazione, nel titolo, della “disperazione” non in quanto esperienza esistenziale o stato d’animo, ma come “concetto”, mette in luce la prospettiva di fondo dell’opera: si tratta di considerare, attraverso l’analisi del testo kierkegaardiano, il problema della disperazione nella sua dimensione concettuale, superando al tempo stesso criticamente alcune debolezze della prospettiva di Kierkegaard. Questi, afferma Theunissen, considerava la filosofia come una parte subordinata della propria «psicologia cristiana della disperazione», di natura essenzialmente religiosa. L’interesse di Theunissen è invece dichiaratamente filosofico e si rivolge, più che a Kierkegaard, alla cosa stessa: al concetto e al problema della disperazione. Con Kierkegaard c’è però un accordo sul modo di procedere di un’analisi della disperazione, che deve essere non prescrittivo, ma descrittivo, e che dalla descrizione deve ricavare anche una sua eventuale efficacia pedagogica. Anche Kierkegaard, pur convinto che l’unico modo per ottenere la salute sia la fede religiosa, non propone una dottrina della fede come uscita dalla disperazione, ma descrive e presenta un movimento: «Se si vuole sapere come si esce dalla propria disperazione non si deve consultare una dottrina della fede, bisogna solo fare questi movimenti. Kierkegaard li descrive così esattamente che può compierli anche chi non sappia che i teologi legano ad essi l’idea della fede.» Il volume si compone di tre studi finora inediti. Nel primo, “Il presupposto fondamentale esistenziale-dialettico dell’analisi kierkegaardiana della disperazione”, Theunissen intende ricostruire l’esposizione del problema della disperazione nella Malattia mortale in modo da metterne in luce i presupposti impliciti. Scopo di tale ricostruzione è di «riportare alla luce le intenzioni nascoste di Kierkegaard e di facilitare, attraverso una cauta correzione della sua concettualità, un confronto razionale con la sua analisi della disperazione». Tali presupposti non sono le premesse - o decisioni preliminari - di carattere teologico e antropologico dello scritto kierkegaardiano, ma coincidono con i “pregiudizi” di Kierkegaard circa il modo in cui ci rapportiamo al nostro essere umano e al nostro “essere-posti” (alla fatticità della nostra situazione nel mondo), e cado38 no nella sfera che Heidegger delimita come “esistentiva-ontica” rispetto a quella “esistenziale-ontologica” della costituzione dell’essere dell’esserci. Tale presupposto di fondo è per Theunissen di tipo “esistenziale-dialettico”, in virtù del carattere dialettico di un’esistenza «che ha un rapporto spezzato con la propria struttura», ed è espresso dalla proposizione (che in quanto tale non si trova nel testo kierkegaardiano): «noi vogliamo non essere quello che siamo». Theunissen analizza anche le implicazioni storico-epocali dell’esperienza kierkegaardiana della disperazione. Da questo punto di vista la filosofia dell’esistenza rappresenta l’espressione di una modernità del cui carattere “kierkegaardiano” testimonia ad esempio anche l’opera di Kafka: «Osservata dal punto di vista di questa modernità la Malattia mortale appare come l’inizio di un’epoca che, nonostante ogni Post-moderno, continua ancora, nello sviluppo europeo di una comprensione dell’uomo di se stesso e della propria vita». Sulla base di questa interpretazione dell’influsso di Kierkegaard sulla modernità, viene analizzata, a conclusione del primo saggio, la trasformazione del punto di vista di Kierkegaard in Essere e tempo di Heidegger e in L’essere e il nulla di Jean Paul Sartre. Il secondo studio, “Per la critica trascendente dell’analisi kierkegaardiana della disperazione”, sviluppa, dopo la critica “immanente” del primo saggio, una critica che si propone di andare oltre la prospettiva kierkegaardiana, partendo dal confronto con essa. Nel terzo studio, “Osservazione finale riassuntiva: la dialettica nella Malattia mortale”, partendo dalla constatazione dello stesso Kierkegaard del carattere “troppo dialettico” dello scritto in questione, viene analizzato il rapporto della dialettica kierkegaardiana con quella di Hegel. Si tratta, per Theunissen, di giungere a una visione della dialettica hegeliana (e kierkegaardiana) nella sua molteplicità di livelli - andando oltre lo schema generale (che pure, appunto in quanto schema, conserva una sua validità) dell’opposizione di una dialettica inconciliata, composta dai due movimenti della tesi e dell’antitesi (Kierkegaard), a una dialettica triadica, in cui tesi e antitesi trovano una conciliazione nella sintesi finale (Hegel). «Kierkegaard - scrive Theunissen - assume la dialettica estremamente stratificata di Hegel in modo quasi ugualmente stratificato. Anzitutto egli se ne appropria nella duplicità che la caratterizzava nel pensiero speculativo, in quanto essa non doveva essere solo un metodo, ma anche una struttura interna al reale.» La questione del metodo dialettico, che secondo Theunissen guida il procedimento della Malattia mortale, concerne anche il rapporto tra antropologia e teologia nel testo kierkegaardiano: «La concezione complessiva è costruita dialetticamente in quanto è solo la seconda parte (dello scritto kierkegaardiano, NdR) che tematizza le PROSPETTIVE DI RICERCA Max Ernst, Untitled, 1920 all’inizio.» Alla luce dell’argomentazione della seconda parte, risulta così chiaro che anche le affermazioni in apparenza puramente antropologiche dell’esposizione vanno lette teologicamente. M.M. Il filosofale e il filosofico «Tra l’alchimia e la cultura dell’Occidente ci sarebbe una così essenziale comunanza di destino che l’apparente cancellazione dell’una corrisponde in profondità al declino dell’altra»: a partire dalla rilevazione di questo rapporto originario, lo studio di Françoise Bonardel, PHILOSOPHIE DE L’ALCHIMIE (Filosofia dell’alchimia, PUF, Paris 1993) tenta di riannodare i legami tra la tradizione alchemica e il pensiero razionale. Da segnalare, in questo stesso contesto di riflessione, un saggio di Loup Verlet, LA MALLE DE NEWTON (Il baule di Newton, Gallimard, Paris 1993), che ci presenta un ritratto piuttosto inedito del grande scienziato, impenitente alchimista e mago. Oblio o rimozione che sia, il pensiero filosofico ha proceduto a estirpare dalla propria storia la tradizione alchemica, senza neppure «riconoscere il ruolo che sarebbe giusto ascrivere alla vasta corrente della Naturphilosophie, i cui legami con l’antica alchimia restano stretti». Per Françoise Bonardel non si tratta soltanto di riprendere il filo alchemico che attraversa il pensiero di filosofi, artisti, scrittori - di una parte notevolissima della cultura europea - quanto piuttosto di riproporre alla comprensione il modello di una razionalità diversa, liberata innanzitutto da quella patente di irrazionalismo che le viene attribuita da una razionalità considerata integrale. Restituire uno statuto filosofico di autentico lignaggio all’alchimia significherebbe dar voce ad una tradizione che mantiene un potenziale di pensiero ancora intatto, ma che rimane tanto più oscuro quanto meno è indagato. Una risposta incoraggiante ci viene per il momento dalla recente pubblicazione degli scritti di Nicolas Flamel (1330-1418), celebre alchimista francese, che Didier Kahn ha raccolto nel volume: Ecrits alchimiques (Scritti di alchimia, Belles Lettres, Paris 1993). Bonardel ritiene che l’eredità culturale e spirituale dell’alchimia possa ancora dare filosoficamente “a pensare” e persino indicare una strada verso “una ermeneutica d’ispirazione filosofale”. Il pensiero ermetico ha cercato il segreto della “congiunzione” tra Uno e Molteplice, Identità e Differenza, macrocosmo e microcosmo, seguendo percorsi che si sono incrociati con quelli della ragione filosofica all’insegna della diffidenza. Tra i motivi di questa 39 ostilità c’è in primo luogo la non trascurabile convinzione che la ratio si sia costituita e abbia approntato i suoi modelli conoscitivi proprio attraverso la lotta contro i saperi magico-simbolici, caratterizzati da una comunicazione iniziatica. L’alchimia pone un parallelismo tra “ciò che sta in basso e ciò che sta in alto”, tra sfera psichica e animus mundi: diventano inscindibili l’aspetto operativo e il momento teoretico, entrambi raccolti in un’esperienza gnoseologico-religiosa di purificazione (l’oratorio), che mette in contatto l’alchimista col ritmo universale e gli consente di intervenire armonicamente nei moti di trasformazione della natura. E’ dunque il carattere sacrale e iniziatico della disciplina alchemica a rendere difficile il dialogo sottolinea Bonardel - «a causa tanto del senso del segreto iniziatico, quanto dell’impotenza a trasporre verbalmente il lavoro effettuato sulla materia». E tuttavia, nel progetto di questo lavoro, per ristabilire lo «spazio comune» tra filosofale e filosofico, appare indispensabile procedere ad un’opera di traduzione degli arcani del linguaggio alchemico. Sembrerebbe questa l’unica strada per arrivare alla “pietra filosofale”, al nucleo epistemologico di un sapere che proclama l’opacità della parola e la trasparenza, l’operante verità dell’ineffabile. La presenza di un rapporto originario tra la conoscenza esoterica e l’indagine scienti- PROSPETTIVE DI RICERCA fica trova un esempio impareggiabile nell’opera di Isac Newton, al centro dell’analisi di Loup Verlet, La malle de Newton. La malle, ovvero il baule in questione, è quello nel quale il grande fisico inglese ha chiuso i propri manoscritti prima di morire. Sottratti all’attenzione degli studiosi, questi scritti sono stati riscoperti da Keynes nel 1936. Si tratta di studi di esegesi biblica, di lavori sull’alchimia e sulla magia che dimostrano come «il primo dei fisici sia stato contemporaneamente l’ultimo dei maghi». Per convalidare questa tesi, Verlet utilizza, accanto agli strumenti dell’indagine storica e dell’epistemologia, quelli della psicoanalisi. Una lettura che interpreta il “caso Newton” come un momento di particolare evidenza del paradosso costitutivo di ogni rivoluzione scientifica, che consiste nel «nascondimento della discontinuità fondatrice». Con ciò si vuol dire che se le grandi svolte della scienza avvengono attraverso una improvvisa mutazione che introduce dei principi incompatibili con il sistema precedente, la comunità degli scienziati ha finora vissuto nella rimozione della propria storia, fornendone una versione dove sono escluse le rotture. Utilizzando come metafora il caso dei manoscritti celati di Newton, Verlet afferma allora che «la scienza moderna si costituisce e si sviluppa a partire dalla chiusura del baule, mettendo da parte e squalificando il suo contenuto». Accanto ad una geniale produzione scientifica, Newton ha perseguito fino agli ultimi giorni un programma di esegesi dei testi sacri che mirava ad apprendere il «linguaggio mistico» dei profeti per giungere alla comprensione della parola stessa di Dio. Dopo anni di studi egli ha creduto di interpretare nelle profezie bibliche l’annuncio dell’imminente fine del mondo, espresso in una cifra del tutto differente dal “linguaggio strumentale” della scienza. Resta che tutte queste conclusioni, assieme alle carte dove sono testimoniate, sono state chiuse da Newton nel famoso baule. L’atto di chiudere in uno scrigno una tale conoscenza dovrebbe così avere il significato di affermare l’autonomia formale dell’indagine scientifica, mentre denuncia - secondo l’analisi di Verlet - la presenza di un rapporto di competizione e di suggestione ideale nei confronti di questo programma di interpretazione dei testi biblici. In un quadro storico dove ancora si consuma la lotta tra spirito della Riforma e della Controriforma mentre si annunciano gli albori del processo di “disincantamento del mondo”, la paradossale intenzione di Newton sarebbe quella di dimostrare l’opera di Dio nelle cose rinunciando al miracolo dell’Eucarestia. Il nuovo modello della scienza, che fornisce una spiegazione degli eventi, dove sembra escluso qualsiasi intervento divino, rimanda ad una nozione di esperienza che rappresenta al contrario il segno del favore accordato da Dio all’essere fornito di conoscenza, che assegna «all’uomo il mezzo privilegiato di avvicinarsi a Lui nella misura possibile». Nella loro formulazione matematica le leggi della gravitazione universale devono pertanto essere considerate come l’autentica espressione del Verbo «poiché esse non sono immanenti al mondo, ma esprimono la maniera in cui Dio si incarna». La matematizzazione del reale, che il modello newtoniano ha posto alla base della scienza moderna, sembrerebbe così trovare un proprio momento genetico all’interno di una problematica religiosa che si ispira e non disdegna di cercare risposte nei saperi prescientifici. E.N. Nietzsche e il nichilismo Nello studio FRIEDRICH NIETZSCHES PHI- LOSOPHIE DES EUROPÄISCHEN NIHILISMUS (La filosofia nietzscheana del nichilismo europeo, De Gruyter, Berlino 199 2) Eli sab eth Ku hn pr opo ne un’analisi filologica delle fonti e dell’evoluzione del concetto di nichilismo in Nietzsche, e ne mette in luce la funzione all’interno dell’edificio complessivo della sua filosofia. In un aforisma della Gaia scienza Nietzsche si vantava polemicamente di non essere uno di quegli studiosi eruditi che, seduti al tavolo da lavoro e circondati da carte polverose, trovano lo stimolo alla scrittura in libri di altri. Eppure oggi sappiamo, grazie alla studio filologico dell’opera nietzscheana, quanti stimoli Nietzsche abbia trovato in testi di altri autori e pensatori, anche se, appunto, non nel modo dello studioso che cita e critica le fonti, ma nel senso “corsaro” del Freigeist, che piega frasi e formulazioni concettuali di altri scrittori al fine di esprimere il proprio pensiero. A un’analisi filologica che mette in luce le fonti del concetto di nichilismo in Nietzsche è dedicato questo studio di Elisabeth Kuhn. L’autrice si riferisce a un’espressione polemica dello stesso Nietzsche contro la “tirannia dei concetti ‘eterni’, e indica come proprio la concezione storica e prospettivistica che Nietzsche ha della concettualità giustifichi un approccio “storico-evolutivo” alla sua filosofia. Un approccio di questo tipo, che va alla ricerca delle trasformazioni subite da un concetto all’interno dell’evoluzione dell’opera di un filosofo, appare particolarmente opportuno per quanto riguarda il multiforme concetto di nichilismo, che costituisce una delle chiavi di lettura fondamentali del pensiero nietzscheano. Kuhn propone anzitutto un’analisi delle fonti del concetto di nichilismo, per giungere in conclusione a una descrizione, condotta in una prospettiva sistematica, dell’ambito e della funzione del nichilismo nella filosofia di Nietzsche. La studiosa collega così la storia del concetto di nichilismo - dalla sua “ricezione” da parte di Nietzsche nel 1880, al suo sviluppo, fino al 40 suo abbandono nel contesto del progetto della “volontà di potenza” del 1888 - alla costruzione nietzscheana della storia del pensiero europeo, da Platone allo stesso Nietzsche a un avvenire che è quello del nichilismo compiuto e dell’avvento dell’ “oltre-uomo”. Una delle fonti principali del concetto di nichilismo è per Kuhn la traduzione francese del romanzo di Turgenjev Padri e figli, dove uno dei personaggi afferma: «Un nichilista è un uomo che non si piega a nessuna autorità, che non accetta nessun principio senza una prova, per quanto grande sia anche il rispetto con cui questo principio viene riconosciuto.» Quella che da Turgenjev viene descritta come una posizione politica nella cultura russa della metà del secolo XIX, diventa in Nietzsche la caratteristica di tutta la cultura occidentale, intesa come uno sviluppo del nichilismo, della décadence. Il pensiero nichilistico è per Nietzsche, scrive Kuhn, «la trasfigurazione di concetti contrari alla vita in valori più elevati», la trasformazione del Nulla nel Vero, nel Divino, nel Buono. Kuhn mostra come per Nietzsche questo atteggiamento abbia compenetrato tutti gli ambiti della cultura occidentale: dal concetto platonico-cristiano di Dio alla morale, dalla filosofia alle scienze della natura, dall’economia alle scienze storiche. Anche l’arte - che nei primi scritti di Nietzsche (si pensi alla Nascita della tragedia) assume un valore positivo e viene contrapposta, in quanto affermazione della vita, a quella che in seguito diventerà la sua negazione nichilistica - non sfugge a questo processo. E anche Nietzsche - che si sentiva parte dello sviluppo della décadence - definirà le proprie opere giovanili come una «metafisica da artisti». Da questo processo di affermazione del nichilismo (a cui consegue quell’atteggiamento di auto-commiserazione e di rimpianto per una pienezza perduta dei valori, detto nichilismo “passivo”) Nietzsche contrappone la necessità di un nichilismo “attivo”, che veda nella “trasvalutazione di tutti i valori” una possibilità creativa e un ponte verso l’“oltre-uomo”. In Spinoza, Kant, Hegel e Schopenhauer, Nietzsche vede i principali protagonisti filosofici di questo processo e indica in se stesso il “primo nichilista compiuto d’Europa”. Kuhn prende talvolta troppo alla lettera (o interpreta in maniera troppo fantasiosa!) il suo autore: come quando, in un’appendice al volume, viene indicato nel 2088 l’anno del ritorno di Zarathustra, intendendo in senso apocalittico l’espressione nietzscheana «Incipit philosophia. Incipit Zarathustra.» O quando considera l’affermazione dell’“eterno ritorno dell’eguale” alla stregua di un “imperativo etico”. Una questione fondamentale dello studio di Kuhn è il rapporto di Nietzsche con Hegel, che comprende la questione del rapporto di Nietzsche con la tradizione filosofica e con i suoi metodi. Kuhn mette in discussione la tradizionale contrapposizione tra un Hegel filosofo sistematico e NOTIZIARIO Il pensiero e l’opera di HANS BLUMENBERG sono al centro di una serie di convegni e seminari organizzati dal Centro culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena. Apre la serie degli incontri (22 ottobre 1992) la presentazione della recente edizione italiana dell’opera di Blumenberg, Passione secondo Matteo, con la partecipazione di Sergio Givone, Pierangelo Sequeri, Carlo Gentili. Seguirà un Seminario di studio dal titolo: “Hans Blumenberg. Metafora, mito, modernità”, che prevede interventi di Vincenzo Vitiello (19 gennaio 1994), Barnaba Maj (16 febbraio 1994), Michele Cometa (2 marzo 1994), Bruno Accarino (23 marzo 1994). Concluderà le manifestazioni dedicate al filosofo una “Giornata di studio su Blumenberg” (10 maggio 1994), con la partecipazione di Remo Bodei, Gianni Carchia, Pier Aldo Rovatti, Francesca Rigotti. Presso il Centro culturale è disponibile una bibliografia completa primaria e secondaria su Hans Blumenberg. Nel sanmarinese CENTER FOR INTERDISCIPLINARY RESEARCH ON SOCIAL STRESS (CIROSS), viene sviluppato un progetto di ricerca sulla guerra con l’obiettivo di porre in prospettiva le variabili socioculturali che rendono probabile lo scoppio di una guerra e delineare, a vantaggio di governanti e politici di opposizione, quali passi siano da prendere per tenere sotto controllo queste variabili. La scelta di occuparsi di “tensioni sociali” corrisponde al bisogno, sentito come urgente, di individuare le forze e le pressioni, che agendo sulle strutture sociali, viste come intero, provocano rotture sia a livello di gruppi sia a livello di individui. Dall’anno della sua fondazione nel 1991, nel CIROSS si è aperto un confronto, tenuto vivo dal generoso quanto infaticabile apporto di Giorgio Ausenda, tra antropologi, sociologhi, storici e filosofi. Il primo volume pubblicato dal CIROSS, Effects of War on Society (Gli effetti della guerra sulle società, a cura di Giorgio Ausenda, AIEP Editore, San Marino 1992), raccoglie contributi di Airat Aklaev (Mosca), Giorgio Ausenda (San Marino), Robert L. Carneiro (New York), T.J. Cornell (London), Cristopher Dandeker (London), R. Brian Ferguson (Newark NJ), Keith Hopkins (Cambridge), David Lester (Blackwood NJ), Riccardo Pozzo (Milano/Trier), Karen A. Rasler (Bloomington NY), Nikolai Rudensky (Mosca), Joseph A. Tainter (Corrales NM), Philipp M. Taylor (Leeds), William Thompson (Bloomington NY). Tesi di fondo di questa raccolta di studi è che ogni dibattito su pace e conflitti, ogni dotta dissertazione polemologica continuerà a restare speculazione a meno che non vengano suffragate da fatti empiricamente verificabili: per meglio scoprire le cause della guerra si deve muovere dall’individuazione degli effetti, NOTIZIARIO e in particolare degli effetti sulla società. Gli effetti socioculturali, infatti, possono essere visti come soluzioni per certe condizioni, che, una volta realizzate, conducono a guerre. Da qui l’invito a studiare temi quali, ad esempio, le conseguenze propriamente evolutive della guerra, il suo ruolo nello sviluppo politico, non solo rispetto al problema della nazionalità e delle etnie, ma anche alle comunicazioni, ai costi economici, e certamente, alla violenza personale. Questa idea si lascia chiarire con due esempi più specificamente filosofici: basta leggere il frammento B 56 di Eraclito («la guerra è il padre di tutte le cose...») secondo il suo senso letterale per rendersi conto che il filosofo di Efeso pone l’accento sugli effetti («...e alcune le mostra come dèi, altre come uomini; qualcuno lo fa schiavo e gli altri liberi»). Già Eraclito, dunque, aveva visto la guerra come il fattore principale che determina la stratificazione sociale, che provoca rapidi mutamenti in tutte le situazioni sociali, che scandisce il mutamento sociale. D’altra parte, anche Kant in Per la pace perpetua, discutendo della «garanzia della pace perpetua» aveva riconosciuto come nella «discordia tra gli uomini», le cui leggi di effettuazione (Wirkungsgesetze) paiono rimandare come loro causa a un “destino” per noi inconoscibile, si dimostri, attraverso i suoi effetti, parte di un disegno teleologico, che Kant chiama “natura”. Società Filosofica Italiana Convegno Nazionale 1993 Organizzato dalla Sezione trevigiana della S.F.I. LA DIDATTICA DELLA FILOSOFIA Treviso, 25-26-27 novembre 1993 Palazzo dei Trecento Casa dei Carraresi Istituto Magistrale Duca degli Abruzzi L’attualità del saggio di Kant del 1795, Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua), confermata ogni giorno dalle notizie dei giornali e delle televisioni, ha sollecitato due registi produttori cinematografici e televisivi, Franca nell’Università e nella Scuola secondaria superiore Maranto e Santi Flavio Colonna, ad impegnarsi nell’elaborazione del progetto PER LA PACE PERPETUA KANT: UN’IDEA DALL’EUROPA. Il progetto si propone di fare della ricorrenza del secondo centenario della pubblicazione del testo kantiano, nel 1995, un’occasione per riflettere sui problemi dell’umanità di oggi alla luce del pensiero di Kant. E di far partire dalla cultura europea e dall’Europa tutta un invito al mondo a cercare la Pace e l’Unità alla luce della ragione. Il progetto è stato presentato a Roma alla stampa mondiale dai due attori e dai filosofi Norbert Hinske e Vittorio Mathieu, che fanno parte del comitato promotore assieme a Pietro Adonnino, Reinhard Brandt, Giovanni Conso, Maria Teresa Gentile, Antonio Landolfi, Rudolf Malter, Silvestro Marcucci e Gerardo Marotta. Il progetto, che ha raccolto consensi e autorevoli adesioni (Parlamento Europeo, Consiglio d’Europa, UER ecc.), prevede, nella sua articolata complessità (si muove con diversi mezzi su più piani: accademico, scolastico, popolare), convegni di studio, incontri, ricerche, pubblicazioni e iniziative audiovisive. Gli autori del progetto stanno preparando uno sceneggiato televisivo “Immanuel - nascita di un mondo nuovo”, un film di carattere spettacolare, “Il cielo stellato sopra di me...”, un CDI e trasmissioni radiofoniche. Le manifestazioni si concluderanno a Venezia (San Giorgio Maggiore, Fondazione Cini) con una settimana di celebrazioni (l’ultima dell’ottobre 1995) sul tema: “La pace: un impegno categorico”. Poiché nella ricorrenza kantiana si può prevedere che saranno intraprese iniziative culturali su Kant e la sua opera e sulla pace in generale, si invita vivamente a darne notizia al Comitato per le celebrazioni kantiane c/o Etnea Film, via Monte Zebio 19, I00195 Roma, che provvederà a curare la pubblicazione di un Index celebrationis che le conterrà tutte. L’Index celebrationis verrà consegnato al Segretario Generale dell’ONU nel corso della serata conclusiva. 25 novembre ore 9.00 : G. Giannantoni, A. Sgherri, L. Vigone ore 15.00: E. Serravalle, D. Massaro ore 17.00: laboratori 26 novembre ore 9.00: C. Sini, R. Parascandolo ore 11.00 e ore 15.00: laboratori ore 18.00: assemblea soci S.F.I. 27 novembre ore 10.00: tavola rotonda con la partecipazione di T. De Mauro, S. Veca, C. Quarenghi, R. Di Nubila Partecipano ai laboratori: G. Casertano, A. Sgherri, P. Biancardi, C. Lazzerini, E. Berti, E. De Palma, L. Tarca. Segreteria e informazioni: S.F.I. Sezione trevigiana, c/o Ist. Magistrale Duca degli Abruzzi, via Caccianiga 5, 31100 Treviso, tel. 0422-262874/53304/383562, tel. e fax. 0422-490202 41 Nel marzo 1993 è stata fondata la DEUTSCHE GESELLSCHAFT FÜR ÄSTHETIK . Come suo primo presi- dente è stato eletto Jörg Zimmermann (Hannover). Il primo convegno della società avrà luogo a Hannover dal 10 al 13 marzo 1994 e avrà come tema: “Estetica ed esperienza della natura”. Parallelamente al convegno verrà allestita allo Sprengel Museum di Hannover una mostra dal titolo: “La scoperta della natura”. Ulteriori informazioni potranno essere richieste direttamente alla Deutsche Gesellschaft für Ästhetik (Fachhochschule Hannover, Herrenhäuser Str. 8, 30419 Hannover). CONVEGNI E SEMINARI Piero Martinetti 42 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Cinquantenario della morte di Martinetti Il 22 marzo 1993 si è svolta a Torino una giornata di studio su PIERO MARTINETTI NEL CINQUANTENARIO DELLA MORTE. Il convegno, presieduto da Italo Lana, presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino, Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano, è stato organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino, dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino. Tra i partecipanti: Norberto Bobbio, Girolamo De Liguori, Stefano Poggi, Massimo Ferrari, Dino Pastine, Mario Miegge, Amedeo Vigorelli, Franco Alessio. Norberto Bobbio ha introdotto i lavori della giornata ricordando il rapporto affettivo e il debito intellettuale e morale che, nonostante la distanza filosofica e la diversità delle elaborazioni, legava Augusto Del Noce, Ludovico Geymonat e Luigi Pareyson a Piero Martinetti. Pur non avendo mai insegnato all’Università di Torino, Martinetti, ha notato Bobbio, è stato considerato, al di là di Croce e di Gentile, un modello per la società filosofica torinese della prima metà del ‘900. Bobbio ha letto, inoltre, alcune pagine martinettiane inedite sulle carceri, scritte nel 1935 dopo l’arresto in casa Solari, durante una retata degli appartenenti, o presunti tali, al movimento Giustizia e Libertà. I rapporti tra Martinetti e la Torino accademica di fine secolo sono stati invece illustrati da Girolamo De Liguori. Martinetti, infatti, studiò filosofia a Torino; suoi professori furono, fra gli altri, Roberto Bobba, Pasquale D’Ercole, Giuseppe Allievo, Paolo Raffaele Troiano e Arturo Graf, che erano impegnati, da una parte, nell’elaborazione di una filosofia consapevole del proprio compito religioso, dall’altra nella definizione del rapporto tra la tradizione filosofica italiana e l’idealismo tedesco. Nel luglio del 1893 Martinetti si laureò con una tesi sul sistema Sankhya. A questo proposito Dino Pastine ha evidenziato la preferenza accordata da Martinetti a questo sistema e la sua impossibilità ad avvicinarsi al Buddhismo Mahayana a causa dell’av- versione nei confronti di ogni forma confessionale di manifestazione religiosa. La singolarità della posizione martinettiana è stata riconosciuta nel contributo che apporta a sfatare i pregiudizi e le deformazioni indotte dal mito indiano diffuso nella cultura romantica tedesca; il suo limite, invece, è stato rilevato nella sostituzione del mito romantico con quello, peraltro diffuso nella cultura del tempo di Martinetti, di una remota purezza dell’India classica, in contrapposizione alla corruzione dei costumi e della lingua dell’India moderna. Per ciò che riguarda il riferimento martinettiano alla filosofia tedesca, Stefano Poggi, svolgendo un esame dei capisaldi della teoria gnoseologica di Martinetti, con particolare riferimento alla sua prima opera sistematica, Introduzione alla metafisica, del 1904, e agli Scritti di metafisica e di filosofia della religione, pubblicati nel 1976 a cura di E. Agazzi, ha sottolineato una forte dipendenza e, nel contempo, una distanza di Martinetti da alcuni autori tedeschi. In particolare, è stato evidenziato come l’elaborazione della posizione coscienzialista di Martinetti dipenda dal pensiero di Lotze, da lui conosciuto nella traduzione francese. In Lotze Martinetti troverebbe, infatti, una posizione che nasce dalle scienze empiriche, ma è antimaterialista e recupera la concezione leibniziana dell’io come appercezione. L’esame del problema della causalità permette, inoltre, di considerare la distanza di Martinetti dalla soluzione kantiana, la sua critica alle posizioni di Mach e Avenarius e la sua vicinanza, attraverso Lotze, a Herbart. Su alcuni temi e motivi dell’Introduzione alla metafisica, anche se da una prospettiva diversa in quanto rivolta specificatamente all’esame della posizione metafisica di Martinetti, si è soffermato anche Franco Alessio. La figura di conoscenza proposta da Martinetti, nel suo aspetto di processo di unificazione obiettivo ma relativo, fa trasparire da una parte una ripresa della visione di Leibniz, secondo la quale ogni unità individuale è uno specchio che riflette il mondo sotto un aspetto differente, dall’altra rimanda alla connessione spinoziana di voluntas e intellectus. Quest’ultima si configura, allo stesso tempo, come un ripensamento del volontarismo schopenhaueria43 no. Il rapporto di Martinetti con Schopenhauer è stato ulteriormente messo in luce nella considerazione dell’elaborazione metafisica nel decennio 1904-1914, con particolare attenzione alle esposizioni martinettiane di Spinoza e Spir: la visione metafisica martinettiana non è in tal senso una costruzione astrattamente logica, poiché è sostenuta da un apriori, da una visione, da una intuizione geniale. In questa direzione Alessio ha indagato il rapporto metafisica-religione: in quanto la visione metafisica è elevazione della coscienza, la metafisica martinettiana assume il compito e la funzione di rinnovamento della coscienza, ponendosi come uno strumento di rottura nei confronti delle forme istituzionali e confessionali della vita religiosa: nel conflitto tra le forme inferiori e quelle superiori di religiosità riecheggia, ha notato Alessio, la distinzione kantiana tra falsa e vera popolarità. La ricezione, l’interpretazione e l’assunzione martinettiana di Kant sono state trattate, congiuntamente a quelle di Hegel, da Massimo Ferrari. Lontano tanto dal neocriticismo quanto dalla lettura hegeliana di Kant proposta da Spaventa e da Gentile, Martinetti vede in Kant il padre della nuova metafisica idealistica: egli riprenderebbe, cioè, il Kant della Dialettica trascendentale e del rapporto tra ragion teoretica e ragion pratica. La sistematizzazione della interpretazione metafisica di Kant, quasi sospesa - ha notato Ferrari - tra trascendentale e trascendente, risale ai corsi tenuti tra il 1924 e il 1926. La preferenza accordata alla Dialettica trascendentale dipende dal fatto che qui Martinetti trova la teoria kantiana della ragione come facoltà dell’assoluto, cioè come facoltà religiosa che si dischiude alla sintesi definitiva a cui aspira il bisogno metafisico dell’uomo. In questo percorso è stato altresì notato come l’accentuazione dell’elemento metafisico-morale conduca Martinetti a leggere Kant in una direzione in cui sembra impossibile sostenere una morale autonoma dalla vita religiosa. Il rapporto di Martinetti con Hegel è invece polemico: la critica a quello che Martinetti chiama il “metodo” dialettico, l’attacco, nella ripresa della riflessione di Pietro Ceretti, alla triade idea-naturaspirito e la serrata confutazione dell’Asso- CONVEGNI E SEMINARI luto hegeliano conducono Martinetti, alla fine dell’Introduzione alla metafisica, a metter da parte la filosofia hegeliana. L’interesse di Martinetti va, tuttavia, alle pagine dell’Enciclopedia dedicate alla psicologia, allo Hegel politico, di cui il filosofo apprezza la critica del liberalismo in nome di una superiore concezione dello Stato come volontà morale, che solleva le volontà particolari al piano dell’universalità. A questo proposito, Ferrari ha però evidenziato alcuni rilievi critici mossi da Martinetti a Hegel, riassumibili nel rimprovero, da un lato, di aver frainteso la morale kantiana, dall’altro di non aver inteso lo Stato come uno strumento al servizio dell’attività morale. Ferrari ha notato, inoltre, che la simpatia di Martinetti va allo Hegel delle Lezioni sulla filosofia della religione, nonostante egli individui l’esito e il limite della posizione hegeliana nella umanizzazione della religione come momento dell’Assoluto. La riflessione martinettiana specificatamente rivolta alla religione è stato il tema delle relazioni di Mario Miegge e Amedeo Vigorelli, che si sono soffermati rispettivamente sul rapporto di Martinetti con la teologia protestante e sull’interpretazione martinettiana del Cristianesimo. L’intento di Mario Miegge è stato quello di indagare le aree culturali in cui avviene l’incontro di Martinetti con il protestantesimo e il taglio teorico di questo interesse. In questa prospettiva di ricerca sono stati considerati i rapporti di Martinetti con l’ambito degli studi biblici sul Nuovo Testamento, con quello degli studi sulla storia del Cristianesimo e, infine, la riflessione martinettiana su Monod e su Barth. E’ emerso come il rifiuto della cristologia della Formgeschichte possa essere letto come il rifiuto stesso della teologia cristiana, a partire dall’assunzione della kantiana Religione nei limiti della pura ragione quale modello critico delle religioni, nell’ipotesi che proprio l’interpretazione martinettiana della posizione kantiana sulla religione possa rappresentare il vero aggancio di Martinetti con il protestantesimo. Il confronto del filosofo con Monod e Barth è stato delineato dettagliatamente nei suoi momenti di dissenso: Miegge ha evidenziato come Martinetti attacchi il dualismo di entrambi i teologi, ravvisando in esso un carattere di incoerenza e una articolazione irrazionale. Relativamente all’interpretazione martinettiana del Cristianesimo, Amedeo Vigorelli ha sottolineato come questa si svolga nel senso di un approfondimento che va da una lettura storica a una lettura simbolica. L’incontro con il Cristo della storia libera, cioè, il senso spirituale della fede dalle incrostazioni mitologiche cui va incontro la religione nel suo processo di paganizzazione; tuttavia affinché la coscienza possa conservare il senso spirituale del simbolismo religioso è richiesta la concomitante opera della ragione filosofica. Da parte di Martinetti c’è infatti la rivendicazione, ha notato Vigorelli, di un unico piano del discorso tra fede e ragione, la cui unità si situa non a livello di una violenta pretesa razionalistica, bensì di una comune valenza simbolica. C.F. Heidegger in discussione In occasione della presentazione del volume HEIDEGGER IN DISCUSSIONE (a cura di Franco Bianco, Angeli, Milano 1992), che raccoglie il testo delle relazioni presentate al convegno “L’eredità di Heidegger” (maggio 1989), il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane della III Università degli Studi di Roma ha organizzato il 28 gennaio 1993, presso la sede del GoetheInstitut di Roma, un dibattito, cui hanno partecipato Franco Bianco, Domenico Losurdo, Otto Pöggeler, Carlo Sini. Il volume Heidegger in discussione si articola in quattro sezioni che, della multiforme eredità heideggeriana, tematizzano rispettivamente la riflessione sulla prassi, la questione del rapporto fra logos e soggettività, il confronto con la tradizione e la critica della modernità e, infine, l’orizzonte religioso della speculazione heideggeriana. Come ha rilevato Franco Bianco, la raccolta di testi Heidegger in discussione intende stabilire lo status quaestionis del dibattito su Heidegger in una prospettiva unitaria, che non si limiti ad approcci settoriali: tale è appunto la finalità delle quattro “chiavi di accesso” proposte dal volume. Il dibattito italiano su Heidegger dell’ultimo ventennio, nella contrapposizione fra “heideggeriani” e “antiheideggeriani”, tra apologeti e detrattori, ha perso di vista, secondo Bianco, le valenze “pratiche” della filosofia heideggeriana con la rimozione, o la non corretta valutazione, della “questione politica”. Questo approccio è stato condiviso da Carlo Sini, che ha rivolto in particolare la propria attenzione a uno dei saggi contenuti nel volume, quello di Klaus Held, dedicato alle “tonalità emotive fondamentali” della fenomenologia heideggeriana. Nella lettura di Held, che interpreta Heidegger attraverso le dimensioni dell’arte, della filosofia e della politica, Sini ha rilevato come il tema dell’ “oblio dell’essere” si moduli, per i pochi che sanno coglierlo (quali i poeti), come senso del mistero e, da qui, come possibilità di