SOMMARIO
Hans Holbein il Giovane (1497-1543), Ritratto di Erasmo da Rotterdam (1523)
2
EDITORIALE
SOMMARIO
significativa delle conquiste storiche ed è punto di partenza obbligato per le conquiste successive. Una Europa
al livello delle sue tradizioni non potrebbe certo costruirsi nella violazione di tali diritti; e perciò siamo tenuti a
rifiutare, se vogliamo fare opera meritoria per il futuro,
i progetti di sviluppo che pongano in antitesi l’unità
dell’insieme e le individualità nazionali che ne sono il
fondamento. Le difficoltà e l’originalità del progetto
europeo stanno appunto qui: nell’intento, che è anche
una necessità, di costruire una comunità nella quale
nazionalità differenti - le cui interrelazioni hanno per
secoli avuto un ruolo essenziale nella formazione e nel
progredire di un comune spirito europeo - riescano a
integrarsi in maniera ancora più stringente, non solo nell’ambito politico ma in ogni ambito della vita civile e
spirituale. E questa strada - vogliamo ancora sottolinearlo costituisce per noi un percorso obbligato: solo per il suo
tramite potrà sorgere l’Europa unita.
Ed è allora all’Europa dell’Umanesimo, alla memoria
storica di questa e al corpo di valori che ad essa rimane
associato da secoli, che dobbiamo innanzitutto fare riferimento. A quella tradizione dell’Umanesimo che - non
dobbiamo dimenticarlo - è al tempo stesso patrimonio
dei singoli Paesi d’Europa e dell’Europa nella sua interezza. La scelta che è maturata negli ultimi decenni, di
essere “europei”, impone dei limiti, delle condizioni; e se
vogliamo essere tali dobbiamo guardare alle nazioni
d’Europa, alla loro storia e al loro stesso presente, come
agli elementi di uno svolgimento unitario, nel quale
sempre opera la totalità implicita che l’Europa rappresenta, in quanto entità di civiltà e di cultura, nel nostro
mondo tormentato ed ancora solcato da profondissime
contraddizioni. L’Italia meridionale, e Napoli in particolare, hanno contribuito al costituirsi di questa tradizione
in una maniera determinante, dai primi albori del mondo
classico, e per un lunghissimo arco di secoli sono restate
sedi privilegiate di questa, senza che mai la sua luce
venisse meno e si oscurasse del tutto. E perciò a queste
primissime fonti della nostra civiltà, da Napoli, va prima
che alle altre il nostro riconoscimento. Lasciatemi aprire
a questo punto una parentesi per citare quanto è stato
detto da uno dei più grandi filosofi viventi - Hans Georg
Gadamer - sulla città di Napoli e sul vostro Istituto:
«Sono particolarmente lieto di poter affermare che la
grande eredità toccata in sorte a Napoli è oggi in buone
mani. E’ un merito inestimabile dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici quello di aver preso qui l’iniziativa.
Infatti la ripresa della filosofia promossa a Napoli dall’attività dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è
già nota in tutto il mondo. Tornerà a onore della grande
tradizione culturale di Napoli, se si riuscirà a tenere viva
l’eredità del grande pensiero europeo ed a edificare su
queste premesse nuove forme di pensiero e di vita. Tutto
ciò ci fa credere in quell’Europa per la quale viviamo e
che, come speriamo, sopravviverà alle minacce di questa
epoca. Spero che l’Istituto Italiano per gli Studi Filoso-
Dal 4 al 10 settembre 1993, nella sede dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, in Palazzo Serra di Cassano, Napoli, si è
tenuto un Convegno internazionale in onore di Egon Alfred
Klepsch, Presidente del Parlamento Europeo, sul tema “Europa”. Hanno partecipato ai lavori: Mario Agrimi, Carlo Amirante, Angelo Arpa, Maurice Aymard, Gennaro Barbuto, Antonio
Barone, Remo Bodei, Giovanni Bonacina, Monika Bosse, Reinhardt Brandt, Manfred Buhr, Alberto Burgio, Giuseppe Cacciatore,
Gaetano Calabrò, Giuseppe Cantillo, Massimo Capaccioli, Vincenzo Cappelletti, Giorgio Capra, Gaetano Cingari, Vera Cocco, Ermenegildo Cocco, Pasquale Colella, Franco Compasso,
Girolamo Cotroneo, Umberto Curi, Guido D’Agostino, Biagio
De Giovanni, Romeo De Maio, Francesco De Martino, Domenico De Masi, Luigi De Rosa, Raffaella De Vivo, Paul Dibon,
Roberto Esposito, Maurizio Ferraris, Mario Forte, Marc Fumaroli, Antonio Gallinaro, Antonio Gargano, Andrea Giordano,
Giovanni Grasso, Tullio Gregory, Gerd Held, Yves Hersant,
Emilio Hidalgo Serna, Felice Ippolito, Marco Ivaldo, Domenico
Jervolino, Gianni Korinthios, Reinhardt Lauth, Alfonso Maria
Liquori, Domenico Losurdo, Juha Manninen, Gerardo Marotta,
Titti Marrone, Aldo Masullo, Vittorio Mathieu, Nullo Minissi,
Giovanni Moretto, Bruno Moroncini, Carmine Napolitano, Nuccio Ordine, Rosario Pinto, Giuseppe Prestipino, Giovanni Pugliese Carratelli, Saverio Ricci, Giovanni Russo, Michele Scudiero, Vittorio Silvestrini, Bruna Soravia, Jan Sperna Weiland,
André Stoll, Paolo Strolin, Adriano Tassi, Mario Telò, Nicolas
Tertulian, Imre Toth, Aldo Trione, Bruno Vitiello, Lech Witkowski,
Stefano Zen e Sergio Zoppi. Il testo che segue riporta l'intervento
al convegno dell'on. Egon Alfred Klepsh.
Vorrei innanzitutto esprimere il mio ringraziamento all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale siamo
tutti ospiti qui, in questo antico e glorioso Palazzo Serra
di Cassano. Abbiamo offerto al convegno il patrocinio
del Parlamento europeo, e di buon grado abbiamo accolto l’invito a presenziare ai lavori. Porgere il nostro saluto
ci rende ora particolarmente lieti, poiché, attraverso gli
studi e l’esperienza che abbiamo maturato, da cittadini,
nelle istituzioni nazionali e nelle istituzioni unitarie della
nuova Europa, abbiamo ben potuto riconoscere quanto
sia stato determinante, per il fiorire dell’ideale politico
dell’unità europea, l’opera secolare, travagliata e appassionata, della cultura dell’età che chiamiamo moderna.
È alla storia, alla cultura, alla religione che per secoli
hanno formato i nostri spiriti che occorre fare riferimento
per affrontare uno dei maggiori problemi di oggi: come
possono e debbono intrecciarsi le esigenze delle singole
nazioni, di unità entro i propri confini e di identità
nazionale ben garantita, e l’esigenza comune a tutte di
dare corpo e sostanza al disegno unitario entro un grande
organismo comunitario? E’ un tema da considerare con
spirito aperto e con coraggio, lasciando cadere le grossolane ipotesi semplificatrici; nessuna trascuratezza può
essere consentita di fronte alle culture nazionali, che
hanno il diritto di conservare e svolgere la loro identità
specifica, ciò che per ciascun popolo è sempre la più
3
SOMMARIO
fici costituirà nel prossimo futuro un modello per l’Europa per superare gli ostacoli rappresentati dalla burocratizzazione degli studi. Senza iniziative di questo tipo la
cultura è perduta perché la burocratizzazione degli studi
- come conseguenza della tendenza industriale della
nostra epoca - significa la pietrificazione della cultura ed una
minaccia alla creatività e alla ricchezza dei rapporti umani».
Eredità somma, per l’Italia e per l’Europa, fu quella delle
scuole di filosofia e di pensiero della Magna Grecia; e
altrettanto grande fu quella della vocazione universalistica della civiltà greca, dei suoi legislatori e fondatori di
città, del disegno, umanissimo pur se incompiuto, della
polis antica.
Tutto ciò ha costituito la premessa ideale di un unico
svolgimento, che si è protratto per secoli. L’Europa e lo
spirito europeo sono il risultato più alto di quel grande
moto che, sorto inizialmente nelle città italiane nei secoli
della Rinascenza, si propagò al di là dei suoi confini e
informò presto di sé l’intera vita degli Stati nazionali
dell’Occidente che allora si venivano definitivamente
confermando.
Qui a Napoli, città che vanta nobili tradizioni di cultura
e di impegno civile nei suoi grandi intellettuali, da Bruno
a Giannone e da Filangieri a Croce e Omodeo, è d’obbligo considerare un tale processo non solo in quanto
vicenda di storia politica, ma più ancora una fatica
memorabile delle coscienze e luminosa esperienza interiore, come vicenda emblematica della storia della cultura europea. Rendiamo omaggio, perciò, all’intuizione
somma di Bertrando Spaventa, che ha voluto cogliere
l’essenziale, nell’evoluzione delle relazioni tra pensiero
italiano e pensiero europeo nel corso nell’età moderna,
tra Rinascimento e Risorgimento, traducendolo nella
giustamente celebrata tesi della circolarità dello svolgimento spirituale europeo in rapporto all’Italia. Lo spirito
europeo moderno compì proprio qui le sue prime prove,
e innanzi che altrove nel Sud del Paese, nelle regioni
stesse che avevano tratto gloria dalle scuole della Magna
Grecia e poi, negli anni oscuri delle invasioni barbariche
e della decadenza, dai pensatori solitari che dai ritiri di
Calabria serbavano e tramandavano la fede nella filosofia, nel pensiero, nella superiorità del vivere civile.
E’ molto sintomatico constatare che oggi, alla soglia del
terzo millennio, allorché il problema del rapporto fra
unità europea e identità degli Stati nazionali si pone con
vigore, si sia pensato a fare ricorso ad un concetto - la
sussidiarietà - che affonda le sue radici lontano nel
tempo. Tale concetto ha infatti una lunga tradizione nella
storia delle idee politiche e sociali; se ne possono trovare
tracce già nelle opere di Aristotele e di San Tommaso
d’Aquino. Nel pensiero contemporaneo esso viene evocato in termini di scienza politica da Alexis de Tocqueville, secondo il quale l’organizzazione collettiva trova
la sua giustificazione nel fatto di consentire lo sviluppo
della personalità. La collettività deve dunque dotarsi di
strutture che garantiscano in modo ottimale tale svilup-
po. A partire da tale postulato di un’autodeterminazione
del singolo quanto più ampia possibile, si fissa il principio di sussidiarietà quale fondamento dell’organizzazione delle strutture: gli organismi di rango superiore devono assumersi unicamente i compiti che non potrebbero
essere assolti in modo migliore, o con la stessa efficacia,
dagli organismi di rango inferiore.
Fondamentalmente la sussidiarietà è un termine sociopolitico e non un principio giuridico o costituzionale.
All’origine, e nella sua concezione più astratta, la sussidiarietà è una raccomandazione normativa, una regola
per fissare disposizioni istituzionali in modo tale da
consentire che le decisioni concernenti direttamente la
vita delle persone siano prese il più possibile in basso
nella catena dell’organizzazione sociale. L’idea sociofilosofica che ne sta alla base è la sovranità, l’Eigenwert
dell’individuo. Solo le cose che il singolo non può
compiere adeguatamente possono essere assegnate ad un
livello più alto di organizzazione sociale.
Nella dottrina sociale cattolica, il punto di partenza
fondamentale del principio della sussidiarietà è il singolo essere umano, a cui va lasciata quanta più libertà
possibile: «...così come è sbagliato togliere all’individuo
e affidare ad un gruppo quello che può essere portato a
termine da imprese o industrie private, è altresì un’ingiustizia, un grave male e una violazione dell’ordine naturale,
che un’associazione più ampia e più importante si arroghi
funzioni che possono essere svolte con efficienza da gruppi
più piccoli e di rango inferiore» (Papa Pio XI, Quadrigesimo
Anno, 1931, paragrafo 79).
Nel dibattito moderno sulla sussidiarietà, il rapporto
originario tra l’individuo e la collettività, tra il privato e
il pubblico, è stato esteso agli organismi e alle autorità
politiche. In questa versione la sussidiarietà richiede che
i livelli più bassi di autorità e di giurisdizione abbiano la
precedenza rispetto ai più elevati e che in taluni settori
l’elaborazione e l’assunzione di decisioni non siano
soggette ad interferenze del centro. Il principio è utilizzato anche nel diritto costituzionale, in particolare quello
concernente gli Stati organizzati federalmente, nel cui
ambito disciplina la divisione dei poteri legislativi fra la
nazione nel suo complesso ed i singoli Stati membri.
L’attuazione del principio di sussidiarietà contribuisce
dunque al rispetto delle identità nazionali degli Stati
membri e tutela i loro poteri. Esso è inteso a far sì che le
decisioni all’interno dell’Unione europea vengano prese
il più vicino possibile ai cittadini.
Unità dell’Europa e unità nazionali sono dunque una
grande bandiera, tessuta e ritessuta attraverso una altissima tradizione secolare, e la forza e la solidità loro
discende da questa tradizione, alla quale pur nelle tormentate vicessitudini storiche dell’Occidente sono rimaste strettamente legate. Perché la cultura e la civiltà
moderne in Europa muovono dall’unico grande ceppo
dell’Umanesimo e la sua tradizione è nella sua essenza
unitaria. Per l’Europa furono compiute le ricerche umanistiche e la versione latina di Marsilio Ficino, che resero
il pensiero di Platone e di Plotino patrimonio di tutti i
Paesi dell’Occidente e fondarono la Respublica literaria.
Lo spirito europeo è l’espressione non soltanto delle più
4
SOMMARIO
17 RESOCONTO
41 NOTIZIARIO
17 Ermeneutica, teologia e topologia della storia
43 CONVEGNI E SEMINARI
13 SCHEDA
43 Cinquantenario della morte di Martinetti
13 La stampa filosofica in Russia
44 Heidegger in discussione
nell'anno primo del post-comunismo
45 Che ruolo ha la mente nella Natura?
46 Luigi Stefanini: personalismo ed esistenzialismo
19 AUTORI E IDEE
46 ‘De arte combinatoria’
19 Esistenzialismo italiano
47 Omaggio a Geymonat
20 Lo stato delle cose: Vilém Flusser e il design
50 Omaggio a Dal Pra
21 L’escatologia occidentale
52 Esegesi ed epistemologia nel Seicento
22 Morale senza moralismo
53 Lo spazio dell’immaginazione
22 Introduzione a Gramsci
53 Soggettività e concetto in Hegel
23 Soggettività e modernità
55 Fichte: la ricerca del fondamento
56 Kairòs e tempus
25 TENDENZE E DIBATTITI
57 Topologia del moderno
25 Cassirer: una riscoperta
57 Kant e il problema di Dio
26 Marx e la modernità
58 CALENDARIO
27 Testo e/o immagine nell’estetica francese
29 Due secoli di teologia
59 DIDATTICA
30 Primo piano:
‘Dividi et computa’: la filosofia e il computer
59 Manuali di filosofia a confronto (I parte)
La “formattazione”: una metafora per i filosofi
63 Interventi, proposte, ricerche
35 PROSPETTIVE DI RICERCA
64 RASSEGNA DELLE RIVISTE
35 Dilthey e Nietzsche
70 NOVITÀ IN LIBRERIA
37 Filosofia della vita
38 Theunissen su Kierkegaard
39 Il filosofale e il filosofico
40 Nietzsche e il nichilismo
5
RESOCONTO
Emanuele Severino (f. di G. Barbaro), Franco Volpi
Carlo Sini (f. di M. Totaro), Remo Bodei (f. di M. Totaro)
Massimo Cacciari (f. di M. Totaro), Vincenzo Vitiello (f. di M. Totaro)
6
RESOCONTO
In occasione della pubblicazione dell’ope- poiché, per definizione, il tempo è tale solo che fa riferimento a un’apocalisse prossira di Vincenzo Vitiello, Topologia del in quanto posto al di fuori della portata ma, implica una tensione; quello di “promoderno (Marietti, Genova 1992), si è svol- dell’uomo. Nella storia, e solo in essa, gresso” è invece un concetto che nasce
to a Napoli (Istituto Suor Orsola Beninca- nasce il problema del “senso” - nell’acce- quando viene rimossa la nozione di apocasa, 18-19 novembre 1992) un seminario di zione letterale del termine - della storia lisse, come distruzione e disvelamento e,
studi dedicato al tema: “Ermeneutica, teo- medesima, e le domande sul senso della con essa, viene rimosso il carattere aionico
logia e topologia della storia”, a cui hanno storia sono poste dall’uomo, che ne viene del tempo dal futuro, dall’escatologia. In
partecipato, tra gli altri, Remo Bodei, Mas- trasceso, in quanto abitatore del tempo esca- questo modo la storia diviene, vichianasimo Cacciari, Felix Duque, Bruno Forte, tologico.
mente, “civile”, affare dell’uomo e della
Umberto Galimberti, Pier Aldo Rovatti, A questo proposito, ha rilevato Bruno sua progettualità, dilatata indefinitamente.
Emanuele Severino, Carlo Sini. Il conve- Forte, l’impostazione di Cacciari si pre- Si verifica così una perdita del futuro, una
gno si è segnalato non solo per quantità e clude la possibilità, offerta invece dal pen- compressione del tempo nella presentificaqualità degli interventi, ma soprattutto per siero cristiano, di fondare una filosofia zione dell’istante, dello Jetzt; correlatival’effettiva struttura seminariale dei lavori, della storia, il cui programma potrebbe mente, si presenta l’esigenza di dare senso,
dove larga parte è stata dedicata alla discus- appunto essere sintetizzato nella formula: da un punto di vista soggettivistico, alla
sione delle tesi presentate dai relatori.
“alla ricerca del senso perduto”. Secondo frammentazione che ne risulta, al “momenIl convegno si è articolato in tre momenti, Forte, la filosofia della storia non può che to”, che rimane altrimenti indeciso. La necentrati sul rapporto tra tempo storico ed essere cristiana, perché solo per il cristiano gatività dell’attimo si presenta però in queescatologia, tra nichilismo e redenzione, e la determinazione dell’eskaton qualifica il sta prospettiva come irredimibile, e il protra linguaggio e contraddizione. Per quanto presente come “penultimo”, distendendolo blema, ha sostenuto Bodei, consiste nel
riguarda il primo momento, Massimo Cac- nella storia. Così accade nella tradizione di trovare un’alternativa a una storia che finisce per non spiegare più nulla e
ciari ha rilevato come l’odiera un’escatologia che, per chi
no carattere “futuribile”, attrinon è cristiano, non dice nulla
buito ai termini di “tempo storirispetto al futuro. Per questo
co” e di “escatologia”, rimuova
occorre, a parere di Bodei, non
il primitivo significato testauna topologia matematica, bensì
mentario, secondo il quale
una considerazione cronotopil’escatologia non fa riferimenca che sappia pensare il passato
to a un “tempo che verrà”, ma
che non passa e l’avvenire che
piuttosto a un “tempo che vienon avviene, senza rimanere
ne”. Il tempo futuro, indicato
nella lallazione concettuale.
dal termine eskaton, si rappresenta come realizzazione, in atto
Il dibattito sull’eskaton ha inin questo tempo storico; lo si
trodotto il tema del nulla come
può riscontrare, particolarmendeprivazione di senso del prete, nel nuovo testamento, ladsente. In questo contesto di ricon interventi di Pier Aldo Rovatti
dove, più che a un “futuro eterflessione è intervenuto Felix
Carlo Sini, Vincenzo Vitiello, Franco
no”, è possibile pensare a un
Duque, che ha connesso la que“eterno che è presente”. Certo,
stione del nichilismo a quella
Volpi
ha osservato Cacciari, non per
della redenzione, mettendo in
tutti l’eterno è presente, ma solo
evidenza il carattere “per natuper colui che sa interpretare,
ra” para-dossale dell’uomo.
cioè per il credente; per gli altri,
Duque ha con ciò voluto indil’eskaton apparirà come tale
care il collocarsi dell’uomo ai
solo nel futuro, nel momento
margini della doxa, in forza della
a cura di Flavio Cassinari
del disvelamento apocalittico.
sua duplicità di “animale logiA esso non è peraltro estranea
co”. La natura animale dell’uola dimensione del nascondimento, in quan- Paolo, dei sinottici e di Gioacchino da mo, per come essa è stata indagata da
to scoperta della profondità, dell’insonda- Fiore, dove il tempo viene pensato come Nietzsche, consiste nell’essere fuori di sé
bilità di quell’abisso che è Dio. Per credenti aion, eone che si distende nella storia. A della vita, nel collocarsi di quest’ultima al
e non credenti, tuttavia, ogni momento è questa tradizione Forte contrappone la pro- di là di ogni individualità costituita come
decisivo, e cessa quindi di esser tale, cioè di spettiva dell’ideologia, che a suo parere tale. Etica e logica sono appunto funzionali
essere elemento di una serie, per diventare può trovare un’ascendenza giovannea e al “tenere assieme”, dal punto di vista del“punto critico”, luogo della krisis, decisivo agostiniana, accomunante ortodossi e pro- l’identità individuale dell’uomo, la vita;
in quanto “prossimo” a un fine e alla fine. testanti e alla quale viene ascritto, con per questo i filosofi, come sosteneva PlatoDal punto di vista di un’escatologia consi- Bultmann, lo stesso Cacciari. Essa consiste ne, parlano sempre di morte. Quest’ultima,
derata in senso finalistico, il tempo storico nel ridurre il tempo a funzione della proget- come istanza rappresentativa della natura,
implode dunque nell’attimo.
tualità; in questo modo la storia si annichi- è il contrario del logos, ma è al contempo
In realtà, ha sostenuto Umberto Galim- lisce, perché il futuro fagocita il presente. ciò che conferisce ad esso il suo senso.
berti, tale implosione è caratteristica di un A parere di Forte, questa posizione, con Risiede qui, a parere di Duque, il terreno in
tempo concepito in funzione tecnico-ope- l’enfatizzazione del carattere “critico”, cioè cui si connettono nichilismo e redenzione,
rativa, dove la dimensione scopica del “darsi decisivo, dell’attimo, in cui l’istante bruto laddove la seconda consiste nell’accettada fare” provoca una contrazione del tem- diventa “gravido di Dio”, è assai poco laica zione della morte, in quanto possibilità di
po: il tempo “serve” al progetto, non c’è e antistorica, perché sottolinea l’unicità congiungere logos e natura. In questa prouna serie, ma soltanto un “sempre imme- dell’eskaton a scapito della pluralità dei spettiva il male arrecato all’altro, la morte
diatamente” prima e un “sempre immedia- momenti della storia. Proprio questa, ha che gli si infligge, è male, è morte che si
tamente” dopo l’attimo, concepito come però implicitamente sostenuto Remo arreca a sé medesimi, una sua anticipaziokairos, come “buona occasione” per il pro- Bodei, è la lettura contemporanea dell’eska- ne; d’altra parte, solo accettando la propria
getto. Il tempo storico nasce perciò, a pare- ton, impostasi con le filosofie del progres- morte, il proprio nulla in quanto esseri
re di Galimberti, solo come escatologia, so settecentesche. La prospettiva eonica, vitali, ci si salva in quanto esseri razionali.
Ermeneutica
teologia
topologia della storia
7
RESOCONTO
A questo proposito, Pietro Coda ha rilevato come, nel pensiero occidentale, il concetto di nichilismo e quello di redenzione
siano a tal punto connessi, che nell’idea di
redenzione è implicita una dimensione nichilistica, dalla quale, secondo Coda, è
necessario liberarsi. In questa prospettiva
la topologia proposta da Vitiello può essere
interpretata non come una sorta di primato
della determinazione spaziale nei confronti di quella temporale, ma come loro compresenza. Nello stesso senso la redenzione
dal nichilismo, implicito nell’idea stessa di
redenzione, può attuarsi laddove si interpreti la “fine della storia” come carattere
finito della storia medesima; concetto, questo di finitezza della storia, che non ha nulla
a che spartire con quello di un compimento
redimente (e perciò nichilistico) della storia medesima.
A partire dalla celebre sentenza heideggeriana che sottolinea la non identità di filosofia e teologia, Carlo Sini ha sostenuto,
contro Forte, il carattere irresolubile dell’alternativa fra topologia e storia: la filosofia non si identifica né con l’una, né con
l’altra, proprio perché si differenzia in modo
radicale, in quanto pratica di domande,
dalla teologia che è pratica di risposte. In
questo senso, ha affermato Sini, la filosofia
è “ermeneutica”, laddove il termine va inteso non come interpretazione di testi, o di
tradizioni, ma come espressione di una
domanda portata al suo massimo livello di
radicalità, poiché essa verte sul domandare, sull’interpretare medesimi. Non è tale,
secondo Sini, l’ermeneutica contemporanea quando si chiede, per esempio, cosa
siano nichilismo o redenzione, e si colloca
così sul livello della domanda sociologica,
piuttosto che su quello della domanda filosofica. Questa ermeneutica rimane infatti
nell’equivoco della “superstizione delle
cose”, ovvero nella presupposizione che si
dia qualcosa come nichilismo, redenzione,
tempo, e così via. Al contrario, ha osservato Sini, non esiste la “cosa” indipendentemente dalle pratiche che la costituiscono:
non si può chiedere cosa sia il tempo e
come lo si possa pensare, perché non si dà
“il tempo”, ma solo pratiche finite, immagini di mondo. Così pure per la redenzione,
che non esiste “in sé”, ma come insieme di
pratiche (discussioni, aspettative, e altro)
per cui si viene posti “nella disposizione
d’animo della redenzione”. Per comprendere, da un punto di vista autenticamente
filosofico, cosa sia ad esempio la “redenzione dal dolore”, occorre per Sini dare
ascolto, fenomenologicamente, alla propria pratica finita; da essa appare come tale
redenzione, lungi dal consistere in un rapporto di risarcimento per il dolore patito, si
manifesti invece come consapevolezza del
proprio stare, spinozianamente, come modo
finito in una sostanza finita. Tale consapevolezza non ha affatto il carattere del “sapere qualcosa”: nell’apocalisse, quando il
velo sulla verità si solleva, si scopre che
non c’è nulla, e che questo nulla coincide
con il tutto.
Il rapporto tra nichilismo e redenzione,
come ha sottolineato Duque, può essere
riformulato in termini diversi nel rapporto
fra linguaggio e contraddizione. Il linguaggio è infatti un modo per fuggire l’immediatezza, guardando “le cose stesse” da una
distanza che permetta di coglierle. Per Hegel il linguaggio è il luogo della contraddizione tra il nome e la cosa, tra il logos e la
vita; al termine della Logica la contraddizione si compone quando il linguaggio
perviene a un nome che non è un nome,
bensì la “cosa stessa”. Qui il nome si trasforma in pro-nome, ovvero nella condizione di possibilità della cosa; il logos
diventa condizione di possibilità della vita,
e la mediatezza del linguaggio dilegua nell’immediatezza, nella morte.
La questione della distanza, come luogo di
nascita dell’essenza contraddittoria del linguaggio, è stata affrontata da Pier Aldo
Rovatti a partire da tematiche di carattere
psicoanalitico. Il gioco del fort-da costituisce l’inizio della difesa dall’angoscia attraverso il simbolico, attuata tramite un
controllo dell’assenza. Proprio qui si colloca però la contraddizione, perché tale controllo porta con sé la coazione a ripetere,
che appartiene essenzialmente al dominio
del linguaggio. In altri termini, attraverso il
linguaggio si sta nella contraddizione e,
con ciò, nella distanza. Quest’ultima accade in due modi, che indicano ciò da cui “si
tiene la distanza”: anzitutto come distanza
dall’impossibile, da ciò che non è esprimibile in quanto non semiotizzabile, ovvero
la distanza dagli oggetti, che è anche la
distanza dalla morte dell’io; in secondo
luogo come distanza dall’immaginario,
ovvero da ciò che viene approssimato dall’immagine, l’io medesimo. La nostra distanza è quindi non solo dalle cose, ma
anche dall’io; il carattere contraddittorio
delle parole consiste nel loro stesso essere
poste. Risiedere in questa contraddizione
comporta un “mettersi in gioco”, che consiste tanto in un’apertura (lo “stare in ascolto” del linguaggio), quanto in una chiusura,
per via della dimensione prospettica in cui
ci si viene a collocare.
Franco Volpi ha tuttavia messo in dubbio
l’assimilazione di linguaggio e contraddizione, sostenuta da Duque e da Rovatti
sulla base del fatto che il linguaggio sarebbe, contemporaneamente, il luogo della
significanza e quello della sua distruzione,
e l’uomo semplice “frammezzo” (zwischen)
tra l’uno e l’altro. Tale posizione, ha rilevato Volpi, è anche espressa in Topologia del
moderno da Vitiello, che arriva a condividere la posizione di Emanuele Severino
circa l’eternità del tutto, ovvero l’eternità
di tutti gli enti, chiamando a sostegno Kant,
quando afferma che il tempo è eterno, proprio perché esso non accade nel tempo.
Volpi ritiene, invece, che proprio Kant
possa essere utilizzato in tutt’altra direzione, facendo riferimento alle sue riflessioni
sulla contraddizione, esposte nella Dialet8
tica trascendentale. Con la trattazione delle antinomie, a parere di Volpi, si prospetta
per Kant la possibilità di procedere oltre il
principio di non contraddizione aristotelico, arrivando a configurare un luogo dove
tertium datur, dove cioè tesi e antitesi possano essere entrambe false, o entrambe
vere. Così pure potrebbe accadere, ipotizza
Volpi, per la contrapposizione fra le tesi,
entrambe false, che sostengono l’eternità o
il divenire degli enti.
Vincenzo Vitiello ha a sua volta precisato
il proprio dissenso da Volpi, sottolineando
di non ritenere residenza dell’uomo la contraddizione come luogo della non significanza, e mettendo conseguentemente in
evidenza la propria distanza dalla posizione di Severino. Vitiello ha infatti ribadito
che il carattere contraddittorio di ciascun
discorso va ricondotto alla necessità di dire
con esso il suo proprio orizzonte, in modo
tale però che questo dire non risulti esaustivo; deve cioè configurarsi un discorso che
sia, a un tempo, inclusivo e non inclusivo di
sé, a differenza di quanto ritiene Severino.
Per quest’ultimo, ha continuato Vitiello, la
relazione “A=A”, l’ “Uno è Uno” è, gentilianamente, reale; il problema, piuttosto, è
per Vitiello quello di pensare questa relazione, che è, a suo avviso, intimamente
contraddittoria.
Precisando la propria posizione, Emanuele Severino ha ribadito come egli, pur
d’accordo con la tesi di Vitiello, secondo la
quale «l’Identico è da sempre», non ritenga
affatto l’Identico un ente particolare, bensì
la totalità degli enti. L’Identico è “già da
sempre”; quindi (e solo in forza di ciò) le
cose del mondo sono “già da sempre”. La
contraddizione si costituisce solo nella
misura in cui il soggetto intende presentarsi
come isolato; il suo significato non appartiene in questo modo al predicato, in quanto
questo soggetto pretende l’autoesaustività.
Conseguentemente, quando “si dice”, il
dire si pone come un’alterità rispetto a ciò
di cui si dice, e ha così luogo la contraddizione. Nasce in questo modo il pregiudizio
relativo al divenire degli enti, interpretato
come il passare da un ente a un nulla, e
viceversa: una volta il soggetto ha un determinato predicato e un’altra volta quel predicato è, per il soggetto, un nulla; in questo
modo, ha chiarito Severino, la categoria del
divenire proviene dalla considerazione del
soggetto come isolato, ed è cespite della
contraddizione. Da essa non riesce a liberarsi il principio di non contraddizione che,
anzi, la assume come proprio presupposto.
A parere di Severino, occorre invece riconoscere che la relazione fra soggetto e
predicato non si instaura fra enti isolati, ma
è originaria; solo così si evita la contraddizione, l’isolamento del soggetto, il divenire. Sostenere, come fa Volpi (e Platone),
che alcune cose possono essere eterne, e
altre no, implica, secondo Severino, l’ammissione dell’isolamento del soggetto, del
divenire, della contraddizione.
Nella contraddizione cade la filosofia con-
RESOCONTO
temporanea (quando, con Derrida e Gadamer, considera inseparabili linguaggio ed
essere, linguaggio e pensiero), che non può
più disporre della categoria della necessità
avendola liquidata. A questo esito si giunge quando la riflessione connette in primo
luogo il pensiero al linguaggio, in secondo
luogo alla storicità, e conclude che il pensiero non è incontrovertibile. Ma entrambe
le connessioni, soprattutto la seconda, sono
ipotesi ermeneutiche accettate come incontrovertibili, utilizzate per negare la possibilità della categoria di incontrovertibilità. Eppure, identità ed eternità dell’ente, ha
obiettato Sini, sono tali solo in riferimento
a una totalità che non si dà come tale, ma di
cui esse sono evento; e Felix Duque ha
ribadito come, non dandosi l’identità, il
movimento è da un nulla a un nulla.
Nella tavola rotonda che ha concluso il
convegno, durante la quale sono stati messi
a fuoco alcuni nodi tematici presenti nell’opera di Vitiello, Topologia del moderno,
Bruno Forte ha definito quest’opera una
“celebrazione dell’idea”, e su questa base
l’ha accostata alla prospettiva hegeliana, in
forza del suo concepire il moderno come utopia: il “non luogo” originario di Hegel fa
da correlato al domandare dell’uomo, è
onnipresente e, proprio per questo, “in nessun luogo”. A parere di Forte, è centrale
nell’opera di Vitiello il rapporto fra tempo
ed eternità: laddove l’eskaton si esaurisce
nel presente, la storia si annulla; qui risiederebbe il debito con quella che Forte ha
definito l’ “ebbrezza hegeliana” per il compimento.
Relativamente al suo debito con Hegel,
Vincenzo Vitiello ha tuttavia ribadito che
la topologia solo in prima istanza consiste
in un pensiero dell’Assoluto, perché l’eskaton indica non una fine, ma un orizzonte: la
categoria del moderno non accade “dopo”
quella di Medioevo, ma si identifica, piuttosto, con la storicità in quanto tale. Vitiello ha ribadito di non pensare a una fine,
intesa come “compimento” della storia,
perché ciò implicherebbe ancora un primato del tempo, che egli pone, invece, come
complanare allo spazio.
A partire dalla tematica della contra-dizione, Pier Aldo Rovatti, che ha peraltro
affermato la propria sintonia con la prospettiva di Vitiello, ha rilevato in essa il
permanere di un “residuo di soggettività”.
Se la contra-dizione è infatti implicita nella
sospensione del giudizio, nell’epoché fenomenologica, in essa sopravvive, in posizione residuale, ma nondimeno ineliminabile, un orizzonte di soggettività, il cui
mancato riconoscimento porta alla tesi di
una dissoluzione dell’evento nel linguaggio. A questa obiezione Vitiello ha risposto
che la contraddizione non può rappresentare l’ultima parola, pena la ricaduta in una
filosofia dell’identità di stampo hegeliano;
occorre, invece, mantenere la contraddizione all’interno della contraddizione.
Da parte sua Carlo Sini ha invitato Vitiello
a precisare il rapporto fra la sua nozione di
topologia e l’ermeneutica, nonché quello,
in una prospettiva topologica, che intercorre fra la pratica filosofica e la questione del
tempo. In altri termini, ha rilevato Sini, non
è chiaro se a partire dalla topologia sia
ancora possibile il darsi di una scrittura
filosofica, né se la topologia medesima le
appartenga; sullo sfondo rimarrebbe, dunque, il rischio di reintrodurre la nozione di
“fine della filosofia”. A questa considerazione Vitiello ha risposto che la topologia,
posta l’ermeneutica come disciplina storica, riguarda le condizioni di possibilità di
ogni ermeneutica. Per quanto riguarda poi
l’osservazione di Sini circa il carattere fondativo della pratica nei confronti della to-
pologia, Vitiello ha a sua volta sollevato la
questione del rapporto fra tempo e pratica,
interrogandosi su quale dei due termini sia
condizione di possibilità per l’altro. A questo proposito, affermando la contiguità di
topologia e monadologia, Vitiello ha avvicinato la propria posizione a quella di Leibniz, e quella di Sini a quella di Spinoza.
Massimo Cacciari ha individuato invece
tratti schellinghiani nella riflessione di Vitiello, soprattutto laddove vengono ritrovate in Dio le scissioni che caratterizzano e
definiscono l’uomo, prima fra tutte quella
frattura, irredimibile, che colloca appunto
il suo “soggiorno”, il suo ethos, nell’utopia, in quel non luogo cioè che è il frammezzo, la contra-dizione fra uno e molti.
Rispondendo ancora a Sini, che gli chiedeva di tematizzare la questione della distanza che accade nel rimando, e che è, quindi,
implicita nella struttura del segno linguistico, Vitiello si è detto d’accordo sul fatto
che sia proprio l’evento ciò che occorre
pensare attraverso il linguaggio. Egli ha
affermato però di ritenere la categoria di
“evento”, per come essa è utilizzata da Sini,
eccessivamente ipotecata da una vena mistica, e ha ribadito la necessità di dire
l’evento. Se la filosofia, ha concluso Vitiello, consiste nel domandare, ciò va inteso a
suo parere in senso radicale: non pretendendo, cioè, in alcun modo una risposta,
non pretendendo neppure di sapere chi si
sia, che cosa si domandi. Non è lecito, in
altri termini, neppure rispondere alla domanda se, dietro al velo sollevato dall’interrogante, vi sia un nulla, o non piuttosto
un qualcuno, o un qualcosa.
A proposito di alcune delle tematiche emerse durante il convegno, Pier Aldo Rovatti, Carlo Sini, Vincenzo Vitiello e Franco Volpi hanno cortesemente risposto ad
alcune domande rivolte loro da Flavio Cassinari.
Vitiello: Più che di “fine della storia”, si può forse
D. Nell’insieme, il dibattito sul volume di Vincenzo
sostenere che la storia non sia incominciata, in quanto
non è mai iniziata la condizione di possibilità di ogni
storia. Occorre chiedersi se la contrapposizione, nel
senso della domanda, fra una prospettiva “policentrica”
e una “monocentrica”, non si ponga comunque a partire
dal fatto che ammettiamo, come loro condizione di possibilità, un orizzonte. La topologia intende mettere in
discussione proprio questo orizzonte di possibilità, riflettendo sulla dimensione spaziale del tempo; riflettendo,
cioè, sul suo orizzonte, che non è storia, ma metastoria.
Una riflessione che voglia essere radicale deve dunque
esercitarsi su questo orizzonte.
Sini: Non vedo opposizione tra storicità e topologia, ma
piuttosto un differente modo di intendere e interpretare la
storicità. La fine della storia, del resto, non può essere
sancita da una “teoria”, per di più filosofica. Si ha una fine
della storia solo se vien meno la pratica dello sguardo
storiografico (che la filosofia ha potentemente contribuito a innescare, almeno a partire da Aristotele), e con esso
tutta quella tradizione di pratiche, anzitutto di scrittura e
di lettura, che lo sostanziano. Non mi pare di vedere
all’opera nulla di questo genere in una topologia come la
Vitiello, Topologia del moderno, sembra essersi sviluppato attraverso una serie di opposizioni, la prima delle
quali può essere individuata dalla coppia storicità-topologia. Il primo termine rinvierebbe a una prospettiva
escatologica, in quanto orientata verso “un centro”,
mentre il secondo configurerebbe piuttosto un policentrismo, una “compresenza di centri”. In che senso va
inteso il rapporto fra le due prospettive, e la seconda può
essere considerata espressione della “fine della storia”?
Rovatti: L’ultima parte della domanda contiene l’orizzonte in cui collocherei una risposta. Occorre che si
faccia “spazio” a una pluralità di punti di vista, a queste
“due prospettive”, creando cioè, in luogo di gerarchia e
dipendenza, uno spazio di “gioco” e di coinvolgimento.
Proprio la questione di uno spazio siffatto mi sembra il
tema messo a fuoco nel testo di Vitiello tramite la nozione
di topologia. In questo modo non si tratta di penalizzare
o di escludere la prospettiva del tempo, ovvero della
storia, bensì di ricondurla in tale “orizzonte” o, per dirla
con un’espressione a me congeniale, di indebolirla.
9
RESOCONTO
intende Vitiello, indipendentemente dalle sue intenzioni.
Volpi: Il binomio storicità-topologia configura, a mio
avviso, più che un’opposizione, una complementarità. Il
primo termine indica infatti un problema, ossia il carattere eminentemente storico, e dunque temporale, dell’uomo e della sua esperienza con tutto ciò che ne consegue,
in primo luogo la questione del modo in cui le manifestazioni e le espressioni storiche della vita possono essere
adeguatamente conosciute. Il secondo termine indica,
invece, una determinata disposizione metodologica per
affrontare, in maniera filosoficamente accorta, il problema della storicità. Se si vuole parlare di antitesi, essa
sussiste non tanto fra storicità e topologia, bensì fra
topologia e “storicismo”, qualora si intenda con questo
secondo termine un atteggiamento ingenuamente narrativo, orientato sulla mera successione cronologica e storiografica. Avremmo, in questo caso, l’opposizione di
due modi di affrontare il problema della storicità, alternativi l’uno all’altro: quello topologico, che si profila come
un approccio storicamente consapevole, e quello storicistico. Quest’ultimo, se nel secolo scorso, nella contrapposizione al positivismo, ha avuto la sua grande stagione
e anche, certamente, le sue buone ragioni d’essere, appare oggi (specialmente tenendo conto delle critiche mosse
a tale posizione già da Nietzsche, poi da Heidegger e
infine dall’ermeneutica successiva) come una posizione
non sufficientemente radicale, ed esposta agli esiti del
relativismo culturale e del mero “narrativismo”.
aggancio con le forme della razionalità argomentativa?
Su questo punto si potrebbe dire che gli esponenti del
pensiero ermeneutico hanno a lungo esitato o, quantomeno, non hanno fornito risposte univoche e concordi.
L’adesione del giovane Heidegger al programma metodologico della fenomenologia è stata più che altro uno
spunto iniziale (fatta salva la grandezza dell’inizio heideggeriano,) la cui enigmaticità e problematicità è racchiusa nella tesi secondo la quale la possibilità (della
fenomenologia) sta più in alto della sua realtà, cioè della
sua realtà storica di movimento filosofico. Gadamer, pur
nel suo contrapporsi a ogni restringimento metodologico
del libero gioco del comprendere, ha sottolineato e teorizzato la struttura dialogica dell’esperienza ermeneutica.
Ulteriori precisazioni “di metodo” sono state fornite, dai
loro rispettivi punti di vista, da Richard Rorty e anche da
Gianni Vattimo, che ha recentemente reclamato, dal
punto di vista dell’ermeneutica, un “diritto all’argomentazione”. La prospettiva della topologia può inserirsi a
mio avviso proficuamente in questa problematica, e
aprire uno scorcio interessante per affrontare di petto la
questione.
Rovatti: Lo “sguardo topologico” è certamente una variazione ermeneutica; o, piuttosto, un rilancio rispetto
alla prospettiva di quest’ultima. Esso si incarica infatti di
circoscrivere, e possibilmente di descrivere, una zona
filosofica che l’ermeneutica (per esempio, quella di Gadamer) si accontenta di costeggiare. Non saprei indicare
altrimenti tale zona se non con il termine, ovvio, di
“soggettività”. Il problema consiste, appunto, nel mettere
a tema lo “sguardo topologico”, nel determinare a quale
modalità di “vedere” esso appartenga, con quale tipologia di “soggetto” risulti congruente.
Vitiello: A mio parere l’ermeneutica, anche quella gadameriana, che pure pone il problema della fusione degli
orizzonti, non mette in questione l’orizzonte complessivo, quello al cui interno si danno tutti gli altri orizzonti,
le condizioni di possibilità particolari. L’ermeneutica si
limita, infatti, ad affermare questo orizzonte: così accade, ad esempio, quando essa parla del linguaggio come
del mondo stesso al cui interno avvengono tutti i rapporti
storici, e a partire dal quale la storicità medesima è
pensabile. Il paradosso consiste qui nel volere ermeneuticamente portare nella storia, nel flusso del divenire
storico, il movimento storico; eppure, già per Kant, «die
Zeit bleibt und wechselt nicht», il tempo rimane, e non
muta.
D. Che rapporto sussiste fra lo “sguardo topologico” da
una parte e il punto di vista dell’ermeneutica dall’altra?
Sini: L’unico “punto di vista dell’ermeneutica” che abbia
effettiva consistenza filosofica è quello di Heidegger.
Quanto è poi seguito sotto tale nome è solo sociologia
della cultura o storia delle idee, le cui proposte e conclusioni non solo sono filosoficamente irrilevanti o infondate, ma, proprio per questo, non si fanno in alcun modo
carico delle reali - e fruttuose - aporìe contro le quali si
scontra il cammino heideggeriano. Vi è solo la presunzione di un “superamento” che si riduce a formulette superficiali, nelle quali nessun esercizio di pensiero è, di fatto,
messo in opera; un tale esercizio, chissà perché, viene
piuttosto dichiarato impossibile. La topologia di Vitiello
- come, per altri versi, la meditazione “sull’inizio” di
Massimo Cacciari - in quanto effettivi esercizi di pensiero, non hanno nulla a che vedere, pare a me, con questi
“punti di vista ermeneutici”. Semplicemente li lasciano
alla loro attualità “presunta” e, invero, già appannata;
oppure li lasciano alla loro attualità effettiva, per quanti
amano leggere di filosofia senza farla, cioè senza sapere
che significhi farla.
Volpi: Se topologia ed ermeneutica vanno di pari passo
nell’opposizione allo storicismo, dei cui problemi esse
peraltro intendono farsi carico, una volta che ci si lasci
alle spalle il confronto con lo storicismo, la prospettiva
topologica sollecita l’ermeneutica in direzione di un
problema di fondo che ne travaglia la definizione metodologica, e che, in breve, può essere così formulato: qual
è la logica, qual è la razionalità propria dell’ermeneutica?
Segue essa un metodo meramente narrativo, o trova un
D. Se il punto di vista storico appare come correlato di
quello teologico e come cifra della filosofia, mentre, pur
con molti distinguo, l’ermeneutica si collocherebbe sul
lato dello sguardo topologico, in che misura il tema della
“fine della filosofia”, che viene qui introdotto, non porta
con sé quello del superamento della filosofia medesima,
e cosa si può intendere con ciò?
Rovatti: Fine della filosofia? Ma non è piuttosto la fine
della filosofia intesa, per lo più e innanzitutto, come
storia? Potremmo parlare, allora, e semmai, di “altro
inizio”. E ci si potrebbe chiedere: questo iniziare a
guardare la filosofia come se essa fosse sempre stata
10
RESOCONTO
nell’orizzonte topologico (nel senso che a questo termine Saggiatore, Milano 1992).
conferisce Vitiello) comporta o no qualcosa come un Vitiello: La topologia vuole essere “filosofia”; essa re“oltre” rispetto alla filosofia? Vorrei introdurre qui quel- spinge infatti ogni discorso relativo a una “fine della
lo che per me, dopo quello relativo alla questione della filosofia”, e richiede perciò un diverso rapporto con la
“soggettività”, è il secondo problema fondamentale, il filosofia medesima. La topologia accetta, con sincerità e
problema del linguaggio. Più precisamente: il problema serietà, la tesi della contemporaneità della storia. Quedella parola filosofica e della sua pretesa stabilità, o della st’ultima, assunta da Benedetto Croce in una prospettiva
sua riconosciuta trasparenza. Dove lo sguardo topologi- esclusivamente psicologica, e da Marx in una solo socioco - se vogliamo continuare a chiamarlo così - “vede” logica, trova invece con Hegel e con Nietzsche la sua
soprattutto la contraddizione, la filosofia pretende subito espressione filosofica più rigorosa. Mi riferisco in partiche questo “oggetto”, che viene visto, sia in piena luce, colare ai passi, posti al termini della parte introduttiva
che sia suscettibile di “una” logica, che resti al suo posto delle Lezioni sulla filosofia della storia, nei quali Hegel
senza muoversi. Ma lo
afferma che solo in appasguardo topologico non
renza lo storico guarda al
vede questo tipo di oggetpassato, perché, in realtà,
to, e forse non ha in vista
egli guarda invece sempre
nulla che si possa chiamare
al presente. Non si tratta
davvero oggetto. Infatti la
qui del presente che passa,
contraddizione è contradma di quello eterno, lo Jetzt
dittoria: la parola “contradche sempre è. Per ciò che
dizione” va messa tra virriguarda Nietzsche, occorgolette e tra parentesi, non
re invece riferirsi alla dotè né stabile né trasparente,
trina dell’eterno ritorno che,
non è semanticamente uniinterpretata filosoficamenvoca. Indica uno spazio di
te, cioè al di fuori da ogni
oscillazione, e come tale è
arcaicismo e misticismo, si“impropria”. Questo effetgnifica comprensione delto di improprietà, che lo
lo spazio della storicità.
sguardo topologico confeL’anulus aeternitatis raprisce al linguaggio, potrebpresenta l’orizzonte non
be suggerirci l’ “oltre” delmutevole del flusso del temla filosofia. Non una superpo; l’eternità si presenta
filosofia, bensì piuttosto la
come eternità del tempo,
sua lateralizzazione; per
non soltanto nel tempo.
così dire, la possibilità di
Ogni escatologia non può
scavare un vuoto attorno
perciò essere che successialle parole filosofiche, perva alla concezione topoloché continuino a parlare.
gica, e ciò vale anche per
Sini: Per quanto mi riguarl’ermeneutica.
da, la fine della filosofia
non è da intendersi come
D. La questione della “fine”
“utopico” passaggio ad aldella filosofia rimanda a
tro. Solo chi non ha inteso il
quella del suo “inizio”;
senso profondo della filonell’uno e nell’altro caso,
sofia, e il carattere filosofinon si rischia di reintroco della “fine” e della “fine Giorgio de Chirico, Il pomeriggio di Arianna (part.), 1913 durre nella prospettiva
della filosofia”, può nutrire
“topologica” lo “sguardo
ingenue e precipitose speranze in tal senso. Le quali sono storico”? Fino a che punto i tentativi per sfuggire ala loro volta figure della fine, spesso patetiche nella loro l’eventuale contraddizione non si risolvono in una sorta
presunzione. Quell’orizzonte, che già Heidegger chia- di “raddoppiamento” dei concetti, che appaiono per un
mava “fine della filosofia”, e che indubbiamente in vario verso come “originari”, per l’altro come debitori alla
modo ci concerne (nonostante i successi della filosofia prospettiva che si intenderebbe superare?
come cultura da mass-media, o Weltzivilisation), va
inteso, a mio avviso, come possibilità “etica”; ovvero Rovatti: Se ci siamo un poco capiti sul senso del discorso,
come un nuovo modo di frequentare la filosofia - e, più in allora sarà chiaro che “contraddizione” e “raddoppiagenerale, il sapere, a cominciare dal saper fare e dal saper mento” non sono da intendersi qui come dei limiti. Il
vivere - come un nuovo “abito di scrittura”, in cui la gioco è in perdita, ed è un gioco di rilanci: ci si dovrà
tradizione stessa si rinnova senza superstizioni e acquisi- infine interrogare su cosa è un gioco, e su quale processo
sce nuovi sensi. Che cosa poi voglio dire qui con “scrit- abbia da compiere l’ “io” del giocatore. Sono i problemi
tura” non è possibile, né opportuno, sintetizzarlo: non che mi interessano, e che vorrei segnalare, per arrivare
posso far altro che rinviare al mio Etica della scrittura (Il all’esigenza di rappresentare, nel discorso filosofico
11
RESOCONTO
medesimo, la intenibilità della propria posizione, l’effetto di scivolamento. L’ “originario” non scompare come
qualcosa di falso, né dovrà ricomparire come quel “vero”
di cui volevamo evitare il ritorno, per il semplice motivo
che si tratterà di rappresentarlo come pretesa, o come
illusione necessaria al nostro proprio “stare al gioco”. Si
tratterà, dunque, di “metterlo in scena”, di riuscire a
ospitarlo.
Sini: Non credo che ci si possa liberare dallo sguardo
storico, limitandoci per esempio a sconvolgerne le cronologie. In realtà, non abbiamo altro che lo sguardo storico;
questo è tuttora il nostro modo di comprendere. Possiamo
però cominciare ad abitare altrimenti lo sguardo storico
stesso; il che implica, alla lunga, una modificazione. In
questa direzione la topologia di Vitiello dà indubbiamente un importante contributo, il cui valore, già oggi considerevole, è da vedersi in movimento verso ulteriori e
significative prospettive che da Vitiello è lecito attendersi, con vantaggio di tutti coloro che amano ancora pensare
filosoficamente.
Vitiello: In merito alla questione della “fine” e dell’
“inizio”, della storia e della filosofia, va precisato che,
all’interno dell’orizzonte topologico, si danno molti inizi
e molte fini, tutti gli inizi e tutte le fini possibili. Detto ciò,
va subito aggiunto che non si è ancora detto l’essenziale,
ovvero che se l’orizzonte della storia, cioè l’eterno del
tempo, non cade nel flusso del tempo, è però vero che
questo orizzonte è finito, cioè mortale; l’orizzonte è
sempre orizzonte di un aoriston, di un indefinito. Senza
questo indefinito, non ci sarebbe l’orizzonte; orizzonte è
sempre orizein ton aoriston, definire ciò che non è
definito, dire l’indicibile.
Volpi: La problematica della fine e dell’inizio della
filosofia (che investe poi la questione, più vasta, della sua
autocomprensione storica) viene alla luce in tutta chiarezza nel pensiero heideggeriano: esso pretende di non
essere più filosofia, e di stare quindi oltre la filosofia, e
tuttavia altro non è, né potrebbe essere altrimenti, che un
radicale confronto con la filosofia e con le sue grandi
questioni e, quindi, una continua rievocazione di quello
che la filosofia è stata. In tal senso, Heidegger parla di Andenken, di pensiero che rievoca, di pensiero rammemorante. Anche la prospettiva della decostruzione, teorizzata da Derrida, non oltrepassa questa difficoltà; semmai, la
esaspera e la radicalizza. La questione del linguaggio, nel
suo incrociarsi con gli interrogativi qui sollevati, rappresenta senza dubbio un punto di riferimento, e di passaggio
obbligato: è la dimensione in cui “tutto l’essere che può
essere compreso” è situato, e nella quale dunque ogni
“altro inizio”, per quanto nuovo sia, è già sempre storicamente collocato, e perciò “topologicamente determinato”, e quindi allacciato all’antico. Il linguaggio è, contemporaneamente, la dimensione in cui la tradizione si
sedimenta e si decanta, e lo “spazio di azione”, lo SpielRaum, nel quale può avvenire l’apertura del nuovo.
l’“inizio”, della filosofia, in che misura le appartengono?
Rovatti: Credo di aver già detto come orienterei la mia
risposta. Aggiungo che il linguaggio filosofico, secondo
la mia interpretazione, non corrisponde a una logica: si
potrebbe dire che esso immetta in una “confusione” di
tipi logici, e con ciò tenti di avvicinarsi proprio allo
“spazio” del linguaggio. Per esempio, pone domande alla
parola poetica, e da essa ottiene suggerimenti sulle regole
del gioco; ovvero, su come il gioco funziona, su come il
linguaggio agisce in questo gioco. Ma dove “abita” allora
la filosofia, se essa ha bisogno di questa “distanza” da se
stessa? Si potrebbe ipotizzare che abiti la paradossale
consapevolezza del gioco del linguaggio.
Sini: La questione del dicibile e dell’indicibile, se viene
considerata alla luce di ciò che io chiamo “pratiche” (per
le quali valga il precedente riferimento a Etica della
scrittura) si vanifica pressoché interamente. Non esistono né il dicibile, né l’indicibile; o, meglio, esistono solo
nella pratica universalizzante della concettualità filosofica. Esistono molteplici pratiche della parola e, correlativamente, del silenzio. Ma solo se si è raggiunta effettivamente (non solo come nozione teorica, cioè buona per un
“dibattito”) la dimensione che io chiamo “etica”, allora
divengono evidenti e comprensibili le espressioni con le
quali mi riferisco qui alle “molteplici pratiche della
parola e del silenzio”. Naturalmente nessuno è obbligato
ad accedere effettivamente a una dimensione etica, nel
senso in cui intendo tale termine; bisogna vedere se può
farlo, il che è di nuovo una questione etica che riguarda
lui. Per parte mia, tenendo conto del cammino che, in
certo modo, mi sono trovato costretto a percorrere, in
quanto cammino “segnato”, posso dire solo che se può
farlo, allora certamente lo farà. Non avrà altra scelta, e in
questo, con apparente paradosso, consisterà la sua libertà. Si potrebbe dire: libertà dalla teoria nella teoria.
Ovvero: modo di abitare il circolo ermeneutico nella
maniera giusta, e perciò di permanervi.
Vitiello: La questione del linguaggio, intesa come questione del rapporto tra l’indefinito e l’orizzonte che lo
definisce, riassume tutti i problemi e tutte le difficoltà,
non solo - sarebbe poco - della topologia, ma della stessa
filosofia nella e della quale viviamo, volenti o nolenti che
si sia, almeno da Platone. Non a caso l’ultima parte di
Topologia del moderno è dedicata al rapporto tra silenzio
e linguaggio; è questo un problema tutto filosofico e
consiste non solo e non tanto nella contraddizione, bensì
nel dire la contraddizione. In questo senso, la topologia
osa riprendere la questione “filosofia” ab origine, cioè
dall’aporìa del mentitore, dalla questione della contraddizione in cui, dicendo, ci si pone.
D. Dal problematico rapporto fra sguardo topologico, ermeneutica, e prospettiva storica, emerge dunque la questione del linguaggio, come questione del
rapporto fra dicibile e indicibile; ma se questo è poi il
problema della filosofia, la soluzione di questo rapporto è ancora interna alla filosofia? La “fine”, o
12
SCHEDA
N
el 1991, le principali pubblicazioni periodiche a
cui continuavano a fare riferimento i filosofi
(ancora per poco) sovietici, erano tre: i “Voprosy filosofii” (“Questioni di filosofia”), organo dell’Istituto di Filosofia dell’Accademia delle scienze dell’Urss, le
“Filosofskie nauki” (“Scienze filosofiche”), del Ministero dell’istruzione speciale superiore e media dell’Urss, e
la serie 7/Filosofia del Bollettino dell’Università di Mosca (“Vestnik Moskovskogo universiteta”). I “Voprosy
filosofii” uscivano ogni mese, e avevano raggiunto da
qualche anno una tiratura di circa cinquantacinquemila
esemplari per numero. Le “Filosofskie nauki” e il bollettino filosofico dell’Università della capitale tiravano
rispettivamente settemila esemplari dodici volte all’anno, e tremila esemplari sei volte all’anno.
La preminenza dei “Voprosy” datava dalle origini, dal
1947, dalla svolta determinata nei vari campi della vita
culturale da Andrej Zdanov. Il primo numero aveva avuto
appunto come unico contenuto gli atti della discussione sulla Storia della filosofia dell’Europa occidentale di Georgij Aleksandrov,
quando i maggiori specialisti erano stati costretti a
riconoscere al cospetto del
Segretario del Comitato
centrale del Partito comunista le proprie responsabilità per il passato, e a promettere nel lavoro futuro
di Giovanni
una maggiore intransigenza ideologica. E’ significativo che il vecchio studioso
incaricato di celebrare in
piena perestrojka il quarantesimo anniversario della
fondazione della rivista
avesse evitato di fermarsi
su questo precedente imbarazzante (e di fare addirittura il nome di Zdanov, pur ricordando come niente il
dibattito da lui promosso) e si fosse piuttosto diffuso sul
grande lavoro compiuto in tanto tempo, prima «nonostante le difficoltà connesse al periodo del culto della
personalità di Stalin», poi nelle condizioni via via determinate dal XX Congresso e dalle vicende politiche ad
esso seguite. Era un patrimonio di esperienze e soprattutto di competenze che non doveva andare disperso col
resto, a vantaggio del dilettantismo «dei grafomani della
filosofia e degli altri sedicenti ‘riformatori’ della scienza,
la cui attività arreca un danno serio alla scienza filosofica» (C. G. Arzakanjan, Filosofskaja mysl’ i filosofskij
zurnal, “Voprosy filosofii”, 1987/7, pp. 133 sgg.).
L’uso voleva che l’attività delle vere e proprie riviste
fosse integrata dalle raccolte, anch’esse ufficiali, dei vari
gruppi di studio. A. L. Andreev e K. Ch. Delokarov
avevano così curato ancora nel 1989, per le edizioni
Nauka di Mosca, una prima serie di “Obscestvennaja
mysl’” (“Il pensiero sociale”), con ricerche sulla storia
delle idee nella Russia dei secoli XII-XIX, sul pensiero
sociale russo dell’Ottocento, su Hutcheson, Hume e
Hegel, sul leninismo in Occidente e su Bucharin, e con un
testo attribuito a Radiscev e uno di Rozanov su Solov’ev.
Negli ultimi tempi, lo spazio di tali pubblicazioni era
stato occupato da altre dello stesso tipo ma indipendenti,
e alla fine da altre riviste. A Mosca, dove già usciva da
qualche anno un “Annuario storico-filosofico” (“Istoriko-filosofskij ezegodnik”), fra il 1990 e il 1991 erano
apparsi una rivista intitolata “Celovek” (“L’uomo”), una
raccolta letterario-filosofica intitolata “Opyty” (“Esperienze”) e diretta da A. V. Gulyga, un almanacco intitolato “Kvintessencija” (“Quintessenza”) a cura di V. I.
Mudragej e V. I. Isanov, una raccolta di studi ebraici
intitolata “Targum” e diretta da M. Scneider, una rivista
intitolata “Naciala” (“Principi”) e diretta da N. V. Skorobogat’ko, una rivista intitolata “Voprosy metodologii”
(“Questioni di metodologia”) e diretta da G. P. Scedrovickij, un almanacco intitolato “Paralleli” e diretto da A.
Kara-Murz, una rivista filosofico-letteraria intitolata “Logos” e diretta da V.
V. Anascvili, e una intitolata “Socio-logos”, di sociologia, antropologia e
metafisica, a cura di V. V.
Vinokurov e A. F. Filippov. A Leningrado/S. Pietroburgo, una rivista filosofica intitolata “Stupeni”
(“Gradi”) e diretta da V. I.
Smirnov, un almanacco fiMastroianni
losofico-artistico intitolato
“Silentium” e diretto da L.
M. Morev, e un altro “Logos”, diretto da N. B. Ivanov e G. L. Tul’cinskij,
anch’esso inteso a rinnovare l’edizione russa del
1910-1914 della celebre rivista internazionale di filosofia della cultura di Georg
Mehlis.
Quanto su queste stesse iniziative pesassero gli equivoci
e i compromessi della particolare fase politica, non si sa
dire. Ma Arsenij Gulyga, il direttore degli “Opyty”,
aveva curato nel 1988 con Aleksej Losev la prima edizione sovietica di Vladimir Solov’ev. La sua prefazione si
chiude (a p. 46 del primo dei due volumi di Mysl’ di
Mosca) con una sottolineatura dell’opposizione del filosofo della onniunità al positivismo, all’idealismo razionalistico, al nietzscianesimo «e alle altre specie di decadentismo». E col commento, tratto dai Quaderni filosofici di Lenin: «Quando un idealista ne critica un altro, ha
la meglio com’è noto il materialismo». Proprio del 1990
è questa giustificazione di Gulyga, per la pubblicazione
di altri testi di Solov’ev in un volume della Biblioteca
dell’ateo di Sovetskaja Rossija di Mosca: «Il lettore non
deve meravigliarsi del fatto che le opere di Vladimir
Solov’ev siano incluse nella serie ateistica: la concezione del mondo materialistica può essere solida solo ad una
condizione, se essa si basa sulla conoscenza, sulla storia
La stampa
filosofica in Russia
nell’anno primo
del post-comunismo
13
SCHEDA
della cultura, di cui fa parte integrante anche la storia del
pensiero religioso» (p. 5).
Nel 1992, i “Voprosy filosofii” si sono subito ripresentati
come organo dell’Istituto di filosofia dell’Accademia
delle scienze russa (non più dell’Urss). Sul frontespizio
interno, sotto l’indicazione dell’inizio della pubblicazione (“luglio 1947”), esibivano quella del nuovo finanziatore, la Banca panrussa della borsa. I lettori hanno
insieme saputo della costituzione di un Fondo Filosofico
Moscovita, organizzazione sociale non commerciale,
avente anzitutto il compito di aiutare la «più vecchia
pubblicazione filosofica russa a “sopravvivere» (p. 191
del n. 1). La tiratura è diminuita, ma a poco meno di
quarantamila esemplari per mese. Le “Filosofskie nauki”
hanno invece interrotto le pubblicazioni dopo solo tre
numeri. Il competente Comitato per la scuola superiore
presso il Ministero della scienza, della scuola superiore
e della politica della tecnica della Federazione russa non
ha evidentemente fornito il sostegno in cui la redazione
sperava. Il “Vestnik Moskovskogo universiteta” è uscito
come al solito.
Altre pubblicazioni indipendenti si sono aggiunte a quelle sopra indicate. A Minsk, un nuovo “Istoriko-filosofskij ezegodnik”, sotto la direzione di A. Michajlov. A
Mosca, una rivista di filosofia, letteratura e cultura
intitolata “Zdes’ i teper’” (“Qui e ora”) e diretta da M.
Nemcov. A Kiev, ma in lingua russa, una rivista trimestrale artistico-filosofica e di logica della cultura intitolata “Novyj krug” (“Il nuovo cerchio”) e diretta da A.
Mokrousov. A S. Pietroburgo, una raccolta dei lavori
della Scuola religioso-filosofica superiore, a cura di G. I.
Benevic, sotto il titolo “Patrologija. Filosofija. Germenevtika”. Stava per uscire una nuova rivista del Fondo
Filosofico Moscovita, intitolata “Filosofskie issledovanija” (“Ricerche filosofiche”).
I “Voprosy filosofii” compivano a luglio altri cinque
anni. Il numero 7 è uscito con un bel 45 in rosso sulla
copertina, e a pp. 3 sgg. un editoriale del direttore,
Vladislav Lektorskij, inteso a precisare i risvolti e le
implicazioni della «profondissima crisi, vissuta dalle
scienze sociali». La crisi non significa «che in generale
negli ultimi settanta anni i rappresentanti delle nostre
scienze sociali ed umane non abbiano creato niente che
meriti una qualunque attenzione». Se tanti filosofi hanno
lavorato «all’applicazione dei dogmi del ‘socialismo
sviluppato’ nelle altre discipline sociologiche», è anche
vero che «negli anni più difficili, in condizioni incredibilmente pesanti, nella situazione della persecuzione
ideologica e delle repressioni politiche, nel nostro paese
sono vissuti e hanno operato pensatori eminenti come M.
M. Bachtin, A. F. Losev, V. F. Asmus, S. L. Rubinstejn,
Ja. A. Golosovker». Negli anni sessanta è apparsa «una
nuova generazione di uomini interessanti, i cui lavori
ripubblicheremo (e non di rado li pubblicheremo per la
prima volta, perché a suo tempo non potevano essere
pubblicati)». Si tratta, per non dire che dei morti, di M.
K. Mamardascvili, fra l’altro a lungo collaboratore e
anche direttore dei “Voprosy”, di E. V. Il’enkov, P. V.
Kopnin, M. K. Petrov, E. G. Judin.
La storia dei “Voprosy filosofii” non è stata ancora
scritta. Ma per tutti coloro che hanno seguito le nostre
pubblicazioni negli anni 60 e negli anni del “ristagno”, è
indubbio il fatto che la rivista ha giocato in questo tempo
un ruolo unico nella nostra cultura e ha cercato di
contrastare la pressione ideologica esercitata su di essa.
Altra cosa è che questo non sia sempre riuscito, che non
in tutte le sfere della conoscenza filosofica questo fosse
anche possibile (specialmente nella filosofia sociale e
nella teoria della società sovietica).
Certo, ora noi lavoriamo in una situazione in linea di
principio diversa. E non possiamo non capire che oggi
non basta seguire le vecchie, anche belle, tradizioni.
Adesso si tratta non semplicemente di singole ricerche
professionali, persino di problemi filosofici importanti,
bensì della necessità di una intera rivoluzione della
concezione del mondo, non solo della rinuncia ai cliché
del marxismo dogmatico, bensì della demolizione di
molti profondi orientamenti della coscienza sociale, di
stereotipi fortemente radicati del pensiero e della condotta.
Occorre sviluppare «la linea che si è tracciata nella
rivista già quattro anni addietro», la linea cioè dei tempi
di Gorbacev, con gli aggiustamenti suggeriti da un contesto sociale e culturale “in continuo cambiamento”. Il
“pluralismo” impone di salutare con favore le nuove
riviste; ma esse «si distinguono dalla nostra, o per un
indirizzo problematico assai concreto (per esempio, il
chiarimento delle questioni della metodologia), o per la
presenza di preferenze filosofiche nettamente determinate (fenomenologiche, postmodernistiche, religiosofilosofiche, etc.), o ancora in chi sa quali rapporti».
I “Voprosy filosofii”, la più vecchia rivista filosofica
russa, ha una sua riconosciuta specificità, i suoi lettori e
autori. Noi pensiamo che nelle condizioni della varietà
della stampa periodica di filosofia questa specificità può
meglio manifestarsi. I “Voprosy filosofii” tendono insomma a prendere il posto tenuto fino al 1917 dai “Voprosy filosofii i psichologii”. Com’è mostrato nel volume
che li illustra in dettaglio (Guerini e Associati, Milano
1989), i “Voprosy filosofii i psichologii” avevano la
funzione di un punto d’incontro al di sopra delle parti, per
le ricerche, i libri e le riviste speciali di più sicura
qualifica scientifica, a prescindere (come si diceva) dalle
differenti concezioni del mondo. E’ un esito paradossale,
per un periodico inaugurato da Zdanov nel nome della
discontinuità e autosufficienza del marxismo rispetto a
tutte le filosofie precedenti, ma non incredibile. Si è
infatti ricreata da un lato una situazione assai simile, in
circostanze ovviamente diverse, a quella che descriveva
Vladimir Solov’ev nel commentare con la solita ironia
nel primo numero del 1891 il “largo programma” dei
“Voprosy filosofii i psichologii” - «un programma che
non esclude nessuna veduta e nessun indirizzo di pensiero». «Io non so se è o non è desiderabile coltivare palme
da dattero sulle rive / gelate due terzi dell’anno / del
fiume Peciora, ma so che questo è impossibile. Altrettanto impossibile è una pubblicazione filosofica collettiva
di indirizzo rigorosamente-determinato ed esclusivo,
dove la cultura filosofica si trova ancora allo stadio delle
“nebulose”, e dove ogni pensatore è l’unico seguace del
suo indirizzo, e l’unico rappresentante della sua scuola»
(pp. 117 sgg. della sezione speciale per la critica e la
14
SCHEDA
bibliografia).
Gli operatori in servizio hanno dall’altro lato gli stessi
validi motivi di prima, per restare uniti attorno al vecchio
centro e alla sua tradizione. Non è facile rinunziare ai
vantaggi pratici di una grossa struttura editoriale e di
distribuzione, né liberarsi degli abiti contratti nella lunga
partecipazione alle riflessioni organizzate su larga scala.
Soprattutto, le posizioni e i titoli acquisiti nel periodo
sovietico mantengono tutta intera la loro validità solo se
non interviene una rottura, se non prevale un’idea del
rinnovamento incapace di distinguere fra le strumentalizzazioni politiche del passato e le tecniche strumentalizzate. Da qui anche l’interesse all’apologia della filosofia del settantennio, persino con l’annessione ad essa per
l’occasione in qualità di esponenti più illustri degli
esclusi e perseguitati di allora.
Lo spoglio che si presenta a conclusione, comprende
l’elenco di tutti gli articoli, testi, documenti, note e
recensioni usciti nel 1992 nei “Voprosy filosofii” (VF),
nelle “Filosofskie nauki” (FN), e nel Bollettino filosofico dell’Università di Mosca (VMU). Per dare una prima
impressione della specie e della proporzione dei temi, gli
articoli, etc., sono stati distribuiti in cinque sezioni, a
secondo che riguardino questioni del pensiero russo
prerivoluzionario e dell’emigrazione (I) e di quello del
periodo sovietico (II), questioni del pensiero occidentale
Nivat su destino di Paul
Pascal, A. N. Gorski sulla
critica postmodernistica,
M. Gasparov e O. Sedakova su Bachtin. Ci sono poi
estratti di un trattato inedito del futurista ucraino A.
Bogomazov (1880-1930).
Si annunziano per il secondo numero un altro articolo
di Mamardascvili, un Rozanov e Dostoevskij di A.
Pjatigorskij, una crisi dell’antiideologia di V. Bibichin, e traduzioni da Cassirer e Heidegger. “Patrologija. Filosofija. Germenevtika” contiene nella sezione filosofica articoli di O.
M. Nogovicyn, sulla forma
dell’uomo e sulla individualità trascendente, e A.
G. Cernjakov, sul tempo
nella storia della metafisica europea, nonché la traduzione di Il tempo e l’altro di Levinas.
I
L’agosto dei cambiamenti - la visione
di un emigrato russo (intervista a N.
B. MORAVSKIJ), VF/1.
AKSENOV G. P., Il potere del tempo
(Su Valerian Mudrav’ev e la sua filosofia), VF/1.
BERDJAEV N. A., Lettere a M. O.
Gersenzon, a cura di M. A. Kolerov,
VF/5.
e in genere non russo (III), dibattiti in corso attualmente
in Russia (IV) e questioni del marxismo (V). La prima
sezione è di 100 item. La seconda di 70. La terza di 84.
La quarta di 108. La quinta di 7. Sembra un mondo
rivolto all’indietro e al di fuori, più che in avanti. Il
silenzio su Marx e Lenin non è forse una semplice
reazione.
Delle altre riviste dello stesso anno si sono potute vedere
le sole descrizioni di tre primi numeri, date da A. Ogurcov nel numero 9 dei “Voprosy filosofii”. “Zdec’ i
teper’” ha questo titolo per la convinzione che sia impossibile capire la Russia di oggi al di fuori della sua storia
e della storia del mondo. Fra gli autori stampati o ristampati o intervistati: M. Mamardascvili, sui rapporti lingua-pensiero e le loro possibili cristallizzazioni; S. Choruzij, sul problema della persona nell’ortodossia; M. B.
Turovskij, sulla dipendenza della cultura dalla filosofia;
V. S. Bibler, sulla differenza fra cultura e civiltà; alcuni
esponenti del cinema russo; S. Dzimbinov, sugli studi
degli ultimi venti anni intorno ai filosofi religiosi. Il
“Novyj krug” riprende anch’esso note di Mamardascvili
e Bibler, sul concetto della filosofia e sulle forme storiche del dialogo, ed altre di A. Scevcenko sul rapporto
Russia-Occidente nella filosofia della storia di Mamardascvili, G. Tul’cinskij sull’essere come atto, Georges
BOLDYREV A. I., Rec. a La filosofia russa della seconda metà del XVIII secolo, Sverdlosk, 1990. FN/2.
BULGAKOV S. N., Lettere inedite a
V. V. Rozanov, a cura di M. A. Kolerov, VF/10.
CHOLODNYJ V. I., L’opera assiologica di Aleksej Stepanovic
Chomjakov, FN/1.
CIULKOV G. I., Appunti automatici
di Vl. Solov’ev, a cura di M. V. Michajlova, VF/8.
CIUZOV F. V., Lettera a Ju. F. Samarin, a cura di N. I. Cimbaev, VF4.
DAHM H., Il lume della ragione naturale nel pensiero di Vl. Solov’ev,
VF/8.
Il destino dell’essere - la via verso la
filosofia (intervista a Ju. V. MAMLEEV), VF/9.
FILATOV V. P., Sulla serie Dalla
storia del pensiero filosofico nazionale, VF/1.
FRANK S. L., La dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio, 1930,
VMU/5.
FRANK S. L., I presupposti filosofici
del dispotismo, VF/3.
GAJDENKO P. P., Sotto il segno
della misura (il conservatorismo liberale di P. B. Struve), VF/12.
GAVRJUSCIN N. K., Le antitesi della
“spada ortodossa”, VF/4.
IL’IN I. A., Il seppellimento del
tolstoismo imbalsamato (capitoli del
libro Sulla resistenza al male con la
forza), VF/4.
ISUPOV K. G., La parola come atto
(sulla dottrina filosofica di A. A. Meier), VF/7.
ISUPOV K. G., Rec. a Puskin nella
critica filosofica russa. Fine del XIXprima metà del XX secolo, a cura di
R. A. Gal’ceva, Mosca, 1990, VF/1.
ISUPOV K. G., Rec. a L’eros russo,
o La filosofia dell’amore in Russia,
Mosca, 1991, VF/12.
IVANOV A. V., Il cosmo socio-giuridico della Russia: si avvererà il sogno?, VMU/2.
IZGOEV A. S., Il potere e la persona,
1922, FN/1.
JANOV A. L., La tragedia di un grande pensatore / K. N. Leont’ev, VF/1.
KAMENSKIJ Z. A., Sulle letture contemporanee di P. Ja. Ciadaev, VF/12.
KANTOR K. M., Qual è la via verso
la civiltà?, VF/11.
KARASEV L. V., L’idea russa (simbolismo e senso), VF/8.
KARTASCIOVA L. E., Uno sguardo all’estetica, VMU/1.
KOLEROV M. A., PLOTNIKOV,
N. S., La via creativa di P. B. Struve,
VF/12.
KOZLOVA N. N., L’esperienza russa: invito alla critica, FN/3.
KRAVCENKO V. V., Le vedute estetiche di P. D. Uspenskij, FN/1.
LAPSCIN I. I., Confutazione del solipsismo, 1924, a cura di A. G. Vascestov, FN/3.
LEBEDEV A. A., L’amore senza gioia (saggi di letture possibili di Ciadaev), VF/7.
LICHACEV D. S., Su Aleksandr
Aleksandrovic Meier, VF/7.
LOPATIN L., Presente e futuro della
filosofia, 1910, VMU/4.
MAKAROV M. G., La fondazione
dell’ideale morale nella filosofia dei
primi slavofili e in Vl. Solov’ev, FN/2.
Materiali per la biografia creativa di
P. B. Struve, VF/12.
Materiali per la biografia di S. L.
Frank, VF/3.
15
MEIER A. A., Il senso religioso del
messianismo, VF/7.
MEIER A. A., La Società religiosofilosofica di Pietroburgo, VF/7.
MIRTICJAN A. A., P. A. Kropotkin
sul terrore rivoluzionario, VMU/1.
MISCIN N. A., Contro corrente. Vita
e opera di L. M. Lopatin, VMU/4.
MUDRAV’EV V. N., Lettere. La via
interna. Note filosofiche, aforismi, a
cura di G. P. Aksenov, VF/1.
NOVGORODCEV P. I., L’idea del
diritto nella filosofia di Vl. Solov’ev,
1901, VMU/3.
NOVGORODCEV P. I., Sui compiti
dell’attuale filosofia del diritto, 1902,
VMU/3.
PAVLOV A. T., Per la questione
della originalità della filosofia russa,
VMU/6.
PESKOV A. M., Il complesso germanico degli slavofili, VF/8.
POKROVSKIJ N. E., P. A. Sorokin:
lavorare nel campo natio?, FN/1.
POLTORACKIJ N. P., La filosofia
religiosa russa, a cura di I. A. Savkin,
VF/2.
PRIGOZIN A. I., Sul senso della nostra storia, FN/3.
PUGACEV O. S., V. S. Solov’ev:
assoluti etici e linea di condotta nella
vita, VMU/6.
RASCKOVSKIJ E. B., Losev e Solov’ev, VF/4.
RED’KO N. N., Il grottesco filosofico-religioso di F. M. Dostoevskij,
VMU/3.
REZVYCH T. N., La realtà e l’uomo
nella metafisica di S. Frank, VMU/5.
ROZANOV V. V., Lettere a N. K.
Michajlovskij e P. B. Struve, a cura di
M. A. Kolerov, VF/9.
SCVARC I. G., Dalle lezioni Sulle
SCHEDA
tre conoscenze, 1782-1783, a cura di
S. V. Arzanukin, FN/1.
SERBENKO N. I., Rec. a I. A. GOLOSENKO, Pitirim Sorokin: il destino e i lavori, Syktyvkar, 1991, FN/3.
SEVERNIKOVA N. M., La concezione del mondo di A. A. Fet, VMU/
1.
SHCHUKIN V. G., Il mondo culturale dell’occidentalizzante russo, VF/
5.
SOLOV’EV V. S., Lettere del sabato.
Il cielo e la terra, VMU/6.
SOROKIN P. A., Il cambio degli
orientamenti come sintomo sociale,
1921, FN/1.
SPEKTORSKIJ E. V., Il concetto
della società nel mondo antico, 1911,
a cura di I. V. Kupreeva, FN/2.
STEPUN F., La Russia alla vigilia
del 1914, VF/9.
STRUVE P. B., La Grande Russia.
Dai ragionamenti sul problema della
potenza russa, 1908, VF/12.
STRUVE P. B., L’intelligencija e
l’economia nazionale, 1908, VF/12.
STRUVE P. B., V. V. Rozanov, un
grande scrittore con un vizio organico, 1910, VF/12.
STRUVE P. B., Individualismo e socialismo. Frammento, VF/12.
TICHOMIROV L. A., Lettere a M.
V. Lodyzenskij, a cura di V. N.
Nazarov, VF/5.
TREDGOLD D., L’influenza del cristianesimo ortodosso sulle vedute politiche dei pensatori russi del XIX
secolo: Gogol’, Dostoevskij, Leskov,
VMU/1.
TVARDOVSKIJ K., Autobiografia,
a cura di B. T. Dombrovskij, VF/9.
VLASENKO K. I., La storia della
filosofia russa nell’interpretazione di
M. N. Ersciov, VMU/5.
ZUKOV V. N., La filosofia sociale di
P. I. Novgorodcev, VMU/3.
II
BACHTIN M. M., Aggiunte e modifiche al Rabelais, VF/1.
BIBICHIN V. V., Dai racconti di A.
Losev, VF/10.
CHORUZIJ S. S., Un combattimento
di retroguardia. Pensiero e mito di
Aleksej Losev, VF/10.
CHORUZIJ S. S., Karsavin, l’ebraismo e il PCR, VF/2.
CIOLKOVSKIJ K. E., Gli utopisti.
L’universo vivente, VF/6.
Le conferenze karsaviniane di Pietroburgo, VF/2.
Dialogo sulla dialogica, VF/12.
GAVRJUSCIN N. K., La via cosmica alla “felicità eterna” (K. E. Ciolkovskij e la mitologia della tecnocrazia)
(VF/6).
GOGOTISCVILI L. A., Varianti e
invarianti di M. M. Bachtin / per il
Rabelais / (VF/1).
KARSAVIN L. P., La filosofia e il
PCR. A proposito di un articolo di A.
N. Kozennikov, VF/2.
KIN C. I., L’uomo che ha accettato la
staffetta, VF/2.
KOZEVNIKOV A., La filosofia e il
PCR, VF/2.
Lettera a Chruscev di P. I. Sciabalkin
sulle persecuzioni subite negli anni
trenta, e sulle responsabilità di alcuni
accademici e professori; replica di
questi ultimi e controreplica dell’interessato, FN/1.
Materiali dell’adunanza generale della
società dei biologi materialisti dell’Accademia comunista, 14 e 24 marzo 1931, FN/1.
PECENKIN A. A., CIAJKOVSKIJ
A. V., Ricordando B. M. Kedrov, VF/
1.
PETROV M. K., La trasparenza e
l’organizzazione nell’attività dello
scienziato. Il mito e la rivoluzione
scientico-tecnica, VF/6.
SMIRNOV A. V., Alla memoria
di Oleg Fedorovic Serebrjannikov, VF/11.
La società sovietica e l’uomo sovietico - il punto di vista di Aleksandr
Zinov’ev (materiali di una “tavola
rotonda”, a cui sono intervenuti: V. I.
TOLSTYCH, V. M. MEZUEV, N.
V. LJUBOMIROVA, A. M. FEDINA, S. G. KORDONSKIJ, I. K. PANTIN, K. M. KANTOR), VF/11.
VASIL’EVA M. O., La filosofia
dell’esistenza di Andrej Platonov,
VMU/4.
ZINOV’EV A. A., Il Vangelo di Giovanni, VF/11.
to la durezza della natura... “ (B. S.
Kuzin e A. G. Gurvich), VF/5.
DE MAN P., La critica e la crisi, a
cura di S. A. Nikitin, FN/3.
DERRIDA J., Lettera a un amico
giapponese, VF/4.
FADEEVA T. M., L’Europa unita:
eredità e fortuna, VF/4.
FRENKIN A. A., Le questioni della
filosofia politica nelle riviste della
Repubblica Federale Tedesca, VF/1.
GAJDENKO P. P., La razionalità
scientifica e la ragione filosofica nell’interpretazione di Edmund Husserl,
VF/7.
GANDHI M. K., La mia fede nella
non violenza, VF/3.
GOBOZOV I. A., Raimond Aron grande pensatore del XX secolo,
VMU/2.
GROYS B., Ricerca dell’identità nazionale russa, VF/1.
GRZEGORCZYC A., La comunicazione spirituale alla luce dell’ideale
della non violenza, VF/3.
GUARDINI R., Il Salvatore nel mito,
nella rivelazione e nella politica, a
cura di Ju. S. Terent’evic, FN/2.
GUSEJNOV A. A., L’etica della non
violenza, VF/3.
HABERMAS Ju., Il moderno - un
progetto incompleto, VF/4.
HARRE R., L’epistemologia sociale: trasmissione del sapere attraverso
il discorso, VF/9.
HELLER A., Immanuel Kant invita a
pranzo, VF/11.
HOLTON G., Che cos’è l’anti-scienza?, VF/2.
HUSSERL E., La crisi delle scienze
europee e la fenomenologia trascendentale. Introduzione alla filosofia
fenomenologica (capitoli dal libro),
VF/7.
Intervista a N. BOBBIO, VF/8.
ISAEV S. A., Il Dio-incognito e il
Dio-anonimo nella teologia di Soren
Kierkegaard, VMU/1.
ISUPOV K. G., La storia come artefatto estetico, FN/3.
KASAVIN I. T., Il filosofo di Oxford
- 1991: a case-studies, VF/8.
KING M. L., Amate i vostri nemici,
VF/3.
KNJAZEVA E. N., KURDJUMOV
S. P., La sinergetica come nuova visione del mondo: dialogo con I. Prigogine, VF/12.
KORNEEV P. V., L’evoluzione dell’approccio filosoficamente irrazionalistico all’esperienza vitale, FN/1.
KOSEVIC E., Il pensiero filosofico e
teologico protocristiano in rapporto
alla problematica del corpo, FN/3.
KOSEVIC E., L’uomo e il suo corpo
alla luce del Vecchio e del Nuovo
Testamento, FN/1.
KUNG G., Le scienze cognitive su
uno sfondo storico. Note di un filosofo, VF/1.
KUNGUROV O. N., Il problema della crisi dell’arte nell’estetica dell’Illuminismo tedesco, VMU/1.
KURTS P., L’umanesimo nella prospettiva storica, VMU/2.
KUZIN B. S., Sul principio del cam-
III
ABBAGNANO N., L’esistenza come
libertà, VF/8.
ABELARDO P., Dialettica, VF/3.
ADORNO T. W., Per una logica delle
scienze sociali, VF/10.
AGAZZI E., La responsabilità - vera
base per il regolamento di una scienza libera, VF/1.
AKIMOV P. A., Rec. a Ju. B. MOLCIANOV, Il problema del tempo
nella scienza contemporanea, 1990,
FN/1.
APRESJAN R. G., Il centro scientifico-educativo Etica della non violenza, VF/3.
ARENDT H., La tradizione e l’epoca
attuale, VMU/1.
ARON R., Equivoque et inépuisable,
a cura di I. A. Goborov, VMU/2.
ARTEM’EVA O. V., Rec. a A. HELLER, Un’etica comune, VF/2.
L’Associazione internazionale della
riconciliazione (IFOR), VF/3.
BALLESTREM K. G., Le aporie della teoria del totalitarismo, VF/5.
BEAUVOIR S. (de), Must we burn
Sade? (a cura di I. V. Egorova), FN/1.
BOBBIO N., Intellettuali e potere,
VF/8.
BUBER M., Il problema dell’uomo
da Aristotele a Kant, a cura di Ju. S.
Terent’eva, FN/3.
CAMPBELL J., Libertà e comunità,
VF/12.
CHROSTOVSKIJ O. V., Il significato dell’olocausto per la comprensione cristiana della Bibbia, VF/5.
Colloquio di A. JACQUES e S.
LAUER, VF/5.
DAVYDOV M. A., “Avendo supera-
16
po nella biologia. Dalle lettere ad A.
A. Gurvich, VF/5.
KUZNECOV V. G., L’ermeneutica:
evoluzione dell’idea e situazione attuale, VMU/2.
LACKS D., Sul pluralismo della natura umana, VF/10.
LEZOV S. V., La teologia di Rudolf
Bultmann, VF/11.
LJUBIN V. P., Norberto Bobbio: la
politica e gli intellettuali, VF/8.
LORENZ K., L’aggressione (il cosiddetto Male), VF/3.
LORENZ K., Gli otto peccati capitali
dell’umanità civilizzata, VF/3.
LUKS L., Per la questione della storia dello sviluppo ideale della “prima” emigrazione russa, VF/9.
LYSENKO V. G., La filosofia comparata in Russia, VF/9.
MAN’KOVSKAJA N. B., L’estetica
ecologica all’estero, FN/2
MAMARDASCVILI M. K., Un pensiero vietato (Colloqui con A. Epelboin), VF/4-5.
MEYLER H., Il negro bianco, a cura
di A. M. Zveren, VF/9.
MILDON V. I., La “terra” e il “cielo”
della coscienza storica (le due anime
dell’umanità europea), VF/5.
MIRIMANOVA N., La non violenza:
movimenti e organizzazioni, VF/3.
NAZARETJAN A. P., L’evoluzione
storica della morale: progresso o regresso?, VF/3.
NERETINA S. S., Abelardo e Petrarca: le vie dell’autoconoscenza della
persona, VF/3.
NICCOLO’ DA CUSA, De pace fidei, VF/5.
OJZERMAN T. I., La filosofia di
Kant come revisione radicale della
metafisica e sua nuova fondazione,
VF/11.
OVCINNIKOV N. F., Karl Popper nostro contemporaneo, filosofo del
XX secolo, VF/8.
POPOV A. V., RODRIGES M. G.,
Le peculiarità della pratica delle comunità di base latino-americane,
VMU/4.
POPPER K., La logica delle scienze
sociali, VF/10.
POPPER K., La miseria dello storicismo, VF/8-10.
RUTKEVIC A. M., La disputa sul
positivismo nella sociologia tedesca,
VF/10.
La Russia e l’Occidente: interazione
delle culture (materiali di una “tavola
rotonda”, a cui sono intervenuti: V. I.
TOLSTYCH, V. S. STEPIN, K. M.
KANTOR, V. A. DMITRIEV, A. M.
SALMIN, L. V. POLJAKOV, V. M.
MEZUEV, G. R. IVANICKIJ, Ju. M.
BORODAJ, E. Ju. SOLOV’EV, A.
A. KABAKOV, F. T. MICHAJLOV,
V. N. SCERDAKOV, T. A. ALEKSEEVA), VF/6.
SANTAYANA G., Il progresso nella
filosofia, VF/4.
SCIBAEVA M. M., Rec. a K. M.
DOLGOV, Da Kierkegaard a Camus,
Mosca, 1990, FN/2.
SCIOCHIN V. K., G. Santayana e la
filosofia indiana, VF/4.
SCREJDER Ju. A., L’esperienza
SCHEDA
della interazione cristiano-giudaica, VF/5.
SCTINOV V. N., La filosofia di Richard Bernstejn come alternativa alla
filosofia analitica, FN/2.
SERLE G., Una parola rivoltata,
VF/4.
SHARP J., Il ruolo della forza nella
lotta non violenta, VF/8.
SILICEV D. A., J. Derrida: la decostruzione, ovvero una filosofia in stile postmoderno, FN/3.
THOM P., Il metodo sperimentale:
mito degli epistemologi (e degli scienziati?), VF/6.
VERNANT J. P., Un Socrate georgiano, VF/5.
VIRT S., Perché gli uomini hanno
cominciato ad aver paura dei reattori?, VF/2.
WRIGHT G., Logica e filosofia nel
XX secolo, VF/8.
ZADVORNYJ V. L., Rec. a P. HADOT, Plotino o la semplicità dello
sguardo, Mosca, 1991, FN/3.
ZOTKIN A. A., Sul rapporto reciproco del Samkhya e del Vedanta (secondo il materiale del trattato di Vijnanabhiksu Samkhyapravacanabhasya), VMU/3.
IV
ACHUPDOV M. D., BAZENOV L.
B., La scienza naturale e la religione
nel sistema della cultura, VF/12.
AMOSOV N. M., La mia concezione
del mondo, VF/6.
ARSCINOV V. I., SVIRSKIJ Ja. I.,
Dalla lettura a senso a un prodotto a
senso, VF/2.
BACHUR V. T., Per la questione
della base scientifico-naturale dell’ideale, FN/3.
BARENBOJM G. M., La situazione
ecologica nel paese, VMU/5.
BIBICHIN V. V., Filosofia e religione, VF/7.
La bioetica: difficoltà, prospettive (materiali di una “tavola rotonda”, a cui
sono intervenuti: A. P. OGURCOV, I.
T. FROLOV, S. Ja. DOLECKIJ, A. P.
GROMOV, A. M. GURVIC, A. Ja.
IVANJUSCKIN, V. A. TICHONENKO, R. V. KOROTKICH, G. A.
SKRJABNEV, L. V. KONOVALOVA, B. G. JUDIN, S. M. MALKOV,
P. D. TISCENKO, VF/10.
BIRJUKOV B. V., EDZUBOV L.
G., “Crisi del genere” o temporanee
difficoltà? (Scogli sommersi sulla via
di una informatica umana), VF/6.
BORZYCH V. V., Sulla libertà della
scelta morale, VF/1.
BULYCEV I. I., Sulla interazione
della natura dell’uomo coi rapporti
sociali e la realtà, VMU/6.
BYCKOV S. N., KUDRJASCEV A.
F., Fondazione e cultura, FN/2.
BYKOVA S. Ju., L’eutanasia: è umana?, VMU/6.
Il centro di ricerche internazionali e
politologiche dell’Università aperta
russa, VF/2.
CHAZIEV V. S., La verità dell’essere, VMU/4.
CHOLODNYJ V. I., Il potenziale
spirituale della civiltà: crisi e rinasci-
ta, VMU/6.
DOLUCHANJAN V. M., La filosofia del mercato e dell’impresa,
VMU/4.
L’educazione alla fine del XX secolo
(materiali di una “tavola rotonda”, a
cui sono intervenuti: A. F. ZOTOV,
V. I. KUPCOV, V. M. ROZIN, A. P.
MARKOV, E. V. SCIKIN, V. G.
CAREV, A. P. OGURCOV), VF/9.
EGOROVA I. V., Sadismo e masochismo: fondazione filosofico-psicologica, FN/3.
ERMAKOV Ju. A., Rec. a V. E. KEMEROV, Metodologia del sapere
sociale: problemi, stimoli, prospettive, Sverdlosk, 1990, FN/2.
L’etica del lavoro come problema
della cultura nazionale: aspetti attuali
(materiali di una “tavola rotonda” del
settembre 1991, con interventi di E.
Z. MAJMINAS, D. E. FURMAN, L.
A. RADZICHOVSKIJ, Ju. N. DAVYDOV, M. BJUSCER, L. A. GOZMAN), VF/1.
FRANC A. B., Morale e potere,
FN/3.
GADZIEV K. S., Il totalitarismo come
fenomeno del XX secolo, VF/2.
GAVRISCIN V. K., KSENOFONTOV V. I., Rec. a P. V. ALEKSEEV,
A. V. PANIN, Teoria della conoscenza e dialettica: manuale per gli istituti
superiori, Mosca, 1991, VMU/6.
GUREVIC P. S., La paura - preghiera
dell’anima, FN/2.
GUREVIC P. S., L’apocalisse
attuale, FN/2.
GUSEV M. V., Dall’antropocentrismo al biocentrismo, VMU/5.
IL’IN V. V., Gli assoluti morali nella
coscienza normativa, VMU/5.
JAKOVLENKO S. I., Sulle influenze organizzative e distruttive nella
natura, VF/2.
JAKOVLEV E. G., Non uccidere!
(Saggio di interpretazione del sesto
comandamento), VMU/4.
KARPINSKAJA R. S., La biologia,
gli ideali della scientificità e i destini
dell’umanità, VF/11.
KELLE V. Z., Rec. a V. E. KEMEROV, Metodologia della conoscenza
sociale: problemi, stimoli, prospettive, Sverdlovsk, 1990, VF/7.
KEZIN A. V., Gli standard della scientificità nella conoscenza delle cose
umane, VMU/2.
KNJAZEVSKAJA T. B., OGURCOV A. P., Il destino: metafora, idea,
cultura, VF/7.
KORJAVKO G. E., La coscienza filosofica come riflesso, VMU/3.
KORNEEV M. Ja., SCPAKOVA R.
P., Rec. a K. N. LJUBUTIN, L’uomo
nella dimensione filosofica, Sverdlosk, 1991, FN/2.
KRASNIKOV A. N., Perché taceva
Abramo? (VMU/5).
KRYMSKIJ S. B., I contorni della
spiritualità: nuovi contesti di identificazione, VF/12.
KULESCIOVA G. I., Le immagini
della scienza e l’architettura dei complessi scientifici, VF/4.
KURAEV p. Andrej, Sulla fede e il
sapere - senza antinomie, VF/7.
KURTONINA N. Ja., CERNAJA E.
G., Rec. a E. K. VOJSVILLO, Il
concetto come forma del pensiero:
analisi logico-gnoseologica, Mosca,
1989, VMU/3.
KUZNECOV V. Ju., L’unità del
mondo come problema della scienza
contemporanea, VMU/6.
KUZNECOVA T. V., La popolarità
dell’arte come problema della teoria
estetica, VMU/6.
LAPIN N. I., La crisi dell’essere alienato e il problema della riforma socioculturale, VF/12.
LEBEDEV S. A., Meccanismo e forme della correlazione del sapere filosofico e concretamente-scientifico,
VMU/3.
LEKTORSKIJ V. A., I “Voprosy filosofii” - 45 anni, VF/7.
LICKOVACH V. A., Lo stile nazionale dell’arte, FN/1.
LJUBUTIN K. N., Rec. a La coscienza filosofica: il drammatismo del rinnovamento, Mosca, 1991, VF/7.
LOSEV I. N., Il mito e la religione in
rapporto alla conoscenza razionale,
VF/7.
MANEKIN R. V., Alcuni aspetti della metodologia dell’indagine quantificativa della mentalità, VMU/1.
MASLOVA E. B., L’inconsapevolezza e il suo ruolo nell’attività psichica dell’uomo, VMU/2.
MOISEEV N. N., Il problema dell’origine delle proprietà sistemiche,
VF/11.
Movimenti non violenti e filosofia
della non violenza: situazione, difficoltà, prospettive (materiali di una
“tavola rotonda”, a cui sono intervenuti: A. P. OGURCOV, M. T. STEPANJANC, V. S. STEPIN, A. A.
GUSEJNOV, I. K. LISEEV, R. M.
ILJUCHINA, N. MIRIMANOVA, G.
DZIBLADZE, A. A. KALININ, N.
V. SCKLOVER, R. G. APRESJAN,
S. M. MALKOV), VF/8.
NEDZVECKAJA E. A., Il dialogo
come modo di realizzazione del metodo problematico, VMU/3.
Necrologio di A. P. Belik, VF/3.
Necrologio di M. Ja. Koval’zon,
VMU/3, VF/4.
Necrologio di D. F. Kozlov, VMU/4.
NOVIK I. B., OMAROV K. E., Informazione e rischio (per una fondazione filosofica dell’analisi sistemica
del rischio), FN/3.
NOVOCHAT’KO A. G., Rec. a F. T.
MICHAJLOV, Coscienza sociale e
autocoscienza dell’individuo, Mosca,
1990, VF/9.
Nuove riviste filosofiche e nuovi almanacchi, VF/3.
OGURCOV A. P., Nuove riviste filosofiche e nuovi almanacchi, VF/4, 9.
OKONSKAJA N. B., L’antropologia filosofica: concezioni e problemi,
VMU/5.
OLESKIN A. V., L’umanistica come
nuovo approccio alla conoscenza della
vita, VF/11.
OL’MANSKIJ D. V., Gli umori
delle masse nel periodo di transizione, VF/4.
OPALEV A. V., E’ morale una
condotta moralmente ammissibile?, FN/3.
17
ORECHOV A. M., Burocratismo e
proprietà, VMU/1.
PANTIN I. K., Rec. a P. ABOVINEGIDES, Attraverso l’inferno, Mosca, 1991, VF/9.
PIVOVAROV D. V., La religione:
essenza e rinnovamento, FN/2.
POMERANC G. S., L’irrazionale in
politica, VF/4.
RADAEV Vad. V., Nella lotta delle
due utopie, VF/4.
KAKITOV A. I., Civiltà, cultura, tecnologia e mercato, VF/5.
RAUSCENBACH B. V., Lettera alla
redazione, VF/3.
Religione e politica nella Russia postcomunista (materiali di una “tavola
rotonda”, a cui sono intervenuti: D. E.
FURMAN, V. I. GARADZA, A. V.
SCIPKOV, S. B. FILATOV, A. V.
JUDIN, p. AMBROSIJ (SIVERS), p.
ANATOLIJ (BASKAKOV), L. N.
MITROCHIN), VF/7.
ROMANOV Ju. I., Sullo status categoriale dell’ideale, FN/3.
ROTENFEL’D Ju. A., La dialettica
non classica: un approccio concreto
al problema, FN/1
RUZAVIN G. I., Dialettica, logica e
teoria dell’argomentazione, FN/1.
SAMOCHVALOVA V. I., L’uomo e
il mondo: il problema dell’antropocentrismo, FN/3.
SCEVCENKO V. N., Rec. a M. S.
KAGAN, Approccio sistemico e sapere umano, Leningrado, 1991, VF/
9.
SCIALJUTIN B. S., L’ideale: sintesi
dei principi informativo e emotivo,
FN/3.
SCIAPOVALOV V. F., Creazione.
Lotta. Unicità spirituale, VMU/6.
SCVYREV V. S., La razionalità come
valore della cultura, VF/6.
SIMKIN G. N., La nascita dell’etosfera, VF/3.
SIMONOV P. V., Il cervello e la
creazione, VF/11.
SOKOLOV V. N., Sulla logica dello
sviluppo culturale-storico del sapere
filosofico, VMU/2.
SOKULER Z. A, Rec. a Tradizioni e
rivoluzioni nella storia della scienza,
a cura di P. P. Gajdenko, Mosca,
1991, VF/9.
SOKOLOV V. V., La filosofia a
mare?, VMU/4.
STECKIN O. Ja., Nel giorno del giudizio, FN/2.
Le strade della cultura. Colloquio con
M. L. GASPAROV, VF/3.
SVETLOV V. A., Sulla risolubilità
di una questione irrisolta, ovvero se
Protagora doveva sporgere denuncia
contro Evatlo, FN/1.
Lo sviluppo dei fondamenti scientifici e umanistici della filosofia: conclusioni e prospettive, a cura di I. T.
FROLOV e altri, VF/10.
SVINCOV V. I., Uomini e crisi,
VF/8.
SVINCOV V. I., La collettivizzazione della coscienza, FN/3.
TISCENKO P. D., Il fenomeno della
bioetica, VF/3.
TITOV V. A., Rec. a L. V. MAKSIMOV, Il problema fondamentale della morale. Aspetti logico-cognitivi,
Mosca, 1991, VF/7.
AUTORI E IDEE
Eugenio Garin, Giovanni Gentile
Nicola Abbagnano, Luigi Pareyson
18
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Esistenzialismo italiano
A cinquant’anni dall’inchiesta sull’esistenzialismo, presentata sulla rivista
“Primato” nel 1943, che rappresentò
l’atto di nascita ufficiale del cosiddetto “esistenzialismo positivo” italiano,
viene oggi pubblicato sull’argomento
un volume, L’ESISTENZIALISMO IN ITALIA
(Paravia, Torino 1993) a cura di Bruno
Maiorca, con un’appendice su “Abbagnano e Gentile” di Giovanni Fornero.
L’edizione, che ha anche lo scopo di
ricordare degnamente la figura e l’opera di Nicola Abbagnano, recentemente scomparso, si segnala nel contempo come uno strumento di documentazione particolarmente idoneo alla
ridefinizione della categoria storiografica di “esistenzialismo” e all’aggiornamento scientifico e didattico dei
docenti di filosofia.
L’inchiesta su L’esistenzialismo in Italia
che la rivista “Primato” offrì ai suoi lettori
dalle proprie colonne nel fatidico 1943
rappresenta uno snodo culturale e ideologico significativo nelle vicende della filosofia italiana contemporanea. Ad essa presero parte sia gli esponenti riconosciuti dall’esistenzialismo italiano (Abbagnano e
Paci), sia i loro oppositori e contraddittori
(Carlini, Spirito, Olgiati, Guzzo, Carabellese, Pellizzi, Della Volpe, Luporini, Banfi, Gentile). Chi, come, in modo esemplare,
Eugenio Garin, si è soffermato sul significato generale dell’episodio, ne ha per lo più
rilevato il valore di sintomo di una crisi
della vecchia egemonia idealistica e della
emergenza di nuovi protagonisti (se non di
nuove egemonie) nella futura scena filosofica del dopoguerra. Interessante dunque
sul piano ideologico, l’episodio è stato viceversa scarsamente valutato sul terreno
strettamente filosofico, dove la cifra (ripresa nello stesso dibattito da alcuni protagonisti come Banfi) dell’esistenzialismo come
filosofia della crisi (quando non addirittura
come “moda” giovanile) sembrò polarizzare, per tutti gli anni Quaranta e anche nei
successivi anni Cinquanta, il giudizio prevalente della opinione filosofica ufficiale.
A compensare questa lacuna interviene ora
il volume curato da Bruno Maiorca, che
insiste viceversa sul significato filosofico
di quella vicenda e rovescia il giudizio
tradizionale, ricostruendo nell’ampio saggio introduttivo l’intera parabola teorica
dell’esistenzialismo italiano (che amò definirsi, in polemica con quello tedesco e
francese, positivo, anziché negativo e nichilistico), dagli inizi negli anni Trenta alle
sue ultime propaggini nell’ultimo trentennio del dopoguerra. Un merito particolare
di questo volume non è solo quello di
metterci a disposizione per la prima volta
in maniera integrale i testi (ormai introvabili) dell’inchiesta di “Primato”, ma di seguire con puntigliosa attenzione la successiva evoluzione dell’esistenzialismo italiano, attraverso una scelta straordinaria di
pagine antologiche dei suoi protagonisti e
dei suoi storici e critici (da Filiasi Carcano
a Bobbio; da Paci ad Abbagnano, a Pareyson; da Lombardi a Battaglia; da Prini a
Stefanici, A Garin, ecc.), dal 1943 al 1989.
Ne risulta un quadro ricchissimo e informato su un fenomeno che ha interessato
tanta parte (e la migliore) della nostra cultura filosofica, e a cui va ormai riconosciuto un posto e un ruolo non episodico nella
filosofia novecentesca.
Un discorso a parte merita l’appendice, che
contiene un saggio di Giovanni Fornero
su “Abbagnano e Gentile”, che fa il punto
sulla questione di fondo dell’esistenzialismo italiano, riguardante cioè i suoi rapporti con la tradizione idealistica, dominante in Italia nella prima metà del secolo.
Fornero affronta tale complessa questione
storiografica a proposito dei due autori che
delle due rispettive posizioni (l’idealistica
e l’esistenzialistica) si possono giustamente ritenere i maggiori rappresentanti e capofila: Giovanni Gentile e Nicola Abbagnano. Egli rileva l’esistenza di opposte
tradizioni interpretative, affermanti una linea di continuità o, all’opposto, una rottura tra l’esistenzialismo positivo di Abbagnano e l’idealismo attualistico di Gentile.
La prima tradizione di lettura risale a Luigi
Pareyson, che fin dai suoi Studi sull’esistenzialismo (Firenze 1943) aveva considerato l’esistenzialismo di Abbagnano
«come una filosofia muoventesi ancora
nell’orbita speculativa dell’attualismo»
come sua estrema propaggine. La seconda
tradizione, già implicitamente presente nelle
19
Cronache di filosofia italiana di Eugenio
Garin e più ampiamente ripresa da Antonio Santucci e Giuseppe Semerari, sottolinea viceversa «l’irriducibile tendenza
antiintellettualistica ed antiattualistica della
filosofia di Abbagnano, concepita come
estranea all’attualismo ed ad esso antitetica».
Fornero non si limita ad argomentare le
ragioni del proprio dissenso dalla prima
linea interpretativa e della propria adesione
alla seconda (fatta propria, del resto, dallo
stesso Abbagnano), ma va a fondo nella
ricerca delle ragioni che hanno determinato questa apparentemente contraddittoria
situazione ermeneutica. Si tratta in effetti
di spiegare come mai «il filosofare di Abbagnano, pur non essendo mai stato orientato idealisticamente, presenti alcune consapevoli concordanze con l’attualismo».
Fornero individua tre fondamentali tesi
speculative che accomunano oggettivamente l’attualismo gentiliano e l’esistenzialismo positivo di Abbagnano: 1) il principio
dell’umanità dell’essere e l’affermazione
della presenza dell’uomo; 2) la visione
dell’uomo come autocrisi e problematicità
sempre aperta; 3) il concetto dello spirito
come valore ed eticità intrinseca. Ma, a
qualificarne il valore e a demarcarne il
diverso significato nelle due posizioni, a
fronte di ciascuna di esse sta una tesi contraria, che segnala la discontinuità delle
impostazioni: 1) la dottrina dell’Io come
principio assoluto e la risoluzione del finito
nell’infinito; 2) la definizione dell’esistenza come pensiero e l’assunzione della soggettività come presupposto; 3) l’ottimismo
metafisico e l’incapacità di giustificare la
singolarità e gli aspetti costitutivamente
limitanti della condizione umana. Il rigetto, da parte di Abbagnano, dei presupposti
metafisici dell’impostazione attualistica fa
assumere cioè «un senso radicalmente non
gentiliano» alle comuni istanze dell’umanesimo, dell’attivismo, dell’eticità, presenti
sia nell’idealismo che nell’esistenzialismo.
I rapporti di continuità tra le due posizioni
non vanno spiegati in una sorta di “eclettismo” della posizione di Abbagnano (come
sostiene la maggior parte dei suoi critici
idealisti), bensì in «una confluenza su certi
motivi da parte di due filosofie strutturalmente dissimili e tra di loro inconciliabili».
AUTORI E IDEE
La conclusione di Fornero è infatti che «il
gentilianesimo, complessivamente considerato, appare una filosofia dell’uomo proposta nei termini di una metafisica idealistica dello spirito infinito, mentre il pensiero di Abbagnano si configura come un’analisi della condizione umana nella sua finitudine esistenziale condotta tramite la categoria del possibile».
E’ una conclusione che farà certo discutere, anche in presenza delle recenti rivalutazioni del pensiero di Gentile, ma che merita
comunque di essere presa in seria considerazione, alla luce delle pazienti indagini
storiografiche cui Maiorca e Fornero si
sono sottoposti in questo impegnativo volume. A.V.
Lo stato delle cose:
Vilém Flusser e il design
Saggi e articoli sul design e sull’architettura, già pubblicati su riviste specialistiche, testi finora inediti di conferenze, analisi “fenomenologiche” di
oggetti e situazioni della vita quotidiana: questo (e altro) nel volume “postumo” del filosofo e saggista Vilém
Flusser dal titolo: VOM STAND DER DINGE.
EINE KLEINE PHILOSOPHIE DES DESIGN (Lo
stato delle cose. Una piccola filosofia
del design, a cura di Fabian Wurm,
Steidl Verlag, Göttingen 1993).
Come ricorda Fabian Wurm nella postfazione a questa raccolta di saggi e articoli,
Vilém Flusser amava esercitare la propria
riflessione su situazioni della vita quotidiana, su oggetti e situazioni “minime”, come
l’abbigliamento, gli ombrelli, il telefono,
la macchina da scrivere, la macchina fotografica. Ma partendo da tali oggetti - si
veda ad esempio l’ultimo volume da lui
pubblicato in vita, Gesten. Versuch einer
Phänomenologie (Gesti. Tentativo di una
fenomenologia, Bollmann, DüsseldorfBensheim 1991, - Flusser riusciva a far
vedere, in una sorta di fenomenologia della
vita e della cultura quotidiana, nuove relazioni tra questi oggetti all’interno di una
determinata cultura e a sviluppare nuove
teorie, all’incrocio di diverse discipline
scientifiche.
Flusser praticava questo approccio intermedio tra filosofia, critica della cultura e
giornalismo già negli anni ’60 e ’70 in
Brasile, dove era arrivato negli anni ’40 per
sfuggire alla persecuzione nazista (di cui
caddero vittime i genitori e la sorella) e
dove negli anni ’60 - dopo avere lavorato
come direttore di una fabbrica di trasformatori - era divenuto docente di filosofia
del linguaggio e della comunicazione e
aveva collaborato a riviste di cultura e alla
stampa quotidiana. Dalle colonne della
“Folha de Sao Paulo”, uno dei più grandi
quotidiani del Brasile (e dal 1966 anche
dalle pagine della “Frankfurter Allgemeine Zeitung”), Flusser presenta le sue osservazioni antropologiche e di filosofia e critica della cultura del grande paese subtropicale. Se nel 1972 Flusser doveva lasciare il
Brasile a causa della dittatura militare, nello stesso anno si interrompeva anche la sua
collaborazione con il quotidiano di Francoforte, dopo che egli ebbe affermato in un
articolo che «anche le zuppe sono cultura»
in quanto da esse è possibile sviluppare
osservazioni e deduzioni sui caratteri generali di un determinato ambiente culturale:
un po’ troppo per il paludato e serioso
giornale francofortese.
Questo atteggiamento di spregiudicatezza
ha fatto sì che a Flusser venisse da alcuni
affibbiato il ruolo di enfant terrible e di
provocatore. Un ruolo che egli del resto
accettava volentieri. A quanti gli rimproveravano di coltivare il gusto della provocazione fine a se stessa, rispondeva: «Voglio risvegliare dubbi. Tutto quello che
dico suona come una tesi, ma non ben
sostenuta. Non si presta attenzione al fatto
che in quello che dico c’è sempre anche un
po'di ironia. Non mi prendo del tutto sul
serio. E anche i problemi non li prendo del
tutto sul serio. Quello che voglio è provocare. Provocare nel vero senso della parola:
chiamar fuori».
Questo atteggiamento provocatorio e ironico, e questo approccio di critica della
cultura tra filosofia e giornalismo (realizzantesi in una scrittura di grande godibilità) si trova anche nei saggi raccolti
in questo volume, suddivisi a seconda
del tema (tra gli altri: il concetto di
design e quello di forma, i rapporti del
design con la teologia e con l’etica, il
design e la guerra, la filosofia di Wittgenstein, la fabbrica) in quattro parti:
“Dei fondamenti”, “Sullo stato delle
cose”, “Creazioni e edifici”, “Oltre l’orizzonte”. Si veda, ad esempio, il saggio
“Design come teologia” dove, partendo
dalla constatazione dell’uniformità tra
cultura occidentale e orientale (due culture altrimenti separate, nella loro concezione della vita e della morte, da un
abisso) prodottasi a partire dalla compenetrazione di tecnica e design e dai codici computerizzati, si sostiene la tesi di un
significato “teologico” delle nuove forme del design: «Non si esprimono forse
in questo design un ebreo-cristianesimo
e un buddismo, che hanno “oltrepassato
se stessi”, per i quali oggi ci mancano le
parole? Questa è un’ipotesi ardita, avventurosa. Ma se si prende in mano un
apparecchio radio tascabile giapponese e ci
si concentra sul suo design, l’ipotesi non
appare più così avventurosa, diventa addirittura necessaria. Suggerire tutto ciò è l’intenzione di questo saggio, che deve però
ammettere di considerare come qualcosa di
provvisorio quello che in esso viene proposto. Esso vuole essere letto come saggio,
come tentativo di un’ipotesi.»
La concezione che Flusser ha del design
20
è anch’essa enfatica e in qualche misura
provocatoria (probabilmente molti designer non sarebbero disposti ad accettala). Il design sembra essere per lui
un’espressione per così dire concentrata
e simbolica del rapporto della specie
umana con la natura, della trasformazione della natura in cultura e storia. Il
design si situa al punto di confluenza di
scienza, arte ed economia, e il designer
non esercita, come giardinieri, urbanisti
ed ecologisti, un’attività di abbellimento di un mondo già esistente, ma è creatore di mondi, ha a che fare con il progetto e con il possibile. Questa concezione,
sottesa a tutti i saggi, viene sviluppata
più esplicitamente nell’articolo “Sulla
parola design”. Qui Flusser tenta di comprendere, in senso semantico e non storico, come la parola “design” sia giunta
ad avere il suo attuale significato: essa
appartiene per Flusser allo stesso campo
semantico dei termini “astuzia”, “trucco”, al quale apparterrebbero anche termini come “meccanica”, “macchina”,
“tecnica” e “ars”, traduzione latina del
greco “techné”: tutti termini che rinviano all’atteggiamento esistenziale di un
controllo e di una formazione della natura da parte dell’uomo. Nel design si
esprime così una connessione interna tra
tecnica, scienza e arte. In questo senso
ampio il design starebbe così alla base di
ogni cultura in quanto trasformazione
tecnico-scientifica della natura. Lo sguardo del designer diventa così quello del
“secondo occhio” dell’anima che, secondo un verso del Pellegrino Cherubico di Angelus Silesius, guarda dal tempo
all’eternità (mentre il “primo occhio” è
rivolto dal tempo nel tempo). Qui Flusser cita i momenti fondamentali della
storia delle scienze e delle tecniche della
cultura occidentale, dai profeti delle culture mesopotamiche (che, prevedendo
gli eventi naturali, permettevano di incanalare il corso dei fiumi), alla geometria di Euclide e alla meccanica galileiana e newtoniana, fino agli sviluppi contemporanei della meccanica quantistica
e delle geometrie non-euclidee. Il profeta (e oggi il designer) è colui che vede
non il corso dell’Eufrate, ma la forma
eterna di ogni corso d’acqua, non il singolo fenomeno, ma la sua “idea” in senso platonico. Anche se oggi non crediamo più che la scienza “scopra” delle
forme preesistenti in un ordine divino
del mondo, ma che le “inventi”, resta il
fatto che tali forme sono qualcosa di
sovratemporale, e che il ruolo del designer - inconsapevole di tutto ciò - è
simile a quello di un demiurgo platonico. «In Mesopotamia - scrive Flusser a
proposito del designer - lo si chiamava
profeta. Ma egli si merita piuttosto il
AUTORI E IDEE
Mathias Grünewald, Polittico d’Issenheim (1505-1516, particolare), Colmar
nome di un dio. Solo, grazie a Dio, egli
non ne è consapevole e si considera un
tecnico o un artista. Possa Dio conservargli questa fede.» M.M.
L’escatologia occidentale
Le attese escatologiche che attraversano la storia della teologia cristiana e
della filosofia occidentale, il rapporto
tra modernità, cristianesimo ed ebraismo, tra messianismi religiosi e utopie secolari, le potenzialità rivoluzionarie dell’escatologia: questi alcuni dei
temi presenti nello studio di Jacob
Taubes, ABENDLÄNDISCHE ESCHATOLOGIE
(Matthes & Seiz, Munchen 1993), apparso per la prima volta nel 1947 e
recentemente ristampato.
Abendländische Eschatologie, rimasto
l’unico libro di Jacob Taubes, è anche la
sua dissertazione, e venne pubblicata per
la prima volta nel 1947 nei “Beiträge zur
Soziologie und Sozialphilosphie” diretti
dal sociologo di Zurigo Réné König. Taubes nacque a Vienna da una famiglia ebrea
(dalla quale da quattro generazioni provenivano rabbini), che nel 1936 dovette trasferirsi a Zurigo, dove il padre - anch’egli
rabbino - era stato chiamato dalla comunità ebraica. Fu questo fatto che permise a
Taubes e alla sua famiglia di sfuggire ai
pogrom hitleriani. Ordinato rabbino nel
1943, Taubes studiò poi filosofia e storia a
Basilea e a Zurigo. Le riflessioni storicoteologiche presentate nella Abendländische Eschatologie non sarebbero state riprese in altri libri, ma nell’attività di insegnamento universitario: da New York e
Gerusalemme - dove era stato chiamato da
Gershom Scholem - Taubes giunse nel
1966 a Berlino, dove insegnò filosofia
della religione e diresse l’Istituto di Ermeneutica della Freie Universität. Dalla cattedra berlinese egli avrebbe dato, fino alla
morte nel 1987, sempre nuovi impulsi alla
comprensione del presente nel confronto
con gli intricati testi della tradizione teologico-filosofica occidentale. Nella sua attività di studioso Taubes collegò motivi
teologici con temi politici e con figure di
pensiero provenienti sia dalla tradizione di
sinistra che da quella conservatrice, nell’orizzonte della teologia e della filosofia
della storia. Fu fautore di un confronto tra
la filosofia tedesca e quella francese e analizzò l’influenza del pensiero ebreo sulle
teorie della modernità.
E’ in questo orizzonte problematico che si
inserisce la Abendländische Eschatologie,
in cui viene ripercorsa la storia di oltre due
millenni di attese escatologiche nel pensiero e nella storia culturale e religiosa
dell’Occidente, dall’apocalittica antico-testamentaria alla «rottura assoluta, anticristiana, con la tradizione occidentale» sul
finire del XIX secolo. Questa rottura rap21
presenta per Taubes una svolta epocale,
che porta ad un riconoscimento della caducità e labilità dei riferimenti del pensiero occidentale alla tradizione teologicoescatologica: «Se Marx costruisce la società senza Dio,Kierkegaard pone solo il
singolo prima di Dio: il presupposto generale è la frattura tra Dio e il mondo, la
separazione del divino e del mondano.»