un “nuovo inizio”. Quest’ultimo si fonda sull’esperienza di un evento dischiuso da una “tonalità emotiva fondamentale”, che rende chiara l’ “indigenza abissale” in cui è collocato l’uomo nell’età della tecnica. Questa tonalità si determina in Heidegger come silenzio: il “nuovo inizio” non è dunque, ab origine, una parola salvifica, bensì un ammutolimento. Tuttavia, secondo Held, non si indi44 vidua così il “vero inizio”; se per Heidegger occorre lasciare a se stesse, per un nuovo inizio, filosofia, arte e politica (democrazia) moderne, per Held ciò è dovuto a un’inadeguata comprensione di queste declinazioni dell’oblio dell’essere. In particolare, la democrazia, e non l’“essere per la morte”, garantisce sempre la possibilità di un “nuovo inizio”, cioè l’apertura di nuovi discorsi. La democrazia è lo spazio dove si apre la possibilità di reiterare il “nuovo inizio”, di fondare le proprie posizioni, nel senso del “dare ragione” di esse. Di questa interpretazione Sini ha evidenziato due punti critici: l’incapacità della filosofia di accettarsi come pratica finita, e il suo porsi invece, nella sua pretesa di verità, come pratica universale. Al contrario, ha osservato Sini, l’ “universalità” della filosofia consiste in una “particolarità”; anche il logos greco, in quanto logon didonai, “dare ragione”, la visione “istoriale”, e con essa la storia e le sue concrezioni, fra le quali la democrazia, non sfuggono per Sini, contro Held, a questa condizione. Nel suo intervento Otto Pöggeler ha invece ricondotto la pluralità dei punti di vista che caratterizza i saggi della raccolta Heidegger in discussione alla voluta asistematicità e contraddittorietà del pensiero heideggeriano. La continua richiesta di risposte a questioni fondamentali e il carattere contingente delle lezioni a cui Heidegger affidò il suo pensiero renderebbero di fatto impossibile un’esposizione oggettiva di questo pensiero e ne moltiplicherebbero le interpretazioni. Di qui, ha notato Pöggeler, il valore di questa raccolta, che intende innanzitutto fornire prospettive di interpretazione, suggerendo motivi per un ulteriore approfondimento ed esplorazione del pensiero heideggeriano, dalla tematica religiosa, in cui si intrecciano cattolicesimo, mistica e letture di Lutero, al ruolo della dottrina dello sgomento come dottrina della tonalità emotiva fondamentale, al problema delle reciproche implicazioni di filosofia e politica. Inoltre, ha aggiunto Pöggeler, la ricerca del giusto accordo interiore come condizione per il libero mostrarsi dei fenomeni solleva a sua volta problematiche più o meno tradizionali, dalla natura della caducità alla irrappresentabilità della virtù, fino a ricondurre la Gestimmtheit stessa a un groviglio di problemi, risolvibili solo sul piano dell’articolazione del discorso. Paradossalmente, ha rilevato Pöggeler, la distruzione dei propri manoscritti avrebbe permesso a Heidegger di esercitare il proprio influsso in modo più sottile e incisivo. Ad esempio, il saggio di Manfred Riedel contenuto nella raccolta, incentrato sull’ermeneutica e la natura, mostra come anche questo noto conoscitore di Aristotele e Hegel, si sia lasciato condurre, a proposito di Heidegger, su una strada completamente diversa. La questione dell’influenza di Heidegger sul pensiero “di sinistra” (Derrida in primis) in Francia e in Italia, a dispetto del non CONVEGNI E SEMINARI occasionale legame del filosofo con il nazionalsocialismo, è stata messa in evidenza da Domenico Losurdo. Esclusa la tesi di uno Heidegger “impolitico”, Losurdo vede al centro dell’attenzione del filosofo tedesco, per tutto l’arco della sua riflessione, l’evento della prima guerra mondiale. Alcuni caposaldi del pensiero di Heidegger (primo fra tutti, la determinazione dell’ “esserci per la morte”) vengono così ricondotti da Losurdo alla prospettiva della Kriegsideologie tedesca da un lato, dove la guerra è letta come una sorta di meditatio mortis, e, dall’altro, alla confutazione della parallela - e non meno barbarica - ideologia della “crociata per la democrazia”, adottata dall’Intesa. Il rifiuto heideggeriano della democrazia nasce dal fatto che la democrazia, la retorica dei diritti dell’uomo, conducono al bellicismo, alla “mobilitazione totale”. Rifacendosi al rapporto intercorso fra Heidegger e Jaspers, Losurdo ha sostenuto che il più vicino ad assumere le vesti di ideologo di un determinato schieramento politico sia stato, tanto nel primo, quanto nel secondo dopoguerra, più Jaspers che Heidegger. Quest’ultimo, analogamente a Carl Schmitt, appare piuttosto come il critico di un interventismo universalistico e bellicista: in altri termini, Heidegger appare come un critico, ante factum, dell’ideologia democraticista e universalista che si traduce nella guerra di sterminio, e che sta alla base della recente retorica sulla guerra del Golfo. Errore di Heidegger, a parere di Losurdo, è solo quello di identificare l’ideologia democratica con l’umanismo. F.C./ L.C. Che ruolo ha la mente nella Natura? Con un incontro dal titolo: SEMINARIO SULLA FILOSOFIA DELLA MENTE DI DAVIDSON , si è concluso a Roma, il ciclo di lezioni che Donald Davidson ha svolto dal 3 febbraio al 1 aprile all’Università “La Sapienza” di Roma. I principali problemi affrontati da Davidson nelle sue lezioni sono stati quelli riguardanti la descrizione degli eventi mentali, la possibilità della conoscenza, la nascita e la natura del linguaggio. Gli argomenti fondamentali che la filosofia tratta da secoli sono in fondo riducibili a due classi di problemi che da sempre si pongono all’uomo in modo naturale: qual è la realtà ultima del mondo che ci circonda? Qual è la natura dei procedimenti mentali che ci permettono di conoscere e comunicare? Metafisica, filosofia della natura, psicologia, filosofia analitica e filosofia della mente hanno cercato nel corso dei secoli di sviluppare nuove prospettive atte a fornire gli strumenti per risolvere questi quesiti, tanto che sorge il dubbio che tali quesiti non solo non possano mai avere una risposta univoca, ma, nella loro sistematizzazione, non permettano neanche l’acquisizione di risultati parziali saldamente giustificati. Su questi argomenti, Donald Davidson ha riassunto nelle sue lezioni i risultati a cui lo ha condotto una riflessione che dura da decenni, resa pubblica nei suoi saggi più importanti, raccolti nei due volumi Actions and Events del 1980 (Azioni ed eventi, trad. it. di R. Brigati, a cura di E. Picardi, Il Mulino, Bologna 1992) e Inquiries into Truth and Interpretation (Indagini su verità e interpretazione) del 1984, di prossima pubblicazione in Italia. Nelle sue concezioni Davidson si discosta innanzitutto da quelle che sono state definite le pretese degli «scienziati che filosofeggiano e [dei] filosofi che si atteggiano a scienziati della natura.» Programmatica è dunque l’intenzione di Davidson di non servirsi dei risultati delle scienze naturali e psicologiche per conseguire le sue risposte, per non cadere appunto nel ben noto circolo vizioso per cui le spiegazioni degli eventi mentali si fondano su risultati teorici specifici conseguiti a prescindere dagli stessi eventi mentali di cui vien data giustificazione. La difesa della non-riducibilità dell’evento mentale da quello fisico, punto di partenza nella descrizione degli eventi mentali, è invece per Davidson una condizione che deve essere rispettata in ogni trattazione di problemi cognitivi. In questo si può scorgere la difesa di una certa visione riduzionista della natura, la difesa delle descrizioni causali, materialistiche. Quello che Davidson rifiuta, però, è l’uso di riduzioni esplicative, cioè l’equivalenza tra leggi che gestiscono le connessioni tra i fenomeni mentali e quelle che descrivono i fatti della natura; se questo fosse possibile allora la spiegazione dei fenomeni mentali sarebbe necessariamente dello stesso tipo di quelli fisici. Solitamente queste riduzioni sono accompagnate da una sorta di riduzionismo ontologico: una forma di monismo. Chi lega queste spiegazioni a una forma di monismo è considerato monista nomologico; chi, come Davidson, rifiuta questo legame si definisce monista anomalo. Il monismo anomalo di Davidson si basa su tre principi fondamentali: gli eventi mentali sono correlati causalmente a eventi fisici; le singole relazioni causali sono descritte da leggi deterministiche; non ci sono leggi deterministiche per eventi psicofisici. A questi tre punti Davidson aggiunge un’ulteriore condizione: gli eventi mentali sono supervinients (sopravvenienti) al loro sostrato fisico. Supervinient è, per esempio, un qualunque termine valutativo, che non si può ricondurre, pur dipendendo da essi, alla pura somma dei termini descrittivi che lo determinano. In questa sua concezione Davidson rifiuta qualsiasi forma di dualismo cartesiano e ribadisce che le unità che vengono trattate all’interno di una teoria 45 della conoscenza sono unità psicofisiche. Ogni evento mentale ha quindi una dipendenza necessaria da condizioni fisiche particolari, ma non è possibile descrivere gli eventi mentali in funzione di questa base fisica. Il che implica che un cambiamento della base fisica ha conseguenze sulla natura degli eventi mentali ad essa associati; ma significa anche che la causalità che governa il mondo degli eventi mentali è differente da quella espressa dalle strict laws, le leggi deterministiche del mondo fisico. Sono le regulative laws che vanno cercate all’interno del mondo mentale, quelle riducibili a desideri e credenze, elementi ultimi nella descrizione degli eventi mentali. Questo risultato viene spiegato da Davidson con l’esempio della traduzione da parte di un interprete del discorso di un parlante: l’interprete può intendere il discorso del parlante solamente applicando alle frasi di questo le proprie categorie di coerenza e la propria visione del mondo in base a ciò che viene definito il principio di carità. In pratica, il criterio di verità applicato alle frasi del parlante è riscontrabile nelle frasi dell’interprete; vi è cioè un carattere ricorsivo del concetto di verità. In tale situazione, l’unica oggettività con cui si ha a che fare è la struttura astratta del linguaggio, quella sintattica; ma da questa è impossibile risalire alle proprietà che gestiscono e giustificano i comportamenti del parlante. Si può risalire ad essi solo tramite una separazione nel linguaggio di frasi holding true, di contenuti di credenza; una separazione resa possibile grazie a categorizzazioni appartenenti all’interprete, essendo implicito nella natura di un’azione intenzionale essere spiegabile tramite credenze e desideri. Oltre alla caratteristica normativa e causale dei concetti mentali, c’è un altro particolare che divide i concetti mentali da quelli di tutte le altre scienze. Per non cadere in una situazione di incomprensibilità sistematica, Davidson si appella a Wittgenstein e alla sua affermazione dell’impossibilità di un linguaggio privato. Secondo Wittgenstein il linguaggio è essenziale al pensiero: non esiste un linguaggio privato in senso assoluto, in quanto, fin dai primi anni di vita, la formazione del nostro linguaggio, la correttezza dell’uso del nostro linguaggio, proviene solo dal confronto con gli altri. La natura del linguaggio è dunque sociale. Il triangolo con a due vertici due persone e all’altro gli oggetti del mondo esterno è il fondamento necessario per qualsiasi tipo di apprendimento, linguistico e mentale. Ai tre vertici del triangolo corrispondono tre tipi di conoscenza: la conoscenza di se stessi, quella di altri esseri pensanti, la conoscenza del mondo esterno. Il primo vertice, contrariamente a quanto viene affermato dall’empirismo classico, è ritenuto da Davidson il meno importante: come punto di partenza, non è infatti necessaria l’analisi della soggettività pura, poiché se noi abbiamo coscienza del contenuto della nostra mente l’abbiamo solo grazie CONVEGNI E SEMINARI all’uso dei nostri sensi che ci permettono di essere consci di ciò che si propone dall’esterno alla nostra coscienza. Siamo invece coscienti della presenza di altre menti solo per inferenza da comportamenti simili ai nostri comportamenti intelligenti, cioè linguisticamente riconoscibili. Quindi è la comunicazione che mi permette di distinguere gli oggetti del mondo esterno dalla presenza di altre forme di vita intelligente. La condizione è però che l’intenzionalità del parlante renda il suo linguaggio accessibile agli altri. Questo tipo di triangolazione, sebbene non sia sufficiente per stabilire che una creatura sia in grado di formare il concetto corrispondente al tipo di oggetto posto esternamente ad essa, è tuttavia necessaria, secondo Davidson, per rispondere alla domanda: che cos’è un concetto? Da solo, un essere senziente non potrà mai avere una prova della validità delle sue percezioni e delle sue risposte a determinati stimoli. Senza una seconda persona non potrebbe esserci alcuna risposta alla domanda: a che cosa sta reagendo quella persona? La convivenza con altre menti è dunque alla base della conoscenza, poiché provvede a fornire le misure di tutte le cose: il soggettivismo di Protagora risulta qui rovesciato. M.P. Luigi Stefanini: personalismo ed esistenzialismo Il quarantesimo anniversario della pubblicazione del volume ESISTENZIALISMO ATEO ED ESISTENZIALISMO TEISTICO (Padova, 1952) di Luigi Stefanini ha costituito l’occasione per un colloquio di studio sul complesso del pensiero stefaniniano, svoltosi il 4 marzo 1993 presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, cui hanno partecipato Giovanni Santinello, Giuseppe Cantillo, Giovanni Salmeri, Marco Ivaldo, Armando Rigobello e Giuseppe Patella. Ha aperto i lavori la relazione di Giovanni Santinello, che si è soffermato sulle nozioni di scepsi e di immagine, così centrali nella riflessione stefaniniana, indagandone l’ampiezza speculativa e problematica. Il concetto di scepsi, attraverso il quale Stefanini legge tutto il pensiero di Platone, viene ad essere - ha ricordato Santinello - quella ricerca inesausta e sempre aperta alla verità, quel procedere della filosofia stessa come ricercare insieme e quindi come dialogo e dialettica. Come sapere teso sempre verso altro da sé, la filosofia si dà allora come allusiva e intenzionale, allo stesso modo che l’ “immagine” - la cui nozione è approfondita da Stefanini nel libro Imaginismo come problema filosofico del 1936 non è mai l’oggetto espresso, ma il verbo mentale che sempre trascende la fissa rappresentazione dell’oggetto; è allusione, rimando, intenzionalità. In questa prospettiva si può dire con Santinello che il pensiero di Stefanini si presenta come una forma peculiare di pensiero simbolico, un pensiero per immagini e un pensare immaginando. Delle ampie questioni sollevate in modo specifico dal volume stefaniniano, di cui si celebrava il quarantesimo anniversario, e quindi della sua valutazione complessiva dell’esistenzialismo si è invece occupato nella sua relazione Giuseppe Cantillo, il quale ha rilevato l’originalità e l’attualità dell’interpretazione stefaniniana, avvicinandola anche a quella avanzata da Luigi Pareyson. Note sull’esistenzialismo di Pareyson dal 1938 e Giudizio sull’esistenzialismo di Stefanini dello stesso anno, che precede l’opera maggiore, possono infatti essere letti insieme e in forma forse complementare: entrambi pongono in primo piano l’esigenza fondamentale della “persona”. Ma se nel tracciare la genesi della filosofia dell’esistenza Pareyson tende ad accentuare l’importanza della linea Kierkegaard-Barth, Stefanini sposta invece l’accento sulla linea Husserl-Dilthey, mostrando così anche l’importanza e l’influenza ha osservato Cantillo - che fenomenologia e storicismo hanno ad esempio esercitato su un pensatore come Heidegger. La centralità della fenomenologia husserliana, della quale Stefanini è stato tra i primi in Italia a discutere, l’importanza dello storicismo diltheyano e della posizione di Jaspers, che però Stefanini non valuta esattamente fino in fondo, sono alla base del giudizio stefaniniano sull’esistenzialismo e costituiscono forse il portato più significativo per la comprensione di questo fenomeno, che viene inoltre approfondito attraverso la precisa indagine stefaniniana sul versante teistico con pensatori come Barth, Marcel, Lavelle, Berdjajev. In quest’ottica, secondo Cantillo, la validità della Existenzphilosophie viene da Stefanini rintracciata nella valorizzazione e nella forte rivendicazione dell’immediatezza contro la mediazione, della singolarità contro l’uniformità, lasciando intravedere la possibilità di una certa consonanza tra filosofia dell’esistenza e personalismo. E’ questo forse il motivo per cui in un autore come Heidegger Stefanini è portato a valutare positivamente l’appello del suo pensiero all’autenticità e alla responsabilità, pur criticando fortemente l’esito “nichilistico” di Sein und Zeit. Ritornando sul Platone di Stefanini, Giovanni Salmeri ha rilevato come esso occupi un ruolo centrale non solo nell’articolazione del pensiero stefaniniano, ma anche all’interno degli studi platonici. Nel suo intervento Salmeri ha mostrato come in relazione al fitto “dialogo” tra il pensiero di Stefanini e Platone, sulla base della polarità tra intuizione e razionalità, esista la possibilità di stabilire una precisa continuità 46 tra la valorizzazione dell’arte e la definizione stessa di “scepsi”. La dimensione etico-religiosa della riflessione di Stefanini è stata al centro della relazione di Marco Ivaldo, che ha affrontato la questione dell’etica in relazione tanto alla filosofia quanto alla religione, mettendone comunque in evidenza, rispetto ad esse, l’essenziale autonomia che la caratterizza, in cui è infatti presente una dilemmatica morale che impone direttamente all’uomo la necessità radicale della scelta. L’etica di Stefanini fa appello in questo senso ad un agire morale che si fonda sul valore fondamentale della persona umana, ed è quindi - sostiene Ivaldo un’etica della responsabilità e della libertà. Il contributo degli studi stefaniniani all’estetica è stato invece affrontato da Giuseppe Patella, che muovendo dalla teoria secondo la quale l’arte per Stefanini si dà come “parola assoluta”, ha inteso sottolineare il valore della parola retorica che si realizza nel contesto di un dirsi personale e interpersonale, cioè nell’atto esistenziale che coinvolge l’artista come persona e le persone che partecipano al dialogo costruttivo tra interlocutori, in cui la comunicazione e la persuasione si intrecciano nella suggestione della parola evocatrice. Armando Rigobello ha concluso i lavori della giornata di studi tornando sulla complessa problematica della persona e del personalismo, ricordando come per Stefanini ciò significhi porre la persona umana a fondamento di una peculiare ricostruzione metafisica, in cui l’interiorità si riscatta dal piano fenomenologico esistenziale senza tuttavia determinarsi all’interno di una trascendentalità di tipo idealistico. Parlando inoltre della inesauribilità del valore della persona e della sintesi personalista, Rigobello ha infine discusso del “personalismo sociale” di Stefanini come fenomeno legato ad una dimensione più direttamente etico-politica, accentuandone quindi l’aspetto storico, animato dalla tensione sempre aperta tra fatto e valore, vichianamente tra certo e vero. G.P. ‘De arte combinatoria’ Presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, dal 15 al 19 febbraio 1993 Aldo Trione ha tenuto un seminario di studi sul tema: DE ARTE COMBINATORIA. L’argomento è stato affrontato nel senso di una meditazione estetica, logica, poetica, letteraria, che ha evidenziato l’importanza della “poiesis” e della sua capacità rivelativa attraverso momenti significativi della storia della filosofia. Il percorso tracciato da Aldo Trione ha preso le mosse dalla concezione della natura in Schelling come intreccio di meccani- CONVEGNI E SEMINARI smo e finalità, che mutuava al suo interno gli esiti del pensiero di Spinoza e di Bruno, conferendo al discorso un carattere di modernità per la scelta del registro estetico, invece che metafisico o morale o fisico. La connotazione ottimistica di metafisica, fisica, esistenzialità ed esistenzialismo, la loro fiducia nell’atto onnicreativo, creatore del cosmo dell’uomo, ha difatti conservato il problema insolubile dell’effabilità: la ragione anche esistenziale contempla rassegnata la propria posterità. Effabilità sottile, ha osservato Trione, suggerisce invece il registro dell’estetica. Una logica che non è giudizio, che come diceva Ugo Spirito non ha mangiato dall’albero del Bene e del Male - una logica che non separa né condanna, ma accetta la verità possibile, quella che Aristotele diceva facile e che cercava nei suoi discorsi che venivano dopo la fisica. La concezione di Schelling c’introduce nell’orizzonte atopico della bellezza, dove anche suggestioni plotiniane, agostiniane, leibniziane, lulliane s’incontrano, smorzandosi reciprocamente ed integrandosi. Coutourat è di guida ad un Leibniz emblematicamente al centro di tali riflessioni, intento, nella misura di rapporti e proporzioni, a definire la semplicità e complessità insieme di una ontologia delle corrispondenze, non estranea neanche all’Agostino del De Ordo, assorto nell’ascolto che dà la misura, che coinvolge in un orizzonte unico il vario: da un lato tendendo ad un’affermazione monadistica di unità non trasparenti, dall’altro cogliendo la ratio, il dimensionamento di un astratto che non perde razionalità nel farsi materialità. Trattando della magia della memoria e delle sue tecniche Trione si è richiamato a Bruno. La mnemotecnica svela a Bruno il valore dell’ombra, come sarà il sipario per Claudel: un simbolo ch’è lo sviare, che lascia intendere senza cogliere. Riportando brani che attraversano il Timeo platonico, il Bruno di Schelling, il De Berillo del cardinal Cusano, Trione ha proposto ulteriori e significativi riferimenti di quell’infinità che è logica e razionalità, pur non abbandonando i cosmi infiniti e l’individualità troppo originale e inconfondibile di Bruno, capace, nello stesso tempo, di raffigurazioni d’arte e di discorsi di fisica. La mnemotecnica, di fatto, coglie nessi immaginativi verso una nuova intentio, disegna mondi possibili partendo dagli elementi del possibile, ove il possibile non è di necessità ciò che non è reale, ma anzi è poi il solo davvero possibile; leibnizianamente, è il reale. La characteristica universalis di Leibniz, ha fatto notare Trione, si rivela allora senso del discorso, consentendo una riarticolazione del nesso immaginazione-razionalità in quanto induce a riflettere sul segno, a ritrovarvi storicità e lucidità, avvertibili nel fine comunicativo della lingua. L’ontopoiesi, così, cerca una via per procedere con intelletto scientifico, senza adire a formule ed astrattezze; cerca l’inventio di meccanismi assiomatici capaci di porre correlazioni e connessioni, trovando fondamento nella convinzione dell’armonia dell’intero, dogma fondante anche di ogni prospettiva scientifica. L’accordo tra legge del cosmo e legge del conoscere pone la possibilità di combinare legge di natura e legge di pensiero, esplicitandosi come grammatica, quella metalingua che è discorso geometrico. L’essenzialità della concezione di Leibniz in quest’ambito di discorso impone, secondo Trione, di soffermarsi su presupposti e sviluppi ulteriori, ripercorrendoli a vari livelli, da Breitinger a Baumgarten, a Bodmer, da Donezel a Risset, a Deleuze. Il cannocchiale artistico di Tesauro ci rivela quanto reale sia l’ omnis in unum, la possibilità di concentrare il molteplice in una intenzione monadica che rende la poiesis inventio ed invenire insieme. E’ la dialettica, la scoperta del contrasto inevitabile, eppure benefico, dell’individuale e dell’universale, del finito e dell’infinito - qui il riferimento, ha osservato Trione, va piuttosto a Bergson e Whitehead, i filosofi del margine, che non alla distesa razionalità idealistica. Si tratta qui di una dialettica che è diairetica, che indugia nella sua vicinanza cosmica alla retorica ed all’arte, che sviluppa i temi di un dialogo eterno e per definizione inconcludibile, molto più di quelli sviluppati dalla teologia cuspidale di Hegel. Qui il barocco si svela artefice di nuovi arabeschi, capace com’è di coniugare la dismisura di forma e limiti e la tersa lucidità del cristallo, la mente calcolante. Come nella voluta di un capitello, nel sesto acuto di un arco, la mente matematica si coniuga alla ridondanza, nel mistero dell’arte, che è forma e proporzione mentre s’inarca nella retorica. In questo si configura un carattere determinante del moderno, la possibilità di ridisegnare un discorso, poetico ed algebrico insieme, in cui parlino le suggestioni metaforiche di Schlegel e Goethe, in cui vengano salvate le individualità, i toni del mondo, senza mandar perduto il senso. Il fantasmatico ed il geometrico descrivono un gioco di rimandi di cui già si occuparono Luciano Anceschi e Damaso Alonzo discutendo di Gongora. La trasposizione barocca dei termini è intrinseca ad una diversa lingua, estetica, una mistica, una ragione poetica: la produzione artistica si carica di significati che perseguendo un fine di rappresentazione, di messa in scena, comprendono e ritraducono, creano una metalingua che non abbandona la multifonia e gli orizzonti paralleli - ma nemmeno manda perduta l’intelligibilità dell’intero. Attraverso questa proposta di lettura di alcuni momenti significativi della storia del pensiero moderno, Trione ha tracciato i contorni di una mimesi che non è copia, ma ascolto; una creazione che è divenuta inestricabilmente creato. Echeggiando corrispondenze la sua indagine ha mantenuto 47 il carattere di un’ermeneutica forte, delineando la semplicità di un senso che non sia definizione. Il progetto ontopoietico si mostra in questo uno e molteplice: è un percorso che conduce oltre, al di là della necessità di pensare storicamente. Lo storicismo, l’ermeneutica, le teorie dei giochi, gli onnicentrismi - sembra voler indicare la proposta interpretativa di Trione - descrivono l’anima del ‘900, ma non consentono alla filosofia di conservare la sua natura. Qui, senza rinunciare al moderno, ci si riappropria invece del senso per saltare oltre, per recuperare il cammino dell’orientamento nel mondo, se questo è il lavoro della filosofia. In questa prospettiva il poiein, inventio ed invenire, si disegna come un pitagorismo attento alla musica delle sfere ed alla cabbala. E’ poi anche creazione estetica, e a partire da essa ermeneutica forte. Uno sforzo teorico che si presenta come progetto di lavoro insieme per la costruzione di un senso che non sia moda. Esso non solo si vive, ma si dice, perché ciò che rende uomini è il sapere la connessione, il distendere l’ontopoiesi nella dicibilità. La stessa opera d’arte vale se manifesta capacità poietica, se riesce a legiferare secondo una legge propria, ritraducendo in un senso inventato l’oggetto del suo stupore: allora, e solo allora, l’opera d’arte è tale e resiste al tempo ed alla caduta dei suoi oggetti; se ha ricreato un mondo nuovo, senza solo sforzarsi a riprodurre. Ancor più la filosofia vale, poi, se sa essere intenta in quella meraviglia accogliendo e mescolando armonie dissonanti, nella costituzione di un poema sinfonico di toni solo apparentemente vari ed originali, catturati nel senso di un registro preciso, fatti risuonare secondo un ordine, nell’apparente disordine dell’essere, nel sostanziale rigore ordinato d’un procedere metodico. C.G.R. Omaggio a Geymonat Per iniziativa dell’«Istituto Ludovico Geymonat per la Filosofia della scienza, la Logica e la Storia della scienza e della tecnica» e con la collaborazione del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano nonché del Teatro Franco Parenti, si è svolta a Milano il 30 novembre 1992 una giornata di studio in RICORDO DI LUDOVICO GEYMONAT a un anno dalla sua scomparsa (avvenuta il 29 novembre 1991 a Passirana di Rho). La serie degli incontri si è articolata in due momenti ben differenziati. Nella mattinata sono state presentate, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, le relazioni di Enrico Bellone, Giulio Giorello e Marco Mondadori, Gabriele Lolli, e Silvano Tagliagambe, che hanno fornito l’occasione ufficiale per la CONVEGNI E SEMINARI presentazione del volume di più autori, OMAGGIO A LUDOVICO GEYMONAT. SAGGI E TESTIMONIANZE (Franco Muzzio Editore, Padova 1992), nel quale figurano, oltre ai testi delle relazioni di Bellone, Giorello, Mondadori e Tagliagambe, molteplici “testimonianze”, tra le quali quelle di Francesco Barone, Umberto Bottazzini, Vincenzo Cappelletti, Domenico Costantini, Pietro Mangani, Carlos Minguez, Alberto Pasquinelli, Rossano Pancaldi e Mario Servi. In serata, presso il Teatro Franco Parenti, sono stati proiettati diversi brani di alcune interviste televisive a Geymonat, intercalate e “movimentate”, con il coordinamento di Corrado Mangione, da testimonianze dirette, affiancate dalla lettura di brani tratti dall’opera di Geymonat. Hanno cosí preso la parola Giulio Giorello, Edgardo Macorini, Inge Feltrinelli, Giò Pomodoro, Francesco Barone, Felice Burdino, Mario Capanna. Nella manifestazione tenutasi presso l’Università degli Studi di Milano, Enrico Bellone (“Storia della scienza: dal dogma del contesto all’approccio naturalistico”) e Gabriele Lolli (“Logica naturale e logica assiomatizzata”) hanno presentato due relazioni in cui hanno sviluppato liberamente le loro autonome riflessioni filosofiche lungo alcuni assi teorici già da tempo approfonditi, mentre, nel loro intervento, Giulio Giorello e Marco Mondadori (“Ludovico Geymonat e la filosofia della scienza”) hanno delineato un bilancio complessivamente in negativo dell’opera di Geymonat, che a loro avviso costituirebbe sí «un errore fecondo», ma del tutto inadeguato a farci comprendere gli sviluppi più recenti della logica e della filosofia della scienza contemporanee. Silvano Tagliagambe (“Ludovico Geymonat, filosofo della contraddizione”) ha invece preferito sviluppare un’attenta considerazione storico-critica dell’opera di Geymonat, muovendo dalla convinzione che in questo pensatore «il problema della contraddizione, a cui egli ha dedicato tanta attenzione, prima ancora che un nodo filosofico, sia stato per lui una questione esistenziale». Con un fine scavo interpretativo Tagliagambe ha cosí messo in evidenza il “nocciolo duro” della contraddizione che avrebbe vivificato l’intera riflessione di Geymonat: il problema della dialettica vecchio-nuovo. Tagliagambe parla esplicitamente di “contraddizione” proprio perché «di questo problema [Geymonat] ha fornito due risposte non solo radicalmente diverse, ma antitetiche a secondo che l’ambito del discorso concernesse il pensiero civile o quello specificamente epistemologico e scientifico». Secondo Tagliagambe, in ambito epistemologico Geymonat ha infatti elaborato una visione articolata - sostanzialmente continuista - del progresso della conoscen- za. La stessa nozione geymonatiana di “patrimonio tecnico-scientifico”, delineata in Scienza e realismo (Feltrinelli, Milano 1977), rappresenterebbe allora il tentativo più maturo e coerente di costruire un punto di vista in grado di «rintracciare il nuovo nel vecchio, o cercare di dire e vedere qualcosa di vecchio che però sia anche nuovo». Ma se in ambito epistemologico Geymonat difese una prospettiva che individua nell’ampliamento e nell’approfondimento una soluzione coerentemente dialettica del rapporto tra vecchio e nuovo, «in campo politico e sociale e in quello della cultura intesa in senso generale Geymonat assunse [invece] costantemente, per quel che riguarda il tema della dialettica tra vecchio e nuovo, tra tradizione e innovazione, una posizione ispirata a un radicale discontinuismo, all’esigenza di una frattura che spazzi via ogni residuo di un passato che altrimenti rischierebbe di pesare come un macigno su ogni prospettiva di autentica modernizzazione e di sviluppo, vanificandola». La proposta di Tagliagambe di porre al centro della riflessione geymonatiana “la sua contraddizione esistenziale” ribadisce in primo luogo come «proprio il profondo nesso [...] tra il pensiero e la prassi impedisce nel caso [di Geymonat] di scindere l’uno dall’altra al punto di sostenere l’intima gratuità e la totale indipendenza delle varie scelte (teoriche e pratiche). Pur dovendo quindi rifuggire da ogni visione schematica e semplificatoria delle relazioni tra le idee di un filosofo e le sue scelte concrete e operative, non si può neppure introdurre una separazione netta tra la sua biografia e la sua concezione filosofica». In secondo luogo l’intepretazione di Tagliagambe consente di reinterpretare anche l’adesione esplicita di Geymonat al materialismo dialettico: «lungi dall’essere soltanto espressione di un tardivo interesse filosofico, il riferimento al materialismo dialettico sarebbe pertanto lo sbocco di un percorso teso a chiarire a se stesso e agli altri come, in un impianto epistemologico accentuatamente continuistico, potesse trovar posto la convinzione che, al contrario, le società abbiano periodicamente bisogno di rinnovarsi sin dalle radici, rinnegando il proprio passato. Razionalità scientifica e rivoluzione politico-sociale: questi i termini di confronto con cui Geymonat epistemologo, tenacemente impegnato a difendere le ragioni dell’approfondimento e partigiano combattente, nemico di ogni forma di compromesso, si è trovato a dover fare i conto nelle fasi salienti della sua intensa vita». Del resto proprio questo carattere - invero decisivo per comprendere in tutte le sue reali e molteplici sfacettature la stessa personalità culturale di Geymonat - è stato al centro dell’intervento serale, al Teatro Franco Parenti, di Mario Capanna, che ha sottolineato l’inadeguatezza e la dissonanza della decisione di separare in due diversi momenti della giornata di studio l’aspetto 48 filosofico-scientifico dell’impegno di Geymonat da quello sociale e politico (non meno appassionato e intenso) della sua intensa lotta civile. Con questa scelta - ha ancora sottolineato Capanna - si rischia di porre tra parentesi proprio un aspetto decisivo della stessa modalità, profondamente unitaria, con la quale Geymonat ha cercato, nel corso di tutta la sua vita, di legare strettamente la sua riflessione filosoficoscientifica con un’attività civile non meno coerente e appassionata. Di questo sono testimonianza le differenti “fasi” e le varie “forme” che in Geymonat ha assunto non solo la sua riflessione epistemologica (che ha preso le mosse da una fase inizialmente positivistica per poi avvicinarsi ad una forma neopositivista superata dall’elaborazione di un neorazionalismo neoilluminista, cui ha fatto poi seguito l’apertura nei confronti di uno storicismo realista, che a sua volta ha infine trovato un suo approfondimento nell’adesione esplicita ad un materialismo dialettico profondamente rielaborato e reinterpretato alla luce della stessa tradizione neorazionalista), ma anche la sua stessa riflessione etico-civile (che ha subito anch’essa una profonda trasformazione, passando da una forma di adesione alle prospettive del rigorismo etico-religioso di Martinetti, arricchito dalla lezione di Juvalta, ad una forma di moralità laica neoilluminista che si è infine sposata con l’adesione esplicita ad una prospettiva di rigoroso e coerente materialismo ateistico e dialettico). In ogni caso è lungo questa direzione di indagine storico-critica che potrà essere sempre meglio compreso il singolare ruolo propulsore decisivo che Geymonat ha oggettivamente esercitato nel quadro del panorama filosofico, culturale, civile e politico italiano. Espressione significativa di questo ruolo è una frase dello stesso Geymonat, tratta da Studi per un nuovo razionalismo (Chiantore, Torino 1945): «Come, nell’aritmetica, il filosofo critico riconosce l’irriducibilità reciproca dei vari concetti di numero; come, nello studio della causalità, riconosce che esistono diversi rapporti di causazione inconfondibili fra loro; cosí, nello studio delle esperienze della vita non conoscitiva, riconosce l’esistenza di tipi di fenomeni irriducibili gli uni agli altri, i fenomeni della vita individuale e quelli della vita collettiva. La grande conquista del razionalismo moderno sta tutta qui: nel non forzare la realtà, nel non aver paura del molteplice, nell’evitare per principio qualunque unificazione infondata e artificiosa. L’amore della coerenza, che spinge il metafisico a falsare i dati fenomenici, è un falso amore. Chi ama effettivamente la coerenza, ama sopra tutto la sincerità; ama di non confondere i fatti, di non rivestirli di frasi imprecise e vuote di senso [...]