Guardando all’indietro a partire dalla prospettiva aperta da questa rottura epocale,
Taubes mostra storicamente come dall’apocalittica ebraica l’idea di una fine dei
tempi - nella quale l’”eternità” ha la meglio sul “principio mortale del tempo” - sia
attiva e si trasformi nella gnosi ellenistica,
nella teologia cristiana e nella filosofia
moderna. Tale continuità è individuabile
ad esempio nello schema storico delle tre
epoche in cui si articola la civiltà occidentale (Antichità - Medioevo - Età Moderna),
una trasformazione o secolarizzazione di
quello trinitario (Padre - Figlio- Spirito
Santo), che trova una formulazione eretica
nella concezione di un “terzo regno” spirituale di Gioacchino da Fiore. Taubes mette
anche in luce le potenzialità rivoluzionarie,
rivelatesi soprattutto nei movimenti dell’età moderna, implicite nello schema di
pensiero di una fine dei tempi: da Thomas
Münzer all’Illuminismo (Lessing, il chiliasmo, i motivi escatologici presenti nella
religione della ragione e nell’antropologia
di Kant) alla forma triadica della dialettica
in Hegel e in Marx. Ma è proprio con il
momento di crisi «caratterizzato dall’ap-
AUTORI E IDEE
moderna”. Ed è questa la condizione della
contemporaneità, di un presente inteso
come “tempo fissato” (Frist), come momento di passaggio o di attesa tra un “nonpiù” e un “non-ancora”. M.M.
Morale senza moralismo
Parlare di morale è già praticarla; fin
dalle prime righe dell’introduzione lo
studio di Jean-Marie Domenach, UNE
MORALE SANS MORALISME (Una morale
senza moralismo, Flammarion, Paris
1992), avverte che non è possibile un
discorso sulla morale che voglia rimanere disimpegnato da una scelta di
valori. (Riprendiamo qui un discorso
che ha già avuto spazio nei precedenti
numeri di questa rivista.)
Il rapporto tra parola e azione - quale è stato
tracciato da Hegel nella Fenomenologia
dello Spirito - è necessariamente complementare, dialettico: tra la teorizzazione di
una moralità interiore, particolare, e l’azione «che non possiede validità in se stessa»,
ma per la coscienza di un dovere, si pone la
parola, il «linguaggio dello spirito etico»,
che «sopprime la particolarità» tanto del
giudizio individuale, quanto la presunta
universalità di una «coscienza sicura di
sé». Hegel vuole che il linguaggio morale,
esprimendosi, si confessi apertamente all’altro e ne attenda il riconoscimento, in un
rapporto di uguaglianza. Il linguaggio si
pone dunque come elemento costitutivo
della morale che risulta così essere “performativa”, dal momento che opera attraverso
l’enunciazione stessa.
Su questo terreno si è sviluppata in Francia
la recente polemica nei confronti delle tesi
di Gilles Lipovetsky, espresse in Le crépuscule du devoir (Il crepuscolo del dovere,
Gallimard, Parigi 1992), dove, sulla base di
una descrizione sociologica, si metteva in
evidenza come la persistenza epigonale di
una moralità sia oggi incentrata su dei
valori individualistici, minimalistici, e come
in definitiva abbia un carattere “indolore”.
L’obbligazione etica non sembra più avere
oggi un valore morale, bensì sociale; è
veicolata dai media, ha un carattere emulativo e agisce attraverso il richiamo dell’ingiunzione pubblicitaria.
Se il confronto con l’attualità e con il mondo della comunicazione mediatica si rivela
centrale anche nelle analisi di Jean-Marie
Domenach, quest’ultimo tuttavia non rinuncia al concetto di responsabilità che è
implicito in qualsiasi atto morale, al contempo individuale, sociale e storico ed esiste in rapporto ad un determinato contesto.
Per Domenach, responsabile dell’attuale
impasse morale del mondo contemporaneo
sarebbe invece l’individualismo: non si dà
morale se non nel legame che si vuole
stabilire con l’altro; la morale è un prodotto
e una realizzazione storica che vive, oltre
che negli atteggiamenti degli individui, nelle
loro forme politiche, nel diritto, nei costumi. La morale misura del resto i propri
limiti e la propria necessità in quei territori
di frontiera dove sorgono i casi di coscienza e dove viene messa alla prova l’astrattezza dei grandi principi etici. Il mondo dei
media sembra introdurre una nozione quietistica, emulativa e in definitiva “irresponsabile” del comportamento morale; per
chiunque non voglia rassegnarsi alla messa
in scena della moralità mediante gli spettacoli a favore di iniziative umanitarie, la
tele-solidarietà, la sfida che si pone è quella
di realizzare una deontologia della comunicazione mediatica. E.N.
Introduzione a Gramsci
Per venire incontro all’esigenza di una
“introduzione” al pensiero gramsciano è oggi disponibile l’edizione italiana dell’opera di James Joll, GRAMSCI
(trad. it. di Andrea Di Gregorio, Mondadori, Milano 1992). Nel frattempo la
rivista catalana “Realitat” dedica un
intero fascicolo (n. 34, gennaio 1993)
al rivoluzionario sardo.
Nella sua recente raccolta di saggi dedicati
a Gramsci e Togliatti (Roma 1991), Giuseppe Vacca lamentava il fatto che «a
Gramsci ancora non è stata dedicata una
monografia che ne abbracci tutta l’opera»,
esigenza già a suo tempo sollevata dallo
stesso Togliatti, allo scopo di far meglio
risaltare il «nesso evidente che unisce il
pensiero ai fatti e movimenti reali», gli
scritti alla vita dell’autore. In effetti, se in
questi ultimi tempi è stata fatta sempre
maggior luce su alcuni aspetti meno noti
della biografia di Gramsci e si è giunti ad
una migliore conoscenza dei suoi testi,
manca ancora un’opera complessiva che
saldi i due aspetti. Inoltre, se si esclude la
rapida Guida al pensiero e agli scritti di
Antonio Gramsci, dovuta a Antonio A.
Santucci (Roma 1987), non era ancora
disponibile un testo divulgativo su un autore che ha fatto della necessità di un «legame
organico» tra intellettuali e masse e quindi
della nascita di una «letteratura nazionalpopolare» nel senso migliore del termine uno
degli obiettivi primari della sua battaglia
politico-culturale, preliminare alla conquista dell’«egemonia» da parte delle classi
popolari, senza la quale non potrà avvenire
la loro ascesa al potere.
Ad entrambe le esigenze sopra accennate si
propone di venire incontro la recente traduzione italiana del saggio di James Joll,
Gramsci, un’opera che accanto agli indubbi pregi (oltre al merito di essere, come si è
visto, pressoché un unicum nel suo genere)
presenta tuttavia anche difetti.
Il principale limite del libro è dovuto al
fatto che l’edizione originale è del 1977, e
22
da allora ci sono state tali novità, sia nella
bibliografia gramsciana, sia, più in generale, nell’intero assetto politico-economico
mondiale, da renderlo per alcuni aspetti
anacronistico. Si aggiungano poi alcuni
evidenti schematismi (ad esempio nella
descrizione delle correnti del PSI alla vigilia della scissione di Livorno), fraintendimenti (si pensi all’unità di teoria e pratica
auspicata da Gramsci, qui giudicata come
già fece Maria A. Macciocchi «non dissimile da quanto fu praticamente fatto nella
Cina maoista trent’anni più tardi, quando
agli intellettuali fu imposto di svolgere a
periodi lavori manuali») e veri e propri
errori (addirittura clamorosa l’affermazione secondo la quale, per quanto riguardava
«la possibilità di leggere ciò che desiderava
e di ricevere libri e riviste (...), le autorità
carcerarie (...) furono abbastanza liberali»
nei confronti di Gramsci).
Ma veniamo ai pregi dell’opera di Joll.
Innanzitutto, nella sintetica ma esauriente
prima parte biografica, l’interpretazione si
sottrae ad alcuni luoghi comuni ormai sfatati dalla critica più attenta, ma ancora
presenti in molti studi su Gramsci; così Joll
nega che la sua famiglia d’origine fosse
povera, e non si lascia fuorviare dal mito di
un Gramsci marxista fin dai banchi della
scuola (il cui primo scritto teorico sarebbe... un tema di terza liceo su “Oppressi ed
oppressori”, che non a caso apriva la vecchia edizione dei suoi Scritti giovanili (Torino 1958), ma riconosce come egli «sia
diventato un marxista vero e proprio» soltanto dopo che «la sua attività di militante
socialista era già cominciata».
Nella seconda parte del volume, dedicata
all’analisi dei principali nuclei teorici dei
Quaderni, pur nella brevità della trattazione si segnalano spunti che, se non proprio
originali, ancora non sono entrati nella vulgata del pensiero gramsciano: così l’idea
che questo, pur contrapponendosi esplicitamente a quello di Bucharin e Trockij,
mostra spesso insospettate analogie con
essi, rispettivamente a proposito «dell’interpretazione del marxismo come filosofia
vivente e in perpetua evoluzione (“sarebbe
strano se il marxismo stesse mai fermo”»,
aveva scritto l’autore del Saggio popolare), e dell’interesse per l’«americanismo»,
nonostante i rischi «bonapartisti» insiti nelle
proposte trockijane. Inoltre, accanto al riconoscimento che l’interpretazione non
meccanica del rapporto tra struttura e sovrastruttura da parte di Gramsci costituisce
uno sviluppo delle tesi dell’ultimo Lenin e
che uno dei concetti chiave di tale interpretazione, quello di “blocco storico”, non è
privo di ambiguità, si sottolinea come «i
teorici marxisti della generazione di Gramsci che ne condivisero alcune delle sue
preoccupazioni furono l’ungherese György Lukács e il tedesco Karl Korsch».
Il confronto tra le concezioni gramsciane e
quelle lukácsiane è al centro anche di due
tra i saggi contenuti nel numero monografico dedicato a Gramsci dalla rivista “Rea-
AUTORI E IDEE
litat”: in particolare Giuseppe Prestipino
coglie la carica antistaliniana presente, almeno implicitamente, nel pensiero dei due
autori; mentre Michael Löwy, criticando
la generica categoria di “marxismo occidentale” nella quale essi sono stati spesso
inclusi, preferisce riprendere, privandola
del suo intento svalutativo, la definizione
althusseriana di «interpretazione umanistico-storicista del marxismo», tesa a «superarne la versione positivista [...] dominante
tanto nella Seconda quanto nella Terza
Internazionale (soprattutto dopo il 1924,
l’anno della morte di Lenin)».
Particolarmente interessante, anche perché
l’unico non già noto al lettore italiano,
risulta il testo dell’intervento al convegno
di Barcellona del ’91 di Iohanna Börek,
dal significativo titolo: “Gramsci: un filologo legge il testo frammentario della
realtà”, dove il carattere asistematico
“per eccellenza” dei Quaderni del carcere viene messo in relazione con la
formazione filologica giovanile dell’autore, evidenziandone la capacità di aprirsi
a quella «visione ampia e contemplativa
di cui parlava Adorno nei Minima Moralia», proponendo inoltre stimolanti ed
inedite analogie tra il concetto gramsciano di “senso comune” e quello husserliano di “conoscenza quotidiana”,
nonché il “microdialogo” bachtiniano.
Interessante infine il testo di Giorgio Baratta su “Tre modelli di americanismo”,
in cui si evidenzia come Gramsci, rifuggendone sia il fascino (il “mal d’America”
descritto da Marcuse), sia «una critica romantica, puramente nostalgica o romantico-regressiva», lo consideri realisticamente
«come la forma specifica assunta nel nostro secolo dal modo di produzione capitalista», manifestando nei suoi confronti
quello stesso «spirito di resistenza» che si
ritrova in due suoi grandi contemporanei:
il Chaplin di Tempi moderni e il Kafka di
Amerika.
Chiudono la rivista spagnola l’annuncio
dell’avvenuta costituzione ed il manifesto
dell’ “Associazione Catalana di Studi Gramsciani”, affiliata a quella “International
Gramsci Society” che dovrebbe assicurare,
oltre all’approfondimento degli studi sul
pensiero gramsciano, una sua migliore divulgazione, coniugando, sull’esempio dell’opera del rivoluzionario sardo, rigore d’indagine e semplicità di esposizione. G.C.
Soggettività e modernità
Di fronte allo strapotere della politica
e della tecnica nel XX secolo - e alle
sue conseguenze distruttive - abbiamo bisogno oggi di una ricostruzione
della filosofia che aiuti l’uomo ad autodeterminarsi nel suo essere umano
e nella sua soggettività: questa la tesi
fondamentale sostenuta da Hans Ebe-
ling nel suo recente DAS SUBJEKT IN DER
MODERNE. REKONSTRUKTION DER PHILOSOPHIE
IM ZEITALTER DER ZERSTÖRUNG (Il soggetto
nella modernità. Ricostruzione della
filosofia nell’epoca della distruzione,
Rowohlt, Reinbek 1993).
Nelle sue precedenti opere Hans Ebeling
si è occupato di questioni che possono
essere ascritte all’ambito della filosofia
morale: la libertà e la morte, l’uguaglianza
e la ragione, la soggettività e la modernità,
il tutto sullo sfondo di un confronto critico
con la filosofia di Heidegger. Questi temi
ritornano in Das Subjekt in der Moderne,
un’opera progettata nel 1988-89 e scritta
dal 1990 al 1992, un periodo cruciale e
denso di mutamenti, di cui ancora non è
dato vedere l’esito, negli equilibri politici e
sociali europei. Il risultato della storia europea nel periodo 1914-1989, e della “negazione di sé dell’Europa” che in questo
periodo si delinea, è per Ebeling la “perdita
della soggettività”. Gli indici di tale perdita
sono individuabili ai tre livelli della “liquidazione” politica, tecnica e intellettuale.
Nonostante le diverse premesse ideologiche, comune alla dittatura nazista e stalinista è per Ebeling il tentativo di produrre
l’uomo così come si producono animali, di
renderlo “uomo-animale”. Risultato è la
morte, non solo metaforica, del “soggetto
politico”.
Alla radice di questa “duplice paralisi”
della soggettività, in particolare in Germania, si trovano per Ebeling (che sembra qui
proporre alcune variazioni di un cliché già
immesso non molti anni or sono sul mercato della cultura dai cosiddetti nouveaux
philosophes) proprio due filosofi, Marx e
Nietzsche, che liquidano la “teoria del soggetto” sostituendo ad essa una “dottrina
delle pulsioni”. Sulla stessa linea, anche la
tecnica porterebbe nella direzione di una
animalizzazione dell’uomo - un animal
che solo accidentalmente ha il carattere di
rationale - e di una rimozione della coscienza umana della finitezza: «Decisiva
non è di per sé la liquidazione della razionalità (Vernünftigkeit) e della finitezza, ma
la produzione dell’assenza di presa di coscienza: assieme alla coscienza della finitezza la tecnica si prende ogni coscienza. Il
suo ideale è l’assenza di coscienza dell’animale, che in questo modo resta meglio
consegnato al calcolo. Corrispondentemente c’è bisogno di espellere dall’uomo la
coscienza della morte».
Momento storico cruciale di questa “liquidazione tecnica di ogni razionalità nontecnica” è la fine dei sistemi dell’idealismo
tedesco: non solo delle teorie da Kant a
Hegel, ma della «soggettività europea che
attraverso di esse si è costituita». Alla liquidazione politica e tecnica si accompagna (o
si aggiunge) quella intellettuale, della quale esponenti esemplari (oltre al decostruzionismo francese e al post-moderno
anything goes, amuzing ourselves to death) sono per Ebeling Heidegger, Horkhei23
mer e Adorno e Habermas: il primo con la
sostituzione del Dasein alla soggettività
trascendentale; i francofortesi, che portano dialetticamente l’illuminismo alle
sue conseguenze estreme, e giungono
così a un “illuminismo privo di linguaggio”; Habermas, infine, che sostituisce
al paradigma della coscienza le strutture
comunicative della ragione, e porta, con
la propria concezione intersoggettiva e
linguistica della razionalità, a una “comune priva di coscienza”.
Coerentemente con la premessa che - pur
nella situazione di perdita della soggettività, delineata in questo testo con toni a tratti
apocalittici - non è possibile ritornare semplicemente alla teoria della soggettività
precedente il 1914, cancellando con un
colpo di spugna ciò che è successo a partire
da quell’anno cruciale, Ebeling si confronta nella prima parte del suo studio con le
posizioni di Heidegger, della teoria critica
e di Habermas, mentre nella seconda parte
dell’opera delinea alcuni aspetti di una
nuova concezione della soggettività, intesa
come principio di resistenza rispetto ai
diversi tentativi di liquidazione. Nella terza
parte vengono prese in considerazione le
resistenze che il “doppio caos” del tempo e
della tecnica, da una parte, il futuro, dall’altra, oppongono a un’affermazione della
soggettività nel senso delineato da Ebeling. Per quanto riguarda il primo aspetto,
afferma Ebeling, «il soggetto nella modernità deve ugualmente aver messo a distanza il caos del tempo e il dis-ordine della
tecnica, se vuole avere “futuro”». Le possibilità di una ricostruzione della soggettività (e della filosofia) si trovano, nella direzione del futuro, messe a confronto da una
parte con il problema dell’ “unità di modernità e malinconia” e con quello dell’ “avvenire dello stato”, ed entrambe le questioni
costituiscono le due facce di un problema
più generale: quello «di produrre non solo
un avvenire di un soggetto sopravvissuto a
se stesso, ma dell’essere cosciente stesso».
Per Ebeling questo ha al tempo stesso a che
fare con il rinnovamento della figura hegeliana di una ragione “speculativa” che non
offre solo una conoscenza di ciò che è, ma
che «penetra con lo sguardo in ciò che deve
essere.»
Convinto che per l’umanità l’alternativa
all’essere “soggetto” sia la perdita di se
stessa, Ebeling individua il ruolo della riflessione filosofica nella testimonianza
dell’imprescindibilità della soggettività, e
intende il proprio lavoro come un invito e
uno stimolo alla riflessione filosofica intesa come “amore della saggezza”. Con l’avvertenza, però, che ciò è, per l’appunto,
solo un invito e uno stimolo, e che il percorso o l’esperienza della filosofia deve essere
fatta dal soggetto stesso. M.M.
TENDENZE E DIBATTITI
Ernst Cassirer
24
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Cassirer: una riscoperta
La filosofia di Cassirer sembra conoscere negli ultimi anni una ripresa di
studi, che si è tradotta in convegni,
pubblicazioni e traduzioni. Ne sono
testimonianza i due recenti fascicoli
monografici, dedicati a Cassirer,
pubblicati dalla “Revue de Metaphysique et de Morale” (n. 4, 1992) e
dalla “Internationale Zeitschrift für
Philosophie”. E’ inoltre annunciata
la prossima pubblicazione, presso
la casa editrice Meiner di Amburgo,
dei progetti relativi al IV volume
della FILOSOFIA DELLE FORME SIMBOLI CHE , cui seguirà la pubblicazione di
altri inediti.
Nella sua presentazione del fascicolo
monografico della “Revue de metaphysique et de morale” dedicato a Ernst
Cassirer, Marc B. de Launay sottolinea come tale pubblicazione sia stato
concepito «in un’atmosfera decisamente europea, fatta non più di dichiarazioni
d’intenti, ma di collaborazione effettiva,
d’affinità intellettuali e d’amicizia». Il
numero raccoglie infatti alcuni dei contributi e degli interventi pronunciati in
occasione dell’incontro su “Il contributo
di Cassirer alla filosofia del XX secolo”,
tenutosi nel settembre 1991 a Heidelberg presso la Forschungsstätte der Evangelischen Studiengemeinschaft. In quell’occasione studiosi tedeschi, francesi e
italiani (ma provenienti anche dal Portogallo e dal Brasile) si riunirono intorno a
C. F. von Weizsäcker e a P. Aubenque,
grazie all’iniziativa di H. Wismann, di
F. Capeillères e di Ch. Berner. Il colloquio faceva seguito ad un precedente
incontro tenutosi a Nanterre dal 12 al 14
ottobre del 1988, i cui atti sono stati
raccolti e pubblicati da J. Seidengart
nel volume Ernst Cassirer. De Marbourg
a New York (Cerf, Paris 1990). Nel caso
del convegno di Heidelberg, invece, alcuni contributi appaiono oggi sulla “Revue de metaphysique et de morale”, altri
sono usciti sul secondo numero della
“Internationale Zeitschrift für Philosophie”, a cura di G. Figal e di E. Rudolph. Anche nella sua resa editoriale, l’in-
contro di Heidelberg segnala l’aspetto di
apertura internazionale di un fenomeno
che non sarebbe ingiustificato chiamare
una vera e propria “rinascita cassireriana”.
J. M. Krois, nel suo intervento, pubblicato sulla “Revue de metaphysique et de
morale”, dal titolo: “Cassirer, Neo-Kantianism and Metaphysics (Cassirer, il
neokantismo e la metafisica, già apparso
in Italia sul fascicolo monografico de “Il
cannocchiale”, n. 1-2, 1991, dedicato ai
“Filosofi della scuola di Marburgo”),
interpreta l’itinerario teorico di Cassirer
come un progressivo distanziamento dai
presupposti teorici della scuola neokantiana di Cohen e di Natorp, il cui metodo
trascendentale, a suo avviso, si contraddistingueva per una limitazione dell’indagine filosofica al piano della “teoria
della conoscenza”. A giudizio di Krois,
Cassirer con la sua Filosofia delle forme
simboliche ha trasformato la teoria del
conoscere in una teoria della comprensione del senso. Sulla base di una precisa
conoscenza dei testi lasciati inediti da
Cassirer, molti dei quali risalgono al
periodo dell’esilio dopo il 1933, Krois
mette poi in luce il tentativo di pervenire
ad una “metafisica delle forme simboliche”, al cui interno una funzione centrale era svolta da una ripresa della dottrina
di Goethe del “fenomeno originario” e
della teoria della Gestalt di Kurt Godsteins. Gli inediti saranno pubblicati presso l’editore Meiner di Amburgo dallo
stesso Krois e da O. Schwemmer: il
primo volume includerà i progetti cassireriani relativi ad un quarto volume della Filosofia delle forme simboliche, e se
ne prevede anche un’edizione inglese, a
cura di D. P. Verene, presso la Yale
University Press.
Nel suo intervento sulla “Internationale
Zeitschrift für Philosophie”, dal titolo:
“Der Werkbegriff in der Metaphysik der
simbolischen Formen” (Il concetto
d’opera nella metafisica delle forme simboliche), O. Schwemmer ci dà utili ragguagli circa la struttura del progetto,
lasciato incompiuto da Cassirer, del IV
volume della Filosofia delle forme simboliche. Si trattava in origine di manoscritti raccolti da Cassirer sotto un’unica
25
copertina e risalenti a periodi diversi:
nella forma editoriale prevista, essi si
articoleranno in una prima parte, sul tema
di una “Metafisica delle forme simboliche”, che comprende due capitoli, “Spirito e vita” e “Il problema del simbolo”
come problema fondamentale dell’antropologia filosofica, entrambi risalenti
al 1928 e collegantesi al III volume dell’opera maggiore di Cassirer; in una seconda parte con abbozzi di testi sui “fenomeni di base” (Basisphänomene, il
termine in cui Cassirer ritraduce la dottrina goethiana del “fenomeno originario”), scritti intorno al 1940, nel periodo
dell’esilio svedese dell’autore; in una
terza parte, infine, che comprende progetti, abbozzi e appunti della fine degli anni
Venti, che riguardano la tematica complessiva della filosofia delle forme simboliche.
Come notano G. Figal e E. Rudolph in
apertura del fascicolo monografico della
“Internationale Zeitschrift für Philosophie”, da alcuni anni si assiste, sia in
Europa (specialmente in Germania, in
Francia e in Italia) che negli USA, ad una
riscoperta di Cassirer come filosofo originale e sistematico, la cui riflessione
investe i campi non solo delle discipline
filosofiche, ma anche della teoria politica, della linguistica, dell’etnologia, della storia delle religioni e, in posizione di
rilievo, dell’epistemologia. Al problema del perché in Germania, la patria che
Cassirer fu costretto ad abbandonare nel
1933, la sua filosofia sia rimasta, dal
dopoguerra fino ad oggi, ai margini della
discussione accademica, si riallaccia l’intervento sulla medesima rivista di J. M.
Krois, dal titolo: “Aufklärung und Metaphysik. Zur Philosophie Cassirers und
der Davoser Debatte mit Heidegger” (Illuminismo e metafisica. Sulla filosofia
di Cassirer e il dibattito di Davos con
Heidegger), secondo il quale a questa
eclissi ha contribuito anche il prevalere
nel dibattito filosofico degli ultimi decenni di un orientamento critico verso
quelle che vengono definite (e liquidate)
come filosofie del soggetto, di vocazione umanistica. L’attuale riscoperta della
filosofia cassireriana avviene però in un
quadro complessivo che consente di ri-
TENDENZE E DIBATTITI
valutarne appieno tutto lo spessore teorico-sistematico. Al centro di questa ripresa sono, secondo Figal e Rudolph, i
temi relativi ad una teoria della cultura e
alla discussione circa il confronto fra
culture diverse; e inoltre i temi concernenti un’ermeneutica interdisciplinare e
una critica della modernità che recuperi
la filosofia della soggettività, senza accomiatarsene in modo dogmatico. La
stessa diffusione dell’ermeneutica di
origine heideggeriana in quest’ultimo
decennio ha imposto la necessità di guardare al confronto fra Cassirer e Heidegger
al di là degli stessi termini del celebre
dibattito fra i due filosofi svoltosi a Davos nel ’29. Spunti in questa direzione si
possono cogliere sia nell’intervento di
Krois, che nel resoconto del dibattito a
più voci (P. Aubenque, L. Ferry, E.
Rudolph, J. F. Courtine, F. Capellières) tenutosi durante i colloqui di
Heidelberg e pubblicato sulla rivista tedesca. Si tenga presente, a questo proposito, che il dibattito di Davos tra Cassirer
e Heidegger è stato ripubblicato, nella
sua versione originale, in appendice alla
edizione per la “Gesamtausgabe” heideggeriana di Kant und das Problem der
Metaphysik (Kant e il problema della
metafisica, V. Klostermann, Frankfurt
a.M. 1991; utili precisazioni in merito si
possono trovare nella nota di M. Ferrari,
“Cassirer e Heidegger. In margine ad
alcune recenti pubblicazioni”, apparsa
su “Rivista di storia della filosofia” n. 2,
1992).
Una riprova dell’ampiezza dell’attuale
interesse per la filosofia di Cassirer, sono
i titoli dei contributi pubblicati sulle due
riviste sopra segnalate, che spaziano dai
temi dell’epistemologia a quelli della
filosofia della cultura cassireriane. Si
segnalano, oltre gli interventi già richiamati, i due articoli di M. Ferrari sul
problema dello spazio nella filosofia di
Cassirer (“Cassirer und der Raum. Sechs
Variationen über ein Thema” e “La philosophie de l’espace chez Ernst Cassirer, apparsi rispettivamente sulla rivista
tedesca e su quella francese), l’articolo
di J. Seidengart, “La physique moderne
comme forme symbolique privilégiée
dans l’enterprise philosophique de Cassirer” (La fisica moderna come forma
simbolica privilegiata nell’impresa filosofica di Cassirer), pubblicato su entrambe le riviste); inoltre i contributi di
H. G. Dosch, “Ernst Mach und Ernst
Cassirer”, di D. Marcondes, “Language
and Knowledge in Cassirer’s Philosophy
of Symbolic Forms” (Linguaggio e conoscenza nella filosofia delle forme simboliche di Cassirer), di E. W. Orth, “Ist
der Neukantianer Ernst Cassirer ein
Nominalist? Verlegenheiten der Substanzkritik” (E’ il neokantiano Ernst Cassirer un nominalista? Difficoltà della critica della sostanza) - apparsi sulla rivista
tedesca-, ed inoltre gli articoli di E.
Rudolph “La résurgence de l’aristotélisme de la Renaissance dans la philosophie politique de Cassirer” (Il risorgere dell’aristotelismo del Rinascimento
nella filosofia politica di Cassirer), di F.
Capeillères “Sur le néo-kantisme de E.
Cassirer” (Sul neokantismo di E. Cassirer ) e la recensione di M. B. de Launay
all’edizione francese (Gallimard, Paris
1993) del Mito dello stato di Cassirer apparsi sulla rivista francese. Sulla medesima rivista F. Capeillères, cui si deve
la traduzione e la cura di una raccolta di
inediti di Cassirer, pubblicati col titolo:
L’idée de l’histoire (Cerf, Paris 1988),
fa il punto, nella rassegna “L’édition
française de Cassirer” (L’edizione francese di Cassirer), sugli studi dedicati a
Cassirer e sulle traduzioni delle sue opere in francese.
In questo contesto di ripresa di studi su
Cassirer si segnalano, infine, due recenti
lavori. Si tratta del saggio di Th. Knoppe, Die theoretische Philosophie Ernst
Cassirers. Zu den Grundlagen transzendentale Wissenschafts- un Kulturtheorie
(La filosofia teoretica di E.C. Sui fondamenti della teoria trascendentale della
scienza e della cultura, Meiner, Hamburg 1992), e del lavoro di C. Savi,
Bruno Bauch ed Ernst Cassirer (Bibliopolis, Napoli 1992). Movendo dai temi
relativi alla critica della conoscenza, affrontati da Cassirer in Sostanza e funzione, Knoppe tenta un’esposizione complessiva del suo pensiero e del suo progetto di una filosofia della cultura; dal
canto suo l’autrice del saggio in lingua
italiana avvia un confronto sistematico
fra i rispettivi lavori di interpretazione
kantiana del più giovane esponente della
Scuola neokantiana del Baden e dell’erede della Scuola di Marburgo, individuando sia i differenti modelli di kantismo, cui tali interpretazioni si rifanno,
sia gli esiti cui essi pervengono negli
anni ’20.
Sono di recente stati pubblicati due volumi
che raccolgono, in traduzione italiana, alcuni saggi cassireriani degli anni ’20 e ’30.
Nel volume Spirito e vita (Edizioni 10/17,
Salerno 1992) R. Racinaro ha raccolto,
insieme ad altri testi, gli interventi di Cassirer su Scheler, su Heidegger e Bergson,
risalenti agli anni 1930-34, che dovevano
originariamente confluire nel libro preannunziato nella prefazione al III volume
della Filosofia delle forme simboliche con
il titolo: “Vita” e “Spirito”: critica della
filosofia contemporanea (le cui vicende si
intrecciano con quelle degli inediti di cui
abbiamo riferito sopra). Nel volume Mito e
concetto (La Nuova Italia, Firenze 1992)
sono stati pubblicati (a c. di R. Lazzari)
26
due saggi, intitolati: “La forma del concetto nel pensiero mitico” e “Il concetto di
forma simbolica nella costruzione delle
scienze dello spirito”, che furono composti
da Cassirer tra il 1921 e il 1922, all’inizio
della sua collaborazione con la “Biblioteca
Warburg” di Amburgo. R.L.
Marx e la modernità
Venuta meno la fuorviante identificazione tra teorie marxiane e regimi sedicenti comunisti, numerosi studiosi
si dedicano ora a precisare meglio i
rapporti tra Marx e le strutture teoricopolitiche di quello che fino a qualche anno fa era il mondo occidentale,
ma che ora tende a coincidere con
l’intero orizzonte della Modernità.
Segnaliamo in particolare il volume di
Jacques Bidet, TEORIA DELLA MODERNITÀ
(trad. it. di Gianluca Foglia, Editori
Riuniti, Roma 1992), il saggio di Jacques Texier, MARX ET LA DÉMOCRATIE.
PREMIERS PARCOURS (“Actuel Marx”, n.
12, 1992) e la prosecuzione del dibattito sui “tre concetti di libertà” nella
“nuova serie” di “Critica marxista”
con gli interventi di Maurizio Lichtner,
LIBERTÀ INDIVIDUALE E RELAZIONE SOCIALE
(n. 6, 1992), e di Roberto Finelli,
LA
(n.
3, 1993). Nel frattempo è ripresa la
pubblicazione dell’edizione critica delle
opere di Marx ed Engels (la cosiddetta
MEGA).
LIBERTÀ TRA UGUAGLIANZA E DIFFERENZA
In estrema sintesi, la tesi di Jacques Bidet
è la seguente: la “modernità” si caratterizza
per la presenza di una “matrice economica,
giuridica, politica, ideologica”, presupposto dei due sistemi produttivi che fino a ieri
si ponevano come alternativi, capitalismo e
comunismo. Il misconoscimento di tale
matrice da parte dei marxisti, chiusi nella
rigida contrapposizione tra struttura e sovrastruttura, è fonte della debolezza della
loro analisi del capitalismo e causa non
ultima del recente crollo dei regimi che su
di essa sono stati costruiti. Di fronte a tale
sconfitta storica Bidet propone un “metamarxismo postcomunista”, vale a dire, secondo la definizione che egli stesso fornisce, una «teoria generale della modernità,
che integra l’apporto di Marx e di altre
tradizioni in un processo di reciproca interpretazione (...) orientata verso il socialismo», che tenga presente l’«esperienza storica del comunismo». Cardine di tale teoria
è una riproposta, sulle orme di Rawls, del
contrattualismo, dal quale originano insieme la democrazia e la «antinomia tra la
contrattualità centrale dello Stato e la contrattualità interindividuale della società civile» che, «insolubile nel quadro del capitalismo», sarebbe stata ignorata dai «teorici del comunismo» (ma altrove Bidet riconosce l’apporto fondamentale di Gramsci
TENDENZE E DIBATTITI
in proposito). «L’appuntamento mancato
di contrattualismo e socialismo», a causa
dell’influenza esercitata su Marx dagli “anticontrattualisti” (Hegel e i socialisti francesi, eredi della tradizione illuminista), ha
provocato le deviazioni autoritarie e centralizzatrici del marxismo che, sul piano
economico, si sono tradotte nell’identificare «il piano come la forma naturale» di
organizzazione, mentre altrettanto facevano i teorici del liberalismo rispetto al «mercato», «con un effetto simile di sospensione del paradigma del contratto sociale». In
realtà, secondo Bidet, piano e mercato,
anziché escludersi a vicenda, sono «due
mostri da padroneggiare, due forme della
nostra ragione», che «possono essere umanizzate, trasformate in società civile» in
uno «spazio intermedio» tra l’«inter-individualità» e lo Stato, quello dell’«associazione», che solo la «forma-contratto»
rende possibile, grazie alla «sottomissione del mercato al piano e del piano al
contratto».
Per Bidet si tratta, in sostanza, di riprendere
e sviluppare (Bidet dice «radicalizzare»)
alcuni spunti contenuti nelle opere di Marx,
in cui il capitalismo, anziché identificarsi
con il mercato, ne appare «come uno specifico svolgimento strutturale accanto ad altri possibili». Tali possibilità sono invece
state trascurate dallo stesso Marx e, soprattutto, dai marxisti che, concentrandosi sulla teoria del «valore-lavoro» (ed ignorando
le smentite ad essa portate dalla realtà empirica) hanno colto solo la “superficie” e
non la “sfera interna” dell’analisi marxiana. Bidet invece, rifacendosi a quest’ultima ed integrandola con «un certo liberalismo», tenta di elaborare una «teoria dello
Stato» che, pur assente negli scritti di Marx,
«s’impone come una necessità logica» a
partire dalla trattazione del «sistema mercantile in generale» contenuta nel Capitale: il sistema mercantile, infatti, richiede un
potere centrale «che assicuri che ognuno
paghi i propri debiti», ma nulla impedisce
che tale potere possa «volere qualcosa di
diverso, e in particolare regolamentare,
organizzare, privilegiare, pianificare»; sarebbe quindi possibile un «passaggio al
socialismo», senza fuoriuscire dall’ambito
della «contrattualità» e delle garanzie “liberali” da essa assicurate.
Per parte sua Jacques Texier, nei suoi
Premiers parcours su Marx et la démocratie, si dichiara convinto del carattere «fondamentalmente democratico» del pensiero
marx-engelsiano, anche se è possibile trovare nei loro testi espressioni di segno
contrario e, in ogni caso, il problema della
democrazia appare subordinato a quello
della rivoluzione. Per sostenere la propria
tesi Texier richiama passi finora ingiustamente sottovalutati in cui i fondatori del
materialismo storico ipotizzarono che nel
mondo anglosassone, «ove il proletariato
costitui(va) la grande maggioranza della
popolazione», la transizione al socialismo
potesse avvenire in forma pacifica, grazie
alla conquista del suffragio universale e
delle altre libertà politiche, purché il voto
venisse trasformato «da strumento di inganno, quale è stato finora, a strumento
d’emancipazione». Inoltre da ricordare l’autocritica del vecchio Engels per aver fatto
lui e Marx eccessivo affidamento anche
per quanto riguarda il “continente” sui
«colpi di mano» (i “moti” del 1848, la
Comune parigina del ’71) per ottenere trasformazioni sociali possibili solo al termine di quella che Gramsci chiamerà «guerra
di posizione», per vincere la quale ed ottenere l’«egemonia» il proletariato ancora
minoritario dovrà allearsi con i contadini e
la piccola borghesia. Resta ancora da chiarire, conclude Texier che si propone di
approfondire ulteriormente la sua ricerca ,
se la democrazia sia da considerarsi solo
una tappa di quella «rivoluzione permanente» che porterà alla sua negazione, prima in favore della «dittatura del proletariato» e poi della società senza classi, o se
invece l’obbiettivo della rivoluzione comunista non sia che l’instaurazione di una
più compiuta e “reale” forma di democrazia.
Il problema del valore da attribuire ai tradizionali ideali liberali dell’ ’89 ed in particolare alla libertà ha continuato ad animare
il dibattito teorico sulla “nuova serie” di
“Critica marxista”: gli ultimi interventi in
ordine di tempo sono stati quelli di Maurizio Lichtner, che come Texier sottolinea
che «l’atteggiamento concreto di Marx
verso la democrazia non è affatto così liquidatorio come oggi si vuol far credere»,
anche se egli, tutto teso all’analisi storicoeconomica della società capitalista e all’elaborazione di un progetto di emancipazione della collettività da essa, ha sovente
dimenticato l’individuo. Oltre a questo
«marxismo della “contraddizione”», Roberto Finelli ritiene tuttavia «di poter estrarre ed esplicitare dall’opera di Marx anche
un cosiddetto marxismo dell’ “astrazione”,
da cui poter tornare a muovere un confronto, forse più adeguato dei precedenti, con la
realtà sociale contemporanea». In tale prospettiva la «libertà socialista» non consisterebbe «nella generalizzazione, a tutti
coloro che finora ne sono stati esclusi, della
libertà liberaldemocratica, che muove dall’individuo atomistico e dalla naturalizzazione e neutralizzazione dell’economico»,
ma in una «liberazione dall’Astratto», il
Capitale, appunto.
Il processo di rilettura dei testi marxengelsiani, di cui gli studi citati non sono che
alcuni esempi, non può che trarre ulteriore
impulso dalla ripresa della pubblicazione
dell’edizione critica delle opere dei fondatori del materialismo storico, segnalata da
Jacques Grandjonc sul n. 13 (1993) di
“Actuel Marx”. Iniziata nel 1921 a Mosca
per volontà di Lenin, interrotta nel ’35 alla
vigilia delle più terribili “purghe” staliniane (durante le quali, due anni dopo, verrà
fucilato il suo stesso direttore, Rjazanov),
ripresa nel ’75 sotto la “tutela” dei partiti
comunisti sovietico e tedesco-democratico, la MEGA sembrava
27 destinata ad essere
vittima del loro crollo nell’ ’89. In quello
stesso anno, però, è sorto un comitato scientifico internazionale, finalmente indipendente da ogni condizionamento politico,
che si occuperà della pubblicazione dei
volumi ancora inediti e della revisione di
quelli sinora comparsi. G.C.
Testo e/o immagine
nell’estetica francese
Assume sempre più consistenza, nel
pensiero francese contemporaneo, la
riflessione sul rapporto fra immagine
e testo, figura e scrittura. Ormai abbandonata, dai più, la messe di referenze freudiano-lacaniane che hanno
abbondato negli anni passati, si preferisce un approccio multiplo (storico,
semiotico, filosofico) al problema, attento alle singole elaborazioni storiche, capace di allargare il compasso
della riflessione, senza le eccessive
forzature ideologiche della moda del
momento. Le linee di tendenza di quest’interesse si possono individuare in
base a tre eventi di rilievo di questi
ultimi mesi: il volume postumo di Louis
Marin, pionere in questo campo, dal
titolo: LES POUVOIRS DE L’IMAGE (Il potere
dell’immagine, Seuil, Paris 1993); il
convegno LA PENSÉE DE L’IMAGE. SIGNIFICATION ET FIGURATION DANS LE TEXTE ET LA
PEINTURE,
organizzato da Gisèle Mathieu-Castellanie e dal gruppo di ricerca “Poétique et Poésie”, tenutosi alla
Sorbona e all’Università Saint-Denis
di Parigi dal 27 al 29 maggio 1993; il
volume collettivo L’ARTISTE EN REPRÉSENTATION (L’artista in rappresentazione, Desjonquères, Paris 1993), curato
da René Demoris, che raccoglie gli atti
del congresso omonimo, tenutosi a
Parigi dal 16 al 17 aprile 1991.
Al confine fra letteratura e pittura, l’ultimo
studio, pubblicato postumo, di Louis Marin, Les pouvoirs de l’image, riprende temi
a lui cari, ma, per così dire, alza il tiro della
riflessione, affrontando la dinamica rappresentativa inerente all’immagine della
trans-figurazione e della visione. Analizzando infatti gli “effetti” dell’immagine
nel testo, e la metamorfosi del figurale
nella scrittura, Marin si pone un triplice
scopo: cogliere il potere “sovversivo” dell’immagine, la sua capacità di sostituzione
e presentificazione dell’assente; descrivere i dispositivi mediante i quali nell’esibizione dell’altro assente si costituisce qualcosa come un soggetto “di ritorno”.
Presentando nell’immagine la rappresentazione di un assente, il soggetto si
costituisce come “sguardo”. E’ in questo
gioco di specchi, a volte vertiginoso, che
gli effetti dell’immagine danno forza al
soggetto come attore o autore dello sguardo. In questa autocostituzione è possibi-
TENDENZE E DIBATTITI
Max Ernst, La grande roue orthochromatique qui fait l’amour sur mesure, 1919
28
TENDENZE E DIBATTITI
le cogliere la dinamica di tale strana
riflessività: nello sguardo di ritorno, il sé
è restituito come un altro, come un “nemico” - secondo un’espressione di Hegel, ripreso da Marin. Ma cogliere in atto
la forza, i “poteri” dell’immagine, significa interrogarsi sulle condizioni di possibilità dell’immagine stessa, sull’esistenza di a-priori materiali e sensibili,
come la luce e l’ombra; e qui Marin si
riallaccia alla tradizione fenomenologica
di
Merleau-Ponty.
Sebbene, come ha ricordato Pier-Antoine Fabre in una serata al Beaubourg
dedicata al volume postumo di Marin, i
motivi teologici non costituiscano tanto
il “fondamento” dell’immagine, quanto
“un fondo senza fondo” a partire da cui
un’immagine prende consistenza, poiché è l’immagine stessa che genera il suo
potere di significazione, il rapporto fra
testo e immagine concerne, quasi naturalmente, gli studiosi di problemi teologici. E’ ciò che è emerso al convegno
“La pensée de l’image”, dove Claude
Gandelman, storico della religione, si è
occupato di analizzare le strategie testuali (pictogrammi) con cui è stato arginato il divieto ebraico della rappresentazione di Dio. In questo caso, è il testo che
“imita” la figura e cerca di disegnare con
il proprio corpo l’immagine interdetta,
cercando così una «sovversione legale
della legge» e una via d’uscita alla «pulsione d’iconicità». Jean Wirth ha invece ricostruito magistralmente il pensiero
medioevale relativo all’immagine, e in
particolare all’espressione: “a immagine di”, secondo cui Dio avrebbe creato
l’uomo, lasciandogli in consegna di fare
altrettanto con la natura circostante.
Wirth ha così seguito lo sviluppo delle
idee di “imago”, “icona”, “pictura” da
Hugo di San Vittore a Scoto.
Per altri studiosi, comprendere il “potere genealogico dell’immagine” di cui
parla Marin, significa cogliere “sul fatto” i prestiti, i “furti” reciproci fra immagine e testo.
E’ come se si potesse scrivere meglio,
imparando a vedere di più; e viceversa,
come se si potesse supplire alle lacune
oculari con la descrizione verbale. Da
questo punto di vista, un fecondo campo
di studio è quello offerto dagli “esempi”
storici d’incrocio fra testo e immagine.
A questo proposito, tra gli interventi
contenuti nella raccolta L’artiste en représentation, Pierre-Louis Rey, affrontando il problema della compresenza, se
non della concorrenza fra testuale e figurale, ha esaminato le figure “concorrenti” di Bergotte, lo scrittore, Elstir, il
pittore, Vinteuil, il musicista, in A’ la
recherche du Temps perdu. Estremamente convincente risulta l’analisi proposta
da Rey della visita del narratore nell’atelier d’Elstir: l’apprendistato della “metafora” letteraria si gioca qui nella seduzione dei quadri e dell’immagine trasla-
ta
della
realtà.
Henri Behar si è invece preoccupato di
studiare i dispositivi autobiografici con cui
Picasso si autoritrae nelle sue tardive poesie. Ancora sulla rivalità fra testo e immagine è intervenuto anche, tra i partecipanti
al convegno “La pensée de l’image”, Yves
Hersant, rivendicando la portata teorica,
spesso dimenticata, di Luciano e delle sue
“Immagini” a partire dal problema: chi
meglio ritrae una donna bella? Luciano
schizza una vera e propria teoria delle possibilità e dei limiti della figurazione e della
scrittura, e della differenza fra eikona e
eidolon.
Altri interventi, sempre raccolti nel volume L’artiste en représentation, si sono
occupati di ricostruire come l’universo
pittorico lavori all’interno della letteratura. In particolare René Demoris, presente anche al convegno “La pensée de
l’image”, si è interessato di ricostruire
l’immagine e l’ideale della pittura nell’inchiostro dei critici letterari del secolo delle Lumières e la paura dell’allegoria in pittura nel medesimo periodo.
Emmanuelle Baumgartner ha invece
analizzato come il paradigma pittorico
agisca all’interno della scrittura di Christine de Pizan nel Livre de la Cité des
Dames, nella prospettiva di consegnare
una legittimità al lavoro della scrittrice
stessa. Altri hanno “spiato” il pittore
all’opera: Jean-Rémy Mantion si è ccupato di Hubert Robert; Jeannine Guichardet di Claude Lantier.
Interventi più specificatamente esteticoletterari non sono mancati neanche al
convegno “La pensée de l’image”.
Eliane Formentelli ha esaminato la tentazione dell’immagine in Balzac; Marcel
Tetel ha analizzato la tensione fra scritto e
immagine nella “Délie”; Paul J. Smith si è
invece occupato della fiaba illustrata. Infine una tavola rotonda, diretta da Daniel
Arasse, studioso affermato di arti visivopittoriche, ha fatto il punto sulle piste ulteriori di ricerca aperte dal tema: “testo e/o
immagine: quali direzioni, dunque?” Difficile dirlo: forse quelle che portano sulle vie
dimenticate della retorica, dell’ekphrasis,
della devisa, dell’allegoria. F.M.Z.
Due secoli di teologia
Due ampie opere di ricostruzione
storico-critica sono oggi disponibili
per gli studiosi di teologia che intendano operare un bilancio degli sviluppi di pensiero di questa disciplina da Kant ai teologi di questo secolo: è il caso del volume di Hendrikus
Berkhof, DUECENTO ANNI DI TEOLOGIA E
FILOSOFIA. DA KANT A RAHNER (trad. di
Michele Fiorillo, Claudiana, Torino
1992) e dell’opera di Rosino Gibellini, LA TEOLOGIA DEL XX SECOLO (Queriniana, Brescia 1992). Da segnalare,
29
in quest’ambito di riflessione, due
prospettive interpretative che prendono spunto da diverse ipotesi tematiche: si tratta dello studio di
Xavier Tilliette, LA SETTIMANA SANTA
DEI FILOSOFI (Morcelliana, Brescia 1992),
che affronta il problema della morte di
Dio in rapporto anche all’ateismo, e
del volume di Vittorio Possenti, OLTRE
L’ILLUMINISMO. IL MESSAGGIO SOCIALE CRISTIANO (Paoline, Cinisello Balsamo
1992), che analizza il ruolo del cristianesimo come dottrina sociale.
In uno dei saggi raccolti nel volume
Credere e comprendere (1933-1965) il
biblista e teologo Rudolf Bultmann
(1884- 1976), amico e collaboratore di
M. Heiddeger all’università di Marburgo dal 1923 al 1929, osservava che la
teologia «mentre parla di Dio deve, nel
contempo, parlare dell’uomo». La considerazione appare solo a prima vista
banale; in realtà recensisce la relazione
o la tensione presente nel dibattito teologico-filosofico da Kant in poi.
Lo strappo operato da Kant nel campo
della metafisica e della teologia è capitolo ormai noto e tuttavia non differibile
a chi si accinga alla riflessione filosofica
e teologica contemporanea. E’ proprio
Kant, infatti, il punto di partenza teoretico e storiografico adottato dal teologo
olandese Hendrikus Berkhof nella sua
opera 200 Jahre Theologie. Ein Reisebericht, pubblicato in prima edizione nel
1985 e recentemente tradotto anche per
il pubblico italiano con il titolo: Duecento anni di teologia e filosofia. Da Kant a
Rahner . A fronte delle interpretazioni
“dualiste” di Kant, per le quali ragion
pura e ragion pratica appaiono giustapposte e in definitiva irrelate, così che lo
sforzo di Kant sarebbe da intendere soprattutto nella prospettiva della «distruzione universale» (M. Memdelsohn) e
dello smantellamento delle prove dell’esistenza di Dio, Berkhof sottolinea
invece la complementarietà di fede e
ragione, ravvisabile nella coordinazione
della Critica della ragion pura alla Critica della ragion pratica. Il dualista Kant
sarebbe così un “monista in speranza”,
laddove la speranza risulterebbe essere
«il concetto centrale della filosofia kantiana della religione» e il concetto di
Dio, causa morale del mondo, colmerebbe il fossato tra natura e moralità.
In realtà, come Berkhof riconosce, dopo
Kant «la distanza tra filosofia e teologia
si è fatta sempre più grande» e il tentativo operato dalla cosiddetta Teologia Liberale (A. Von Harnack, E. Troeltsch,
A. Ritschl, J. W. Hermann, A. Julicher
ecc.) di inserirsi più profondamente nella storia (cristiana nel caso di Von Harnack, delle religioni nella prospettiva di
Troeltsch) suscitò la reazione di Karl
Barth. La critica del grande teologo rilevò soprattutto la riduzione del cristiane-
TENDENZE E DIBATTITI
simo a fenomeno intramondano, perdendo di vista l’oggetto teologico proprio.
In Barth, almeno nel Barth del Romerbrief (Lettera ai romani), viene radicalmente distrutta ogni possibilità psicologica, storica, metafisica di giungere a
Dio. Il fossato, la distanza tra Dio e
l’uomo è colmata solo dall’intervento di
Dio, dal suo venire incontro all’uomo
nella realtà di Gesù Cristo.
L’uomo non ha possibilità di valicare la
Todeslinie che lo separa da Dio e l’irruzione della resurrezione rappresenta la
vera parola nuova che tocca il mondo e
lo mostra come mondo vecchio, peccatore. Il mondo è così sottomesso al “no”
del peccato e del giudizio di Dio, ma
anche al “si” di Dio in Cristo; ciò costituisce la struttura dialettica della rivelazione cristiana e conseguentemente fonda anche la dialetticità del procedere
teologico che non può in alcun modo
armonizzare Dio e uomo, fede e ragione.
Ma «i teologi dialettici erano tutti convinti che la rivelazione di Dio fosse risposta alla questione dell’esistenza. Presto doveva ripresentarsi la questione antropologica». Torniamo così alla battuta
di Bultmann posta in apertura.
Quest’ultima citazione e le considerazioni che la precedono sono contenute in
un’ampia, documentata e anche erudita
opera del teologo e filosofo Rosino Gibellini, La Teologia del XX secolo , che
passa in rassegna il pensiero teologico di
questo secolo dalla teologia liberale ai
più recenti sviluppi contemporanei. La
questione antropologica, fa notare Gibellini, insita anche nella “seconda svolta” barthiana (cioè a partire dall’opera
L’Umanità di Dio del 1956) si esprime,
a partire dalla seconda metà del secolo,
nei termini del rapporto tra teologia e
modernità, tra fede cristiana e mondo
divenuto ormai adulto. L’ingresso della
tematica della secolarizzazione appare
in questo senso emblematica. Nell’elaborazione di Dietrich Bonhoeffer, morto
nel 1945 nel campo di concentramento
di Flossemburg, essa appare non solo nel
senso di un dato oggettivo, culturale, ma
di occasione promettente, processo innescato dalla stessa rivelazione cristiana.
La provocazione bonhoefferiana, investendo la teologia, ha innescato un vero
e proprio dibattito su quella che venne
poi chiamata la “teologia della secolarizzazione”. Come rileva Gibellini non è
facile ricondurre ad unità un movimento
teologico che, nelle sue espressioni più
consapevoli, si riproponeva di introdurre la “secolarizzazione come tema della
teologia” (F. Gogarten). Al suo interno
fiorirono infatti anche posizioni radicali
come quelle che intesero argomentare,
in maniera provocatoria, intorno alla
morte di Dio”.
L’evocazione del morire di Dio richiama immediatamente alla memoria Hegel
(Fede e sapere, 1802) e Nietzsche (Gaia
Scienza, 1882), ma la riflessione di Hegel non può essere interpretata attraverso una problematica atea come sarà poi
in Nietzsche. E’ questa la convinzione,
polemica quindi anche nei confronti del
cristianesimo ateo, del filosofo gesuita
Xavier Tiliette che intende «ricostruire
la meditazione dei filosofi sul triduum
mortis nella sua recente opera La Settimana Santa dei Filosofi . Il confronto
con il Venerdì santo speculativo hegeliano, equivocamente inteso alle origini
dell’ateismo, permette invece di cogliere il senso estremo e necessario della
Kenosi di Cristo come morte per la quale
l’Uomo-Dio diviene piena manifestazione dello Spirito. Ne scaturisce una ricca
e suggestiva riflessione che lascia interagire con fiducia il dato della fede con
l’argomentazione della filosofia, della letteratura, della poesia nella convinzione che
«certe profondità...e certe arditezze...hanno
il loro posto in filosofia».
In ambito cattolico, fa notare Gibellini,
il tema della secolarizzazione non produsse le radicalizzazioni incontrate invece nel mondo protestante. Già però in
un articolo del 1954, “Significato teologico della posizione del cristiano nel
mondo moderno”, K. Rahner, più tardi
interprete della cosiddetta “Svolta antropologica” in teologia, attraverso il
recupero “kantiano” dell’apriori religioso come apertura radicale al mistero,
segnalava la condizione di diaspora del
cristiano dopo l’epoca costantiniana e
medievale. In questo contesto potevano
così emergere nuove impostazioni teologiche che raggiungevano consapevolezza nelle prospettive aperte dalla “teologia politica” (J. B. Metz) e della “teologia della liberazione (G. Gutierrez, C.
Boff, J. Comblin ecc.). Tali prospettive
riproponevano problemi (quali il rapporto tra fede e società, tra fede e trasformazione sociale, tra Chiesa e istituzioni)
che il cattolicesimo, soprattutto europeo, aveva con fatica affrontato e che
ancor’oggi non finiscono di tormentare
la coscienza cristiana.
Le vicende politiche che dall’800 in poi
hanno caratterizzato la presenza cattolica nella società liberale, industriale e
post-industriale hanno prodotto un genere letterario - quello di “dottrina sociale” - che, dopo un decennio di oblio,
è ritornato prepotentemente alla ribalta
con il pontificato di Giovanni Paolo II.
Se ne occupa, nella prospettiva di una
riabilitazione e chiarificazione teorica,
Vittorio Possenti nel suo Oltre l’Illuminismo. Il messaggio sociale cristiano .
La dottrina sociale viene qui definita
una «forma peculiare di filosofia pubblica cristiana» che, nel rifiuto dei modelli
privatistici di fede operanti nelle teorie
sociali e politiche illuministiche, rivendica lo statuto di insegnamento pratico e
il proprio ruolo di «dottrina morale sui
fatti sociali». Il dialogo dell’autore con
le prospettive di J. 30
Maritain è costante e
Primo piano:
filosofia e computer
‘Divide et computa’:
la filosofia e il computer
Gli ultimi quaranta anni sono stati
segnati dagli straordinari miglioramenti tecnici relativi al modo in cui
la logica binaria e sequenziale della
macchina di Turing è stata implementata elettronicamente. In questo breve arco di tempo la microelettronica ha reso possibile la costruzione della quarta generazione
di macchine di von Neuman e l’informatica è divenuta la “tecnologia
caratterizzante” della nostra epoca,
un po’ come il mulino lo è stato per
l’epoca medievale, l’orologio meccanico per la cultura seicentesca ed
il telaio per la rivoluzione industriale. Oggi quella del computer si presenta ai nostri occhi come una infratecnologia. L’elaborazione elettronica pervade in modo orizzontale la
maggior parte degli ambiti economici, scientifici, amministrativi e
sociali della nostra vita e nel nord
del mondo il microprocessore sta
diventando tanto diffuso quanto il
motore elettrico.
Molti sintetizzano questi vari fenomeni
parlando di una rivoluzione informatica.
Vi siano o meno i termini per una caratterizzazione a tinte così forti, sicuramente l’informatica rappresenta in questi anni un settore strategico non solo da
un punto di vista industriale e politico,
ma anche da quello scientifico. Le varie
tecnologie legate allo sviluppo e alla
diffusione dei computer influenzano in
modo sempre più diffuso la crescita, la
gestione e la fruizione del sapere, almeno per due aspetti fondamentali. Anzitutto, l’informatica ha enormemente facilitato, o molto più spesso reso semplicemente possibile, la risoluzione di un
vasto numero di problemi di tipo matematico o comunque rigorosamente formalizzabili. Per sua natura il computer è
un “calcolatore”, perciò le sue più dirette applicazioni hanno spesso riguardato
l’avanzamento del sapere a base quantificabile. I grandi sviluppi tecnologici e
scientifici della seconda metà del nostro
TENDENZE E DIBATTITI
secolo devono moltissimo alla possibilità di realizzare calcoli che avrebbero
richiesto tempi umanamente insopportabili, anche se fossero stati effettuati da
legioni di assistenti. Sarebbe tuttavia un
errore limitare la valutazione dell’impatto delle innovazioni tecnologiche
connesse alla diffusione dei computer
alle sole dirette applicazioni della loro
potenza di calcolo e quindi alla loro
utilità nelle scienze matematizzate. L’informatica risulta ormai insostituibile in
qualsiasi area che sia sottoponibile ad
analisi binaria, e di conseguenza alla
manipolazine di bits (cioè binary digits,
insieme di numeri binari 0/1). Le applicazioni grafiche, i programmi C.A.D.
(computer aided design) e C.A.I. (computer aided instruction), i sistemi C.A.M.
(computer aided manufacture), le macchine C.N.C. (computer-numericallycontrolled), le banche dati, la telematica, le simulazioni di modelli, la posta
elettronica, il word-processing, l’emergente tecnologia legata alla creazione di
realtà virtuali sono solo alcuni tra i più
importanti esempi in cui le potenzialità
simbolico-computazionali degli strumenti informatici sono state impiegate a
fini diversi dalla risoluzione di complessi calcoli numerici. In molti di questi
casi l’informatica ha messo a disposizione dell’uomo i mezzi necessari alla
gestione delle sue conoscenze.
L’importanza di questa funzione manageriale è difficilmente sopravalutabile.
L’universo delle conoscenze e delle informazioni è uno spazio intellettuale la
cui densità ed estensione sono in continua crescita esponenziale. Alla fine degli anni settanta si calcolava che nei vari
settori della matematica venissero prodotte ogni anno circa duecentomila dimostrazioni di teoremi. Il lettore potrà
pensare con lo stesso sgomento al ritmo
in cui si pubblicano articoli su riviste
specialistiche, interventi su quotidiani,
relazioni da convegni, antologie, recensioni o monografie in campi anche più
specifici quali l’etica, ad esempio, o la
filosofia della mente. Effetto diretto di
questa esplosione del sapere è stata la
progressiva diffusione della specializzazione. Già da molto tempo uomini e
donne hanno abbandonato l’ambizione
di poter dominare anche solo una galassia del sapere umano e si sono limitati,
necessariamente, a suoi ben circoscritti
settori. Se il fenomeno può apparire come
una triste ma ineluttabile necessità in
altri campi, nell’ambito di una disciplina quale la filosofia, esso risulta vieppiù
frustrante e pericoloso. Pericoloso, perché la filosofia è forse il sapere che più
di ogni altro ha bisogno di mantenere
coese le proprie ricerche all’interno di
un quadro unitario, seppure molto articolato, e compatto, seppure ricco di contrasti, in ferma contrapposizione ad una
ormai endogena tendenza alla frammen-
tazione e alla dissoluzione della propria
specificità. Frustrante, perché una filosofia divisa in rigidi settori e fatta da
specialisti è in stridente contraddizione
con le ambizioni universali ed unificatrici di una riflessione razionale che si
presenta, per sua stessa natura, quale
ultima soglia del pensiero teorico.
La necessità di sottolineare l’utilità gestionale dell’informatica risiede quindi
nell’importante ruolo che questo settore
della tecnologia avanzata ha iniziato a
rivestire nei confronti di almeno alcuni
dei problemi generati dall’enorme crescita e frammentazione del sapere. Grazie all’informatica è forse oggi divenuto
possibile opporsi, se non addirittura invertire, quel processo di sempre maggiore specializzazione cui è andata soggetta anche la stessa filosofia, e con ciò
superare il relativo stallo da eccesso di
informazione in cui spesso i filosofi,
come molti altri loro colleghi, percepiscono di trovarsi. E’per questo che da
molte parti si è parlato dell’era del computer come di un ritorno della mentalità
rinascimentale.
Non è un caso che l’informatica giunga
proprio oggi a cercare di risolvere i nostri problemi di gestione del sapere. Al
contrario, il suo insorgere deve essere
visto come frutto diretto di un processo
di autoregolazione del sapere stesso. La
domanda di informazione cresce in modo
interattivo con il grado di complessità di
un sistema e questo, a sua volta, promuove la creazione di tutti quei mezzi che,
risultando ragionevolmente ottenibili,
ovvero adottabili, siano utili a migliorare l’accesso al quantitativo di informazione richiesto dal proprio funzionamento. Si tratta di un processo di ottimizzazione a stadi omeostatici. I sistemi presi
in considerazione possono essere i più
diversi, da una compagnia assicurativa
alla struttura burocratica di una grande
facoltà universitaria. Nel caso in cui il
sistema sia costituito dall’intero universo del sapere, la domanda di informazione aumenta in modo direttamente proporzionato all’incremento della quantità
di informazioni già accumulatasi. Ciò
comporta, per il sistema stesso, la necessità di individuare procedure gestionali
sempre più efficienti, volte al trattamento dell’informazione economicamente
più efficace. Nel corso dei secoli la capitalizzazione del sapere ha finito per autoregolamentare la sua crescita. Le conoscenze hanno promosso al contempo
sia il loro stesso ampliamento che il
rinvenimento degli strumenti per la propria gestione. Nel caso della filosofia,
ma non solo della filosofia, si è passati
dalla memoria labile della tradizione
orale, alla memoria permanente di quella scritta, dai rotoli di papiro ad accesso
lineare ai codici di pergamena ad accesso casuale, dalla creazione di grandi biblioteche alla stampa di volumi cartacei,
31
dalle semplici tavole dei contenuti alla
comparsa degli indici analitici, dai manuali alle opere enciclopediche, per giungere fino ai lessici filosofici, ai dizionari
concettuali, ai grandi lavori biografici e
bibliografici e ai primi data-base su CDROM. Ciascuna innovazione è stata resa
possibile non solo dal clima culturale (si
pensi alla nascita della storiografia filosofica nel Rinascimento), ma anche dalla comparsa di nuove tecnologie, ed ha
segnato un importante passo avanti, nella scala della fruizione del sapere, grazie
al quale la riflessione ha potuto avvalersi al meglio del proprio passato. La civiltà moderna delle macchine, del motore,
del petrolio, dei materiali sintetici, dell’energia elettrica e termonucleare ha
rappresentato una fase di acuta crescita
del quantitativo di informazioni prodotte e richieste. Dall’ultimo dopoguerra ad
oggi si è perciò assistito alla corrispondente reazione gestionale. L’universo
della conoscenza è divenuto un dominio
così ricco e complesso e le varie forme di
conoscenza una risorsa così preziosa un bene, se non spesso una merce - che le
procedure di amministrazione hanno richiesto in modo sempre più urgente una
tecnologia adeguata alle loro dimensioni e alla loro importanza. Il sapere ha
iniziato a produrre strumenti all’altezza
della propria amministrazione razionale
attraverso l’informatica. La lezione che
si deve trarre da questa dinamica è chiara. Se da un lato l’avvento dell’elaboratore elettronico ha fatto sì che il processo di espansione delle conoscenze, già
avviato dall’invenzione della stampa, è
venuto ad accellerarsi ulteriormente - ed
ha perciò contribuito parimenti a promuovere la conseguente corsa alla specializzazione - d’altro lato la stessa
informatica deve anche essere vista come
il settore tecnologico avanzato che ha
iniziato a fornire almeno una parziale
risoluzione ai problemi sorti proprio dalla
gestione di un sapere ormai smisurato.
Stabilito che la nostra civiltà attraversa
oggi una fase storica in cui i problemi
della gestione delle informazioni sono
tanto importanti quanto quelli relativi
alla loro creazione, rimane ora da chiedersi in quale misura questo fenomeno
macroculturale riguarda in modo specifico anche la filosofia. Per dare una risposta a questo quesito è necessario compiere un passo indietro e individuare
almeno quattro punti di riferimento orientativi all’interno della mappa dei diversi
rapporti che intercorrono oggi tra filosofia e informatica. Da un lato si possono
raccogliere tutte quelle considerazioni
di sociologia della conoscenza che hanno occupato i filosofi sin da quando si è
cercato di comprendere la natura e la
portata delle trasformazioni culturali
comportate dalla diffusione del computer, delle banche dati elettroniche, dei
sistemi intelligenti, della posta elettro-
TENDENZE E DIBATTITI
nica, insomma dei vari strumenti forniti
dall’informatica come tecnologia applicata (a questo proposito un testo sulla
situazione italiana, esemplare anche per
il suo approccio fortemente ideologizzato, è quello di G. Battista Gerace, Le
politiche dell’informatica, Editori Riuniti, Roma 1991). Questioni di etica informatica, insieme a problemi connessi
con l’alfabetizzazione e la didattica, rappresentano zone di confine di questa
prima
area .
Più recentemente, si è iniziato a parlare
di Epistemologia Informatica, ovvero di
Epistemologia del Computer. Si tratta in
questo caso di un approccio che investiga l’informatica come scienza autonoma. Lo statuto di questa emergente branca del sapere filosofico, ancora largamente in via di sviluppo, sembra essere
simile a quello di altri speciali settori
quali la filosofia della logica o la filosofia della fisica, formatisi già da diversi
anni. Contrariamente a quanto avviene
per la filosofia del linguaggio, ad esempio, queste discipline dibattono temi che
riguardano principalmente non fenomeni naturali, ma saperi codificati, ovvero
questioni teoriche che emergono dalla
nascita di quegli insiemi di conoscenze
che di volta in volta vanno sotto il nome
di logica matematica, fisica, o informatica. Lo studio dell’intelligenza artificiale (A.I.) in relazione all’intelligenza
umana rappresenta la terza e più nota
area di contatto tra informatica e riflessione filosofica. Il tema è certamente
ben noto e qui ci si può limitare ad
osservare che purtroppo l’acceso dibattito sulle analogie o addirittura le possibili identità tra mente e computer ha
contribuito, negli scorsi anni, ad allontanare più di un filosofo anche dalla sfera
pragmatica dell’uso dell’informatica
come semplice strumento. Proprio quest’ultimo aspetto, che con un gioco di
parole viene oggi definito dell’augmented intelligence (A.I.), è quello su cui ho
cercato di attrarre l’attenzione nelle pagine precedenti. In questo ambito, chiedersi che cosa possa comportare l’uso
della tecnologia informatica per lo sviluppo del pensiero filosofico vuol dire,
in sostanza, cercare di capire sia in che
modo e in quale misura la filosofia possa
trarre vantaggio dalle recenti innovazioni tecnologiche sia che cosa significhi
per un filosofo essere all’altezza della
tecnologia in suo possesso.
Riguardo alla prima questione, si tratta
di vedere quali sono gli strumenti che
l’informatica mette a disposizione dello
studioso di filosofia, quale è la loro funzione e valutarne la loro utilità. In filosofia le aree direttamente interessate dalla
così detta humanities computing sono
tre: gli ausili didattici, i testi elettronici
su cui opera ogni analisi quantitativa e la
gestione dati (indice delle citazioni, cataloghi elettronici, bollettini, liste di di-
scussione, giornali elettronici, ecc.). La
seconda questione merita invece qualche parola di commento in più. Oggi
essere all’altezza della più avanzata tecnologia vuol dire, in primo luogo, essere
in grado di avvantaggiarsi degli strumenti informatici forniti dall’ingegneria
sia per lo svolgimento più veloce e più
efficiente dei propri compiti di insegnante e di ricercatore, sia al fine di contrastare la specializzazione settoriale attraverso una più ricca interdisciplinarietà.
In secondo luogo, significa ampliare
l’ambito del teoricamente fattibile per
andare ad includere tutte quelle ricerche
finora mai promosse a causa di un approccio necessariamente limitato dalle
risorse e dagli strumenti a propria disposizione. Si pensi, ad esempio, alla già
concreta possibilità di studiare la fortuna di un autore o un testo attraverso
l’analisi quantitativa del numero di citazioni che la sua opera ha ricevuto sulle
più importanti riviste di uno specifico
settore nel corso dell’ultimo decennio
(una determinata regione spazio-temporale dell’universo del sapere). Infine,
significa per il filosofo proporsi come
utente informato ed intelligente, che promuove e guida l’offerta delle nuove tecnologie per ottenere un servizio sempre
più adeguato e flessibile. In breve, si
tratta di essere in grado di trarre vantaggio da ciò che è stato reso più facile, di
sfruttare ciò che oggi viene reso possibile per la prima volta ed infine di suggerire nuove applicazioni per nuove esigenze future. Soprattutto nell’ultimo
caso, più che il supporto tecnologico
quello di cui si sente il bisogno sono le
idee da implementare. L.F.
Boden, Margaret A. (a cura di), The Philosophy of Artificial Intelligence, O.U.P.,
Oxford 1990.
Bolter, J. David, L’uomo di Turing, la cultura
occidentale nell’età del computer, Pratiche,
Parma 1985 (ed. orig. ing. 1984).
Di Giandomenico, Mauro e Lepschy, Antonio (a cura di), Epistemologia Informatica, in
“BioLogica”, 5 (1991).
Gerace, G. Battista, Le Politiche dell’Informatica, Editori Riuniti, Roma 1991.
Miall, David S. (a cura di), Humanities and
the Computer, New Directions, Clarendon
Press, Oxford 1990 (nuova ed.).
Pagels, Heinz R. (a cura di), La Cultura dei
Computer, Boringhieri, Torino 1989 (ed. orig.
ing. 1984).
Rota Giancarlo, La libertà nasce dal numero,
“Il Sole-24 Ore”, 29 Dicembre 1991
(n. 332), p. 21.
Vamos, Tibor, Epistemologia del Computer,
ed. it. a cura di Franco Filippazzi, Sperling &
Kupfer, Milano 1993 (ed. orig. ing. 1991).
La “formattazione”:
32
una metafora per i filosofi
Il nuovo, si sa, ha spesso il potere di
disincagliare il pensiero e di istituire
delle possibilità impensate, e sembra che anche la nozione di “formattazione” sia non soltanto facilmente spendibile, ma in grado di aprire
orizzonti importanti, o almeno di
suggerire un approccio inedito quanto promettente ad una serie di assunti comunemente recepiti in filosofia, specialmente in rapporto a vari
aspetti della teoria (e della pratica)
della comunicazione e dell’interpretazione.
Per poter usare i dischetti quando lavoriamo al computer, dobbiamo prima formattarli. Li si devono cioè predisporre
per poter recepire in un modo predefinito i dati che vogliamo immettervi; dopo
di che dobbiamo usare una macchina
predisposta a riconoscere quel particolare tipo di formattazione sia per scrivervi
qualcosa, sia per poter poi riconoscere
quei dati quando li andremo a leggere.
La formattazione è dunque un codice
“scritto”in un linguaggio appropriato (il
“linguaggio macchina”), che rimane peraltro inaccessibile alla generalità degli
utenti.
Anche i programmi di scrittura istituiscono ulteriori forme di predisposizione
(a livello di file) sotto forma di ulteriori
segni diacritici. Scopriamo l’esistenza
di questo secondo livello di codificazione quando pretendiamo di leggere un file
prodotto con il sistema di scrittura A
sulla base del sistema di scrittura B. In
tal caso infatti compaiono, soprattutto
all’inizio, una quantità di segni che non
sapevamo di aver introdotto e che, fin
quando continuiamo a lavorare con il
sistema di scrittura B, non significano
più nulla né per noi, né per la macchina.
Del resto, se salviamo il nuovo file sulla
base del linguaggio B e poi andiamo a
rileggerlo utilizzando il sistema di scrittura A, puntualmente accade che tutti
quei segni diacritici scompaiano (perché
tornano a funzionare, appunto, da segni
diacritici), mentre ne compaiono molti
altri che, di nuovo, non significano più
nulla né per noi né per il programma di
scrittura che stiamo utilizzando.
Dietro al dato tecnico affiora un simbolo
(o una metafora) degna di nota: anche la
nostra mente è “formattata”. Lo si vede
molto bene a partire dall’osservazione
di come significhiamo, perché ad ogni
comunicazione si accompagna una vastissima gamma di presupposti che servono appunto per “formattare” a dovere
la nostra unità comunicazionale.
Poniamo che suoni il telefono e io risponda con il consueto “Pronto!”. Ciò
basta per trasmettere una gamma di informazioni molto precise di cui è difficile fare l’inventario. Con il nostro “Pron-
TENDENZE E DIBATTITI
to!” mettiamo infatti gli altri in condizione di identificare il nostro sesso, approssimativamente la nostra età, la nostra calma o concitazione, la nostra sicurezza o insicurezza, l’affiorare o meno
di determinate forme di ansietà, alcuni
modelli culturali che abbiamo assimilato, quasi sempre lo strato della società
cui apparteniamo, spesso persino se siamo o non siamo dei fumatori, quasi sempre la nostra lingua materna (si sente
subito, per esempio, se chi dice “Pronto!” è un francese, un greco o un italiano). Inoltre ci facciamo quasi sempre
riconoscere.
Poiché queste informazioni vengono
date, si presume, senza troppo pensarci,
seguendo gli automatismi di abitudini
ormai stabilizzate, quindi persino con il
rischio di nuocere a noi stessi (in quanto
può accadere che alcune delle informazioni che diamo senza pensarci vengano
usate contro di noi); in esse dobbiamo
vedere dei valori meramente semiotici.
Infatti, è già diverso se accade che io mi
sforzi di dire “Pronto!” come lo potrebbe dire un genovese o un molisano, o
come potrebbe dirlo un francese, se provo ad affettare una voce accentuatamente senile, o infantile, se cerco di farmi
scambiare per mio fratello o di imitare il
timbro di voce o almeno lo standard
comunicazionale di un noto attore comico, e via di seguito. In questo caso ha
luogo una cosciente ricerca volta a comunicare significati artificialmente aggiunti alla gamma di significati che viene comunemente associata ad una così
ricorrente unità comunicazionale; si decide di modificarne alcuni (allo scopo di
accreditare un’immagine diversa della
nostra personalità), eventualmente di
sopprimerne molti (come accade nel caso
in cui si voglia essere impersonali fino al
punto di essere virtualmente irriconoscibili). Siamo cioè in presenza di una selezione intenzionale, un’organizzazione
funzionale dei significati che il parlante
vuol far arrivare al ricevente.
L’analista che si misurasse con un dato
“Pronto!”, per spremerne ogni possibile
informazione cercherebbe, in primo luogo, di stabilire se la parola è stata pronunciata con spontaneità o affettazione;
quindi isolerebbe i valori semiotici della
risposta; passerebbe poi a chiedersi se
quel “Pronto!” ha anche dei valori retorici. In tal caso dovrebbe avviare tutta
una serie di analisi ulteriori (identificazione dell’obiettivo comunicazionale,
ecc.). Il modo forse più semplice e più
appropriato di evocare l’insieme delle
indicazioni associate ad un comunissimo “Pronto!” è, per l’appunto, di dire
che questo è un “Pronto!” debitamente
formattato, eventualmente sottoposto ad
una formattazione mirata.
Comprendiamo allora che la formattazione introduce delle opzioni, delinea
una corsia preferenziale, precostituisce
I nastri magnetici di una biblioteca elettronica (Don Mc Coy)
33
TENDENZE E DIBATTITI
degli automatismi (potremmo dire: delle
“macro”) sotto forma di convenzioni
semplificanti. Da un lato accredita dunque dei criteri di decodifica dell’unità
comunicazionale, vale a dire dei principi
metacritici, e di conseguenza attiva forme anche cospicue di «riduzione della
complessità» (Niklas Luhmann), dall’altro istituisce tra i parlanti (tra i partecipi
del “giuoco” comunicazionale) una intesa, un’aria di famiglia, eventualmente
un senso di complicità che marca la differenza rispetto agli estranei (identificati come coloro che non hanno familiarità
con certi codici). Donde il senso (solitamente percepito come gratificante) della
coappartenenza ad una cultura, ad una
fetta della società, ad un gruppo più o
meno ricco di connotazioni identificanti. Trasforma cioè l’interlocutore in un
partner col quale si capisce di avere già
molto in comune, ed è appena il caso di
annotare che l’operazione si svolge, per
gran parte, a livello subliminale: di solito ha luogo senza che il desitinatario se
ne renda pienamente conto, e può ben
accadere che non se ne renda ben conto
nemmeno chi la determina.
Non c’è limite ai livelli di formattazione
della comunicazione (verbale o non). Le
pagine di Dostojevski, di Nietzsche, di
Kierkegaard, di Cartesio, di Platone raggiungono livelli di formattazione molto
alti, e determinano un condizionamento
potente nei ricettori. Viene anzi naturale
pensare che Socrate e Platone vadano
annoverati tra i più antichi maestri in
formattazione (= nell’arte del creare
un’atmosfera molto definita e magari
avvolgente): se il primo si dedicò a formattare i suoi interlocutori, il secondo si
è dedicato con somma maestria a formattare e con ciò stesso ad educare i
suoi lettori. Quanto a Platone, poi, egli
ha fatto molto di più che indurre milioni
di lettori a sentirsi in sintonia con Socrate, anziché con Eutifrone o con Trasimaco. Ne è buon indizio il fatto che nei
nostri anni Ottanta sia stata da più parti
lanciata la seguente parola d’ordine:
«Leggere Platone come egli voleva essere letto». Ma con un presupposto che,
a pensarci bene, ha dell’incredibile: con
la convinzione che la sola “lettura” veramente legittima sia appunto quella di chi
riesce a vedere la realtà “con gli occhi di
Platone”, il che indubbiamente costituisce un modo di penetrare il testo, ma non
senza esporre il lettore (in questo caso
proprio il lettore specializzato) a rischi
di prim’ordine. Un simile atteggiamento
inplica infatti, in pari tempo, che ci si
precluda quasi ogni possibilità di decondizionarci dalla magia della pagina platonica e che si accetti di assumere, verso
questo autore, un atteggiamento non
meno globalmente ricettivo di quello che
può assumere chi si rivolge al “suo padre
spirituale” per farsi guidare ed illuminare. In tal caso come si potrebbe ancora
sperare di “capire” Platone? Perché non
si può “capire” senza identificare il maggior numero di fattori miranti a formattare il lettore, cioè ad indirizzarlo, ma
anche a renderlo docile e ricettivo, in
ultima analisi acritico. (E’tutt’altra cosa,
perciò, provare a leggere Platone così
come egli probabilmente voleva che lo
si leggesse; qualcosa del genere, del resto, l’abbiamo fatto tutti in modo spontaneo la prima volta che abbiamo letto
un suo dialogo, e proprio in virtù dell’accuratissima formattazione a cui egli
ha sottoposto gran parte dei suoi scritti.)
Esiste dunque una formattazione involontaria (quella che abbiamo assorbito, e
che spesso non possiamo non riprodurre
alquanto meccanicamente) e una formattazione intenzionale (indotta artificialmente, per mezzo di una comunicazione sapientemente mirata che suole
avvalersi di forme sempre nuove di dissimulazione). Un’antica e celebrata forma di screening dei livelli di formattazione, sia volontari che involontari, si
deve a Francesco Bacone (teoria degli
idola).
Ed esistono anche i professionisti della
formattazione intenzionale (più o meno
accuratamente mimetizzata). Tra costoro sembra appropriato annoverare non
soltanto giornalisti e pubblicitari, insegnanti, sacerdoti e politici, ma anche
quanti ‘sanno trattare’con i bambini o
con una determinata clientela, e persino
chi si sia specializzato nell’addomesticare ed eventualmente addestrare cani,
cavalli o elefanti per fini particolari.
Ognuno a suo modo cerca infatti di creare un’atmosfera o addirittura una forma
mentis (ecco un antecedente specifico
della nozione di formattazione), si adopera per istillare dei convincimenti e/o
delle abitudini (e intanto induce qualcuno a modificare i suoi schemi, cioè ad
adottare un apparato diacritico modificato), e prim’ancora si studia la formattazione che i destinatari della sua comunicazione hanno nel frattempo assorbito
o adottato, allo scopo di prevenire il
rischio di un dialogo tra sordi. Analogamente, delle “rivoluzioni scientifiche”
si può ben dire che esse consistono nell’escogitare ed accreditare il passaggio
da una formattazione presuntamente obsoleta ad una di nuovo tipo. (E sembra
appropriato ricordare che un elemento
essenziale del gap tra “primo” e “terzo”
mondo più in generale tra diversi tipi di
società è proprio la diversa formattazione delle nuove generazioni, il diverso
standard di formattazione che ha corso
in un determinato ambiente.)
Ad un livello più tecnico si dovrà invece
far parola, se non altro, della logica informale, il cui obiettivo è di individuare
le premesse tacite che precisano il senso
di ciò che viene argomentato (cioè, di
nuovo, la formattazione strisciante). La
riflessione sulle operazioni di formatta34
zione sembra idonea a spingere l’attenzione degli analisti dallo schema logico
(innocuo) alle forme di contestualizzazione che danno “colore” al singolo argomento, e alle insidie che in esse puntualmente si celano. Analogamente lo
studio delle fallacie può trovare nuovo
impulso dato che, per potersi insinuare
nel discorso senza compromettere l’attendibilità di ciò che il locutore asserisce, la fallacia (e per la verità non soltanto la fallacia) “scommette” su quattro
diversi livelli di formattazione: la formattazione del locutore, la formattazione della situazione, la formattazione preesistente dei ricettori intenzionati, la formattazione indotta che il locutore sta
sforzandosi di accreditare. Di conseguenza, basta introdurre la nozione di formattazione nella teoria delle fallacie per
istituire eo ipso la necessità di estendere
l’analisi a questi quattro livelli, ciò di
cui non si era ancora avvertita l’esigenza.
Prende forma, inoltre, la nozione di “formattazione responsabile”, e si intuisce
immediatamente la sua rilevanza non
solo pedagogica, ma anche etica e filosofica. Formattazione vuol dire infatti
quadro di riferimento, albero dei presupposti, “orizzonte” entro cui si muove un
determinato pensiero, forme e livelli di
precomprensione, distinzione tra livello
precategoriale (o antepredicativo) e livello già “manipolato” della rappresentazione. Prospettive degne di nota si delineano, pertanto, anche in rapporto alla
nozione di “circolo ermeneutico”, in
quanto l’idea di una formattazione a più
livelli lascia intravedere delle eccellenti
possibilità di sottoporre una simile galassia alle necessarie operazioni analitiche.
Un ambito elettivo per l’uso della nozione di cui stiamo discutendo sembra che
sia l’idea di cultura. Se ogni cultura (e
ogni sub-cultura) è un tipo di formattazione, va da sé che anche la più “primitiva” delle culture non possa non celare
una complessità e una capacità di tenuta
che siamo sempre sul punto di sottovalutare (tra l’altro: quella complessità e
quella capacità di tenuta, in virtù delle
quali è così difficile impostare lo sviluppo delle aree più refrattarie del terzo
mondo). S’intravede, del pari, qualche
inedita possibilità di analizzare le strutture, gli assunti di base, le modalità di
“lettura” della realtà, le semplificazioni
accreditate, le forme di arroccamento
che contraddistinguono ciascuna cultura, e così pure le condizioni di permeabilità, la dinamica delle grandi trasformazioni.
S’intravede, con ciò stesso, anche un’
“ideologia” della formattazione. Nella
disputa tra “olisti” e “riduttivisti”, la
riflessione sulle varie forme di formattazione sembra implicare un’automatica
opzione a favore dei primi. E non si vede
come una simile idea non possa non
alimentare, tra l’altro, un sano discredito nei confronti dell’attitudine, così dif-
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Dilthey e Nietzsche
Nello studio PHILOSOPHIE DER FLUKTUANZ.
(Filosofia della
fluttuanza. Dilthey e Nietzsche, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1992)
Werner Stegmeier propone, con
l’obiettivo di mettere in luce “unità e
differenza” delle loro filosofie, un confronto analitico tra due pensatori che
nel passato sono stati accomunati
sotto l’etichetta di “filosofi della vita”.
DILTHEY UND NIETZSCHE
Furono Scheler nel 1915 e Rickert nel
1920, nella situazione filosofica in cui in
Germania si andavano gradualmente affermando la fenomenologia e il neo-kantismo, ad interpretare, il primo con un’accentuazione positiva, il secondo in un senso critico, il pensiero di Dilthey e Nietzsche
(assieme a quello di Bergson), sotto la
denominazione comune di Lebensphilosophie, “filosofia della vita”. Il termine
avrà in seguito una grande fortuna nella
cultura tedesca, e servirà a caratterizzare
una serie di posizioni filosofiche e di critica
della cultura (ai nomi di Dilthey, Nietzsche
e Bergson si aggiungeranno quelli di Spengler, Simmel, Klages, Th. Lessing, W. James e Dewey) che oppongono di volta in
volta l’intuizione al concetto, la vita al
meccanismo, l’organico all’inorganico, la
natura alla cultura, ciò che è spontaneo a
ciò che è irrigidito, il movimento alla staticità ecc. Se il termine, tanto in Rickert
quanto in Husserl viene usato in senso
polemico, come sinonimo di “relativismo”,
“antropologismo” e “irrazionalismo”
(un’accusa che ritornerà nelle critiche di
parte marxista di Lukács e Lieber, che ad
essa aggiungono l’aggravante di avere preparato o sostenuto l’ideologia fascista e
nazista negli allievi diretti di Dilthey e
nell’ambiente della “scuola diltheyana”
(Misch, Larsch e Bollnow) il termine assume invece una connotazione positiva, ma a
patto di distinguere tra la filosofia della vita
di carattere astorico e antiscientifico di
Nietzsche e quella diltheyana, che non oppone la “vita” alla “storia” o allo “spirito”,
ma la concepisce in senso storico, in quanto
obiettivata nelle forme e nei sistemi della
cultura (arte, scienza, filosofia, religione),
e vede in essa l’“oggetto” delle scienze
dello spirito. Nel frattempo tanto la ricezione diltheyana quanto quella nietzscheana si
sono lasciate alle spalle questa chiave interpretativa vitalistica, e il pensiero dei due
filosofi viene oggi considerato nell’ampiezza delle sue connessioni storiche e nella sua ricchezza tematica, che spesso precorre problemi di grande importanza nella
filosofia del Novecento.
Partecipi della crisi d’identità della filosofia derivante dalla dissoluzione dei sistemi
idealistici e dall’affermazione delle scienze e del positivismo, Dilthey e Nietzsche
sono per Werner Stegmeier accomunati
dal fatto di non credere più che la filosofia
possa produrre una qualche verità in grado
di recidere il suo legame con la situazione
storico-culturale e temporale in cui essa ha
origine. Da questo punto di vista entrambi
i pensatori, visti con una certa diffidenza
dalla filosofia universitaria (ad onta della
posizione accademica di Dilthey, e del successo “postumo” e “post-moderno” della
filosofia di Nietzsche), esprimono o precorrono una tendenza di fondo del pensiero
e della cultura del nostro secolo: quella di
una filosofia dell’incommensurabilità e
dell’individualità che Stegmaier rintraccia
in pensatori anche assai diversi tra loro, da
Lévinas, che pur non menzionando Dilthey
e Nietzsche impiegherebbe il concetto di
vita e di alterità in quanto irriducibilità al
sistema filosofico, a Wittgenstein, che
mosso dal problema dell’incommensurabilità del linguaggio sviluppa la propria
teoria dei “giochi linguistici”, per giungere, sulla stessa linea di filosofia analitica e
del linguaggio, fino a Carnap, Quine, Putnam, Goodman e Rorty. A giustificazione
della propria interpretazione della filosofia
contemporanea come filosofia dell’incommensurabilità, Stegmeier si rifà a Lyotard,
secondo cui il sapere “post-moderno” è
quello che rafforza la nostra capacità di
sopportare l’incommensurabile.
Nonostante le analogie suggerite dalla situazione storica e da alcune delle risposte
che a essa danno, tra Dilthey e Nietzsche
rimangono nette differenze: Dilthey, che
ha immediatamente riconosciuto la grandezza di Nietzsche, ma che si è anche
espresso criticamente nei suoi confronti,
mirava a fondare filosoficamente la conoscenza e l’interpretazione del mondo stori35
co, e la “vita” è in lui sempre vita storica;
Nietzsche vedeva nella scienza e nel sapere
un’espressione della “volontà di potenza”,
e con il suo prospettivismo e il suo “filosofare col martello” sembra situarsi agli antipodi dell’atteggiamento critico e scientifico di Dilthey.
Ma al di là di analogie e differenze superficiali tra i due pensatori, scopo dello studio
di Stegmeier è di «chiarire unità e differenza» delle loro filosofie. Tale intento si trova
di fronte a difficoltà di carattere testuale,
storico, biografico e critico. Anzitutto il
carattere “frammentario” delle opere, e il
fatto che entrambi i filosofi hanno esercitato la loro influenza più attraverso testi
postumi che per mezzo di opere pubblicate
in vita. Dilthey non portò a compimento le
sue opere sistematiche fondamentali, l’Introduzione alle scienze dello spirito e la
Vita di Schleiermacher; e i saggi da lui
pubblicati in vita, dedicati al problema di
una fondazione delle scienze dello spirito,
sono la parte emergente di un progetto
filosofico di dimensioni più ampie (come
risulta dalla pubblicazione di testi inediti
diltheyani a cura di H. Johach, H.-U. Lessing e F. Rodi nei voll. XVIII e XIX delle
Gesammelte Schriften). E anche Nietzsche,
le cui opere, testi postumi e lettere sono
oggi raccolte nell’edizione critica di Colli e
Montinari, fu soprattutto scrittore aforistico. Ogni interpretazione di carattere globale, come vuole essere quella di Stegmeier,
rischia quindi l’unilateralità, in quanto costretta a fissare e irrigidire un pensiero dalle
mille sfaccettature.
Dilthey e Nietzsche, poi, non si sono mai
incontrati, né risulta che si siano cercati.
Nelle loro biografie sono individuabili dei
parallelismi. Le origini familiari e il corso
degli studi, ad esempio: figli di pastori
protestanti, entrambi iniziano con la teologia, per dedicarsi poi allo studio della storia
e alla filosofia. I disturbi fisici legati ai
ritmi e ai modi della vita di studio sono
documentati con abbondanza nelle opere
di Nietzsche (che in Ecce homo indica in
essi una causa della propria saggezza), e
anche nei diari di Dilthey non mancano
testimonianze circa disturbi alla vista, causati dalla lettura, e squilibri di carattere
nervoso, dovuti all’eccesso di concentrazione. Diverso è invece il rapporto dei due
PROSPETTIVE DI RICERCA
Wilhelm Dilthey, Oswald Spengler
Henri Bergson, John Dewey
Friedrich Nietzsche, Georg Simmel
36
PROSPETTIVE DI RICERCA
filosofi con l’accademia e il loro atteggiamento rispetto alla filosofia e al sapere. Nel
1867 Dilthey viene chiamato all’università
di Basilea, dove Nietzsche arriverà nel 1869.
I due, però, non si incontrano. Dopo Kiel e
Breslavia, Dilthey giunge nel 1883 a Berlino, nella più prestigiosa università del Reich
(dove sarà però considerato a lungo come
un outsider), mentre Nietzsche conduce
una vita sempre più vagabonda, alla ricerca
di luoghi adatti al suo filosofare solitario.
Il metodo scelto da Stegmaier nel suo studio è di sviluppare prima un’analisi delle
filosofie di Dilthey e Nietzsche nella loro
singolarità, per mettere successivamente in
evidenza ciò che esse hanno in comune. Ai
margini di tale zona di comunanza dovrà
però poi ancora apparire la specificità dei
due universi di pensiero. Nei primi due
capitoli dello studio viene analizzata la
situazione storica in cui Dilthey e Nietzsche iniziano a filosofare: la crisi dell’idealismo, la mancanza di punti di riferimento
filosofici (come per la generazione degli
idealisti erano stati ad esempio Kant e
Spinoza); e viene delineata la nuova immagine della filosofia proposta da Dilthey e
Nietzsche, la cui critica del meccanicismo
appare a Stegmeier influenzata in modo
decisivo dal concetto di sviluppo e dalla
teoria darwiniana dell’evoluzione. Per
quanto riguarda Dilthey, vengono analizzati anche i suoi rapporti con alcuni filosofi
della tradizione tedesca: Leibniz, Kant,
Hegel e Schleiermacher. Nel terzo capitolo
l’elemento comune ai due pensatori viene
definito come una “filosofia della fluttuanza” (Philosophie der Fluktuanz), intesa
come una filosofia degli oggetti storici in
quanto oggetti che mutano in modo irreversibile, ma che conservano al tempo stesso
un’identità e continuità con se stessi: «Una
fluttuanza è una sostanza fluente; fluttuanza è la categoria dell’autonomia in una
filosofia dell’incommensurabilità». Concetti che hanno questo carattere “fluttuante” sono in Dilthey quello di “connessione
strutturale acquisita” e in Nietzsche quello
di “forma fluida”. L’ultimo capitolo, dedicato alla “radicalizzazione nietzscheana
della filosofia della fluttuanza”, analizza le
differenze della posizione di Nietzsche,
che Stegmeier considera più radicale a livello teorico, da quella di Dilthey, più
preoccupato della questione della fondazione in senso critico e gnoseologico: tali
differenze riguardano essenzialmente il
problema del “comprendere”, la cui analisi
rovescia in Nietzsche la possibilità del “venir-compreso” nella necessità dell’incomprensione. Temi dell’ultimo capitolo sono
anche la critica della morale in Nietzsche,
la fondazione di tale critica in una filosofia
dell’interpretazione sviluppata in base alla
dottrina della volontà di potenza, e, infine,
la critica di tale fondazione svolta da Nietzsche come critica della “ragione della sua
vita”. M.M.
Filosofia della vita
Nel volume
LEBENSPHILOSOPHIE. ELE-
MENTE EINER THEORIE DER SELBSTER FAHRUNG (Filosofia della vita. Elemen-
ti di una teoria dell’esperienza di sé,
Rowohlt, Amburgo 1993) Ferdinand
Fellmann presenta una panoramica
storica dei diversi orientamenti di
questa composita tendenza filosofica. I problemi sistematici che fanno
da filo conduttore della ricostruzione storica sono quelli della soggettività e dell’esperienza che il soggetto fa di se stesso: una questione che
per l’autore sembra diventare sempre più attuale in un’epoca caratterizzata da una “crescente reificazione e mediatizzazione del mondo”.
Il concetto di Lebensphilosophie è andato
incontro nel nostro secolo a diverse ed
alterne fortune. Impiegato da Wilhelm
Dilthey per caratterizzare lo sforzo della
propria filosofia a una comprensione della
vita storica e umana che partisse “dalla vita
stessa”, senza sottoporla a spiegazioni di
carattere metafisico o scientifico-naturale,
il concetto - e il programma che esso sottintende - è stato ripreso esplicitamente da
allievi diretti e indiretti di Dilthey come
Georg Misch, Herman Nohl, O. F. Bollnow. Alla Lebensphilosophie diltheyana si
è successivamente richiamato Martin Heidegger in Sein und Zeit e in altri scritti e
lezioni universitarie, riaprendo la discussione con la Dilthey-Schule dopo le critiche del suo presunto relativismo sviluppate
da H. Rickert, dal punto di vista di una
filosofia dei valori di matrice neo-kantiana, e da E. Husserl nella prospettiva di una
filosofia “come scienza rigorosa” (ma negli anni ’20 Husserl si riavvicinerà all’impostazione diltheyana attraverso il problema del rapporto tra psicologia e fenomenologia e quello di una fenomenologia del
mondo della vita).
Se il concetto di “filosofia della vita” è
stato impiegato in senso sistematico soprattutto da Dilthey e dalla sua scuola, al
suo interno sono stati compresi, in ricostruzioni successive, anche pensatori come
Nietzsche, Simmel, Spengler, Bergson,
W. James.
Con la sua più recente opera Ferdinand
Fellmann - già autore di importanti studi di
estetica fenomenologica e del volume Symbolischer Pragmatismus, dedicato all’ “ermeneutica dopo Dilthey” - presenta una
panoramica storica delle diverse correnti
della Lebensphilosphie, a cui fa da filo
conduttore sistematico la questione della
soggettività. Per Fellmann la ricerca sulla
filosofia della vita è legata alla passione per
la vita individuale e per la sua unicità. Il
fascino che tale orientamento filosofico
esercita è legato a due ragioni: da una parte
la Lebensphilosophie insegna che «la riflessione filosofica ha un valore solo quando serve alla vita», dall’altra essa permette
37
di affrontare problemi e di comprendere
fenomeni in un modo più ricco che con gli
strumenti delle scienze e di una filosofia
ispirata ad un modello “naturalistico” e
logico-formale di scientificità, in quanto
contiene «forme di pensiero più ricche e
flessibili di quelle della logica formale».
Centrale nello studio di Fellman è il concetto di “esperienza di sé” (Selbsterfahrung), che si realizza già nella vita quotidiana, in esperienze e nella terapia di
gruppo, nell’analisi individuale, nell’introspezione e nella meditazione, e che può
essere intesa come una forma moderna
dell’imperativo delfico “conosci te stesso”. Non appena ci si chieda che cosa (o
chi) sia il Sé di cui si tratta in questo tipo di
esperienza, risulta chiara la dimensione
filosofica del problema, che non può essere
risolto da una scienza empirica come la
psicologia, in quanto riguarda i fondamenti
stessi della teoria e della scienza. Chi si è
posto la questione del soggetto e della
coscienza si è trovato spesso, nella storia
della filosofia, di fronte a una secca alternativa, quella tra esperienza e a priori, tra
“persona empirica” (esemplare è per Fellman a questo proposito la posizione di
Peter F. Strawson) e “soggetto puro” (tipica è la posizione di Kant). Rifacendosi a
Jaspers, Fellmann ritiene più appropriato
utilizzare il concetto di “Sé”, che costituisce “la realità dell’esperienza personale di
sé” nella sua paradossabilità e non completa conoscibilità. Importante è anche - e qui
si chiarisce il legame di questa problematica con la Lebensphilosophie - il concetto di
“esperienza della vita” (Lebenserfahrung),
diversa dall’esperienza oggettuale delle
scienze e però caratterizzata da una propria, specifica obiettività, sedimentantesi
non in proposizioni universalmente valide,
ma “nel comportamento concreto dell’uomo”. Per queste sue caratteristiche di flessibilità e per la sua aderenza alla fatticità
della vita nella sua dialettica di individualità e generalità l’esperienza della vita espressa da categorie specifiche e diverse
da quelle scientifico-naturali, come ad
esempio le categorie della vita diltheyane o
gli esistenziali heideggeriani - diventa il
modello della Selbsterfahrung.
E’ questo della Selbsterfahrung, di una
“teoria dell’esperienza nella prospettiva del
soggetto”, il punto di vista che nell’interpretazione di Fellmann conferisce carattere unitario alla Lebensphilosophie. L’uomo - scrive Fellmann riecheggiando Ernst
Bloch - vive troppo vicino a sé: il vivere
non è mai completamente cosciente e trasparente a se stesso, coscienza e vita non
possono coincidere. Solo una filosofia della vita che non si risolva in una retorica
dell’immediatezza, ma che sia consapevole di questa tensione tra vita e coscienza
può servire alla costruzione di una teoria
dell’esperienza di sé e della soggettività; al
concetto di una coscienza intenzionale rivolta agli oggetti si sostituisce qui quello di
“vita” come modalità della comprensione
PROSPETTIVE DI RICERCA
della soggettività, nella prospettiva non di
una “fondazione logica della conoscenza
scientifica” ma di un “chiarimento di strutture dell’esperienza del mondo della vita”.
Fellmann individua due grandi epoche della Lebensphilosophie, entrambe interpretabili come una reazione agli eccessi sistematici della filosofia e alle pretese di assolutezza della ragione: la prima tra XVIII e
XIX secolo, espressa nei Beiträge zur Philosophie des Lebens (1781) di Karl Philipp
Moritz e nelle Vorlesungen einer Philosophie des Lebens (1827) di Friedrich
Schlegel; la seconda negli anni tra la crisi
dell’idealismo tedesco e le due guerre mondiali. E’ su questo secondo periodo che si
concentra l’attenzione di Fellmann, e in
particolare su Schopenhauer e Nietzsche,
considerati, nella prima parte dell’opera,
come precursori della Lebensphilosophie,
su rappresentanti “classici” di questo orientamento di pensiero come Bergson, James,
Dilthey, Simmel (seconda parte), sulla “fase
ideologica” della filosofia della vita, quella
che con autori come Spengler, Klages e Th.
Lessing più si espone al sospetto dell’“irrazionalismo” (terza parte). Nelle ultime due parti vengono rispettivamente prese in considerazione le risposte alla filosofia della vita da parte della fenomenologia,
dell’esistenzialismo e dell’antropologia filosofica (centrali sono qui le figure di Husserl, Heidegger, e Scheler) e, con riferimento a Wittgenstein, si indicano alcune
vie, percorrendo le quali, attraverso i metodi della filosofia analitica del linguaggio,
può venire chiarita e sviluppata l’idea della
filosofia della vita. M.M.
Theunissen su Kierkegaard
Nel suo ultimo libro,
DER BEGRIFF VER-
ZWEIFLUNG . KORREKTUREN AN KIERKEGAARD
(Il concetto di disperazione. Correzioni a Kierkegaard, Suhrkamp, Frankfurt
a. M. 1993) Michael Theunissen propone un’analisi dettagliata dello scritto di Kierkegaard LA MALATTIA MORTALE
con l’obiettivo di mettere in luce i
presupposti taciti su cui si basa l’analisi della disperazione del filosofo danese.
Studioso di Kierkegaard e di Hegel, autore
di una Negative Theologie der Zeit (Teologia negativa del tempo, Suhrkamp,
Frankfurt a. M. 1991), Michael Theunissen sostiene in questo suo studio, con
consapevole unilateralità, la necessità di
analizzare la filosofia di Kierkegaard, e
in particolare lo scritto La malattia mortale, dal punto di vista dei contenuti e della
concettualità, piuttosto che da quello della
forma e dei mezzi retorici. In questo, Theunissen si muove in opposizione sia a Kierkegaard stesso - che si preoccupava dell’efficacia della forma nella trasmissione
dei contenuti del discorso filosofico - sia
ad alcune recenti tendenze delle ricezione
kierkegaardiana che concentrano la propria attenzione sulle forme retoriche dell’esposizione. E’ solo concentrandosi sui
contenuti - sostiene Theunissen in controtendenza rispetto alle posizioni “decostruzioniste” e “post-moderne” - che si rende
giustizia alla “serietà” del pensiero kierkegaardiano (un tema, questo della serietà, a
cui egli dedicò ventiduenne, nel 1955, la
propria dissertazione Der Begriff der Ernst bei Sören Kierkegaard, pubblicata nel
1958).
Già la presentazione, nel titolo, della “disperazione” non in quanto esperienza esistenziale o stato d’animo, ma come “concetto”, mette in luce la prospettiva di fondo dell’opera: si tratta di considerare, attraverso l’analisi del testo kierkegaardiano, il problema della disperazione nella
sua dimensione concettuale, superando al
tempo stesso criticamente alcune debolezze della prospettiva di Kierkegaard. Questi, afferma Theunissen, considerava la
filosofia come una parte subordinata della
propria «psicologia cristiana della disperazione», di natura essenzialmente religiosa. L’interesse di Theunissen è invece
dichiaratamente filosofico e si rivolge, più
che a Kierkegaard, alla cosa stessa: al
concetto e al problema della disperazione.
Con Kierkegaard c’è però un accordo sul
modo di procedere di un’analisi della disperazione, che deve essere non prescrittivo, ma descrittivo, e che dalla descrizione
deve ricavare anche una sua eventuale
efficacia pedagogica. Anche Kierkegaard,
pur convinto che l’unico modo per ottenere la salute sia la fede religiosa, non propone una dottrina della fede come uscita
dalla disperazione, ma descrive e presenta
un movimento: «Se si vuole sapere come
si esce dalla propria disperazione non si
deve consultare una dottrina della fede,
bisogna solo fare questi movimenti. Kierkegaard li descrive così esattamente che
può compierli anche chi non sappia che i
teologi legano ad essi l’idea della fede.»
Il volume si compone di tre studi finora
inediti. Nel primo, “Il presupposto fondamentale esistenziale-dialettico dell’analisi kierkegaardiana della disperazione”,
Theunissen intende ricostruire l’esposizione del problema della disperazione nella Malattia mortale in modo da metterne in
luce i presupposti impliciti. Scopo di tale
ricostruzione è di «riportare alla luce le
intenzioni nascoste di Kierkegaard e di
facilitare, attraverso una cauta correzione
della sua concettualità, un confronto razionale con la sua analisi della disperazione». Tali presupposti non sono le premesse - o decisioni preliminari - di carattere
teologico e antropologico dello scritto kierkegaardiano, ma coincidono con i “pregiudizi” di Kierkegaard circa il modo in
cui ci rapportiamo al nostro essere umano
e al nostro “essere-posti” (alla fatticità
della nostra situazione nel mondo), e cado38
no nella sfera che Heidegger delimita come
“esistentiva-ontica” rispetto a quella “esistenziale-ontologica” della costituzione
dell’essere dell’esserci. Tale presupposto
di fondo è per Theunissen di tipo “esistenziale-dialettico”, in virtù del carattere dialettico di un’esistenza «che ha un rapporto
spezzato con la propria struttura», ed è
espresso dalla proposizione (che in quanto
tale non si trova nel testo kierkegaardiano): «noi vogliamo non essere quello che
siamo».
Theunissen analizza anche le implicazioni
storico-epocali dell’esperienza kierkegaardiana della disperazione. Da questo punto
di vista la filosofia dell’esistenza rappresenta l’espressione di una modernità del
cui carattere “kierkegaardiano” testimonia ad esempio anche l’opera di Kafka:
«Osservata dal punto di vista di questa
modernità la Malattia mortale appare come
l’inizio di un’epoca che, nonostante ogni
Post-moderno, continua ancora, nello sviluppo europeo di una comprensione dell’uomo di se stesso e della propria vita».
Sulla base di questa interpretazione dell’influsso di Kierkegaard sulla modernità,
viene analizzata, a conclusione del primo
saggio, la trasformazione del punto di vista di Kierkegaard in Essere e tempo di
Heidegger e in L’essere e il nulla di Jean
Paul Sartre.
Il secondo studio, “Per la critica trascendente dell’analisi kierkegaardiana della disperazione”, sviluppa, dopo la critica “immanente” del primo saggio, una critica che
si propone di andare oltre la prospettiva
kierkegaardiana, partendo dal confronto
con essa.
Nel terzo studio, “Osservazione finale riassuntiva: la dialettica nella Malattia mortale”, partendo dalla constatazione dello stesso Kierkegaard del carattere “troppo dialettico” dello scritto in questione, viene
analizzato il rapporto della dialettica kierkegaardiana con quella di Hegel. Si tratta,
per Theunissen, di giungere a una visione
della dialettica hegeliana (e kierkegaardiana) nella sua molteplicità di livelli - andando oltre lo schema generale (che pure,
appunto in quanto schema, conserva una
sua validità) dell’opposizione di una dialettica inconciliata, composta dai due movimenti della tesi e dell’antitesi (Kierkegaard), a una dialettica triadica, in cui tesi
e antitesi trovano una conciliazione nella
sintesi finale (Hegel). «Kierkegaard - scrive Theunissen - assume la dialettica estremamente stratificata di Hegel in modo quasi ugualmente stratificato. Anzitutto egli se
ne appropria nella duplicità che la caratterizzava nel pensiero speculativo, in quanto
essa non doveva essere solo un metodo, ma
anche una struttura interna al reale.»
La questione del metodo dialettico, che
secondo Theunissen guida il procedimento della Malattia mortale, concerne anche
il rapporto tra antropologia e teologia nel
testo kierkegaardiano: «La concezione
complessiva è costruita dialetticamente in
quanto è solo la seconda parte (dello scritto kierkegaardiano, NdR) che tematizza le
PROSPETTIVE DI RICERCA
Max Ernst, Untitled, 1920
all’inizio.» Alla luce dell’argomentazione
della seconda parte, risulta così chiaro che
anche le affermazioni in apparenza puramente antropologiche dell’esposizione
vanno lette teologicamente. M.M.
Il filosofale e il filosofico
«Tra l’alchimia e la cultura dell’Occidente ci sarebbe una così essenziale
comunanza di destino che l’apparente
cancellazione dell’una corrisponde in
profondità al declino dell’altra»: a partire dalla rilevazione di questo rapporto originario, lo studio di Françoise
Bonardel, PHILOSOPHIE DE L’ALCHIMIE (Filosofia dell’alchimia, PUF, Paris 1993)
tenta di riannodare i legami tra la tradizione alchemica e il pensiero razionale. Da segnalare, in questo stesso
contesto di riflessione, un saggio di
Loup Verlet, LA MALLE DE NEWTON (Il
baule di Newton, Gallimard, Paris
1993), che ci presenta un ritratto piuttosto inedito del grande scienziato,
impenitente alchimista e mago.
Oblio o rimozione che sia, il pensiero
filosofico ha proceduto a estirpare dalla
propria storia la tradizione alchemica, senza neppure «riconoscere il ruolo che sarebbe giusto ascrivere alla vasta corrente
della Naturphilosophie, i cui legami con
l’antica alchimia restano stretti». Per
Françoise Bonardel non si tratta soltanto
di riprendere il filo alchemico che attraversa il pensiero di filosofi, artisti, scrittori
- di una parte notevolissima della cultura
europea - quanto piuttosto di riproporre
alla comprensione il modello di una razionalità diversa, liberata innanzitutto da quella patente di irrazionalismo che le viene
attribuita da una razionalità considerata
integrale. Restituire uno statuto filosofico
di autentico lignaggio all’alchimia significherebbe dar voce ad una tradizione che
mantiene un potenziale di pensiero ancora
intatto, ma che rimane tanto più oscuro
quanto meno è indagato. Una risposta incoraggiante ci viene per il momento dalla
recente pubblicazione degli scritti di Nicolas Flamel (1330-1418), celebre alchimista francese, che Didier Kahn ha raccolto nel volume: Ecrits alchimiques (Scritti di alchimia, Belles Lettres, Paris 1993).
Bonardel ritiene che l’eredità culturale e
spirituale dell’alchimia possa ancora dare
filosoficamente “a pensare” e persino indicare una strada verso “una ermeneutica
d’ispirazione filosofale”. Il pensiero ermetico ha cercato il segreto della “congiunzione” tra Uno e Molteplice, Identità
e Differenza, macrocosmo e microcosmo,
seguendo percorsi che si sono incrociati
con quelli della ragione filosofica all’insegna della diffidenza. Tra i motivi di questa
39
ostilità c’è in primo luogo la non trascurabile convinzione che la ratio si sia costituita e abbia approntato i suoi modelli conoscitivi proprio attraverso la lotta contro i
saperi magico-simbolici, caratterizzati da
una comunicazione iniziatica. L’alchimia
pone un parallelismo tra “ciò che sta in
basso e ciò che sta in alto”, tra sfera psichica e animus mundi: diventano inscindibili
l’aspetto operativo e il momento teoretico,
entrambi raccolti in un’esperienza gnoseologico-religiosa di purificazione (l’oratorio), che mette in contatto l’alchimista
col ritmo universale e gli consente di intervenire armonicamente nei moti di trasformazione della natura. E’ dunque il carattere sacrale e iniziatico della disciplina alchemica a rendere difficile il dialogo sottolinea Bonardel - «a causa tanto del
senso del segreto iniziatico, quanto dell’impotenza a trasporre verbalmente il lavoro effettuato sulla materia». E tuttavia,
nel progetto di questo lavoro, per ristabilire lo «spazio comune» tra filosofale e
filosofico, appare indispensabile procedere ad un’opera di traduzione degli arcani
del linguaggio alchemico. Sembrerebbe
questa l’unica strada per arrivare alla “pietra filosofale”, al nucleo epistemologico di
un sapere che proclama l’opacità della parola e la trasparenza, l’operante verità dell’ineffabile.
La presenza di un rapporto originario tra la
conoscenza esoterica e l’indagine scienti-
PROSPETTIVE DI RICERCA
fica trova un esempio impareggiabile nell’opera di Isac Newton, al centro dell’analisi di Loup Verlet, La malle de Newton.
La malle, ovvero il baule in questione, è
quello nel quale il grande fisico inglese ha
chiuso i propri manoscritti prima di morire. Sottratti all’attenzione degli studiosi,
questi scritti sono stati riscoperti da Keynes nel 1936. Si tratta di studi di esegesi
biblica, di lavori sull’alchimia e sulla magia che dimostrano come «il primo dei
fisici sia stato contemporaneamente l’ultimo dei maghi». Per convalidare questa
tesi, Verlet utilizza, accanto agli strumenti
dell’indagine storica e dell’epistemologia,
quelli della psicoanalisi. Una lettura che
interpreta il “caso Newton” come un momento di particolare evidenza del paradosso costitutivo di ogni rivoluzione scientifica, che consiste nel «nascondimento della
discontinuità fondatrice». Con ciò si vuol
dire che se le grandi svolte della scienza
avvengono attraverso una improvvisa mutazione che introduce dei principi incompatibili con il sistema precedente, la comunità degli scienziati ha finora vissuto nella
rimozione della propria storia, fornendone
una versione dove sono escluse le rotture.
Utilizzando come metafora il caso dei
manoscritti celati di Newton, Verlet afferma allora che «la scienza moderna si costituisce e si sviluppa a partire dalla chiusura
del baule, mettendo da parte e squalificando il suo contenuto».
Accanto ad una geniale produzione scientifica, Newton ha perseguito fino agli ultimi giorni un programma di esegesi dei
testi sacri che mirava ad apprendere il
«linguaggio mistico» dei profeti per giungere alla comprensione della parola stessa
di Dio. Dopo anni di studi egli ha creduto
di interpretare nelle profezie bibliche l’annuncio dell’imminente fine del mondo,
espresso in una cifra del tutto differente
dal “linguaggio strumentale” della scienza. Resta che tutte queste conclusioni, assieme alle carte dove sono testimoniate,
sono state chiuse da Newton nel famoso
baule. L’atto di chiudere in uno scrigno
una tale conoscenza dovrebbe così avere il
significato di affermare l’autonomia formale dell’indagine scientifica, mentre denuncia - secondo l’analisi di Verlet - la
presenza di un rapporto di competizione e
di suggestione ideale nei confronti di questo programma di interpretazione dei testi
biblici.
In un quadro storico dove ancora si consuma la lotta tra spirito della Riforma e della
Controriforma mentre si annunciano gli
albori del processo di “disincantamento
del mondo”, la paradossale intenzione di
Newton sarebbe quella di dimostrare l’opera di Dio nelle cose rinunciando al miracolo dell’Eucarestia. Il nuovo modello della
scienza, che fornisce una spiegazione degli eventi, dove sembra escluso qualsiasi
intervento divino, rimanda ad una nozione
di esperienza che rappresenta al contrario il
segno del favore accordato da Dio all’essere
fornito di conoscenza, che assegna «all’uomo il mezzo privilegiato di avvicinarsi a Lui
nella misura possibile». Nella loro formulazione matematica le leggi della gravitazione
universale devono pertanto essere considerate come l’autentica espressione del Verbo
«poiché esse non sono immanenti al mondo,
ma esprimono la maniera in cui Dio si
incarna». La matematizzazione del reale,
che il modello newtoniano ha posto alla
base della scienza moderna, sembrerebbe
così trovare un proprio momento genetico
all’interno di una problematica religiosa
che si ispira e non disdegna di cercare
risposte nei saperi prescientifici. E.N.
Nietzsche e il nichilismo
Nello studio
FRIEDRICH NIETZSCHES PHI-
LOSOPHIE DES EUROPÄISCHEN NIHILISMUS
(La filosofia nietzscheana del nichilismo europeo, De Gruyter, Berlino
199 2) Eli sab eth Ku hn pr opo ne
un’analisi filologica delle fonti e dell’evoluzione del concetto di nichilismo in Nietzsche, e ne mette in luce
la funzione all’interno dell’edificio
complessivo della sua filosofia.
In un aforisma della Gaia scienza Nietzsche si vantava polemicamente di non essere uno di quegli studiosi eruditi che,
seduti al tavolo da lavoro e circondati da
carte polverose, trovano lo stimolo alla
scrittura in libri di altri. Eppure oggi sappiamo, grazie alla studio filologico dell’opera nietzscheana, quanti stimoli Nietzsche abbia trovato in testi di altri autori e
pensatori, anche se, appunto, non nel modo
dello studioso che cita e critica le fonti, ma
nel senso “corsaro” del Freigeist, che piega frasi e formulazioni concettuali di altri
scrittori al fine di esprimere il proprio
pensiero.
A un’analisi filologica che mette in luce le
fonti del concetto di nichilismo in Nietzsche è dedicato questo studio di Elisabeth
Kuhn. L’autrice si riferisce a un’espressione polemica dello stesso Nietzsche contro la “tirannia dei concetti ‘eterni’, e indica come proprio la concezione storica e
prospettivistica che Nietzsche ha della concettualità giustifichi un approccio “storico-evolutivo” alla sua filosofia. Un approccio di questo tipo, che va alla ricerca
delle trasformazioni subite da un concetto
all’interno dell’evoluzione dell’opera di
un filosofo, appare particolarmente opportuno per quanto riguarda il multiforme
concetto di nichilismo, che costituisce una
delle chiavi di lettura fondamentali del
pensiero nietzscheano.
Kuhn propone anzitutto un’analisi delle
fonti del concetto di nichilismo, per giungere in conclusione a una descrizione, condotta in una prospettiva sistematica, dell’ambito e della funzione del nichilismo
nella filosofia di Nietzsche. La studiosa
collega così la storia del concetto di nichilismo - dalla sua “ricezione” da parte di
Nietzsche nel 1880, al suo sviluppo, fino al
40
suo abbandono nel contesto del progetto
della “volontà di potenza” del 1888 - alla
costruzione nietzscheana della storia del
pensiero europeo, da Platone allo stesso
Nietzsche a un avvenire che è quello del
nichilismo compiuto e dell’avvento dell’
“oltre-uomo”.
Una delle fonti principali del concetto di
nichilismo è per Kuhn la traduzione francese del romanzo di Turgenjev Padri e
figli, dove uno dei personaggi afferma:
«Un nichilista è un uomo che non si piega
a nessuna autorità, che non accetta nessun
principio senza una prova, per quanto grande sia anche il rispetto con cui questo
principio viene riconosciuto.» Quella che
da Turgenjev viene descritta come una
posizione politica nella cultura russa della
metà del secolo XIX, diventa in Nietzsche
la caratteristica di tutta la cultura occidentale, intesa come uno sviluppo del nichilismo, della décadence. Il pensiero nichilistico è per Nietzsche, scrive Kuhn, «la
trasfigurazione di concetti contrari alla
vita in valori più elevati», la trasformazione del Nulla nel Vero, nel Divino, nel
Buono. Kuhn mostra come per Nietzsche
questo atteggiamento abbia compenetrato
tutti gli ambiti della cultura occidentale:
dal concetto platonico-cristiano di Dio alla
morale, dalla filosofia alle scienze della
natura, dall’economia alle scienze storiche. Anche l’arte - che nei primi scritti di
Nietzsche (si pensi alla Nascita della tragedia) assume un valore positivo e viene
contrapposta, in quanto affermazione della vita, a quella che in seguito diventerà la
sua negazione nichilistica - non sfugge a
questo processo. E anche Nietzsche - che
si sentiva parte dello sviluppo della décadence - definirà le proprie opere giovanili
come una «metafisica da artisti». Da questo processo di affermazione del nichilismo (a cui consegue quell’atteggiamento
di auto-commiserazione e di rimpianto per
una pienezza perduta dei valori, detto nichilismo “passivo”) Nietzsche contrappone la necessità di un nichilismo “attivo”,
che veda nella “trasvalutazione di tutti i
valori” una possibilità creativa e un ponte
verso l’“oltre-uomo”. In Spinoza, Kant,
Hegel e Schopenhauer, Nietzsche vede i
principali protagonisti filosofici di questo
processo e indica in se stesso il “primo
nichilista compiuto d’Europa”.
Kuhn prende talvolta troppo alla lettera (o
interpreta in maniera troppo fantasiosa!) il
suo autore: come quando, in un’appendice
al volume, viene indicato nel 2088 l’anno
del ritorno di Zarathustra, intendendo in
senso apocalittico l’espressione nietzscheana «Incipit philosophia. Incipit Zarathustra.» O quando considera l’affermazione
dell’“eterno ritorno dell’eguale” alla stregua di un “imperativo etico”.