. Il vero filosofo è colui che ama il rigore, la chiarezza, l’esattezza, anche allorché queste lo costringano a rinunciare a sintesi grandiose, piene di fascino e di bellezza». F.M. CONVEGNI E SEMINARI Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra 49 CONVEGNI E SEMINARI Omaggio a Dal Pra Organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze, in collaborazione con la sezione fiorentina della Società Filosofica Italiana e la società editrice La Nuova Italia, si è svolto a Firenze il 2 febbraio 1993, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi, un incontro dal titolo: MARIO DAL PRA: FILOSOFIA E POLITICA, in ricordo del pensiero e dell’opera del filosofo, scomparso nel febbraio del 1992. Presentati da Alfonso Ingegno, in qualità di moderatore, e da Maria Moneti Codignola, sono intervenuti Eugenio Garin, Enrico I. Rambaldi e Fabio Minazzi. La figura e l’opera di Mario Dal Pra è stata al centro anche di un ricordo promosso dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Genova e svoltosi nella sala della Meridiana presso il Palazzo universitario centrale dell’ateneo genovese il 31 marzo 1993 per iniziativa di Luciano Malusa, attuale direttore del Dipartimento di Filosofia di Genova. A Milano, presso la Casa della Cultura, si è tenuto infine il 22 marzo 1993, un incontro incentrato sulla figura e l’opera di Mario Dal Pra, al quale hanno partecipato Giorgio Lanaro, Fulvio Papi, Enrico Rambaldi, Mario Spinazzola. Nell’incontro di Firenze Eugenio Garin ha letto un’ampia relazione, nella quale ha dato conto dell’intero sviluppo del pensiero di Dal Pra, dall’iniziale adesione al realismo maturato nel quadro della sua formazione universitaria padovana, al suo avvicinamento alla lezione kantiana, alla sua lettura dei testi di Benedetto Croce per giungere infine alla stagione delle felici monografie storiche che hanno spaziato dal pensiero greco a quello medievale, dalla filosofia dell’età moderna a quella dell’età contemporanea. La relazione di Garin si è svolta con la consueta puntualità che ha consentito di delineare un quadro a tutto tondo dell’intensa attività culturale e civile di Dal Pra. Garin, infatti, oltre ad aver ricordato puntualmente la produzione filosofica e storica di Dal Pra, non ha omesso di segnalare l’importanza e il significato della sua opera come organizzatore della cultura, non solo come docente (prima come docente liceale, poi come docente universitario di storia della filosofia, nonché come direttore del centro di ricerca del C.N.R. di Milano, espressamente dedicato ai problemi dello studio della storia del pensiero filosofico del Cinquecento e del Seicento nelle sue relazioni con il pensiero scientifico), ma anche come direttore e ispiratore di molteplici collane (prima presso l’editore Bocca di Milano, poi presso la società editrice La Nuova Italia di Firenze, infine presso l’editore Franco Angeli di Milano). Alla luce di questo quadro sistematico la relazione di Enrico I. Rambaldi ha invece approfondito soprattutto una pagina poco nota dei primi anni di attività di Dal Pra. Rambaldi ha infatti concentrato la sua attenzione sulla collaborazione intensa e assidua prestata da Dal Pra ad una rivista di cultura come «Segni dei Tempi» negli anni successivi alla sua laurea in filosofia e precedenti il suo incontro critico con l’immanentismo neoidealista crociano. I diversi riferimenti puntuali ad articoli poco noti del giovane Dal Pra hanno cosí permesso di ricostruire l’inquietudine della sua ricerca culturale, che lo ha progressivamente indotto a riflettere criticamente sulla sua stessa formazione iniziale trovando stimoli e suggerimenti teorici in varie correnti di pensiero (in particolare nell’opera di Zamboni - già espulso dall’Università Cattolica di Milano - che lo ha aiutato in modo fondamentale a scoprire l’importanza e il significato della tradizione dell’empirismo antico e moderno). Fabio Minazzi ha invece preferito illustrare il profondo nesso esistente nell’opera di Dal Pra tra il piano della riflessione filosofica e quello del suo impegno politico. Da questo punto di vista si è cosí preso in considerazione soprattutto il significato dell’adesione di Dal Pra al Movimento di Liberazione italiano e si è cercato di illustrare il significato civile e culturale della sua adesione al movimento partigiano. La considerazione di questo aspetto poco indagato, ma in realtà decisivo per comprendere non solo la personalità di Dal Pra, ha del resto offerto l’opportunità di considerare l’opera dalpraiana alla luce di un suo potente criterio ispiratore, che se aiuta a comprendere il lungo viaggio attraverso il fascismo che questo studioso ha compiuto negli anni Trenta, deve anche essere tenuto presente per capire nella sua dinamica più profonda il significato di tutto il suo impegno culturale e civile posteriore, dispiegatosi in modo coerente ed unitario dal secondo dopoguerra fino agli ultimi mesi della sua vita. In apertura dell’incontro di Genova, Luciano Malusa ha voluto sottolineare l’importanza e il significato dell’opera e del pensiero di Dal Pra non solo per coloro che si sono formati a diretto contatto con il suo vivo insegnamento orale, ma per tutti gli studiosi italiani che hanno sempre trovato negli scritti di Dal Pra e nella sua opera di studioso un punto di riferimento importante, nonché un giudice coscienzioso e un prezioso collaboratore ed ispiratore di molteplici iniziative. La rievocazione dell’opera di Dal Pra, affidata dagli organizzatori a Fabio Minazzi, in sostituzione di Enrico I. Rambaldi, che per gravi motivi ha improvvisamente dovuto rinunciare all’impegno già concordato, ha messo in evidenza come Dal Pra abbia elaborato, nel corso della sua intensa attività di studio, una sua prospettiva filosofica originale che gli ha consentito di 50 fecondare in modo decisivo le sue stesse ricerche storiografiche. Sulla base di questa indicazione l’iniziativa genovese si è cosí ricollegata a quella fiorentina nello sforzo di sottolineare come l’opera e il pensiero di Dal Pra non possano non essere considerate un punto di riferimento fondamentale per l’intero dibattito filosofico e storiografico italiano del Novecento. Una medesima considerazione ha attraversato gli interventi all’incontro in ricordo di Dal Pra organizzato alla Casa della Cultura di Milano. Mario Spinazzola, ricordando la disponibilità di studioso di Mario Dal Pra e la sua sensibilità al problema dei rapporti fra cultura e politica, ha inquadrato in questa prospettiva il suo impegno con la Casa della Cultura, in merito allo sviluppo di una politica culturale rivolta alla città. In Dal Pra, ha ricordato Spinazzola, l’impegno di studioso non fu mai disgiunto dalla coscienza del valore etico della ricerca; ciò lo spinse a considerare sempre la valenza culturale, cioè sociale e politica, del proprio impegno in campo filosofico. A questo stesso proposito Fulvio Papi ha sottolineato come la figura di Dal Pra fosse quella di un “uomo del dovere”, con un forte senso della propria missione di studioso e di cittadino. In particolare, dal punto di vista teoretico, Papi ha ricordato la contiguità della posizione di Dal Pra all’empirismo critico di Giulio Preti, di cui Dal Pra condivideva, a suo parere, l’estrapolazione di uno strumento d’indagine razionale e critica della realtà, oltre che di ricostruzione della medesima. In questo senso, di Preti Dal Pra condivideva l’evoluzione dall’empirismo logico degli anni Cinquanta a un razionalismo critico di stampo cassireriano. Il momento estremo della ricerca teoretica pretiana è anche, per Papi, il punto d’approdo di Dal Pra, che dà conto della dimensione di apertura in cui per lui la riflessione filosofica si colloca, nei suoi rapporti con le altre manifestazioni del pensiero umano. Maria Teresa Beonio Brocchieri ha ricordato invece l’impegno di Mario Dal Pra nello specifico settore della storia della filosofia medievale, soffermandosi in particolare sugli studi da lui dedicati all’etica di Abelardo. Da questo punto di vista, Dal Pra aprì nuove strade, oltre la tradizionale - e risalente a Bernardo, cioè a un contemporaneo di Abelardo - interpretazione relativa al “razionalismo abelardiano”. Dal Pra collocò invece la riflessione di Abelardo in contrapposizione all’istanza ascetica da un lato, e a un’etica precettistica (con il suo rapporto di scambio di tipo aritmetico fra pena e peccato) dall’altro. La posizione etica di Abelardo venne ricondotta a quella da lui assunta in ambito logico: come la vox diventa significativa solo attraverso l’investimento di significazione compiuto dalla collettività umana, così un atto è moralmente significativo solo nell’assunzione di responsabilità, cioè di consapevolezza e volontarietà, da parte di chi lo commette. CONVEGNI E SEMINARI Giorgio Lanaro ha poi ricordato l’interesse di Dal Pra nei confronti della storia della filosofia italiana fra Ottocento e Novecento, nel panorama della quale egli riteneva che alcuni autori avessero successivamente avuto un impatto inferiore rispetto alla loro effettiva portata teorica. In questo senso Dal Pra volle riportare alla luce il positivismo italiano, che dopo la condanna dell’Idealismo era rimasto a suo parere ancora sottovalutato, nonostante il lavoro intrapreso da Ludovico Geymonat. A questi pensatori “minori” del panorama filosofico novecentesco italiano Dal Pra applicò la sua capacità, analitica e onnilaterale insieme, di lettura dei testi; ciò gli permise da un lato di evitare apologie ed enfatismi, dall’altro stroncature sommarie. Enrico Rambaldi ha infine voluto portare l’attenzione sul fatto che la ricerca storiografica di Dal Pra si sia svolta sotto il segno di un unico, seppur cangiante, interesse teorico, che si articolò a suo parere in tre momenti. Il primo di essi riguarda la giovinezza di studioso di Dal Pra che, all’indomani della laurea, prendendo le mosse dalla formazione cristiana (che permase sensibile almeno fino alla sua partecipazione alla Resistenza), elaborò categorie - come quella di amore - finalizzate alla creazione di una filosofia del soggetto, intesa come filosofia dei rapporti intersoggettivi, basata sul rapporto dialogico io-tu, dove il personalismo cristiano si coniuga con il motivo della corporeità di ascendenza empiristica. Dopo la guerra si aprì, ha ricordato Rambaldi, il periodo di riflessione che Dal Pra dedicò al “trascendentalismo della prassi”, configurazione teorica elaborata in collaborazione con Andrea Vasa; in questa prospettiva va letta, fra l’altro, la monografia dedicata a Hume. Di questa fase di pensiero Rambaldi ha ricordato l’attenzione che Dal Pra rivolgeva alla dimensione del futuro, come capacità di una filosofia di aprire nuove prospettive. Il terzo periodo (per il quale Rambaldi considera esemplare la monografia di Dal Pra dedicata alla dialettica in Marx), consiste nell’incontro con Giulio Preti, ma trascende il rapporto che Dal Pra intrattenne con questo filosofo. In questa fase Dal Pra tematizzò quelle strutture metastoriche (la cui esistenza era precedentemente da lui negata) che sottendono l’interpretazione della realtà svolta da ciascun pensatore. Sono proprio tali strutture, ha concluso Rambaldi, a fondare nell’ultimo Dal Pra la comparabilità di una filosofia con un’altra, permettendo così la sortita, in campo filosofico, dal solipsismo. F.C./F.M. In omaggio all’esempio di impegno filosofico e vita civile che Mario Dal Pra rappresenta, presentiamo qui di seguito un’intervista al filosofo, condotta da Stefano Logiurato il 17 ottobre 1991. D. Quando e perché ha deciso di diventare filosofo? R. Molto giovane. Vivevo ancora nel Veneto. Eravamo intorno al ’32/’33. Il Fascismo era già in crisi. Risentiva della critica di alcuni movimenti politici, in particolare di quello religioso. Una scelta del genere non rappresentava soltanto un particolare indirizzo di studi, ma un preciso atteggiamento nei confronti del regime. Io, educato in una prospettiva religiosa, avevo una certa attitudine critica nei confronti dell’orientamento fascista. Mi rivolsi agli studi filosofici con l’intento di risolvere alcuni problemi: il rapporto individuo-società, libertà-moralità, disciplina collettiva, criteri di azione. A Padova esisteva un nucleo di studiosi che faceva riferimento alla tradizione del Positivismo. Ero convinto che in questa corrente, che risaliva agli ultimi anni dell’800, avrei potuto trovare una sorta di personale orientamento. D. Cosa è cambiato durante gli anni della guerra? R. Ho completato i miei studi a Padova. Dopo un periodo di insegnamento universitario sono passato prima al liceo di Rovigo poi al Pigafetta di Vicenza. Quando, nel ’43, la crisi investì anche la società italiana e iniziava ad organizzarsi la Resistenza, dovetti lasciare Vicenza per non essere imprigionato; mi trasferii a Milano in forma clandestina. Milano era il principale punto di riferimento di tutti i partiti di allora. Io entrai a far parte di quel nucleo di uomini di cultura che costituirono il Partito d’Azione: uno di quei gruppi che si proponeva di rinnovare la società italiana, non riprendendo in forma indiscussa il socialismo, ma attraverso una rielaborazione della nostra tradizione. D. Come si è articolato il suo pensiero alla luce di queste esperienze? R. Allora come oggi guardo alla filosofia sia come ad un metodo critico di organizzazione del sapere, sia come a un criterio per l’azione. La filosofia, di fronte alla cultura, deve organizzare i principi della disciplina del discorso umano: analizzare le strutture formali del linguaggio. Fare filosofia è parlare in modo disciplinato. Tuttavia l’uomo vive nella propria realtà storica. Deve sapere come orientare le proprie scelte. Perciò il modo in cui l’individuo deve essere fatto responsabile delle proprie scelte, il rapporto fra singolo e società, la maniera in cui l’uomo deve essere disciplinato verso la medesima secondo certi criteri, sono diventati il principale oggetto del mio studio da un lato e del mio insegnamento dall’altro. Ho insegnato filosofia per più di cinquant’anni. E ho sempre tentato di farlo non in astratto, ma con la precisa intenzione di andare a cercare quali erano i suggerimenti più importanti che la storia della filosofia poteva dare per la filosofia, e cioè per l’orientamento mentale dell’uomo nella società moderna. D. In una fase di rivisitazione dei contenuti della nostra cultura i filosofi dovrebbero avere un ruolo fondamentale, eppure si 51 sentono poco. Perché? R. I filosofi fanno sentire poco spesso la propria voce perché accentuano molto l’aspetto astratto della propria disciplina, poco quello concreto e storico. Eppure tutti conosciamo il professor Bobbio. Ha speso una vita intera a sviluppare e organizzare “logicamente” il linguaggio scientifico. Un’attività un po’ astratta, potremmo pensare. Tuttavia il professor Bobbio è molto sensibile ai cambiamenti della società. Ogni volta che si presenta un problema di carattere operativo di una certa importanza, interviene con molta decisione e lucidità mentale. Non sempre avrà ragione. Però non tace. Non si mette al margine estremo della strada e osserva gli altri che agiscono per lui. Questo è il mio modo di intendere la filosofia. D. Norberto Bobbio però ha affermato, durante la Guerra del Golfo, che ci sono dei momenti in cui il filosofo non ha risposte da dare. I filosofi hanno una risposta ai problemi di oggi? R. Può capitare che il filosofo in quanto tale non riesca ad assumere nei confronti dell’immediata realtà che lo circonda una posizione da filosofo, ma solo da uomo. Il filosofo deve avere tempo, studio e distacco emotivo sufficienti per potersi esprimere in situazioni come quella del Golfo. Tuttavia se il filosofo considera i problemi della società in cui vive in una prospettiva storica, deve sempre avere una risposta. Si è soliti dire che la filosofia è l’uso logico della ragione. L’uso della ragione deve essere applicato all’esperienza, non solo a forme astratte. Il filosofo stesso non sarebbe in grado di svolgere il proprio lavoro nell’ambito dell’astrazione se non fosse inserito in una società, legato agli altri uomini, responsabile con loro. Nel libro che sto scrivendo intendo appunto sottolineare questa duplice attività della filosofia: ragione e storia. Omettendo una delle due, ci troviamo in situazioni simili a quelle attuali, per cui vi è un gruppo di individui che vive la propria cultura, mentre gli uomini che si assumono le responsabilità sono altri. D. Durante gli “anni dell’impegno”, subito dopo la guerra, i partiti incarnavano l’ideale mazziniano di “crogiuolo” di teoria e prassi, rappresentando un punto di riferimento per la società. Oggi non è più così. R. In quel periodo si creò un’ampia discussione che investiva problemi comuni a tutta la società italiana. Si è aperta col tempo una progressiva spaccatura fra teoria e prassi. Chi fa esercizio dell’attività razionale contribuisce poco all’attività storica. Chi deve provvedere alla realtà storica, non trova una guida adeguata e disponibile in coloro che esercitano attività razionale. La spaccatura fra ragione e storia è espressione delle forti divisioni e incomprensioni da cui la nostra società è caratterizzata, anche, o forse soprattutto, a causa della filosofia e dei filosofi. Ad ogni modo CONVEGNI E SEMINARI io mi sento ottimista: il mondo di oggi rispetto anche soltanto a quello di quarant’anni fa, sta progressivamente aprendosi verso un cosmopolitismo almeno cult u r a l e . D. Ma come sarà possibile un rinnovamento dei partiti in mancanza di una sinistra? R. Più che della sinistra è avvenuto un indebolimento della sinistra dogmatica. Le guide che per molti rappresentavano un punto di riferimento oggi appaiono a tutti lontane, per non dire fasulle. Ma è una crisi assolutamente necessaria. In questi anni abbiamo potuto capire che molte delle tesi prospettate da questo socialismo dogmatico sono irraggiungibili, oltre a portare con sé una quantità di condizioni intollerabili. E in questa struttura che va in crisi, stiamo assistendo all’apertura della storia. La storia diventa crisi: crisi quotidiana, da cui bisogna uscire, con il contributo di tutti, soprattutto dei filosofi. Bisogna faticare ora, come nel periodo successivo alla guerra, per porre le nuove fondamenta della nostra società. D. Dopo più di 50 anni di insegnamento, quale pensa siano le prospettive dei giovani filosofi? R. L’ideale sarebbe prendere una specializzazione, ad esempio medicina, e attraverso la filosofia trovare una strada che permetta di sviluppare al meglio la propria competenza professionale nel più completo connubio di ragione e storia. Ho potuto notare, infatti, che i giovani tendono a chiudersi nelle proprie astrazioni: ci sono alcuni giovani medici, per esempio, che vivono la propria professione nella sua cieca quotidianità senza studiare come il proprio settore è organizzato e come opera sugli uomini; allo stesso modo molti sono i giovani che limitano la filosofia ad una discussione puramente teorica, lasciando che questa stessa disciplina diventi per loro una prigione. Esegesi ed epistemologia nel Seicento Con un seminario sul tema: SCIENZA E BIBBIA NEL SEICENTO , svoltosi dal 15 al 18 febbraio 1993 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, JeanRobert Armogathe ha focalizzato in una prospettiva ermeneutica i più significativi cambiamenti dei paradigmi esegetici e scientifici nel secolo XVII. Il secolo XVII, epoca di inquiete riflessioni e di complessi cambiamenti, risulta pervaso dalla considerazione dei testi sacri in relazione all’avventurosa scoperta del gran libro del mondo, che si dispiega davanti agli occhi dello scienziato e alla sensibilità dell’esegeta; la contemporanea crescita dell’esegesi e dell’epistemologia, ha osservato Jean-Robert Armogathe, ingenera ten- sioni e promuove dibattiti non secondari per la determinazione di un nuovo stile scientifico, spingendo ad interrogarsi sui sensi delle Sacre Scritture e sugli apporti della tradizione e dei Padri della Chiesa. Estius, ad esempio, reputa che il mondo sia un grande testo, composto dalla sapienza divina, che va integrato con l’attenta lettura delle Sacre Scritture, da cui è possibile ricavare i caratteri della scienza di Adamo e i limiti delle sue conoscenze in campo cosmologico. A questa concezione si contrappone Pereira, noto esponente del Collegio romano, che sostiene, invece, la necessità che Adamo conoscesse le leggi dei cieli su cui si basa la scienza di Dio e degli angeli, oltreché quella delle cose del monddo sub-lunare. Nell’ambito dell’esegesi risulta fondamentale, secondo Armogathe, la riflessione di Mersenne, tesa a dimostrare ai discepoli di Keplero e Galilei che i teologi cristiani non seguono solo Aristotele e non parlano contro la ragione, ma possono ammettere la dottrina dell’anima del mondo, il magnetismo, più di quattro elementi, differenti princìpi della natura e delle cose. Marsenne, come molti esegeti, è legato strettamente all’interpretazione letterale del testo mosaico, che va interpretato secondo quattro regole: la tropologia scritturistica, il modo umano dell’espressione dei tropi, la considerazione della difficoltà di una lettura univoca e sempre uguale, il ricorso all’autorità ecclesiastica. Cartesio, d’altra parte, ribadisce la difficoltà estrema di un commento del Genesi e parla dell’esistenza di questioni di pura ragione, come la quadratura del cerchio o il problema della pietra filosofale. Il cartesianesimo, nota Armogathe, fu un elemento di dibattito e di accesa discussione, non solo in campo epistemologico, ma anche in quello teologico. Esemplare è, a questo proposito, la difficoltà d’intesa tra Cartesio e Comenio. Alla separazione tra fisica e teologia, Comenio risponde con il suo progetto di una fisica cristiana, che si opponga agli errori di Cartesio e di Ludovico Meyer: i primi fondamenti della filosofia sarebbero nelle Scritture e ad esse bisognerebbe accedere con fiducia anche in relazione alle questioni epistemologiche. Molti autori, tra cui il Mastricht, ripudiano il cartesianesimo e la pretesa di un’assoluta autonomia della ragione, di un insindacabile arbitrato dell’intelletto sui Testi sacri. Il Seicento esegetico ed epistemologico, ha inoltre notato Armogathe, non fu insensibile alle suggestioni del De rerum natura, pubblicato dal Bracciolini, e alla lettura degli scritti di Diogene Laerzio. Il dibattito sull’atomismo si accende intorno alla misteriosa figura di Mochus, che visse prima della guerra di Troia e teorizzò la dottrina degli atomi: Mochus fu infatti ritenuto, sebbene con cautela, il Mosè della Bibbia. A tali suggestioni, derivabili anche dall’opera del Trapezunzio, non fu certamente estraneo Comenio: il 52 Genesi, a suo avviso, avrebbe parlato della materia, dello spirito e della luce, affermando che, in principio, vi fu un caos di atomi dispersi che Dio, come si legge nel Libro dei Proverbi, ordinò secondo leggi e t e r n e . Armogathe ha ricordato, a questo proposito, che nel vasto scenario delineato ha molta importanza il giovane Galileo che, dando una lucida e razionale interpretazione dell’inferno dantesco, ha anche delineato chiavi di lettura e tendenze ermeneutiche che si protraggono sino alle indagini di Newton sul tempio di Salomone; del resto, proprio le questioni della luce e soprattutto dell’arcobaleno, di cui si parla nella mitologia classica e nella descrizione della fine del diluvio universale, richiama alle scoperte del fisico inglese, che resero ancor più stringenti le domande sulle leggi naturali prima del diluvio e sulla scelta divina dell’arcobaleno come simbolo dell’alleanza con l’umanità. Già Aristotele, sebbene non conoscesse le leggi della rifrazione, aveva dato contributi matematici notevoli sulla natura e l’arcuazione dell’arcobaleno, cui vanno aggiunte le notevoli intuizioni del Grossatesta. D’altra parte, la questione dell’arcobaleno, ha aggiunto Armogathe, è stata ritenuta cruciale anche da Cartesio, che di essa fece un esempio paradigmatico del suo metodo e dell’inconsistenza dei manuali del tempo. Tale problematica, analizzata anche da Mersenne e da Gassendi, fu inoltre oggetto di riflessione per Pereira, che difese l’ordine naturale del mondo e la costanza delle leggi cosmiche prima e dopo il diluvio universale. L’intricata e complessa interazione tra esegesi ed epistemologia non può prescindere, ha osservato Armogathe, da una nuova consapevolezza del tempo e dei suoi innumerevoli paradossi. Con l’introduzione della seconda lancetta dell’orologio il tempo è infatti diviso in minuti e la sua scansione tende a farsi più omogenea: gli sforzi di sincronizzazione degli orologi fervono, mentre l’iconologia, anche tramite l’immagine della tangenza al sole della ruota del tempo, tende a focalizzare l’attenzione sull’istante. Il problema entra prepotentemente nella drammaturgia: la frattura temporale induce il teatro a dilatarsi fino a inglobare il mondo, e la tensione scenica, portata spesso all’estremo delle sue capacità espressive, sembra descrivere gli ambigui velami della natura, con accenti che richiamano Bacon ed altri che rimandano al pessimismo di Hobbes. Non a caso, in Re Lear, Glaucester ed Edmund discutono appassionatamente dell’astrologia e del cosmo; né si può dimenticare la polemica di Ben Johnson verso Jones, accusato di essere troppo meccanicista nella sua concezione artistico-antropologica e definito un iniquo Vitruvio che troppo facilmente riduce la varietà e complessità delle cose. La problematica del tempo, ha notato Armogathe, è molto articolata nelle interrogazioni che Arnould invia a Cartesio: la que- CONVEGNI E SEMINARI stione della durata mentale e della successione del fluire del tempo è strettamente legata al tema della Grazia attuale e dell’intervento di Dio nell’anima. Del resto, l’indagine teologica ferve intorno a quella misurazione del tempo, indispensabile per le esigenze del culto, che l’istituzione ecclesiastica è impegnata a riformare tramite le variazioni del calendario. Nell’ambito del dibattito sul tempo, non possono poi essere trascurate le scoperte legate allo studio del pendolo, dell’isocronia, della cronometria, delle piccole oscillazioni di tempo. La discussione sul tempo della scienza e sul tempo degli angeli, il dibattito sul tempo umano e su quello della Grazia, le indagini teologiche di giansenisti e molinisti dà il senso di una frattura e porta a riflettere sulla componibilità del tempo. F.De C. Lo spazio dell’immaginazione Dall’8 all’11 marzo 1993, presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, John Sallis ha tenuto un seminario sul tema: THE SPACE OF IMAGINATION (Lo spazio dell’immaginazione). Problematizzandone il concetto così come esso si presenta nelle varie teorie della soggettività degli ultimi due secoli, e soprattutto nel pensiero di Edmund Husserl, Sallis ha affrontato la questione del ruolo fondamentale che la fantasia riveste nell’intenzionalità fenomenologica. L’immaginazione viene ad essere concettualmente determinata e distinta dalla percezione, come oggetto d’indagine filosofica, e dunque sottoposta a interrogazione circa la sua attendibilità e “verità”, a partire dal Romanticismo. Nel Romanticismo inglese immaginazione e verità appaiono fortemente connesse, come emerge dall’affermazione di Coleridge: «Io ritengo essere l’immaginazione primaria il potere vivente, e l’agente originario di ogni percezione umana.» Le fondamenta di tale priorità originaria sono reperibili a livello speculativo nell’opera di Kant, Fichte e del primo Schelling. Per Kant l’immaginazione gioca anzi un ruolo essenziale nel rendere possibile l’apparenza delle cose nella loro verità, rappresentando nell’intuizione un oggetto anche senza la sua presenza. Una definizione più elaborata dell’immaginazione la darà Fichte nella Dottrina della scienza, per cui l’immaginazione è non solo il potere di causare una sintesi (immaginazione produttiva) dove le opposizioni sarebbero cancellate, ma piuttosto un potere di essere sospeso (Schweben) tra gli opposti, così da tenerli insieme nella loro opposizione. Una certa ripresa di tale verità problematica dell’immaginazione, ha osservato John Sallis, la si può ritrovare nella fenomenologia di Husserl per quanto riguarda la funzione cruciale assegnata all’immaginazione nella visione d’essenza, in virtù del primato metafisico riconosciuto da Husserl alla “presenza”. Sospesa tra presenza dell’oggetto e orizzonte, l’immaginazione finisce con l’invadere la spazializzazione percettiva...Questo sconfinamento è riscontrabile, secondo Sallis, anche nel volume dell’opera postuma di Husserl dal titolo: Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung (Husserliana, vol.XIII). Avendo l’immaginazione come “oggetto”, e non come “agente” della fenomenologia stessa, Husserl distingue tra “fantasia” e “coscienza di immagine”, la quale implica la cosa fisica, la sua immagine-oggetto, e ciò che a partire da questa è immaginato (immagine soggetto), mentre la fantasia fa a meno della cosa fisicamente presente. Inoltre, ha aggiunto Sallis, quando appare l’immagine-oggetto, la cosa fisica non scompare, ma rimanendo connessa con l’ambiente attuale, dà all’immagine-oggetto il carattere della mera apparenza (in senso debole). Nella fantasia invece tale conflitto è assente, il che conduce Husserl a dubitare del parallelismo esistente tra le due forme di immaginazione, e a considerare la fantasia indipendentemente. Sallis propone un riorientamento dell’indagine circa il “posto” dell’apparire. Sulla base di una critica alle analisi di Husserl, è possibile condurre ulteriori analisi della spazialità specifica, caratteristica della fantasia e dell’immagine-coscienza nel loro differenziarsi dalla percezione. Ma a questo punto, ha osservato Sallis, occorre considerare l’immaginazione stessa come fonte di verità, e in particolare come un elemento attivo, un agente della fenomenologia stessa, laddove essa è alla base della visione d’essenza. La fenomenologia, pur dirigendosi «verso le cose stesse», si lascia guidare dall’immaginario, che sembra avere per esse il minimo rispetto... Di fatto, Husserl fonda l’intuizione d’essenza sull’intuizione individuale, o intuizione di fatto, sull’essere visibile dell’oggetto individuale; di conseguenza, ciò da cui può scaturire la percezione d’essenza non deve essere necessariamente una percezione; può bene essere una intuizione frutto di una intenzionalità non percettiva, immaginaria. Inoltre, la fantasia ha un privilegio decisivo sulla percezione a causa della sua incomparabile “libertà”. Ciò induce Husserl a un fecondo uso fenomenologico della fantasia, in direzione dell’arte e della poesia. Sallis ha infine analizzato alcune questione riguardanti l’attività della fantasia nella “visione d’essenza” e la relazione di tale visione con il linguaggio. Evidenziando punti di “indecisione” nella fenomenologia, Sallis ha cercato di mettere in evidenza una sfasatura nel concetto di intenzionalità, e con ciò di spezzare la subordinazione dell’immaginazione a quest’ultima. Fin 53 dalle Ricerche Logiche, infatti, Husserl interpreta l’immaginazione come intenzionale, subordinandola così alla percezione, ed espungendo le immagini dalla coscienza. Secondo la critica husserliana, non si può spiegare una qualunque percezione sulla base della rappresentazione immaginaria, perché quest’ultima presuppone la percezione. Husserl applica tale obiezione critica ad un certo tipo di rappresentazione immaginaria, che è l’immagine-coscienza; tuttavia, niente impedisce che un’immagine immanente, non-intenzionale dell’essere sia conservata come contenuto per l’atto intenzionale. Una simile duplicità può essere individuata nella fantasia, ma anche nell’immanente contenuto di senso che Husserl ritiene essere parte integrante della percezione e che descrive come se fosse un’immagine, che, se da una lato è presente soltanto nella solitaria e personalissima esperienza di ciascuno, dall’altro è l’immagine di un oggetto, appartenente cioè ad un oggetto come lo è un profilo presente. Una volta decostruita, tale duplice immagine è così pronta per essere conservata al centro della percezione. L’atto intenzionale, ha osservato Sallis, andrebbe in tal senso ridefinito, in quanto non può essere né interpretazione, né apprensione, bensì in atto di risoluzione della duplicità dell’immagine, che libera l’immaginazione dalla sua subordinazione all’intenzionalità, avendo mostrato che è quest’ultima ad essere per così dire contaminata dall’immaginazione. E.De C. Soggettività e concetto in Hegel Presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Leo Lugarini ha tenuto, dal 15 al 19 marzo, un seminario sul tema: LA SOGGETTIVITÀ NELLA LOGICA HEGELIANA, mettendo in evidenza il merito della filosofia hegeliana di non chiudere la problematica della soggettività e del concetto in astrazioni solipsistiche: al di là della difficoltà dell’approccio alla pagina hegeliana, si svela, infatti, un mondo ricco e complesso, dinamico e mobile. Uno dei punti di forza del pensiero hegeliano, ha esordito Leo Lugarini, sta nella capacità di riallacciarsi alle problematiche kantiane e ampliarne gli orizzonti speculativi. E’ il caso della problematica del concetto, che Kant ha analizzato sia per distinguere l’intelletto dalla più vasta problematica del giudizio, sia per caratterizzare l’intelletto come facoltà dei concetti determinati. Hegel, a questo proposito, intende anzitutto riflettere sull’attività di concettualizzazione in generale, che è attività di negazione dialettica e autonegativa, superamento dell’essenzialità e scaturigine lo- CONVEGNI E SEMINARI gica dell’effettuale. Lugarini ha ripercorso lo sforzo hegeliano di cogliere, nella disamina dei concetti determinati di stampo kantiano, l’unità logica e razionale che li sostiene e dà loro consistenza. Il concetto, infatti, si divide costitutivamente nel giudizio e si ritrova nella forma del sillogismo: tale sviluppo ha come base la forza propulsiva della ragione, la cui funzione invera quel bisogno di unità che Kant aveva avvertito nella formulazione della dottrina dello schematismo trascendentale. Il concetto è dunque un tutto vivente e razionale, polare e sintetico, articolato nella viva connessione di universalità, particolarità ed individualità. Alle astrazioni della logica tradizionale, Hegel risponde con la convinzione razionale che l’universale è concreto: esso non si chiude in connessioni intellettuali o intellettualistiche, ma si apre alla totalità e alla vita. L’universale si dirime in primo luogo in soggetto e predicato. Questa divisione è connaturata allo sviluppo del concetto, ma denuncia anche l’impossibilità di fermarsi all’intelletto e alle sue partizioni: il giudizio è, infatti, l’originaria divisione dell’identità originaria. Proprio la non congruenza tra soggetto e predicato, ha osservato Lugarini, implica il problema della natura e della partizione logica dei giudizi, al di là delle inadeguatezze del giudizio categorico e in vista dell’articolazione del concetto nella struttura del giudizio di- sgiuntivo. Tale connessione non risolve però la problematica del concetto, né consente di dispiegare pienamente le forze intrinseche alla razionalità: solo nel sillogismo, difatti, è possibile trovare il termine medio e la congiunzione intrinseca di ciò che è originariamente identico a sé. Nella sua trattazione del sillogismo, Hegel dà ampio risalto al sillogismo disgiuntivo, in cui il soggetto diviene l’universale, il genere e la specie si implicano vicendevolmente, l’identico e il diverso si relazionano in una connessione intima e in una inscindibile circolarità. Nel sillogismo, in pratica, il soggetto media e si media tramite le sue differenziazioni. A questo punto, ha notato Lugarini, si comprende perché Hegel affermi che l’idea assoluta è lo sbocco della logica e che il senso vero del pensiero si trova solo alla fine della sua trattazione: nella logica si considera il mondo, come è in sé e per sé, conformemente al concetto, e si studia il concetto come base del mondo effettuale. Hegel ricerca, pertanto, l’oggettività del concetto, la compiutezza e l’autosussistenza del concetto, l’autoproduzione dispiegata della vita spirituale. Hegel, ha ricordato Lugarini, ha guardato con grande acume nella complessa problematica del meccanicismo, del chinismo e della teleologia. L’effettuale ed il mondo ci appaiono, inizialmente senza volto, chiusi ed irrelati; il meccanicismo è la prima categoria con la Jena: piazza del mercato (1820) 54 quale guardiamo le cose e gli stessi atti spirituali. Eppure l’oggetto meccanico si dimostra contraddittorio nelle sue pretese di autosufficienza e nel suo legame con le altre cose per formare l’unità del mondo oggettivo. In effetti, ha notato Lugarini, nel chimismo e nel meccanicismo il concetto si concretizza soltanto nell’interno e all’esterno, denunciando ancora la necessità di superare l’unilateralità. Hegel analizza, allora, la problematica della teleologia. Il suo punto di riferimento è certamente Leibniz, che aveva distinto la causalità meccanica da quella finale; preminente è però il richiamo a Kant, di cui Hegel ricorda l’enorme merito di aver distinto, per primo, finalità interna e finalità esterna. Kant ha introdotto la problematica della vita e dell’idea, ma ha anche diviso recisamente il giudizio riflettente dal giudizio determinante: la relazione di scopo non rientra, per Hegel, nel giudizio riflettente, ma è anzi un sillogismo che unisce tre termini vivi ed articolati. Per Kant lo scopo rimanda all’oggetto di un concetto in quanto considerato causa del pensiero medesimo. Nella finalità c’è un superamento, addirittura un capovolgimento del rapporto causa-effetto, essendo possibile la reversibilità che la cieca necessità esclude: la causalità finale non trapassa in altro, ma si conserva; il concetto viene a se stesso attraverso l’oggetto da esso posto come medio sillogistico. Hegel, ha osservato Lugarini, ha sentito il bisogno di superare il legame, ancora estriseco, della stessa finalità soggettiva, aprendosi all’idea, che è unità assoluta del concetto e dell’oggettività. In effetti, l’attuazione dello scopo è il compimento del concetto nella sua essenziale libertà ed autosufficienza. Già Hegel, nel Frammento di Sistema, aveva chiarito che il vivente è organismo; più tardi avrebbe affermato che la vita è forma immediata dell’idea. La