Una questione fondamentale dello studio
di Kuhn è il rapporto di Nietzsche con
Hegel, che comprende la questione del
rapporto di Nietzsche con la tradizione
filosofica e con i suoi metodi. Kuhn mette
in discussione la tradizionale contrapposizione tra un Hegel filosofo sistematico e
NOTIZIARIO
Il pensiero e l’opera di HANS BLUMENBERG sono al centro di una
serie di convegni e seminari organizzati dal Centro culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena.
Apre la serie degli incontri (22 ottobre 1992) la presentazione della recente edizione italiana dell’opera di
Blumenberg, Passione secondo Matteo, con la partecipazione di Sergio
Givone, Pierangelo Sequeri, Carlo
Gentili. Seguirà un Seminario di studio dal titolo: “Hans Blumenberg.
Metafora, mito, modernità”, che prevede interventi di Vincenzo Vitiello
(19 gennaio 1994), Barnaba Maj (16
febbraio 1994), Michele Cometa (2
marzo 1994), Bruno Accarino (23
marzo 1994). Concluderà le manifestazioni dedicate al filosofo una “Giornata di studio su Blumenberg” (10
maggio 1994), con la partecipazione
di Remo Bodei, Gianni Carchia, Pier
Aldo Rovatti, Francesca Rigotti. Presso il Centro culturale è disponibile
una bibliografia completa primaria e
secondaria su Hans Blumenberg.
Nel sanmarinese CENTER FOR
INTERDISCIPLINARY RESEARCH
ON SOCIAL STRESS (CIROSS),
viene sviluppato un progetto di ricerca sulla guerra con l’obiettivo di porre in prospettiva le variabili socioculturali che rendono probabile lo
scoppio di una guerra e delineare, a
vantaggio di governanti e politici di
opposizione, quali passi siano da
prendere per tenere sotto controllo
queste variabili. La scelta di occuparsi di “tensioni sociali” corrisponde al bisogno, sentito come urgente,
di individuare le forze e le pressioni,
che agendo sulle strutture sociali,
viste come intero, provocano rotture
sia a livello di gruppi sia a livello di
individui.
Dall’anno della sua fondazione nel
1991, nel CIROSS si è aperto un
confronto, tenuto vivo dal generoso
quanto infaticabile apporto di Giorgio Ausenda, tra antropologi, sociologhi, storici e filosofi. Il primo volume pubblicato dal CIROSS, Effects
of War on Society (Gli effetti della
guerra sulle società, a cura di Giorgio
Ausenda, AIEP Editore, San Marino
1992), raccoglie contributi di Airat
Aklaev (Mosca), Giorgio Ausenda
(San Marino), Robert L. Carneiro
(New York), T.J. Cornell (London),
Cristopher Dandeker (London), R.
Brian Ferguson (Newark NJ), Keith
Hopkins (Cambridge), David Lester
(Blackwood NJ), Riccardo Pozzo
(Milano/Trier), Karen A. Rasler
(Bloomington NY), Nikolai Rudensky (Mosca), Joseph A. Tainter (Corrales NM), Philipp M. Taylor (Leeds), William Thompson (Bloomington NY). Tesi di fondo di questa
raccolta di studi è che ogni dibattito
su pace e conflitti, ogni dotta dissertazione polemologica continuerà a
restare speculazione a meno che non
vengano suffragate da fatti empiricamente verificabili: per meglio scoprire le cause della guerra si deve muovere dall’individuazione degli effetti,
NOTIZIARIO
e in particolare degli effetti sulla società. Gli effetti socioculturali, infatti, possono essere visti come soluzioni per certe condizioni, che, una volta
realizzate, conducono a guerre. Da
qui l’invito a studiare temi quali, ad
esempio, le conseguenze propriamente evolutive della guerra, il suo ruolo
nello sviluppo politico, non solo rispetto al problema della nazionalità e
delle etnie, ma anche alle comunicazioni, ai costi economici, e certamente, alla violenza personale.
Questa idea si lascia chiarire con due
esempi più specificamente filosofici:
basta leggere il frammento B 56 di
Eraclito («la guerra è il padre di tutte
le cose...») secondo il suo senso letterale per rendersi conto che il filosofo
di Efeso pone l’accento sugli effetti
(«...e alcune le mostra come dèi, altre
come uomini; qualcuno lo fa schiavo
e gli altri liberi»). Già Eraclito, dunque, aveva visto la guerra come il
fattore principale che determina la
stratificazione sociale, che provoca
rapidi mutamenti in tutte le situazioni
sociali, che scandisce il mutamento
sociale. D’altra parte, anche Kant in
Per la pace perpetua, discutendo della «garanzia della pace perpetua»
aveva riconosciuto come nella «discordia tra gli uomini», le cui leggi di
effettuazione (Wirkungsgesetze) paiono rimandare come loro causa a un
“destino” per noi inconoscibile, si
dimostri, attraverso i suoi effetti, parte di un disegno teleologico, che Kant
chiama “natura”.
Società Filosofica Italiana
Convegno Nazionale 1993
Organizzato dalla Sezione
trevigiana della S.F.I.
LA DIDATTICA
DELLA FILOSOFIA
Treviso,
25-26-27 novembre 1993
Palazzo dei Trecento
Casa dei Carraresi
Istituto Magistrale
Duca degli Abruzzi
L’attualità del saggio di Kant del 1795,
Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua), confermata ogni giorno dalle
notizie dei giornali e delle televisioni,
ha sollecitato due registi produttori
cinematografici e televisivi, Franca
nell’Università
e nella Scuola secondaria
superiore
Maranto e Santi Flavio Colonna, ad
impegnarsi nell’elaborazione del progetto PER LA PACE PERPETUA KANT: UN’IDEA DALL’EUROPA.
Il progetto si propone di fare della
ricorrenza del secondo centenario
della pubblicazione del testo kantiano, nel 1995, un’occasione per riflettere sui problemi dell’umanità di oggi
alla luce del pensiero di Kant. E di far
partire dalla cultura europea e dall’Europa tutta un invito al mondo a
cercare la Pace e l’Unità alla luce
della ragione.
Il progetto è stato presentato a Roma
alla stampa mondiale dai due attori e
dai filosofi Norbert Hinske e Vittorio
Mathieu, che fanno parte del comitato promotore assieme a Pietro Adonnino, Reinhard Brandt, Giovanni
Conso, Maria Teresa Gentile, Antonio Landolfi, Rudolf Malter, Silvestro Marcucci e Gerardo Marotta.
Il progetto, che ha raccolto consensi e
autorevoli adesioni (Parlamento Europeo, Consiglio d’Europa, UER
ecc.), prevede, nella sua articolata
complessità (si muove con diversi
mezzi su più piani: accademico, scolastico, popolare), convegni di studio, incontri, ricerche, pubblicazioni
e iniziative audiovisive. Gli autori del
progetto stanno preparando uno sceneggiato televisivo “Immanuel - nascita di un mondo nuovo”, un film di
carattere spettacolare, “Il cielo stellato sopra di me...”, un CDI e trasmissioni radiofoniche. Le manifestazioni si concluderanno a Venezia (San
Giorgio Maggiore, Fondazione Cini)
con una settimana di celebrazioni
(l’ultima dell’ottobre 1995) sul tema:
“La pace: un impegno categorico”.
Poiché nella ricorrenza kantiana si
può prevedere che saranno intraprese
iniziative culturali su Kant e la sua
opera e sulla pace in generale, si invita vivamente a darne notizia al Comitato per le celebrazioni kantiane c/o
Etnea Film, via Monte Zebio 19, I00195 Roma, che provvederà a curare la pubblicazione di un Index celebrationis che le conterrà tutte. L’Index celebrationis verrà consegnato al
Segretario Generale dell’ONU nel
corso della serata conclusiva.
25 novembre
ore 9.00 : G. Giannantoni, A. Sgherri, L. Vigone
ore 15.00: E. Serravalle, D. Massaro
ore 17.00: laboratori
26 novembre
ore 9.00: C. Sini, R. Parascandolo
ore 11.00 e ore 15.00: laboratori
ore 18.00: assemblea soci S.F.I.
27 novembre
ore 10.00: tavola rotonda con la partecipazione di
T. De Mauro, S. Veca, C. Quarenghi, R. Di Nubila
Partecipano ai laboratori:
G. Casertano, A. Sgherri,
P. Biancardi, C. Lazzerini,
E. Berti, E. De Palma,
L. Tarca.
Segreteria e informazioni:
S.F.I. Sezione trevigiana,
c/o Ist. Magistrale Duca degli Abruzzi, via Caccianiga 5, 31100 Treviso,
tel. 0422-262874/53304/383562,
tel. e fax. 0422-490202
41
Nel marzo 1993 è stata fondata la
DEUTSCHE GESELLSCHAFT FÜR
ÄSTHETIK . Come suo primo presi-
dente è stato eletto Jörg Zimmermann (Hannover). Il primo convegno
della società avrà luogo a Hannover
dal 10 al 13 marzo 1994 e avrà come
tema: “Estetica ed esperienza della
natura”. Parallelamente al convegno
verrà allestita allo Sprengel Museum
di Hannover una mostra dal titolo:
“La scoperta della natura”. Ulteriori
informazioni potranno essere richieste direttamente alla Deutsche Gesellschaft für Ästhetik (Fachhochschule
Hannover, Herrenhäuser Str. 8, 30419
Hannover).
CONVEGNI E SEMINARI
Piero Martinetti
42
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Cinquantenario della morte
di Martinetti
Il 22 marzo 1993 si è svolta a Torino
una giornata di studio su PIERO MARTINETTI NEL CINQUANTENARIO DELLA MORTE. Il
convegno, presieduto da Italo Lana,
presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino, Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano, è stato organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino,
dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal Dipartimento di Filosofia
dell’Università di Torino. Tra i partecipanti: Norberto Bobbio, Girolamo De
Liguori, Stefano Poggi, Massimo Ferrari, Dino Pastine, Mario Miegge, Amedeo Vigorelli, Franco Alessio.
Norberto Bobbio ha introdotto i lavori
della giornata ricordando il rapporto affettivo e il debito intellettuale e morale che,
nonostante la distanza filosofica e la diversità delle elaborazioni, legava Augusto Del
Noce, Ludovico Geymonat e Luigi Pareyson a Piero Martinetti. Pur non avendo
mai insegnato all’Università di Torino, Martinetti, ha notato Bobbio, è stato considerato, al di là di Croce e di Gentile, un modello
per la società filosofica torinese della prima metà del ‘900. Bobbio ha letto, inoltre,
alcune pagine martinettiane inedite sulle
carceri, scritte nel 1935 dopo l’arresto in
casa Solari, durante una retata degli appartenenti, o presunti tali, al movimento Giustizia e Libertà. I rapporti tra Martinetti e la
Torino accademica di fine secolo sono stati
invece illustrati da Girolamo De Liguori.
Martinetti, infatti, studiò filosofia a Torino; suoi professori furono, fra gli altri,
Roberto Bobba, Pasquale D’Ercole, Giuseppe Allievo, Paolo Raffaele Troiano e
Arturo Graf, che erano impegnati, da una
parte, nell’elaborazione di una filosofia
consapevole del proprio compito religioso,
dall’altra nella definizione del rapporto tra
la tradizione filosofica italiana e l’idealismo tedesco.
Nel luglio del 1893 Martinetti si laureò con
una tesi sul sistema Sankhya. A questo
proposito Dino Pastine ha evidenziato la
preferenza accordata da Martinetti a questo
sistema e la sua impossibilità ad avvicinarsi al Buddhismo Mahayana a causa dell’av-
versione nei confronti di ogni forma confessionale di manifestazione religiosa. La
singolarità della posizione martinettiana è
stata riconosciuta nel contributo che apporta a sfatare i pregiudizi e le deformazioni
indotte dal mito indiano diffuso nella cultura romantica tedesca; il suo limite, invece,
è stato rilevato nella sostituzione del mito
romantico con quello, peraltro diffuso nella cultura del tempo di Martinetti, di una
remota purezza dell’India classica, in contrapposizione alla corruzione dei costumi e
della lingua dell’India moderna.
Per ciò che riguarda il riferimento martinettiano alla filosofia tedesca, Stefano
Poggi, svolgendo un esame dei capisaldi
della teoria gnoseologica di Martinetti, con
particolare riferimento alla sua prima opera sistematica, Introduzione alla metafisica, del 1904, e agli Scritti di metafisica e di
filosofia della religione, pubblicati nel 1976
a cura di E. Agazzi, ha sottolineato una
forte dipendenza e, nel contempo, una distanza di Martinetti da alcuni autori tedeschi. In particolare, è stato evidenziato come
l’elaborazione della posizione coscienzialista di Martinetti dipenda dal pensiero di
Lotze, da lui conosciuto nella traduzione
francese. In Lotze Martinetti troverebbe,
infatti, una posizione che nasce dalle scienze empiriche, ma è antimaterialista e recupera la concezione leibniziana dell’io come
appercezione. L’esame del problema della
causalità permette, inoltre, di considerare
la distanza di Martinetti dalla soluzione
kantiana, la sua critica alle posizioni di
Mach e Avenarius e la sua vicinanza, attraverso Lotze, a Herbart.
Su alcuni temi e motivi dell’Introduzione
alla metafisica, anche se da una prospettiva
diversa in quanto rivolta specificatamente
all’esame della posizione metafisica di
Martinetti, si è soffermato anche Franco
Alessio. La figura di conoscenza proposta
da Martinetti, nel suo aspetto di processo di
unificazione obiettivo ma relativo, fa trasparire da una parte una ripresa della visione di Leibniz, secondo la quale ogni unità
individuale è uno specchio che riflette il
mondo sotto un aspetto differente, dall’altra rimanda alla connessione spinoziana di
voluntas e intellectus. Quest’ultima si configura, allo stesso tempo, come un ripensamento del volontarismo schopenhaueria43
no. Il rapporto di Martinetti con Schopenhauer è stato ulteriormente messo in
luce nella considerazione dell’elaborazione metafisica nel decennio 1904-1914, con
particolare attenzione alle esposizioni martinettiane di Spinoza e Spir: la visione
metafisica martinettiana non è in tal senso
una costruzione astrattamente logica, poiché è sostenuta da un apriori, da una visione, da una intuizione geniale. In questa
direzione Alessio ha indagato il rapporto
metafisica-religione: in quanto la visione
metafisica è elevazione della coscienza, la
metafisica martinettiana assume il compito
e la funzione di rinnovamento della coscienza, ponendosi come uno strumento di
rottura nei confronti delle forme istituzionali e confessionali della vita religiosa: nel
conflitto tra le forme inferiori e quelle
superiori di religiosità riecheggia, ha notato Alessio, la distinzione kantiana tra falsa
e vera popolarità.
La ricezione, l’interpretazione e l’assunzione martinettiana di Kant sono state trattate, congiuntamente a quelle di Hegel, da
Massimo Ferrari. Lontano tanto dal neocriticismo quanto dalla lettura hegeliana di
Kant proposta da Spaventa e da Gentile,
Martinetti vede in Kant il padre della nuova
metafisica idealistica: egli riprenderebbe,
cioè, il Kant della Dialettica trascendentale e del rapporto tra ragion teoretica e
ragion pratica. La sistematizzazione della
interpretazione metafisica di Kant, quasi
sospesa - ha notato Ferrari - tra trascendentale e trascendente, risale ai corsi tenuti tra
il 1924 e il 1926. La preferenza accordata
alla Dialettica trascendentale dipende dal
fatto che qui Martinetti trova la teoria kantiana della ragione come facoltà dell’assoluto, cioè come facoltà religiosa che si
dischiude alla sintesi definitiva a cui aspira
il bisogno metafisico dell’uomo. In questo
percorso è stato altresì notato come l’accentuazione dell’elemento metafisico-morale conduca Martinetti a leggere Kant in
una direzione in cui sembra impossibile
sostenere una morale autonoma dalla vita
religiosa. Il rapporto di Martinetti con Hegel è invece polemico: la critica a quello
che Martinetti chiama il “metodo” dialettico, l’attacco, nella ripresa della riflessione
di Pietro Ceretti, alla triade idea-naturaspirito e la serrata confutazione dell’Asso-
CONVEGNI E SEMINARI
luto hegeliano conducono Martinetti, alla
fine dell’Introduzione alla metafisica, a
metter da parte la filosofia hegeliana. L’interesse di Martinetti va, tuttavia, alle pagine dell’Enciclopedia dedicate alla psicologia, allo Hegel politico, di cui il filosofo
apprezza la critica del liberalismo in nome
di una superiore concezione dello Stato
come volontà morale, che solleva le volontà particolari al piano dell’universalità. A
questo proposito, Ferrari ha però evidenziato alcuni rilievi critici mossi da Martinetti a Hegel, riassumibili nel rimprovero,
da un lato, di aver frainteso la morale kantiana, dall’altro di non aver inteso lo Stato
come uno strumento al servizio dell’attività morale. Ferrari ha notato, inoltre, che la
simpatia di Martinetti va allo Hegel delle
Lezioni sulla filosofia della religione, nonostante egli individui l’esito e il limite
della posizione hegeliana nella umanizzazione della religione come momento dell’Assoluto.
La riflessione martinettiana specificatamente rivolta alla religione è stato il tema delle
relazioni di Mario Miegge e Amedeo Vigorelli, che si sono soffermati rispettivamente
sul rapporto di Martinetti con la teologia
protestante e sull’interpretazione martinettiana del Cristianesimo. L’intento di Mario Miegge è stato quello di indagare le
aree culturali in cui avviene l’incontro di
Martinetti con il protestantesimo e il taglio
teorico di questo interesse. In questa prospettiva di ricerca sono stati considerati i
rapporti di Martinetti con l’ambito degli
studi biblici sul Nuovo Testamento, con
quello degli studi sulla storia del Cristianesimo e, infine, la riflessione martinettiana
su Monod e su Barth. E’ emerso come il
rifiuto della cristologia della Formgeschichte possa essere letto come il rifiuto stesso
della teologia cristiana, a partire dall’assunzione della kantiana Religione nei limiti
della pura ragione quale modello critico
delle religioni, nell’ipotesi che proprio l’interpretazione martinettiana della posizione
kantiana sulla religione possa rappresentare il vero aggancio di Martinetti con il
protestantesimo. Il confronto del filosofo
con Monod e Barth è stato delineato dettagliatamente nei suoi momenti di dissenso:
Miegge ha evidenziato come Martinetti
attacchi il dualismo di entrambi i teologi,
ravvisando in esso un carattere di incoerenza e una articolazione irrazionale.
Relativamente all’interpretazione martinettiana del Cristianesimo, Amedeo Vigorelli
ha sottolineato come questa si svolga nel
senso di un approfondimento che va da una
lettura storica a una lettura simbolica. L’incontro con il Cristo della storia libera, cioè,
il senso spirituale della fede dalle incrostazioni mitologiche cui va incontro la religione nel suo processo di paganizzazione;
tuttavia affinché la coscienza possa conservare il senso spirituale del simbolismo religioso è richiesta la concomitante opera
della ragione filosofica. Da parte di Martinetti c’è infatti la rivendicazione, ha
notato Vigorelli, di un unico piano del
discorso tra fede e ragione, la cui unità si
situa non a livello di una violenta pretesa
razionalistica, bensì di una comune valenza simbolica. C.F.
Heidegger in discussione
In occasione della presentazione del
volume HEIDEGGER IN DISCUSSIONE (a cura
di Franco Bianco, Angeli, Milano 1992),
che raccoglie il testo delle relazioni
presentate al convegno “L’eredità di
Heidegger” (maggio 1989), il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane della III Università degli Studi di Roma ha organizzato il 28 gennaio 1993, presso la sede del GoetheInstitut di Roma, un dibattito, cui hanno partecipato Franco Bianco, Domenico Losurdo, Otto Pöggeler, Carlo Sini.
Il volume Heidegger in discussione si articola in quattro sezioni che, della multiforme eredità heideggeriana, tematizzano rispettivamente la riflessione sulla prassi, la
questione del rapporto fra logos e soggettività, il confronto con la tradizione e la
critica della modernità e, infine, l’orizzonte religioso della speculazione heideggeriana. Come ha rilevato Franco Bianco, la
raccolta di testi Heidegger in discussione
intende stabilire lo status quaestionis del
dibattito su Heidegger in una prospettiva
unitaria, che non si limiti ad approcci settoriali: tale è appunto la finalità delle quattro
“chiavi di accesso” proposte dal volume. Il
dibattito italiano su Heidegger dell’ultimo
ventennio, nella contrapposizione fra “heideggeriani” e “antiheideggeriani”, tra apologeti e detrattori, ha perso di vista, secondo Bianco, le valenze “pratiche” della filosofia heideggeriana con la rimozione, o la
non corretta valutazione, della “questione
politica”.
Questo approccio è stato condiviso da Carlo Sini, che ha rivolto in particolare la
propria attenzione a uno dei saggi contenuti nel volume, quello di Klaus Held, dedicato alle “tonalità emotive fondamentali” della
fenomenologia heideggeriana. Nella lettura di Held, che interpreta Heidegger attraverso le dimensioni dell’arte, della filosofia e della politica, Sini ha rilevato come il
tema dell’ “oblio dell’essere” si moduli,
per i pochi che sanno coglierlo (quali i
poeti), come senso del mistero e, da qui,
come possibilità di un “nuovo inizio”. Quest’ultimo si fonda sull’esperienza di un
evento dischiuso da una “tonalità emotiva
fondamentale”, che rende chiara l’ “indigenza abissale” in cui è collocato l’uomo
nell’età della tecnica. Questa tonalità si
determina in Heidegger come silenzio: il
“nuovo inizio” non è dunque, ab origine,
una parola salvifica, bensì un ammutolimento. Tuttavia, secondo Held, non si indi44
vidua così il “vero inizio”; se per Heidegger occorre lasciare a se stesse, per un
nuovo inizio, filosofia, arte e politica (democrazia) moderne, per Held ciò è dovuto
a un’inadeguata comprensione di queste
declinazioni dell’oblio dell’essere. In particolare, la democrazia, e non l’“essere per
la morte”, garantisce sempre la possibilità
di un “nuovo inizio”, cioè l’apertura di
nuovi discorsi. La democrazia è lo spazio
dove si apre la possibilità di reiterare il
“nuovo inizio”, di fondare le proprie posizioni, nel senso del “dare ragione” di esse.
Di questa interpretazione Sini ha evidenziato due punti critici: l’incapacità della
filosofia di accettarsi come pratica finita, e
il suo porsi invece, nella sua pretesa di
verità, come pratica universale. Al contrario, ha osservato Sini, l’ “universalità” della filosofia consiste in una “particolarità”;
anche il logos greco, in quanto logon didonai, “dare ragione”, la visione “istoriale”, e
con essa la storia e le sue concrezioni, fra le
quali la democrazia, non sfuggono per Sini,
contro Held, a questa condizione.
Nel suo intervento Otto Pöggeler ha invece ricondotto la pluralità dei punti di vista
che caratterizza i saggi della raccolta Heidegger in discussione alla voluta asistematicità e contraddittorietà del pensiero heideggeriano. La continua richiesta di risposte a questioni fondamentali e il carattere
contingente delle lezioni a cui Heidegger
affidò il suo pensiero renderebbero di fatto
impossibile un’esposizione oggettiva di
questo pensiero e ne moltiplicherebbero le
interpretazioni. Di qui, ha notato Pöggeler,
il valore di questa raccolta, che intende
innanzitutto fornire prospettive di interpretazione, suggerendo motivi per un ulteriore
approfondimento ed esplorazione del pensiero heideggeriano, dalla tematica religiosa, in cui si intrecciano cattolicesimo, mistica e letture di Lutero, al ruolo della
dottrina dello sgomento come dottrina della tonalità emotiva fondamentale, al problema delle reciproche implicazioni di filosofia e politica. Inoltre, ha aggiunto Pöggeler, la ricerca del giusto accordo interiore
come condizione per il libero mostrarsi dei
fenomeni solleva a sua volta problematiche più o meno tradizionali, dalla natura
della caducità alla irrappresentabilità della
virtù, fino a ricondurre la Gestimmtheit
stessa a un groviglio di problemi, risolvibili solo sul piano dell’articolazione del discorso. Paradossalmente, ha rilevato Pöggeler, la distruzione dei propri manoscritti
avrebbe permesso a Heidegger di esercitare il proprio influsso in modo più sottile e
incisivo. Ad esempio, il saggio di Manfred
Riedel contenuto nella raccolta, incentrato
sull’ermeneutica e la natura, mostra come
anche questo noto conoscitore di Aristotele
e Hegel, si sia lasciato condurre, a proposito di Heidegger, su una strada completamente diversa.
La questione dell’influenza di Heidegger
sul pensiero “di sinistra” (Derrida in primis) in Francia e in Italia, a dispetto del non
CONVEGNI E SEMINARI
occasionale legame del filosofo con il nazionalsocialismo, è stata messa in evidenza
da Domenico Losurdo. Esclusa la tesi di
uno Heidegger “impolitico”, Losurdo vede
al centro dell’attenzione del filosofo tedesco, per tutto l’arco della sua riflessione,
l’evento della prima guerra mondiale. Alcuni caposaldi del pensiero di Heidegger
(primo fra tutti, la determinazione dell’
“esserci per la morte”) vengono così ricondotti da Losurdo alla prospettiva della
Kriegsideologie tedesca da un lato, dove la
guerra è letta come una sorta di meditatio
mortis, e, dall’altro, alla confutazione della
parallela - e non meno barbarica - ideologia
della “crociata per la democrazia”, adottata
dall’Intesa. Il rifiuto heideggeriano della
democrazia nasce dal fatto che la democrazia, la retorica dei diritti dell’uomo, conducono al bellicismo, alla “mobilitazione totale”. Rifacendosi al rapporto intercorso
fra Heidegger e Jaspers, Losurdo ha sostenuto che il più vicino ad assumere le vesti
di ideologo di un determinato schieramento politico sia stato, tanto nel primo, quanto
nel secondo dopoguerra, più Jaspers che
Heidegger. Quest’ultimo, analogamente a
Carl Schmitt, appare piuttosto come il critico di un interventismo universalistico e
bellicista: in altri termini, Heidegger appare come un critico, ante factum, dell’ideologia democraticista e universalista che si
traduce nella guerra di sterminio, e che sta
alla base della recente retorica sulla guerra
del Golfo. Errore di Heidegger, a parere di
Losurdo, è solo quello di identificare l’ideologia democratica con l’umanismo. F.C./
L.C.
Che ruolo ha la mente
nella Natura?
Con un incontro dal titolo:
SEMINARIO
SULLA FILOSOFIA DELLA MENTE DI DAVIDSON ,
si è concluso a Roma, il ciclo di lezioni
che Donald Davidson ha svolto dal 3
febbraio al 1 aprile all’Università “La
Sapienza” di Roma. I principali problemi affrontati da Davidson nelle sue
lezioni sono stati quelli riguardanti la
descrizione degli eventi mentali, la possibilità della conoscenza, la nascita e
la natura del linguaggio.
Gli argomenti fondamentali che la filosofia
tratta da secoli sono in fondo riducibili a
due classi di problemi che da sempre si
pongono all’uomo in modo naturale: qual è
la realtà ultima del mondo che ci circonda?
Qual è la natura dei procedimenti mentali
che ci permettono di conoscere e comunicare? Metafisica, filosofia della natura,
psicologia, filosofia analitica e filosofia
della mente hanno cercato nel corso dei
secoli di sviluppare nuove prospettive atte
a fornire gli strumenti per risolvere questi
quesiti, tanto che sorge il dubbio che tali
quesiti non solo non possano mai avere una
risposta univoca, ma, nella loro sistematizzazione, non permettano neanche l’acquisizione di risultati parziali saldamente giustificati. Su questi argomenti, Donald Davidson ha riassunto nelle sue lezioni i risultati a cui lo ha condotto una riflessione che
dura da decenni, resa pubblica nei suoi
saggi più importanti, raccolti nei due volumi Actions and Events del 1980 (Azioni ed
eventi, trad. it. di R. Brigati, a cura di E.
Picardi, Il Mulino, Bologna 1992) e Inquiries into Truth and Interpretation (Indagini
su verità e interpretazione) del 1984, di
prossima pubblicazione in Italia.
Nelle sue concezioni Davidson si discosta
innanzitutto da quelle che sono state definite le pretese degli «scienziati che filosofeggiano e [dei] filosofi che si atteggiano a
scienziati della natura.» Programmatica è
dunque l’intenzione di Davidson di non
servirsi dei risultati delle scienze naturali e
psicologiche per conseguire le sue risposte, per non cadere appunto nel ben noto
circolo vizioso per cui le spiegazioni degli
eventi mentali si fondano su risultati teorici
specifici conseguiti a prescindere dagli stessi eventi mentali di cui vien data giustificazione. La difesa della non-riducibilità dell’evento mentale da quello fisico, punto di
partenza nella descrizione degli eventi
mentali, è invece per Davidson una condizione che deve essere rispettata in ogni
trattazione di problemi cognitivi. In questo
si può scorgere la difesa di una certa visione riduzionista della natura, la difesa delle
descrizioni causali, materialistiche. Quello
che Davidson rifiuta, però, è l’uso di
riduzioni esplicative, cioè l’equivalenza
tra leggi che gestiscono le connessioni
tra i fenomeni mentali e quelle che descrivono i fatti della natura; se questo
fosse possibile allora la spiegazione dei
fenomeni mentali sarebbe necessariamente dello stesso tipo di quelli fisici.
Solitamente queste riduzioni sono accompagnate da una sorta di riduzionismo ontologico: una forma di monismo.
Chi lega queste spiegazioni a una forma
di monismo è considerato monista nomologico; chi, come Davidson, rifiuta
questo legame si definisce monista anomalo.
Il monismo anomalo di Davidson si basa su
tre principi fondamentali: gli eventi mentali sono correlati causalmente a eventi fisici;
le singole relazioni causali sono descritte
da leggi deterministiche; non ci sono leggi
deterministiche per eventi psicofisici. A
questi tre punti Davidson aggiunge un’ulteriore condizione: gli eventi mentali sono
supervinients (sopravvenienti) al loro sostrato fisico. Supervinient è, per esempio,
un qualunque termine valutativo, che non
si può ricondurre, pur dipendendo da essi,
alla pura somma dei termini descrittivi che
lo determinano. In questa sua concezione
Davidson rifiuta qualsiasi forma di dualismo cartesiano e ribadisce che le unità che
vengono trattate all’interno di una teoria
45
della conoscenza sono unità psicofisiche.
Ogni evento mentale ha quindi una dipendenza necessaria da condizioni fisiche particolari, ma non è possibile descrivere gli
eventi mentali in funzione di questa base
fisica. Il che implica che un cambiamento
della base fisica ha conseguenze sulla natura degli eventi mentali ad essa associati; ma
significa anche che la causalità che governa il mondo degli eventi mentali è differente da quella espressa dalle strict laws, le
leggi deterministiche del mondo fisico.
Sono le regulative laws che vanno cercate
all’interno del mondo mentale, quelle riducibili a desideri e credenze, elementi ultimi
nella descrizione degli eventi mentali.
Questo risultato viene spiegato da Davidson con l’esempio della traduzione da parte
di un interprete del discorso di un parlante:
l’interprete può intendere il discorso del
parlante solamente applicando alle frasi di
questo le proprie categorie di coerenza e la
propria visione del mondo in base a ciò che
viene definito il principio di carità. In pratica, il criterio di verità applicato alle frasi
del parlante è riscontrabile nelle frasi dell’interprete; vi è cioè un carattere ricorsivo
del concetto di verità. In tale situazione,
l’unica oggettività con cui si ha a che fare
è la struttura astratta del linguaggio, quella
sintattica; ma da questa è impossibile risalire alle proprietà che gestiscono e giustificano i comportamenti del parlante. Si può
risalire ad essi solo tramite una separazione
nel linguaggio di frasi holding true, di
contenuti di credenza; una separazione resa
possibile grazie a categorizzazioni appartenenti all’interprete, essendo implicito
nella natura di un’azione intenzionale essere spiegabile tramite credenze e desideri.
Oltre alla caratteristica normativa e causale
dei concetti mentali, c’è un altro particolare che divide i concetti mentali da quelli di
tutte le altre scienze. Per non cadere in una
situazione di incomprensibilità sistematica, Davidson si appella a Wittgenstein e
alla sua affermazione dell’impossibilità di
un linguaggio privato. Secondo Wittgenstein il linguaggio è essenziale al pensiero:
non esiste un linguaggio privato in senso
assoluto, in quanto, fin dai primi anni di
vita, la formazione del nostro linguaggio,
la correttezza dell’uso del nostro linguaggio, proviene solo dal confronto con gli
altri. La natura del linguaggio è dunque
sociale. Il triangolo con a due vertici due
persone e all’altro gli oggetti del mondo
esterno è il fondamento necessario per qualsiasi tipo di apprendimento, linguistico e
mentale. Ai tre vertici del triangolo corrispondono tre tipi di conoscenza: la conoscenza di se stessi, quella di altri esseri
pensanti, la conoscenza del mondo esterno.
Il primo vertice, contrariamente a quanto
viene affermato dall’empirismo classico, è
ritenuto da Davidson il meno importante:
come punto di partenza, non è infatti necessaria l’analisi della soggettività pura, poiché se noi abbiamo coscienza del contenuto della nostra mente l’abbiamo solo grazie
CONVEGNI E SEMINARI
all’uso dei nostri sensi che ci permettono di
essere consci di ciò che si propone dall’esterno alla nostra coscienza. Siamo invece coscienti della presenza di altre menti
solo per inferenza da comportamenti simili
ai nostri comportamenti intelligenti, cioè
linguisticamente riconoscibili. Quindi è la
comunicazione che mi permette di distinguere gli oggetti del mondo esterno dalla
presenza di altre forme di vita intelligente.
La condizione è però che l’intenzionalità
del parlante renda il suo linguaggio accessibile agli altri.
Questo tipo di triangolazione, sebbene non
sia sufficiente per stabilire che una creatura
sia in grado di formare il concetto corrispondente al tipo di oggetto posto esternamente ad essa, è tuttavia necessaria, secondo Davidson, per rispondere alla domanda:
che cos’è un concetto? Da solo, un essere
senziente non potrà mai avere una prova
della validità delle sue percezioni e delle
sue risposte a determinati stimoli. Senza
una seconda persona non potrebbe esserci
alcuna risposta alla domanda: a che cosa sta
reagendo quella persona? La convivenza
con altre menti è dunque alla base della
conoscenza, poiché provvede a fornire le
misure di tutte le cose: il soggettivismo di
Protagora risulta qui rovesciato. M.P.
Luigi Stefanini:
personalismo ed esistenzialismo
Il quarantesimo anniversario della
pubblicazione del volume ESISTENZIALISMO ATEO ED ESISTENZIALISMO TEISTICO (Padova, 1952) di Luigi Stefanini ha costituito l’occasione per un colloquio di
studio sul complesso del pensiero stefaniniano, svoltosi il 4 marzo 1993 presso la sede dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, cui hanno
partecipato Giovanni Santinello, Giuseppe Cantillo, Giovanni Salmeri, Marco Ivaldo, Armando Rigobello e Giuseppe Patella.
Ha aperto i lavori la relazione di Giovanni
Santinello, che si è soffermato sulle nozioni di scepsi e di immagine, così centrali
nella riflessione stefaniniana, indagandone
l’ampiezza speculativa e problematica. Il
concetto di scepsi, attraverso il quale Stefanini legge tutto il pensiero di Platone, viene
ad essere - ha ricordato Santinello - quella
ricerca inesausta e sempre aperta alla verità, quel procedere della filosofia stessa
come ricercare insieme e quindi come dialogo e dialettica. Come sapere teso sempre
verso altro da sé, la filosofia si dà allora
come allusiva e intenzionale, allo stesso
modo che l’ “immagine” - la cui nozione è
approfondita da Stefanini nel libro Imaginismo come problema filosofico del 1936 non è mai l’oggetto espresso, ma il verbo
mentale che sempre trascende la fissa rappresentazione dell’oggetto; è allusione, rimando, intenzionalità. In questa prospettiva si può dire con Santinello che il pensiero
di Stefanini si presenta come una forma
peculiare di pensiero simbolico, un pensiero per immagini e un pensare immaginando.
Delle ampie questioni sollevate in modo
specifico dal volume stefaniniano, di cui si
celebrava il quarantesimo anniversario, e
quindi della sua valutazione complessiva
dell’esistenzialismo si è invece occupato
nella sua relazione Giuseppe Cantillo, il
quale ha rilevato l’originalità e l’attualità
dell’interpretazione stefaniniana, avvicinandola anche a quella avanzata da Luigi
Pareyson. Note sull’esistenzialismo di Pareyson dal 1938 e Giudizio sull’esistenzialismo di Stefanini dello stesso anno, che
precede l’opera maggiore, possono infatti
essere letti insieme e in forma forse complementare: entrambi pongono in primo
piano l’esigenza fondamentale della “persona”. Ma se nel tracciare la genesi della
filosofia dell’esistenza Pareyson tende ad
accentuare l’importanza della linea Kierkegaard-Barth, Stefanini sposta invece l’accento sulla linea Husserl-Dilthey, mostrando così anche l’importanza e l’influenza ha osservato Cantillo - che fenomenologia
e storicismo hanno ad esempio esercitato
su un pensatore come Heidegger.
La centralità della fenomenologia husserliana, della quale Stefanini è stato tra i
primi in Italia a discutere, l’importanza
dello storicismo diltheyano e della posizione di Jaspers, che però Stefanini non valuta
esattamente fino in fondo, sono alla base
del giudizio stefaniniano sull’esistenzialismo e costituiscono forse il portato più
significativo per la comprensione di questo
fenomeno, che viene inoltre approfondito
attraverso la precisa indagine stefaniniana
sul versante teistico con pensatori come
Barth, Marcel, Lavelle, Berdjajev. In quest’ottica, secondo Cantillo, la validità della
Existenzphilosophie viene da Stefanini rintracciata nella valorizzazione e nella forte
rivendicazione dell’immediatezza contro
la mediazione, della singolarità contro l’uniformità, lasciando intravedere la possibilità di una certa consonanza tra filosofia
dell’esistenza e personalismo. E’ questo
forse il motivo per cui in un autore come
Heidegger Stefanini è portato a valutare
positivamente l’appello del suo pensiero
all’autenticità e alla responsabilità, pur criticando fortemente l’esito “nichilistico” di
Sein und Zeit.
Ritornando sul Platone di Stefanini, Giovanni Salmeri ha rilevato come esso occupi un ruolo centrale non solo nell’articolazione del pensiero stefaniniano, ma anche
all’interno degli studi platonici. Nel suo
intervento Salmeri ha mostrato come in
relazione al fitto “dialogo” tra il pensiero di
Stefanini e Platone, sulla base della polarità tra intuizione e razionalità, esista la possibilità di stabilire una precisa continuità
46
tra la valorizzazione dell’arte e la definizione stessa di “scepsi”.
La dimensione etico-religiosa della riflessione di Stefanini è stata al centro della
relazione di Marco Ivaldo, che ha affrontato la questione dell’etica in relazione
tanto alla filosofia quanto alla religione,
mettendone comunque in evidenza, rispetto ad esse, l’essenziale autonomia che la
caratterizza, in cui è infatti presente una
dilemmatica morale che impone direttamente all’uomo la necessità radicale della
scelta. L’etica di Stefanini fa appello in
questo senso ad un agire morale che si
fonda sul valore fondamentale della persona umana, ed è quindi - sostiene Ivaldo un’etica della responsabilità e della libertà.
Il contributo degli studi stefaniniani all’estetica è stato invece affrontato da Giuseppe Patella, che muovendo dalla teoria
secondo la quale l’arte per Stefanini si dà
come “parola assoluta”, ha inteso sottolineare il valore della parola retorica che si
realizza nel contesto di un dirsi personale e
interpersonale, cioè nell’atto esistenziale
che coinvolge l’artista come persona e le
persone che partecipano al dialogo costruttivo tra interlocutori, in cui la comunicazione e la persuasione si intrecciano nella
suggestione della parola evocatrice.
Armando Rigobello ha concluso i lavori
della giornata di studi tornando sulla complessa problematica della persona e del
personalismo, ricordando come per Stefanini ciò significhi porre la persona umana a
fondamento di una peculiare ricostruzione
metafisica, in cui l’interiorità si riscatta dal
piano fenomenologico esistenziale senza
tuttavia determinarsi all’interno di una trascendentalità di tipo idealistico. Parlando
inoltre della inesauribilità del valore della
persona e della sintesi personalista, Rigobello ha infine discusso del “personalismo
sociale” di Stefanini come fenomeno legato ad una dimensione più direttamente etico-politica, accentuandone quindi l’aspetto storico, animato dalla tensione sempre
aperta tra fatto e valore, vichianamente tra
certo e vero. G.P.
‘De arte combinatoria’
Presso l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli, dal 15 al 19 febbraio 1993 Aldo Trione ha tenuto un seminario di studi sul tema: DE ARTE COMBINATORIA. L’argomento è stato affrontato nel senso di una meditazione estetica, logica, poetica, letteraria, che ha
evidenziato l’importanza della “poiesis” e della sua capacità rivelativa attraverso momenti significativi della
storia della filosofia.
Il percorso tracciato da Aldo Trione ha
preso le mosse dalla concezione della natura in Schelling come intreccio di meccani-
CONVEGNI E SEMINARI
smo e finalità, che mutuava al suo interno
gli esiti del pensiero di Spinoza e di Bruno,
conferendo al discorso un carattere di modernità per la scelta del registro estetico,
invece che metafisico o morale o fisico. La
connotazione ottimistica di metafisica, fisica, esistenzialità ed esistenzialismo, la
loro fiducia nell’atto onnicreativo, creatore
del cosmo dell’uomo, ha difatti conservato
il problema insolubile dell’effabilità: la
ragione anche esistenziale contempla rassegnata la propria posterità. Effabilità sottile, ha osservato Trione, suggerisce invece
il registro dell’estetica. Una logica che non
è giudizio, che come diceva Ugo Spirito
non ha mangiato dall’albero del Bene e del
Male - una logica che non separa né condanna, ma accetta la verità possibile, quella
che Aristotele diceva facile e che cercava
nei suoi discorsi che venivano dopo la
fisica.
La concezione di Schelling c’introduce
nell’orizzonte atopico della bellezza, dove
anche suggestioni plotiniane, agostiniane,
leibniziane, lulliane s’incontrano, smorzandosi reciprocamente ed integrandosi.
Coutourat è di guida ad un Leibniz emblematicamente al centro di tali riflessioni,
intento, nella misura di rapporti e proporzioni, a definire la semplicità e complessità
insieme di una ontologia delle corrispondenze, non estranea neanche all’Agostino
del De Ordo, assorto nell’ascolto che dà la
misura, che coinvolge in un orizzonte unico il vario: da un lato tendendo ad un’affermazione monadistica di unità non trasparenti, dall’altro cogliendo la ratio, il dimensionamento di un astratto che non perde
razionalità nel farsi materialità.
Trattando della magia della memoria e
delle sue tecniche Trione si è richiamato a
Bruno. La mnemotecnica svela a Bruno il
valore dell’ombra, come sarà il sipario per
Claudel: un simbolo ch’è lo sviare, che
lascia intendere senza cogliere. Riportando
brani che attraversano il Timeo platonico, il
Bruno di Schelling, il De Berillo del cardinal Cusano, Trione ha proposto ulteriori e
significativi riferimenti di quell’infinità che
è logica e razionalità, pur non abbandonando i cosmi infiniti e l’individualità troppo
originale e inconfondibile di Bruno, capace, nello stesso tempo, di raffigurazioni
d’arte e di discorsi di fisica. La mnemotecnica, di fatto, coglie nessi immaginativi
verso una nuova intentio, disegna mondi
possibili partendo dagli elementi del possibile, ove il possibile non è di necessità ciò
che non è reale, ma anzi è poi il solo
davvero possibile; leibnizianamente, è il
reale.
La characteristica universalis di Leibniz,
ha fatto notare Trione, si rivela allora senso
del discorso, consentendo una riarticolazione del nesso immaginazione-razionalità
in quanto induce a riflettere sul segno, a
ritrovarvi storicità e lucidità, avvertibili nel
fine comunicativo della lingua. L’ontopoiesi, così, cerca una via per procedere con
intelletto scientifico, senza adire a formule
ed astrattezze; cerca l’inventio di meccanismi assiomatici capaci di porre correlazioni e connessioni, trovando fondamento nella
convinzione dell’armonia dell’intero, dogma fondante anche di ogni prospettiva scientifica. L’accordo tra legge del cosmo e
legge del conoscere pone la possibilità di
combinare legge di natura e legge di pensiero, esplicitandosi come grammatica,
quella metalingua che è discorso geometrico.
L’essenzialità della concezione di Leibniz
in quest’ambito di discorso impone, secondo Trione, di soffermarsi su presupposti e
sviluppi ulteriori, ripercorrendoli a vari livelli, da Breitinger a Baumgarten, a Bodmer, da Donezel a Risset, a Deleuze. Il
cannocchiale artistico di Tesauro ci rivela
quanto reale sia l’ omnis in unum, la possibilità di concentrare il molteplice in una
intenzione monadica che rende la poiesis
inventio ed invenire insieme. E’ la dialettica, la scoperta del contrasto inevitabile,
eppure benefico, dell’individuale e dell’universale, del finito e dell’infinito - qui il
riferimento, ha osservato Trione, va piuttosto a Bergson e Whitehead, i filosofi del
margine, che non alla distesa razionalità
idealistica. Si tratta qui di una dialettica che
è diairetica, che indugia nella sua vicinanza
cosmica alla retorica ed all’arte, che sviluppa i temi di un dialogo eterno e per
definizione inconcludibile, molto più di
quelli sviluppati dalla teologia cuspidale di
Hegel. Qui il barocco si svela artefice di
nuovi arabeschi, capace com’è di coniugare la dismisura di forma e limiti e la tersa
lucidità del cristallo, la mente calcolante.
Come nella voluta di un capitello, nel sesto
acuto di un arco, la mente matematica si
coniuga alla ridondanza, nel mistero dell’arte, che è forma e proporzione mentre
s’inarca nella retorica.
In questo si configura un carattere determinante del moderno, la possibilità di ridisegnare un discorso, poetico ed algebrico
insieme, in cui parlino le suggestioni metaforiche di Schlegel e Goethe, in cui vengano salvate le individualità, i toni del mondo, senza mandar perduto il senso. Il fantasmatico ed il geometrico descrivono un
gioco di rimandi di cui già si occuparono
Luciano Anceschi e Damaso Alonzo discutendo di Gongora. La trasposizione barocca dei termini è intrinseca ad una diversa lingua, estetica, una mistica, una ragione
poetica: la produzione artistica si carica di
significati che perseguendo un fine di rappresentazione, di messa in scena, comprendono e ritraducono, creano una metalingua
che non abbandona la multifonia e gli orizzonti paralleli - ma nemmeno manda perduta l’intelligibilità dell’intero.
Attraverso questa proposta di lettura di
alcuni momenti significativi della storia
del pensiero moderno, Trione ha tracciato
i contorni di una mimesi che non è copia,
ma ascolto; una creazione che è divenuta
inestricabilmente creato. Echeggiando corrispondenze la sua indagine ha mantenuto
47
il carattere di un’ermeneutica forte, delineando la semplicità di un senso che non sia
definizione. Il progetto ontopoietico si mostra in questo uno e molteplice: è un percorso che conduce oltre, al di là della necessità
di pensare storicamente. Lo storicismo,
l’ermeneutica, le teorie dei giochi, gli onnicentrismi - sembra voler indicare la proposta interpretativa di Trione - descrivono
l’anima del ‘900, ma non consentono alla
filosofia di conservare la sua natura.
Qui, senza rinunciare al moderno, ci si
riappropria invece del senso per saltare
oltre, per recuperare il cammino dell’orientamento nel mondo, se questo è il
lavoro della filosofia.
In questa prospettiva il poiein, inventio ed
invenire, si disegna come un pitagorismo
attento alla musica delle sfere ed alla cabbala. E’ poi anche creazione estetica, e a
partire da essa ermeneutica forte. Uno sforzo teorico che si presenta come progetto di
lavoro insieme per la costruzione di un
senso che non sia moda. Esso non solo si
vive, ma si dice, perché ciò che rende
uomini è il sapere la connessione, il distendere l’ontopoiesi nella dicibilità. La stessa
opera d’arte vale se manifesta capacità
poietica, se riesce a legiferare secondo una
legge propria, ritraducendo in un senso
inventato l’oggetto del suo stupore: allora,
e solo allora, l’opera d’arte è tale e resiste al
tempo ed alla caduta dei suoi oggetti; se ha
ricreato un mondo nuovo, senza solo sforzarsi a riprodurre. Ancor più la filosofia
vale, poi, se sa essere intenta in quella
meraviglia accogliendo e mescolando armonie dissonanti, nella costituzione di un
poema sinfonico di toni solo apparentemente vari ed originali, catturati nel senso
di un registro preciso, fatti risuonare secondo un ordine, nell’apparente disordine dell’essere, nel sostanziale rigore ordinato d’un
procedere metodico. C.G.R.
Omaggio a Geymonat
Per iniziativa dell’«Istituto Ludovico
Geymonat per la Filosofia della scienza, la Logica e la Storia della scienza e
della tecnica» e con la collaborazione
del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano nonché
del Teatro Franco Parenti, si è svolta a
Milano il 30 novembre 1992 una giornata di studio in RICORDO DI LUDOVICO
GEYMONAT a un anno dalla sua scomparsa (avvenuta il 29 novembre 1991 a
Passirana di Rho). La serie degli incontri si è articolata in due momenti ben
differenziati. Nella mattinata sono state presentate, presso l’Aula Magna
dell’Università degli Studi di Milano,
le relazioni di Enrico Bellone, Giulio
Giorello e Marco Mondadori, Gabriele
Lolli, e Silvano Tagliagambe, che hanno fornito l’occasione ufficiale per la
CONVEGNI E SEMINARI
presentazione del volume di più autori, OMAGGIO A LUDOVICO GEYMONAT. SAGGI
E TESTIMONIANZE (Franco Muzzio Editore, Padova 1992), nel quale figurano,
oltre ai testi delle relazioni di Bellone,
Giorello, Mondadori e Tagliagambe,
molteplici “testimonianze”, tra le quali
quelle di Francesco Barone, Umberto
Bottazzini, Vincenzo Cappelletti, Domenico Costantini, Pietro Mangani,
Carlos Minguez, Alberto Pasquinelli,
Rossano Pancaldi e Mario Servi. In
serata, presso il Teatro Franco Parenti, sono stati proiettati diversi brani di
alcune interviste televisive a Geymonat, intercalate e “movimentate”, con
il coordinamento di Corrado Mangione, da testimonianze dirette, affiancate dalla lettura di brani tratti dall’opera di Geymonat. Hanno cosí preso la
parola Giulio Giorello, Edgardo Macorini, Inge Feltrinelli, Giò Pomodoro,
Francesco Barone, Felice Burdino,
Mario Capanna.
Nella manifestazione tenutasi presso l’Università degli Studi di Milano, Enrico Bellone (“Storia della scienza: dal dogma del
contesto all’approccio naturalistico”) e
Gabriele Lolli (“Logica naturale e logica
assiomatizzata”) hanno presentato due relazioni in cui hanno sviluppato liberamente
le loro autonome riflessioni filosofiche lungo alcuni assi teorici già da tempo approfonditi, mentre, nel loro intervento, Giulio
Giorello e Marco Mondadori (“Ludovico Geymonat e la filosofia della scienza”)
hanno delineato un bilancio complessivamente in negativo dell’opera di Geymonat,
che a loro avviso costituirebbe sí «un errore
fecondo», ma del tutto inadeguato a farci
comprendere gli sviluppi più recenti della
logica e della filosofia della scienza contemporanee.
Silvano Tagliagambe (“Ludovico Geymonat, filosofo della contraddizione”) ha
invece preferito sviluppare un’attenta considerazione storico-critica dell’opera di
Geymonat, muovendo dalla convinzione
che in questo pensatore «il problema della
contraddizione, a cui egli ha dedicato tanta
attenzione, prima ancora che un nodo filosofico, sia stato per lui una questione esistenziale». Con un fine scavo interpretativo Tagliagambe ha cosí messo in evidenza
il “nocciolo duro” della contraddizione che
avrebbe vivificato l’intera riflessione di
Geymonat: il problema della dialettica
vecchio-nuovo.
Tagliagambe parla esplicitamente di “contraddizione” proprio perché «di questo problema [Geymonat] ha fornito due risposte
non solo radicalmente diverse, ma antitetiche a secondo che l’ambito del discorso
concernesse il pensiero civile o quello specificamente epistemologico e scientifico».
Secondo Tagliagambe, in ambito epistemologico Geymonat ha infatti elaborato
una visione articolata - sostanzialmente
continuista - del progresso della conoscen-
za. La stessa nozione geymonatiana di “patrimonio tecnico-scientifico”, delineata in
Scienza e realismo (Feltrinelli, Milano
1977), rappresenterebbe allora il tentativo
più maturo e coerente di costruire un punto
di vista in grado di «rintracciare il nuovo
nel vecchio, o cercare di dire e vedere
qualcosa di vecchio che però sia anche
nuovo». Ma se in ambito epistemologico
Geymonat difese una prospettiva che individua nell’ampliamento e nell’approfondimento una soluzione coerentemente dialettica del rapporto tra vecchio e nuovo, «in
campo politico e sociale e in quello della
cultura intesa in senso generale Geymonat
assunse [invece] costantemente, per quel
che riguarda il tema della dialettica tra
vecchio e nuovo, tra tradizione e innovazione, una posizione ispirata a un radicale discontinuismo, all’esigenza di una
frattura che spazzi via ogni residuo di un
passato che altrimenti rischierebbe di
pesare come un macigno su ogni prospettiva di autentica modernizzazione e
di sviluppo, vanificandola».
La proposta di Tagliagambe di porre al
centro della riflessione geymonatiana “la
sua contraddizione esistenziale” ribadisce
in primo luogo come «proprio il profondo
nesso [...] tra il pensiero e la prassi impedisce nel caso [di Geymonat] di scindere
l’uno dall’altra al punto di sostenere l’intima gratuità e la totale indipendenza delle
varie scelte (teoriche e pratiche). Pur dovendo quindi rifuggire da ogni visione schematica e semplificatoria delle relazioni tra
le idee di un filosofo e le sue scelte concrete
e operative, non si può neppure introdurre
una separazione netta tra la sua biografia e
la sua concezione filosofica». In secondo
luogo l’intepretazione di Tagliagambe consente di reinterpretare anche l’adesione
esplicita di Geymonat al materialismo dialettico: «lungi dall’essere soltanto espressione di un tardivo interesse filosofico, il
riferimento al materialismo dialettico sarebbe pertanto lo sbocco di un percorso
teso a chiarire a se stesso e agli altri come,
in un impianto epistemologico accentuatamente continuistico, potesse trovar posto
la convinzione che, al contrario, le società
abbiano periodicamente bisogno di rinnovarsi sin dalle radici, rinnegando il proprio
passato. Razionalità scientifica e rivoluzione politico-sociale: questi i termini di
confronto con cui Geymonat epistemologo, tenacemente impegnato a difendere le
ragioni dell’approfondimento e partigiano
combattente, nemico di ogni forma di compromesso, si è trovato a dover fare i conto
nelle fasi salienti della sua intensa vita».
Del resto proprio questo carattere - invero
decisivo per comprendere in tutte le sue
reali e molteplici sfacettature la stessa personalità culturale di Geymonat - è stato al
centro dell’intervento serale, al Teatro Franco Parenti, di Mario Capanna, che ha
sottolineato l’inadeguatezza e la dissonanza della decisione di separare in due diversi
momenti della giornata di studio l’aspetto
48
filosofico-scientifico dell’impegno di Geymonat da quello sociale e politico (non
meno appassionato e intenso) della sua
intensa lotta civile. Con questa scelta - ha
ancora sottolineato Capanna - si rischia di
porre tra parentesi proprio un aspetto decisivo della stessa modalità, profondamente
unitaria, con la quale Geymonat ha cercato,
nel corso di tutta la sua vita, di legare
strettamente la sua riflessione filosoficoscientifica con un’attività civile non meno
coerente e appassionata. Di questo sono
testimonianza le differenti “fasi” e le varie
“forme” che in Geymonat ha assunto non
solo la sua riflessione epistemologica (che
ha preso le mosse da una fase inizialmente
positivistica per poi avvicinarsi ad una forma neopositivista superata dall’elaborazione di un neorazionalismo neoilluminista, cui ha fatto poi seguito l’apertura nei
confronti di uno storicismo realista, che a
sua volta ha infine trovato un suo approfondimento nell’adesione esplicita ad un materialismo dialettico profondamente rielaborato e reinterpretato alla luce della stessa
tradizione neorazionalista), ma anche la
sua stessa riflessione etico-civile (che ha
subito anch’essa una profonda trasformazione, passando da una forma di adesione
alle prospettive del rigorismo etico-religioso di Martinetti, arricchito dalla lezione
di Juvalta, ad una forma di moralità laica
neoilluminista che si è infine sposata con
l’adesione esplicita ad una prospettiva di
rigoroso e coerente materialismo ateistico
e dialettico).
In ogni caso è lungo questa direzione di
indagine storico-critica che potrà essere
sempre meglio compreso il singolare ruolo
propulsore decisivo che Geymonat ha oggettivamente esercitato nel quadro del panorama filosofico, culturale, civile e politico italiano. Espressione significativa di
questo ruolo è una frase dello stesso Geymonat, tratta da Studi per un nuovo razionalismo (Chiantore, Torino 1945): «Come,
nell’aritmetica, il filosofo critico riconosce
l’irriducibilità reciproca dei vari concetti di
numero; come, nello studio della causalità,
riconosce che esistono diversi rapporti di
causazione inconfondibili fra loro; cosí,
nello studio delle esperienze della vita non
conoscitiva, riconosce l’esistenza di tipi di
fenomeni irriducibili gli uni agli altri, i
fenomeni della vita individuale e quelli
della vita collettiva. La grande conquista
del razionalismo moderno sta tutta qui: nel
non forzare la realtà, nel non aver paura
del molteplice, nell’evitare per principio
qualunque unificazione infondata e artificiosa. L’amore della coerenza, che spinge
il metafisico a falsare i dati fenomenici, è
un falso amore. Chi ama effettivamente la
coerenza, ama sopra tutto la sincerità; ama
di non confondere i fatti, di non rivestirli di
frasi imprecise e vuote di senso [...]. Il vero
filosofo è colui che ama il rigore, la chiarezza, l’esattezza, anche allorché queste lo
costringano a rinunciare a sintesi grandiose, piene di fascino e di bellezza». F.M.
CONVEGNI E SEMINARI
Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra
49
CONVEGNI E SEMINARI
Omaggio a Dal Pra
Organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze, in collaborazione con la sezione
fiorentina della Società Filosofica Italiana e la società editrice La Nuova
Italia, si è svolto a Firenze il 2 febbraio
1993, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi, un incontro dal
titolo: MARIO DAL PRA: FILOSOFIA E POLITICA,
in ricordo del pensiero e dell’opera del
filosofo, scomparso nel febbraio del
1992. Presentati da Alfonso Ingegno,
in qualità di moderatore, e da Maria
Moneti Codignola, sono intervenuti
Eugenio Garin, Enrico I. Rambaldi e
Fabio Minazzi. La figura e l’opera di
Mario Dal Pra è stata al centro anche di
un ricordo promosso dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Genova e svoltosi nella sala della
Meridiana presso il Palazzo universitario centrale dell’ateneo genovese il
31 marzo 1993 per iniziativa di Luciano
Malusa, attuale direttore del Dipartimento di Filosofia di Genova. A Milano, presso la Casa della Cultura, si è
tenuto infine il 22 marzo 1993, un incontro incentrato sulla figura e l’opera
di Mario Dal Pra, al quale hanno partecipato Giorgio Lanaro, Fulvio Papi,
Enrico Rambaldi, Mario Spinazzola.
Nell’incontro di Firenze Eugenio Garin
ha letto un’ampia relazione, nella quale ha
dato conto dell’intero sviluppo del pensiero di Dal Pra, dall’iniziale adesione al realismo maturato nel quadro della sua formazione universitaria padovana, al suo avvicinamento alla lezione kantiana, alla sua
lettura dei testi di Benedetto Croce per
giungere infine alla stagione delle felici
monografie storiche che hanno spaziato
dal pensiero greco a quello medievale, dalla filosofia dell’età moderna a quella dell’età contemporanea. La relazione di Garin
si è svolta con la consueta puntualità che ha
consentito di delineare un quadro a tutto
tondo dell’intensa attività culturale e civile
di Dal Pra. Garin, infatti, oltre ad aver
ricordato puntualmente la produzione filosofica e storica di Dal Pra, non ha omesso
di segnalare l’importanza e il significato
della sua opera come organizzatore della
cultura, non solo come docente (prima come
docente liceale, poi come docente universitario di storia della filosofia, nonché come
direttore del centro di ricerca del C.N.R. di
Milano, espressamente dedicato ai problemi dello studio della storia del pensiero
filosofico del Cinquecento e del Seicento
nelle sue relazioni con il pensiero scientifico), ma anche come direttore e ispiratore di
molteplici collane (prima presso l’editore
Bocca di Milano, poi presso la società
editrice La Nuova Italia di Firenze, infine
presso l’editore Franco Angeli di Milano).