vita, dalla sua universalità indeterminata, si arricchisce del genere che si articola nella specie e, poi, nell’individuo; dinanzi alla natura inorganica il vivente è nella forma del sillogismo e, in esso, medi ed estremi si mediano e si scambiano nel rapporto circolare dell’universale concreto. La filosofia di Hegel, secondo Lugarini, può inserirsi pienamente nel tentativo di superamento della contrapposizione tra scienze della natura e scienze dello spirito. Hegel ha infatti prospettato un’impostazione filosofica, la cui forza sta nel porre in maniera nuova il problema dell’origine, l’impostazione della logica, la dottrina del concetto. La ragione, infatti, accetta le sfide dell’intelletto, ma è anche in grado di porre in aporia le stesse conquiste dell’intelletto, ricomponendo e sintetizzando gli opposti. In questo lavoro di ricomposizione l’oggettività non appare più come un dato fermo ed irrelato, ma come sussistenza del concetto. Il cammino della logica di Hegel approda, dunque, all’Idea assoluta e alla saldatura del concetto con l’effettuale, CONVEGNI E SEMINARI Johann Gottlieb Fichte e Georg Wilhelm Friedrich Hegel perché il concetto non è più una immobile forma sostanziale o un’entità metafisica separata dalla vita e dal concreto dispiegarsi del pensiero. F.De C. Fichte: la ricerca del fondamento Organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, si è svolto dall’11 al 15 gennaio 1993 un seminario di studi, tenuto da Giovanni Stelli, sul tema: LA RICERCA DEL FONDAMENTO: IL PROGRAMMA FILOSOFICO DELL ’IDEALISMO TEDESCO NELLO SCRITTO DI FICHTE “SUL CONCETTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA”. Il problema del fondamento, come problema centrale della filosofia fichtiana e dell’idealismo tedesco in generale è stato affrontato da Giovanni Stelli in due fasi distinte: una prima, di determinazione teoretica del problema; una seconda, di esposizione della soluzione di Fichte. Spunto del seminario sono le tesi contenute in un breve scritto di Fichte, Sul concetto della dottrina della scienza (1794), che costituisce un’introduzione al ben più noto testo: I fondamenti dell’intera dottrina della scienza (1794-95). Il programma esposto in questo scritto è quello di tutto l’idealismo tedesco; la sua originalità sta nel fatto che esso rappresen- ta l’ultima grande risposta ai problemi conseguenti dalla struttura antinomica del pensiero moderno, la cui origine risale alla scissione del nesso essere-valore, operata dalla rivoluzione scientifica e dalla critica distruttiva del finalismo. L’idealismo tedesco, ha osservato Stelli, rifonda l’ontologia teologica sulla base di un metodo trascendentale riflessivo: si tratta di ricercare il fondamento unitario nella differenza tra essere e soggettività; di fondare una teologia per sé in quanto struttura della ragione intesa come ragione-valore, fine in sé, fondamento ultimo del conoscere, dell’agire e dell’essere. Il discorso di Fichte sul fondamento riguarda il problema del nesso assoluto teoriaprassi, a partire dal quale i due termini si separano. La necessità della filosofia come scienza è appunto quella di fondare i principi di tutte le scienze a partire da un principio assoluto autodefinentesi. Ma, si è chiesto Stelli, è ancora possibile ragionare oggi in termini di fondazione in una situazione filosofica e spirituale, caratterizzata dal dominio di una concezione relativistica? In quest’ambito la ragione abbandona pretese eccessive e si pone come la moderna ragione critica opposta all’antica ragione dogmatica. Sul piano teoretico l’argomento fondamentale del relativismo contemporaneo, noto come trilemma di Munchhausen, è stato formulato da Albert, con l’intento di dimostrare che qualsiasi cono55 scenza, sia teoretica che pratica, è meramente ipotetica e che, pertanto, ogni pretesa di fondazione è impossibile in via di principio. Dimostrare, unicamente con l’aiuto di inferenze logiche, che un insieme di proporzioni deriva da una proposizione, assunta come principio assolutamente sicuro, è una necessità che si ripropone per la stessa proposizione che ha fondato il primo insieme di proposizioni. E’ a questo punto che si genera il trilemma: o abbiamo un regresso all’infinito; o abbiamo un circolo vizioso; o abbiamo l’interruzione del procedimento in un certo punto. Questa terza possibilità è proprio quella alla quale ha fatto ricorso la filosofia classica, appellandosi alla evidenza certa di determinati enunciati. Il razionalismo critico sostiene invece che la situazione aporetica generata dal trilemma può essere evitata solo se si rifiuta il modello gnoseologico classico, ossia il principio di ragion sufficiente, e si coglie al suo posto la metaproposizione che tutte le proposizioni sono ipotetiche. Tuttavia, ha osservato Stelli, l’assunzione di questo principio porta a negare ciò che invece esso vuole affermare. Dalla dimostrata impossibilità di aggirare il trilemma, bisognerebbe piuttosto dedurre che l’etica è impossibile e sviluppare fino in fondo, con coraggio teoretico, le conseguenze di una simile affermazione. Questo coraggio teoretico costituisce, secondo Stelli, l’aspetto più notevole, sia sul piano filosofico che su CONVEGNI E SEMINARI quello esistenziale, delle scarne ma profonde riflessioni sull’etica di Wittgestein: «L’etica non tratta del mondo, è piuttosto una condizione del mondo come la logica...In quanto entrambe sono condizioni intrascendibili del mondo non possiamo parlarne; esse possono solo in un certo senso mostrarsi». In rapporto a queste considerazioni il testo fichtiano, Sul concetto della dottrina della scienza, affronta, secondo Stelli, problemi molto importanti, come quelli relativi allo status della dottrina della scienza che, in quanto scienza, deve avere a suo fondamento, come tutte le scienze, un principio; e d’altra parte, poiché non è una semplice scienza particolare, ma la scienza di tutte le scienze, tale principio non è un principio accanto agli altri principi, ma è il principio che deve comandare tutti i principi e come tale deve essere sempre già presupposto come assolutamente certo. Ma com’è possibile comprendere questa certezza? Fichte procede attraverso cinque definizioni del principio fondante, l’ultima delle quali, secondo Stelli, è la più interessante e quella autenticamente trascendentale; il principio in quanto fondamento di ogni sapere, accompagna ogni sapere, è compreso, è presupposto in ogni sapere, ciò che rende possibile ogni sapere. Per indicare il procedimento argomentativo che fonda tale principio, Fichte usa due espressioni chiaramente equivalenti: «riflessione astraente», nella Dottrina della scienza, e «astrazione riflettente», nel Concetto. In ogni caso si parla di una riflessione che ci fa conoscere non già un fatto e nemmeno, si badi, un fatto di coscienza, bensì ciò che costituisce la condizione assolutamente intrascendibile di qualsiasi fatto, compreso “il fatto della coscienza”, ossia la rappresentazione. Sulla base di questa struttura riflessiva, Fichte costruisce, secondo Stelli, la sua risposta allo scetticismo, dimostrando la necessità del principio, ossia della ragione, come fondamento ultimo. Per una interessante integrazione di questo contesto di riflessione segnaliamo l’ultimo volume di Marco Ivaldo, Libertà e ragione. L’etica di Fichte (Mursia, Milano 1992), che propone un accurato esame degli elementi fondanti, delle articolazioni essenziali e degli sviluppi più importanti dell’etica trascendentale fichtiana in rapporto alla riflessione morale contemporanea. Nelle prime parti del testo, Ivaldo mette in evidenza lo sviluppo dell’etica fichtiana, nella sua relazione con Kant e nel confronto con pensatori del tempo, e lo stretto nesso intercorrente tra principi dell’etica trascendentale e sistema trascendentale in generale. L’etica fichtiana infatti presuppone e, nello stesso tempo, approfondisce i principi della Dottrina della scienza. Nella terza e nella quarta parte vengono presentate rispettivamente le caratteristiche fondamentali dell’etica trascendentale degli anni di Jena e la prospettiva dell’etica trascendentale superiore, propria dei succes- sivi anni berlinesi. Il percorso tracciato da Ivaldo si raccoglie attorno al binomio libertà-ragione. L’etica trascendentale infatti è un’etica razionale della libertà. Essa trova nella ragione la propria giustificazione e nella libertà la propria qualificazione e realizzazione morale. Ragione e libertà si presentano tuttavia come compito: la libertà rappresenta l’adempimento di quella costitutiva tendenzialità che spinge l’uomo verso la ragione e la ragione non può svolgere il suo compito etico-razionale se non mediante la libertà. Il dover-essere rappresenta dunque quell’impulso di ragione, quel desiderio di compimento inseparabile dalla vita dell’uomo. Esso alimenta l’etica della coscienza morale e la apre alla comunicazione e alla cooperazione responsabile, alla comunità come “comunità dei fini”. Attraverso questo itinerario di ripensamento dell’etica trascendentale fichtiana Ivaldo mostra significativamente il contributo che essa può offrire all’attuale dibattito etico, mettendo in luce lo svolgimento qualitativo dell’etica razionale della libertà all’etica superiore nei due livelli in cui si articola: legge ordinatrice e legge creativa. Nell’etica superiore infatti l’elemento del rispetto della regola comune a tutti si integra con il voler fare il bene, incarnandone il contenuto positivo in espressioni creative rinnovate. Alla base dell’etica superiore vi è un’idea di ragione etica e, nello stesso tempo, veritativa. L’attuazione della ragione comporta il riconoscimento della volontà divina come dover-essere costituente, legge unica fondante l’essere-fenomenale e, quindi, il superamento della separatezza tra il volere “proprio” e il volere “divino”. La ragione appare come immagine della vita divina che “esiste” nella libera comunicazione propria della comunità degli esseri liberi. La libertà si presenta qui come risposta all’appello della ragione e assunzione responsabile dell’imperativo originario del bene in vista dell’ “interpersona”, immagine dell’assoluto e dover essere realizzato nell’ordine del tempo in quanto spazio di comunicazione fra esseri liberi, spazio di quel libero e creativo “dare e ricevere” peculiare dell’essere umano. Fr.M./ L.R. Kairòs e tempus Nel corso di un seminario di studi svoltosi il 23 marzo 1993 presso l’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli dal titolo: KAIRÒS E TEMPUS. LIBERTÀ, CASO E CONTINGENZA TRA SCIENZA E FILOSOFIA, Giacomo Marramao ha presentato il suo ultimo studio, KAIRÒS. APOLOGIA DEL TEMPO DEBITO, (Laterza, Roma-Bari 1992), e Michel Serres le recentissime traduzioni italiane di due tra le sue opere più significative, ROMA (a cura di Roberto Berardi, 56 Hopefulmonster, Firenze 1992) e IL MANTELLO DI ARLECCHINO . “IL TERZO ISTRUITO”: L ’ EDUCAZIONE DELL ’ ERA FUTU RA (a cura di Alberto Folin, Marsilio, Venezia 1992). Presenti, oltre ai due autori, anche Roberto Berardi e Gaspare Polizzi. Nella sua introduzione Roberto Berardi ha sottolineato la lunga consuetudine del pensiero di Michel Serres con i temi dell’esplorazione della natura delle cose che, in Roma, diventano gli oggetti vivi dell’abitare urbano. Città è qui corpo misto di materia e spazio (un ibrido storico e geografico), assolutamente necessario all’esistenza degli uomini: Roma è l’archetipo dello spazio divenuto umano, perché vissuto, cioè commisurato al tempo. Nel puntualizzare la convergenza tra l’opera di Serres e quella di Giacomo Marramao, Gaspare Polizzi ha quindi focalizzato l’attenzione sulla riflessione, comune ai due autori, circa il valore del tempo che nel pensiero scientifico del Novecento risulta definito solo nella minima brevitas della quantificazione epistemica, che annulla definitivamente il tempo lungo della narrazione storica. Un’analisi della più intima radice etimologica del vocabolo “tempo” sembra poter riaprire i sentieri dell’aporìa produttiva del filosofo. Il radicale tem- ,tagliare, solleva il velo dell’enigma: il tempus, come afferma Serres, è “il mescolato”, “miscela variabile”, “temperamento”, «con la quale vengono qualificati i paesi detti appunto temperati, che per questa ragione… hanno, di converso, inventato la storia, cioè una sequenza temporale - temperata come una gamma - di eventi». E, in effetti, dall’originaria confusione semantica e semiologica tra tempo atmosferico e tempo cronologico, si può risalire alla forte connotazione climatica del concetto di tempo. Secondo Marramao, un opportuno richiamo a Émile Benveniste, cioè al “versante linguisticofilologico” dell’analisi del concetto di tempo, può mettere in evidenza come «la difficoltà di scoprire l’etimologia di tempus deriva dal fatto che i composti di questo termine sono in realtà più antichi della parola “tempo”… Il sostantivo tempus nasce pertanto dall’astrattizzazione di termini come tempestus, tempestas, e dunque temperatura, temperatio, ecc.» Solo quando si può catturare il tempo in forme e strutture che lo neutralizzino in kronos si parlerà di tempo, di sequenza evenemenziale; prima d’allora la verità dell’esistere riposerà nella profondità dell’aiòn, nella vitalità di una psyché che sta eternamente congiunta ai cicli naturali, alla mobilità continuamente circolare delle stagioni. E, infatti, il vero corrispettivo greco di tempus non è Chronos, bensì Kairòs, connesso da Benveniste alla voce verbale keravnnumi, cioè “mescolare”, “temperare”; è chiara allora quella mescolanza opportuna che Marramao evoca e che CONVEGNI E SEMINARI Serres ribadisce nel richiamare l’attenzione sul valore referenziale che possiede il lessico nella composizione delle spesso frammentarie e problematiche questiones della scienza: sovente la tentazione di guardare superficialmente nello “scorrere” - couler espressione che indica sia il flusso di un corso d’acqua, sia lo scorrere del tempo - del fiume solo il moto uniforme e rettilineo, trascurando il mélamge, il “miscuglio” torbido che le acque trascinano. Da qui, l’invito che Serres rivolge all’Apollinaire di Sous le pont Mirabeau: bisogna guardare anche la turbolenza delle correnti, anche il “taglio” del tempo e non solo il suo corpo unitario. M.P.R. Topologia del moderno Nella sede dell’Istituto Italiano per gli studi Filosofici di Napoli, dall’1 al 5 febbraio 1993, Vincenzo Vitiello, dell’Università di Salerno, ha tenuto un seminario sul tema: TOPOLOGIA DEL MODERNO , quale possibilità di un’ermeneutica filosofica che, privilegiando la categoria dello spazio, sveli un orizzonte di compresenza di elementi costanti nella storia del pensiero. Intrecciando ermeneutica e storia Dilthey ha inteso confrontarsi con tutta la storiografia filosofica dell’Ottocento. In particolare la sua posizione viene a contrapporsi alla teleologia hegeliana, di cui pure recepisce l’esigenza di oggettivazione. Il nucleo del discorso diltheyano, ha rilevato Vincenzo Vitiello, è il linguaggio, a cui ogni singolo, seppur inconsciamente, appartiene. In ogni espressione di vita singola è già presente il linguaggio come necessaria struttura connettiva universale del sapere. Qui il tempo è possibile solo in un orizzonte di compresenze, in cui esso permane immodificato. In Gadamer, ha proseguito Vitiello, l’ermeneutica si arricchisce soprattutto in virtù della messa in discussione dell’identità soggetto-oggetto. Va in crisi la prospettiva idealistica, a partire dal verum ipsum factum di Vico. L’astrazione del pensiero, infatti, arriva sempre troppo tardi, o troppo presto, rispetto all’esse. Tuttavia, anche in Gadamer, il linguaggio è ciò in cui tutto questo si dà. Viene qui introdotto il concetto di spazialità del tempo, essenziale per la topologia. All’ermeneutica è necessaria non solo la comprensione, ma anche la spiegazione causale, come chiarisce Levi-Strauss a proposito del mito di Edipo. Il pensiero mitico ha lo stesso carattere di quello scientifico, perché fondato sulla funzione logica: qui il pensiero ha di fronte non la coscienza, ma il mondo. Tuttavia, come sostiene Ricoeur, se bisogna guardare all’esperienza del mondo, è necessario sottrarsi sin dall’ini- zio al formalismo e porsi direttamente in una relazione di attività con il mondo della vita, la Lebenswelt. S’incontra così nuovamente, secondo Vitiello, l’impostazione diltheyana: la connessione dinamica fonda l’esperienza e la rende possibile. I topoi sono in tale contesto le costanti della storia che sfuggono al tempo, perché in essi il tempo scorre. Sono apriori materiali non lontani dalle ontologie regionali della fenomenologia hegeliana, da cui si differenziano non per la rinuncia al soggettivismo - dal momento che la fenomenologia è sempre stata senza soggetto - ma perché si sottraggono alla teleologia, dunque ad ogni finalismo e al concetto di libertà. L’ermeneutica contemporanea ha i suoi principali referenti in Nietzsche, Heidegger e Freud, che non prendono posizione all’interno del tradizionale autaut filosofico tra doxa ed episteme, in quanto l’una riduce il pensiero a mera curiosità, l’altra imbriglia il sapere nell’assoluto. Ma allora, ha osservato Vitiello, il problema è quello di fondare un’altra episteme, quindi una nuova logica, con un diverso linguaggio. Nietzsche fa la scelta dell’aforisma, ma poi nella Genealogia è costretto a tornare indietro, riconoscendo implicitamente il suo scacco. Heidegger vive una fase analoga nel passaggio da Essere e tempo agli ultimi scritti. Solo Freud andrà fino in fondo lungo il suo percorso, riuscendo a chiarire che tempo e logica sono derivati della configurazione spaziale della psiche. Secondo Vitiello non si tratta qui solo di una metafora. C’è in Freud una visione a strati della storia che era anche di Nietzsche e Heidegger, ma che in questi veniva piegata a favore del tempo cronologico. Freud invece assume in pieno l’ottica spaziale e come tale è il principale sostenitore dell’ermeneutica topologica. Egli sottolinea infatti che le cose cambiano secondo il punto di osservazione e se i fatti coincidono con l’interpretazione, con la veduta, allora il soggetto come tale scompare, cogliendosi in una identità con l’oggetto che permette al topos di spiegare il diverso, il disomogeneo. Ecco allora che il tempo appare reversibile: ogni cosa rivive nel ricordo; l’organico ritorna nell’inorganico; la morte non è quella del singolo, ma caratterizza l’essente. Si supera la contrapposizione spazio-movimento, perché il topos è forza di spazializzazione, dove lo spazio non è cartesianamente materia, ma connessione degli elementi, principio esplicativo, compresenza, simultaneità. Secondo Vitiello, un’ermeneutica topologica della storia dissolve il soggetto, rapporta i fatti non nella cronologia, bensì nella cogenza del pensare: non fa storia della filosofia senza fare nel contempo filosofia. La topologia non esclude il rapporto con il luogo dello spazio storico che attualmente occupiamo. Anzi vi coglie l’in57 trecciarsi di più tradizioni etiche: quella classica come disposizione, quella cristiana come liberazione. Ma ciò non toglie senso all’etica nella chiave originaria dell’abitare dostoevskianamente la contraddizione, l’assurdo del dolore, lasciando aperto l’interrogativo circa una possibile filìa tra gli uomini. G.V. Kant e il problema di Dio L’Istituto di Filosofia dell’Università di Chieti ha organizzato, dal 29 marzo al 2 aprile 1993, un corso integrativo all’insegnamento di Storia della Filosofia sul tema: IL PROBLEMA DI DIO NEGLI SCRITTI DI KANT, tenuto da Giovanni B. Sala della Hochscule für Philosophie di Monaco di Baviera, che ha ampiamente analizzato i vari scritti kantiani sul problema della metafisica. Affrontando inizialmente l’argomento fisicoteologico, Giovanni B. Sala ha precisato che per Kant la sufficienza della natura dimostra l’esistenza di Dio; per i singoli fenomeni naturali non si richiede un’azione speciale di Dio; al contrario la natura intera è in relazione a Dio come a Colui che è fondamento delle essenze e delle leggi ad esse intrinseche. Pur rifiutando il richiamo a cause finali, Kant colloca la finalità in mente Dei, anche se nel nostro universo questa finalità viene attuata da forze meccaniche. Successivamente, Sala ha affrontato il problema di Dio nel contesto della dottrina dei principi metafisici della Nova delucidatio. La conoscenza umana in senso proprio (conoscenza della realtà) risulta dall’attuazione di una struttura triadica di esperienza, intelligenza e giudizio. Sala mette in luce la limitatezza umana; il nostro concetto (finito) dell’infinito non è da sé solo garanzia della propria verità, un concetto finito dice solo probabilità. Passando a trattare la prova ontoteologica nella Nova delucidatio e nello scritto del 1763, L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, Sala ha ripercorso l’itinerario dall’ens realissimum dell’Unico argomento possibile sino all’ideale trascendentale della Critica della ragion pura, evidenziando come dopo il 1763 Kant proponga una sintesi di empirismo e razionalismo. La confutazione della dimostrazione ontoteologica e la critica della prova della contingenza nell’Unico argomento possibile, ha osservato Sala, si basano sul fatto che la conoscenza di Dio è per noi possibile solo partendo da un esistente, per arrivare all’essere necessario conosciuto come effettivamente esistente, e successivamente specificarlo nella sua qualità di ens realissimum. Per Kant essere infinito ed essere necessario si implicano a vicenda. Affrontando infine la prova morale di Dio e il problema di un’etica eudemonistica, Sala ha fatto notare come Kant qualifichi la CALENDARIO Dal 20 al 24 settembre 1993 alla Technischen Universität di Berlino, sotto il patrocinio della Allgemeine Gesellschaft für Philosophie tedesca, ha avuto luogo il XVI. Deutsche Kongress für Philosophie. Tema del convegno: Nuove realtà. Una sfida per la filosofia. La direzione del congresso è stata affidata a Hans Lenk e Hans Poser, i quali hanno interpretato il tema come un invito alla filosofia ad affrontare le mutate realtà politiche e sociali della Mitteleuropa e a prendere posto fra le culture di confine. Tra gli interventi: “Una nuova realtà tecnica?” (Rapp); “Etica tecnica, etica economica, etica dell’ambiente” (Zimmerli); “Autorganizzazione, sistemi dinamici, situazione caotica” (Hegselmann); “Informazione, codici, computer: mondi artistici?” (Krämer-Rammert); “Modelli mentali: cervello, stato del fenomeno e rapporti con la realtà” (Lenk); “Simbolo e linguaggio: mondi interpretativi” (Gebauer); “Utopie politiche e realtà sociali” (Schnädelbach); “Idee e realtà dell’Europa come sfida filosofica”; “Il problema della realtà metafisica un tempo e oggi” (Wihel); “Sul dibattito sul realismo nella filosofia analitica” (Abel). Tra le relazioni più interessanti quelle di Arsenij Gulyga (Mosca), “L’ ‘idea russa’ e l’idealismo tedesco. Sulla rinascita di una realtà culturale”; di Leszek Kolakowski (Oxford), “La caduta del comunismo come evento filosofico” e di Kurt Hübner (Kiel), “Come può contribuire la filosofia all’unificazione dell’Europa?”. ● Informazioni: Institut für Philosophie, Wissenschaftstheorie, Wissenschafts- und Technikgeschichte, TU Berlin, Sekr. TEL 2, Ernst-Reuter-Platz 7, W-1000 Berlin 10. Dal 23 al 24 settembre, si è tenuto un Convegno di filosofia politica dal titolo: Autore, Attore, Autorità, organizzato dal Centro Culturale Polivalente in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Questo il programma degli interventi: Paolo Bozzi: “Autore, attore, autorità nel Teatro Accademico”; Alberto Burgio: “Il signore, il servo, la plebe. Il problema politico del ‘riconoscimento’”; Umberto Cerroni: “La persona dell’Italiano”; Antonio Faeti: “La branda accogliente e il milite renitente. Appunti per una iconologia politologica”; Domenico Losurdo: “Marx, Gramsci e la fenomenologia del potere”; Gianfranco Pasquino: “Costruire l’autorità (e la responsabilità)”; Jacques Texier: “Marx e la democrazia”; Maurizio Viroli: “Il significato del patriottismo”. ● Informazioni: Biblioteca Comunale di Cattolica, piazza della Repubblica 34, 47033 Cattolica, tel.0541/ 967802. Dal 27 al 30 settembre ha luogo il terzo corso di studi superiori Utopia e Storia. Rivoluzione e conserva- CALENDARIO zione nell’età contemporanea, ermeneutiche della semiotica”; Per Aage Brandt: “Che cos’è una lingua?. ● Informazioni: Università di San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/882516. organizzato dalla Summer School della Fondazione Collegio San Carlo. Relatori sono Jürgen Moltmann (Università di Tübingen) e Lucien Jaume (Centre d’Etudes de la Vie Politique Français). A conclusione dei lavori, verrà rilasciato ai partecipanti un attestato di frequenza. Le lezioni si terranno in lingua inglese e francese. ● Informazioni: Segreteria Summer School, Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315. Dal 15 al 17 ottobre si svolgerà il Primo seminario di epistemologia clinica che avrà come titolo: L’interdisciplinare e i processi di cura, organizzato dall’Istituto Sasso Corbaro in collaborazione con i dipartimenti di filosofia dell’Università di Losanna e di Pavia, con il patrocinio della Società svizzera di filosofia. Questo il calendario degli incontri: 15 ottobre, Graziano Martignoni: “Le frontiere della cura”; Fulvio Papi: “Temi teorici dell’interdisciplinare”; Silvana Borutti: “Interpretazione e costruzione: modelli epistemologici a confronto”. 16 ottobre, Bernard Bärtschi: “La place de l’individuel en médecine”; Raphaël Célis: “Le croisement des disciplines dans la pensée médicale chez Hippocrate”; Roberto Malacrida: “Il conflitto dei valori nei processi di cura interdisciplinari contemporanei”. 17 ottobre, Lucio Sarno: “Erranze dell’oggetto nel campo psicoanalitico”; Fabio Merlini: “Appunti su clinica e soggetto”. ● Informazioni: Istituto Sasso Corbaro, Pian Laghetto 1, CH-6500 Bellinzona, tel. 092/263226. Organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane dell’Università di Macerata, si svolgerà nei giorni 7-8-9 ottobre il VI Colloquio su Filosofia e Religione dal titolo: Filosofia ed esperienza religiosa a partire da Luigi Pareyson. Questi gli interventi: G. Ferretti, “Filosofia ed ermeneutica dell’esperienza religiosa in L. Pareyson”; A. Bausola, “Filosofia ed esperienza religiuosa in Pascal”; X. Tiliette, “Filosofia ed esperienza religiosa in Schelling”; V. Melchiorre, “Filosofia ed esperienza religiosa in Kierkegaard”; R. Lauth, “Filosofia ed esperienza religiosa in Dostoevskij”. Terminerà i lavori una tavola rotonda presieduta da A. Rigobello, con la partecipazione di M. Cacciari, J. Greisch, U. Perone, P. Prini, G. Vattimo. ● Informazioni: Antica Biblioteca Università di Macerata, Via Garibaldi 20, 62100 Macerata. In occasione della presentazione a Roma delle Oeuvres complètes de Jacques et Raissa Maritain, il Centre d’Etudes Saint-Louis De France e l’Institut International Jacques Maritain di Roma hanno organizzato, nei giorni 21-23 ottobre, un Colloquio Internazionale dal titolo: Jacques L’Università degli Studi della Repubblica di San Marino ha organizzato un Convegno dal titolo: Hjelmslev oggi, che si terrà dal 12 al 14 ottobre. Questo il calendario degli incontri: 12 ottobre, Alessandro Zinna; André Martinet: “Una rilettura di Hjelmslev”; Claude Zilberberg: “Una continuità incerta: Saussure, Hjelslev, Greimas”; Giorgio Graffi: “Hjelmslev e i linguisti italiani”; Michael Rasmussen: “Hjelmslev e il razionalismo”. 13 ottobre, Massimo Prampolini: “Quel ‘vocabolario capriccioso’: problemi di semantica strutturale”; Herman Parret: “Preistoria, struttura e attualità della teoria hjelmsleviana del caso”. 14 ottobre, François Rastier: “Le fondazioni formali e Maritain ou la poste-modernité commencée. Interverranno: Emile Poulat, “Le role de l’oeuvre de J. Maritain dans le débat du XX siècle”; Charles Blanchet, “La richesse multiforme de l’oeuvre de J. Maritain”; René Mougel, “Le sens d’une édition”; Jean Louis Allard, “Le rayonnement de la pensée de Maritain en Amérique du Nord”; Candido Padin, “Le rayonnement de la pensée de Maritain en Amérique Latine”; Georges Cottier, “J. Maritain: philosophe de la culture et de la société”; Antonio Pavan, “J. Maritain: le futur des chrétiens au-delà de la post-moderni- 58 té”; Giuseppe Dalla Torre, “Après Humanisme Integral: quel nouveaux scénarios pour l’homme?”. ● Informazioni: Istitut International Jacques Maritain, via Quinto Sella 33, 00187 Roma, tel. 06/4874601. Organizzato dal “Seminario permanente di teoria critica” dell’Istituto Universitario Europeo, avrà luogo dal 29 al 30 ottobre, il quarto incontro di studio dal titolo: Cosa significa teoria critica? Saranno presenti: Virginio Marzocchi, Lucio Cortella, Stefano Petrucciani, Gian Enrico Rusconi, Rino Genovese, Mario Pezzella, Salvatore Veca, Sebastiano Maffettone e Antonella Besussi. ● Informazioni: Stefano Petrucciani, Dip. di Filosofia Università di Roma, via Nomentana 118, 00198 Roma, tel. 06/8540702. Dal 4 al 6 novembre si terrà un Convegno di Studi su Il Filebo di Platone e la sua fortuna. L’incontro, organizzato dall’Istituto universitario Orientale di Napoli, prevede le seguenti relazioni: Francesco Adorno: “Il piacere e la sua definizione nel Filebo”; Mario Agrimi: “Paolo Mattia Doria e la sua lettura del Filebo”; Enrico Berti: “Il Filebo e le dottrine non scritte di Platone”; Ernesto Berti: “Momenti e problemi della trasmissione del testo del Filebo”; Giovanni Casertano: “Il piacere falso nel Filebo”; Salvatore Cerasuolo: “Il ridicolo nel Filebo e in Aristotele”; Giovanni Cerri: “Spunti di teoria poetica nell’analisi filosofica della dottrina del piacere nel Filebo”; Paolo Cosenza: “Il tema del piacere nella problematica ontologica del Filebo”; Gabriele Giannantoni: “La polemica antiedonistica nel Filebo: Eudosso o Aristippo?”; Margherita Isnardi Parente: “Le idee nel Filebo”; Walter Kohan: “la unidad y multiplicidad del bien en el Filebo”; Renato Laurenti: “Il Filebo in Plutarco”; Giuseppe Martano: “Mikto;ı bivoı (Filebo, 65a)”; Maurizio Migliori: “Lo sviluppo “tempestoso” di un giuoco compatto: la struttura del Filebo”; Claudio Moreschini: “Il Filebo in Olimpiodoro”; Ferruccio Franco Repellini: “La gevnesiı e il piacere nel Filebo”; Livio Rossetti: “Sulla struttura macro-retorica del Filebo”; Christopher Rowe: “Style and Form in the Philebus”. ● Informazioni: Istituto Universitario Orientale, via dei Fiorentini 10, 80133 Napoli. Si terrà a Venezia dal 25 al 26 novembre 1993 un Convegno di studio dal titolo: Jacques Maritain e la filosofia dell’essere. Questo il programma degli intervemnti: C. Vigna, “Le forme del sapere nella filosofia di Maritain”; J. P. Dougherty, “Maritain and the challenge of Modernity”; V. Possenti, “La ‘quarta dimensione’: mistica d’immanenza o del Sé e mistica cristiana”; G. Cottier, “Realismo conoscitivo e metafisica dell’essere”; P. Goisis, “Il problema della libertà e del male”; P. Nickl, “Esperienza mistica e filosofia”; T. Perlini, DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Manuali di filosofia a confronto (I parte) Un manuale scolastico può essere un indicatore efficace della condizione di una disciplina e del livello di avanzamento della sua ricerca. L’esame comparato di diversi manuali di filosofia può risultare perciò utile sia per valutare l’evoluzione del settore, sia per orientare scelte importanti. La destinazione didattica del libro di testo dovrebbe far prevalere considerazioni di carattere pratico, legate soprattutto all’uso che ne dovranno fare gli studenti. In realtà, molti manuali (non solo di filosofia) sembrano fatti più per gli insegnanti che per gli allievi, cercano di piacere più a chi ne determinerà l’acquisto che a coloro che dovranno poi usarli quotidianamente; spesso gli autori guardano a un pubblico universitario (o comunque di specialisti) trascurando gli ignari principianti che effettivamente avranno tra le mani la loro opera. Con questo non si vuole suggerire qui il manuale migliore, stilando magari una classifica infinitamente contestabile. Né si possono recensire tutti i manuali esistenti. Si propone solo un confronto caratterizzato da una dimensione quantitativa che sicuramente non piacerà o apparirà riduttiva a molti insegnanti e soprattutto a molti autori, giustamente contrariati dal vedersi valutati “a peso”, sulla base di indici che non tengono conto della sensibilità critica con la quale è affrontato ogni argomento. Ma un confronto qualitativo è praticamente impossibile in termini statistici e non consente quell’impersonale oggettività che alcuni dei dati qui raccolti possono invece rivendicare. E’ ovvio che la scelta o il giudizio su un libro di testo non possono basarsi solo su questi elementi, ma la loro considerazione può risultare un punto di partenza per ulteriori valutazioni, che in ogni caso non potranno prescindere da una considerazione del contenuto didattico dei testi. Tra i limiti dell’indagine che qui si propo- ne, il primo è costituito dal numero dei testi presi in esame: ventiquattro manuali sono tanti, ma non esauriscono l’offerta editoriale del settore. Pur essendo i testi analizzati sufficientemente rappresentativi del panorama complessivo, la scelta non è stata assolutamente determinata da un giudizio di merito, ma solo dalla disponibilità effettiva e dalla opportunità pratica di non allargare oltre misura il confronto. Un secondo limite è dato dai parametri utilizzati: nella maggior parte dei casi si tratta di informazioni elementari ed esteriori che anche una semplice osservazione superficiale avrebbe potuto rilevare; può essere utile però avere sotto gli occhi un quadro riassuntivo. In qualche caso si tratta invece di dati che hanno richiesto un minimo di elaborazione: la loro originalità e utilità è tutta da dimostrare, ma anch’essi potranno contribuire a fondare ulteriori giudizi o a suggerire criteri alternativi di esame. Un terzo limite consiste nell’impossibilità pratica di valutare l’intero contenuto di tutti i manuali e determinarne quindi il valore didattico; operazione che non si può nemmeno esaurire con un’eventuale - ma inattuabile - lettura integrale, poiché solo l’uso effettivo di un libro di testo può rivelarne fino in fondo pregi e difetti: e per valutare ventiquattro manuali occorrerebbero almeno ventiquattro anni. Consapevoli di questo limite, ci si è dunque limitati a una campionatura, per arrivare quanto meno a un primo screening, che lasci poi il passo ad altre più approfondite analisi. Un quarto limite, infine, è dato dal fatto di aver confrontato solo testi effettivamente assimilabili, cioè storie della filosofia più o meno tradizionali, lasciando da parte proprio quei manuali più innovativi che negli ultimi anni stanno suggerendo di trasformare questo insegnamento attraverso il ritorno alla lettura diretta dei testi filosofici. Ricordiamo tra questi: Ameruso-Tangherlini-Vigli, I percorsi del pensiero (Lucarini, Roma 1987); Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone, Filosofia: i testi, la storia (Sei, Torino 1990); Cioffi-Gallo-Luppi-Vigorelli-Zanette, Il testo filosofico (Bruno Mondadori, Milano 1991-93). La TAVOLA I riunisce i dati editoriali dei manuali esaminati. Nonostante le trasfor59 mazioni in atto nel settore, le case editrici hanno deciso di puntare in maniera massiccia sul manuale di filosofia in questo inizio degli anni Novanta. Tra questi testi, tre sono usciti in prima edizione nel 1993, quattro nel 1992, tre nel 1991, mentre altri tre manuali hanno avuto nel 1992 una nuova edizione: dunque, più della metà possono considerarsi novità, ma anche gli altri non sono particolarmente vecchi. Il più longevo è il manuale di Geymonat, che ritorna a trent’anni dalla prima edizione in una veste completamente nuova. Lo segue Giannantoni, giunto alla quarta edizione dal 1968. Se guardiamo la colonna degli “autori”, vediamo che si diffonde sempre di più la collaborazione di vari specialisti. Anche testi apparentemente firmati da un solo autore si avvalgono in realtà del contributo di parecchi collaboratori: Merker è infatti il coordinatore di una ventina di specialisti diversi, mentre con Moravia hanno collaborato altri specialisti su alcuni temi. Il manuale di Mancini-Marzocchi-Picinali è stato coordinato da Veca, ma il nome del direttore appare solo in copertina. Dell’equipe Ciancio-Ferretti- Pastore-Perone sono presi in esame due distinti manuali: il più recente è un sintetico Profilo che integra il corposo testo di impostazione antologica curato dagli stessi autori; si è voluta citare anche l’edizione precedente e più ampia del loro manuale per la ricchezza e l’originalità di alcune soluzioni proposte. Anche i “titoli” sono significativi per avere, in qualche caso, un’idea dell’orientamento del manuale. Solo i due testi dell’editrice Laterza si presentano col tradizionale titolo di Storia della filosofia. Tutti gli altri preferiscono soluzioni alternative: le filosofie al plurale compaiono in tre manuali, mentre in sei casi tra titolo e sottotitolo si circoscrive la trattazione all’area della cultura occidentale. Quanto agli “editori”, oltre a ricordare la casualità delle assenze, si può notare qualche duplice presenza. Alcuni editori hanno coscientemente puntato sulla filosofia non solo per scelta commerciale, ma per tradizione culturale più o meno consolidata. I due manuali di Laterza appartengono a differenti generazioni, ma le doppie proposte di Armando e Trevisini sono recenti e DIDATTICA AUTORI TITOLO EDITORE ANNO FORMATO PAGINE PREZZO Nicola Abbagnano Giovanni