Alla luce di questo quadro sistematico la
relazione di Enrico I. Rambaldi ha invece
approfondito soprattutto una pagina poco
nota dei primi anni di attività di Dal Pra.
Rambaldi ha infatti concentrato la sua attenzione sulla collaborazione intensa e assidua prestata da Dal Pra ad una rivista di
cultura come «Segni dei Tempi» negli anni
successivi alla sua laurea in filosofia e
precedenti il suo incontro critico con l’immanentismo neoidealista crociano. I diversi riferimenti puntuali ad articoli poco noti
del giovane Dal Pra hanno cosí permesso di
ricostruire l’inquietudine della sua ricerca
culturale, che lo ha progressivamente indotto a riflettere criticamente sulla sua stessa formazione iniziale trovando stimoli e
suggerimenti teorici in varie correnti di
pensiero (in particolare nell’opera di Zamboni - già espulso dall’Università Cattolica
di Milano - che lo ha aiutato in modo
fondamentale a scoprire l’importanza e il
significato della tradizione dell’empirismo
antico e moderno).
Fabio Minazzi ha invece preferito illustrare il profondo nesso esistente nell’opera di
Dal Pra tra il piano della riflessione filosofica e quello del suo impegno politico. Da
questo punto di vista si è cosí preso in
considerazione soprattutto il significato
dell’adesione di Dal Pra al Movimento di
Liberazione italiano e si è cercato di illustrare il significato civile e culturale della
sua adesione al movimento partigiano. La
considerazione di questo aspetto poco indagato, ma in realtà decisivo per comprendere non solo la personalità di Dal Pra, ha
del resto offerto l’opportunità di considerare l’opera dalpraiana alla luce di un suo
potente criterio ispiratore, che se aiuta a
comprendere il lungo viaggio attraverso il
fascismo che questo studioso ha compiuto
negli anni Trenta, deve anche essere tenuto
presente per capire nella sua dinamica più
profonda il significato di tutto il suo impegno culturale e civile posteriore, dispiegatosi in modo coerente ed unitario dal secondo dopoguerra fino agli ultimi mesi della
sua vita.
In apertura dell’incontro di Genova, Luciano Malusa ha voluto sottolineare l’importanza e il significato dell’opera e del
pensiero di Dal Pra non solo per coloro che
si sono formati a diretto contatto con il suo
vivo insegnamento orale, ma per tutti gli
studiosi italiani che hanno sempre trovato
negli scritti di Dal Pra e nella sua opera di
studioso un punto di riferimento importante, nonché un giudice coscienzioso e un
prezioso collaboratore ed ispiratore di molteplici iniziative.
La rievocazione dell’opera di Dal Pra, affidata dagli organizzatori a Fabio Minazzi,
in sostituzione di Enrico I. Rambaldi, che
per gravi motivi ha improvvisamente dovuto rinunciare all’impegno già concordato, ha messo in evidenza come Dal Pra
abbia elaborato, nel corso della sua intensa
attività di studio, una sua prospettiva filosofica originale che gli ha consentito di
50
fecondare in modo decisivo le sue stesse
ricerche storiografiche. Sulla base di questa indicazione l’iniziativa genovese si è
cosí ricollegata a quella fiorentina nello
sforzo di sottolineare come l’opera e il
pensiero di Dal Pra non possano non essere
considerate un punto di riferimento fondamentale per l’intero dibattito filosofico e
storiografico italiano del Novecento.
Una medesima considerazione ha attraversato gli interventi all’incontro in ricordo di
Dal Pra organizzato alla Casa della Cultura
di Milano. Mario Spinazzola, ricordando
la disponibilità di studioso di Mario Dal
Pra e la sua sensibilità al problema dei
rapporti fra cultura e politica, ha inquadrato in questa prospettiva il suo impegno con
la Casa della Cultura, in merito allo sviluppo di una politica culturale rivolta alla città.
In Dal Pra, ha ricordato Spinazzola, l’impegno di studioso non fu mai disgiunto
dalla coscienza del valore etico della ricerca; ciò lo spinse a considerare sempre la
valenza culturale, cioè sociale e politica,
del proprio impegno in campo filosofico.
A questo stesso proposito Fulvio Papi ha
sottolineato come la figura di Dal Pra fosse
quella di un “uomo del dovere”, con un
forte senso della propria missione di studioso e di cittadino. In particolare, dal
punto di vista teoretico, Papi ha ricordato la
contiguità della posizione di Dal Pra all’empirismo critico di Giulio Preti, di cui
Dal Pra condivideva, a suo parere, l’estrapolazione di uno strumento d’indagine razionale e critica della realtà, oltre che di
ricostruzione della medesima. In questo
senso, di Preti Dal Pra condivideva l’evoluzione dall’empirismo logico degli anni
Cinquanta a un razionalismo critico di
stampo cassireriano. Il momento estremo
della ricerca teoretica pretiana è anche, per
Papi, il punto d’approdo di Dal Pra, che dà
conto della dimensione di apertura in cui
per lui la riflessione filosofica si colloca,
nei suoi rapporti con le altre manifestazioni del pensiero umano.
Maria Teresa Beonio Brocchieri ha ricordato invece l’impegno di Mario Dal Pra
nello specifico settore della storia della
filosofia medievale, soffermandosi in particolare sugli studi da lui dedicati all’etica
di Abelardo. Da questo punto di vista, Dal
Pra aprì nuove strade, oltre la tradizionale
- e risalente a Bernardo, cioè a un contemporaneo di Abelardo - interpretazione relativa al “razionalismo abelardiano”. Dal Pra
collocò invece la riflessione di Abelardo in
contrapposizione all’istanza ascetica da un
lato, e a un’etica precettistica (con il suo
rapporto di scambio di tipo aritmetico fra
pena e peccato) dall’altro. La posizione
etica di Abelardo venne ricondotta a quella
da lui assunta in ambito logico: come la vox
diventa significativa solo attraverso l’investimento di significazione compiuto dalla
collettività umana, così un atto è moralmente significativo solo nell’assunzione di
responsabilità, cioè di consapevolezza e
volontarietà, da parte di chi lo commette.
CONVEGNI E SEMINARI
Giorgio Lanaro ha poi ricordato l’interesse di Dal Pra nei confronti della storia della
filosofia italiana fra Ottocento e Novecento, nel panorama della quale egli riteneva
che alcuni autori avessero successivamente avuto un impatto inferiore rispetto alla
loro effettiva portata teorica. In questo senso Dal Pra volle riportare alla luce il positivismo italiano, che dopo la condanna dell’Idealismo era rimasto a suo parere ancora
sottovalutato, nonostante il lavoro intrapreso da Ludovico Geymonat. A questi
pensatori “minori” del panorama filosofico novecentesco italiano Dal Pra applicò la
sua capacità, analitica e onnilaterale insieme, di lettura dei testi; ciò gli permise da un
lato di evitare apologie ed enfatismi, dall’altro stroncature sommarie.
Enrico Rambaldi ha infine voluto portare
l’attenzione sul fatto che la ricerca storiografica di Dal Pra si sia svolta sotto il segno
di un unico, seppur cangiante, interesse
teorico, che si articolò a suo parere in tre
momenti. Il primo di essi riguarda la giovinezza di studioso di Dal Pra che, all’indomani della laurea, prendendo le mosse dalla formazione cristiana (che permase sensibile almeno fino alla sua partecipazione
alla Resistenza), elaborò categorie - come
quella di amore - finalizzate alla creazione
di una filosofia del soggetto, intesa come
filosofia dei rapporti intersoggettivi, basata sul rapporto dialogico io-tu, dove il personalismo cristiano si coniuga con il motivo della corporeità di ascendenza empiristica. Dopo la guerra si aprì, ha ricordato
Rambaldi, il periodo di riflessione che Dal
Pra dedicò al “trascendentalismo della prassi”, configurazione teorica elaborata in
collaborazione con Andrea Vasa; in questa
prospettiva va letta, fra l’altro, la monografia dedicata a Hume. Di questa fase di
pensiero Rambaldi ha ricordato l’attenzione che Dal Pra rivolgeva alla dimensione
del futuro, come capacità di una filosofia di
aprire nuove prospettive. Il terzo periodo
(per il quale Rambaldi considera esemplare la monografia di Dal Pra dedicata
alla dialettica in Marx), consiste nell’incontro con Giulio Preti, ma trascende il
rapporto che Dal Pra intrattenne con
questo filosofo. In questa fase Dal Pra
tematizzò quelle strutture metastoriche
(la cui esistenza era precedentemente da
lui negata) che sottendono l’interpretazione della realtà svolta da ciascun pensatore. Sono proprio tali strutture, ha
concluso Rambaldi, a fondare nell’ultimo Dal Pra la comparabilità di una filosofia con un’altra, permettendo così la
sortita, in campo filosofico, dal solipsismo. F.C./F.M.
In omaggio all’esempio di impegno filosofico e vita civile che Mario Dal Pra rappresenta, presentiamo qui di seguito un’intervista al filosofo, condotta da Stefano
Logiurato il 17 ottobre 1991.
D. Quando e perché ha deciso di diventare
filosofo?
R. Molto giovane. Vivevo ancora nel Veneto. Eravamo intorno al ’32/’33. Il Fascismo era già in crisi. Risentiva della critica
di alcuni movimenti politici, in particolare
di quello religioso. Una scelta del genere
non rappresentava soltanto un particolare
indirizzo di studi, ma un preciso atteggiamento nei confronti del regime. Io, educato
in una prospettiva religiosa, avevo una certa attitudine critica nei confronti dell’orientamento fascista. Mi rivolsi agli studi filosofici con l’intento di risolvere alcuni problemi: il rapporto individuo-società, libertà-moralità, disciplina collettiva, criteri di
azione. A Padova esisteva un nucleo di
studiosi che faceva riferimento alla tradizione del Positivismo. Ero convinto che in
questa corrente, che risaliva agli ultimi
anni dell’800, avrei potuto trovare una sorta di personale orientamento.
D. Cosa è cambiato durante gli anni della
guerra?
R. Ho completato i miei studi a Padova.
Dopo un periodo di insegnamento universitario sono passato prima al liceo di Rovigo poi al Pigafetta di Vicenza. Quando, nel
’43, la crisi investì anche la società italiana
e iniziava ad organizzarsi la Resistenza,
dovetti lasciare Vicenza per non essere
imprigionato; mi trasferii a Milano in forma clandestina. Milano era il principale
punto di riferimento di tutti i partiti di
allora. Io entrai a far parte di quel nucleo di
uomini di cultura che costituirono il Partito
d’Azione: uno di quei gruppi che si proponeva di rinnovare la società italiana, non
riprendendo in forma indiscussa il socialismo, ma attraverso una rielaborazione della nostra tradizione.
D. Come si è articolato il suo pensiero alla
luce di queste esperienze?
R. Allora come oggi guardo alla filosofia
sia come ad un metodo critico di organizzazione del sapere, sia come a un criterio per
l’azione. La filosofia, di fronte alla cultura,
deve organizzare i principi della disciplina
del discorso umano: analizzare le strutture
formali del linguaggio. Fare filosofia è
parlare in modo disciplinato. Tuttavia l’uomo vive nella propria realtà storica. Deve
sapere come orientare le proprie scelte.
Perciò il modo in cui l’individuo deve
essere fatto responsabile delle proprie scelte, il rapporto fra singolo e società, la maniera in cui l’uomo deve essere disciplinato
verso la medesima secondo certi criteri,
sono diventati il principale oggetto del mio
studio da un lato e del mio insegnamento
dall’altro. Ho insegnato filosofia per più di
cinquant’anni. E ho sempre tentato di farlo
non in astratto, ma con la precisa intenzione di andare a cercare quali erano i suggerimenti più importanti che la storia della
filosofia poteva dare per la filosofia, e cioè
per l’orientamento mentale dell’uomo nella società moderna.
D. In una fase di rivisitazione dei contenuti
della nostra cultura i filosofi dovrebbero
avere un ruolo fondamentale, eppure si
51
sentono poco. Perché?
R. I filosofi fanno sentire poco spesso la
propria voce perché accentuano molto
l’aspetto astratto della propria disciplina,
poco quello concreto e storico. Eppure tutti
conosciamo il professor Bobbio. Ha speso
una vita intera a sviluppare e organizzare
“logicamente” il linguaggio scientifico.
Un’attività un po’ astratta, potremmo pensare. Tuttavia il professor Bobbio è molto
sensibile ai cambiamenti della società. Ogni
volta che si presenta un problema di carattere operativo di una certa importanza, interviene con molta decisione e lucidità
mentale. Non sempre avrà ragione. Però
non tace. Non si mette al margine estremo
della strada e osserva gli altri che agiscono
per lui. Questo è il mio modo di intendere
la filosofia.
D. Norberto Bobbio però ha affermato,
durante la Guerra del Golfo, che ci sono
dei momenti in cui il filosofo non ha risposte da dare. I filosofi hanno una risposta ai
problemi di oggi?
R. Può capitare che il filosofo in quanto tale
non riesca ad assumere nei confronti dell’immediata realtà che lo circonda una posizione da filosofo, ma solo da uomo. Il
filosofo deve avere tempo, studio e distacco emotivo sufficienti per potersi esprimere in situazioni come quella del Golfo.
Tuttavia se il filosofo considera i problemi
della società in cui vive in una prospettiva
storica, deve sempre avere una risposta. Si
è soliti dire che la filosofia è l’uso logico
della ragione. L’uso della ragione deve
essere applicato all’esperienza, non solo a
forme astratte. Il filosofo stesso non sarebbe in grado di svolgere il proprio lavoro
nell’ambito dell’astrazione se non fosse
inserito in una società, legato agli altri
uomini, responsabile con loro. Nel libro
che sto scrivendo intendo appunto sottolineare questa duplice attività della filosofia:
ragione e storia. Omettendo una delle due,
ci troviamo in situazioni simili a quelle
attuali, per cui vi è un gruppo di individui
che vive la propria cultura, mentre gli uomini che si assumono le responsabilità sono
altri.
D. Durante gli “anni dell’impegno”, subito dopo la guerra, i partiti incarnavano
l’ideale mazziniano di “crogiuolo” di teoria e prassi, rappresentando un punto di
riferimento per la società. Oggi non è più
così.
R. In quel periodo si creò un’ampia discussione che investiva problemi comuni a tutta la società italiana. Si è aperta
col tempo una progressiva spaccatura fra
teoria e prassi. Chi fa esercizio dell’attività
razionale contribuisce poco all’attività storica. Chi deve provvedere alla realtà storica, non trova una guida adeguata e disponibile in coloro che esercitano attività razionale. La spaccatura fra ragione e storia è
espressione delle forti divisioni e incomprensioni da cui la nostra società è caratterizzata, anche, o forse soprattutto, a causa
della filosofia e dei filosofi. Ad ogni modo
CONVEGNI E SEMINARI
io mi sento ottimista: il mondo di oggi
rispetto anche soltanto a quello di quarant’anni fa, sta progressivamente aprendosi verso un cosmopolitismo almeno cult
u
r
a
l
e
.
D. Ma come sarà possibile un rinnovamento dei partiti in mancanza di una sinistra?
R. Più che della sinistra è avvenuto un
indebolimento della sinistra dogmatica. Le
guide che per molti rappresentavano un
punto di riferimento oggi appaiono a tutti
lontane, per non dire fasulle. Ma è una crisi
assolutamente necessaria. In questi anni
abbiamo potuto capire che molte delle tesi
prospettate da questo socialismo dogmatico sono irraggiungibili, oltre a portare con
sé una quantità di condizioni intollerabili.
E in questa struttura che va in crisi, stiamo
assistendo all’apertura della storia. La storia diventa crisi: crisi quotidiana, da cui
bisogna uscire, con il contributo di tutti,
soprattutto dei filosofi. Bisogna faticare
ora, come nel periodo successivo alla guerra, per porre le nuove fondamenta della
nostra società.
D. Dopo più di 50 anni di insegnamento,
quale pensa siano le prospettive dei giovani filosofi?
R. L’ideale sarebbe prendere una specializzazione, ad esempio medicina, e attraverso la filosofia trovare una strada che
permetta di sviluppare al meglio la propria
competenza professionale nel più completo connubio di ragione e storia. Ho potuto
notare, infatti, che i giovani tendono a
chiudersi nelle proprie astrazioni: ci sono
alcuni giovani medici, per esempio, che
vivono la propria professione nella sua
cieca quotidianità senza studiare come il
proprio settore è organizzato e come opera
sugli uomini; allo stesso modo molti sono
i giovani che limitano la filosofia ad una
discussione puramente teorica, lasciando
che questa stessa disciplina diventi per loro
una prigione.
Esegesi ed epistemologia
nel Seicento
Con un seminario sul tema:
SCIENZA E
BIBBIA NEL SEICENTO , svoltosi dal 15 al 18
febbraio 1993 presso l’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici di Napoli, JeanRobert Armogathe ha focalizzato in
una prospettiva ermeneutica i più significativi cambiamenti dei paradigmi
esegetici e scientifici nel secolo XVII.
Il secolo XVII, epoca di inquiete riflessioni
e di complessi cambiamenti, risulta pervaso dalla considerazione dei testi sacri in
relazione all’avventurosa scoperta del gran
libro del mondo, che si dispiega davanti
agli occhi dello scienziato e alla sensibilità
dell’esegeta; la contemporanea crescita dell’esegesi e dell’epistemologia, ha osservato Jean-Robert Armogathe, ingenera ten-
sioni e promuove dibattiti non secondari
per la determinazione di un nuovo stile
scientifico, spingendo ad interrogarsi sui
sensi delle Sacre Scritture e sugli apporti
della tradizione e dei Padri della Chiesa.
Estius, ad esempio, reputa che il mondo sia
un grande testo, composto dalla sapienza
divina, che va integrato con l’attenta lettura
delle Sacre Scritture, da cui è possibile
ricavare i caratteri della scienza di Adamo
e i limiti delle sue conoscenze in campo
cosmologico. A questa concezione si contrappone Pereira, noto esponente del Collegio romano, che sostiene, invece, la necessità che Adamo conoscesse le leggi dei
cieli su cui si basa la scienza di Dio e degli
angeli, oltreché quella delle cose del monddo sub-lunare.
Nell’ambito dell’esegesi risulta fondamentale, secondo Armogathe, la riflessione di
Mersenne, tesa a dimostrare ai discepoli di
Keplero e Galilei che i teologi cristiani non
seguono solo Aristotele e non parlano contro la ragione, ma possono ammettere la
dottrina dell’anima del mondo, il magnetismo, più di quattro elementi, differenti
princìpi della natura e delle cose. Marsenne, come molti esegeti, è legato strettamente all’interpretazione letterale del testo
mosaico, che va interpretato secondo quattro regole: la tropologia scritturistica, il
modo umano dell’espressione dei tropi, la
considerazione della difficoltà di una lettura univoca e sempre uguale, il ricorso all’autorità ecclesiastica. Cartesio, d’altra
parte, ribadisce la difficoltà estrema di un
commento del Genesi e parla dell’esistenza di questioni di pura ragione, come la
quadratura del cerchio o il problema della
pietra filosofale. Il cartesianesimo, nota
Armogathe, fu un elemento di dibattito e di
accesa discussione, non solo in campo epistemologico, ma anche in quello teologico.
Esemplare è, a questo proposito, la difficoltà d’intesa tra Cartesio e Comenio. Alla
separazione tra fisica e teologia, Comenio
risponde con il suo progetto di una fisica
cristiana, che si opponga agli errori di Cartesio e di Ludovico Meyer: i primi fondamenti della filosofia sarebbero nelle Scritture e ad esse bisognerebbe accedere con
fiducia anche in relazione alle questioni
epistemologiche. Molti autori, tra cui il
Mastricht, ripudiano il cartesianesimo e la
pretesa di un’assoluta autonomia della ragione, di un insindacabile arbitrato dell’intelletto sui Testi sacri.
Il Seicento esegetico ed epistemologico,
ha inoltre notato Armogathe, non fu insensibile alle suggestioni del De rerum
natura, pubblicato dal Bracciolini, e alla
lettura degli scritti di Diogene Laerzio.
Il dibattito sull’atomismo si accende intorno alla misteriosa figura di Mochus,
che visse prima della guerra di Troia e
teorizzò la dottrina degli atomi: Mochus
fu infatti ritenuto, sebbene con cautela, il
Mosè della Bibbia. A tali suggestioni, derivabili anche dall’opera del Trapezunzio,
non fu certamente estraneo Comenio: il
52
Genesi, a suo avviso, avrebbe parlato della
materia, dello spirito e della luce, affermando che, in principio, vi fu un caos di
atomi dispersi che Dio, come si legge nel
Libro dei Proverbi, ordinò secondo leggi
e
t
e
r
n
e
.
Armogathe ha ricordato, a questo proposito, che nel vasto scenario delineato ha molta
importanza il giovane Galileo che, dando
una lucida e razionale interpretazione dell’inferno dantesco, ha anche delineato chiavi
di lettura e tendenze ermeneutiche che si
protraggono sino alle indagini di Newton
sul tempio di Salomone; del resto, proprio
le questioni della luce e soprattutto dell’arcobaleno, di cui si parla nella mitologia
classica e nella descrizione della fine del
diluvio universale, richiama alle scoperte
del fisico inglese, che resero ancor più
stringenti le domande sulle leggi naturali
prima del diluvio e sulla scelta divina dell’arcobaleno come simbolo dell’alleanza
con l’umanità. Già Aristotele, sebbene non
conoscesse le leggi della rifrazione, aveva
dato contributi matematici notevoli sulla
natura e l’arcuazione dell’arcobaleno, cui
vanno aggiunte le notevoli intuizioni del
Grossatesta. D’altra parte, la questione dell’arcobaleno, ha aggiunto Armogathe, è
stata ritenuta cruciale anche da Cartesio,
che di essa fece un esempio paradigmatico
del suo metodo e dell’inconsistenza dei
manuali del tempo. Tale problematica, analizzata anche da Mersenne e da Gassendi,
fu inoltre oggetto di riflessione per Pereira,
che difese l’ordine naturale del mondo e la
costanza delle leggi cosmiche prima e dopo
il diluvio universale.
L’intricata e complessa interazione tra esegesi ed epistemologia non può prescindere,
ha osservato Armogathe, da una nuova
consapevolezza del tempo e dei suoi innumerevoli paradossi. Con l’introduzione
della seconda lancetta dell’orologio il tempo è infatti diviso in minuti e la sua scansione tende a farsi più omogenea: gli sforzi di
sincronizzazione degli orologi fervono,
mentre l’iconologia, anche tramite l’immagine della tangenza al sole della ruota
del tempo, tende a focalizzare l’attenzione
sull’istante. Il problema entra prepotentemente nella drammaturgia: la frattura temporale induce il teatro a dilatarsi fino a
inglobare il mondo, e la tensione scenica,
portata spesso all’estremo delle sue capacità espressive, sembra descrivere gli ambigui velami della natura, con accenti che
richiamano Bacon ed altri che rimandano
al pessimismo di Hobbes. Non a caso, in Re
Lear, Glaucester ed Edmund discutono
appassionatamente dell’astrologia e del
cosmo; né si può dimenticare la polemica
di Ben Johnson verso Jones, accusato di
essere troppo meccanicista nella sua concezione artistico-antropologica e definito
un iniquo Vitruvio che troppo facilmente
riduce la varietà e complessità delle cose.
La problematica del tempo, ha notato Armogathe, è molto articolata nelle interrogazioni che Arnould invia a Cartesio: la que-
CONVEGNI E SEMINARI
stione della durata mentale e della successione del fluire del tempo è strettamente
legata al tema della Grazia attuale e dell’intervento di Dio nell’anima. Del resto, l’indagine teologica ferve intorno a quella
misurazione del tempo, indispensabile per
le esigenze del culto, che l’istituzione
ecclesiastica è impegnata a riformare
tramite le variazioni del calendario. Nell’ambito del dibattito sul tempo, non
possono poi essere trascurate le scoperte
legate allo studio del pendolo, dell’isocronia, della cronometria, delle piccole
oscillazioni di tempo. La discussione sul
tempo della scienza e sul tempo degli
angeli, il dibattito sul tempo umano e su
quello della Grazia, le indagini teologiche di giansenisti e molinisti dà il senso
di una frattura e porta a riflettere sulla
componibilità del tempo. F.De C.
Lo spazio dell’immaginazione
Dall’8 all’11 marzo 1993, presso la sede
dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, John Sallis ha tenuto
un seminario sul tema: THE SPACE OF
IMAGINATION (Lo spazio dell’immaginazione). Problematizzandone il concetto così come esso si presenta nelle
varie teorie della soggettività degli
ultimi due secoli, e soprattutto nel
pensiero di Edmund Husserl, Sallis ha
affrontato la questione del ruolo fondamentale che la fantasia riveste nell’intenzionalità fenomenologica.
L’immaginazione viene ad essere concettualmente determinata e distinta dalla percezione, come oggetto d’indagine filosofica, e dunque sottoposta a interrogazione
circa la sua attendibilità e “verità”, a partire
dal Romanticismo. Nel Romanticismo inglese immaginazione e verità appaiono fortemente connesse, come emerge dall’affermazione di Coleridge: «Io ritengo essere
l’immaginazione primaria il potere vivente, e l’agente originario di ogni percezione
umana.» Le fondamenta di tale priorità
originaria sono reperibili a livello speculativo nell’opera di Kant, Fichte e del primo
Schelling. Per Kant l’immaginazione gioca anzi un ruolo essenziale nel rendere
possibile l’apparenza delle cose nella loro
verità, rappresentando nell’intuizione un
oggetto anche senza la sua presenza. Una
definizione più elaborata dell’immaginazione la darà Fichte nella Dottrina della
scienza, per cui l’immaginazione è non
solo il potere di causare una sintesi (immaginazione produttiva) dove le opposizioni
sarebbero cancellate, ma piuttosto un potere di essere sospeso (Schweben) tra gli
opposti, così da tenerli insieme nella loro
opposizione.
Una certa ripresa di tale verità problematica dell’immaginazione, ha osservato John
Sallis, la si può ritrovare nella fenomenologia di Husserl per quanto riguarda la funzione cruciale assegnata all’immaginazione nella visione d’essenza, in virtù del
primato metafisico riconosciuto da Husserl alla “presenza”. Sospesa tra presenza
dell’oggetto e orizzonte, l’immaginazione
finisce con l’invadere la spazializzazione
percettiva...Questo sconfinamento è riscontrabile, secondo Sallis, anche nel volume
dell’opera postuma di Husserl dal titolo:
Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung
(Husserliana, vol.XIII). Avendo l’immaginazione come “oggetto”, e non come “agente” della fenomenologia stessa, Husserl
distingue tra “fantasia” e “coscienza di
immagine”, la quale implica la cosa fisica,
la sua immagine-oggetto, e ciò che a partire
da questa è immaginato (immagine soggetto), mentre la fantasia fa a meno della cosa
fisicamente presente. Inoltre, ha aggiunto
Sallis, quando appare l’immagine-oggetto, la cosa fisica non scompare, ma rimanendo connessa con l’ambiente attuale,
dà all’immagine-oggetto il carattere della
mera apparenza (in senso debole). Nella
fantasia invece tale conflitto è assente, il
che conduce Husserl a dubitare del parallelismo esistente tra le due forme di
immaginazione, e a considerare la fantasia indipendentemente.
Sallis propone un riorientamento dell’indagine circa il “posto” dell’apparire. Sulla
base di una critica alle analisi di Husserl, è
possibile condurre ulteriori analisi della
spazialità specifica, caratteristica della fantasia e dell’immagine-coscienza nel loro
differenziarsi dalla percezione. Ma a questo punto, ha osservato Sallis, occorre considerare l’immaginazione stessa come fonte di verità, e in particolare come un elemento attivo, un agente della fenomenologia stessa, laddove essa è alla base della
visione d’essenza. La fenomenologia, pur
dirigendosi «verso le cose stesse», si lascia
guidare dall’immaginario, che sembra avere per esse il minimo rispetto...
Di fatto, Husserl fonda l’intuizione d’essenza sull’intuizione individuale, o intuizione di fatto, sull’essere visibile dell’oggetto individuale; di conseguenza, ciò da
cui può scaturire la percezione d’essenza
non deve essere necessariamente una percezione; può bene essere una intuizione
frutto di una intenzionalità non percettiva,
immaginaria. Inoltre, la fantasia ha un privilegio decisivo sulla percezione a causa
della sua incomparabile “libertà”. Ciò induce Husserl a un fecondo uso fenomenologico della fantasia, in direzione dell’arte
e della poesia.
Sallis ha infine analizzato alcune questione
riguardanti l’attività della fantasia nella
“visione d’essenza” e la relazione di tale
visione con il linguaggio. Evidenziando
punti di “indecisione” nella fenomenologia, Sallis ha cercato di mettere in evidenza
una sfasatura nel concetto di intenzionalità, e con ciò di spezzare la subordinazione
dell’immaginazione a quest’ultima. Fin
53
dalle Ricerche Logiche, infatti, Husserl interpreta l’immaginazione come intenzionale, subordinandola così alla percezione,
ed espungendo le immagini dalla coscienza. Secondo la critica husserliana, non si
può spiegare una qualunque percezione
sulla base della rappresentazione immaginaria, perché quest’ultima presuppone la
percezione. Husserl applica tale obiezione
critica ad un certo tipo di rappresentazione
immaginaria, che è l’immagine-coscienza;
tuttavia, niente impedisce che un’immagine immanente, non-intenzionale dell’essere sia conservata come contenuto per l’atto
intenzionale.
Una simile duplicità può essere individuata
nella fantasia, ma anche nell’immanente
contenuto di senso che Husserl ritiene essere parte integrante della percezione e che
descrive come se fosse un’immagine, che,
se da una lato è presente soltanto nella
solitaria e personalissima esperienza di ciascuno, dall’altro è l’immagine di un oggetto, appartenente cioè ad un oggetto come lo
è un profilo presente. Una volta decostruita, tale duplice immagine è così pronta per
essere conservata al centro della percezione. L’atto intenzionale, ha osservato Sallis,
andrebbe in tal senso ridefinito, in quanto
non può essere né interpretazione, né apprensione, bensì in atto di risoluzione della
duplicità dell’immagine, che libera l’immaginazione dalla sua subordinazione all’intenzionalità, avendo mostrato che è quest’ultima ad essere per così dire contaminata dall’immaginazione. E.De C.
Soggettività e concetto
in Hegel
Presso l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli, Leo Lugarini ha
tenuto, dal 15 al 19 marzo, un seminario sul tema: LA SOGGETTIVITÀ NELLA LOGICA HEGELIANA, mettendo in evidenza il
merito della filosofia hegeliana di non
chiudere la problematica della soggettività e del concetto in astrazioni
solipsistiche: al di là della difficoltà
dell’approccio alla pagina hegeliana,
si svela, infatti, un mondo ricco e complesso, dinamico e mobile.
Uno dei punti di forza del pensiero hegeliano, ha esordito Leo Lugarini, sta nella
capacità di riallacciarsi alle problematiche
kantiane e ampliarne gli orizzonti speculativi. E’ il caso della problematica del concetto, che Kant ha analizzato sia per distinguere l’intelletto dalla più vasta problematica del giudizio, sia per caratterizzare l’intelletto come facoltà dei concetti determinati. Hegel, a questo proposito, intende
anzitutto riflettere sull’attività di concettualizzazione in generale, che è attività di
negazione dialettica e autonegativa, superamento dell’essenzialità e scaturigine lo-
CONVEGNI E SEMINARI
gica dell’effettuale. Lugarini ha ripercorso
lo sforzo hegeliano di cogliere, nella disamina dei concetti determinati di stampo
kantiano, l’unità logica e razionale che li
sostiene e dà loro consistenza. Il concetto,
infatti, si divide costitutivamente nel giudizio e si ritrova nella forma del sillogismo:
tale sviluppo ha come base la forza propulsiva della ragione, la cui funzione invera
quel bisogno di unità che Kant aveva avvertito nella formulazione della dottrina
dello schematismo trascendentale. Il concetto è dunque un tutto vivente e razionale,
polare e sintetico, articolato nella viva connessione di universalità, particolarità ed
individualità.
Alle astrazioni della logica tradizionale,
Hegel risponde con la convinzione razionale che l’universale è concreto: esso non si
chiude in connessioni intellettuali o intellettualistiche, ma si apre alla totalità e alla
vita. L’universale si dirime in primo luogo
in soggetto e predicato. Questa divisione è
connaturata allo sviluppo del concetto, ma
denuncia anche l’impossibilità di fermarsi
all’intelletto e alle sue partizioni: il giudizio è, infatti, l’originaria divisione dell’identità originaria. Proprio la non congruenza tra soggetto e predicato, ha osservato Lugarini, implica il problema della
natura e della partizione logica dei giudizi,
al di là delle inadeguatezze del giudizio
categorico e in vista dell’articolazione del
concetto nella struttura del giudizio di-
sgiuntivo. Tale connessione non risolve
però la problematica del concetto, né consente di dispiegare pienamente le forze
intrinseche alla razionalità: solo nel sillogismo, difatti, è possibile trovare il termine
medio e la congiunzione intrinseca di ciò
che è originariamente identico a sé. Nella
sua trattazione del sillogismo, Hegel dà
ampio risalto al sillogismo disgiuntivo, in
cui il soggetto diviene l’universale, il genere e la specie si implicano vicendevolmente, l’identico e il diverso si relazionano in
una connessione intima e in una inscindibile circolarità. Nel sillogismo, in pratica, il
soggetto media e si media tramite le sue
differenziazioni.
A questo punto, ha notato Lugarini, si comprende perché Hegel affermi che l’idea
assoluta è lo sbocco della logica e che il
senso vero del pensiero si trova solo alla
fine della sua trattazione: nella logica si
considera il mondo, come è in sé e per sé,
conformemente al concetto, e si studia il
concetto come base del mondo effettuale.
Hegel ricerca, pertanto, l’oggettività del
concetto, la compiutezza e l’autosussistenza del concetto, l’autoproduzione dispiegata della vita spirituale. Hegel, ha ricordato Lugarini, ha guardato con grande acume
nella complessa problematica del meccanicismo, del chinismo e della teleologia.
L’effettuale ed il mondo ci appaiono, inizialmente senza volto, chiusi ed irrelati; il
meccanicismo è la prima categoria con la
Jena: piazza del mercato (1820)
54
quale guardiamo le cose e gli stessi atti
spirituali. Eppure l’oggetto meccanico si
dimostra contraddittorio nelle sue pretese
di autosufficienza e nel suo legame con le
altre cose per formare l’unità del mondo
oggettivo. In effetti, ha notato Lugarini, nel
chimismo e nel meccanicismo il concetto si
concretizza soltanto nell’interno e all’esterno, denunciando ancora la necessità di superare l’unilateralità.
Hegel analizza, allora, la problematica della teleologia. Il suo punto di riferimento è
certamente Leibniz, che aveva distinto la
causalità meccanica da quella finale; preminente è però il richiamo a Kant, di cui
Hegel ricorda l’enorme merito di aver distinto, per primo, finalità interna e finalità
esterna. Kant ha introdotto la problematica
della vita e dell’idea, ma ha anche diviso
recisamente il giudizio riflettente dal giudizio determinante: la relazione di scopo
non rientra, per Hegel, nel giudizio riflettente, ma è anzi un sillogismo che unisce tre
termini vivi ed articolati. Per Kant lo scopo
rimanda all’oggetto di un concetto in quanto considerato causa del pensiero medesimo. Nella finalità c’è un superamento, addirittura un capovolgimento del rapporto
causa-effetto, essendo possibile la reversibilità che la cieca necessità esclude: la
causalità finale non trapassa in altro, ma si
conserva; il concetto viene a se stesso attraverso l’oggetto da esso posto come medio
sillogistico. Hegel, ha osservato Lugarini,
ha sentito il bisogno di superare il legame,
ancora estriseco, della stessa finalità soggettiva, aprendosi all’idea, che è unità assoluta del concetto e dell’oggettività. In
effetti, l’attuazione dello scopo è il compimento del concetto nella sua essenziale
libertà ed autosufficienza. Già Hegel, nel
Frammento di Sistema, aveva chiarito che
il vivente è organismo; più tardi avrebbe
affermato che la vita è forma immediata
dell’idea. La vita, dalla sua universalità
indeterminata, si arricchisce del genere che
si articola nella specie e, poi, nell’individuo; dinanzi alla natura inorganica il vivente è nella forma del sillogismo e, in
esso, medi ed estremi si mediano e si scambiano nel rapporto circolare dell’universale concreto.
La filosofia di Hegel, secondo Lugarini,
può inserirsi pienamente nel tentativo di
superamento della contrapposizione tra
scienze della natura e scienze dello spirito.
Hegel ha infatti prospettato un’impostazione filosofica, la cui forza sta nel porre in
maniera nuova il problema dell’origine,
l’impostazione della logica, la dottrina del
concetto. La ragione, infatti, accetta le sfide dell’intelletto, ma è anche in grado di
porre in aporia le stesse conquiste dell’intelletto, ricomponendo e sintetizzando gli
opposti. In questo lavoro di ricomposizione l’oggettività non appare più come un
dato fermo ed irrelato, ma come sussistenza del concetto. Il cammino della logica di
Hegel approda, dunque, all’Idea assoluta e
alla saldatura del concetto con l’effettuale,
CONVEGNI E SEMINARI
Johann Gottlieb Fichte e Georg Wilhelm Friedrich Hegel
perché il concetto non è più una immobile
forma sostanziale o un’entità metafisica
separata dalla vita e dal concreto dispiegarsi del pensiero. F.De C.
Fichte:
la ricerca del fondamento
Organizzato dall’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli, si è svolto
dall’11 al 15 gennaio 1993 un seminario di studi, tenuto da Giovanni Stelli,
sul tema: LA RICERCA DEL FONDAMENTO: IL
PROGRAMMA FILOSOFICO DELL ’IDEALISMO TEDESCO NELLO SCRITTO DI FICHTE “SUL CONCETTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA”.
Il problema del fondamento, come problema centrale della filosofia fichtiana e dell’idealismo tedesco in generale è stato affrontato da Giovanni Stelli in due fasi
distinte: una prima, di determinazione teoretica del problema; una seconda, di esposizione della soluzione di Fichte. Spunto
del seminario sono le tesi contenute in un
breve scritto di Fichte, Sul concetto della
dottrina della scienza (1794), che costituisce un’introduzione al ben più noto testo:
I fondamenti dell’intera dottrina della
scienza (1794-95).
Il programma esposto in questo scritto è
quello di tutto l’idealismo tedesco; la sua
originalità sta nel fatto che esso rappresen-
ta l’ultima grande risposta ai problemi conseguenti dalla struttura antinomica del pensiero moderno, la cui origine risale alla
scissione del nesso essere-valore, operata
dalla rivoluzione scientifica e dalla critica
distruttiva del finalismo. L’idealismo tedesco, ha osservato Stelli, rifonda l’ontologia
teologica sulla base di un metodo trascendentale riflessivo: si tratta di ricercare il
fondamento unitario nella differenza tra
essere e soggettività; di fondare una teologia per sé in quanto struttura della ragione
intesa come ragione-valore, fine in sé, fondamento ultimo del conoscere, dell’agire e
dell’essere.
Il discorso di Fichte sul fondamento riguarda il problema del nesso assoluto teoriaprassi, a partire dal quale i due termini si
separano. La necessità della filosofia come
scienza è appunto quella di fondare i principi di tutte le scienze a partire da un
principio assoluto autodefinentesi. Ma, si è
chiesto Stelli, è ancora possibile ragionare
oggi in termini di fondazione in una situazione filosofica e spirituale, caratterizzata
dal dominio di una concezione relativistica? In quest’ambito la ragione abbandona
pretese eccessive e si pone come la moderna ragione critica opposta all’antica ragione dogmatica. Sul piano teoretico l’argomento fondamentale del relativismo contemporaneo, noto come trilemma di Munchhausen, è stato formulato da Albert, con
l’intento di dimostrare che qualsiasi cono55
scenza, sia teoretica che pratica, è meramente ipotetica e che, pertanto, ogni pretesa di fondazione è impossibile in via di
principio. Dimostrare, unicamente con
l’aiuto di inferenze logiche, che un insieme
di proporzioni deriva da una proposizione,
assunta come principio assolutamente sicuro, è una necessità che si ripropone per la
stessa proposizione che ha fondato il primo
insieme di proposizioni. E’ a questo punto
che si genera il trilemma: o abbiamo un
regresso all’infinito; o abbiamo un circolo
vizioso; o abbiamo l’interruzione del procedimento in un certo punto. Questa terza
possibilità è proprio quella alla quale ha
fatto ricorso la filosofia classica, appellandosi alla evidenza certa di determinati enunciati. Il razionalismo critico sostiene invece che la situazione aporetica generata dal
trilemma può essere evitata solo se si rifiuta
il modello gnoseologico classico, ossia il
principio di ragion sufficiente, e si coglie al
suo posto la metaproposizione che tutte le
proposizioni sono ipotetiche. Tuttavia, ha
osservato Stelli, l’assunzione di questo principio porta a negare ciò che invece esso
vuole affermare. Dalla dimostrata impossibilità di aggirare il trilemma, bisognerebbe
piuttosto dedurre che l’etica è impossibile
e sviluppare fino in fondo, con coraggio
teoretico, le conseguenze di una simile
affermazione. Questo coraggio teoretico
costituisce, secondo Stelli, l’aspetto più
notevole, sia sul piano filosofico che su
CONVEGNI E SEMINARI
quello esistenziale, delle scarne ma profonde riflessioni sull’etica di Wittgestein:
«L’etica non tratta del mondo, è piuttosto
una condizione del mondo come la
logica...In quanto entrambe sono condizioni intrascendibili del mondo non possiamo
parlarne; esse possono solo in un certo
senso mostrarsi».
In rapporto a queste considerazioni il testo
fichtiano, Sul concetto della dottrina della
scienza, affronta, secondo Stelli, problemi
molto importanti, come quelli relativi allo
status della dottrina della scienza che, in
quanto scienza, deve avere a suo fondamento, come tutte le scienze, un principio;
e d’altra parte, poiché non è una semplice
scienza particolare, ma la scienza di tutte le
scienze, tale principio non è un principio
accanto agli altri principi, ma è il principio
che deve comandare tutti i principi e come
tale deve essere sempre già presupposto
come assolutamente certo. Ma com’è possibile comprendere questa certezza? Fichte
procede attraverso cinque definizioni del
principio fondante, l’ultima delle quali,
secondo Stelli, è la più interessante e quella
autenticamente trascendentale; il principio
in quanto fondamento di ogni sapere, accompagna ogni sapere, è compreso, è presupposto in ogni sapere, ciò che rende
possibile ogni sapere. Per indicare il procedimento argomentativo che fonda tale principio, Fichte usa due espressioni chiaramente equivalenti: «riflessione astraente»,
nella Dottrina della scienza, e «astrazione
riflettente», nel Concetto. In ogni caso si
parla di una riflessione che ci fa conoscere
non già un fatto e nemmeno, si badi, un
fatto di coscienza, bensì ciò che costituisce
la condizione assolutamente intrascendibile di qualsiasi fatto, compreso “il fatto della
coscienza”, ossia la rappresentazione. Sulla base di questa struttura riflessiva, Fichte
costruisce, secondo Stelli, la sua risposta
allo scetticismo, dimostrando la necessità
del principio, ossia della ragione, come
fondamento ultimo.
Per una interessante integrazione di questo
contesto di riflessione segnaliamo l’ultimo
volume di Marco Ivaldo, Libertà e ragione. L’etica di Fichte (Mursia, Milano 1992),
che propone un accurato esame degli elementi fondanti, delle articolazioni essenziali e degli sviluppi più importanti dell’etica trascendentale fichtiana in rapporto
alla riflessione morale contemporanea.
Nelle prime parti del testo, Ivaldo mette in
evidenza lo sviluppo dell’etica fichtiana,
nella sua relazione con Kant e nel confronto con pensatori del tempo, e lo stretto
nesso intercorrente tra principi dell’etica
trascendentale e sistema trascendentale in
generale. L’etica fichtiana infatti presuppone e, nello stesso tempo, approfondisce i
principi della Dottrina della scienza. Nella
terza e nella quarta parte vengono presentate rispettivamente le caratteristiche fondamentali dell’etica trascendentale degli
anni di Jena e la prospettiva dell’etica trascendentale superiore, propria dei succes-
sivi anni berlinesi.
Il percorso tracciato da Ivaldo si raccoglie
attorno al binomio libertà-ragione. L’etica
trascendentale infatti è un’etica razionale
della libertà. Essa trova nella ragione la
propria giustificazione e nella libertà la
propria qualificazione e realizzazione morale. Ragione e libertà si presentano tuttavia come compito: la libertà rappresenta
l’adempimento di quella costitutiva tendenzialità che spinge l’uomo verso la ragione e la ragione non può svolgere il suo
compito etico-razionale se non mediante la
libertà. Il dover-essere rappresenta dunque
quell’impulso di ragione, quel desiderio di
compimento inseparabile dalla vita dell’uomo. Esso alimenta l’etica della coscienza morale e la apre alla comunicazione e
alla cooperazione responsabile, alla comunità come “comunità dei fini”.
Attraverso questo itinerario di ripensamento
dell’etica trascendentale fichtiana Ivaldo
mostra significativamente il contributo che
essa può offrire all’attuale dibattito etico,
mettendo in luce lo svolgimento qualitativo dell’etica razionale della libertà all’etica superiore nei due livelli in cui si articola:
legge ordinatrice e legge creativa. Nell’etica superiore infatti l’elemento del rispetto
della regola comune a tutti si integra con il
voler fare il bene, incarnandone il contenuto positivo in espressioni creative rinnovate. Alla base dell’etica superiore vi è un’idea
di ragione etica e, nello stesso tempo, veritativa. L’attuazione della ragione comporta il riconoscimento della volontà divina
come dover-essere costituente, legge unica
fondante l’essere-fenomenale e, quindi, il
superamento della separatezza tra il volere
“proprio” e il volere “divino”. La ragione
appare come immagine della vita divina
che “esiste” nella libera comunicazione
propria della comunità degli esseri liberi.
La libertà si presenta qui come risposta
all’appello della ragione e assunzione responsabile dell’imperativo originario del
bene in vista dell’ “interpersona”, immagine dell’assoluto e dover essere realizzato
nell’ordine del tempo in quanto spazio di
comunicazione fra esseri liberi, spazio di
quel libero e creativo “dare e ricevere”
peculiare dell’essere umano. Fr.M./
L.R.
Kairòs e tempus
Nel corso di un seminario di studi
svoltosi il 23 marzo 1993 presso l’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli
dal titolo: KAIRÒS E TEMPUS. LIBERTÀ,
CASO E CONTINGENZA TRA SCIENZA E FILOSOFIA, Giacomo Marramao ha presentato il suo ultimo studio, KAIRÒS.
APOLOGIA DEL TEMPO DEBITO, (Laterza,
Roma-Bari 1992), e Michel Serres le
recentissime traduzioni italiane di
due tra le sue opere più significative, ROMA (a cura di Roberto Berardi,
56
Hopefulmonster, Firenze 1992) e IL
MANTELLO DI ARLECCHINO . “IL TERZO ISTRUITO”: L ’ EDUCAZIONE DELL ’ ERA FUTU RA (a cura di Alberto Folin, Marsilio,
Venezia 1992). Presenti, oltre ai due
autori, anche Roberto Berardi e Gaspare Polizzi.
Nella sua introduzione Roberto Berardi
ha sottolineato la lunga consuetudine del
pensiero di Michel Serres con i temi dell’esplorazione della natura delle cose che,
in Roma, diventano gli oggetti vivi dell’abitare urbano. Città è qui corpo misto di
materia e spazio (un ibrido storico e geografico), assolutamente necessario all’esistenza degli uomini: Roma è l’archetipo
dello spazio divenuto umano, perché vissuto, cioè commisurato al tempo. Nel puntualizzare la convergenza tra l’opera di
Serres e quella di Giacomo Marramao,
Gaspare Polizzi ha quindi focalizzato l’attenzione sulla riflessione, comune ai due
autori, circa il valore del tempo che nel
pensiero scientifico del Novecento risulta
definito solo nella minima brevitas della
quantificazione epistemica, che annulla
definitivamente il tempo lungo della narrazione storica.
Un’analisi della più intima radice etimologica del vocabolo “tempo” sembra poter
riaprire i sentieri dell’aporìa produttiva del
filosofo. Il radicale tem- ,tagliare, solleva
il velo dell’enigma: il tempus, come afferma Serres, è “il mescolato”, “miscela variabile”, “temperamento”, «con la quale
vengono qualificati i paesi detti appunto
temperati, che per questa ragione… hanno,
di converso, inventato la storia, cioè una
sequenza temporale - temperata come una
gamma - di eventi». E, in effetti, dall’originaria confusione semantica e semiologica
tra tempo atmosferico e tempo cronologico, si può risalire alla forte connotazione
climatica del concetto di tempo. Secondo
Marramao, un opportuno richiamo a Émile
Benveniste, cioè al “versante linguisticofilologico” dell’analisi del concetto di tempo, può mettere in evidenza come «la difficoltà di scoprire l’etimologia di tempus
deriva dal fatto che i composti di questo
termine sono in realtà più antichi della
parola “tempo”… Il sostantivo tempus nasce pertanto dall’astrattizzazione di termini come tempestus, tempestas, e dunque
temperatura, temperatio, ecc.» Solo quando si può catturare il tempo in forme e
strutture che lo neutralizzino in kronos si
parlerà di tempo, di sequenza evenemenziale; prima d’allora la verità dell’esistere
riposerà nella profondità dell’aiòn, nella
vitalità di una psyché che sta eternamente
congiunta ai cicli naturali, alla mobilità
continuamente circolare delle stagioni.
E, infatti, il vero corrispettivo greco di
tempus non è Chronos, bensì Kairòs, connesso da Benveniste alla voce verbale keravnnumi, cioè “mescolare”, “temperare”; è chiara allora quella mescolanza
opportuna che Marramao evoca e che
CONVEGNI E SEMINARI
Serres ribadisce nel richiamare l’attenzione sul valore referenziale che possiede il lessico nella composizione delle
spesso frammentarie e problematiche
questiones della scienza: sovente la tentazione di guardare superficialmente
nello “scorrere” - couler espressione che
indica sia il flusso di un corso d’acqua,
sia lo scorrere del tempo - del fiume solo
il moto uniforme e rettilineo, trascurando il mélamge, il “miscuglio” torbido
che le acque trascinano. Da qui, l’invito
che Serres rivolge all’Apollinaire di Sous
le pont Mirabeau: bisogna guardare anche la turbolenza delle correnti, anche il
“taglio” del tempo e non solo il suo
corpo unitario. M.P.R.
Topologia del moderno
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli
studi Filosofici di Napoli, dall’1 al 5
febbraio 1993, Vincenzo Vitiello, dell’Università di Salerno, ha tenuto un
seminario sul tema: TOPOLOGIA DEL MODERNO , quale possibilità di un’ermeneutica filosofica che, privilegiando la
categoria dello spazio, sveli un orizzonte di compresenza di elementi costanti nella storia del pensiero.
Intrecciando ermeneutica e storia Dilthey
ha inteso confrontarsi con tutta la storiografia filosofica dell’Ottocento. In particolare la sua posizione viene a contrapporsi
alla teleologia hegeliana, di cui pure recepisce l’esigenza di oggettivazione. Il nucleo del discorso diltheyano, ha rilevato
Vincenzo Vitiello, è il linguaggio, a cui
ogni singolo, seppur inconsciamente, appartiene. In ogni espressione di vita singola
è già presente il linguaggio come necessaria struttura connettiva universale del sapere. Qui il tempo è possibile solo in un
orizzonte di compresenze, in cui esso permane immodificato. In Gadamer, ha proseguito Vitiello, l’ermeneutica si arricchisce
soprattutto in virtù della messa in discussione dell’identità soggetto-oggetto. Va in
crisi la prospettiva idealistica, a partire dal
verum ipsum factum di Vico. L’astrazione
del pensiero, infatti, arriva sempre troppo
tardi, o troppo presto, rispetto all’esse.
Tuttavia, anche in Gadamer, il linguaggio è
ciò in cui tutto questo si dà. Viene qui
introdotto il concetto di spazialità del tempo, essenziale per la topologia.
All’ermeneutica è necessaria non solo la
comprensione, ma anche la spiegazione
causale, come chiarisce Levi-Strauss a proposito del mito di Edipo. Il pensiero mitico
ha lo stesso carattere di quello scientifico,
perché fondato sulla funzione logica: qui il
pensiero ha di fronte non la coscienza, ma
il mondo. Tuttavia, come sostiene Ricoeur,
se bisogna guardare all’esperienza del
mondo, è necessario sottrarsi sin dall’ini-
zio al formalismo e porsi direttamente in
una relazione di attività con il mondo della
vita, la Lebenswelt. S’incontra così nuovamente, secondo Vitiello, l’impostazione
diltheyana: la connessione dinamica fonda
l’esperienza e la rende possibile. I topoi
sono in tale contesto le costanti della storia
che sfuggono al tempo, perché in essi il
tempo scorre. Sono apriori materiali non
lontani dalle ontologie regionali della fenomenologia hegeliana, da cui si differenziano non per la rinuncia al soggettivismo
- dal momento che la fenomenologia è
sempre stata senza soggetto - ma perché si
sottraggono alla teleologia, dunque ad ogni
finalismo e al concetto di libertà.
L’ermeneutica contemporanea ha i suoi
principali referenti in Nietzsche, Heidegger e Freud, che non prendono posizione all’interno del tradizionale autaut filosofico tra doxa ed episteme, in
quanto l’una riduce il pensiero a mera
curiosità, l’altra imbriglia il sapere nell’assoluto. Ma allora, ha osservato Vitiello, il problema è quello di fondare
un’altra episteme, quindi una nuova logica, con un diverso linguaggio. Nietzsche fa la scelta dell’aforisma, ma poi
nella Genealogia è costretto a tornare
indietro, riconoscendo implicitamente il
suo scacco. Heidegger vive una fase analoga nel passaggio da Essere e tempo
agli ultimi scritti. Solo Freud andrà fino
in fondo lungo il suo percorso, riuscendo a chiarire che tempo e logica sono
derivati della configurazione spaziale
della psiche. Secondo Vitiello non si
tratta qui solo di una metafora. C’è in
Freud una visione a strati della storia che
era anche di Nietzsche e Heidegger, ma
che in questi veniva piegata a favore del
tempo cronologico. Freud invece assume in pieno l’ottica spaziale e come tale
è il principale sostenitore dell’ermeneutica topologica. Egli sottolinea infatti
che le cose cambiano secondo il punto di
osservazione e se i fatti coincidono con
l’interpretazione, con la veduta, allora il
soggetto come tale scompare, cogliendosi in una identità con l’oggetto che
permette al topos di spiegare il diverso,
il disomogeneo. Ecco allora che il tempo
appare reversibile: ogni cosa rivive nel
ricordo; l’organico ritorna nell’inorganico; la morte non è quella del singolo,
ma caratterizza l’essente. Si supera la
contrapposizione spazio-movimento,
perché il topos è forza di spazializzazione, dove lo spazio non è cartesianamente
materia, ma connessione degli elementi,
principio esplicativo, compresenza, simultaneità.
Secondo Vitiello, un’ermeneutica topologica della storia dissolve il soggetto, rapporta i fatti non nella cronologia, bensì
nella cogenza del pensare: non fa storia
della filosofia senza fare nel contempo
filosofia. La topologia non esclude il rapporto con il luogo dello spazio storico che
attualmente occupiamo. Anzi vi coglie l’in57
trecciarsi di più tradizioni etiche: quella
classica come disposizione, quella cristiana come liberazione. Ma ciò non toglie
senso all’etica nella chiave originaria dell’abitare dostoevskianamente la contraddizione, l’assurdo del dolore, lasciando aperto l’interrogativo circa una possibile filìa
tra gli uomini. G.V.
Kant e il problema di Dio
L’Istituto di Filosofia dell’Università di
Chieti ha organizzato, dal 29 marzo al
2 aprile 1993, un corso integrativo all’insegnamento di Storia della Filosofia sul tema: IL PROBLEMA DI DIO NEGLI
SCRITTI DI KANT, tenuto da Giovanni B.
Sala della Hochscule für Philosophie
di Monaco di Baviera, che ha ampiamente analizzato i vari scritti kantiani
sul problema della metafisica.
Affrontando inizialmente l’argomento fisicoteologico, Giovanni B. Sala ha precisato che per Kant la sufficienza della natura
dimostra l’esistenza di Dio; per i singoli
fenomeni naturali non si richiede un’azione speciale di Dio; al contrario la natura
intera è in relazione a Dio come a Colui che
è fondamento delle essenze e delle leggi ad
esse intrinseche. Pur rifiutando il richiamo
a cause finali, Kant colloca la finalità in
mente Dei, anche se nel nostro universo
questa finalità viene attuata da forze meccaniche.
Successivamente, Sala ha affrontato il problema di Dio nel contesto della dottrina dei
principi metafisici della Nova delucidatio.
La conoscenza umana in senso proprio
(conoscenza della realtà) risulta dall’attuazione di una struttura triadica di esperienza, intelligenza e giudizio. Sala mette in
luce la limitatezza umana; il nostro concetto (finito) dell’infinito non è da sé solo
garanzia della propria verità, un concetto
finito dice solo probabilità.
Passando a trattare la prova ontoteologica
nella Nova delucidatio e nello scritto del
1763, L’unico argomento possibile per una
dimostrazione dell’esistenza di Dio, Sala
ha ripercorso l’itinerario dall’ens realissimum dell’Unico argomento possibile sino
all’ideale trascendentale della Critica della ragion pura, evidenziando come dopo il
1763 Kant proponga una sintesi di empirismo e razionalismo.
La confutazione della dimostrazione ontoteologica e la critica della prova della contingenza nell’Unico argomento possibile,
ha osservato Sala, si basano sul fatto che la
conoscenza di Dio è per noi possibile solo
partendo da un esistente, per arrivare all’essere necessario conosciuto come effettivamente esistente, e successivamente specificarlo nella sua qualità di ens realissimum. Per Kant essere infinito ed essere
necessario si implicano a vicenda.
Affrontando infine la prova morale di Dio
e il problema di un’etica eudemonistica,
Sala ha fatto notare come Kant qualifichi la
CALENDARIO
Dal 20 al 24 settembre 1993 alla
Technischen Universität di Berlino,
sotto il patrocinio della Allgemeine
Gesellschaft für Philosophie tedesca, ha avuto luogo il XVI. Deutsche
Kongress für Philosophie. Tema del
convegno: Nuove realtà. Una sfida per la filosofia. La direzione del
congresso è stata affidata a Hans
Lenk e Hans Poser, i quali hanno
interpretato il tema come un invito
alla filosofia ad affrontare le mutate
realtà politiche e sociali della Mitteleuropa e a prendere posto fra le
culture di confine. Tra gli interventi:
“Una nuova realtà tecnica?” (Rapp);
“Etica tecnica, etica economica, etica dell’ambiente” (Zimmerli); “Autorganizzazione, sistemi dinamici, situazione caotica” (Hegselmann); “Informazione, codici, computer: mondi artistici?” (Krämer-Rammert);
“Modelli mentali: cervello, stato del
fenomeno e rapporti con la realtà”
(Lenk); “Simbolo e linguaggio: mondi interpretativi” (Gebauer); “Utopie politiche e realtà sociali”
(Schnädelbach); “Idee e realtà dell’Europa come sfida filosofica”; “Il
problema della realtà metafisica un
tempo e oggi” (Wihel); “Sul dibattito sul realismo nella filosofia analitica” (Abel).
Tra le relazioni più interessanti quelle di Arsenij Gulyga (Mosca), “L’
‘idea russa’ e l’idealismo tedesco.
Sulla rinascita di una realtà culturale”; di Leszek Kolakowski (Oxford),
“La caduta del comunismo come
evento filosofico” e di Kurt Hübner
(Kiel), “Come può contribuire la filosofia all’unificazione dell’Europa?”.
● Informazioni: Institut für Philosophie, Wissenschaftstheorie, Wissenschafts- und Technikgeschichte,
TU Berlin, Sekr. TEL 2, Ernst-Reuter-Platz 7, W-1000 Berlin 10.
Dal 23 al 24 settembre, si è tenuto un
Convegno di filosofia politica dal titolo: Autore, Attore, Autorità, organizzato dal Centro Culturale Polivalente in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
Questo il programma degli interventi: Paolo Bozzi: “Autore, attore, autorità nel Teatro Accademico”; Alberto
Burgio: “Il signore, il servo, la plebe.
Il problema politico del ‘riconoscimento’”; Umberto Cerroni: “La persona dell’Italiano”; Antonio Faeti: “La
branda accogliente e il milite renitente. Appunti per una iconologia politologica”; Domenico Losurdo: “Marx,
Gramsci e la fenomenologia del potere”; Gianfranco Pasquino: “Costruire
l’autorità (e la responsabilità)”; Jacques Texier: “Marx e la democrazia”;
Maurizio Viroli: “Il significato del
patriottismo”.