Fornero Filosofi e filosofie nella storia Paravia, Torino 1992 (1986) 19,5 x 26,5 452+532+664= 1648 27.500+30.000+32.000=89.500 Francesco Adorno Tullio Gregory Valerio Verra Storia della filosofia Laterza, Roma-Bari 1979 (1973) 14,5 x 21 592+546+626= 1764 27.500+28.500+31.500=87.500 NIicola Badaloni Ornella Pompeo Faracovi Il pensiero filosofico Storia-Testi Signorelli, Milano 1992 17 x 24 560+512+732= 1804 28.200+30.800+33.400=92.400 Erbesto Balducci Storia del pensiero umano Cremonese, Firenze 1986 17 x 24 462+444+634= 1540 24.900+30.400+35.300=90.600 Enrico Berti Franco Volpi Storia della filosofia Laterza, Roma-Bari 1991 17 x 24 296+294+466= 1056 26.500+26.500+27.500=80.500 Massimo Bontempelli Fabio Bentivoglio Il senso dell'essere nelle culture occidentali Trevisini, Milano 1992 17 x 24 366+312+710= 1388 25.800+24.000+40.800=90.600 Paolo Casini Mario Benvenuti Ragione e storia. L'attività filosofica nella cultura delle società occidentali Palumbo, Palermo 1991 15,5 x 23 440+586+780= 1806 31.500+36.000+39.000=106.500 Claudio Ciancio Giovanni Ferretti Annamaria Pastpre Ugo Perone Profilo di storia della filosofia Sei, Torino 1993 14 x 21,5 224+286+390= 900 18.000+22.000+24.000=64.000 Alfredo Dolci Filosofia e critica Trevisini, Milano 1989 17 x 24 496+366+560= 1422 29.900+26.900+33.500=90.300 Francesco Paolo Firrao Franco Cambi Filosofia. Materiali didattici Armando, Roma 1992 18 x 26 392+464+800= 1656 31.000+31.000+32.000=94.000 Ludovico Geymonat Immagini dell'uomo; Filosofia,scienza e scienze umane nella civiltà occidentale Garzanti, Milano 1989 (1957) 17 x 24 576+680+774= 2030 (+94) 42.000+41.000+41.000=124.000 Gabriele Giannantoni La ricerca filosofica Loescher, Milano 1992 (1968) 17 x 24 508+462+752= 1722 37.000+33.500+47.500=118.000 Luigi Lacchini Pier Cesare Rivoltella L'avventura del pensiero Cedam , Padova 1992 19 x 26,5 540+530+880= 1950 35.500+37.500+47.000=120.000 Giorgio Mancini Stefano Marzocchi Giambattista Picinali Corso di filosofia Bompiani, Milano 1993 17 x 24 1184+384+432+464= 2464 48.000+27.000+27.000=102.000 Nicolao Kerker Storia delle filosofie Giunti Marzocco, Firenze 1988 (1982) 17 x 24 468+476+586= 1530 28.000+29.500+29.500=87.000 Sergio Moravia Filosofia Le Monnier, Firenze 1990 (1982) 17 x 24 624+548+862= 2034 226+218+268= 712 32.900+33.900+38.400=105.200 Ugo e Anna Maria Perone Giovanni Ferretti Claudio Ciancio Storia del pensiero filosofico Sei, Torino 1983 (1974) 17 x 24 364+414+598= 1376 37.000+38.000+40.000=115.000 Armando Plebe Pietro Emanuele Storia del pensiero occidentale Armando, Roma 1989 16 x 24 268+292+340= 900 28.000+28.000+28.000=84.000 Giovanni Reale Dario Antiseri Il pensiero occidentale dalle origini a oggi La Scuola, Brescia 1983 17 x 24 542+736+834= 2112 28.000+35.000+38.000=101.000 Giovanni Santinello Antonio Pieretti Angelo Capecci I problemi della filosofia Città Nuova, Roma 1980 15 x 21 462+448+626= 1536 24.000+24.000+26.000=74.000 Emanuele Severino Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti Sansoni, Firenze 1991 15,5 x 23 374+514+612= 1500 26.000+28.000+29.000=83.000 Mario Trombino La filosofia occidentale e i suoi problemi Poseidonia, Bologna 1993 20 x 27 416+448+400+138= 1402 27.000+28.000+26.000+ +12.000=93.000 Mario Vegetti Franco Alessio Fulvio Papi Filosofie e società Zanichelli, Bologna 1992 (1975) 17 x24 736+620+944= 2300 34.000+29.300+39.800=103.100 Franco Voltaggio I filosofi e la storia Principato, Milano 1981 13 x 22 372+416+556= 1344 27.000+28.500+31.000=86.500 Tavola I 60 DIDATTICA presentano modelli scientifici e didattici diversificati che non dovrebbero entrare in concorrenza. Può avere un qualche interesse confrontare anche il “formato” dei volumi, quanto meno per rilevare una tendenza che riguarda in genere l’intera editoria scolastica, i cui prodotti stanno passando dalle dimensioni quasi tascabili dei testi pubblicati fino al principio degli anni ’80 alle ingombranti misure della più recente produzione, che in alcuni casi ha superato lo standard 17x24, avviandosi verso il 18x26 e oltre (ma il Profilo di Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone è in controtendenza). Nell’insieme sono testi più ingombranti, ma anche più ricchi, in veste più robusta e pregiata. Le “pagine” complessive di un manuale di filosofia sono oggi almeno 1500, con punte di oltre 2000. Sono dimensioni importanti, che talora si giustificano con il crescere del testo vero e proprio o con l’aggiunta di un ampio apparato didattico, ma che in ogni caso testimoniano la tendenza “enciclopedica” dei nuovi manuali. Al primo volume di Geymonat è allegato un piccolo dizionario filosofico, mentre ogni volume del Moravia si articola in due tomi: uno di storia e uno (più piccolo) di testi antologizzati; sommando gli uni e gli altri si superano le 2700 pagine, che pongono questo manuale di gran lunga al di sopra degli altri. Al limite opposto si collocano PlebeEmanuele e il Profilo di Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone. Sono riportate in tabella le sole pagine di testo, senza contare quelle numerate in cifre romane, che corrispondono di solito al sommario o alla prefazione: non incidono significativamente sul totale e avrebbero complicato il confronto. Va notato come cominci a infrangersi anche la tradizionale suddivisione in tre volumi. Proprio i manuali più recenti si presentano infatti in quattro volumi per via di originali scelte nella struttura o nella disposizione del materiale. E’ comunque acquisita la tendenza dell’ultimo volume ad avere dimensioni notevolmente maggiori degli altri. Il secondo volume è invece molto spesso il più piccolo, confermando così lo squilibrio nella suddivisione dei programmi (pensiamo soprattutto al liceo scientifico in cui le ore del primo anno sono solo due con un contenuto superiore a quello dell’anno successivo, che dispone di tre ore). Il progetto di riforma della commissione “Brocca” sembra aver riequilibrato la situazione, proponendo di arrivare all’idealismo tedesco nel secondo anno: unico manuale ad aver fatto propria questa suddivisione è quello di Severino. Il “prezzo” è un elemento non indifferente nella valutazione di un testo scolastico. I prezzi riportati sono quelli fissati dalle case editrici per il 1993. Stranamente, l’andamento del prezzo dei volumi non sempre corrisponde a quello delle pagine: in cinque casi il secondo volume, pur avendo meno pagine del primo, costa di più. Sono un caso a parte i manuali in quattro volumi. L’escursione dei prezzi complessivi è piuttosto sensibile, andando dalle 64.000 lire di Ciancio-FerrettiPastore-Perone alle 124.000 lire di Geymonat (ma altri otto superano le 100.000). Per quel che può valere un simile calcolo, il rapporto pagine/prezzo più vantaggioso è quello di Moravia; il meno vantaggioso è quello di PlebeEmanuele. Ma questa valutazione tiene conto solo della quantità di carta, e neanche di quella, dato che non si considera il formato. La TAVOLA II riassume alcuni indici relativi al contenuto e all’impostazione dei manuali per consentire una valutazione più meditata e concreta della reale fruibilità di questi libri. Poiché il confronto tra le pagine è troppo esteriore e superficiale, si è pensato di porre a confronto la reale quantità di testo presente in ciascun manuale. Il primo numero riportato nella colonna dei dati sul “testo effettivo” rappresenta la quantità dei caratteri che compongono una pagina, ottenuta moltiplicando il numero medio dei caratteri di una riga di stampa per le righe di una pagina. E’ trascurato l’uso eventuale di corpi tipografici diversi (salvo il caso di Reale-Antiseri, che usa un corpo più piccolo in metà del terzo volume per contenerne le dimensioni) e il valore è una media che indica la quantità massima di caratteri tendenzialmente presenti in una pagina piena, priva cioè di titoli, spazi bianchi o figure. L’indice è dunque da ritenere sempre approssimato per eccesso. La densità tipografica di una pagina può in un certo senso essere considerata un indicatore di leggibilità, almeno da un punto di vista grafico: una pagina fitta di testo è senz’altro meno attraente di una con larghe spaziature e ampi margini (che consentono per esempio ai lettori di annotare osservazioni sul libro). Le pagine più “leggere” in questa colonna sono però spesso condizionate dal formato ridotto dell’edizione (occorrerebbe fare anche una proporzione tra il testo scritto e il formato della pagina, ma l’elaborazione sarebbe complessa e di interesse prevalentemente editoriale). La seconda cifra che si legge in questa colonna è costituita dal numero effettivo di pagine dedicate alla ricostruzione manualistica della storia della filosofia. Sono state cioè escluse tutte le pagine occupate da indici, letture, figure, ecc., proprio perché il confronto è tra le singole storie della filosofia, che sono del resto la parte principalmente usata dagli alunni per il loro studio. Il dato è ovviamente arrotondato e il margine di oscillazione può essere ritenuto del 2-3%, per lo più in eccesso. E’ facile obiettare che, se un manuale è progettato con un’antologia, non è lecito eliminarla nella valutazione complessiva; ma per rendere omogeneo il nostro confronto era ne61 cessario equilibrare in qualche modo i testi. Se si paragonano questi dati al numero di pagine riportato nella TAVOLA I, si notano infatti discrepanze anche notevoli proprio per quei manuali caratterizzati da una cospicua sezione antologica. Moltiplicando il primo per il secondo numero si ottiene il testo effettivo di cui ogni singolo manuale è costituito. Va sempre ricordato che questo valore è approssimato per eccesso, ma il dato sembra ugualmente attendibile e utile per il confronto. Si può così scoprire che libri apparentemente piccoli contengono una quantità di testo assai superiore ad altri di dimensioni maggiori. In assoluto il manuale più ricco di storia è il Reale-Antiseri, seguito a breve distanza dal Moravia (questi due si staccano nettamente da tutti gli altri), mentre i valori minimi sono toccati da Severino e PlebeEmanuele. E’ questa una considerazione del tutto parziale; rimane da dimostrare che un testo più lungo sia migliore di uno più breve, o viceversa: ma il problema teorico non può essere affrontato in questa sede. L’indice di “leggibilità” è il dato più complesso. La leggibilità, ovviamente, non riguarda solo i manuali di filosofia, ma in genere tutto ciò che si scrive. Nell’editoria scolastica, però, è fondamentale che i testi siano facilmente comprensibili a un pubblico di giovani non ancora esperti della materia. Per un confronto attendibile si è scelto di utilizzare l’indice di Flesch, strumento abbastanza discusso, ma altrettanto sperimentato e comunque tale da consentire una rilevazione immediata e generalmente significativa. L’americano Rudolph Flesch ha elaborato un metodo per indicare numericamente il livello di leggibilità, cioè di comprensibilità, di un testo. Alla sua base è il principio per cui sono di più facile lettura testi composti di periodi brevi, a loro volta formati da parole altrettanto brevi. Resta fuori da questo criterio un riferimento alla sintassi, ma si può riscontrare una correlazione abbastanza alta fra periodi lunghi e sintassi elaborata, così come le parole più lunghe appartengono di solito ad un linguaggio più ricercato ed evoluto. Si può senz’altro dissentire da questa impostazione ed obiettare, per esempio, che in questo modo si premiano i testi più elementari; a scuola invece gli studenti devono apprendere strumenti di conoscenza e comunicazione sempre più complessi, quindi occorre proporre loro testi progressivamente più difficili; nel caso della filosofia, poi, non si può rinunciare alla ricchezza di un lessico specifico che deriva dalla complessità oggettiva della materia. Sono tutte obiezioni sensate, ma la destinazione didattica dei manuali deve farceli considerare almeno da un certo punto di vista - come pratico strumento di studio e consultazione per principianti: avviamento allo studio di testi e problemi, e non già problema essi stessi per la loro decifrazione. Quante volte abbiamo osservato DIDATTICA Abbagnano-Fornero Adorno-Gregory-Verra Badaloni-Pompeo Faracovi Balducci Berti TESTO EFFETTIVO LEGGIBILITA' CLASSICI 4000 x 1440 = 5.760.000 55,18 30,8 3000 x 780 = 2.340.000 24,29 19,2 3000 x 920 = 2.760.000 40,80 22,3 3500 x 1500 = 5.250.000 39,42 16,0 4300 x 900 = 3.870.000 32,63 30,2 Bontempelli-Bentivoglio 3700 x 1320 = 4.884.000 44,48 34,6 Casini-Benvenuti 2800 x 1700 = 4.760.000 40,47 11,0 2800 x 880 = 2.464.000 36,86 32,7 Dolci 3600 x 1100 = 3.960.000 41,12 24,5 Firrao-Cambi 3450 x 1250 = 4.312.000 43,15 19,2 Geymonat 3300 x 1400 = 4.620.000 38,91 17,8 Giannantoni 3600 x 1320 = 4.752.000 33,26 15,8 Lacchini-Rivoltella 3340 x 1500 = 5.010.000 46,50 21,0 2800 x 980 = 2.744.000 37,62 29,5 Merker 3100 x 1300 = 4.030.000 36,53 14,2 Moravia 3750 x 1800 = 6.750.000 32,82 22,3 Perone-Ferretti-Ciancio 3500 x 1200 = 4.200.000 48,89 23,7 3150 x 710 = 2.236.500 36,24 33,2 4450x340+3800x1530=7.327.000 53,51 21,3 2600 x 1080 = 2.808.000 45,21 20,9 2600 x 850 = 2.210.000 51,63 34,5 Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone Mancini-Marzocchi-Picinali Plebe-Emanuele Reale-Antiseri Santiniello-Pieretti-Capecci Severino Trombino 3400 x 870 = 2.958.000 42,52 21,0 Vegetti-Alessio-Papi 3000 x 1600 = 4.800.000 35,06 16,6 Voltaggio 3200 x 1250 = 4.000.000 45,95 32,1 Tavola II che i testi dei filosofi risultano più chiari di certe loro parafrasi manualistiche? L’indice di Flesch consente perciò un confronto rapido dei testi e fornisce un valore numerico di immediata comprensione. La formula di Flesch è stata adattata alla lingua italiana da Roberto Vacca nel 1972 secondo la seguente forma: F = 206 - (0,6S + P), dove S è il numero di sillabe su 100 parole, P è il numero medio delle parole di un periodo (ottenuto dalla media aritmetica delle parole che compongono i periodi di un brano di almeno 100 parole), e F è la facilità di lettura (a valori elevati corrisponde un’altrettanto elevata facilità di lettura, in una scala da 0 a 100 che però può anche oltrepassare questi limiti). Concretamente, si è proceduto scegliendo 5 campioni di testo dal primo volume di ogni manuale (si è preferito il primo volume perché costituisce l’approccio iniziale con la materia e dunque la sua leggibilità è più significativa). Dato che una scelta casuale o statistica poteva prestarsi a diversi rischi e obiezioni, si è deciso di considerare 5 brani contenutisticamente omogenei. La scelta è caduta su argomenti classici, presenti sicuramente in ogni manuale (ma c’è qualche eccezione): 1) Parmenide: l’esposizione del poema; 2) Platone: il mito della caverna; 3) Aristotele: la sillogistica; 4) S. Agostino: il problema del tempo; 5) S. Tommaso: fede e ragione, filosofia e teologia. Di ciascun campione sono state esami- nate le righe iniziali del testo che presenta l’argomento. Sono stati considerati “periodi” i brani conclusi dal punto, anche nel caso in cui più pensieri compiuti erano separati da altra punteggiatura. Non si sono fatte eccezioni per le citazioni comprese nel campione, né per testi fra parentesi; sono stati invece esclusi eventuali titoli dei paragrafi. E’ stato tentato con cinque manuali un controllo su campioni di dimensioni doppie, per valutare l’attendibilità dei risultati ottenuti. Poiché lo scarto tra i valori finali si è sempre mantenuto entro i cinque punti, non si è ritenuto opportuno complicare la procedura e ci si è limitati alla campionatura indicata. I valori ottenuti sono dunque da ritenere sufficientemente attendibili, anche se si può ammettere un margine di oscillazione intorno al 10%, che non permette di stabilire gerarchie assolute. Testi di facile lettura dovrebbero ottenere punteggi superiori a 60, mentre al di sotto di 40 un testo è da considerare già abbastanza complesso. Per fare qualche paragone appena significativo, si tenga presente che l’indice di Flesch applicato all’inizio della Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito (trad. di De Negri) è 33,22, mentre l’inizio del Manifesto di Marx ed Engels (trad. di CantimoriMezzomonti) ottiene 44; l’inizio del primo paragrafo di Essere e tempo (trad. di Chiodi) raggiunge 59,87 e le prime venti proposizioni del Tractatus logico-philosophicus 62 (trad. di Conte) arrivano, come era prevedibile, al bel punteggio di 84,52. La prima conclusione che si può trarre dalla nostra analisi è che i manuali di filosofia sono in genere testi poco leggibili. Nessuno ottiene valori molto alti e i più oscillano intorno a una media difficoltà che consente di stabilire solo confronti grossolani. La media della leggibilità di tutti i testi esaminati è 40,96. Vista la quantità di dati registrati per realizzare questo esame, è possibile fare qualche ulteriore osservazione o segnalare delle curiosità. Particolarmente penalizzato dalla campionatura effettuata è stato il manuale di Adorno-Gregory-Verra che presenta anche la maggiore dispersione tra i valori registrati, oscillando tra -21,5 e 65,2. Anche Giannantoni presenta oscillazioni molto accentuate (tra -6,13 e 58,9). L’autore più omogeneo è risultato invece Geymonat, che ha contenuto la propria oscillazione entro soli 7 punti. Il valore più elevato nel singolo campione è stato ottenuto da Bontempelli-Bentivoglio (74,9, con S. Agostino). Se poi si pongono a confronto fra di loro i cinque testi campione, per individuare una specie di oggettiva maggiore o minore difficoltà dell’argomento, si può osservare come il problema del tempo in S. Agostino ottenga il punteggio medio più elevato (52,17), mentre risultano mediamente più difficili la sillogistica aristotelica (35,89) e la problematica tomista (35,54): nel primo caso può aver contribuito al risultato positivo lo stesso S. Agostino (molti manuali riproducono testualmente o per parafrasi la brachilogia con cui egli ha impostato il problema nelle Confessioni); può invece stupire la difficoltà registrata in un ambito come quello logico che avrebbe fatto sospettare maggiore chiarezza. Ma va notata un’ampia oscillazione dei risultati. La colonna dei “classici” propone un confronto di tipo più qualitativo tra i singoli manuali. Come tutti sanno, ci sono autori e argomenti oggettivamente irrinunciabili nell’insegnamento della filosofia. Ogni manuale sarà perciò spesso valutato più per il modo in cui svolge certi temi classici che per la presenza o lo sviluppo dei cosiddetti minori o dei capitoli di raccordo. Rimanendo sempre all’interno di una considerazione quantitativa, si è proposto un confronto sullo spazio che ciascun manuale dedica alla triade Socrate-Platone-Aristotele nel primo volume, ritenendo questi autori presenti nella didattica di qualunque docente. La cifra riportata è la percentuale dello spazio dedicato ai tre filosofi (escluse le scuole) in rapporto al totale delle pagine di testo effettivo del primo volume (calcolate secondo i criteri indicati in precedenza). La significatività di questo indice sta nella possibilità di dedurne una maggiore attenzione ai temi più classici o tradizionali dell’insegnamento filosofico, oppure l’intento di offrire un repertorio informativo più completo ed equilibrato, con una rico- DIDATTICA struzione storica attenta ai momenti di passaggio e ad autori e correnti minori. In base alle proprie intenzioni didattiche ogni docente può ricavarne un’utile indicazione sullo stile del manuale. I manuali di Bontempelli-Bentivoglio e Severino ottengono i valori più elevati, dedicando più di un terzo del loro primo volume alla triade dei classici greci. All’opposto, il manuale di Casini-Benvenuti dedica poco più di un decimo ai tre filosofi, riservando il resto del volume ad una ricostruzione della cultura dei periodi cosiddetti “minori”. Va comunque ricordato che il confronto è su dati percentuali e quindi può essere significativo solo per una valutazione del singolo manuale; occorrerebbe confrontare i valori assoluti per vedere quale testo offra l’informazione più ricca su questi argomenti. S.C. Interventi, proposte, ricerche Alcuni recenti interventi su riviste di filosofia e di didattica richiamano l’attenzione sui problemi dell’insegnamento filosofico nelle scuole secondarie superiori. M. A. del Torre, in un articolo dal titolo: Insegnare filosofia nella scuola, apparso sulla “Rivista di storia della filosofia” (n. 1, 1993), traccia un chiaro bilancio delle recenti iniziative per l’aggiornamento dei docenti, proponendo nuove forme di incontro fra gli istituti universitari e le scuole secondarie. F. Cambi, G. Camatarri e A. Cosentino discutono, in tre distinti articoli, dal titolo rispettivamente:“Quale didattica?”; “I programmi degli Istituti Tecnici”; “Discontinuità significative”, pubblicati su “Nuova secondaria” (n. 10, giugno 1993), i nuovi programmi per l’insegnamento della filosofia elaborati dalla commissione “Brocca”. Nel suo articolo apparso sulla “Rivista di storia della filosofia”, Maria Assunta del Torre ha ripercorso anzitutto i principali nodi problematici che hanno contraddistinto, negli ultimi anni, il dibattito sull’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie, quale è nato da un’esigenza di trasformazione di tale insegnamento che muove dal basso, dalle esperienze dei docenti. La disponibilità manifestata dai docenti all’aggiornamento e alla riqualificazione della propria professionalità e preparazione culturale, è stata ben superiore alle iniziative promosse dal Ministero, sollecitando iniziative da parte di varie associazioni culturali (l’A.R.I.F.S., il C.I.D.I., le sezioni locali della S.F.I., i vari centri dell’I.R.R.S.A.E.). Le iniziative, però, si sono spesso polarizzate intorno a due formule che non sembrano sempre soddisfare la domanda dei docenti: da un lato si sono svolti cicli di lezioni-conferenze, tesi all’arricchimento culturale dei partecipanti, ma difficilmente “spendibili” sul piano della diretta pratica didattica; dall’altro si sono tenuti corsi di aggiornamento a sfondo psico-pedagogico o metodologico-didattico, dove spesso è prevalso inevitabilmente il semplice resoconto di esperienze individuali scarsamente elaborate. Dal canto suo M. A. del Torre richiama l’attenzione su altre, recenti iniziative (sulle quali abbiamo già riferito nei numeri precedenti di questa rivista), finalizzate a creare un terreno di comunicazione e di collaborazione fra docenti di filosofia universitari e di scuole secondarie superiori. Un primo importante livello di riflessione comune riguarda l’analisi dei problemi connessi alla lettura dei testi degli Autori: in questa direzione si è svolto un corso di aggiornamento presso il Centro scolastico onnicomprensivo di Corsico (Milano) nei mesi di febbraio e marzo 1989. Altri progetti riguardano la possibilità di studiare elementi di raccordo fra l’insegnamento della filosofia e i diversi saperi: è il caso del “Progetto Isper. Nuovi linguaggi per la professionalità docente”, nato da una convenzione tra I.R.R.S.A.E-Lombardia e Dipartimento di filosofia della Università degli Studi di Milano, in svolgimento dal febbraio 1991. Da segnalare anche a questo proposito, ha rilevato del Torre, la recente costituzione di Centri Interdisciplinari di Ricerca sulla Didattica (C.I.R.D.), che si prefiggono lo scopo di unificare le esperienze che maturano nelle diverse facoltà universitarie (in particolare quelle che hanno uno sbocco nell’insegnamento medio superiore) intorno ai problemi della didattica nella scuola, nelle diverse aree disciplinari. Importanti spunti di riflessione vengono introdotti da del Torre in relazione ai programmi di filosofia elaborati dalla commissione “Brocca”. Dopo averne indicati i caratteri salienti (su cui abbiamo già riferito nel n. 8/9 della rivista), del Torre fa notare come tali programmi ruotino intorno ad alcuni punti essenziali, che riguardano la centralità del testo, la sua collocazione storica e il collegamento con problematiche ad esso pertinenti. Queste e altre scelte dei programmi sono senz’altro condivisibili. Resta tuttavia qualche riserva sull’impostazione complessiva del progetto. «Come conciliare ed armonizzare, ad esempio - si domanda del Torre -, il largo arco di tematiche “libere” con Autori precettisticamente, anno per anno, imposti nella più parte degli indirizzi?... Non è forse che per un lato i programmi sollecitano e sottolineano la necessità di compiere delle scelte, e per altro lato, le vincolano con la obbligatorietà di lettura di testi che appartengono ad Autori dati e con la presenza (e la chiusura) delle stesse liste di temi proposti alla scelta?». Ad una discussione dei programmi “Brocca” di filosofia sono rivolti i recenti inter63 venti apparsi su «Nuova secondaria». Franco Cambi richiama l’attenzione sul fatto che tali programmi consentono di superare le alternative tipiche del dibattito sulla didattica della filosofia (metodo storico o per problemi, ricorso al manuale o primato esclusivo dei testi), favorendo un insegnamento «più filologico e più critico, più dinamico, e soprattutto sottratto al Moloch storicistico e alla prassi manualistica». Un accoglimento delle nuove indicazione programmatiche esige che si ponga anzitutto attenzione all’”idea” stessa di filosofia, vale a dire «non a un tipo di filosofia, ma alla filosoficità in generale, al suo discorso». Al tempo stesso tali programmi richiedono una vicinanza agli strumenti della ricerca filosofica così come viene praticata dagli specialisti, nonché un approccio alla storia della filosofia che ne ponga in luce, ad un tempo, le permanenze e le variazioni. Giovanni Camatarri fa il punto intorno ai programmi “Brocca” di filosofia predisposti per gli Istituti Tecnici. Il merito del nuovo progetto complessivo dell’insegnamento della filosofia, che ne prevede l’estensione alle scuole superiori di ogni ordine, è quello di «concorrere a ridefinire e a modificare il rapporto, fin qui caratterizzato da un vero e proprio dualismo, tra le “due culture”, umanistica e tecnologico-scientifica, la cui netta separazione corrisponde ad un modello culturale che è vistosamente obsoleto». Nel suo articolo, poi, Camatarri analizza la struttura dei programmi previsti per gli Istituti Tecnici, le scelte tematiche e la valenza transdisciplinare assegnate alla filosofia, l’attribuzione al suo insegnamento di una funzione di stimolo alla riflessione critica e di raccordo fra le diverse discipline. Antonio Cosentino, infine, sottolinea alcune ambiguità dei programmi “Brocca”, relative al tentativo di conciliare il metodo storico con quello per problemi e alla modalità in cui si prospetta l’estensione dell’insegnamento filosofico agli indirizzi di tipo tecnico. Da segnalare infine un articolo, a firma P.C., apparso su «Sensate esperienze» (n. 18, aprile 1993), dal titolo: “Computer e filosofia. Un binomio... blasfemo?”, relativo ad un’esperienza diretta di introduzione dell’informatica nelle varie forme e tappe (dall’apprendimento all’autoverifica) in cui si articola l’iter di filosofia nella scuola secondaria, così come può essere vissuto sia dal discente che dal docente. Dal 19 al 20 novembre si terrà, presso il Museo Civico di Storia Naturale, un convegno promosso dall’Istituto Geymonat per la Filosofia della scienza, la Logica e la Storia della scienza e della tecnica con il patrocinio del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Milano, dal titolo: QUALE FUTURO PER LA SCUOLA ITALIANA?. Parteciperanno: G. Giorello, C. Mangione, C. Bernardi, F. Selleri, G. Pinna, A. Oliviero, B. Brocca, E. Agazzi, G. Salvetti, P. Bertoline, F. Minazzi, RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO Vol. LXIX, n. 3, luglio-settembre 1992 Giuffré Editore, Milano. Questo numero della rivista dedica numerosi interventi alla figura di Kelsen, uno dei filosofi del diritto più significativi del nostro secolo. Kelsen e la democrazia, di A. Catania: la dottrina pura del diritto di Kelsen e la democrazia. “Porte aperte”: la pena di morte come problema, di F. D’Agostino. Kelsen senza Kant, di S. L. Paulson: a partire dalle argomentazioni di Joseph Raz sulle linee di fondo del positivismo giuridico, viene valutata la posizione di Kelsen in rapporto a tale programma. Vengono inoltre esaminate le proposizioni normative di Kelsen. Regole costituve e sillogismo normativo, di S. Radice: il sillogismo normativo viene qui analizzato in generale e poi nella sua versione di sillogismo giudiziale. La tradizione filosofica del diritto romano e del diritto cinese antico e l’influenza del diritto romano sul diritto cinese contemporaneo, di Y. Zhenshan. ITINERARI FILOSOFICI Anno II, n. 4, settembre-dicembre 1992 Università degli Studi, Milano La costruzione del destino, di L. Bonesio: una riflessione sulla strategia archeologica di Benjamin. Zauberberg. Faust o dell’eccentricità del soggetto, di E Fagiuoli. Mondi della parola e mondi della scrittura, aspetti della tensione tra due forme simboliche, di G. Zucchelli: attraverso l’analisi dei legami tra mondo della scrittura e mondo della parola può emergere una precisa visione dei caratteri e delle connessioni di un intero ambito culturale. secolo, Severo, autore anch’egli di un Commento al Timeo. Ciò offre lo spunto per analizzare il dibattito medioplatonico relativo al problema delle categorie e dei generi dell’essere. Il Socrate di Vlastos, di G. Giannantoni: recensione di G. Vlastos, Socrates ironist and moral philosopher (Cambridge, 1991). Una nuova interpretazione del Parmenide di Platone, di F. Trabattoni: recensione di M. Migliori, Dialettica e verità. Commentario filosofico al Parmenide di Platone (Milano, 1990). Sul Sofista di Platone, di A. D’Angelo: recensione di G. Sasso: L’essere e le differenze. Sul Sofista di Platone (Bologna, 1991). Nuovi studi sull’evoluzione filosofica di Aristotele, di E Berti. Il gioco dell’origine, di F. S. Chesi: una breve nota su E. Severino, Oltre il linguaggio. TEORIA Filosofia e narrazione: metafisica e politica in Heidegger. Intervista con Jean Pierre Faye, a cura di F. Cassinari. Precauzioni filosofiche per la teologia del Duemila, di V. Sainati: l’articolo si interroga sulla attualità di una ripresa della “cristologia” nella teologia attuale, in alternativa al “teologismo” del cristianesimo istituzionalizzato. Incoerenza costitutiva, di A. G. Conte: una riflessione sui due sensi di “coerenza” nella linguistica testuale. ELENCHOS ANNO XIV, N. 12, 1993 Filosofia del diritto, di B. Montanari: una riflessione sull’identificazione scientifica e la didattica di questa disciplina. Xenophanes als didaktischer Dichter, di G. Wöhrle. La parabola di un paradigma ermeneutico tra Schleiermacher e Bultmann, di S. Sorrentino: analisi del paradigma dell’ermeneutica cristiana antica presente nella formula “la Scrittura cresce con chi la legge”, paradigma che si esurisce nel corso dei secoli, dopo Gregorio Magno, e che viene riformulato durante il periodo romantico. RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO n. 4, ottobre-dicembre 1992 Giuffré Editore, Milano. L’identità della persona e il valore della vita quali presupposti di una teoria della giustizia di Ronald Dworkin, di S. C. Sagnotti. I sensi dell’autorità, di G. Salzano. Bibliopolis, Napoli Su Aristotele, Politica VII. 2, 1324 a 23-25, di A. Corcella Severo, il medioplatonismo e le categorie, di A. Gioè: a partire dalle informazioni contenute nel Commentario al Timeo di Proclo, viene ricostruito il pensiero di un platonico quasi sconosciuto, vissuto nel II 64 Vol. XIII, n. 1, 1993 ETS, Pisa Heidegger a Marburgo. Una lettura del De Anima, di A. Sordini: la riflessione di Heidegger sulla conoscenza che ruota intorno alla lettura dell’opera aristotelica. Intorno alla filosofia analitica del linguag- RASSEGNA DELLE RIVISTE gio di C. Marletti: recensione del volume di A.A.V.V., Introduzione alla filosofia analitica del linguaggio, a cura di M. Santambrogio (Laterza, Bari-Roma 1992). La divina individualità, di M. Donà: annotazioni sul De la causa, principio e uno di Bruno. L. Bingswanger: Tre forme di esistenza mancata. Esaltazione fissata, stramberia, manierismo (SE, Milano, 1992), di F. Polidori. E. Bloch: Eredità del nostro tempo (Il Saggiatore, Milano, 1992), di G. Berto. La saga di Gilgamesh (Rusconi, Milano, 1992), di G. Comolli. AXIOMATHES Anno IV, n. 1, aprile 1993 Il Poligrafo, Padova Della sostanza, di F. Brentano: un inedito tratto dal lascito (pp. 30604-30620) brentaniano con una introduzione di W. Baumgartner, accompagnato dal testo in lingua originale. Twardowski’s theory of modification againts the background of traditional logic, di R. Poli. A Lesniewskian guide to Husserl’s and Meinong’s jungles, di V. L. Vasyukov. Le parti e l’intero nella concezione di Aristotele: la holologia come progetto di metafisica descrittiva (parte I), di L. Dappiano: è questo il primo di una serie di articoli dedicati ad un’indagine sul rapporto partiintero in Aristotele con lo scopo non solo di esaminare questo aspetto della riflessione aristotelica, ma anche di porre tale teoria alla base di una ricerca che delinei uno schema categoriale per la nostra costituzione degli oggetti di esperienza. AUT AUT n. 253, gennaio-febbraio 1993 La Nuova Italia, Firenze Questo numero della rivista analizza e recensisce dieci libri recentemente apparsi in Italia. F. Nietzsche: Intorno a Leopardi (Il Melangolo, Genova, 1992), di A. Folin. F. Nietzsche: La volontà di potenza. Frammenti postumi ordinati da Peter Gast e da Elisabeth Förster Nietzsche, (Bompiani, Milano, 1992), di F. Moiso. FILOSOFIA Anno XLIV, n. 1, gennaio-aprile 1993 Mursia, Milano Sull’essenza del nichilismo teoretico e la “morte della metafisica”, di V. Possenti: proposta di alcume nuove premesse per la determinazione del nichilismo speculativo attraverso il confronto con le interpretazioni date da Nietzsche, Heidegger e Gentile. Da un Orphelin all’altro, ovvero Voltaire in Cina, di R. Pomeau: la presenza in Cina di Voltaire attraverso la sua tragedia Orphelin de la Chine. Il valore incondizionato e la volontà che si dia un mondo: la filosofia dei valori di Hugo Münsterberg, di E Massimilla. Cassirer e Croce: un possibile confronto, di B. Henry: il rapporto tra Croce e Cassirer è stato segnato da una polemica che prende le mosse da un comune interesse: stabilire il ruolo delle esigenze della vita pratica nella formazione dei concetti scientifici; una polemica che comunque resta viziata da una reciproca incomprensione. Storicismo e apriorismo, di F. Montero: la polemica husserliana su storicismo ed apriorismo alla luce delle riflessioni sul mondo della vita. Gli studi di storia romana di Ettore Lepore, di E. Gabba. Mutamenti di prospettiva culturale nelle lingue europee moderne: l’influenza del latino sulla sintassi, di R. Sornicola. RIVISTA DI FILOSOFIA La poetica dell’ironia, di G. Gallino: ironia e filosofia in F. Schlegel e Novalis. Vol. LXXXIV, n. 1, aprile 1993 Il Mulino, Bologna Il teorema di incompletezza di Goedel, di I. Aimonetto. Ricordo di Ludovico Geymonat, di N. Bobbio. Critica al monismo metafisico neoparmenideo di Severino, di U. Soncini: pur riconoscendone l’originalità e l’irriducibilità a sistemi filosofici presenti o passati, il pensiero severiniano viene qualificato come “monismo neoparmenideo” per la lettura di stampo teoretico del pensatore greco; l’articolo analizza criticamente tale qualificazione in una prospettiva neofenomenologica. Auguste Comte e gli ambienti scientifici francesi (1814-1848), di M. Larizza: sui rapporti tra Comte e gli intellettuali della scienza francesi come momento genetico di un legame tra filosofia e scienza destinato ad essere molto fecondo. C. G. Jung: Opere (Bollati Boringhieri, Torino 1969-1992), di M. Trevi. Le trappole di Newcomb, di V. Ottonelli: l’articolo vuole dimostrare che il paradosso di Newcomb, pur generando molti problemi relativi al determinismo, al libero arbitrio ed anche problemi di natura epistemologica, non rappresenta una questione filosofica vera e propria. ARCHIVIO DI STORIA DELLA CULTURA M. Heidegger: Concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine (Il Melangolo, Genova 1992), di V. Vitiello. M. Heidegger, E. Fink: Dialogo intorno a Eraclito (Coliseum, Milano, 1992), di D. Goldoni. T. Burns: Erving Goffman (London, New York, 1992), di R. De Biasi. G. Benn: Lo smalto sul nulla (Adelphi, Milano, 1992), di A. Dal Lago. Anno VI, 1993 Morano Editore, Napoli Il De Magia e il recupero della sapienza originaria. Scrittura e voce nelle strategie magiche di Giordano Bruno, di M. Cambi: l’opera sulla magia e sugli strumenti tecnici, progettata ed abbozzata da Bruno alla vigilia del suo arresto. La religione di Cardano. Libertinismo e eresia nell’Italia della controriforma, di E. Di Rienzo. 65 Logica matematica, fondamenti della matematica, fondazione della matematica, di E Casari; Paradigmi e manuali, di G. Lolli: entrambi sull’articolo di Carlo Cellucci, Dalla logica teoretica alla logica pratica (“Rivista di Filosofia”, LXXXIII, 1992, pp. 169-207). Pensiero libertino e libertinismo europeo, di A. Dini: recensione di S. Zoli, Europa libertina tra Controriforma e Illuminismo. L’”Oriente” dei libertini e le origini dell’Illuminismo (Cappelli, Bologna 1989). RASSEGNA DELLE RIVISTE David Hume e la passione dell’orgoglio di M. Pascucci: una ricostruzione delle articolazioni interne, dei riferimenti filosofici e dei contenuti metodologici svolti da Hume nell’analisi della passione dell’orgoglio. Descartes e la cultura matematica, di M. di Loreto. RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXIV, n. 2, agosto 1993 Il Mulino, Bologna Obbligo morale ed equilibrio di Nash, di T. Magri: l’articolo vuole mettere in luce le difficoltà relative alla ricerca di un fondamento per le norme morali. Max Weber, Dilthey e le Logische Untersuchungen di Husserl, di P. Rossi. Putnam ed il realismo dal volto umano, di M. Alai: recensione della raccolta di saggi di Putnam, Realism with a human face (Harvard University Press, Cambridge London 1990) Newton e i suoi biografi, di P. Casini: uno sguardo sulla letteratura agiografica, aneddotica e manualistica su Newton. Lo scetticismo di Hume tra ricerca sulle fonti e ricostruzione delle teorie, di E. Lecaldano: le ricerche italiane relative alla “Hume-Renaissance”. Otto Neurath era un filosofo austriaco?, di D. Zolo: recensione di T. E. Uebel, Rediscovering the forgotten Vienna Circle. Austrian studies on Otto Neurath and the Vienna Circle (Dordrecht, Boston, London, Kluwer Academic Publishers, 1991) La teoria dell’interpretazione di Emilio Betti nel dibattito ermeneutico contemporaneo, di F. Bianco. PARADIGMI Anno XI, n. 31, gennaio-aprile 1993 Schena Editore, Brindisi La rivista affronta il tema monografico “Lo spazio dell’etica nella cultura contemporanea”. L’obiettivo di questa iniziativa non è tanto, come sottolinea Semerari nell’introduzione, presentare una rassegna delle odierne tendenze etiche o privilegiare una particolatre forma di etica, ma da un lato mettere a fuoco alcune problematiche a livello etico, relative a principi, condizioni logiche, strutture categoriali, riscontri storici (La vertigine del cominciamento. Congetture (meta) etiche sul tempo e la morale, di G. Barletta; Complessità dell’agire e della sua comprensione, di F. Bianco; Agire razionale e agire morale. Sulla coalterità come fatto e come valore, di G. Cera; Sulla costituzione dei nuovi soggetti morali, di M. Manfredi; Epistemologia dell’irreversibile ed etica del tempo, di A. Masullo; Esistenza, etica e complessità, di di S. Moravia; La scelta, di G. Semerari; Aristotele e la filosofia pratica: qualche problema, di M. Vegetti), dall’altro analizzare in prospettiva etica problemi di interesse pedagogico, economico, sociologico e politico, antropologico-culturale, estetico (La crisi della contemporaneità: possibilità e limiti dell’etica e della pedagogfia, di P. Bertolini; Ethos/Logos. La fenomenologia come “critica di qualsiasi vita”, di F. De Natale; Etica e sviluppo: una traccia di discussione, di M. Miegge; Contributi antropologici allo studio dei diritti dell’uomo: considerazioni e ricerche, di T. Tentori; Significato etico della laicità dell’arte, di S. Zecchi). FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ Anno XV, n. 3, 1992 Edizioni Piemme, Asti La rivista raccoglie gli atti del convegno: “Linguaggio e filosofia nel Primo Romanticismo” (Napoli, Salerno, dicembre 1990). Come sottolinea S. Sorrentino (Filosofia e linguaggio nella cultura tra Kant ed Hegel), nella cultura idealistico-romantica il nesso filosofia/linguaggio gioca un ruolo cruciale, tanto che è proprio in questo periodo che il linguaggio diventa oggetto della riflessione filosofica. I saggi qui proposti intendono esplicitare il nesso parola-razionalità nel suo approdare ad esiti di natura teoretica (la riflessione sul linguaggio idealistico-romantica porta la filosofia al culmine di uno dei suoi pensieri-limite), storico-filosofica (il Romanticismo come esito di una sorta di “dissoluzione critica dell’illuminismo”), teoretica e storico-filosofica (la dialettica come pensiero filosofico centrale di questo tipo di riflessione). La Critica del Giudizio come chiave di volta del sistema kantiano, di M. Frank. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXIV, n. 4, ottobre-dicembre 1992 Vita e Pensiero, Milano L’analogia come chiave di lettura della creazione, di V. Melchiorre: il problema della creazione in rapporto alla domanda fondamentale della filosofia: come può il non-essere dar luogo all’essere? Ordine, musica, bellezza in Agostino, di R. Radice: presentazione del volume: Ordine Musica Bellezza, a cura di M. Bettetini (Rusconi, Milano 1992), che comprende la traduzione integrale dei dialoghi De Ordine e De Musica ed un’antologia sistematica sul tema della bellezza. La virtù della giustizia: da “habitudo” ad “habitus”, di A. Tarabochia Canavero: il concetto di giustizia Metaphorice dicta in Alberto Magno e S. Tommaso. Ipotesi metafisica. Modello matematico, creazione, eschaton. Una lettura dell’opera di Jean Ladrière, di M. R. Natale. La scoperta di nuovi documenti sulla vita di Bruno. Su Giordano Bruno and the embassy affair di John Bossy, di S. Mancini: recensione di J. Bossy, Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata (Garzanti, Milano 1992) Misologia ed irenismo. A proposito di un dialogo dottrinale e di ateismo in K. Marx, di A. Gnemmi: articolo inedito di Gnemmi, a dieci anni dalla morte. 66 L’antinomia del giudizio teleologico, di V. Zanetti. Spirito e lettera. Riflessioni sulla filosofia del linguaggio di Fichte e Novalis, di G. Moretto. La natura dei concetti: importanti progressi nel pensiero del giovane Schleiermacher, di T. N. Tice. Dialettica romantica. F. Schlegel e Schleiermacher, di A. Arndt. I limiti della ragione nella Dialettica di Schleiermacher, di W. Jaeschke. Filosofia trascendentale e dialettica nella cultura idealistico-romantica. I presupposti della “Dialektik” di Schleiermacher, di S. Sorrentino. Poetica e logica della parola nella critica hegeliana dell’arte romantica, di A. Masullo. IL CANNOCCHIALE n. 3, settembre-dicembre 1992 Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli Dirac, Eddington and the rationalist origins of the anthropic principle programme, di G. Gale. Contro il disfattismo di una ragione debole, di A. M. Jacobelli Isoldi: critica dell’opera di J. Habermas, Il pensiero postmetafisico (Laterza, Bari 1991), che ri- RASSEGNA DELLE RIVISTE prende temi fondamentali della riflessione habermasiana, più in particolare l’esigenza di non coinvolgere la ragione critica con il processo di destabilizzazione innescato dalla filosofia della seconda metà del nostro secolo. GIORNALE DI METAFISICA Anno XIV, n. 3, settembre-dicembre 1992 Tigher, Genova Il “Leibniz Archiv” di Hannover, Münster e Berlino, di R. Finster. La quadruplice distinzione del “nulla” nell’analitica dei principi in Kant, di A. Gentile: il breve saggio delinea la tavola del “nulla” contenuta nelle parti finali dell’analitica dei principi della Critica della Ragion Pura il cui ruolo è importante, nella filosofia trascendentale, in rapporto alle conclusioni sulla doppia distinzione possibilità-impossibilità e limitato-illimitato contenuta nel saggio di Kant: Che cosa significa orientarsi nel pensare? Leibniz: i volumi 12 e 13 dell’edizione dell’Accademia, di D. Rutherford. Leibniz and the chinese culture. A rationalist’s approach to an alien culture, di J. de Salas. Spinozismo e modernità, di M. Biscuso: recensione di Y. Yovel, Spinoza et autres hérétiques (Seuil, Paris 1991) in cui l’autore afferma che Spinoza, nonostante ponga il cominciamento della filosofia non nel cogito, ma nella sostanza divina, assume un ruolo di primo piano nella nascita della modernità. Über ästhetische und pragmatische Grundlagen der Hermeneutik: zwei Diltheys Bücher, di K. H. Lembeck: recensione di A. Makkrel, Dilthey, Philosoph der Geisteswissenschaften (Suhrkamp, Frankfurt 1991) e F. Fellmann, Symbolischer Pragmatismus. Hermeneutik nach Dilthey (Rowohlt, Reinbeck 1991). La logica di Kant, di R. Pozzo: recensione di T. Boswell, Quellenkritische Untersuchungen zum kantischen Logik-Handbuch (Lang, Frankfurt 1991). n. 2, aprile-giugno 1993 Vittorio Klostermann, Frankfurt a/M Tema della rivista: “Heideggeriana”. Antilogia, di N. Incardona. The judaic faith of Ernst Cassirer, di W. Kluback. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Da Tebe ad Atene e da Atene a Tebe. Metafisica Theta 2 tra Aristotele ed Heidegger, di E. Caramuta e A. M. Treppiedi: dalla lettura del secondo capitolo del IX libro della Metafisica aristotelica, che cerca di esperire il logos al di là dei vincoli rappresentati dall’essenza e dalla definizione per comprenderlo in quanto tale, si innesta l’interpretazione di Heidegger. Metafisica e pensiero razionale. Aspetti della Kehre alle origini del pensiero heideggeriano, di L. Samonà: l’articolo analizza l’attenzione di Heidegger per la questione della “fatticità” della vita (il futuro Dasein) fin dalla sua prima riflessione, attenzione che viene stimolata dalla ripresa di motivi essenziali aristotelici. In questa prospettiva la “svolta” appare come una necessità del suo pensiero. Aristotele ed Heidegger. Prospettive e momenti di un’interpretazione, di G. Penati: una mappa dello sviluppo dell’indagine heideggeriana su Aristotele, autore che ha un certo privilegio nella meditazione del filosofo tedesco, delineandone l’evoluzione ed evidenziandone gli aspetti teoretici, storici ed interpretativi. Logos come fondamento: il superamento della metafisica nella riflessione heideggeriana su Leibniz, di L. Di Bartolo: l’articolo delinea l’incidenza del confronto con Leibniz nella filosofia di Heidegger, privilegiando le lezioni di Marburgo del 1928 e quelle di Friburgo del 1955-56. Il nulla e l’essere. Leopardi e l’idea di poesia, di S. Lo Bue. Formale Semantik im Verhältnis zur Erkenntnistheorie, di H. Hrachovec. Die Konsequenzialistische Begründung des Lebensschutzes, di G. Pöltner. Zwischen Wissenschaftskritik und Hermeneutik: Foucaults human Wissenschaften, di D. Teichert: una riflessione sull’evoluzione del pensiero di Foucault. Freiheit und Determinismus (2), di G. Seebass. DEUTSCHE ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHIE Vol. 41, n. 2, 1993 Akademie Verlag, Berlin Die bleibende Aktualität von William James, di H. Putnam. Das Problem einer universalistischen Makroethik der Mitverantwortung, di K. O. Apel. Normativität und Reflexion, di N. Winkler: il problema del Bene in Eckhart. Arbeit und Praxis, di F. Kambartel: i fondamenti concettuali di un dibattito politico attuale. Eine feministische Stellungnahme zu Kambartels Arbeit und Praxis, di A. Krebs. Von der Arbeit und ihrer ökonomischen Bestimmtheit, di P. Ruben: ancora sull’intervento di Kambartel. Über die Schwierigkeit mit der internen Moral der Arbeit. Ein Kommentar zu F. Kambartel, di I. Kurz-Scherf. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Philosophische Hermeneutik, di T. Seebohm. n. 1, gennaio-marzo 1993 Vittorio Klostermann, Frankfurt a/M Verso la morte dell’uomo, di E. Tarascio: recensione di W. Kluback, Toward the death of man (Lang, New York 1991). Freiheit und Determinismus (I parte), di G. Seebass. Verletzbarkeit durch die Ehe, di S. Moller Okin: riflessioni sul diritto familiare. Serie di interventi critici sull’opera di J. Habermas: Faktizität und Geltung. Beitrage zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats (Suhrkamp Verlag, Frankfurt 1992). Schiller über das Erhabene, di K. Petrus. L’angelo della storia, di F. Tansi: recensione di S. Mosès, L’ange de l’histoire. Rosenzweig, Benjamin, Scholem (Seuil, Paris 1992). Il neutro, di J. Rollands: recensione di F. Garritano, Sul Neutro. Saggio su Maurice Blanchot (Ponte alle Grazie, Firenze 1992). Die Rolle der Sprache in Sein und Zeit, di C. Lafont. Die Sprache spricht Heideggers Tautologien, di C. A. Scheier. 67 Zum Stellenwert von “Philosophie und Politik” in H. Arendts Denken a cui fa seguito il contributo della stessa Arendt dal titolo Philosophie und Politik. RASSEGNA DELLE RIVISTE REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 91, febbraio 1993 Institut supérieur de philosophie Louvain la Neuve Le concept de philosophie première chez Aristote, di J. Follon: analisi del concetto aristotelico di filosofia prima in riferimento a un precedente articolo dello stesso autore, Le concept de philosophie première dans la Métaphysique d’Aristote (“Revue philosophique de Louvain”, vol. 90, 1992). Finitude et altérité dans l’ésthétique trascendantale, di G. Giovannangeli: l’affettività kantiana sulla base dell’interpretazione di Heidegger e delle osservazioni di Cassirer. Deux théories de l’esprit: Hegel et Schleiermacher, di E. Brito: l’articolo mette a confronto la filosofia dello spirito soggettivo ed oggettivo di Hegel con la psicologia e l’etica di Schleiermacher e la filosofia dello spirito hegeliana con il concetto di arte di Schleiermacher. Entrambi cercano di esprimere la totalità delle attività umane come automanifestazione compiuta dello spirito; solo che nel sistema di Schleiermacher, a differenza di quello hegeliano, esse vengono colte non come diversi momenti di un processo teleologico, ma come sfere aventi lo stesso valore, rivalutando anche la soggettività nelle sue particolarità e nell’autonomia delle diverse istituzioni etiche. La choix du métier: sur le “rationalisme” de Husserl, di J. Benoist: tenendo presenti le analisi husserliane sulla filosofia del XIX sec. (1923-24), l’articolo delinea la posizione del filosofo come una forma di razionalismo critico. Platon, l’école de Tübingen e Giovanni Reale, di L. Rizzerio: l’articolo prende in esame il nuovo paradigma interpretativo proposto da Reale in Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle “dottrine non scritte”, (Milano, Vita e Pensiero, 1990), arrivato ormai alla sua quarta edizione. Hegel, des années de jeunesse à la fondation du premier système, di O. Depré: uno sguardo sulla recente letteratura critica sul giovane Hegel. Nova et vetera: “Le fondement de la morale” de Mgr A. Léonard, di P. W. Rosemann: recensione di A. Léonard, Le fondement de la morale. Essai d’éthique philosophique générale (Editions du Cerf, Paris 1991) REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Vol. 46, n. 4, 1992 Universa, Wetteren Tema della rivista: “Frontiere del linguaggio; frontiere della filosofia”. L’esprit des bêtes, di J. Proust: sul rapporto che intercorre tra il linguaggio nel regno animale e quello degli uomini, questione presente anche nella filosofia dall’età classica al Rinascimento. Entre le langage et l’expérience: généalogie et crise d’une démarcation, di A. Soulez: l’evoluzione della filosofia del linguaggio di Wittgenstein dal punto di vista di una riconciliazione di linguaggio ed esperienza. A la recherche de vérités éthiques, di R. Ogien: il realismo morale nella filosofia analitica. La métaphysique de la parole et ses faubourgs du langage, di J. P. Cometti: i riflessi di Essere e Tempo sulla filosofia del linguaggio contemporanea. proprie radici in una filosofia basata sulla psicologia. L’Encyclopédie et les techniques, di C. Kanelopoulos: nell’Enciclopedia non si approda a soluzioni teoriche univoche riguardo al ruolo e le origine delle arti meccaniche. La specificità di tali arti, più che nel Discorso preliminare, viene evidenziata nell’articolo di Diderot Art e nell’articolo Ecletisme, che propone la creazione di un’Accademia delle Arti ed apre una nuova prospettiva teorica sul ruolo delle arti meccaniche. La musique et les limites du système, di P. Grosos: la posizione della musica all’interno di un sistema, a partire dalle riflessioni sul tema sviluppate dall’idealismo tedesco. Le point sur les recherches schellingiennes, di X. Tilliette. In memoriam. Albert Heinekamp, di M. Fichant. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vérité et sens: retour à Frege, di F. Schmitz. Vol. XXXI, n. 1, gennaio 1993 Washington University, St. Louis Les concepts vagues, sont-ils des concepts sans frontières?, di P. Engel. Aristotle on lying, di J. S. Zembaty. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 56, n. 1, gennaio-marzo 1993 Beauchesne, Paris La cosmologie transcendantale de Whitehead: transformation spéculative du concept logique, di J. Bradley: Whitehead combina in maniera unica la struttura tradizionale dell’analisi metafisica del pensiero prekantiano e postkantiano attraverso il concetto di “costruzione logica”. La philosophie morale d’Eric Weil et la fondation de la loi morale, di G. Kirscher: dall’esame della Filosofia morale di Weil emerge l’adesione all’idea kantiana di legge morale. A partire da un metodo che è al tempo stesso analisi genetica, sviluppo fenomenologico, esposizione enciclopedica, la questione morale si pone qui come domanda irriducibile. L’intuitionisme des mathématiciens avant Brouwer, di J. Largeault: secondo Brouwer la tradizione pre-intuizionista è quella che in Francia, all’inizio del secolo, formula critiche puntuali al modello matematico costruttivista, pur non arrivando ad una concezione positiva dell’intuizione; una tradizione “empirista” che affonda le 68 Occasionalism and general will in Malebranche , di S. Nadler: l’occasionalismo nella versione proposta da Malebranche si pone come tentativo di riconciliazione tra ambito filosofico ed ambito teologico. The last temptation of Zarathustra, di D. E. Cartwright: una riflessione sulla IV parte del più famoso libro di Nietzsche. Russell’s theory of meaning and denotation and On denoting, di R. Wahl. MAN AND WORLD Vol. 26, n. 1, gennaio 1993 Kluwer Academic Publishers Dordrecht, Boston, London On Thinking, di N. Rotenstreich: l’intelligenza artificiale ed il rapporto con il pensiero. Merleau-Ponty alive, di G. B. Madison: Marleau-Ponty rappresenta un significativo esempio di filosofo engagè; l’articolo prende in esame gli aspetti politici della sua riflessione. L’esprit objectif as a theory of language di S. Martinot: l’articolo analizza le tre fasi RASSEGNA DELLE RIVISTE dello sviluppo del pensiero di Sartre sullo spirito oggettivo. Plotinus and the platonic Parmenides, di G. M. Gurtler. From Marx’s politics to Rorty’s poetics: schifts in the critique of metaphysics, di G. L. Ormiston e R. Sassower. On being wrong: Kripke’s causal theory of reference, di J. Powers: la teoria del linguaggio di Kripke è paradigmatica di una teoria causale ed estensionale della refernza. God among the signifiers, di D. Crownfield: il ruolo di Dio e del termine Dio nella modernità. MAN AND WORLD Merleau-Ponty and cartesian skepticism: exorcising the demon, di L. Hass. The role of science in Human-all-too Human, di P. Heckman: il ruolo della scienza in Umano troppo Umano di Nietzsche in rapporto alla metafisica, alla religione, alla morale. Europe, Truth and History: Husserl and Voegelin on philosophy and the identity of Europe, di D. J. Levy: il confronto qui proposto tra Husserl e Voegelin si basa su un’idea “spirituale” d’Europa mutuata dall’idea di Husserl nella Crisi. Gerhard A. Rauche’s philosophy of actuality: the work and thought of an individualist South African philosopher, di T. J. G. Louw: un profilo delle opere e del pensiero di G. Rauche, uno degli esponenti più significativi del pensiero filosofico del Sudafrica. Helmuth Plessner als philosophischer Wegweiser für F. J. J. Buytendijk, di H. Struyker Boudier. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXII, n. 4, dicembre 1992 Forham University, New York Intentionality and madness in Hegel’s psychology of action, di D. BertholdBond: prendendo le mosse da Nietzsche, viene analizzato il dominio della dimensone dell’inintenzionalità nel pensiero etico hegeliano. tro Internazionale di Studi di Estetica, Palermo) pubblica un saggio di Emilio Mattioli, Contributi alla teoria della traduzione letteraria. CAHIERS ERIC WEIL III (Presses Universi- A defense of folk psychology, di P. K. Blunt: alcuni aspetti di questa particolare teoria del comportamento umano. taires de Lille) presentano un fascicolo monografico sulla “Interpretazione di Kant”, una serie di testi raccolti a cura di J. Quillien e G. Kirscher. NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE INTERSEZIONI (Vol. XII, aprile 1993, Il Mulino, Bologna) presenta un articolo di S. Poggi dal titolo: L’arte del”pastiche”. L’estetica di Croce e la filosofia tedesca, teso a dimostrare l’inserimento dell’estetica crociana all’interno del didattito del tempo. FILOSOFIA OGGI (Anno XVI, n. 61, gen- naio-marzo 1993, Edizioni dell’arcipelsgo, Genova) presenta un articolo di G. C. Duranti, Aritmogeometria pitagorica e idee-numeri di Platone; e un intervento su Gentile di G. M. Pozzo, G. Gentile tra cultura e politica. (Anno XI, n. 1, 1993, Nuova Eri, Roma) presenta le riflessione di alcuni autori sul tema: “La felicità”. L’ambiguità del concetto di felicità è tale da stimolare fortemente la riflessione filosofica, ma anche quella psicologica, scientifica e storica. Ecco perché, accanto ad interventi più strettamente filosofici, troviamo alcuni articoli in cui viene analizzato il significato, innovatore, del “diritto alla felicità” proclamato dalla Rivoluzione Francese (Il diritto alla felicità, di D. Losurdo); oppure l’intreccio tra momento logico e momento affettivoemozionale nella felicità procurata dalla ricerca scientifica (La felicità della scoperta, di S. Tagliagambe). NOVECENTO (anno II, n. 5-6, 1992, Cen- FILOSOFIA E TEOLOGIA (Vol. VII, n. 1, gennaio-aprile 1993, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) a cinque anni dalla comparsa del documento programmatico, la rivista fa il punto sulla questione dei rapporti tra filosofia e teologia come tentativi di rispondere a domande ineludibili per l’umanità. Per questo appare oggi urgente non solo avere a disposizione uno strumento di dialogo tra le due discipline, ma anche porsi il problema delle ragioni di un confronto di un simile dibattito. tro Studi Italiani, Roma) pubblica un articolo di F. Fronterotta, Essere e tempo nel verso 5 del frammento 8 del Poema di Parmenide, nel quale vengono anche brevemente illustrate le varie interpretazioni che sono state fornite. KAMEN (Anno III, n. 3, maggio 1993) presenta, nella sezione dedicata alla filosofia, la traduzione della seconda parte dei Frammenti di estetica dall’edizione moscovita del 1992 di Gustav Gustavovic Spet (1879-1940). ITER (5-6, maggio-dicembre 1992, Mariet- ti, Genova) presenta un numero monografico dal titolo: “Società e politica tra esodo e comunità”, con interventi, tra gli altri, di S. Natoli (L’esodo) e M. Perniola (Oltre neoclassicismo e primitivismo) BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI VICHIANI (Anni XXII e XXIII, 1992-1993, Bibliopolis, Napoli) è dedicato alla pubblicazione degli atti del convegno: “Vico in Italia e in Germania” (Napoli, 1-3 marzo 1990). BULLETIN DE PHILOSOPHIE (n. 7, CRDP de Bretagne) presenta un numero dedicato all figura di Eric Weil. IDEE (Anno VII, n. 21, settembre-dicem- Trying to become real: a buddhist critique of some secular heresies di D. Loy. AESTHETICA (n. 37, aprile 1993, Cen- Self as a problem in african philosophy, di C. B. Okolo. Vol. 26, n. 2, aprile 1993 Kluwer Academic Publishers Dordrecht, Boston, London Hannah Harendt and the ideological structure of totalitarianism, di W. Allen: una riflessione su Origini del totalitarismo (1966) di Arendt. dinanza, democrazia, diritti” e “Meccanizzazione del ragionamento e dimostrazione automatica”. bre 1992 Milella, Lecce) presenta, tra gli altri, L’idea di tempo tra filosofia e psichiatria, di R. Convertini e Péguy critico della ragion storica. L’inglorioso verticale, di D. Bensaïd. DISCIPLINE FILOSOFICHE (n. 2, 1992, Thema Editore, Torino) svolge, nelle sezioni di cui si compone, due temi : “Citta- 69 THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol. 68, n. 2, 1993, Herder, Basel, Freiburg, Wien) presenta un articolo sul problema religioso in Kant: Wohlverhalten und Wohlergehen. Der moralische Gottesbeweis in den Schriften Kants, di G. B. Sala. RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVII, n 1, gennaio-marzo 1993, Libraria Editoriale Sodalitas, Stresa) oltre ad una serie di articoli su Rosmini ed i pensatori rosminiani presenta un intervento di S. Buscaroli, L’eros di verità, tema centrale ed unitario del Fedro. NOVITÀ IN LIBRERIA Ackermann, Robert John Nietzsche: A frenzied look University of Massachusetts maggio 1993 pp.224, UK £ 13,50 Contro l’idea comune che Nietzsche abbia attraversato periodi ben distinti di pensiero, ognuno dei quali basato su una serie differente di valori, e che la sua opera vada pensata come una raccolta di vedute isolate. L’analisi testuale di Ackermann dimostra l’unità di fondo del pensiero nietzscheano. Adorno, Theodor W. Hegel: Three studies MIT Press, marzo 1993 pp.208, £ 19,95 Il libro fornisce una reinterpretazione di Hegel e uno sguardo nell’evoluzione della teoria critica di Adorno. I saggi si incentrano sul rapporto di ragione, sull’individuo e la società in Hegel; esaminano il contenuto esperienziale dell’idealismo hegeliano ed espongono il pensiero di Adorno sulla comprensione di Hegel. Agamben, Giorgio Stanzas: The word and the phantasm in western culture University of Minnesota marzo 1993 pp.224, £ 12,95 In questa opera Agamben attinge dalla filologia, dalla psiconalisi dei giocattoli, dalla fisica e dalla psicologia medievale e dalla linguistica e filosofia contemporanea nel tentativo di riconfigurare il fondamento epistemologico della cultura occidentale. Egli liquida la possibilità di un metalinguaggio. Al Yafi’i, Addallah Il giardino dei fiori odorosi Marsilio, giugno 1993 pp.240, L. 16.000 Aneddoti, frammenti, detti del Profeta, narrazione di antica tradizione ebraico-cristiana secondo il sufismo, movimento mistico e musulmano, che cercò di riaffermare lo slancio interiore contro la supremazia dei filosofi e dei teologi. Alcoff, Linda Potter, Elizabeth (a cura di) Feminist epistemologies Routledge, marzo 1993 pp.272, £ 12,99 Una raccolta di saggi originali scritti da influenti teoriche femministe, che esplorano l’intersezione fra sesso e conoscenza, concentrandosi sul nucleo della epistemologia tradizionale, con argomenti quali la natura di conoscenza, giustificazione e oggettività. Amico, Robert P. The problem of the criterion Rowman & Littlefield, maggio 1993 pp.188, UK £ 35,50 Uno studio a tutto campo storico e analitico del problema del criterio. L’autore dedica sei capitoli a tale problema, tracciandone la storia dall’antico scettico Sesto Empirico e seguendo il cammino fino a Michel NOVITÀ IN LIBRERIA e il modo in cui si può vedere il suo pensiero per rischiarare questioni oggi importanti, quali il lavoro, la giustizia, la legge, la guerra e la pace, oltre ad argomenti di interesse più genericamente morale e teologico. Berman, David (a cura di) George Berkeley’s “Alciphron” in focus Routledge, marzo 1993 pp.256, £ 12,99 Il volume contiene i quattro più importanti dialoghi dell’”Alciphron” di Berkeley (1792), insieme a saggi e commenti dal XVIII al XX secolo, di autori come Francis Hutcheson, J. S. Mill e Anthony Flew. de Montaigne, al cardinale D. J. Mercier, a Nicholas Rescher e Roderick Chisolm. se sfaccettature dell’opera del filosofo David Armstrong, soffermandosi sui suoi interessi più recenti. Il libro tratta della possibilità e dell’identità, di universali, leggi e causalità e di filosofia della mente, comprendendo anche le sue risposte ai saggi. André, Jacques (a cura di) Les instants privilégiés: Jean Grenier Folle avoine, aprile 1993 pp.156, F 120 La creazione di Jean Grenier, letteraria, estetica o filosofica, è largamente polisemica. L’autore ama il rischio delle parole, azzarda le posizioni più diverse e le relativizza essendo conseguente. E’ possibile formare concetti quando la scrittura è più al servizio di un’esperienza che di una conoscenza? Bain, Alexander John Stuart Mill: A criticism: With personal recollections [1882] Thoemmes, marzo 1993 pp.216, £ 14,99 Un libro che trae origine da una serie di articoli scritti da Alexander Bain per “Mind” (giornale che contribuì a fondare) fra il 1879 e il 1880. Redatti nel tipico stile asciutto e pragmatico di Bain, l’opera fornisce un profilo della vita di Mill e un resoconto delle sue opere principali. Atmaspacher, Harald Die Vernunft der Metis. Theorie und Praxis einer integralen Wirklichkeit Metzler, marzo-aprile 1993 pp.244, DM 48 Il tema centrale è una prospettiva integrale nello sguardo sui dualismi che improntano l’attuale contrapposizione con il tema della realtà, quali spirito-materia, soggetto-oggetto, mondo interiore-mondo esteriore, spazio-tempo, e via dicendo. Barth, U. Gräb-Gütersloh, W. (a cura di) Gott im Selbstbewußtsein der Moderne. Zum neuzeitlichen Begriff der Religion Gütersloher Vlgshaus Mohn, marzo-aprile 1993 pp.304, DM 68 Bast, Rainer A. Die philosophische Bibliothek. Geschichte und Bibliographie einer philosophischen Textreihe seit 1868. Sonderausgabe anläßlich des Jub. des 125 jährigen Bestehens der Philosophischen Bibliothek im Jahre 1993 Meiner, marzo-aprile 1993 pp.979, DM 50 Austin, John L. Saggi filosofici Guerini, giugno 1993 pp.282, L, 45.000 Bachelard, Gaston L’eau et les rêves: essai sur l’imagination de la matière LGF, aprile 1993 pp.221, F 42 Dopo L’air et les songes, Bachelard prosegue l’analisi dei quattro elementi che compongono il nostro universo mentale. Il saggio, che ruota attorno al simbolico dell’acqua, opera uno slittamento dell’osservazione dai rispecchiamenti della superficie verso l’esplorazione delle acque profonde, per arrivare alla “sostanza” dell’acqua. Bausch, Thomas Ungkleichheit und Gerechtigkeit. Eine kritische Reflexion des Rawisschen Unterschiedsprinzips in diskursethischer Perspektive Duncker und Humblot marzo-aprile 1993 pp.220, DM 148 Bacon, John - Campbell, Keith Reinhardt, Lloyd (a cura di) Ontology, causality, and the mind: Essays in honor of David Armstrong Cambridge Univ., aprile 1993 pp.320, UK £ 35 I saggi, tutti scritti appositamente per questo volume, esplorano le numero- Bell, Richard H. (a cura di) Simone Weil’s philosophy of culture. Readings toward a divine humanity Cambridge Univ.,marzo-aprile 1993 pp.336, £ 37,50 Il volume espone un’ampia interpretazione della filosofia di Simone Weil 70 Beyer, Uwe Mythologie und Vernunft. Vier philosophische Studien zu Friedrich Hölderlin Niemeyer, marzo-aprile 1993 pp.212, DM 68 Hölderlin non ha messo in contrapposizione mito e logos, ma ha invece cercato di riconciliare questi due modelli interpretativi del mondo umano evidentemente opposti. La sua ontologia neo-mitica si può collocare anche nell’attuale contesto del tentativo filosofico di forzare il “logocentrismo” e di riabilitare il mito. Biggar, Nigel The hastening that waits: Karl Barth’s ethics Clarendon, marzo 1993 pp.208, £ 25 Un saggio sul pensiero etico di uno dei più importanti teologi del XX secolo, che prende in esame diverse questioni contemporanee dell’etica cristiana: i ruoli relativi della Bibbia, la chiesa e la filosofia, la formazione del carattere morale e il rapporto fra fede religiosa e virtù morale. Black, Donald The social structure of right and wrong Academic, marzo 1993 pp.202, £ 28 Con un approccio sociologico e scientifico all’applicazione della moralità, il testo esplora argomenti quali la vendetta, la disciplina, l’annullamento, la pacificazione, il negoziato e la tolleranza. Il libro contiene affermazioni pensate per predire e spiegare la natura del controllo sociale. Bodei, Remo Ordo amoris. Augustinus, irdische Konflikte und himmlische Glückseligkeit Passagen, marzo-aprile 1993 pp.320, DM 49,80 Bort, Klaus Personalität und Selbstbewußtsein. Grundlagen einer Phänomenologie der Bezogenheit Attempto, marzo-aprile 1993 pp.323, DM 49,80 Bowie, Andrew Aesthetics and subjectivity: From Kant to Nietzsche Manchester Univ., marzo 1993 NOVITÀ IN LIBRERIA pp.304 £ 40 Il libro riconsidera il cammino della filosofia tedesca da Kant a Nietzsche, in relazione a coscienza, linguaggio ed estetica. Il volume rintraccia l’inizio dei moderni dibattiti estetici e politici, ma anche ermeneutici, prestando attenzione al significato della musica nella filosofia moderna. Bowker, John (a cura di) The meanings of death Cambridge Univ., aprile 1993 pp.256, UK £ 6,95 Il volume esamina il valore della morte e il suo posto nelle religioni occidentali e in quelle orientali. Bowker sostiene che ci sono importantissimi punti di contatto fra le più importanti religioni mondiali e la riflessione laica sulla morte, e che gli atteggiamenti religiosi e quelli secolari possono sostenersi e rinforzarsi a vicenda. Bozzi, Silvio Mangione, Corrado Storia della Logica Da Boole ai nostri giorni Garzanti, maggio 1993 pp.960, L. 90.000 Introduzione storica alla logica formale: dall’elaborazione di una matematica del pensiero (Boole) alla riflessione di Cantor sull’infinito, dai tentativi di presentare la logica come sistemazione unitaria del pensiero astratto, alla crisi dei fondamenti con l’insorgere dei paradossi, all’avvento dei calcolatori elettronici. Braum, Hermann Kants “System” und Goethes “Faust” Kovac, marzo-aprile 1993 pp.130, DM 49,80 Brito, Emilio Filosofia della religione Jaca Book, maggio 1993 pp.112, L. 12.000 Broadie, Alexander Introduction to medieval logic Clarendon, aprile 1993 pp.232, UK £ 27,50 I logici medievali andarono molto al di là della logica di Aristotele. Questo libro cerca di dimostrare l’ampiezza delle loro conquiste. Walter Burley, William Ockham, John Buridan, Alberto di Sassonia e Paolo di Venezia sono fra le più grandi figure esaminate. Broadie, Alexander (a cura di) Robert Kilwardby: On time and imagination: Part 2. Introduction and translation Oxford Univ., maggio 1993 pp.192, UK £ 20 Traduzione inglese di una preziosa fonte medievale su questioni filosofiche. L’autore, un filosofo teologo che scriveva a Oxford verso il 1250, discute se il tempo sia indipendente dalla mente ed esamina la natura dell’immaginazione. Bruno, Antonino Max Weber. Razionalità ed etica Franco Angeli, giugno 1993 pp.160, L. 25.000 Il volume comprende saggi su Max Weber, alcuni inediti, dal 1970 ad oggi, fin dall’Introduzione alla prima edizione di Scritti politici. Scritti in tempi diversi, essi mantengono la medesima linea interpretativa di un Weber “avalutativo”, ma non “indifferente” ai valori, di cui sottolineava l’importanza per la vita degli uomini, ma che, proprio per questo, non voleva fossero trasformati in una questione economica di “produttività”. filosofia. Cardano, Gerolamo Sogni Marsilio, maggio 1993 pp.220, L. 30.000 L’attività onirica ci rivela il mondo intero di chi sogna, la struttura della sua phantasia, il suo modo di conoscere il mondo e la natura mediante le immagini. Il sogno esprime la verità nascosta del soggetto e consente ai suoi interpreti di elaborare una dottrina dell’immaginario. Brunschwig, Jacques et al. (a cura di) Passions and perception. Studies in Hellenistic philosophy of mind. Papers arising from a symposium Cambridge Univ., marzo-aprile 1993 pp.368, £ 30 I filosofi delle scuole ellenistiche nella Grecia e Roma antiche (epicurei, stoici, scettici, accedemici e cirenaici)dettero importanti contributi alla filosofia della mente e alla filosofia della psicologia. La presente opera descrive e analizza tali contributi su varie questioni. Cariou, Pierre Pascal et la casuistique PUF, aprile 1993 pp.200, F 168 Un approccio alla concezione pascaliana dell’assoluto, alla luce della quale diviene possibile un’interpretazione della sua intransigenza e della sua avversione per ogni compiacenza, così come vengono espresse nelle lettere V-X delle Provinciales sui processi dei casuisti. Carnap, Rudolf Mein Weg in die Philosophie Reclam Vlg., marzo-aprile 1993 pp.160, DM 8 Prima edizione tedesca. Con una postfazione e un’intevista a cura di W. Hochkeppel. Burger, Paul Die Einheit der Zeit und die Vielheit der Zeiten. Zur Aktualität des Zeiträtsels Königshausen & Neumann marzo-aprile 1993 pp.324, DM 68 L’opera tratta la questione se l’enigma temporale visto da Agostino sia stato risolto dall’esperienza delle moderne scienze. Casati, Giulio Pensiero scientifico e pensiero filosofico. Conflitto alleanza o reciproco sospetto? Muzzio, maggio 1993 pp.196, L. 30.000 Buschlinger, Wolfgang Denk-Kapriolen? Gedankenexperimente in Naturwissenschaften, Ethik und Philosophy of Mind Königshausen & Neumann marzo-aprile 1993 pp.140, DM 36 L’autore fornisce un’introduzione ampiamente comprensibile alla problematica della sperimentazine intellettuale, così come viene usata nelle scienze naturali e in determinate discipline filosofiche. Il libro si distingue per un’esposizione chiara e avvincente. Castillo, Monique (a cura di) Emmanuel Kant: Leçons sur la métaphysique LGF, maggio 1993 pp.480, F 60 In queste lezioni ritroviamo le grandi tesi contenute nella Critica della ragion pura e nella Critica della ragion pratica. Cave, John David Mircea Eliade’s vision for a new humanism Oxford Univ., aprile 1993 pp.240, UK £ 25 Il presente saggio sostiene che l’idea di Mircea Eliade di un “nuovo umanesimo” per le culture moderne è stato l’impulso motivante di gran parte della sua opera sulla storia delle religioni. Bygrave, Stephen Kenneth Burke: Rhetoric and ideology Routledge, aprile 1993 pp.192, UK £ 35 Questa introduzione a uno dei più grandi pensatori, le cui idee hanno influenzato moltissime discipline, si incentra sul punto nodale del pensiero di Burke, che si ritrova nella fase precedente all’interesse per i rapporti fra linguaggio, ideologia e azione. Il pensiero di Burke viene analizzato nel contesto della teoria culturale. Chalier, Catherine Levinas: l’utopie de l’humain Albin Michel, aprile 1993 F 45 L’opera di Levinas è sorretta dalla tensione, ai suoi occhi maggiore, fra il modo della riflessione, a suo parere indispensabile per rivolgersi all’universalità degli uomini, e la fedeltà alla Bibbia, che reputa essenziale per il pensiero. Caracciolo, Alberto Politica e autobiografia Morcelliana, maggio 1993 