● Informazioni: Biblioteca Comunale di Cattolica, piazza della Repubblica 34, 47033 Cattolica, tel.0541/
967802.
Dal 27 al 30 settembre ha luogo il
terzo corso di studi superiori Utopia
e Storia. Rivoluzione e conserva-
CALENDARIO
zione nell’età contemporanea,
ermeneutiche della semiotica”; Per
Aage Brandt: “Che cos’è una lingua?.
● Informazioni: Università di San
Marino, Contrada Omerelli 77, 47031
San Marino, tel. 0549/882516.
organizzato dalla Summer School
della Fondazione Collegio San Carlo. Relatori sono Jürgen Moltmann
(Università di Tübingen) e Lucien
Jaume (Centre d’Etudes de la Vie
Politique Français). A conclusione
dei lavori, verrà rilasciato ai partecipanti un attestato di frequenza. Le
lezioni si terranno in lingua inglese e
francese.
● Informazioni: Segreteria Summer School, Fondazione Collegio San
Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315.
Dal 15 al 17 ottobre si svolgerà il
Primo seminario di epistemologia clinica che avrà come titolo: L’interdisciplinare e i processi di cura, organizzato dall’Istituto Sasso Corbaro
in collaborazione con i dipartimenti
di filosofia dell’Università di Losanna e di Pavia, con il patrocinio della
Società svizzera di filosofia. Questo
il calendario degli incontri: 15 ottobre, Graziano Martignoni: “Le frontiere della cura”; Fulvio Papi: “Temi
teorici dell’interdisciplinare”; Silvana Borutti: “Interpretazione e costruzione: modelli epistemologici a confronto”. 16 ottobre, Bernard Bärtschi:
“La place de l’individuel en médecine”; Raphaël Célis: “Le croisement
des disciplines dans la pensée médicale chez Hippocrate”; Roberto Malacrida: “Il conflitto dei valori nei
processi di cura interdisciplinari contemporanei”. 17 ottobre, Lucio Sarno: “Erranze dell’oggetto nel campo
psicoanalitico”; Fabio Merlini: “Appunti su clinica e soggetto”.
● Informazioni: Istituto Sasso Corbaro, Pian Laghetto 1, CH-6500 Bellinzona, tel. 092/263226.
Organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane dell’Università di Macerata, si svolgerà nei
giorni 7-8-9 ottobre il VI Colloquio
su Filosofia e Religione dal titolo:
Filosofia ed esperienza religiosa a
partire da Luigi Pareyson. Questi
gli interventi: G. Ferretti, “Filosofia
ed ermeneutica dell’esperienza religiosa in L. Pareyson”; A. Bausola,
“Filosofia ed esperienza religiuosa in
Pascal”; X. Tiliette, “Filosofia ed
esperienza religiosa in Schelling”; V.
Melchiorre, “Filosofia ed esperienza
religiosa in Kierkegaard”; R. Lauth,
“Filosofia ed esperienza religiosa in
Dostoevskij”. Terminerà i lavori una
tavola rotonda presieduta da A. Rigobello, con la partecipazione di M.
Cacciari, J. Greisch, U. Perone, P.
Prini, G. Vattimo.
● Informazioni: Antica Biblioteca
Università di Macerata, Via Garibaldi 20, 62100 Macerata.
In occasione della presentazione a
Roma delle Oeuvres complètes de
Jacques et Raissa Maritain, il Centre
d’Etudes Saint-Louis De France e
l’Institut International Jacques Maritain di Roma hanno organizzato, nei
giorni 21-23 ottobre, un Colloquio
Internazionale dal titolo: Jacques
L’Università degli Studi della Repubblica di San Marino ha organizzato un Convegno dal titolo: Hjelmslev
oggi, che si terrà dal 12 al 14 ottobre.
Questo il calendario degli incontri:
12 ottobre, Alessandro Zinna; André
Martinet: “Una rilettura di Hjelmslev”; Claude Zilberberg: “Una continuità incerta: Saussure, Hjelslev,
Greimas”; Giorgio Graffi: “Hjelmslev e i linguisti italiani”; Michael
Rasmussen: “Hjelmslev e il razionalismo”. 13 ottobre, Massimo Prampolini: “Quel ‘vocabolario capriccioso’: problemi di semantica strutturale”; Herman Parret: “Preistoria, struttura e attualità della teoria hjelmsleviana del caso”. 14 ottobre, François
Rastier: “Le fondazioni formali e
Maritain ou la poste-modernité
commencée. Interverranno: Emile
Poulat, “Le role de l’oeuvre de J.
Maritain dans le débat du XX siècle”;
Charles Blanchet, “La richesse multiforme de l’oeuvre de J. Maritain”;
René Mougel, “Le sens d’une édition”; Jean Louis Allard, “Le rayonnement de la pensée de Maritain en
Amérique du Nord”; Candido Padin,
“Le rayonnement de la pensée de
Maritain en Amérique Latine”; Georges Cottier, “J. Maritain: philosophe
de la culture et de la société”; Antonio
Pavan, “J. Maritain: le futur des
chrétiens au-delà de la post-moderni-
58
té”; Giuseppe Dalla Torre, “Après
Humanisme Integral: quel nouveaux
scénarios pour l’homme?”.
● Informazioni: Istitut International Jacques Maritain, via Quinto Sella 33, 00187 Roma, tel. 06/4874601.
Organizzato dal “Seminario permanente di teoria critica” dell’Istituto
Universitario Europeo, avrà luogo dal
29 al 30 ottobre, il quarto incontro di
studio dal titolo: Cosa significa teoria critica? Saranno presenti: Virginio Marzocchi, Lucio Cortella, Stefano Petrucciani, Gian Enrico Rusconi,
Rino Genovese, Mario Pezzella, Salvatore Veca, Sebastiano Maffettone
e Antonella Besussi.
● Informazioni: Stefano Petrucciani, Dip. di Filosofia Università di
Roma, via Nomentana 118, 00198
Roma, tel. 06/8540702.
Dal 4 al 6 novembre si terrà un Convegno di Studi su Il Filebo di Platone e la sua fortuna. L’incontro,
organizzato dall’Istituto universitario Orientale di Napoli, prevede le
seguenti relazioni: Francesco Adorno: “Il piacere e la sua definizione nel
Filebo”; Mario Agrimi: “Paolo Mattia Doria e la sua lettura del Filebo”;
Enrico Berti: “Il Filebo e le dottrine
non scritte di Platone”; Ernesto Berti:
“Momenti e problemi della trasmissione del testo del Filebo”; Giovanni
Casertano: “Il piacere falso nel Filebo”; Salvatore Cerasuolo: “Il ridicolo
nel Filebo e in Aristotele”; Giovanni
Cerri: “Spunti di teoria poetica nell’analisi filosofica della dottrina del
piacere nel Filebo”; Paolo Cosenza:
“Il tema del piacere nella problematica ontologica del Filebo”; Gabriele
Giannantoni: “La polemica antiedonistica nel Filebo: Eudosso o Aristippo?”; Margherita Isnardi Parente: “Le
idee nel Filebo”; Walter Kohan: “la
unidad y multiplicidad del bien en el
Filebo”; Renato Laurenti: “Il Filebo
in Plutarco”; Giuseppe Martano:
“Mikto;ı bivoı (Filebo, 65a)”;
Maurizio Migliori: “Lo sviluppo
“tempestoso” di un giuoco compatto:
la struttura del Filebo”; Claudio Moreschini: “Il Filebo in Olimpiodoro”;
Ferruccio Franco Repellini: “La gevnesiı e il piacere nel Filebo”;
Livio Rossetti: “Sulla struttura macro-retorica del Filebo”; Christopher
Rowe: “Style and Form in the Philebus”.
● Informazioni: Istituto Universitario Orientale, via dei Fiorentini 10,
80133 Napoli.
Si terrà a Venezia dal 25 al 26 novembre 1993 un Convegno di studio dal
titolo: Jacques Maritain e la filosofia dell’essere. Questo il programma degli intervemnti: C. Vigna, “Le
forme del sapere nella filosofia di
Maritain”; J. P. Dougherty, “Maritain and the challenge of Modernity”;
V. Possenti, “La ‘quarta dimensione’: mistica d’immanenza o del Sé e
mistica cristiana”; G. Cottier, “Realismo conoscitivo e metafisica dell’essere”; P. Goisis, “Il problema della
libertà e del male”; P. Nickl, “Esperienza mistica e filosofia”; T. Perlini,
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Manuali di filosofia
a confronto (I parte)
Un manuale scolastico può essere un
indicatore efficace della condizione di
una disciplina e del livello di avanzamento della sua ricerca. L’esame comparato di diversi manuali di filosofia
può risultare perciò utile sia per valutare l’evoluzione del settore, sia per
orientare scelte importanti. La destinazione didattica del libro di testo
dovrebbe far prevalere considerazioni
di carattere pratico, legate soprattutto all’uso che ne dovranno fare gli
studenti. In realtà, molti manuali (non
solo di filosofia) sembrano fatti più per
gli insegnanti che per gli allievi, cercano di piacere più a chi ne determinerà
l’acquisto che a coloro che dovranno
poi usarli quotidianamente; spesso gli
autori guardano a un pubblico universitario (o comunque di specialisti) trascurando gli ignari principianti che effettivamente avranno tra le mani la
loro opera. Con questo non si vuole
suggerire qui il manuale migliore, stilando magari una classifica infinitamente contestabile. Né si possono
recensire tutti i manuali esistenti. Si
propone solo un confronto caratterizzato da una dimensione quantitativa
che sicuramente non piacerà o apparirà riduttiva a molti insegnanti e soprattutto a molti autori, giustamente
contrariati dal vedersi valutati “a
peso”, sulla base di indici che non
tengono conto della sensibilità critica
con la quale è affrontato ogni argomento. Ma un confronto qualitativo è
praticamente impossibile in termini
statistici e non consente quell’impersonale oggettività che alcuni dei dati
qui raccolti possono invece rivendicare. E’ ovvio che la scelta o il giudizio su
un libro di testo non possono basarsi
solo su questi elementi, ma la loro
considerazione può risultare un punto
di partenza per ulteriori valutazioni,
che in ogni caso non potranno prescindere da una considerazione del
contenuto didattico dei testi.
Tra i limiti dell’indagine che qui si propo-
ne, il primo è costituito dal numero dei testi
presi in esame: ventiquattro manuali sono
tanti, ma non esauriscono l’offerta editoriale del settore. Pur essendo i testi analizzati sufficientemente rappresentativi del
panorama complessivo, la scelta non è stata assolutamente determinata da un giudizio di merito, ma solo dalla disponibilità
effettiva e dalla opportunità pratica di non
allargare oltre misura il confronto. Un secondo limite è dato dai parametri utilizzati:
nella maggior parte dei casi si tratta di
informazioni elementari ed esteriori che
anche una semplice osservazione superficiale avrebbe potuto rilevare; può essere
utile però avere sotto gli occhi un quadro
riassuntivo. In qualche caso si tratta invece
di dati che hanno richiesto un minimo di
elaborazione: la loro originalità e utilità è
tutta da dimostrare, ma anch’essi potranno
contribuire a fondare ulteriori giudizi o a
suggerire criteri alternativi di esame. Un
terzo limite consiste nell’impossibilità pratica di valutare l’intero contenuto di tutti i
manuali e determinarne quindi il valore
didattico; operazione che non si può nemmeno esaurire con un’eventuale - ma inattuabile - lettura integrale, poiché solo l’uso
effettivo di un libro di testo può rivelarne
fino in fondo pregi e difetti: e per valutare
ventiquattro manuali occorrerebbero almeno ventiquattro anni. Consapevoli di questo limite, ci si è dunque limitati a una
campionatura, per arrivare quanto meno a
un primo screening, che lasci poi il passo
ad altre più approfondite analisi. Un quarto
limite, infine, è dato dal fatto di aver confrontato solo testi effettivamente assimilabili, cioè storie della filosofia più o meno
tradizionali, lasciando da parte proprio quei
manuali più innovativi che negli ultimi
anni stanno suggerendo di trasformare questo insegnamento attraverso il ritorno alla
lettura diretta dei testi filosofici. Ricordiamo tra questi: Ameruso-Tangherlini-Vigli, I percorsi del pensiero (Lucarini, Roma
1987); Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone,
Filosofia: i testi, la storia (Sei, Torino
1990); Cioffi-Gallo-Luppi-Vigorelli-Zanette, Il testo filosofico (Bruno Mondadori, Milano 1991-93).
La TAVOLA I riunisce i dati editoriali dei
manuali esaminati. Nonostante le trasfor59
mazioni in atto nel settore, le case editrici
hanno deciso di puntare in maniera massiccia sul manuale di filosofia in questo inizio
degli anni Novanta. Tra questi testi, tre
sono usciti in prima edizione nel 1993,
quattro nel 1992, tre nel 1991, mentre altri
tre manuali hanno avuto nel 1992 una nuova edizione: dunque, più della metà possono considerarsi novità, ma anche gli altri
non sono particolarmente vecchi. Il più
longevo è il manuale di Geymonat, che
ritorna a trent’anni dalla prima edizione in
una veste completamente nuova. Lo segue
Giannantoni, giunto alla quarta edizione
dal 1968.
Se guardiamo la colonna degli “autori”,
vediamo che si diffonde sempre di più la
collaborazione di vari specialisti. Anche
testi apparentemente firmati da un solo
autore si avvalgono in realtà del contributo
di parecchi collaboratori: Merker è infatti
il coordinatore di una ventina di specialisti
diversi, mentre con Moravia hanno collaborato altri specialisti su alcuni temi. Il
manuale di Mancini-Marzocchi-Picinali
è stato coordinato da Veca, ma il nome del
direttore appare solo in copertina. Dell’equipe Ciancio-Ferretti- Pastore-Perone sono presi in esame due distinti manuali: il più recente è un sintetico Profilo che
integra il corposo testo di impostazione
antologica curato dagli stessi autori; si è
voluta citare anche l’edizione precedente e
più ampia del loro manuale per la ricchezza
e l’originalità di alcune soluzioni proposte.
Anche i “titoli” sono significativi per avere, in qualche caso, un’idea dell’orientamento del manuale. Solo i due testi dell’editrice Laterza si presentano col tradizionale titolo di Storia della filosofia. Tutti
gli altri preferiscono soluzioni alternative:
le filosofie al plurale compaiono in tre
manuali, mentre in sei casi tra titolo e
sottotitolo si circoscrive la trattazione all’area della cultura occidentale.
Quanto agli “editori”, oltre a ricordare la
casualità delle assenze, si può notare qualche duplice presenza. Alcuni editori hanno
coscientemente puntato sulla filosofia non
solo per scelta commerciale, ma per tradizione culturale più o meno consolidata. I
due manuali di Laterza appartengono a
differenti generazioni, ma le doppie proposte di Armando e Trevisini sono recenti e
DIDATTICA
AUTORI
TITOLO
EDITORE
ANNO
FORMATO
PAGINE
PREZZO
Nicola Abbagnano
Giovanni Fornero
Filosofi e filosofie nella storia
Paravia,
Torino
1992
(1986)
19,5 x 26,5
452+532+664= 1648
27.500+30.000+32.000=89.500
Francesco Adorno
Tullio Gregory
Valerio Verra
Storia della filosofia
Laterza,
Roma-Bari
1979
(1973)
14,5 x 21
592+546+626= 1764
27.500+28.500+31.500=87.500
NIicola Badaloni
Ornella Pompeo Faracovi
Il pensiero filosofico Storia-Testi
Signorelli,
Milano
1992
17 x 24
560+512+732= 1804
28.200+30.800+33.400=92.400
Erbesto Balducci
Storia del pensiero umano
Cremonese,
Firenze
1986
17 x 24
462+444+634= 1540
24.900+30.400+35.300=90.600
Enrico Berti
Franco Volpi
Storia della filosofia
Laterza,
Roma-Bari
1991
17 x 24
296+294+466= 1056
26.500+26.500+27.500=80.500
Massimo Bontempelli
Fabio Bentivoglio
Il senso dell'essere
nelle culture occidentali
Trevisini,
Milano
1992
17 x 24
366+312+710= 1388
25.800+24.000+40.800=90.600
Paolo Casini
Mario Benvenuti
Ragione e storia.
L'attività filosofica nella cultura
delle società occidentali
Palumbo,
Palermo
1991
15,5 x 23
440+586+780= 1806
31.500+36.000+39.000=106.500
Claudio Ciancio
Giovanni Ferretti
Annamaria Pastpre
Ugo Perone
Profilo di storia della filosofia
Sei, Torino
1993
14 x 21,5
224+286+390= 900
18.000+22.000+24.000=64.000
Alfredo Dolci
Filosofia e critica
Trevisini,
Milano
1989
17 x 24
496+366+560= 1422
29.900+26.900+33.500=90.300
Francesco Paolo Firrao
Franco Cambi
Filosofia. Materiali didattici
Armando,
Roma
1992
18 x 26
392+464+800= 1656
31.000+31.000+32.000=94.000
Ludovico Geymonat
Immagini dell'uomo;
Filosofia,scienza e scienze umane
nella civiltà occidentale
Garzanti,
Milano
1989
(1957)
17 x 24
576+680+774= 2030 (+94)
42.000+41.000+41.000=124.000
Gabriele Giannantoni
La ricerca filosofica
Loescher,
Milano
1992
(1968)
17 x 24
508+462+752= 1722
37.000+33.500+47.500=118.000
Luigi Lacchini
Pier Cesare Rivoltella
L'avventura del pensiero
Cedam ,
Padova
1992
19 x 26,5
540+530+880= 1950
35.500+37.500+47.000=120.000
Giorgio Mancini
Stefano Marzocchi
Giambattista Picinali
Corso di filosofia
Bompiani,
Milano
1993
17 x 24
1184+384+432+464= 2464
48.000+27.000+27.000=102.000
Nicolao Kerker
Storia delle filosofie
Giunti
Marzocco,
Firenze
1988
(1982)
17 x 24
468+476+586= 1530
28.000+29.500+29.500=87.000
Sergio Moravia
Filosofia
Le Monnier,
Firenze
1990
(1982)
17 x 24
624+548+862= 2034
226+218+268= 712
32.900+33.900+38.400=105.200
Ugo e Anna Maria Perone
Giovanni Ferretti
Claudio Ciancio
Storia del pensiero filosofico
Sei, Torino
1983
(1974)
17 x 24
364+414+598= 1376
37.000+38.000+40.000=115.000
Armando Plebe
Pietro Emanuele
Storia del pensiero occidentale
Armando,
Roma
1989
16 x 24
268+292+340= 900
28.000+28.000+28.000=84.000
Giovanni Reale
Dario Antiseri
Il pensiero occidentale
dalle origini a oggi
La Scuola,
Brescia
1983
17 x 24
542+736+834= 2112
28.000+35.000+38.000=101.000
Giovanni Santinello
Antonio Pieretti
Angelo Capecci
I problemi della filosofia
Città Nuova,
Roma
1980
15 x 21
462+448+626= 1536
24.000+24.000+26.000=74.000
Emanuele Severino
Filosofia.
Lo sviluppo storico e le fonti
Sansoni,
Firenze
1991
15,5 x 23
374+514+612= 1500
26.000+28.000+29.000=83.000
Mario Trombino
La filosofia occidentale
e i suoi problemi
Poseidonia,
Bologna
1993
20 x 27
416+448+400+138= 1402
27.000+28.000+26.000+
+12.000=93.000
Mario Vegetti
Franco Alessio
Fulvio Papi
Filosofie e società
Zanichelli,
Bologna
1992
(1975)
17 x24
736+620+944= 2300
34.000+29.300+39.800=103.100
Franco Voltaggio
I filosofi e la storia
Principato,
Milano
1981
13 x 22
372+416+556= 1344
27.000+28.500+31.000=86.500
Tavola I
60
DIDATTICA
presentano modelli scientifici e didattici
diversificati che non dovrebbero entrare in
concorrenza.
Può avere un qualche interesse confrontare anche il “formato” dei volumi, quanto meno per rilevare una tendenza che
riguarda in genere l’intera editoria scolastica, i cui prodotti stanno passando
dalle dimensioni quasi tascabili dei testi
pubblicati fino al principio degli anni
’80 alle ingombranti misure della più
recente produzione, che in alcuni casi ha
superato lo standard 17x24, avviandosi
verso il 18x26 e oltre (ma il Profilo di
Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone è in
controtendenza). Nell’insieme sono testi più ingombranti, ma anche più ricchi,
in veste più robusta e pregiata.
Le “pagine” complessive di un manuale
di filosofia sono oggi almeno 1500, con
punte di oltre 2000. Sono dimensioni
importanti, che talora si giustificano con
il crescere del testo vero e proprio o con
l’aggiunta di un ampio apparato didattico, ma che in ogni caso testimoniano la
tendenza “enciclopedica” dei nuovi manuali. Al primo volume di Geymonat è
allegato un piccolo dizionario filosofico, mentre ogni volume del Moravia si
articola in due tomi: uno di storia e uno
(più piccolo) di testi antologizzati; sommando gli uni e gli altri si superano le
2700 pagine, che pongono questo manuale di gran lunga al di sopra degli altri.
Al limite opposto si collocano PlebeEmanuele e il Profilo di Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone.
Sono riportate in tabella le sole pagine di
testo, senza contare quelle numerate in
cifre romane, che corrispondono di solito
al sommario o alla prefazione: non incidono significativamente sul totale e avrebbero complicato il confronto.
Va notato come cominci a infrangersi anche la tradizionale suddivisione in tre volumi. Proprio i manuali più recenti si presentano infatti in quattro volumi per via di
originali scelte nella struttura o nella disposizione del materiale. E’ comunque acquisita la tendenza dell’ultimo volume ad avere dimensioni notevolmente maggiori degli altri. Il secondo volume è invece molto
spesso il più piccolo, confermando così lo
squilibrio nella suddivisione dei programmi (pensiamo soprattutto al liceo scientifico in cui le ore del primo anno sono solo
due con un contenuto superiore a quello
dell’anno successivo, che dispone di tre
ore). Il progetto di riforma della commissione “Brocca” sembra aver riequilibrato
la situazione, proponendo di arrivare all’idealismo tedesco nel secondo anno: unico manuale ad aver fatto propria questa
suddivisione è quello di Severino.
Il “prezzo” è un elemento non indifferente
nella valutazione di un testo scolastico. I
prezzi riportati sono quelli fissati dalle case
editrici per il 1993. Stranamente, l’andamento del prezzo dei volumi non sempre
corrisponde a quello delle pagine: in
cinque casi il secondo volume, pur avendo meno pagine del primo, costa di più.
Sono un caso a parte i manuali in quattro
volumi. L’escursione dei prezzi complessivi è piuttosto sensibile, andando
dalle 64.000 lire di Ciancio-FerrettiPastore-Perone alle 124.000 lire di
Geymonat (ma altri otto superano le
100.000). Per quel che può valere un
simile calcolo, il rapporto pagine/prezzo
più vantaggioso è quello di Moravia; il
meno vantaggioso è quello di PlebeEmanuele. Ma questa valutazione tiene
conto solo della quantità di carta, e neanche di quella, dato che non si considera
il formato.
La TAVOLA II riassume alcuni indici relativi
al contenuto e all’impostazione dei manuali per consentire una valutazione più meditata e concreta della reale fruibilità di questi libri. Poiché il confronto tra le pagine è
troppo esteriore e superficiale, si è pensato
di porre a confronto la reale quantità di
testo presente in ciascun manuale. Il primo
numero riportato nella colonna dei dati sul
“testo effettivo” rappresenta la quantità dei
caratteri che compongono una pagina, ottenuta moltiplicando il numero medio dei
caratteri di una riga di stampa per le righe
di una pagina. E’ trascurato l’uso eventuale
di corpi tipografici diversi (salvo il caso di
Reale-Antiseri, che usa un corpo più piccolo in metà del terzo volume per contenerne le dimensioni) e il valore è una media
che indica la quantità massima di caratteri
tendenzialmente presenti in una pagina piena, priva cioè di titoli, spazi bianchi o
figure. L’indice è dunque da ritenere sempre approssimato per eccesso.
La densità tipografica di una pagina può in
un certo senso essere considerata un indicatore di leggibilità, almeno da un punto di
vista grafico: una pagina fitta di testo è
senz’altro meno attraente di una con larghe
spaziature e ampi margini (che consentono
per esempio ai lettori di annotare osservazioni sul libro). Le pagine più “leggere” in
questa colonna sono però spesso condizionate dal formato ridotto dell’edizione (occorrerebbe fare anche una proporzione tra
il testo scritto e il formato della pagina, ma
l’elaborazione sarebbe complessa e di interesse prevalentemente editoriale).
La seconda cifra che si legge in questa
colonna è costituita dal numero effettivo di
pagine dedicate alla ricostruzione manualistica della storia della filosofia. Sono state cioè escluse tutte le pagine occupate da
indici, letture, figure, ecc., proprio perché
il confronto è tra le singole storie della
filosofia, che sono del resto la parte principalmente usata dagli alunni per il loro studio. Il dato è ovviamente arrotondato e il
margine di oscillazione può essere ritenuto
del 2-3%, per lo più in eccesso. E’ facile
obiettare che, se un manuale è progettato
con un’antologia, non è lecito eliminarla
nella valutazione complessiva; ma per rendere omogeneo il nostro confronto era ne61
cessario equilibrare in qualche modo i testi.
Se si paragonano questi dati al numero di
pagine riportato nella TAVOLA I, si notano
infatti discrepanze anche notevoli proprio
per quei manuali caratterizzati da una cospicua sezione antologica.
Moltiplicando il primo per il secondo numero si ottiene il testo effettivo di cui ogni
singolo manuale è costituito. Va sempre
ricordato che questo valore è approssimato
per eccesso, ma il dato sembra ugualmente
attendibile e utile per il confronto. Si può
così scoprire che libri apparentemente piccoli contengono una quantità di testo assai
superiore ad altri di dimensioni maggiori.
In assoluto il manuale più ricco di storia è
il Reale-Antiseri, seguito a breve distanza
dal Moravia (questi due si staccano nettamente da tutti gli altri), mentre i valori
minimi sono toccati da Severino e PlebeEmanuele. E’ questa una considerazione
del tutto parziale; rimane da dimostrare che
un testo più lungo sia migliore di uno più
breve, o viceversa: ma il problema teorico
non può essere affrontato in questa sede.
L’indice di “leggibilità” è il dato più complesso. La leggibilità, ovviamente, non riguarda solo i manuali di filosofia, ma in
genere tutto ciò che si scrive. Nell’editoria
scolastica, però, è fondamentale che i testi
siano facilmente comprensibili a un pubblico di giovani non ancora esperti della
materia. Per un confronto attendibile si è
scelto di utilizzare l’indice di Flesch, strumento abbastanza discusso, ma altrettanto
sperimentato e comunque tale da consentire una rilevazione immediata e generalmente significativa. L’americano Rudolph
Flesch ha elaborato un metodo per indicare
numericamente il livello di leggibilità, cioè
di comprensibilità, di un testo. Alla sua
base è il principio per cui sono di più facile
lettura testi composti di periodi brevi, a
loro volta formati da parole altrettanto brevi. Resta fuori da questo criterio un riferimento alla sintassi, ma si può riscontrare
una correlazione abbastanza alta fra periodi lunghi e sintassi elaborata, così come le
parole più lunghe appartengono di solito ad
un linguaggio più ricercato ed evoluto.
Si può senz’altro dissentire da questa
impostazione ed obiettare, per esempio,
che in questo modo si premiano i testi
più elementari; a scuola invece gli studenti devono apprendere strumenti di
conoscenza e comunicazione sempre più
complessi, quindi occorre proporre loro
testi progressivamente più difficili; nel
caso della filosofia, poi, non si può rinunciare alla ricchezza di un lessico specifico che deriva dalla complessità oggettiva della materia. Sono tutte obiezioni sensate, ma la destinazione didattica dei manuali deve farceli considerare almeno da un certo punto di vista - come
pratico strumento di studio e consultazione per principianti: avviamento allo
studio di testi e problemi, e non già
problema essi stessi per la loro decifrazione. Quante volte abbiamo osservato
DIDATTICA
Abbagnano-Fornero
Adorno-Gregory-Verra
Badaloni-Pompeo Faracovi
Balducci
Berti
TESTO EFFETTIVO
LEGGIBILITA'
CLASSICI
4000 x 1440 = 5.760.000
55,18
30,8
3000 x 780 = 2.340.000
24,29
19,2
3000 x 920 = 2.760.000
40,80
22,3
3500 x 1500 = 5.250.000
39,42
16,0
4300 x 900 = 3.870.000
32,63
30,2
Bontempelli-Bentivoglio
3700 x 1320 = 4.884.000
44,48
34,6
Casini-Benvenuti
2800 x 1700 = 4.760.000
40,47
11,0
2800 x 880 = 2.464.000
36,86
32,7
Dolci
3600 x 1100 = 3.960.000
41,12
24,5
Firrao-Cambi
3450 x 1250 = 4.312.000
43,15
19,2
Geymonat
3300 x 1400 = 4.620.000
38,91
17,8
Giannantoni
3600 x 1320 = 4.752.000
33,26
15,8
Lacchini-Rivoltella
3340 x 1500 = 5.010.000
46,50
21,0
2800 x 980 = 2.744.000
37,62
29,5
Merker
3100 x 1300 = 4.030.000
36,53
14,2
Moravia
3750 x 1800 = 6.750.000
32,82
22,3
Perone-Ferretti-Ciancio
3500 x 1200 = 4.200.000
48,89
23,7
3150 x 710 = 2.236.500
36,24
33,2
4450x340+3800x1530=7.327.000
53,51
21,3
2600 x 1080 = 2.808.000
45,21
20,9
2600 x 850 = 2.210.000
51,63
34,5
Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone
Mancini-Marzocchi-Picinali
Plebe-Emanuele
Reale-Antiseri
Santiniello-Pieretti-Capecci
Severino
Trombino
3400 x 870 = 2.958.000
42,52
21,0
Vegetti-Alessio-Papi
3000 x 1600 = 4.800.000
35,06
16,6
Voltaggio
3200 x 1250 = 4.000.000
45,95
32,1
Tavola II
che i testi dei filosofi risultano più chiari
di certe loro parafrasi manualistiche?
L’indice di Flesch consente perciò un confronto rapido dei testi e fornisce un valore
numerico di immediata comprensione. La
formula di Flesch è stata adattata alla lingua italiana da Roberto Vacca nel 1972
secondo la seguente forma: F = 206 - (0,6S
+ P), dove S è il numero di sillabe su 100
parole, P è il numero medio delle parole di
un periodo (ottenuto dalla media aritmetica
delle parole che compongono i periodi di
un brano di almeno 100 parole), e F è la
facilità di lettura (a valori elevati corrisponde un’altrettanto elevata facilità di lettura, in una scala da 0 a 100 che però può
anche oltrepassare questi limiti).
Concretamente, si è proceduto scegliendo
5 campioni di testo dal primo volume di
ogni manuale (si è preferito il primo volume perché costituisce l’approccio iniziale
con la materia e dunque la sua leggibilità è
più significativa). Dato che una scelta casuale o statistica poteva prestarsi a diversi
rischi e obiezioni, si è deciso di considerare
5 brani contenutisticamente omogenei. La
scelta è caduta su argomenti classici, presenti sicuramente in ogni manuale (ma c’è
qualche eccezione): 1) Parmenide: l’esposizione del poema; 2) Platone: il mito della
caverna; 3) Aristotele: la sillogistica; 4) S.
Agostino: il problema del tempo; 5) S.
Tommaso: fede e ragione, filosofia e teologia. Di ciascun campione sono state esami-
nate le righe iniziali del testo che presenta
l’argomento. Sono stati considerati “periodi” i brani conclusi dal punto, anche nel
caso in cui più pensieri compiuti erano
separati da altra punteggiatura. Non si sono
fatte eccezioni per le citazioni comprese
nel campione, né per testi fra parentesi;
sono stati invece esclusi eventuali titoli dei
paragrafi. E’ stato tentato con cinque manuali un controllo su campioni di dimensioni doppie, per valutare l’attendibilità dei
risultati ottenuti. Poiché lo scarto tra i valori finali si è sempre mantenuto entro i
cinque punti, non si è ritenuto opportuno
complicare la procedura e ci si è limitati
alla campionatura indicata.
I valori ottenuti sono dunque da ritenere
sufficientemente attendibili, anche se si
può ammettere un margine di oscillazione
intorno al 10%, che non permette di stabilire gerarchie assolute. Testi di facile lettura dovrebbero ottenere punteggi superiori a
60, mentre al di sotto di 40 un testo è da
considerare già abbastanza complesso. Per
fare qualche paragone appena significativo, si tenga presente che l’indice di Flesch
applicato all’inizio della Prefazione alla
Fenomenologia dello Spirito (trad. di De
Negri) è 33,22, mentre l’inizio del Manifesto di Marx ed Engels (trad. di CantimoriMezzomonti) ottiene 44; l’inizio del primo
paragrafo di Essere e tempo (trad. di Chiodi) raggiunge 59,87 e le prime venti proposizioni del Tractatus logico-philosophicus
62
(trad. di Conte) arrivano, come era prevedibile, al bel punteggio di 84,52.
La prima conclusione che si può trarre
dalla nostra analisi è che i manuali di filosofia sono in genere testi poco leggibili.
Nessuno ottiene valori molto alti e i più
oscillano intorno a una media difficoltà che
consente di stabilire solo confronti grossolani. La media della leggibilità di tutti i testi
esaminati è 40,96.
Vista la quantità di dati registrati per realizzare questo esame, è possibile fare qualche
ulteriore osservazione o segnalare delle
curiosità. Particolarmente penalizzato dalla campionatura effettuata è stato il manuale di Adorno-Gregory-Verra che presenta anche la maggiore dispersione tra i valori
registrati, oscillando tra -21,5 e 65,2. Anche Giannantoni presenta oscillazioni
molto accentuate (tra -6,13 e 58,9). L’autore più omogeneo è risultato invece Geymonat, che ha contenuto la propria oscillazione entro soli 7 punti. Il valore più elevato nel singolo campione è stato ottenuto da
Bontempelli-Bentivoglio (74,9, con
S. Agostino).
Se poi si pongono a confronto fra di loro i
cinque testi campione, per individuare una
specie di oggettiva maggiore o minore difficoltà dell’argomento, si può osservare
come il problema del tempo in S. Agostino
ottenga il punteggio medio più elevato
(52,17), mentre risultano mediamente più
difficili la sillogistica aristotelica (35,89) e
la problematica tomista (35,54): nel primo
caso può aver contribuito al risultato positivo lo stesso S. Agostino (molti manuali
riproducono testualmente o per parafrasi la
brachilogia con cui egli ha impostato il
problema nelle Confessioni); può invece
stupire la difficoltà registrata in un ambito
come quello logico che avrebbe fatto sospettare maggiore chiarezza. Ma va notata
un’ampia oscillazione dei risultati.
La colonna dei “classici” propone un confronto di tipo più qualitativo tra i singoli
manuali. Come tutti sanno, ci sono autori e
argomenti oggettivamente irrinunciabili
nell’insegnamento della filosofia. Ogni manuale sarà perciò spesso valutato più per il
modo in cui svolge certi temi classici che
per la presenza o lo sviluppo dei cosiddetti
minori o dei capitoli di raccordo. Rimanendo sempre all’interno di una considerazione quantitativa, si è proposto un confronto
sullo spazio che ciascun manuale dedica
alla triade Socrate-Platone-Aristotele nel
primo volume, ritenendo questi autori presenti nella didattica di qualunque docente.
La cifra riportata è la percentuale dello
spazio dedicato ai tre filosofi (escluse le
scuole) in rapporto al totale delle pagine di
testo effettivo del primo volume (calcolate
secondo i criteri indicati in precedenza).
La significatività di questo indice sta nella
possibilità di dedurne una maggiore attenzione ai temi più classici o tradizionali
dell’insegnamento filosofico, oppure l’intento di offrire un repertorio informativo
più completo ed equilibrato, con una rico-
DIDATTICA
struzione storica attenta ai momenti di passaggio e ad autori e correnti minori. In base
alle proprie intenzioni didattiche ogni docente può ricavarne un’utile indicazione
sullo stile del manuale.
I manuali di Bontempelli-Bentivoglio e
Severino ottengono i valori più elevati,
dedicando più di un terzo del loro primo
volume alla triade dei classici greci. All’opposto, il manuale di Casini-Benvenuti
dedica poco più di un decimo ai tre filosofi,
riservando il resto del volume ad una ricostruzione della cultura dei periodi cosiddetti “minori”. Va comunque ricordato che
il confronto è su dati percentuali e quindi
può essere significativo solo per una valutazione del singolo manuale; occorrerebbe
confrontare i valori assoluti per vedere
quale testo offra l’informazione più ricca
su questi argomenti. S.C.
Interventi, proposte, ricerche
Alcuni recenti interventi su riviste di
filosofia e di didattica richiamano l’attenzione sui problemi dell’insegnamento filosofico nelle scuole secondarie superiori. M. A. del Torre, in un
articolo dal titolo: Insegnare filosofia
nella scuola, apparso sulla “Rivista di
storia della filosofia” (n. 1, 1993), traccia un chiaro bilancio delle recenti iniziative per l’aggiornamento dei docenti, proponendo nuove forme di incontro fra gli istituti universitari e le
scuole secondarie. F. Cambi, G. Camatarri e A. Cosentino discutono, in tre
distinti articoli, dal titolo rispettivamente:“Quale didattica?”; “I programmi degli Istituti Tecnici”; “Discontinuità significative”, pubblicati su
“Nuova secondaria” (n. 10, giugno
1993), i nuovi programmi per l’insegnamento della filosofia elaborati dalla commissione “Brocca”.
Nel suo articolo apparso sulla “Rivista di
storia della filosofia”, Maria Assunta del
Torre ha ripercorso anzitutto i principali
nodi problematici che hanno contraddistinto, negli ultimi anni, il dibattito sull’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie, quale è nato da un’esigenza di
trasformazione di tale insegnamento che
muove dal basso, dalle esperienze dei docenti. La disponibilità manifestata dai docenti all’aggiornamento e alla riqualificazione della propria professionalità e preparazione culturale, è stata ben superiore alle
iniziative promosse dal Ministero, sollecitando iniziative da parte di varie associazioni culturali (l’A.R.I.F.S., il C.I.D.I., le
sezioni locali della S.F.I., i vari centri dell’I.R.R.S.A.E.). Le iniziative, però, si sono
spesso polarizzate intorno a due formule
che non sembrano sempre soddisfare la
domanda dei docenti: da un lato si sono
svolti cicli di lezioni-conferenze, tesi all’arricchimento culturale dei partecipanti,
ma difficilmente “spendibili” sul piano della
diretta pratica didattica; dall’altro si sono
tenuti corsi di aggiornamento a sfondo psico-pedagogico o metodologico-didattico,
dove spesso è prevalso inevitabilmente il
semplice resoconto di esperienze individuali scarsamente elaborate.
Dal canto suo M. A. del Torre richiama
l’attenzione su altre, recenti iniziative (sulle
quali abbiamo già riferito nei numeri precedenti di questa rivista), finalizzate a creare un terreno di comunicazione e di collaborazione fra docenti di filosofia universitari e di scuole secondarie superiori. Un
primo importante livello di riflessione comune riguarda l’analisi dei problemi connessi alla lettura dei testi degli Autori: in
questa direzione si è svolto un corso di
aggiornamento presso il Centro scolastico
onnicomprensivo di Corsico (Milano) nei
mesi di febbraio e marzo 1989. Altri progetti riguardano la possibilità di studiare
elementi di raccordo fra l’insegnamento
della filosofia e i diversi saperi: è il caso
del “Progetto Isper. Nuovi linguaggi per la
professionalità docente”, nato da una convenzione tra I.R.R.S.A.E-Lombardia e Dipartimento di filosofia della Università
degli Studi di Milano, in svolgimento dal
febbraio 1991. Da segnalare anche a questo proposito, ha rilevato del Torre, la
recente costituzione di Centri Interdisciplinari di Ricerca sulla Didattica (C.I.R.D.),
che si prefiggono lo scopo di unificare le
esperienze che maturano nelle diverse facoltà universitarie (in particolare quelle
che hanno uno sbocco nell’insegnamento
medio superiore) intorno ai problemi della
didattica nella scuola, nelle diverse aree
disciplinari.
Importanti spunti di riflessione vengono
introdotti da del Torre in relazione ai programmi di filosofia elaborati dalla commissione “Brocca”. Dopo averne indicati i
caratteri salienti (su cui abbiamo già riferito nel n. 8/9 della rivista), del Torre fa
notare come tali programmi ruotino intorno ad alcuni punti essenziali, che riguardano la centralità del testo, la sua collocazione storica e il collegamento con problematiche ad esso pertinenti. Queste e altre scelte dei programmi sono senz’altro condivisibili. Resta tuttavia qualche riserva sull’impostazione complessiva del progetto.
«Come conciliare ed armonizzare, ad esempio - si domanda del Torre -, il largo arco
di tematiche “libere” con Autori precettisticamente, anno per anno, imposti nella
più parte degli indirizzi?... Non è forse che
per un lato i programmi sollecitano e sottolineano la necessità di compiere delle
scelte, e per altro lato, le vincolano con la
obbligatorietà di lettura di testi che appartengono ad Autori dati e con la presenza (e
la chiusura) delle stesse liste di temi proposti alla scelta?».
Ad una discussione dei programmi “Brocca” di filosofia sono rivolti i recenti inter63
venti apparsi su «Nuova secondaria». Franco Cambi richiama l’attenzione sul fatto
che tali programmi consentono di superare
le alternative tipiche del dibattito sulla didattica della filosofia (metodo storico o per
problemi, ricorso al manuale o primato
esclusivo dei testi), favorendo un insegnamento «più filologico e più critico, più
dinamico, e soprattutto sottratto al Moloch
storicistico e alla prassi manualistica». Un
accoglimento delle nuove indicazione programmatiche esige che si ponga anzitutto
attenzione all’”idea” stessa di filosofia, vale
a dire «non a un tipo di filosofia, ma alla
filosoficità in generale, al suo discorso». Al
tempo stesso tali programmi richiedono
una vicinanza agli strumenti della ricerca
filosofica così come viene praticata dagli
specialisti, nonché un approccio alla storia
della filosofia che ne ponga in luce, ad un
tempo, le permanenze e le variazioni.
Giovanni Camatarri fa il punto intorno ai
programmi “Brocca” di filosofia predisposti per gli Istituti Tecnici. Il merito del
nuovo progetto complessivo dell’insegnamento della filosofia, che ne prevede l’estensione alle scuole superiori di ogni ordine, è
quello di «concorrere a ridefinire e a modificare il rapporto, fin qui caratterizzato da
un vero e proprio dualismo, tra le “due
culture”, umanistica e tecnologico-scientifica, la cui netta separazione corrisponde ad un modello culturale che è vistosamente obsoleto». Nel suo articolo, poi,
Camatarri analizza la struttura dei programmi previsti per gli Istituti Tecnici,
le scelte tematiche e la valenza transdisciplinare assegnate alla filosofia, l’attribuzione al suo insegnamento di una
funzione di stimolo alla riflessione critica e di raccordo fra le diverse discipline.
Antonio Cosentino, infine, sottolinea alcune ambiguità dei programmi “Brocca”,
relative al tentativo di conciliare il metodo
storico con quello per problemi e alla modalità in cui si prospetta l’estensione dell’insegnamento filosofico agli indirizzi di
tipo tecnico.
Da segnalare infine un articolo, a firma
P.C., apparso su «Sensate esperienze» (n.
18, aprile 1993), dal titolo: “Computer e
filosofia. Un binomio... blasfemo?”, relativo ad un’esperienza diretta di introduzione
dell’informatica nelle varie forme e tappe
(dall’apprendimento all’autoverifica) in cui
si articola l’iter di filosofia nella scuola
secondaria, così come può essere vissuto
sia dal discente che dal docente.
Dal 19 al 20 novembre si terrà, presso il Museo Civico di Storia Naturale, un convegno promosso dall’Istituto Geymonat per la Filosofia della
scienza, la Logica e la Storia della
scienza e della tecnica con il patrocinio del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Milano, dal titolo:
QUALE FUTURO PER LA SCUOLA ITALIANA?.
Parteciperanno: G. Giorello, C. Mangione, C. Bernardi, F. Selleri, G. Pinna, A. Oliviero, B. Brocca, E. Agazzi,
G. Salvetti, P. Bertoline, F. Minazzi,
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Vol. LXIX, n. 3, luglio-settembre 1992
Giuffré Editore, Milano.
Questo numero della rivista dedica numerosi interventi alla figura di Kelsen, uno dei
filosofi del diritto più significativi del nostro secolo.
Kelsen e la democrazia, di A. Catania: la
dottrina pura del diritto di Kelsen e la
democrazia.
“Porte aperte”: la pena di morte come
problema, di F. D’Agostino.
Kelsen senza Kant, di S. L. Paulson: a
partire dalle argomentazioni di Joseph Raz
sulle linee di fondo del positivismo giuridico, viene valutata la posizione di Kelsen in
rapporto a tale programma. Vengono inoltre esaminate le proposizioni normative di
Kelsen.
Regole costituve e sillogismo normativo, di
S. Radice: il sillogismo normativo viene
qui analizzato in generale e poi nella sua
versione di sillogismo giudiziale.
La tradizione filosofica del diritto romano
e del diritto cinese antico e l’influenza del
diritto romano sul diritto cinese contemporaneo, di Y. Zhenshan.
ITINERARI FILOSOFICI
Anno II, n. 4, settembre-dicembre 1992
Università degli Studi, Milano
La costruzione del destino, di L. Bonesio:
una riflessione sulla strategia archeologica
di Benjamin.
Zauberberg. Faust o dell’eccentricità del
soggetto, di E Fagiuoli.
Mondi della parola e mondi della scrittura,
aspetti della tensione tra due forme simboliche, di G. Zucchelli: attraverso l’analisi
dei legami tra mondo della scrittura e mondo della parola può emergere una precisa
visione dei caratteri e delle connessioni di
un intero ambito culturale.
secolo, Severo, autore anch’egli di un Commento al Timeo. Ciò offre lo spunto per
analizzare il dibattito medioplatonico relativo al problema delle categorie e dei generi
dell’essere.
Il Socrate di Vlastos, di G. Giannantoni:
recensione di G. Vlastos, Socrates ironist
and moral philosopher (Cambridge, 1991).
Una nuova interpretazione del Parmenide
di Platone, di F. Trabattoni: recensione di
M. Migliori, Dialettica e verità. Commentario filosofico al Parmenide di Platone
(Milano, 1990).
Sul Sofista di Platone, di A. D’Angelo:
recensione di G. Sasso: L’essere e le differenze. Sul Sofista di Platone (Bologna,
1991).
Nuovi studi sull’evoluzione filosofica di
Aristotele, di E Berti.
Il gioco dell’origine, di F. S. Chesi: una
breve nota su E. Severino, Oltre il linguaggio.
TEORIA
Filosofia e narrazione: metafisica e politica in Heidegger. Intervista con Jean Pierre
Faye, a cura di F. Cassinari.
Precauzioni filosofiche per la teologia del
Duemila, di V. Sainati: l’articolo si interroga sulla attualità di una ripresa della “cristologia” nella teologia attuale, in alternativa al “teologismo” del cristianesimo istituzionalizzato.
Incoerenza costitutiva, di A. G. Conte: una
riflessione sui due sensi di “coerenza” nella
linguistica testuale.
ELENCHOS
ANNO XIV, N. 12, 1993
Filosofia del diritto, di B. Montanari: una
riflessione sull’identificazione scientifica
e la didattica di questa disciplina.
Xenophanes als didaktischer Dichter, di G.
Wöhrle.
La parabola di un paradigma ermeneutico
tra Schleiermacher e Bultmann, di S. Sorrentino: analisi del paradigma dell’ermeneutica cristiana antica presente nella formula “la Scrittura cresce con chi la legge”,
paradigma che si esurisce nel corso dei
secoli, dopo Gregorio Magno, e che viene
riformulato durante il periodo romantico.
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
n. 4, ottobre-dicembre 1992
Giuffré Editore, Milano.
L’identità della persona e il valore della
vita quali presupposti di una teoria della
giustizia di Ronald Dworkin, di S. C.
Sagnotti.
I sensi dell’autorità, di G. Salzano.
Bibliopolis, Napoli
Su Aristotele, Politica VII. 2, 1324 a 23-25,
di A. Corcella
Severo, il medioplatonismo e le categorie,
di A. Gioè: a partire dalle informazioni
contenute nel Commentario al Timeo di
Proclo, viene ricostruito il pensiero di un
platonico quasi sconosciuto, vissuto nel II
64
Vol. XIII, n. 1, 1993
ETS, Pisa
Heidegger a Marburgo. Una lettura del De
Anima, di A. Sordini: la riflessione di Heidegger sulla conoscenza che ruota intorno
alla lettura dell’opera aristotelica.
Intorno alla filosofia analitica del linguag-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
gio di C. Marletti: recensione del volume di
A.A.V.V., Introduzione alla filosofia analitica del linguaggio, a cura di M. Santambrogio (Laterza, Bari-Roma 1992).
La divina individualità, di M. Donà: annotazioni sul De la causa, principio e uno di
Bruno.
L. Bingswanger: Tre forme di esistenza
mancata. Esaltazione fissata, stramberia,
manierismo (SE, Milano, 1992), di
F. Polidori.
E. Bloch: Eredità del nostro tempo (Il
Saggiatore, Milano, 1992), di G. Berto.
La saga di Gilgamesh (Rusconi, Milano,
1992), di G. Comolli.
AXIOMATHES
Anno IV, n. 1, aprile 1993
Il Poligrafo, Padova
Della sostanza, di F. Brentano: un inedito
tratto dal lascito (pp. 30604-30620) brentaniano con una introduzione di W. Baumgartner, accompagnato dal testo in lingua
originale.
Twardowski’s theory of modification againts the background of traditional logic, di R.
Poli.
A Lesniewskian guide to Husserl’s and
Meinong’s jungles, di V. L. Vasyukov.
Le parti e l’intero nella concezione di Aristotele: la holologia come progetto di metafisica descrittiva (parte I), di L. Dappiano: è questo il primo di una serie di articoli
dedicati ad un’indagine sul rapporto partiintero in Aristotele con lo scopo non solo di
esaminare questo aspetto della riflessione
aristotelica, ma anche di porre tale teoria
alla base di una ricerca che delinei uno
schema categoriale per la nostra costituzione degli oggetti di esperienza.
AUT AUT
n. 253, gennaio-febbraio 1993
La Nuova Italia, Firenze
Questo numero della rivista analizza e recensisce dieci libri recentemente apparsi in
Italia.
F. Nietzsche: Intorno a Leopardi (Il Melangolo, Genova, 1992), di A. Folin.
F. Nietzsche: La volontà di potenza. Frammenti postumi ordinati da Peter Gast e da
Elisabeth Förster Nietzsche, (Bompiani,
Milano, 1992), di F. Moiso.
FILOSOFIA
Anno XLIV, n. 1, gennaio-aprile 1993
Mursia, Milano
Sull’essenza del nichilismo teoretico e la
“morte della metafisica”, di V. Possenti:
proposta di alcume nuove premesse per la
determinazione del nichilismo speculativo
attraverso il confronto con le interpretazioni date da Nietzsche, Heidegger e Gentile.
Da un Orphelin all’altro, ovvero Voltaire
in Cina, di R. Pomeau: la presenza in Cina
di Voltaire attraverso la sua tragedia Orphelin de la Chine.
Il valore incondizionato e la volontà che si
dia un mondo: la filosofia dei valori di
Hugo Münsterberg, di E Massimilla.
Cassirer e Croce: un possibile confronto,
di B. Henry: il rapporto tra Croce e Cassirer
è stato segnato da una polemica che prende
le mosse da un comune interesse: stabilire
il ruolo delle esigenze della vita pratica
nella formazione dei concetti scientifici;
una polemica che comunque resta viziata
da una reciproca incomprensione.
Storicismo e apriorismo, di F. Montero: la
polemica husserliana su storicismo ed apriorismo alla luce delle riflessioni sul mondo
della vita.
Gli studi di storia romana di Ettore Lepore,
di E. Gabba.
Mutamenti di prospettiva culturale nelle
lingue europee moderne: l’influenza del
latino sulla sintassi, di R. Sornicola.
RIVISTA DI FILOSOFIA
La poetica dell’ironia, di G. Gallino: ironia
e filosofia in F. Schlegel e Novalis.
Vol. LXXXIV, n. 1, aprile 1993
Il Mulino, Bologna
Il teorema di incompletezza di Goedel, di I.
Aimonetto.
Ricordo di Ludovico Geymonat, di N.
Bobbio.
Critica al monismo metafisico neoparmenideo di Severino, di U. Soncini: pur riconoscendone l’originalità e l’irriducibilità a
sistemi filosofici presenti o passati, il pensiero severiniano viene qualificato come
“monismo neoparmenideo” per la lettura
di stampo teoretico del pensatore greco;
l’articolo analizza criticamente tale qualificazione in una prospettiva neofenomenologica.
Auguste Comte e gli ambienti scientifici
francesi (1814-1848), di M. Larizza: sui
rapporti tra Comte e gli intellettuali della
scienza francesi come momento genetico
di un legame tra filosofia e scienza destinato ad essere molto fecondo.
C. G. Jung: Opere (Bollati Boringhieri,
Torino 1969-1992), di M. Trevi.
Le trappole di Newcomb, di V. Ottonelli:
l’articolo vuole dimostrare che il paradosso di Newcomb, pur generando molti problemi relativi al determinismo, al libero
arbitrio ed anche problemi di natura epistemologica, non rappresenta una questione
filosofica vera e propria.
ARCHIVIO DI STORIA DELLA CULTURA
M. Heidegger: Concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine
(Il Melangolo, Genova 1992), di V. Vitiello.
M. Heidegger, E. Fink: Dialogo intorno a
Eraclito (Coliseum, Milano, 1992), di D.
Goldoni.
T. Burns: Erving Goffman (London, New
York, 1992), di R. De Biasi.
G. Benn: Lo smalto sul nulla (Adelphi,
Milano, 1992), di A. Dal Lago.
Anno VI, 1993
Morano Editore, Napoli
Il De Magia e il recupero della sapienza
originaria. Scrittura e voce nelle strategie
magiche di Giordano Bruno, di M. Cambi:
l’opera sulla magia e sugli strumenti tecnici, progettata ed abbozzata da Bruno alla
vigilia del suo arresto.
La religione di Cardano. Libertinismo e
eresia nell’Italia della controriforma, di E.
Di Rienzo.
65
Logica matematica, fondamenti della matematica, fondazione della matematica, di
E Casari; Paradigmi e manuali, di G. Lolli:
entrambi sull’articolo di Carlo Cellucci,
Dalla logica teoretica alla logica pratica
(“Rivista di Filosofia”, LXXXIII, 1992,
pp. 169-207).
Pensiero libertino e libertinismo europeo,
di A. Dini: recensione di S. Zoli, Europa
libertina tra Controriforma e Illuminismo.
L’”Oriente” dei libertini e le origini dell’Illuminismo (Cappelli, Bologna 1989).
RASSEGNA DELLE RIVISTE
David Hume e la passione dell’orgoglio di
M. Pascucci: una ricostruzione delle articolazioni interne, dei riferimenti filosofici
e dei contenuti metodologici svolti da Hume
nell’analisi della passione dell’orgoglio.
Descartes e la cultura matematica, di M. di
Loreto.
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXIV, n. 2, agosto 1993
Il Mulino, Bologna
Obbligo morale ed equilibrio di Nash, di T.
Magri: l’articolo vuole mettere in luce le
difficoltà relative alla ricerca di un fondamento per le norme morali.
Max Weber, Dilthey e le Logische Untersuchungen di Husserl, di P. Rossi.
Putnam ed il realismo dal volto umano, di
M. Alai: recensione della raccolta di saggi
di Putnam, Realism with a human face
(Harvard University Press, Cambridge London 1990)
Newton e i suoi biografi, di P. Casini: uno
sguardo sulla letteratura agiografica, aneddotica e manualistica su Newton.
Lo scetticismo di Hume tra ricerca sulle
fonti e ricostruzione delle teorie, di E.
Lecaldano: le ricerche italiane relative alla
“Hume-Renaissance”.
Otto Neurath era un filosofo austriaco?, di
D. Zolo: recensione di T. E. Uebel, Rediscovering the forgotten Vienna Circle.
Austrian studies on Otto Neurath and the
Vienna Circle (Dordrecht, Boston, London, Kluwer Academic Publishers, 1991)
La teoria dell’interpretazione di Emilio
Betti nel dibattito ermeneutico contemporaneo, di F. Bianco.
PARADIGMI
Anno XI, n. 31, gennaio-aprile 1993
Schena Editore, Brindisi
La rivista affronta il tema monografico “Lo
spazio dell’etica nella cultura contemporanea”. L’obiettivo di questa iniziativa non è
tanto, come sottolinea Semerari nell’introduzione, presentare una rassegna delle
odierne tendenze etiche o privilegiare una
particolatre forma di etica, ma da un lato
mettere a fuoco alcune problematiche a
livello etico, relative a principi, condizioni
logiche, strutture categoriali, riscontri storici (La vertigine del cominciamento. Congetture (meta) etiche sul tempo e la morale,
di G. Barletta; Complessità dell’agire e
della sua comprensione, di F. Bianco; Agire razionale e agire morale. Sulla coalterità come fatto e come valore, di G. Cera;
Sulla costituzione dei nuovi soggetti morali, di M. Manfredi; Epistemologia dell’irreversibile ed etica del tempo, di A. Masullo; Esistenza, etica e complessità, di di S.
Moravia; La scelta, di G. Semerari; Aristotele e la filosofia pratica: qualche problema, di M. Vegetti), dall’altro analizzare in
prospettiva etica problemi di interesse pedagogico, economico, sociologico e politico, antropologico-culturale, estetico (La
crisi della contemporaneità: possibilità e
limiti dell’etica e della pedagogfia, di P.
Bertolini; Ethos/Logos. La fenomenologia
come “critica di qualsiasi vita”, di F. De
Natale; Etica e sviluppo: una traccia di
discussione, di M. Miegge; Contributi antropologici allo studio dei diritti dell’uomo: considerazioni e ricerche, di T. Tentori; Significato etico della laicità dell’arte,
di S. Zecchi).
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’
Anno XV, n. 3, 1992
Edizioni Piemme, Asti
La rivista raccoglie gli atti del convegno:
“Linguaggio e filosofia nel Primo Romanticismo” (Napoli, Salerno, dicembre 1990).
Come sottolinea S. Sorrentino (Filosofia e
linguaggio nella cultura tra Kant ed Hegel), nella cultura idealistico-romantica il
nesso filosofia/linguaggio gioca un ruolo
cruciale, tanto che è proprio in questo periodo che il linguaggio diventa oggetto della
riflessione filosofica. I saggi qui proposti
intendono esplicitare il nesso parola-razionalità nel suo approdare ad esiti di natura
teoretica (la riflessione sul linguaggio idealistico-romantica porta la filosofia al culmine di uno dei suoi pensieri-limite), storico-filosofica (il Romanticismo come esito
di una sorta di “dissoluzione critica dell’illuminismo”), teoretica e storico-filosofica
(la dialettica come pensiero filosofico centrale di questo tipo di riflessione).
La Critica del Giudizio come chiave di
volta del sistema kantiano, di M. Frank.
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXIV, n. 4, ottobre-dicembre
1992
Vita e Pensiero, Milano
L’analogia come chiave di lettura della
creazione, di V. Melchiorre: il problema
della creazione in rapporto alla domanda
fondamentale della filosofia: come può il
non-essere dar luogo all’essere?
Ordine, musica, bellezza in Agostino, di R.
Radice: presentazione del volume: Ordine
Musica Bellezza, a cura di M. Bettetini
(Rusconi, Milano 1992), che comprende la
traduzione integrale dei dialoghi De Ordine e De Musica ed un’antologia sistematica
sul tema della bellezza.
La virtù della giustizia: da “habitudo” ad
“habitus”, di A. Tarabochia Canavero: il
concetto di giustizia Metaphorice dicta in
Alberto Magno e S. Tommaso.
Ipotesi metafisica. Modello matematico,
creazione, eschaton. Una lettura dell’opera di Jean Ladrière, di M. R. Natale.
La scoperta di nuovi documenti sulla vita
di Bruno. Su Giordano Bruno and the embassy affair di John Bossy, di S. Mancini:
recensione di J. Bossy, Giordano Bruno e
il mistero dell’ambasciata (Garzanti,
Milano 1992)
Misologia ed irenismo. A proposito di un
dialogo dottrinale e di ateismo in K. Marx,
di A. Gnemmi: articolo inedito di Gnemmi,
a dieci anni dalla morte.
66
L’antinomia del giudizio teleologico, di V.
Zanetti.
Spirito e lettera. Riflessioni sulla filosofia
del linguaggio di Fichte e Novalis, di G.
Moretto.
La natura dei concetti: importanti progressi nel pensiero del giovane
Schleiermacher, di T. N. Tice.
Dialettica romantica. F. Schlegel e Schleiermacher, di A. Arndt.
I limiti della ragione nella Dialettica di
Schleiermacher, di W. Jaeschke.