pp.248, L. 22.000 Gli scritti politici di un maestro della Chalier, Catherine Pensées de l’éternité: Spinoza, Rosenzweig Cerf, maggio 1993 71 pp.171, F 125 Due prospettive diverse sul senso dell’eternità: Spinoza si avvicina alla beatitudine al termine di un itinerario guidato esclusivamente dalla luce della ragione; Rosenzweig cerca di capire come l’eternità abiti oggigiorno il tempo per coloro i quali, di generazione in generazione, ascoltano la parola rivelata. Coffa, Alberto J. (a cura di) The semantic tradition from Kant to Carnap: To the Vienna station Cambridge Univ., marzo 1993 pp.455, £ 14,95 Il saggio rintraccia le origini del positivismo logico in una tradizione che sorge in opposizione alla teoria kantiana che la conoscenza a priori sia basata sull’intuizione pura e sulle forze costitutive della mente, e prosegue con la cronaca dello sviluppo di questa da parte dei membri del Circolo di Vienna. Colli, Giorgio La sapienza greca. Vol. III Eraclito Adelphi, giugno 1993 pp.215, L. 12.000 Eraclito è colui che manifesta il pathos del nascosto. Il discorso umano, accettabile come simbolo, è inadeguato a cogliere la realtà. Da qui l’antitetismo delle frasi eraclitee. Collins, Roy The Fu Hsi I Ching: The early heaven sequence University Press of America, marzo 1993 pp.112, £ 15,95 L’edizione inglese dell “I Ching” affronta il lavoro esclusivamente dal punto di vista dell’antico ordine noto come “Sequenza del Primo Cielo” (Fu Hsi). Nel volume sono comprese alcune poesie ricostruite antecedenti alla dinastia Shang, nonché la decodificazione del “Quadrato magico”. Colpe, C. Schmidt-Biggemann, W. (a cura di) Das Böse. Eine historische Phänomenologie des Unerklärlichen Suhrkamp, marzo-aprile 1993 pp.352, DM 28 Coombs, Jerrold R. - Winkler,Earl Applied ethics: A reader Blackwell, maggio 1993 pp.450, UK £ 14,99 Qual è la natura dell’etica applicata? Come si collega l’etica applicata alla scienza e alla tecnologia? Può l’etica applicata essere criticamente sovversiva e riformatrice rispetto alla morale convenzionale? Il testo esplora tali questioni, soffermandosi anche sull’etica del commercio, dell’ambiente e della biomedicina. Cottingham, John A Descartes dictionary Blackwell, marzo 1993 pp.200, £ 12,99 In questo “Dizionario” Cottingham presenta una guida alfabetica di Descartes, uno dei filosofi che intimidi- NOVITÀ IN LIBRERIA scono di più. Concetti chiave e idee del pensiero cartesiano vengono rintracciati negli scritti di Descartes e inseriti nel contesto del clima intellettuale del XVII secolo, con conseguente interpretazione. Crigger, Bette-Jane Cases in bioethics: Selections from the Hastings Centre report Macmillan, marzo 1993 pp.320, £ 18,99 Ognuno dei 60 casi (fra i quali ce ne sono 16 nuovi) di questo volume è accompagnato dai commenti contrastanti di noti autori di diverse discipline accademiche e professionali, fra cui legge, medicina, assistenza sanitaria, assistenza sociale, psichiatria, filosofia e teologia. Cristofolini, Paolo Spinoza per tutti Feltrinelli, giugno 1993 pp.128, L. 22.000 L’autore, che a Spinoza ha dedicato lunghi anni di ricerca, ha voluto offire al lettore una rete di itinerari che attraversano l’opera, ciascuno in una sua direzione. I “sette tracciati” individuati dall’Autore consentono di risolvere, a uno a uno, gli enigmi del testo. Dagognet, François La peau découverte Laboratoires Delagrange, aprile 1993 p.188, F 84 Terza e ultima parte della trilogia dell’autore dedicata al vivente. Con la pelle si gioca la dialettica dell’interno e dell’esterno. Un essere materiale non ha un interno e un esterno in senso stretto. Soltanto ciò che è vivente può in un sol colpo attribuirseli entrambi. Davies, Martin Humphreys, Glyn W. (a cura di) Consciousness: Psychological and philosophical essays Blackwell, aprile 1993 pp.344, UK £ 14,99 Questi saggi psicologici e filosofici discutono gli effetti funzionali della coscienza sul comportamento e affrontano la domanda se la coscienza del fenomeno eluda una descrizione funzionalista o fisicalista del mondo. De Gennaro, Antonio L’ermeneutica idealistica. ESI, giugno 1993 pp.172, L. 22.000 Alcuni temi dell’ermeneutica contemporanea ripercorsi attraverso la giurisprudenza di Commemorata, la valorizzazione dei nuovi diritti sociali di Cesarini Sforza, la meta-teoria dell’interpretazione di Ascatelli. De Pace, Anna (a cura di) Le matematiche e il mondo Franco Angeli, giugno 1993 pp.464, L. 54.000 Il volume ricostruisce alcune linee significative di un confronto teorico ricco e articolato, caratterizzato sia reinterpretazioni, revisioni e contaminazioni di tematiche proprie delle due principali tradizioni del pensiero antico. della sua concezione oggettivista dell’io, del dualismo e solipsismo cartesiano e della concezione deterministica della vita umana. Dallo stesso autore di “Morality and the inner life: A study of Plato’s ‘Gorgias’” Denyer, Nicholas Language, thought and falsehood in ancient greek philosophy Routledge, marzo 1993 pp.240, £ 10,99 Il libro presenta le premesse di pensiero e del linguaggio che fecero sembrare tanto problematica a Platone e ai suoi contemporanei le falsità, ed espone la soluzione che Platone finalmente trovò nel “Sofista”. Duemler, David G. Bringing life to the stars University Press of America, marzo 1993 pp.206, £ 15,95 Il volume vuole proporre un fondamento etico con il quale affrontare la questione “E’ giusto diffondere la vita al di là dei confini della Terra?” Le possibilità a lungo termine di un’azione del genere vengono esaminate alla luce dei criteri morali e delle giustificazioi dei viaggi nello spazio in vista di un’espansione umana. DePaul, Michael R. Balance and refinement: Beyond coherence, methods of moral inquiry Routledge, marzo 1993 pp.288, £ 37,50 DePaul sostiene che quando siamo costretti a impegnarci in una ricerca morale, dobbiamo far sì che le nostre convinzioni vi aderiscano. Ciò comporta una valutazione di come le esperienze della vita influenzino la capacità di ognuno di esprimere giudizi morali e di cercare di assicurarsi che questa capacità non sia né ingenua né corrotta. Duff, Anthony (a cura di) Punishment Dartmouth, maggio 1993 pp.500, UK £ 60 Questa opera filosofica sulla punizione comprende una trattazione del retributivismo, dell’educazione morale e della riforma, del consequenzialismo e dei diritti, dell’affermazione e del modo in cui la punizione si adatta al crimine, dell’abolizionismo e delle prospettive sociologiche. Derrida, Jacques Otobiographies. L’insegnamento di Nietzsche e la politica del nome proprio Poligrafo, giugno 1993 pp.94, L. 22.000 Testo di una conferenza tenuta negli USA nel 1976. Si indaga la questione del rapporto tra politica, lingua, istituzioni accademiche e statali e il tema dell’identità. Dumas, Jean-Louis 2: Renaissance e t siècle des lumières LGF, aprile 1993 pp.446, F 65 Dal Thélème di Rabelais all’Encyclopédie di Diderot, questo volume presenta il pensiero francese ma anche quello inglese e quello tedesco. Deuser, Hermann Gott - Geist und Natur. Theologische Konsequenzen aus Charles S. Peirce’s Religionsphilosophie de Gruyter, marzo-aprile 1993 pp.257, DM 138 Esposizione complessiva della filosofia della religione di Peirce negli aspetti centrali del suo pensiero e sistema: categorie, semiotica, realismo universale, cosmologia, senso comune. Dumas, Jean-Louis 3: Temps modernes LGF, aprile 1993 pp.512, F 65 La filosofia dei tempi moderni soprattutto attraverso i pensatori tedeschi e quelli direttamente influenzati dalla Germania. Ogni volume comprende una tavola cronologica, delle carte, una bibliografia e un indice dei nomi. Dicker, Georges Descartes: An analytical and historical introduction Oxford Univ., aprile 1993 pp.256, UK £ 14,95 Un’introduzione al pensiero del filosofo seicentesco René Descartes. Duns Scot, John Le principe d’individuation A cura di G. Sondag Vrin, marzo 1993 pp.217, F 158 Frammento dell’opera del teologo scozzese del XIII secolo, il testo qui proposto si interroga su ciò che fa di un individuo ciò che è. Né la materia opposta alla forma, né il numero, né il legame ne spiegano la singolarità. Con questa teoria egli si oppone a san Tommaso sul problema dell’individualità. Dilman, Ilham Existentialism critique of cartesianism Macmillan, marzo 1993 pp.200, £ 35 Un dibattito sulle critiche esistenzialiste dell’epistemologia cartesiana, dello scetticismo a cui essa porta, Dupront, Alphonse Spazio e umanesimo. L’invenzione del Nuovo Mondo Marsilio, maggio 1993 pp.104, L. 24.000 Nonostante nel corso degli ultimi anni la pubblicazione e gli studi relativi alla scoperta del’’America si siano Diano, Carlo Forma ed evento Principi per una interpretazione del mondo greco Marsilio, maggio 1993 pp.104, L. 22.000 72 moltiplicati, si può tranquillamente affermare che questa opera di Alphonse Dupront - pubblicata nel 1946 e mai edita in Italia - conserva, al confronto, tutta la sua novità e vitalità, poiché è opera di confine, di passaggio, di comunicazione. Dupront infatti non si limita all’America con la “ristrettezza del campo” della consueta ricerca storica, ma spazia geograficamente e temporalmente impegnando l’uomo nella sua interezza. Edelstein, W. (a cura di) Moral und Person Suhrkamp, marzo-aprile 1993 pp.428, DM 28 Evans, G. R. Philosophy and theology in the middle ages Routledge, marzo 1993 pp.176, £ 9,99 Fin dal medio evo i teologi cristiani hanno il monopolio dell’istruzione elevata. Il presente testo sostiene che l’interazione fra filosofia e teologia è stata il risultato degli sforzi delle guide cristiane e dei pensatori di assimilare le idee scientifiche e il sapere secolare nel loro sistema dipensiero. Faulkner, Robert K. Francis Bacon and the politics of progress Rowman & Littlefield, maggio 1993 pp.315, UK £ 19,95 Il testo punta a riabilitare la reputazione di Francis Bacon, uno dei più fecondi fondatori della modernità, e soprattutto della moderna scienza politica ed economica. Falkner sostiene che il metodo sperimentale di Bacon era solo una parte del più vasto progetto di rivoluzione del mondo. Fellmann, Ferdinand Lebensphilosophie. Elemente einer Theorie der Selbsterfahrung Rororo, marzo-aprile 1993 DM 18,90 Invece di dettare terapeutiche “lezioni di vita” la nuova filosofia di vita deve rispondere a una domanda: come dobbiamo interpretare la vita? Filodemo Il quinto libro della poetica Bibliopolis, giugno 1993 pp.345, L. 140.000 Nella Poetica, strutturata come un’ampia rassegna polemica di teorie estetiche, Filodemo si propone di rimuovere le false opinioni sulla poesia, riconducendola nei limiti che le competono. Nel quinto libro, la polemica è indirizzata contro critici già ben individuati nel panorama ellenistico. Fine, Gail On ideas: Aristotle’s criticism of Plato’s theory of forms Clarendon, aprile 1993 pp.416, UK £ 40 Centrato sull’importante ma spesso trascurato scritto aristotelico Perì ideon, questo saggio ne esplora i meriti filosofici della critica e mette in relazione le idee platoniche e aristoteliche sugli universali, sulla proprietà, NOVITÀ IN LIBRERIA sul significato e sulla conoscenza con quelle contemporanee. Haupt, marzo-aprile 1993 pp.123, DM 31 smo wittgensteiniano e l’epistemologia riformata. logia, approcciate da un punto di vista filosofico. Fletcher, George P. Loyalty: An essay on the morality of relationship Oxford Univ., marzo 1993 pp.240, £ 16,95 Ampio saggio sulla natura, sul valore e sul significato della lealtà. L’autore sostiene che la lealtà è un aspetto centrale della nostra vita morale e che i rapporti basati sulla lealtà dovrebbero essere inviolabili. Frick, Eckhard Wer ist schuld? Das Problem der Kausalität in Psychiatrie und Psychoanalyse. Eine Untersuchung zu Martin Heideggers Zollikoner Seminaren Weidmann, marzo-aprile 1993 pp.220, DM 35,80 George, Robert P. Making men moral: Civil liberties and public morality Clarendon, aprile 1993 pp.256, UK £ 27,50 Il presente trattato difende la proposizione secondo cui le leggi morali possono giocare un ruolo legittimo, ancorché sussidiario, nella conservazione della morale dell’ambiente culturale in cui si fanno scelte moralmente significative grazie alle quali si forma il carattere e l’influenza della vita morale altrui. Guardini, Romano La fine dell’epoca moderna. Il potere Morcelliana, giugno 1993 pp.232, L. 22.000 Il primo è un saggio del 1950 sul mutamento dell’epoca che stiamo attraversando. Nel secondo, del 1951, vengono analizzate le radici teologiche e antropologiche del potere. Foley, Richard Working without a net: A study of egocentric epistemology Oxford Univ., marzo 1993 pp.256, £ 30 In questo libro l’autore propone una nuova importante teoria della razionalità. Il suo intento è quello di sfuggire alla “malinconia di Descartes” abbassando il livello di ciò che è razionale a partire dall’impossibile richiesta di certezza di Descartes. Folscheid, Dominique (a cura di) La philosophie allemande: de Kant à Heidegger PUF, aprile 1993 pp.448, F 142 I grandi nomi della filosofia tedesca, le fonti austro-tedesche della filosofia analitica, le filosofie della cultura, la scuola di Francoforte, le filosofie politiche, il razionalismo critico, letteratura e filosofia. Forster, Georg Des rapport que l’art de gouverner entretient avec le bonheur de l’humanité Passeur, aprile 1993 pp.128, F 60 Amico di Lichtenberg e stimato da Goethe, Georg Forster (1754-1794) deve la propria fama al resoconto del viaggio fatto in compagnia del capitano Cook. Pressoché inedita in francese, la sua opera si inserisce nell’ambito della filosofia e dell’antropologia. Questo testo, scritto nel 1793, cerca di ridefinire il concetto di felicità. Freud, Sigmund L’homme Moïse et le religion monothéiste: trois essais Trad. C. Heim Gallimard, aprile 1993 pp.256, F 30,50 Sicuramente il più singolare e il più freudiano degli scritti di Freud. Attraverso la storia dell’uomo Mosè, è la formazione di una religione, quella dell’identità giudaica (e dell’antisemitismo) a costituire l’oggetto di questa ricerca. E, sullo sfondo, la questione della morte del padre. Freudiger, Jürg Kants Begründung der praktischen Philosophie. Systematische Stellung, Methode und Argumentationsstruktur der “Grundlegung zur Metaphysik der Sitten” Fuller, Steve Philosophy, rhetoric, and the end of knowledge: The coming of science and technology studies University of Wisconsin marzo 1993 pp.456, £ 19,95 Il libro difende e dimostra l’”epistemologia sociale”, l’ingresso di considerazioni morali e politiche in questioni fin qui confinate nell’epistemologia e nella filosofia della scienza. Fuller presenta casi di studio, untaccuino di ricerca, di insegnamento e di azione politica con cui affrontare le difficoltà. Geyer, B. (a cura di) Werner Heisenberg - Physiker und Philosoph. Spektrum, marzo-aprile 1993 pp.384, DM 98 Glaziou, Yves Hobbes en France au XVIII siècle PUF, aprile 1993 pp.328, F 244 Né le concezioni di Hobbes, né i suoi obiettivi, né il suo metodo potevano incontrare un’eco autentica nel XVIII secolo. Egli afferma un pessimismo viscerale sulla natura umana che i seguaci dell’Illuminismo prendono per cinismo e al quale oppongono il loro ottimismo e la loro fiducia in un possibile progresso dell’uomo. Furbank, P.N. Diderot Minerva, aprile 1993 pp.544, UK £ 7,99 Una sostanziale rivalutazione della vita e della carriera del critico d’arte, romanziere, drammaturgo, infaticabile corrispondente e filosofo Denis Diderot. L’autore di E.M. Foster: A life esplora l’intera portata della sottigliezza del pensiero di Diderot, nonché le dimensioni e la tenacia della sua avventura intellettuale. Goyard-Fabre, Simone Montesquieu, la nature, les lois, la liberté PUF, aprile 1993 pp.384, F 272 Il libro dimostra come il giuridismo dell’autore dello Spirito delle leggi trovi il suo significato filosofico nelle radici metagiuridiche. Il modello costituzionale che caratterizza l’equilibrio dei poteri nello Stato trova il suo fondamento metafisico nel rapporto fra libertà e natura. Gabriel, Gottfried Grundprobleme der Erkenntnistheorie. Von Descartes zu Wittgenstein UTB, marzo-aprile 1993 pp.192, DM 19,80 In questo libro viene indagato il percorso della teoria della conoscenza contemporanea, dalle “Meditazioni” di Descartes a “Sulla sicurezza” di Wittgenstein. Grabner-Haider, Anton Kritische Religionsphilosophie. Europäische und außereuropäische Kulturen Styria, marzo-aprile 1993 pp.367, DM 59 Il dibattito filosofico sulla religione nelle culture europea, indiana, cinese, giapponese, in quella islamica e in quella ebraica. Gander. H.-H. (a cura di) Europa und Philosophie Klostermann, marzo-aprile 1993 pp.244, DM 48 Il pensiero di Heidegger offre spunto e controparte alle correnti autonome da lui ispirate. Esse si muovono attorno alla domanda su quale sia il compito dell’Europa della filosofia oggi e come le si possa mettere in una contrapposizione produttiva con l’eredità di Heidegger. Grunow, Hubert Der Weg der Wahrheit die zum Leben führt. Der Wahrheitsbegriff der Pensées von Blaise Pascal in einer Spiegelung mit existentieller Philosophie und personalem Denken Echter, marzo-aprile 1993 pp.246, DM 39 Geivett, Douglas R. Sweetman, Brendan Contemporary perspectives on religious epistemology Oxford Univ., aprile 1993 pp.384, UK £ 15,95 Un’antologia che contiene 28 saggi chiave che rappresentano i movimenti principali nell’epistemologia religiosa contemporanea. Fra gli approcci discussi, la teologia naturale, la fede razionale basata sull’esperienza religiosa, la sfida ateistica, il fidei- Guardini, Romano Lettera dal Lago di Como. La tecnica e l’uomo Morcelliana, giugno 1993 pp.120, L. 12.000 Il resoconto di un viaggio sulle rive del Lago di Como diventa l’occasione per alcune riflessioni sulla tecno- 73 Guérinot, A. (a cura di) Baruch Spinoza: L’Ethique Ivrea, aprile 1993 pp.372, F 160 Opera postuma apparsa nel 1677, la cui traduzione di Guérinot fu pubblicata nel 1930. Ben presto introvabile, questa edizione serve da riferimento per importanti spinozisti. Günther, Horst Zeit der Geschichte. Welterfahrung und Zeitkategorien in der Geschichtsphilosophie Fischer Taschenbuchvlg., marzo-aprile 1993 DM 24,90 Il “Tempo della storia” non è il tempo delle salde certezze, bensì quello del nostro tentativo di comprendere le forti incertezze. Gupta, Anil - Belnap, Nuel The revision theory of truth A Bradford Book, maggio 1993 pp.310, UK £ 31,50 - $ 47,25 Un’indagine nella logica della fiducia, che spiega come il concetto di fiducia funzioni sia in contesti ordinari che patologici. L’affermazione centrale degli autori è che la fiducia sia un concetto circolare. Essi propongono una teoria ampiamente applicabile (la “revisione theory”) dei concetti circolari. Guyer, Paul (a cura di) Kant and the experience of freedom: Essays on aesthetics and morality Cambridge Univ., aprile 1993 pp.480. UK £ 45 Questa raccolta di saggi punta a trasformare l’interpretazione sia dell’estetica che dell’etica kantiana. Guyer dimostra come al centro della teoria estetica di Kant l’indifferenza del gusto divenga un’esperienza di libertà e quindi un complemento essenziale della moralità stessa. Habermas, Juergen Justification and application: Remarks on discourse ethics Polity, aprile 1993 pp.192, UK £ 29,50 Il testo presenta i contributi di Habermas alla teoria etica, ampliando e chiarendo la sua controversa teoria del discorso etico. Habermas difende la pretesa del discorso etico a una posizione centrale nella filosofia morale contemporanea ed estende l’argomento a certi aspetti chiave. Habermas, Jürgen Testi filosofici e contesti storici NOVITÀ IN LIBRERIA Laterza, giugno 1993 pp.260, L. 28.000 Dodici saggi in cui Habermas si confronta con Peirce, Husserl, Heidegger, Wittgenstein, Horkheimer, Simmel, Mitscherlich. Hablitzer - Naumann - Guyau Die Entstehung des Zeitbegriffs Junghans, marzo-aprile 1993 pp.115, DM 28 Hammer, St. (a cura di) Widersacher oder Wegbereiter? Ludwig Klages und die Moderne. Materialen der gleichnamigen Tagung, die vom 21.-23 Mai 1992 in der Martin-LutherUniversität zu Halle/S. stattfand Hüthig Verlagsgemeinschaft, marzo-aprile 1993 pp.160, DM 28 Hansen, Chad A daoist theory of chinese thought: A philosophical interpretation Oxford Univ., marzo 1993 pp.456, £ 50 Nel tentativo di rimuovere le barriere fra filosofia cinese e filosofia mondiale, il saggio si propone di presentare una teoria unificata del pensiero classico cinese. L’autore si serve del taoismo come principio unificatore centrale al posto del confucianesimo. Hausman, Carl R. Charles S. Peirce’s evolutionary philosophy Cambridge Univ., aprile 1993 pp288, UK £ 30 Il libro si incentra su quattro fondamentali concezioni di Peirce: il pragmatismo e il suo sviluppo di Peirce in ciò che egli chiama “pragmaticismo”, la sua teoria dei segni, la sua fenomenologia e la sua teoria secondo la quale la continuità ha un’importanza primaria in filosofia. Heidelberg, Michael Die innere Seite der Natur. Gustav Th. Fechners wissenschaftlichphilosophische Weltauffassung Klostermann, marzo-aprile 1993 pp.512, DM 138 Dopo una ricognizione sulla vita e le opere di Fechner e un’esposizione della sua teoria anima-corpo, l’autore passa alla filosofia della scienza e della natura di Fechner, e infine le conclusioni che da ciò ne trae per il proprio lavoro sulle scienze naturali. Henry, Granville C. The mechanism and freedom of logic University Press of America marzo 1993 pp.242, £ 21,95 Il libro usa il linguaggio di computer Prolog pe rinsegnare una logica predicativa pienamente formale. I lettori dovrebbero imparare il Prolog abbastanza da esaminare il sistema formale della logica, e viceversa, in modo da poter dimostrare i più importanti teoremi fondamentali della logica. pp.240, UK £ 35 Il presente testo usa i metodi e il rigore analitico del “marxismo analitico” per proporre una nuova interpretazione dialettica della teoria sociale di Marx. Un capitolo sul materialismo dialettico utilizza un modello di dialettica per dare un’interpretazione dei concetti chiave della teoria. Hick, John Disputed questions: In theology and the philosophy of religion Macmillan, aprile 1993 pp.192, UK £ 35 Il libro affronta questioni religiose oggigiorno controverse: se il linguaggio religioso si riferisca a una realtà trascendente divina o rifletta soltanto i nostri ideali, se l’esperienza religiosa sia un terreno solido per la fede religiosa, e se Gesù fosse Dio incarnato o un uomo particolarmente aperto allo spirito divino. Hunt, Lester M. Nietzsche and the origin of virtue Routledge, maggio 1993 pp.224, UK £ 12,99 Lester Hunt esamina in dettaglio ambiti come le idee di Nietzsche sui diritti umani, la sua posizione “antipolitica” e il suo uso insolito dell’idea di “sperimentazione” come ideale etico. Il libro si chiede se le sue idee vadano accettate e usate. Honeygosky, Stephen R. Milton’s House of God: The invisible and visible church University of Missouri Press aprile 1993 pp.280, UK £ 35,95 Un esame del centro ecclesiastico di un campione rappresentativo della prosa di Milton, preso da tutto l’arco della sua vita. L’autore conclude che l’ecclesiologia di Milton dà origine a una nuova forma mitica, derivata dalla cultura inglese della metà del XVII secolo, e pensata per essa. Hurley, Michael Bacharach, Susan (a cura di) Foundations of decisional theory: Issues and advances Blackwell, aprile 1993 pp.352, UK £ 17,99 Il volume contiene dieci saggi svolti da economisti e filosofi contemporanei sui fondamenti della teoria decisionale. L’introduzione dei curatori propone una rivisitazione dei principali problemi sollevati dai contributi, e un’esposizione dei maggiori sviluppi recenti. Hosinki, Thomas E. An introduction to the metaphysics of Alfred North Whitehead: Stubborn fact and creative advance Rowman & Littlefield, maggio 1993 pp.300, UK £ 20,50 Un’introduzione alla complessa metafisica di Alfred North Whitehead, rivolta allo studente di filosofia. Vi vengono spiegati i temi centrali di Whitehead, le idee e la terminologia in modo semplice e lineare. Esempi tratti dalla vita quotidiana illustrano le implicazioni del suo pensiero per la teologia cristiana contemporanea. Im Hof, Ulrich Das Europa der Aufklärung C. H. Beck, marzo-aprile 1993 pp.280, DM 48 L’epoca illuministica è giunta nella storia come l’”era filosofica”. Con essa ha inizio quel progetto di modernità che ha improntato l’Europa e il mondo fino a oggi. Ulrich Im Hof ricostruisce in questo volume un suggestivo panorama di questo grande momento della storia spirituale europea. Hottois, Gilbert Simondon et la philosophie de la culture technique De Boeck-Wesmael, aprile 1993 pp.140, F 125 Un saggio su questo filosofo contemporaneo che tentava di affrontare il problema cruciale della dissociazione culturale fra le scienze, le tecniche e le lettere umane e di inventare, per risolverla, nuovi strumenti concettuali. Inwagen, Peter van Metaphysics Oxford Univ., marzo 1993 pp.256, £ 11.95 Questo libro di testo è costruito attorno a tre questioni cruciali: quali sono gli aspetti più generali del mondo; perché esiste il mondo e qual è la natura e il posto degli esseri razionali nel mondo. Howard, Michael - Paret, Peter (a cura di) Klaus von Clausewitz: On war Everyman’s Library, maggio 1993 pp.784, UK £ 10,99 Pubblicato per la prima volta nel 1832, questo saggio costituisce un tentativo occidentale di interpretare la guerra, in termini delle sue dinamiche interne e del suo uso come strumento politico. Questa nuova edizione comprende un commento di Bernard Brodie, ex professore di Scienze Politiche alla University of California, Los Angeles, USA. Inwood, Michael (a cura di) Georg Wilhelm Friedrich Hegel: Introductory lectures on aesthetics Penguin Books, maggio 1993 pp.240, UK £ 6,99 Queste lezioni, tenute a Berlino verso il 1820, sono una classica introduzione all’argomento. Hegel le corredò di una prefazione con un riassunto delle principali dottrine; questa introduzione è divenuta a sua volta un classico, che costituisce anche un prolegomeno al pensiero di Hegel. Jaffro, Laurent (a cura di) Anthony Ashley Cooper, comte de Shaftesbury: Exercises Aubier, aprile 1993 Hunt, Ian Analytical and dialectical marxism Avebury, aprile 1993 74 pp.480, F 290 Questi Exercises sono concepiti come un’opera privata che non si preoccupa di proporre una dottrina ma di esercitare il suo autore, uno dei più grandi moralisti inglesi del XVII secolo. Questa tecnica di sé consiste nel disfarsi dei turbamenti delle passioni così da stabilire in sé, per mezzo di una disciplina delle rappresentazioni, un’affezione naturale. Janke, Wolfgang Vom Bilde des Absoluten. Grundzüge der Phänomenologie Fichtes de Gruyter, marzo-aprile 1993 pp.569, DM 228 Una esposizione completa della filosofia di Fichte nelle lezioni sul manifestarsi dell’assoluto. L’accento viene messo su un perfezionamento della filosofia nella differenziazione da Hegel, Schelling, Hölderlin. Jasper, David (a cura di) Postmodernism, literature and the future of theology Macmillan, aprile 1993 pp.192, UK £ 35 Teologi, filosofi, critici letterari e storici delle idee affrontano la questione di come la tradizione giudaico-cristiana di riflessione teologica abbia sofferto l’emergere della teoria e della pratica postmoderna nella letteratura e nella critica, e l’abbia negoziato. Jerphagnon, Lucien Histoire de la pensée 1: Antiquité et Moyen Age LGF, aprile 1993 pp.539, F 65 L. Jerphagnon, membro fondatore del Centro internazionale di studi platonici e aristotelici, ci guida alle origini del pensiero, del passaggio dal mito al discorso razionale, sulle tracce delle grandi personalità e delle grandi scuole. Johnson, Peter (a cura di) Frames of deceit: A study of the loss and recovery of public and private trust Cambridge Univ., maggio 1993 pp.224, UK £ 30 - $ 49,95 Un’indagine filosofica sulla natura della fiducia nella vita pubblica e in quella privata. Vi si esamina il modo in cui la fiducia nasce, viene messa in crisi e in cui la si recupera in caso di scontro fra imperfezioni morali e politiche. Jonas, Hans Philosophie. Rückschau und Vorschau am Ende des Jahrhunderts Suhrkamp, marzo-aprile 1993 pp.44, DM 17,80 ”Credo d’altra parte nella forza inventiva dell’uomo e nella sua astuzia vitale, nella sua capacità di vedere, di progettare, di dominarsi, di elaborare le leggi e di attenervisi. Troverà anche i mezzi contro ciò di cui è egli stesso la causa.” Keil, Geert NOVITÀ IN LIBRERIA Kritik des Naturalismus de Gruyter, marzo-aprile 1993 pp.430, DM 188 Servendosi fra il resto dell’analisi della metafora, si dimostra che le teorie naturalistiche in sé contengono concetti intenzionali in forma nascosta. decisivi al vasto dibattito che circonda la controversa opera di Carol Gilligan sulle differenze sessuali nei processi decisionali. Nel libro vi è anche un saggio della stessa Gilligan, in risposta ad alcune critiche che le sono state rivolte. Kemp, John The philosophy of Kant Thoemmes, marzo 1993 pp.138, £ 9,99 Una sinopsi della filosofia critica di Kant, scritta nella speranza che renda la lettura di Kant “un po’ più facile”. Il libro espone le principali tesi della filosofia teoretica e pratica di Kant e la sua filosofia del bello e del fine. Laubier, Patrick de (a cura di) La philosophie d’inspiration chrétienne aprile 1993 pp.92, F 70 Il volume completa il panorama sulla filosofia di ispirazione cristiana trattando filosofi contemporanei di lingua tedesca e considerando la filosofia medievale come una chiave per comprendere la modernità. Kenny, Anthony Descartes: A study of his philosophy Thoemmes, marzo 1993 pp.252, £ 9,99 Volto ad aiutare studenti laureati e non laureati nella comprensione della filosofia di Descartes, il libro tratta in special modo l’epistemologia, la metafisica e la filosofia della mente di Descartes. Kolakowski, Leszek Religion Fontana, maggio 1993 pp.228, UK £ 6,99 Il libro discute gli argomenti pro e contro l’esistenza di Dio, esaminando rigorosamente i fondamenti logici di tutte le principali credenze e non credenze. Il pensiero ateistico viene mostrato in tutta la sua criticabilità a una solida fede religiosa. Krawietz, W. Henrik, von Wright, G. (a cura di) Öffentliche oder private Moral? Vom Geltungsgrunde und der Legitimität des Rechts. Festschrift für Ernesto Garzon Valdés Duncker & Humblot marzo-aprile 1993 pp.486, DM 248 Kuhlman, Hartmut Schellings früher Idealismus. Ein kritischer Versuch Metzler, marzo-aprile 1993 pp.344, DM 58 Una ricerca monografica che sottopone a esame lo sviluppo del più oscuro fra tutti gli “idealisti” in rapporto ai suoi contemporanei, da un punto di vista non solo sistematico, ma anche storico. Langthaler, Rudolf Organismus und Umwelt. Die biologische Umweltlehre im Spiegel traditioneller Naturphilosophie Weidmann, marzo-aprile 1993 pp.270, DM 68 Larrabee, Mary Jeanne An ethic of care: Feminist and interdisciplinary perspectives Routledge, marzo 1993 pp.288, £ 12,99 Un volume che riunisce contributi aveva appena iniziato ad affrontare l’argomento dell’”etica della fede”. Ogni uomo, egli dice, dovrebbe accordare il proprio assenso esclusivamente in base all’evidenza, massima più semplice da pronunciare che da capire, e più semplice da capire che da mettere in pratica. Lohmann, G. (a cura di) Zur Philosophie der Gefühle Suhrkamp, marzo-aprile 1993 pp.360, DM 26 Longrigg, James Greek rational medicine: Philosophy and medicine from Alcmaeon to the Alexandrians Routledge, maggio 1993 pp.288, UK £ 40 Il testo esamina gli importanti rapporti fra filosofia e medicina nell’antica Grecia e successivamente e ne rivela i significati per la pratica e la teoria contemporanea occidentale. Lauth, Reinhard Transzendentale Durchdringung der Philosophie und des Lebens Ars una, marzo-aprile 1993 pp.400, DM 138 Reinhard Lauth, promotore e curatore della monumentale opera completa di J. G. Fichte dell’Accademia Bavarese delle Scienze va annoverato fra i più competenti conoscitori mondiali della filosofia trascendentale (Immanuel Kant, J. G. Fichte). Il testo proposto contiene in diversi singoli saggi la summa degli sforzi filosofici dell’autore. Lotz B., Johannes Esperienza trascendentale Vita e Pensiero, maggio 1993 pp.372, L.72.000 Con questo libro Lotz si volge a chiarire la problematica dell’esperienza e dei suoi livelli di realizzazione. In tal senso l’esperienza ontica è distinta dall’esperienza trascendentale con i suoi gradi (eidetica, ontologica, metafisica, religiosa), i quali si ottengono con un processo d’interiorizzazione. Levinas, Emmanuel Dieu, la mort et le temps Grasset, maggio 1993 pp.250, F 115 Il volume comprende da una parte un “dialogo” con grandi filosofi come Heidegger o Aristotele sul concetto di morte e di tempo, e dall’altra una ricerca stringente sul tema del “nome” o del “concetto” divino. Lübbe, Hermann Geschichtsphilosophie: Verbliebene Funktionen Palm & Enke, marzo-aprile 1993 pp.32, DM 18 Liske, Michael-Th. Leibniz’ Freiheitslehre. Die logisch-metaphysischen Voraussetzung von Leibniz’s Freiheitstheorie Meiner, marzo-aprile 1993 pp.308, DM 128 Il presente volume ricostruisce le lezioni di Leibniz sulla libertà sulla base dei principi ontologici di unità e di differenza graduale e ne dimostra la coerenza. Lucas, J.R. Responsibility Clarendon, aprile 1993 pp.288, UK £ 30 Il volume presenta un’ampia e accessibile discussione della responsabilità in vari ambiti della vita umana, dalle relazioni personali e sessuali alla politica. J. R. Lucas discute la libertà della volontà, critica l’utilitarismo e offre una guida dell’utente alle teorie correnti della punizione. Lloyd, G.E.R. (a cura di) Methods and problems in Greek science: Selected papers Cambridge Univ., aprile 1993 pp.472, UK £ 15,95 La presente raccolta di articoli sulla scienza greca contiene 15 dei più importanti scritti pubblicati da G. E. R. Lloyd in questo ambito a partire dal 1961, oltre a tre articoli inediti. Gli argomenti spaziano in tutte le aree e in tutti i periodi della scienza greca, fra cui l’astronomia, la cosmologia e la biologia. Lyman, Rebecca J. Christology and cosmology: Models of divine activity in Origen, Eusebius and Athanasius Clarendon, maggio 1993 pp.200, UK £ 25 Il libro propone una nuova interpretazione del rapporto fra il pensiero greco e l’antica teologia cristiana analizzando l’opera di tre pensatori fondamentali: Origene, Eusebio e Atanasio. L’autore fa una valutazione delle loro idee su Cristo e la redenzione e le confronta alle idee contemporanee. Locke, John Of the conduct of the understanding (From the “Posthumous works”) Thoemmes, marzo 1993 pp.160, £ 12,99 In questa opera incompiuta Locke MacBeath, Murray Le Poidevin, Robin (a cura di) The philosophy of time Oxford Univ., marzo 1993 pp.232, £ 8,95 75 Il libro presenta una serie di letture che introducono agli argomenti centrali della filosofia del tempo. Due dei saggi sono stati scritti appositamente per questo volume. I curatori riassumono il retroterra del dibattito e dimostrano come le questioni della filosofia del tempo siano legate ad altre braqnche della filosofia. MacNiven, Don Creative morality Routledge, maggio 1993 pp.256, UK £ 10,99 Un esame filosofico dei dilemmi morali. Il libro analizza i sistemi etici su cui sono basate le nostre decisioni morali e propone una teoria etica ampia per l’interpretazione dei moderni problemi morali. Malebranche, Nicolas Abhandlung von Natur und der Gnade Trad.a cura di S. Ehrenberg Meiner, marzo-aprile 1993 pp.260, DM 48 Prima traduzione tedesca della seconda edizione del 1712 con note al testo e alla bizzarra terminologia di Malebranche e con un’introduzione sistematica. Marcus, Ruth Barcan Modalities: Philosophical essays Oxford Univ., marzo 1993 pp.288, £ 30 Una raccolta degli scritti più importanti di questa filosofa e logica americana, che comprende i suoi influenti primi scritti sulla logica modale e la sua opera più recente sulla filosofia morale e la razionalità. Marquardt, Udo Die Einheit der Zeit bei Aristoteles Königshausen & Neumann marzo-aprile 1993 pp.214, DM 58 Marten, Rainer Lebenskunst. Ein philosophischer Entwurf W. Fink, marzo-aprile 1993 pp.280, DM 58 ”Arte di vivere”: questo è il progetto complessivo della filosofia pratica come etica di una vita ben riuscita, più precisamente la rappresentazione concreta di una nuova Caritas: della vita come inutilità liberamente utile e utilizzabile. Martin, Jean-Clet Variations: la philosophie de Gilles Deleuze Payot, maggio 1993 pp.264, F 135 Questo saggio, una spiegazione dell’opera di Deleuze, non vuole ambire allo status di commento; Deleuze si può dire che non si presti a questo esercizio. Il termine “variazione” è un concetto nodale nel filosofo; il testo rappresenta, nella sua forma e NOVITÀ IN LIBRERIA nelle sue tesi, una sorta di piega dell’opera, ossia una sorta di libro di Deleuze, soprannumerario. nelle sue concezioni fortemente anticartesiane, anti-francesi e anti-illuministiche. originale proposta: scindere, nell’individuo, il punto di vista personale da quello impersonale. della coscienza, della razionalità, del timore della morte, della memoria e altro ancora. Mautner, Thomas (a cura di) Francis Hutcheson: Two texts on human nature Cambridge Univ., maggio 1993 pp.240, UK £ 30 Francis Hutcheson (1694-1746) è stato il primo importante filosofo dell’illuminismo scozzese. I due saggi presentati in questo volume si riferiscono alla sua fiducia nell’esistenza di un senso morale e discutono la popolare teoria che la moralità altro non sia che la prudente ricerca del proprio interesse. Moore, A. W. (a cura di) The theory of meaning Oxford Univ., marzo 1993 pp.320, £ 9,95 Parte della collana “Oxford Readings in Philosophy”, il presente volume propone una scelta degli scritti più importanti nel dibattito sulla natura del senso e del referente iniziato 100 anni fa con il saggio di Frege “Senso e referente”, argomento che si trova al centro della filosofia del linguaggio. Nam-in Lee Edmund Husserls Phaenomenologie der Istinkt Kluwer Academic, marzo 1993 pp.288, £ 80 Una ricostruzione della “Phaenomenologie der Istinkt” dall’opera pubblicata e dai manoscritti inediti di Husserl. Vi si possono vedere le implicazioni di quel testo per il sistema fenomenologico e si conclude che la fenomenologia trascendentale non può più essere considerata una filosofia della coscienza a una sola faccia. Nussbaum, Martha - Amartya Sen (a cura di) The quality of life Clarendon, marzo 1993 pp.464, £ 45 Economisti e filosofi di spicco affrontano il problema di definire e misurare la qualità della vita. Recenti sviluppi nella definizione filosofica del benessere vengono discussi e legati a questioni pratiche. Mayer, Hans Walter Benjamin. Congetture su un contemporaneo Garzanti, giugno 1993 pp.84, L. 16.500 Ripercorrendo le tappe di quella che considera un’esistenza “romanticamente” fallimentare ma non per questo improduttiva, Mayer sottolinea la contraddizione tra «la fama universale postuma di Benjamin, la scrupolosa edizione di tutta la sua eredità spirituale, l’investigazione puntuale della sua vita...». McConica, James Quinton, Lord Anthony Kenny, Sir Anthony - Burke, Peter Renaissance thinkers: Erasmus, Bacon, More and Montaigne Oxford Paperbacks, aprile 1993 pp.480, UK £ 9,99 Il presente volume contiene studi biografici di quattro dei più importanti autori filosofici del Rinascimento europeo. Vi si spiega come tutti avessero letto i classici dell’antica Grecia e di Roma e fossero convinti che le idee dell’antichità pagana conservassero il proprio valore anche nell’era cristiana. Mill, John Stuart Three essays on religion Thoemmes, marzo 1993 pp.314, £ 14,99 Tre saggi del filosofo inglese John Stuart Mill, nei quali egli esprime le sue idee sulla religione. Mill, John Stuart Auguste Comte and the positivism Thoemmes, aprile 1993 pp.202, UK £ 14,99 Saggio e critica di John Stuart Mill della dottrina positivistica proposta da Auguste Comte, dove egli sottolinea i difetti e propoe modifiche. Miller, Cecilia Giambattista Vico: Imagination and historical knowledge Macmillan, maggio 1993 pp.260, UK £ 40 Questa analisi testuale degli scritti teoretici di Giambattista Vico mette l’accento sulle sue prime opere, teorie del linguaggio e della società. L’importanza fondamentale di Vico nella storia delle idee europee sta Morin, Edgar Le idee: habitat, vita organizzazione, usi e costumi Feltrinelli, giugno 1993 pp. 336, L. 50.000 Le idee è il quarto volume dell’opera più impegnativa di Morin, sociologo e filosofo molto noto e apprezzato soprattutto negli ambienti ecologisti o comunque sensibili ai problemi di una politica “planetaria” più umana e attenta alle interrelazioni con l’ambiente. In questo capitolo della sua filosofia del “Metodo”, il filosofo tira le fila della sua indagine, affrontando il tema del “mondo delle idee” in modo originale, trattando le idee come organismi. esaminandole dal punto di vista della loro autonomia e dipendenza dalla mente umana. Nancy, Jean-Luc La partizione delle voci. Verso una comunità senza fondamenti Rizzoli, giugno 1993 pp.108, L. 20.000 L’ermeneutica non è immediata interpretazione di un dato ma il darsi stesso dell’essere. Ma poiché ogni interpretazione è singolare, il senso si annucia non nel significato, ma nelle singole voci degli uomini. Negrotti, Massimo Per una teoria dell’artificiale FrancoAngeli, giugno 1993 pp.160, L. 25.000 L’impiego di certi aggettivi, nella nostra cultura, è fondato su una semantica incerta o, a volte, su una diffusa ma irriflessa nozione di senso comune. Artificiale è sicuramente uno di questi. La sua definizione è quasi sempre negativa (non naturale) oppure genericamente assimilata a quella di teconologia (fatto dall’uomo). Scopo di questo volume è di presentare le ragioni che inducono a porre l’artificiale al centro di una indagine teorica che ne definisca la fisionomia, le differenze, i comportamenti, nonché le possibili co-evoluzioni culturali. Münch, Dieter Intention und Zeichen. Untersuchungen zu Franz Brentano und zu Edmund Husserls Frühwerk Suhrkamp, marzo-aprile 1993 pp.330, DM 42 Mure, G. R. G. The philosophy of Hegel Thoemmes, marzo 1993 pp.224, £ 12,99 Secondo l’autore, la concezione della filosofia di Hegel era storica ed evolutiva nel senso ampio del termine. In questo libro l’autore esprime le sue idee sulla filosofia di Hegel. Niemann, Hans-J. Die Strategie der Vernunft. Rationalität in Erkenntnis. Moral und Metaphysik Vieweg, marzo-aprile 1993 pp.250, DM 80 Al relativismo moderno e postmoderno si contrappone un concetto universalistico di ragione: con quella stessa ragione che nella conoscenza decide fra “giusto” e “sbagliato”, divengono obiettivamente condivisibili anche le decisioni morale e persino metafisiche. Nagel, T. (a cura di) Experimental and theoretical studies of consciousness John Wiley and Sons, marzo 1993 pp.350, £ 45 Una panoramica complessiva dei problemi di coscienza, con una raccolta di saggi che prendono in esame diverse prospettive: psicologica, neuropsicologica e filosofica., Il testo comprende un dibattito sui meriti relativi delle differenti teorie della coscienza. Noonan, Harold (a cura di) Personal identity Dartmouth, maggio 1993 pp.520, UK £ 60 Questa opera filosofica, che esplora il concetto di identità personale, comprende una trattazione del futuro, del passato, dell’importanza dell’identità di sé, della bisezione cerebrale e dell’unità della coscienza, del fluire Nagel, Thomas I paradossi dell’uguaglianza Il Saggiatore, maggio 1993 pp.232, L. 42.000 In questo libro Nagel chiarisce la natura del conflitto tra il punto di vista dell’individuo e quello della collettività, cercando di conciliarli con una 76 Oakley, Justin Morality and the emotions Routledge, maggio 1993 pp.264, UK £ 12,99 Recenti teorie filosofiche e psicologiche vengono attaccate; l’autore sostiene che una reale comprensione delle emozioni rivela il ruolo fondamentale che esse giocano nella vita morale. Oesterreich, P. (a cura di) Person und Sinnerfahrung. Philosophische Grundregeln und interdisziplinäre Perspektiven. Festschrift für Georg Scherer zum 65. Geburtstag Wissenschaftl. Buchges., marzo-aprile 1993 pp.320, DM 69 La prima parte espone una questione importante sull’etica e sul fondamento morale. La seconda parte contiene saggi sulla fenomenologia dell’esperienza significativa o su quella dell’assurdo in Cusano, Fichte, Nietzsche, Husserl, Heidegger e altri. La terza parte approfondisce le teorie filosofiche negli aspetti interdisciplinari. Ogien, Ruwen Un portrait logique et moral de la haine Eclat, aprile 1993 pp.68, F 60 R. Ogien dimostra qui che l’odio è una relazione che possiede una sua logica e che “se l’odio è ripugnante non è certo perché è irrazionale”, ma perché è intrinsecamente malvagio. Ollman, Bertell Dialectical investigations Routledge, marzo 1993 pp.208, £ 12,99 Il libro offre agli studenti un’introduzione di base alla dialettica, unita a un’importante esposizione delle sue applicazioni a una vasta gamma di fenomeni storici e sociali. In questo volume Bertell propone anche sei studi approfonditi di esempi di applicazione del metodo dialettico. Ortes, Giammaria Un “filosofo” veneziano del Settecento Leo S.Olschki, maggio 1993 pp.310, L. 46.000 La varietà degli interessi dell’abate veneziano sia nell’ambito delle scienze fisico-matamatiche che sul fronte NOVITÀ IN LIBRERIA delle scienze dell’uomo, si riconducono ad un discorso unico e coerente grazie all’avvincente ricostruzione del suo pensiero. Otte, M. - Pätzold, D. (a cura di) Modellfunktionen der Philosophie Meiner, marzo-aprile 1993 pp.161, DM 32 La filosofia ci mette di fronte all’evidenza che tutte le teorie in senso forte dell’oggettività del soggettivo sono subordinate e dunque quanto si possa rendere trasparente tale oggettività. Le scienze ci danno informazioni e sapere, la filosofia un orientamento. Page, Banjamin G. (a cura di) Marxism and spirituality: An international anthology Bergin & Garvey, aprile 1993 pp.248, UK £ 44,95 Il volume rappresenta un passo verso l’esplorazione della dimensione della spiritualità nel pensiero marxista. Gli autori, sia marxisti che non marxisti, provenienti da diversi paesi, riflettono su problemi quali le implicazioni spirituali del marxismo e la sua critica del determinismo economico, l’alienazione e altro ancora. Palmquist, Stephen R. Kant’s system of perspectives: An architectonic interpretation of the critical philosophy University Press of America, marzo 1993 pp.490, £ 51,95 Tentativo rivoluzionario di dimostrare l’alto grado di coerenza sistematica di tutto il progetto filosofico di Kant. Usando il “principio della prospettiva” come strumento tecnico, l’autore rivela che le teorie dell’opera di Kant sono l’elaborazione architettonica di una sola idea. Patella, Giuseppe Gracián o della perfezione Studium, giugno 1993 pp.224, L. 24.000 Monografia filosofica sintetica ed esaustiva, il volume prende in esame l’opera e il pensiero del gesuita spagnolo del Seicent, Baltasar Gracián, secondo una interpretazione appuntata sull’analisi delle complesse e variegate forme della cultura barocca. Il volume si avvale inoltre di un’ampia sezione antologica in cui vengono tradotti, alcuni per la prima volta, brani da vari testi gracianiani. Peirce, Charles Sanders Reasoning and the logic of things Harvard Univ., marzo-aprile 1993 pp.610, $ 27 Il libro fornisce al lettore l’unico resoconto noto completo del filosofo sulla propria opera. Il volume include una serie di lezioni tenute a Cambridge, Massachusetts, nel 1898. Penzo, Giorgio Nietzsche allo specchio Laterza, giugno 1993 pp.250, L. 27.000 Dagli anni della sua formazione e degli studi, alla docenza universitaria, alle lunghe peregrinazioni che precedono un declino inesorabile. L’interpretazione del nuovo rapporto che, partendo dalla crisi del pensiero metafisico tradizionale, il filosofo instaura tra conoscenza e verità. Perry, John ”The problem of essential indexical” and other essays Oxford Univ., aprile 1993 pp.352. UK £ 32 Una raccolta di saggi che discute alcuni aspetti delle idee dell’autore sulla filosofia del linguaggio e sulla filosofia della mente. Egli riflette sui problemi legati alla “credenza autolocativo”, con pronomi dimostrativi come “io” e “questo”. Pettit, Philip The common mind: An essay in psychology, society and politics Oxford Univ., aprile 1993 pp.256, UK £ 30 Il presente trattato sostiene un modo originale di dividere gli esseri senzienti, in particolare gli umani, da altri sistemi intenzionali, sia naturali che artificiali, appoggiando una visione di individualismo olistico e tratteggiando una nuova cornice per la teoria sociale e politica. Plantinga, Alvin Warrant: The current debate Oxford Univ., marzo 1993 pp.256, £ 15,95 Il professor Plantinga è famoso per insigni opere nel campo dell’epistemologia e della filosofia della religione. In questo libro e in quello che lo accompagna, “Warrant and proper function”, Palntinga mette insieme i sue aspetti del suo lavoro. Die Welt und wir. Band I/2: Raum - Substanz Kausalität Metzler, marzo-aprile 1993 pp.480, DM 78 ”Con la sua comprensione della riflessione filosofica e con la sua interpretazione monistica dell’intenzionalità, Prauss ha scelto una via idealistica. Spazio e tempo divengono due forme della ragione”. Plato The last days of Socrates Penguin Books, maggio 1993 pp.272, UK £ 5,99 Socrate passò tutta la sua vita ad analizzare questioni etiche. Il presente volume comprende l’Eutifrone, L’apologia, il Critone e il Fedone. Quilliot, Roland La liberté PUF, aprile 1993 pp.128, F 40 La libertà, miraggio o vocazione fondamentale dell’essere umano? Il problema del libero arbitrio, l’uomo libero, la libertà socio-politica. Potrc, M. - Jerman, F. et al. (a cura di) Analytical philosophy. Brentano, Russel, Wittgenstein Vlg. J.H. Röll, marzo-aprile 1993 pp.158, DM 36 I saggi contenuti nel libro trattano i fondamenti della filosofia analitica in Russel e Wittgenstein, nonché la loro influenza sulla psicologia e la filosofia attuali. Ramsey, Bennett Submitting to freedom: The religious vision of William James Oxford Univ., aprile 1993 pp.208, UK £ 19,50 Una nuova analisi e interpretazione delle idee religiose del filosofo americano del XIX secolo William James. Potter, Vincent G. Colapietro, Vincent Readings in epistemology: From Aquinas, Bacon, Galileo, Descartes, Locke, Hume and Kant Fordham Univ., marzo 1993 pp.300, £ 11,95 Le opere qui raccolte provengono principalmente dagli empiristi inglesi. Ognuna di esse è inserita nel suo contesto storico e i vari brani seguono una progressione di sviluppo logico, da Locke a Berkeley a Hume. Alla fine di ogni capitolo compaiono domande di studio, volte a stimolare la discussione. Pettit, Philip (a cura di) Consequentialism Dartmouth, aprile 1993 pp.500, UK £ 60 L’opera affronta tutti gli aspetti del consequenzialismo, comprendendo l’utlitarismo, l’alienazione e la richiesta di moralità, il consequenzialismo restrittivo, le azioni alternative, una guida oggettivista al valore soggettivo, il lavoro recente nei limiti dell’obbligo, e altro ancora. Pfordten, Dietmar v. d. Deskription, Evaluation, Präskription. Trialismus und Trifunktionalismus als sprachliche Grundlagen von Ethik und Recht Duncker & Humblot marzo-aprile 1993 pp.474, DM 118 Potter, Vincent G., (a cura di) On understanding understanding: A course text Fordham Univ., marzo 1993 pp.232, £ 11,95 Il libro si propone di costituire un’introduzione di base alla ricerca filosofica su questioni di epistemologia e di familiarizzare il lettore con il periodo storico europeo noto come Illuminismo. Per stimolare ulteriori riflessioni, alla fine di ogni capitolo vengono incluse domande di studio. Pighetti, Clelia Atomi e lumi nel mondo spagnolo Franco Angeli, giugno 1993 pp.176, L. 22.000 Il volume intende restituire alla critica storiografica un periodo apparentemente oscuro della cultura spagnola: il secondo Seicento e i primi decenni del Settecento. Prandi, Julie D. ”Dare to be happy!”: A study of Goethe’s ethics University Press of America, aprile 1993 pp.238, UK £ 35,50 Il testo esplora l’etica della felicità di Goethe e i temi della rassegnazione al suo interno. Prandi si serve di Lucrezio e Spinoza come modelli di influenza sulla “morale naturale” di Goethe, prendendo in considerazione i punti di contatto fra i tre nelle rispettive definizioni di ciò che rende le persone razionalmente felici. Plantinga, Alvin Warrant and proper function Oxford Univ., marzo 1993 pp.272, £ 15,95 Il professor Plantinga è famoso per insigni opere nel campo dell’epistemologia e della filosofia della religione. In questo volume associato a “Warrant: The current debate” Plantinga elabora un approccio originale al problema di cosa legittimi le vere opinioni facendone un sapere. Prauss, Gerold 77 Ripani, Graziano Parola e ascolto Morcelliana, giugno 1993 pp.134, L. 15.000 L’interpretazione della Parola biblica attraverso un confronto critico con Heidegger, Rosenzwieg, Gadamer, Lévinas. Robinson, Howard (a cura di) Objections to physicalism Clarendon, marzo 1993 pp.288, £ 32,50 Questi saggi mettono in crisi l’adeguatezza delle teorie materialiste contemporanee nella filosofia della mente. Le forme di materialismo qui discusse sono state l’avanguardia del recente dibattito, ma si dimostra che queste teorie affrontano problemi formidabili. Roser, A. - Mohrs, T. (a cura di) Kant-Konkordanz. Zu den Werken Immanuel Kants. Bände I-IX :der Ausgabe der Preußischen Akademie der Wissenschaften Weidmann, marzo-aprile 1993 10 voll. pp.7000, DM 198 Rosset, Clément Le réel et son double: essai sur l’illusion Gallimard, aprile 1993 pp.144, F 25,50 Il reale non viene accettato che a certe condizioni; se è spiacevole, un arresto di percezione mette la coscienza al riparo da ogni spettacolo indesiderato. Nell’illusione la cosa è spostata, messa altrove. Questo saggio si propone di illustrare il legame fra l’illusione e il doppio, a dimostrare che la struttura dell’illusione non è altro che la struttura paradossale del dubbio. Rössler, B. (a cura di) Quotierung und Gerechtikeit. NOVITÀ IN LIBRERIA Eine moraliphilosophische Kontroverse Campus, marzo-aprile 1993 pp.220, DM 38 Il dibattito sul diritto della regolamentazione per le citazioni finora è stato da noi condotto esclusivamente a livello politico o giuridico. Fondamentale dunque è la domanda se sia giusto che se ne riconosca una legittimità anche morale. Negli Stati Uniti già da più di vent’anni è in corso un simile dibattito filosofico morale sui fondamenti della regolamentazione sulle citazioni. Rota, Giancarlo Pensieri discreti Garzanti, giugno 1993 pp.198, L. 35.000 Il volume raccoglie le tappe essenziali del percorso intellettuale di un matematico che è riuscito a coniugare la ricerca scientifica e la speculazione filosofica. Rotenberg, Moredechai Dialogue with deviance: The hasidic ethic and the theory of social contraction University Press of America, aprile 1993 pp.283, UK £ 16,95 Uno studio derivato, e basato, sull’etica giudaico-hassidica. Partendo dal concetto cabalistico-hassidico di contrazione, l’autore dimostra che non si tratta di una costruzione personalesociale, ma di un’autocontrazione sociale che spiega come si sviluppano l’”è” e il “dovrebbe” della società. Ruben, David-Hillel (a cura di) Explanation Oxford Univ., maggio 1993 pp.328, UK £ 9,95 Parte della collana “Oxford Readings in Philosophy”, questo volume presenta una selezione dei più importanti scritti recenti sulla natura della spiegazione. Vi viene trattata un’ampia gamma di argomenti, dalla filosofia della scienza al terreno filosoficamente centrale della teoria della conoscenza. Runzo, Joseph (a cura di) Is God real? Macmillan, maggio 1993 pp.288, UK £ 40 Una raccolta di saggi che affronta il dibattito contemporaneo sul realismo teologico. Esiste una realtà divina, trascendente, indipendente dal pensiero umano? Con saggi di importanti autori, schierati da una parte e dall’altra della questione, il libro costituisce un dialogo fra realisti e non realisti. Fiat lux Quai Voltaire, aprile 1993 pp.624, F 310 Un saggio filosofico sul sublime, illustrato da numerose fotografie. University Press of Virginia maggio 1993 pp.284, UK £ 13,50 Traduzione inglese del Sistema dell’idealismo trascendentale di F. W. J. Schelling, probabilmente la sua più importante opera filosofica. Testo centrale nella storia dell’idealismo tedesco, la sua prima pubblicazione in Germania avvenne nel 1800. Vi si può trovare la sua filosofia dell’arte, che influenzò l’opera di Coleridge. Salla, Giovanni B. Gewissensentscheidung. Philosophisch-theologische Analyse von Gewissen und sittlichem Wissen Tyrolia-Vlg., marzo-aprile 1993 pp.144, DM 29 Schérer, René Zeus hospitalier: éloge de l’hospitalité: essai philosophique Armand Colin, maggio 1993 pp.208, F 125 L’ospitalità è una virtù, un costume, una semplice sopravvivenza, inutile e cancellata, nelle nostre società rette da uno stato di diritto? Invece di coltivarla, il nostro tempo si volge verso altre urgenze. Tuttavia Kant vi ha visto il primo e unico principio del diritto internazionale. Samely, Alexander Spinozas Theorie der Religion Königshausen & Neumann marzo-aprile 1993 pp.108, DM 32 L’esposizione tenta di abbozzare una visione chiara e complessiva della teoria della religione di Spinoza e al contempo di documentare e di mettere in rilievo gli elementi di questa teoria all’interno dell’opera, in particolare dell’Etica e del Trattato teologico-politico stesso. Schlette, Heinz R. Weltseele. Geschichte und Hermeneutik Knecht, marzo-aprile 1993 pp.240, DM 68 Sarup, Madan An introductory guide to post-structuralism and post-modernism Harvester Wheatsheaf, aprile 1993 pp.240, UK £ 10,45 Pensato per i corsi pre-laurea di teoria culturale, di studi culturali e di filosofia contemporanea, il libro introduce alla teoria post-strutturalista e postmoderna. Vi si discute di concetti quali il post-strutturalismo e il postmodernismo, con sezioni sulle critiche femministe a Lacan e a Foucault. Schmitz, Hermann Die entfremdete Subjektivität. Von Fichte zu Hegel Bouvier, marzo-aprile 1993 pp.320, DM 95 Il testo intraprende una ridefinizione dei significati storici dell’idealismo tedesco, che non sta tanto nella soluzione, quanto nella scoperta di un problema, da allora divenuto virulento e infiltratosi in lungo e in largo nell’immagine di sé dell’uomo. Si tratta del problema di un allontanamento della soggettività. Sauvanet, Pierre L’insu Ed. du Cavalier vert, maggio 1993 pp.240, F 120 ”Ogni inizio era una maturazione clandestina.” Così comincia l’analisi clandestina della non-coscienza. Un nuovo sguardo filosofico sul concetto di inconscio. Schmitz, Hermann Die Liebe Bouvier, marzo-aprile 1993 pp.222, DM 58 L’amore viene definito da Schmitz alla luce della sua nuova fenomenologia come situazione comune colma di un’atmosfera che come sensazione è una forma centrata nell’ambito poetico e (eventualmente) un punto di ancoraggio e che si avverte nello stupore amoroso-affettivo. Saviani, Lucio Voci di confine. Il limitee la scrittura Ripostes, giugno 1993 pp.129, L. 15.000 Intorno al concetto di limite, come paradossale “non luogo” del pensiero che però scuote il pensiero stesso costringendolo ad interrogarsi su di esso, l’Autore propone una suggestiva riflessione che si attesta “al limite” tra interrogazione filosofica e letteratura, servendosi di una scrittura mobile ed avvolgente che rispecchia fino in fondo l’ampiezza semantica del tema. Russ, Jaqueline (a cura di) Histoire de la philosophie 1: Les pensées fondatrices Armand Colin, aprile 1993 pp.192, F 69 Il volume tratta la filosofia antica e medievale in tre ambiti: il pensiero occidentale, l’Islam, il pensiero orientale. Schaal, Jean-François Les corps: cours préparation HEC Ellipses-Marketing, maggio 1993 pp.190, F 95 Da Spinoza a Merleau-Ponty, le diverse analisi del corpo. Uno studio del tema in vista della prova di cultura e di scienze umane dei concorsi HEC. Saint-Girons, Baldine Schelling, F.W.J. System of transcendental idealism Schopenhauer, Arthur Aforismi per una vita saggia Rizzoli, giugno 1993 pp.288, L. 12.000 Un trattato su come percorrere lo scosceso sentiero della vita senza fare troppe cadute e senza sprecare il proprio tempo per le cose futili. Schröder, Winfried (a cura di) Anonymus: Traktat über die drei Betrüger. Traité des trois imposteurs Meiner, marzo-aprile 1993 pp.168, DM 68 Il leggendario trattato sui tre impostori (Mosè, Gesù e Maometto) va annoverato fra i testi chiave più im- 78 portanti dell’illuminismo francese. Lo scritto segna il passaggio dalla critica razionale alla religione al successivo ateismo nella filosofia dell’epoca moderna. Schultess, Peter Am Ende Vernunft-Vernunft am Ende? Die Frage nach dem “logos” bei Platon und Wittgenstein Academia-Vlg., marzo-aprile 1993 pp.159, DM 29,50 Seebass, Gottfried Wollen Klostermann, marzo-aprile 1993 pp.380, DM 98 Il libro costituisce la prima parte di un più ampio progetto filosofico di ricerca sul concetto di “responsabilità giuridica”, pensato metaeticamente, che dovrebbe offrire un parametro di giudizio per determinate idee di “responsabilità” morale o di diritto. Shaftesbury, Anthony Ashley Cooper (comte de) Exercises Trad. di L. Jaffro Aubier, marzo 1993 pp.480, F 290 Questi Esercizi sono concepiti come un’opera privata che non si preoccupa di fornire una dottrina, ma di esercitare il suo autore, uno dei più grandi moralisti inglesi del XVII secolo. Questa tecnica di sé consiste nel disfarsi del perturbamento delle passioni così da stabilire in se stessi, per mezzo di una disciplina della rappresentazioni, un’affezione naturale. Shankman, A. Aristotle’s “De insomniis”: A commentary E. J. Brill, marzo 1993 pp.160, £ 4,95 Un commento al testo del trattato sul sogno di Aristotele. L’autore tratta riga per riga le specifriche questione esegetiche e filosofiche sollevate dallo scritto e mette in relazione l’analisi del sogno di Aristotele con la sua teoria della percezione e dell’immaginazione e con la sua filosofia della mente. Singer, Peter A companion to ethics Blackwell, marzo-aprile 1993 pp.560, £ 16 Un volume di saggi di alcuni dei più insigni filosofi, che passa in rassegna tutto il campo dell’etica dalle sue origini, attraverso le grandi tradizioni etiche fino alle teorie che ci dicono come dovremmo vivere, sviluppando specifiche questioni etiche e discutendo la natura dell’etica stessa. Singer, Peter - Kuhse, Helga Buckle, Stephen - Dawson, Karen Kasimba, Pascal Embryo experimentation Cambridge Univ., marzo 1993 pp.279, £ 11,95 Gli sviluppi sulla tecnologia riproduttiva sono stati nuovi fin dalla nascita del primo bambino fecondato in provetta, nel 1978. Ma, si chiede que- NOVITÀ IN LIBRERIA sto libro, la sperimentazione sull’embrione è eticamente accettabile? Qual è lo status morale dell’embrione umano? E come dovrebbe affrontare la questione una società democratica? Skorupski, John Knowles, Dudley (a cura di) Virtue and taste: Essays on politics, ethics and aesthetics Blackwell, maggio 1993 pp.256, UK £ 45 Il volume contiene due dei saggi di Flint Schier sulla rappresentazione nell’arte e nella libertà, pubblicati per la prima volta. Del libro fanno parte anche contributi di amici e colleghi impegnati su questi temi, come quello di Malcolm Budd sul modo in cui osserviamo le immagini e quello di Peter Lamarque sui romanzi. Solomon, Robert C. Higgins, Kathleen (a cura di) From Africa to Zen: Invitation to world philosophy Rowman & Littlefield, marzo 1993 pp.360, £ 24,95 Questa raccolta si propone di fornire un’introduzione ad alcuni grandi e spesso trascurate tradizioni filosofiche mondiali. Mentre alcuni paesi hanno lunghe tradizioni filosofiche scritte, in altri la filosofia è affidata alla poesia, alla mitologia e ai racconti popolari. Sondag, Gérard (a cura di) Duns Scot: Le principe d’individuation Vrin, aprile 1993 pp.217, F 158 Il testo qui proposto si interroga su cosa sia che fa di un individuo ciò che egli è. Né la materia, in opposizione alla forma, né il numero, né il legame ne spiegano la singolarità. Con questa teoria egli si oppone a san Tommaso sul problema dell’individualità. Sorman, Guy Denker unserer Zeit. 28. Gespräche mit I. Berlin, B. Bettelheim, M. Djilas E. Gombrich, Fr. von Hayek, C. Lévi-Strauss, O. Paz, K. Popper, E. Teller e altri List, marzo-aprile 1993 pp.448, DM 44 Sosa, Ernest - Tooley, Michael (a cura di) Causation Oxford Univ., marzo 1993 pp.264, £ 8,95 Il volume presenta una selezione dei più influenti dibattiti recenti sulla fondamentale questione metafisica: Com’è possibile che un evento ne causi un altro? L’argomento della causazione conduce a molti altri, quali il tempo, la spiegazione, gli stati mentali, le leggi di natura e la filosofia della scienza. Spangler, Mary Michael An aristotelian approach University Press of America, maggio 1993 pp.284, UK £ 25,50 Il testo si basa sui modelli naturali del pensiero umano così come vengono analizzati nella logica formale di Aristotele. In esso vengono presentate soltanto le regole basilari necessarie alla definizione, al giudizio e al ragionamento. L’autrice delinea una propria presentazione e fornisce esempi familiari. Stanley, Liz - Wise, Audrey Breaking out again: Feminist ontology and epistemology Routledge, marzo 1993 pp.256, £ 10,99 In questa nuova edizione, le autrici trattano la precedente accoglienza del libro in termini di femminismo accademico, rivisitando gli sviluppi del pensiero femminista nell’ambito della ricerca. Dopo di che passano a esaminare il modo in cui conosciamo e costruiamo il mondo basato su differenti etiche, storie, razze e sessualità. idee filosofiche e cosmologiche. Inserendole nell’ampio contesto della filosofia, della matematica e della cultura greca, Taub cerca di fornire un quadro della natura del pensiero scientifico greco. Stein, Edith La ricerca della verità Città Nuova, giugno 1993 pp.256, L. 23.000 Il volume raccoglie scritti di Edith Stein dal 1924 al 1937 in versione integrale, concernenti il suo passaggio dalla fenomenologia alla filosofia cristiana e quindi le sue prese di posizioni nei confronti di Husserl, Heidegger e Conrad-Martius. Terricabras, J. M. (a cura di) A Wittgenstein Symposium. Girona, 1989 Edit.Rodopi, marzo-aprile 1993 pp.150, Dfl 45 Il centenario della nascita di Ludwig Wittgenstein (1889-1951) ha offerto l’occasione di recuperare alcuni dei grandi soggetti wittgensteiniani. Il presente volume è il risultato degli scambi che hanno avuto luogo a Girona (Spagna) fra i più noti studiosi dell’opera di Wittgenstein nei vari paesi. Swinburne, Richard The coherence of theism: Vol. 1 Clarendon, marzo 1993 pp.312, £ 13,95 Questa edizione riveduta del primo volume di unatrilogia sulla filosofia della religione è un’indagine di ciò che significa, e della sua coerenza, dire che c’è un Dio. L’autore conclude che, a dispetto delle obiezioni filosofiche, le affermazioni che i fedeli fanno a proposito di Dio sono generalmentecoerenti. Stäblein, R. (a cura di) Moral Elster, marzo-aprile 1993 pp.200, DM 30 Paul Virilio, Jean Baudrillard, Thomas H. Macho, Mona Singer, Uwe Wesel e altri ancora aprono in questo libro un dibattito internazionale sulle possibilità della morale oggi. Taub, Liba Chaia Ptolemy’s universe: The natural philosophical and ethical foundations of Ptolemy’s astronomy Open Court Publishing Company marzo 1993 pp.208, £ 13,50 Molto si è scritto sull’opera matematica di Tolomeo, ma ancora pochi sono i tetativi di accostarsi alle sue Stachowiak, H. (a cura di) Sprachphilosophie, Sprachpragmatik und formative Pragmatik Meiner, marzo-aprile 1993 pp.600, DM 278 Tenenbaum, K. - Vinci, P. Filosofia e ebraismo Giuntina, giugno 1993 pp.150, L. 28.000 Una scelta di pensatori che hanno avuto un ruolo significativo nella cultura moderna interrogati a partire dalla loro specificità ebraica. Tiles, Mary - Tiles, Jim An introduction to historical epistemology: The authority of knowledge Blackwell, maggio 1993 pp.240, UK £ 13,99 Il libro introduce le questioni epistemologiche, nella loro complessità storica esaminando il catalogo di Francis Bacon delle false fonti di autorità epistemica, i quattro idola. I vari capitoli mettono in relazione la conoscenza con il linguaggio, la speculazione, la percezione e le formazioni sociali. Tommasi, Wanda Simone Weil: Segni, idoli e simboli ✂ Osservazioni …………………………………………………………………… Ritagliare e spedire in busta chiusa a: ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… Coop. Edinform, Informazione e Cultura, Viale Montenero,68 20135 Milano ………………………………………………………………………………… Suggerimenti ……………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… 79 NOVITÀ IN LIBRERIA FrancoAngeli, giugno 1993 pp.240, L. 34.000 Il pensiero di Simone Weil è analizzato nel libro a partire da un tema insistentemente presente nei Quaderni, quello dell’immaginazione. Vattimo, Gianni The adventure of difference. Philosophy after Nietzsche and Heidegger Polity, marzo-aprile 1993 pp.220, £ 35 Come si deve concepire il ragionamento umano in mancanza di punti di vista privilegiati? Attingendo all’opera di Nietzsche e Heidegger, Vattimo propone una concezione del pensiero basata sulla “differenza”, una differenza che ammetta la frammentazione del sapere e rinunci alla ricerca della totalità. Vergotte, Henri-Bernard Lectures philosophiques de Soren Kierkegaard: Kierkegaard chez ses contemporains danois PUF, aprile 1993 pp.352, F 265 Il libro restituisce il pensiero di Kierkegaard e soprattutto la sua critica a Hegel in rapporto al contesto concreto dei dibattiti teologico-filosofici in seno al pensiero danese del XIX secolo. Völkner, Peter Derrida und Husserl. Zur Dekonstruktion einer Philosophie der Präsenz Passagen, marzo-aprile 1993 pp.144, DM 32,80 Voss, Stephen (a cura di) Essays on the philosophy and science of Rene Descartes Oxford Univ., aprile 1993 pp.336, UK £ 15 I presenti saggi di importanti studiosi di Descartes, mai pubblicatiprima d’ora in inglese, rappresentano una panoramica della ricerca contemporanea sulla filosofia e sulla scienza di Cartesio. Walls, Jerry L. Hell: The logic of damnation University of Notre Dame aprile 1993 pp.182, UK £ 11,50 Walls mira a dimostrare che alcune visioni tradizionale dell’inferno sono ancora difendibili e credibili con integrità intellettuale e morale. Centrato su questioni dal punto di vista della teologia filosofica, egli esplora la dottrina dell’inferno in relazione alla natura divina e a quella umana. Weinsheimer, Joel C. Eighteenth-century hermeneutics: Philosophy of interpretation in England from Locke to Burke Yale University, aprile 1993 UK £ 25 - $ 35 Il libro si rivolge alle questioni ermeneutiche nell’interpretazione britannica scritturale, legale, storica, politica e letteraria. Esaminando l’opera di Swift, Locke, Toland e altri, il volume discute i problemi di comprensione, concentrandosi sulle loro teorie sull’applicazione del gusto per distinguere la verità. Wetzel, M. - Rabaté, J.-M. (a cura di) Ethik der Gabe. Denken nach Jacques Derrida Akad.-Vlg., marzo-aprile 1993 pp.368, DM 48 White, Peter A. Psychological metaphysics Routledge, marzo 1993 pp.272, £ 40 Esplorazione delle premesse più fondamentali e importanti della costruzione psicologica della realtà, il testo ipotizza che la gente sostanzialmente pensi la causazione in termini di forze delle cose stabili e specifiche, che operano proucendo effetti in condizioni affidabili. Wilhelm, K. (a cura di) Utopie heute? Ende eines menschheitsgeschichtlichen Topos Passagen, marzo-aprile 1993 pp.152, DM 29,80 Wollheim, Richard The mind and its depths Harvard Univ., maggio 1993 pp.224, UK £ 19,95 Il libro unisce l’interesse di Wollheim per il pensiero umano illuminato alle sue più recenti conquiste sull’introspezione e l’espressione. Uno dei temi centrali è l’importanza della psicoanalisi per il dibattito filosofico. Wollhein estrapola la tesi della “corporalizzazione del pensiero” dagli scritti di Freud. Wooton, David (a cura di) John Locke: Political writings Penguin Book, maggio 1993 pp.496, UK £ 7,99 Una raccolta dei più importanti scritti politici di Locke, che ebbero grande impatto sui cromwelliani e che dopo la Restaurazione posero le basi per il liberalismo moderno. Wormald, B.H.G. Francis Bacon: History, politics and science 1561-1626 Cambridge Univ., aprile 1993 pp.250, UK £ 45 Sottolineando l’ispirazione costituita dalla storia per lo studio di Francis Bacon della scienza naturale, B. H. G. Wormal fornisce una fondamentale rivalutazione di una delle figure più complesse e innovative della tarda età elisabettiane e di quella giacobina. Wunenburger, Jean-Jacques Questions d’éthique PUF, aprile 1993 pp.416, F 98 Otto lezioni destinate a familiarizzare lo studente di filosofia con i concetti chiave delle differenti interpretazioni della vita morale: il senso morale, la rappresentazione del bene, il compimento etico, il vissuto morale, i fini morali, la comunità morale, il valore della giustizia, i dibattiti contemporanei. ✂ ome e cognome ……………………………………………………………… ndirizzo ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… elefono ……………………………………………………………………… omputer usato ❏ IBM-Compatibile ❏ Macintosh ❏ Ms-Dos ❏ Windows ❏ System 6.x ❏ System 7.x ❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD uono di prenotazione ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/ Windows ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh al prezzo scontato di £ 120.000 (iva esclusa)* 80 verranno indicate in seguito *le modalità di pagamento Yandell, Keith E. (a cura di) The epistemology of religious experience Cambridge Univ., aprile 1993 pp.432, UK £ 35 Il libro affronta una questione fondamentale della filosofia della religione. Può l’esperienza religiosa fornire una prova della fede religiosa? E se è così, in che modo? L’autore sostiene che l’esperienza religiosa non è ineffabile e difende l’idea che una forte esperienza divina fornisca una prova dell’esistenza di Dio. Yolton, John Locke and the way of ideas [1956] Thoemmes, marzo 1993 pp.248, £ 15,99 L’autore esamina l’accoglienza e la conseguente influenza nel XVIII secolo del “Saggio sull’intelletto umano” di Locke, che come rimarca più volte ha segnato l’inizio della grande tradizione empirica nella filosofia britannica. Yolton, John A Locke dictionary Blackwell, aprile 1993 pp.224, UK £ 14,99 Il testo presenta e spiega le parole e i concetti chiave del pensiero e dell’opera di Locke. Oltre 130 voci, che comprendono un resoconto dei suoi molti libri, la sua posizione nelle scienze e nella religione e i suoi scritti sull’educazione, la teologia e l’economia. Zaccaria, Gino L’etica originaria. Hölderlin, Heidegger e il linguaggio EGEA, giugno 1993 pp.324, L. 35.000 Che ne è di ciò che permane al fondo dell’etica metafisica, di ogni etica metafisica? Che ne è dell’essenza originaria dell’etico? Sono queste le domande che provocano e reggono il cammino qui tentato. Zwierlein, E. (a cura di) Gen-Ethik. Zur ethischen Herausforderung durch die Humangenetik Schulz-Kirchner, marzo 1993 pp.104, DM 22 Ritagliare e spedire in busta chiusa a: Coop. Edinform, Informazione e Cultura, Viale Montenero,68 20135 Milano