Filosofia trascendentale e dialettica nella
cultura idealistico-romantica. I presupposti della “Dialektik” di Schleiermacher, di
S. Sorrentino.
Poetica e logica della parola nella critica
hegeliana dell’arte romantica, di A.
Masullo.
IL CANNOCCHIALE
n. 3, settembre-dicembre 1992
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
Dirac, Eddington and the rationalist origins of the anthropic principle programme, di G. Gale.
Contro il disfattismo di una ragione debole, di A. M. Jacobelli Isoldi: critica dell’opera di J. Habermas, Il pensiero postmetafisico (Laterza, Bari 1991), che ri-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
prende temi fondamentali della riflessione
habermasiana, più in particolare l’esigenza
di non coinvolgere la ragione critica con il
processo di destabilizzazione innescato
dalla filosofia della seconda metà del nostro secolo.
GIORNALE DI METAFISICA
Anno XIV, n. 3, settembre-dicembre 1992
Tigher, Genova
Il “Leibniz Archiv” di Hannover, Münster
e Berlino, di R. Finster.
La quadruplice distinzione del “nulla”
nell’analitica dei principi in Kant, di A.
Gentile: il breve saggio delinea la tavola
del “nulla” contenuta nelle parti finali dell’analitica dei principi della Critica della
Ragion Pura il cui ruolo è importante, nella
filosofia trascendentale, in rapporto alle
conclusioni sulla doppia distinzione possibilità-impossibilità e limitato-illimitato
contenuta nel saggio di Kant: Che cosa
significa orientarsi nel pensare?
Leibniz: i volumi 12 e 13 dell’edizione
dell’Accademia, di D. Rutherford.
Leibniz and the chinese culture. A rationalist’s approach to an alien culture, di J.
de Salas.
Spinozismo e modernità, di M. Biscuso:
recensione di Y. Yovel, Spinoza et autres
hérétiques (Seuil, Paris 1991) in cui l’autore afferma che Spinoza, nonostante ponga
il cominciamento della filosofia non nel
cogito, ma nella sostanza divina, assume
un ruolo di primo piano nella nascita della
modernità.
Über ästhetische und pragmatische Grundlagen der Hermeneutik: zwei Diltheys
Bücher, di K. H. Lembeck: recensione di
A. Makkrel, Dilthey, Philosoph der Geisteswissenschaften (Suhrkamp, Frankfurt
1991) e F. Fellmann, Symbolischer Pragmatismus. Hermeneutik nach Dilthey
(Rowohlt, Reinbeck 1991).
La logica di Kant, di R. Pozzo: recensione
di T. Boswell, Quellenkritische Untersuchungen zum kantischen Logik-Handbuch
(Lang, Frankfurt 1991).
n. 2, aprile-giugno 1993
Vittorio Klostermann, Frankfurt a/M
Tema della rivista: “Heideggeriana”.
Antilogia, di N. Incardona.
The judaic faith of Ernst Cassirer, di W.
Kluback.
ZEITSCHRIFT
FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG
Da Tebe ad Atene e da Atene a Tebe.
Metafisica Theta 2 tra Aristotele ed Heidegger, di E. Caramuta e A. M. Treppiedi:
dalla lettura del secondo capitolo del IX
libro della Metafisica aristotelica, che cerca di esperire il logos al di là dei vincoli
rappresentati dall’essenza e dalla definizione per comprenderlo in quanto tale, si
innesta l’interpretazione di Heidegger.
Metafisica e pensiero razionale. Aspetti
della Kehre alle origini del pensiero heideggeriano, di L. Samonà: l’articolo analizza l’attenzione di Heidegger per la questione della “fatticità” della vita (il futuro
Dasein) fin dalla sua prima riflessione,
attenzione che viene stimolata dalla ripresa
di motivi essenziali aristotelici. In questa
prospettiva la “svolta” appare come una
necessità del suo pensiero.
Aristotele ed Heidegger. Prospettive e
momenti di un’interpretazione, di G. Penati: una mappa dello sviluppo dell’indagine
heideggeriana su Aristotele, autore che ha
un certo privilegio nella meditazione del
filosofo tedesco, delineandone l’evoluzione ed evidenziandone gli aspetti teoretici,
storici ed interpretativi.
Logos come fondamento: il superamento
della metafisica nella riflessione heideggeriana su Leibniz, di L. Di Bartolo: l’articolo delinea l’incidenza del confronto con
Leibniz nella filosofia di Heidegger, privilegiando le lezioni di Marburgo del 1928 e
quelle di Friburgo del 1955-56.
Il nulla e l’essere. Leopardi e l’idea di
poesia, di S. Lo Bue.
Formale Semantik im Verhältnis zur
Erkenntnistheorie, di H. Hrachovec.
Die Konsequenzialistische Begründung des
Lebensschutzes, di G. Pöltner.
Zwischen Wissenschaftskritik und Hermeneutik: Foucaults human Wissenschaften,
di D. Teichert: una riflessione sull’evoluzione del pensiero di Foucault.
Freiheit und Determinismus (2), di G.
Seebass.
DEUTSCHE ZEITSCHRIFT
FÜR PHILOSOPHIE
Vol. 41, n. 2, 1993
Akademie Verlag, Berlin
Die bleibende Aktualität von William
James, di H. Putnam.
Das Problem einer universalistischen
Makroethik der Mitverantwortung, di
K. O. Apel.
Normativität und Reflexion, di N. Winkler:
il problema del Bene in Eckhart.
Arbeit und Praxis, di F. Kambartel: i fondamenti concettuali di un dibattito politico
attuale.
Eine feministische Stellungnahme zu Kambartels Arbeit und Praxis, di A. Krebs.
Von der Arbeit und ihrer ökonomischen
Bestimmtheit, di P. Ruben: ancora sull’intervento di Kambartel.
Über die Schwierigkeit mit der internen
Moral der Arbeit. Ein Kommentar zu
F. Kambartel, di I. Kurz-Scherf.
ZEITSCHRIFT
FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG
Philosophische Hermeneutik, di T. Seebohm.
n. 1, gennaio-marzo 1993
Vittorio Klostermann, Frankfurt a/M
Verso la morte dell’uomo, di E. Tarascio:
recensione di W. Kluback, Toward the
death of man (Lang, New York 1991).
Freiheit und Determinismus (I parte), di G.
Seebass.
Verletzbarkeit durch die Ehe, di S. Moller
Okin: riflessioni sul diritto familiare.
Serie di interventi critici sull’opera di J.
Habermas: Faktizität und Geltung. Beitrage zur Diskurstheorie des Rechts und des
demokratischen Rechtsstaats (Suhrkamp
Verlag, Frankfurt 1992).
Schiller über das Erhabene, di K. Petrus.
L’angelo della storia, di F. Tansi: recensione di S. Mosès, L’ange de l’histoire. Rosenzweig, Benjamin, Scholem (Seuil, Paris
1992).
Il neutro, di J. Rollands: recensione di F.
Garritano, Sul Neutro. Saggio su Maurice
Blanchot (Ponte alle Grazie, Firenze 1992).
Die Rolle der Sprache in Sein und Zeit, di
C. Lafont.
Die Sprache spricht Heideggers Tautologien, di C. A. Scheier.
67
Zum Stellenwert von “Philosophie und
Politik” in H. Arendts Denken a cui fa
seguito il contributo della stessa Arendt dal
titolo Philosophie und Politik.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
Vol. 91, febbraio 1993
Institut supérieur de philosophie
Louvain la Neuve
Le concept de philosophie première chez
Aristote, di J. Follon: analisi del concetto
aristotelico di filosofia prima in riferimento a un precedente articolo dello stesso
autore, Le concept de philosophie première
dans la Métaphysique d’Aristote (“Revue
philosophique de Louvain”, vol. 90, 1992).
Finitude et altérité dans l’ésthétique trascendantale, di G. Giovannangeli: l’affettività kantiana sulla base dell’interpretazione di Heidegger e delle osservazioni di
Cassirer.
Deux théories de l’esprit: Hegel et Schleiermacher, di E. Brito: l’articolo mette a
confronto la filosofia dello spirito soggettivo ed oggettivo di Hegel con la psicologia
e l’etica di Schleiermacher e la filosofia
dello spirito hegeliana con il concetto di
arte di Schleiermacher. Entrambi cercano
di esprimere la totalità delle attività umane
come automanifestazione compiuta dello
spirito; solo che nel sistema di Schleiermacher, a differenza di quello hegeliano,
esse vengono colte non come diversi momenti di un processo teleologico, ma come
sfere aventi lo stesso valore, rivalutando
anche la soggettività nelle sue particolarità e nell’autonomia delle diverse istituzioni etiche.
La choix du métier: sur le “rationalisme”
de Husserl, di J. Benoist: tenendo presenti
le analisi husserliane sulla filosofia del
XIX sec. (1923-24), l’articolo delinea la
posizione del filosofo come una forma di
razionalismo critico.
Platon, l’école de Tübingen e Giovanni
Reale, di L. Rizzerio: l’articolo prende in
esame il nuovo paradigma interpretativo
proposto da Reale in Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle
“dottrine non scritte”, (Milano, Vita e Pensiero, 1990), arrivato ormai alla sua quarta
edizione.
Hegel, des années de jeunesse à la fondation du premier système, di O. Depré: uno
sguardo sulla recente letteratura critica sul
giovane Hegel.
Nova et vetera: “Le fondement de la
morale” de Mgr A. Léonard, di P. W.
Rosemann: recensione di A. Léonard, Le
fondement de la morale. Essai d’éthique
philosophique générale (Editions du
Cerf, Paris 1991)
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
Vol. 46, n. 4, 1992
Universa, Wetteren
Tema della rivista: “Frontiere del linguaggio; frontiere della filosofia”.
L’esprit des bêtes, di J. Proust: sul rapporto
che intercorre tra il linguaggio nel regno
animale e quello degli uomini, questione
presente anche nella filosofia dall’età classica al Rinascimento.
Entre le langage et l’expérience: généalogie et crise d’une démarcation, di A. Soulez: l’evoluzione della filosofia del linguaggio di Wittgenstein dal punto di
vista di una riconciliazione di linguaggio ed esperienza.
A la recherche de vérités éthiques, di R.
Ogien: il realismo morale nella filosofia
analitica.
La métaphysique de la parole et ses faubourgs du langage, di J. P. Cometti: i
riflessi di Essere e Tempo sulla filosofia del
linguaggio contemporanea.
proprie radici in una filosofia basata sulla
psicologia.
L’Encyclopédie et les techniques, di C.
Kanelopoulos: nell’Enciclopedia non si
approda a soluzioni teoriche univoche riguardo al ruolo e le origine delle arti meccaniche. La specificità di tali arti, più che
nel Discorso preliminare, viene evidenziata nell’articolo di Diderot Art e nell’articolo Ecletisme, che propone la creazione di
un’Accademia delle Arti ed apre una nuova
prospettiva teorica sul ruolo delle arti meccaniche.
La musique et les limites du système, di P.
Grosos: la posizione della musica all’interno di un sistema, a partire dalle riflessioni
sul tema sviluppate dall’idealismo tedesco.
Le point sur les recherches schellingiennes, di X. Tilliette.
In memoriam. Albert Heinekamp, di M.
Fichant.
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
Vérité et sens: retour à Frege, di F. Schmitz.
Vol. XXXI, n. 1, gennaio 1993
Washington University, St. Louis
Les concepts vagues, sont-ils des concepts
sans frontières?, di P. Engel.
Aristotle on lying, di J. S. Zembaty.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 56, n. 1, gennaio-marzo 1993
Beauchesne, Paris
La cosmologie transcendantale de Whitehead: transformation spéculative du concept logique, di J. Bradley: Whitehead combina in maniera unica la struttura tradizionale dell’analisi metafisica del pensiero
prekantiano e postkantiano attraverso il
concetto di “costruzione logica”.
La philosophie morale d’Eric Weil et la
fondation de la loi morale, di G. Kirscher:
dall’esame della Filosofia morale di Weil
emerge l’adesione all’idea kantiana di legge morale. A partire da un metodo che è al
tempo stesso analisi genetica, sviluppo fenomenologico, esposizione enciclopedica,
la questione morale si pone qui come domanda irriducibile.
L’intuitionisme des mathématiciens avant
Brouwer, di J. Largeault: secondo Brouwer la tradizione pre-intuizionista è quella
che in Francia, all’inizio del secolo, formula critiche puntuali al modello matematico costruttivista, pur non arrivando ad
una concezione positiva dell’intuizione;
una tradizione “empirista” che affonda le
68
Occasionalism and general will in Malebranche , di S. Nadler: l’occasionalismo
nella versione proposta da Malebranche si
pone come tentativo di riconciliazione tra
ambito filosofico ed ambito teologico.
The last temptation of Zarathustra, di D. E.
Cartwright: una riflessione sulla IV parte
del più famoso libro di Nietzsche.
Russell’s theory of meaning and denotation and On denoting, di R. Wahl.
MAN AND WORLD
Vol. 26, n. 1, gennaio 1993
Kluwer Academic Publishers
Dordrecht, Boston, London
On Thinking, di N. Rotenstreich: l’intelligenza artificiale ed il rapporto con il pensiero.
Merleau-Ponty alive, di G. B. Madison:
Marleau-Ponty rappresenta un significativo esempio di filosofo engagè; l’articolo
prende in esame gli aspetti politici della sua
riflessione.
L’esprit objectif as a theory of language di
S. Martinot: l’articolo analizza le tre fasi
RASSEGNA DELLE RIVISTE
dello sviluppo del pensiero di Sartre sullo
spirito oggettivo.
Plotinus and the platonic Parmenides, di
G. M. Gurtler.
From Marx’s politics to Rorty’s poetics:
schifts in the critique of metaphysics, di G.
L. Ormiston e R. Sassower.
On being wrong: Kripke’s causal theory
of reference, di J. Powers: la teoria del
linguaggio di Kripke è paradigmatica di
una teoria causale ed estensionale della
refernza.
God among the signifiers, di D. Crownfield: il ruolo di Dio e del termine Dio nella
modernità.
MAN AND WORLD
Merleau-Ponty and cartesian skepticism:
exorcising the demon, di L. Hass.
The role of science in Human-all-too Human, di P. Heckman: il ruolo della scienza
in Umano troppo Umano di Nietzsche in
rapporto alla metafisica, alla religione, alla
morale.
Europe, Truth and History: Husserl and
Voegelin on philosophy and the identity of
Europe, di D. J. Levy: il confronto qui
proposto tra Husserl e Voegelin si basa su
un’idea “spirituale” d’Europa mutuata dall’idea di Husserl nella Crisi.
Gerhard A. Rauche’s philosophy of actuality: the work and thought of an individualist South African philosopher, di T.
J. G. Louw: un profilo delle opere e del
pensiero di G. Rauche, uno degli esponenti più significativi del pensiero filosofico del Sudafrica.
Helmuth Plessner als philosophischer
Wegweiser für F. J. J. Buytendijk, di H.
Struyker Boudier.
INTERNATIONAL
PHILOSOPHICAL QUARTERLY
Vol. XXXII, n. 4, dicembre 1992
Forham University, New York
Intentionality and madness in Hegel’s
psychology of action, di D. BertholdBond: prendendo le mosse da Nietzsche, viene analizzato il dominio della
dimensone dell’inintenzionalità nel
pensiero etico hegeliano.
tro Internazionale di Studi di Estetica,
Palermo) pubblica un saggio di Emilio
Mattioli, Contributi alla teoria della traduzione letteraria.
CAHIERS ERIC WEIL III (Presses Universi-
A defense of folk psychology, di P. K. Blunt:
alcuni aspetti di questa particolare teoria
del comportamento umano.
taires de Lille) presentano un fascicolo
monografico sulla “Interpretazione di
Kant”, una serie di testi raccolti a cura di J.
Quillien e G. Kirscher.
NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE
INTERSEZIONI (Vol. XII, aprile 1993, Il
Mulino, Bologna) presenta un articolo di S.
Poggi dal titolo: L’arte del”pastiche”.
L’estetica di Croce e la filosofia tedesca,
teso a dimostrare l’inserimento dell’estetica crociana all’interno del didattito del
tempo.
FILOSOFIA OGGI (Anno XVI, n. 61, gen-
naio-marzo 1993, Edizioni dell’arcipelsgo, Genova) presenta un articolo di G. C.
Duranti, Aritmogeometria pitagorica e
idee-numeri di Platone; e un intervento su
Gentile di G. M. Pozzo, G. Gentile tra
cultura e politica.
(Anno XI, n. 1, 1993, Nuova Eri, Roma)
presenta le riflessione di alcuni autori sul
tema: “La felicità”. L’ambiguità del concetto di felicità è tale da stimolare fortemente la riflessione filosofica, ma anche
quella psicologica, scientifica e storica.
Ecco perché, accanto ad interventi più strettamente filosofici, troviamo alcuni articoli
in cui viene analizzato il significato, innovatore, del “diritto alla felicità” proclamato
dalla Rivoluzione Francese (Il diritto alla
felicità, di D. Losurdo); oppure l’intreccio
tra momento logico e momento affettivoemozionale nella felicità procurata dalla
ricerca scientifica (La felicità della scoperta, di S. Tagliagambe).
NOVECENTO (anno II, n. 5-6, 1992, Cen-
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Vol. VII, n. 1,
gennaio-aprile 1993, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli) a cinque anni dalla comparsa del documento programmatico, la
rivista fa il punto sulla questione dei rapporti tra filosofia e teologia come tentativi
di rispondere a domande ineludibili per
l’umanità. Per questo appare oggi urgente
non solo avere a disposizione uno strumento di dialogo tra le due discipline, ma anche
porsi il problema delle ragioni di un confronto di un simile dibattito.
tro Studi Italiani, Roma) pubblica un articolo di F. Fronterotta, Essere e tempo nel
verso 5 del frammento 8 del Poema di
Parmenide, nel quale vengono anche brevemente illustrate le varie interpretazioni
che sono state fornite.
KAMEN (Anno III, n. 3, maggio 1993)
presenta, nella sezione dedicata alla filosofia, la traduzione della seconda parte dei
Frammenti di estetica dall’edizione moscovita del 1992 di Gustav Gustavovic
Spet (1879-1940).
ITER (5-6, maggio-dicembre 1992, Mariet-
ti, Genova) presenta un numero monografico dal titolo: “Società e politica tra esodo
e comunità”, con interventi, tra gli altri, di
S. Natoli (L’esodo) e M. Perniola (Oltre
neoclassicismo e primitivismo)
BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI VICHIANI (Anni XXII e XXIII, 1992-1993,
Bibliopolis, Napoli) è dedicato alla pubblicazione degli atti del convegno: “Vico in
Italia e in Germania” (Napoli, 1-3 marzo
1990).
BULLETIN DE PHILOSOPHIE (n. 7, CRDP
de Bretagne) presenta un numero dedicato
all figura di Eric Weil.
IDEE (Anno VII, n. 21, settembre-dicem-
Trying to become real: a buddhist critique
of some secular heresies di D. Loy.
AESTHETICA (n. 37, aprile 1993, Cen-
Self as a problem in african philosophy, di
C. B. Okolo.
Vol. 26, n. 2, aprile 1993
Kluwer Academic Publishers
Dordrecht, Boston, London
Hannah Harendt and the ideological structure of totalitarianism, di W. Allen: una
riflessione su Origini del totalitarismo
(1966) di Arendt.
dinanza, democrazia, diritti” e “Meccanizzazione del ragionamento e dimostrazione
automatica”.
bre 1992 Milella, Lecce) presenta, tra gli
altri, L’idea di tempo tra filosofia e psichiatria, di R. Convertini e Péguy critico della
ragion storica. L’inglorioso verticale, di
D. Bensaïd.
DISCIPLINE FILOSOFICHE (n. 2, 1992,
Thema Editore, Torino) svolge, nelle sezioni di cui si compone, due temi : “Citta-
69
THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol. 68,
n. 2, 1993, Herder, Basel, Freiburg, Wien)
presenta un articolo sul problema religioso
in Kant: Wohlverhalten und Wohlergehen.
Der moralische Gottesbeweis in den Schriften Kants, di G. B. Sala.
RIVISTA ROSMINIANA (Anno LXXXVII,
n 1, gennaio-marzo 1993, Libraria Editoriale Sodalitas, Stresa) oltre ad una serie di
articoli su Rosmini ed i pensatori rosminiani presenta un intervento di S. Buscaroli,
L’eros di verità, tema centrale ed unitario
del Fedro.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Ackermann, Robert John
Nietzsche: A frenzied look
University of Massachusetts
maggio 1993
pp.224, UK £ 13,50
Contro l’idea comune che Nietzsche
abbia attraversato periodi ben distinti
di pensiero, ognuno dei quali basato
su una serie differente di valori, e che
la sua opera vada pensata come una
raccolta di vedute isolate. L’analisi
testuale di Ackermann dimostra l’unità di fondo del pensiero nietzscheano.
Adorno, Theodor W.
Hegel: Three studies
MIT Press, marzo 1993
pp.208, £ 19,95
Il libro fornisce una reinterpretazione
di Hegel e uno sguardo nell’evoluzione della teoria critica di Adorno. I
saggi si incentrano sul rapporto di
ragione, sull’individuo e la società in
Hegel; esaminano il contenuto esperienziale dell’idealismo hegeliano ed
espongono il pensiero di Adorno sulla comprensione di Hegel.
Agamben, Giorgio
Stanzas:
The word and the phantasm
in western culture
University of Minnesota
marzo 1993
pp.224, £ 12,95
In questa opera Agamben attinge dalla filologia, dalla psiconalisi dei giocattoli, dalla fisica e dalla psicologia
medievale e dalla linguistica e filosofia contemporanea nel tentativo di
riconfigurare il fondamento epistemologico della cultura occidentale.
Egli liquida la possibilità di un metalinguaggio.
Al Yafi’i, Addallah
Il giardino dei fiori odorosi
Marsilio, giugno 1993
pp.240, L. 16.000
Aneddoti, frammenti, detti del Profeta, narrazione di antica tradizione
ebraico-cristiana secondo il sufismo,
movimento mistico e musulmano, che
cercò di riaffermare lo slancio interiore contro la supremazia dei filosofi
e dei teologi.
Alcoff, Linda
Potter, Elizabeth (a cura di)
Feminist epistemologies
Routledge, marzo 1993
pp.272, £ 12,99
Una raccolta di saggi originali scritti
da influenti teoriche femministe, che
esplorano l’intersezione fra sesso e
conoscenza, concentrandosi sul nucleo della epistemologia tradizionale, con argomenti quali la natura di
conoscenza, giustificazione e oggettività.
Amico, Robert P.
The problem of the criterion
Rowman & Littlefield, maggio 1993
pp.188, UK £ 35,50
Uno studio a tutto campo storico e
analitico del problema del criterio.
L’autore dedica sei capitoli a tale
problema, tracciandone la storia dall’antico scettico Sesto Empirico e
seguendo il cammino fino a Michel
NOVITÀ IN LIBRERIA
e il modo in cui si può vedere il suo
pensiero per rischiarare questioni oggi
importanti, quali il lavoro, la giustizia, la legge, la guerra e la pace, oltre
ad argomenti di interesse più genericamente morale e teologico.
Berman, David (a cura di)
George Berkeley’s “Alciphron”
in focus
Routledge, marzo 1993
pp.256, £ 12,99
Il volume contiene i quattro più importanti dialoghi dell’”Alciphron” di
Berkeley (1792), insieme a saggi e
commenti dal XVIII al XX secolo, di
autori come Francis Hutcheson, J. S.
Mill e Anthony Flew.
de Montaigne, al cardinale D. J. Mercier, a Nicholas Rescher e Roderick
Chisolm.
se sfaccettature dell’opera del filosofo David Armstrong, soffermandosi
sui suoi interessi più recenti. Il libro
tratta della possibilità e dell’identità,
di universali, leggi e causalità e di
filosofia della mente, comprendendo
anche le sue risposte ai saggi.
André, Jacques (a cura di)
Les instants privilégiés:
Jean Grenier
Folle avoine, aprile 1993
pp.156, F 120
La creazione di Jean Grenier, letteraria, estetica o filosofica, è largamente
polisemica. L’autore ama il rischio
delle parole, azzarda le posizioni più
diverse e le relativizza essendo conseguente. E’ possibile formare concetti quando la scrittura è più al servizio di un’esperienza che di una conoscenza?
Bain, Alexander
John Stuart Mill:
A criticism: With personal
recollections [1882]
Thoemmes, marzo 1993
pp.216, £ 14,99
Un libro che trae origine da una serie
di articoli scritti da Alexander Bain
per “Mind” (giornale che contribuì a
fondare) fra il 1879 e il 1880. Redatti
nel tipico stile asciutto e pragmatico
di Bain, l’opera fornisce un profilo
della vita di Mill e un resoconto delle
sue opere principali.
Atmaspacher, Harald
Die Vernunft der Metis.
Theorie und Praxis
einer integralen Wirklichkeit
Metzler, marzo-aprile 1993
pp.244, DM 48
Il tema centrale è una prospettiva
integrale nello sguardo sui dualismi
che improntano l’attuale contrapposizione con il tema della realtà, quali
spirito-materia, soggetto-oggetto,
mondo interiore-mondo esteriore,
spazio-tempo, e via dicendo.
Barth, U.
Gräb-Gütersloh, W. (a cura di)
Gott im Selbstbewußtsein
der Moderne. Zum neuzeitlichen
Begriff der Religion
Gütersloher Vlgshaus Mohn,
marzo-aprile 1993
pp.304, DM 68
Bast, Rainer A.
Die philosophische Bibliothek.
Geschichte und Bibliographie
einer philosophischen
Textreihe seit 1868.
Sonderausgabe anläßlich
des Jub. des 125 jährigen
Bestehens der Philosophischen
Bibliothek im Jahre 1993
Meiner, marzo-aprile 1993
pp.979, DM 50
Austin, John L.
Saggi filosofici
Guerini, giugno 1993
pp.282, L, 45.000
Bachelard, Gaston
L’eau et les rêves: essai sur
l’imagination de la matière
LGF, aprile 1993
pp.221, F 42
Dopo L’air et les songes, Bachelard
prosegue l’analisi dei quattro elementi
che compongono il nostro universo
mentale. Il saggio, che ruota attorno al
simbolico dell’acqua, opera uno slittamento dell’osservazione dai rispecchiamenti della superficie verso
l’esplorazione delle acque profonde,
per arrivare alla “sostanza” dell’acqua.
Bausch, Thomas
Ungkleichheit und Gerechtigkeit.
Eine kritische Reflexion
des Rawisschen
Unterschiedsprinzips
in diskursethischer Perspektive
Duncker und Humblot
marzo-aprile 1993
pp.220, DM 148
Bacon, John - Campbell, Keith
Reinhardt, Lloyd (a cura di)
Ontology, causality, and the mind:
Essays in honor of David Armstrong
Cambridge Univ., aprile 1993
pp.320, UK £ 35
I saggi, tutti scritti appositamente per
questo volume, esplorano le numero-
Bell, Richard H. (a cura di)
Simone Weil’s philosophy
of culture. Readings toward
a divine humanity
Cambridge Univ.,marzo-aprile 1993
pp.336, £ 37,50
Il volume espone un’ampia interpretazione della filosofia di Simone Weil
70
Beyer, Uwe
Mythologie und Vernunft.
Vier philosophische Studien
zu Friedrich Hölderlin
Niemeyer, marzo-aprile 1993
pp.212, DM 68
Hölderlin non ha messo in contrapposizione mito e logos, ma ha invece
cercato di riconciliare questi due
modelli interpretativi del mondo umano evidentemente opposti. La sua
ontologia neo-mitica si può collocare
anche nell’attuale contesto del tentativo filosofico di forzare il “logocentrismo” e di riabilitare il mito.
Biggar, Nigel
The hastening that waits:
Karl Barth’s ethics
Clarendon, marzo 1993
pp.208, £ 25
Un saggio sul pensiero etico di uno
dei più importanti teologi del XX
secolo, che prende in esame diverse
questioni contemporanee dell’etica
cristiana: i ruoli relativi della Bibbia,
la chiesa e la filosofia, la formazione
del carattere morale e il rapporto fra
fede religiosa e virtù morale.
Black, Donald
The social structure
of right and wrong
Academic, marzo 1993
pp.202, £ 28
Con un approccio sociologico e scientifico all’applicazione della moralità,
il testo esplora argomenti quali la
vendetta, la disciplina, l’annullamento, la pacificazione, il negoziato e la
tolleranza. Il libro contiene affermazioni pensate per predire e spiegare la
natura del controllo sociale.
Bodei, Remo
Ordo amoris. Augustinus,
irdische Konflikte
und himmlische Glückseligkeit
Passagen, marzo-aprile 1993
pp.320, DM 49,80
Bort, Klaus
Personalität und Selbstbewußtsein.
Grundlagen einer Phänomenologie
der Bezogenheit
Attempto, marzo-aprile 1993
pp.323, DM 49,80
Bowie, Andrew
Aesthetics and subjectivity:
From Kant to Nietzsche
Manchester Univ., marzo 1993
NOVITÀ IN LIBRERIA
pp.304 £ 40
Il libro riconsidera il cammino della
filosofia tedesca da Kant a Nietzsche,
in relazione a coscienza, linguaggio
ed estetica. Il volume rintraccia l’inizio dei moderni dibattiti estetici e
politici, ma anche ermeneutici, prestando attenzione al significato della
musica nella filosofia moderna.
Bowker, John (a cura di)
The meanings of death
Cambridge Univ., aprile 1993
pp.256, UK £ 6,95
Il volume esamina il valore della morte
e il suo posto nelle religioni occidentali e in quelle orientali. Bowker sostiene che ci sono importantissimi
punti di contatto fra le più importanti
religioni mondiali e la riflessione laica sulla morte, e che gli atteggiamenti
religiosi e quelli secolari possono
sostenersi e rinforzarsi a vicenda.
Bozzi, Silvio
Mangione, Corrado
Storia della Logica
Da Boole ai nostri giorni
Garzanti, maggio 1993
pp.960, L. 90.000
Introduzione storica alla logica formale: dall’elaborazione di una matematica del pensiero (Boole) alla riflessione di Cantor sull’infinito, dai
tentativi di presentare la logica come
sistemazione unitaria del pensiero
astratto, alla crisi dei fondamenti con
l’insorgere dei paradossi, all’avvento
dei calcolatori elettronici.
Braum, Hermann
Kants “System” und Goethes “Faust”
Kovac, marzo-aprile 1993
pp.130, DM 49,80
Brito, Emilio
Filosofia della religione
Jaca Book, maggio 1993
pp.112, L. 12.000
Broadie, Alexander
Introduction to medieval logic
Clarendon, aprile 1993
pp.232, UK £ 27,50
I logici medievali andarono molto al di
là della logica di Aristotele. Questo
libro cerca di dimostrare l’ampiezza
delle loro conquiste. Walter Burley,
William Ockham, John Buridan, Alberto di Sassonia e Paolo di Venezia
sono fra le più grandi figure esaminate.
Broadie, Alexander (a cura di)
Robert Kilwardby:
On time and imagination: Part 2.
Introduction and translation
Oxford Univ., maggio 1993
pp.192, UK £ 20
Traduzione inglese di una preziosa
fonte medievale su questioni filosofiche. L’autore, un filosofo teologo che
scriveva a Oxford verso il 1250, discute se il tempo sia indipendente
dalla mente ed esamina la natura dell’immaginazione.
Bruno, Antonino
Max Weber.
Razionalità ed etica
Franco Angeli, giugno 1993
pp.160, L. 25.000
Il volume comprende saggi su Max
Weber, alcuni inediti, dal 1970 ad
oggi, fin dall’Introduzione alla prima
edizione di Scritti politici. Scritti in
tempi diversi, essi mantengono la
medesima linea interpretativa di un
Weber “avalutativo”, ma non “indifferente” ai valori, di cui sottolineava
l’importanza per la vita degli uomini,
ma che, proprio per questo, non voleva fossero trasformati in una questione economica di “produttività”.
filosofia.
Cardano, Gerolamo
Sogni
Marsilio, maggio 1993
pp.220, L. 30.000
L’attività onirica ci rivela il mondo
intero di chi sogna, la struttura della
sua phantasia, il suo modo di conoscere il mondo e la natura mediante le
immagini. Il sogno esprime la verità
nascosta del soggetto e consente ai
suoi interpreti di elaborare una dottrina dell’immaginario.
Brunschwig, Jacques et al.
(a cura di)
Passions and perception.
Studies in Hellenistic philosophy
of mind. Papers arising
from a symposium
Cambridge Univ., marzo-aprile 1993
pp.368, £ 30
I filosofi delle scuole ellenistiche nella Grecia e Roma antiche (epicurei,
stoici, scettici, accedemici e
cirenaici)dettero importanti contributi
alla filosofia della mente e alla filosofia della psicologia. La presente opera descrive e analizza tali contributi
su varie questioni.
Cariou, Pierre
Pascal et la casuistique
PUF, aprile 1993
pp.200, F 168
Un approccio alla concezione pascaliana dell’assoluto, alla luce della
quale diviene possibile un’interpretazione della sua intransigenza e della
sua avversione per ogni compiacenza, così come vengono espresse nelle
lettere V-X delle Provinciales sui
processi dei casuisti.
Carnap, Rudolf
Mein Weg in die Philosophie
Reclam Vlg., marzo-aprile 1993
pp.160, DM 8
Prima edizione tedesca. Con una postfazione e un’intevista a cura di W.
Hochkeppel.
Burger, Paul
Die Einheit der Zeit
und die Vielheit der Zeiten.
Zur Aktualität des Zeiträtsels
Königshausen & Neumann
marzo-aprile 1993
pp.324, DM 68
L’opera tratta la questione se l’enigma temporale visto da Agostino sia
stato risolto dall’esperienza delle
moderne scienze.
Casati, Giulio
Pensiero scientifico
e pensiero filosofico. Conflitto
alleanza o reciproco sospetto?
Muzzio, maggio 1993
pp.196, L. 30.000
Buschlinger, Wolfgang
Denk-Kapriolen?
Gedankenexperimente
in Naturwissenschaften, Ethik
und Philosophy of Mind
Königshausen & Neumann
marzo-aprile 1993
pp.140, DM 36
L’autore fornisce un’introduzione
ampiamente comprensibile alla problematica della sperimentazine intellettuale, così come viene usata nelle
scienze naturali e in determinate discipline filosofiche. Il libro si distingue per un’esposizione chiara e avvincente.
Castillo, Monique (a cura di)
Emmanuel Kant:
Leçons sur la métaphysique
LGF, maggio 1993
pp.480, F 60
In queste lezioni ritroviamo le grandi
tesi contenute nella Critica della ragion pura e nella Critica della ragion
pratica.
Cave, John David
Mircea Eliade’s vision
for a new humanism
Oxford Univ., aprile 1993
pp.240, UK £ 25
Il presente saggio sostiene che l’idea
di Mircea Eliade di un “nuovo umanesimo” per le culture moderne è
stato l’impulso motivante di gran parte della sua opera sulla storia delle
religioni.
Bygrave, Stephen
Kenneth Burke:
Rhetoric and ideology
Routledge, aprile 1993
pp.192, UK £ 35
Questa introduzione a uno dei più
grandi pensatori, le cui idee hanno
influenzato moltissime discipline, si
incentra sul punto nodale del pensiero di Burke, che si ritrova nella fase
precedente all’interesse per i rapporti
fra linguaggio, ideologia e azione. Il
pensiero di Burke viene analizzato
nel contesto della teoria culturale.
Chalier, Catherine
Levinas: l’utopie de l’humain
Albin Michel, aprile 1993
F 45
L’opera di Levinas è sorretta dalla
tensione, ai suoi occhi maggiore, fra
il modo della riflessione, a suo parere
indispensabile per rivolgersi all’universalità degli uomini, e la fedeltà
alla Bibbia, che reputa essenziale per
il pensiero.
Caracciolo, Alberto
Politica e autobiografia
Morcelliana, maggio 1993
pp.248, L. 22.000
Gli scritti politici di un maestro della
Chalier, Catherine
Pensées de l’éternité:
Spinoza, Rosenzweig
Cerf, maggio 1993
71
pp.171, F 125
Due prospettive diverse sul senso
dell’eternità: Spinoza si avvicina alla
beatitudine al termine di un itinerario
guidato esclusivamente dalla luce
della ragione; Rosenzweig cerca di
capire come l’eternità abiti oggigiorno il tempo per coloro i quali, di
generazione in generazione, ascoltano la parola rivelata.
Coffa, Alberto J. (a cura di)
The semantic tradition
from Kant to Carnap:
To the Vienna station
Cambridge Univ., marzo 1993
pp.455, £ 14,95
Il saggio rintraccia le origini del positivismo logico in una tradizione che
sorge in opposizione alla teoria kantiana che la conoscenza a priori sia
basata sull’intuizione pura e sulle forze costitutive della mente, e prosegue
con la cronaca dello sviluppo di questa da parte dei membri del Circolo di
Vienna.
Colli, Giorgio
La sapienza greca.
Vol. III Eraclito
Adelphi, giugno 1993
pp.215, L. 12.000
Eraclito è colui che manifesta il pathos del nascosto. Il discorso umano,
accettabile come simbolo, è inadeguato a cogliere la realtà. Da qui
l’antitetismo delle frasi eraclitee.
Collins, Roy
The Fu Hsi I Ching:
The early heaven sequence
University Press of America,
marzo 1993
pp.112, £ 15,95
L’edizione inglese dell “I Ching” affronta il lavoro esclusivamente dal
punto di vista dell’antico ordine noto
come “Sequenza del Primo Cielo”
(Fu Hsi). Nel volume sono comprese
alcune poesie ricostruite antecedenti
alla dinastia Shang, nonché la decodificazione del “Quadrato magico”.
Colpe, C.
Schmidt-Biggemann, W. (a cura di)
Das Böse. Eine historische
Phänomenologie des Unerklärlichen
Suhrkamp, marzo-aprile 1993
pp.352, DM 28
Coombs, Jerrold R. - Winkler,Earl
Applied ethics: A reader
Blackwell, maggio 1993
pp.450, UK £ 14,99
Qual è la natura dell’etica applicata?
Come si collega l’etica applicata alla
scienza e alla tecnologia? Può l’etica
applicata essere criticamente sovversiva e riformatrice rispetto alla morale convenzionale? Il testo esplora tali
questioni, soffermandosi anche sull’etica del commercio, dell’ambiente
e della biomedicina.
Cottingham, John
A Descartes dictionary
Blackwell, marzo 1993
pp.200, £ 12,99
In questo “Dizionario” Cottingham
presenta una guida alfabetica di Descartes, uno dei filosofi che intimidi-
NOVITÀ IN LIBRERIA
scono di più. Concetti chiave e idee
del pensiero cartesiano vengono rintracciati negli scritti di Descartes e
inseriti nel contesto del clima intellettuale del XVII secolo, con conseguente interpretazione.
Crigger, Bette-Jane
Cases in bioethics:
Selections from the Hastings
Centre report
Macmillan, marzo 1993
pp.320, £ 18,99
Ognuno dei 60 casi (fra i quali ce ne
sono 16 nuovi) di questo volume è
accompagnato dai commenti contrastanti di noti autori di diverse discipline accademiche e professionali,
fra cui legge, medicina, assistenza
sanitaria, assistenza sociale, psichiatria, filosofia e teologia.
Cristofolini, Paolo
Spinoza per tutti
Feltrinelli, giugno 1993
pp.128, L. 22.000
L’autore, che a Spinoza ha dedicato
lunghi anni di ricerca, ha voluto offire
al lettore una rete di itinerari che
attraversano l’opera, ciascuno in una
sua direzione. I “sette tracciati” individuati dall’Autore consentono di risolvere, a uno a uno, gli enigmi del
testo.
Dagognet, François
La peau découverte
Laboratoires Delagrange,
aprile 1993
p.188, F 84
Terza e ultima parte della trilogia
dell’autore dedicata al vivente. Con
la pelle si gioca la dialettica dell’interno e dell’esterno. Un essere materiale non ha un interno e un esterno in
senso stretto. Soltanto ciò che è vivente può in un sol colpo attribuirseli
entrambi.
Davies, Martin
Humphreys, Glyn W. (a cura di)
Consciousness: Psychological
and philosophical essays
Blackwell, aprile 1993
pp.344, UK £ 14,99
Questi saggi psicologici e filosofici
discutono gli effetti funzionali della
coscienza sul comportamento e affrontano la domanda se la coscienza
del fenomeno eluda una descrizione
funzionalista o fisicalista del mondo.
De Gennaro, Antonio
L’ermeneutica idealistica.
ESI, giugno 1993
pp.172, L. 22.000
Alcuni temi dell’ermeneutica contemporanea ripercorsi attraverso la giurisprudenza di Commemorata, la valorizzazione dei nuovi diritti sociali di
Cesarini Sforza, la meta-teoria dell’interpretazione di Ascatelli.
De Pace, Anna (a cura di)
Le matematiche e il mondo
Franco Angeli, giugno 1993
pp.464, L. 54.000
Il volume ricostruisce alcune linee significative di un confronto teorico ricco e articolato, caratterizzato sia reinterpretazioni, revisioni e contaminazioni di tematiche proprie delle due
principali tradizioni del pensiero antico.
della sua concezione oggettivista dell’io, del dualismo e solipsismo cartesiano e della concezione deterministica della vita umana. Dallo stesso
autore di “Morality and the inner life:
A study of Plato’s ‘Gorgias’”
Denyer, Nicholas
Language, thought and falsehood
in ancient greek philosophy
Routledge, marzo 1993
pp.240, £ 10,99
Il libro presenta le premesse di pensiero e del linguaggio che fecero sembrare tanto problematica a Platone e
ai suoi contemporanei le falsità, ed
espone la soluzione che Platone finalmente trovò nel “Sofista”.
Duemler, David G.
Bringing life to the stars
University Press of America,
marzo 1993
pp.206, £ 15,95
Il volume vuole proporre un fondamento etico con il quale affrontare la
questione “E’ giusto diffondere la
vita al di là dei confini della Terra?”
Le possibilità a lungo termine di
un’azione del genere vengono esaminate alla luce dei criteri morali e delle
giustificazioi dei viaggi nello spazio
in vista di un’espansione umana.
DePaul, Michael R.
Balance and refinement:
Beyond coherence, methods
of moral inquiry
Routledge, marzo 1993
pp.288, £ 37,50
DePaul sostiene che quando siamo
costretti a impegnarci in una ricerca
morale, dobbiamo far sì che le nostre
convinzioni vi aderiscano. Ciò comporta una valutazione di come le esperienze della vita influenzino la capacità di ognuno di esprimere giudizi
morali e di cercare di assicurarsi che
questa capacità non sia né ingenua né
corrotta.
Duff, Anthony (a cura di)
Punishment
Dartmouth, maggio 1993
pp.500, UK £ 60
Questa opera filosofica sulla punizione comprende una trattazione del retributivismo, dell’educazione morale
e della riforma, del consequenzialismo e dei diritti, dell’affermazione e
del modo in cui la punizione si adatta
al crimine, dell’abolizionismo e delle
prospettive sociologiche.
Derrida, Jacques
Otobiographies.
L’insegnamento di Nietzsche
e la politica del nome proprio
Poligrafo, giugno 1993
pp.94, L. 22.000
Testo di una conferenza tenuta negli
USA nel 1976. Si indaga la questione
del rapporto tra politica, lingua, istituzioni accademiche e statali e il tema
dell’identità.
Dumas, Jean-Louis
2: Renaissance e
t siècle des lumières
LGF, aprile 1993
pp.446, F 65
Dal Thélème di Rabelais all’Encyclopédie di Diderot, questo volume
presenta il pensiero francese ma anche quello inglese e quello tedesco.
Deuser, Hermann
Gott - Geist und Natur.
Theologische Konsequenzen
aus Charles S. Peirce’s
Religionsphilosophie
de Gruyter, marzo-aprile 1993
pp.257, DM 138
Esposizione complessiva della filosofia della religione di Peirce negli
aspetti centrali del suo pensiero e
sistema: categorie, semiotica, realismo universale, cosmologia, senso
comune.
Dumas, Jean-Louis
3: Temps modernes
LGF, aprile 1993
pp.512, F 65
La filosofia dei tempi moderni soprattutto attraverso i pensatori tedeschi e quelli direttamente influenzati
dalla Germania. Ogni volume comprende una tavola cronologica, delle
carte, una bibliografia e un indice dei
nomi.
Dicker, Georges
Descartes: An analytical
and historical introduction
Oxford Univ., aprile 1993
pp.256, UK £ 14,95
Un’introduzione al pensiero del filosofo seicentesco René Descartes.
Duns Scot, John
Le principe d’individuation
A cura di G. Sondag
Vrin, marzo 1993
pp.217, F 158
Frammento dell’opera del teologo
scozzese del XIII secolo, il testo qui
proposto si interroga su ciò che fa di
un individuo ciò che è. Né la materia
opposta alla forma, né il numero, né il
legame ne spiegano la singolarità.
Con questa teoria egli si oppone a san
Tommaso sul problema dell’individualità.
Dilman, Ilham
Existentialism critique
of cartesianism
Macmillan, marzo 1993
pp.200, £ 35
Un dibattito sulle critiche esistenzialiste dell’epistemologia cartesiana,
dello scetticismo a cui essa porta,
Dupront, Alphonse
Spazio e umanesimo.
L’invenzione del Nuovo Mondo
Marsilio, maggio 1993
pp.104, L. 24.000
Nonostante nel corso degli ultimi anni
la pubblicazione e gli studi relativi
alla scoperta del’’America si siano
Diano, Carlo
Forma ed evento
Principi per una interpretazione
del mondo greco
Marsilio, maggio 1993
pp.104, L. 22.000
72
moltiplicati, si può tranquillamente
affermare che questa opera di Alphonse Dupront - pubblicata nel 1946
e mai edita in Italia - conserva, al
confronto, tutta la sua novità e vitalità, poiché è opera di confine, di passaggio, di comunicazione. Dupront
infatti non si limita all’America con
la “ristrettezza del campo” della consueta ricerca storica, ma spazia geograficamente e temporalmente impegnando l’uomo nella sua interezza.
Edelstein, W. (a cura di)
Moral und Person
Suhrkamp, marzo-aprile 1993
pp.428, DM 28
Evans, G. R.
Philosophy and theology
in the middle ages
Routledge, marzo 1993
pp.176, £ 9,99
Fin dal medio evo i teologi cristiani
hanno il monopolio dell’istruzione
elevata. Il presente testo sostiene che
l’interazione fra filosofia e teologia è
stata il risultato degli sforzi delle guide cristiane e dei pensatori di assimilare le idee scientifiche e il sapere
secolare nel loro sistema dipensiero.
Faulkner, Robert K.
Francis Bacon
and the politics of progress
Rowman & Littlefield, maggio 1993
pp.315, UK £ 19,95
Il testo punta a riabilitare la reputazione di Francis Bacon, uno dei più
fecondi fondatori della modernità, e
soprattutto della moderna scienza
politica ed economica. Falkner sostiene che il metodo sperimentale di
Bacon era solo una parte del più vasto
progetto di rivoluzione del mondo.
Fellmann, Ferdinand
Lebensphilosophie.
Elemente einer Theorie
der Selbsterfahrung
Rororo, marzo-aprile 1993
DM 18,90
Invece di dettare terapeutiche “lezioni di vita” la nuova filosofia di vita
deve rispondere a una domanda: come
dobbiamo interpretare la vita?
Filodemo
Il quinto libro della poetica
Bibliopolis, giugno 1993
pp.345, L. 140.000
Nella Poetica, strutturata come un’ampia rassegna polemica di teorie estetiche, Filodemo si propone di rimuovere le false opinioni sulla poesia, riconducendola nei limiti che le competono. Nel quinto libro, la polemica è
indirizzata contro critici già ben individuati nel panorama ellenistico.
Fine, Gail
On ideas: Aristotle’s
criticism of Plato’s theory
of forms
Clarendon, aprile 1993
pp.416, UK £ 40
Centrato sull’importante ma spesso
trascurato scritto aristotelico Perì ideon, questo saggio ne esplora i meriti
filosofici della critica e mette in relazione le idee platoniche e aristoteliche sugli universali, sulla proprietà,
NOVITÀ IN LIBRERIA
sul significato e sulla conoscenza con
quelle contemporanee.
Haupt, marzo-aprile 1993
pp.123, DM 31
smo wittgensteiniano e l’epistemologia riformata.
logia, approcciate da un punto di vista
filosofico.
Fletcher, George P.
Loyalty: An essay on the morality
of relationship
Oxford Univ., marzo 1993
pp.240, £ 16,95
Ampio saggio sulla natura, sul valore
e sul significato della lealtà. L’autore
sostiene che la lealtà è un aspetto
centrale della nostra vita morale e che
i rapporti basati sulla lealtà dovrebbero essere inviolabili.
Frick, Eckhard
Wer ist schuld? Das Problem
der Kausalität in Psychiatrie
und Psychoanalyse.
Eine Untersuchung zu Martin
Heideggers Zollikoner Seminaren
Weidmann, marzo-aprile 1993
pp.220, DM 35,80
George, Robert P.
Making men moral: Civil
liberties and public morality
Clarendon, aprile 1993
pp.256, UK £ 27,50
Il presente trattato difende la proposizione secondo cui le leggi morali possono giocare un ruolo legittimo, ancorché sussidiario, nella conservazione della morale dell’ambiente culturale in cui si fanno scelte moralmente significative grazie alle quali
si forma il carattere e l’influenza della vita morale altrui.
Guardini, Romano
La fine dell’epoca moderna.
Il potere
Morcelliana, giugno 1993
pp.232, L. 22.000
Il primo è un saggio del 1950 sul
mutamento dell’epoca che stiamo attraversando. Nel secondo, del 1951,
vengono analizzate le radici teologiche e antropologiche del potere.
Foley, Richard
Working without a net:
A study of egocentric epistemology
Oxford Univ., marzo 1993
pp.256, £ 30
In questo libro l’autore propone una
nuova importante teoria della razionalità. Il suo intento è quello di sfuggire alla “malinconia di Descartes”
abbassando il livello di ciò che è
razionale a partire dall’impossibile
richiesta di certezza di Descartes.
Folscheid, Dominique
(a cura di)
La philosophie allemande:
de Kant à Heidegger
PUF, aprile 1993
pp.448, F 142
I grandi nomi della filosofia tedesca,
le fonti austro-tedesche della filosofia analitica, le filosofie della cultura,
la scuola di Francoforte, le filosofie
politiche, il razionalismo critico, letteratura e filosofia.
Forster, Georg
Des rapport que l’art
de gouverner entretient
avec le bonheur de l’humanité
Passeur, aprile 1993
pp.128, F 60
Amico di Lichtenberg e stimato da
Goethe, Georg Forster (1754-1794)
deve la propria fama al resoconto del
viaggio fatto in compagnia del capitano Cook. Pressoché inedita in
francese, la sua opera si inserisce
nell’ambito della filosofia e dell’antropologia. Questo testo, scritto nel 1793, cerca di ridefinire il
concetto di felicità.
Freud, Sigmund
L’homme Moïse et le religion
monothéiste: trois essais
Trad. C. Heim
Gallimard, aprile 1993
pp.256, F 30,50
Sicuramente il più singolare e il più
freudiano degli scritti di Freud. Attraverso la storia dell’uomo Mosè, è la
formazione di una religione, quella
dell’identità giudaica (e dell’antisemitismo) a costituire l’oggetto di questa ricerca. E, sullo sfondo, la questione della morte del padre.
Freudiger, Jürg
Kants Begründung
der praktischen Philosophie.
Systematische Stellung, Methode
und Argumentationsstruktur
der “Grundlegung zur Metaphysik
der Sitten”
Fuller, Steve
Philosophy, rhetoric,
and the end of knowledge:
The coming of science
and technology studies
University of Wisconsin
marzo 1993
pp.456, £ 19,95
Il libro difende e dimostra
l’”epistemologia sociale”, l’ingresso
di considerazioni morali e politiche
in questioni fin qui confinate nell’epistemologia e nella filosofia della
scienza. Fuller presenta casi di studio, untaccuino di ricerca, di insegnamento e di azione politica con cui
affrontare le difficoltà.
Geyer, B. (a cura di)
Werner Heisenberg - Physiker
und Philosoph.
Spektrum, marzo-aprile 1993
pp.384, DM 98
Glaziou, Yves
Hobbes en France au XVIII siècle
PUF, aprile 1993
pp.328, F 244
Né le concezioni di Hobbes, né i suoi
obiettivi, né il suo metodo potevano
incontrare un’eco autentica nel XVIII secolo. Egli afferma un pessimismo viscerale sulla natura umana che
i seguaci dell’Illuminismo prendono
per cinismo e al quale oppongono il
loro ottimismo e la loro fiducia in un
possibile progresso dell’uomo.
Furbank, P.N.
Diderot
Minerva, aprile 1993
pp.544, UK £ 7,99
Una sostanziale rivalutazione della
vita e della carriera del critico d’arte,
romanziere, drammaturgo, infaticabile corrispondente e filosofo Denis
Diderot. L’autore di E.M. Foster: A
life esplora l’intera portata della sottigliezza del pensiero di Diderot, nonché le dimensioni e la tenacia della
sua avventura intellettuale.
Goyard-Fabre, Simone
Montesquieu, la nature, les lois,
la liberté
PUF, aprile 1993
pp.384, F 272
Il libro dimostra come il giuridismo
dell’autore dello Spirito delle leggi
trovi il suo significato filosofico nelle
radici metagiuridiche. Il modello costituzionale che caratterizza l’equilibrio dei poteri nello Stato trova il suo
fondamento metafisico nel rapporto
fra libertà e natura.
Gabriel, Gottfried
Grundprobleme
der Erkenntnistheorie.
Von Descartes zu Wittgenstein
UTB, marzo-aprile 1993
pp.192, DM 19,80
In questo libro viene indagato il percorso della teoria della conoscenza
contemporanea, dalle “Meditazioni”
di Descartes a “Sulla sicurezza” di
Wittgenstein.
Grabner-Haider, Anton
Kritische Religionsphilosophie.
Europäische und außereuropäische
Kulturen
Styria, marzo-aprile 1993
pp.367, DM 59
Il dibattito filosofico sulla religione
nelle culture europea, indiana, cinese, giapponese, in quella islamica e in
quella ebraica.
Gander. H.-H. (a cura di)
Europa und Philosophie
Klostermann, marzo-aprile 1993
pp.244, DM 48
Il pensiero di Heidegger offre spunto
e controparte alle correnti autonome
da lui ispirate. Esse si muovono attorno alla domanda su quale sia il compito dell’Europa della filosofia oggi e
come le si possa mettere in una contrapposizione produttiva con l’eredità di Heidegger.
Grunow, Hubert
Der Weg der Wahrheit
die zum Leben führt.
Der Wahrheitsbegriff der Pensées
von Blaise Pascal
in einer Spiegelung
mit existentieller Philosophie
und personalem Denken
Echter, marzo-aprile 1993
pp.246, DM 39
Geivett, Douglas R.
Sweetman, Brendan
Contemporary perspectives
on religious epistemology
Oxford Univ., aprile 1993
pp.384, UK £ 15,95
Un’antologia che contiene 28 saggi
chiave che rappresentano i movimenti principali nell’epistemologia religiosa contemporanea. Fra gli approcci discussi, la teologia naturale, la
fede razionale basata sull’esperienza
religiosa, la sfida ateistica, il fidei-
Guardini, Romano
Lettera dal Lago di Como.
La tecnica e l’uomo
Morcelliana, giugno 1993
pp.120, L. 12.000
Il resoconto di un viaggio sulle rive
del Lago di Como diventa l’occasione per alcune riflessioni sulla tecno-
73
Guérinot, A. (a cura di)
Baruch Spinoza: L’Ethique
Ivrea, aprile 1993
pp.372, F 160
Opera postuma apparsa nel 1677, la
cui traduzione di Guérinot fu pubblicata nel 1930. Ben presto introvabile,
questa edizione serve da riferimento
per importanti spinozisti.
Günther, Horst
Zeit der Geschichte.
Welterfahrung und Zeitkategorien
in der Geschichtsphilosophie
Fischer Taschenbuchvlg.,
marzo-aprile 1993
DM 24,90
Il “Tempo della storia” non è il tempo
delle salde certezze, bensì quello del
nostro tentativo di comprendere le
forti incertezze.
Gupta, Anil - Belnap, Nuel
The revision theory of truth
A Bradford Book, maggio 1993
pp.310, UK £ 31,50 - $ 47,25
Un’indagine nella logica della fiducia, che spiega come il concetto di
fiducia funzioni sia in contesti ordinari che patologici. L’affermazione
centrale degli autori è che la fiducia
sia un concetto circolare. Essi propongono una teoria ampiamente applicabile (la “revisione theory”) dei
concetti circolari.
Guyer, Paul (a cura di)
Kant and the experience of
freedom: Essays on aesthetics
and morality
Cambridge Univ., aprile 1993
pp.480. UK £ 45
Questa raccolta di saggi punta a trasformare l’interpretazione sia dell’estetica che dell’etica kantiana.
Guyer dimostra come al centro della
teoria estetica di Kant l’indifferenza
del gusto divenga un’esperienza di
libertà e quindi un complemento essenziale della moralità stessa.
Habermas, Juergen
Justification and application:
Remarks on discourse ethics
Polity, aprile 1993
pp.192, UK £ 29,50
Il testo presenta i contributi di Habermas alla teoria etica, ampliando e
chiarendo la sua controversa teoria
del discorso etico. Habermas difende
la pretesa del discorso etico a una
posizione centrale nella filosofia
morale contemporanea ed estende
l’argomento a certi aspetti chiave.
Habermas, Jürgen
Testi filosofici e contesti storici
NOVITÀ IN LIBRERIA
Laterza, giugno 1993
pp.260, L. 28.000
Dodici saggi in cui Habermas si confronta con Peirce, Husserl, Heidegger, Wittgenstein, Horkheimer, Simmel, Mitscherlich.
Hablitzer - Naumann - Guyau
Die Entstehung des Zeitbegriffs
Junghans, marzo-aprile 1993
pp.115, DM 28
Hammer, St. (a cura di)
Widersacher oder Wegbereiter?
Ludwig Klages und die Moderne.
Materialen der gleichnamigen
Tagung, die vom 21.-23 Mai
1992 in der Martin-LutherUniversität zu Halle/S. stattfand
Hüthig Verlagsgemeinschaft,
marzo-aprile 1993
pp.160, DM 28
Hansen, Chad
A daoist theory of chinese
thought: A philosophical
interpretation
Oxford Univ., marzo 1993
pp.456, £ 50
Nel tentativo di rimuovere le barriere
fra filosofia cinese e filosofia mondiale, il saggio si propone di presentare una teoria unificata del pensiero
classico cinese. L’autore si serve del
taoismo come principio unificatore
centrale al posto del confucianesimo.
Hausman, Carl R.
Charles S. Peirce’s
evolutionary philosophy
Cambridge Univ., aprile 1993
pp288, UK £ 30
Il libro si incentra su quattro fondamentali concezioni di Peirce: il pragmatismo e il suo sviluppo di Peirce in
ciò che egli chiama “pragmaticismo”,
la sua teoria dei segni, la sua fenomenologia e la sua teoria secondo la
quale la continuità ha un’importanza
primaria in filosofia.
Heidelberg, Michael
Die innere Seite der Natur.
Gustav Th. Fechners
wissenschaftlichphilosophische
Weltauffassung
Klostermann, marzo-aprile 1993
pp.512, DM 138
Dopo una ricognizione sulla vita e le
opere di Fechner e un’esposizione
della sua teoria anima-corpo, l’autore
passa alla filosofia della scienza e
della natura di Fechner, e infine le
conclusioni che da ciò ne trae per il
proprio lavoro sulle scienze naturali.
Henry, Granville C.
The mechanism
and freedom of logic
University Press of America
marzo 1993
pp.242, £ 21,95
Il libro usa il linguaggio di computer
Prolog pe rinsegnare una logica predicativa pienamente formale. I lettori
dovrebbero imparare il Prolog abbastanza da esaminare il sistema formale della logica, e viceversa, in modo
da poter dimostrare i più importanti
teoremi fondamentali della logica.
pp.240, UK £ 35
Il presente testo usa i metodi e il
rigore analitico del “marxismo analitico” per proporre una nuova interpretazione dialettica della teoria sociale di Marx. Un capitolo sul materialismo dialettico utilizza un modello di dialettica per dare un’interpretazione dei concetti chiave della teoria.
Hick, John
Disputed questions: In theology
and the philosophy of religion
Macmillan, aprile 1993
pp.192, UK £ 35
Il libro affronta questioni religiose
oggigiorno controverse: se il linguaggio religioso si riferisca a una realtà
trascendente divina o rifletta soltanto
i nostri ideali, se l’esperienza religiosa sia un terreno solido per la fede
religiosa, e se Gesù fosse Dio incarnato o un uomo particolarmente aperto allo spirito divino.
Hunt, Lester M.
Nietzsche and the origin of virtue
Routledge, maggio 1993
pp.224, UK £ 12,99
Lester Hunt esamina in dettaglio
ambiti come le idee di Nietzsche sui
diritti umani, la sua posizione “antipolitica” e il suo uso insolito dell’idea
di “sperimentazione” come ideale etico. Il libro si chiede se le sue idee
vadano accettate e usate.
Honeygosky, Stephen R.
Milton’s House of God:
The invisible and visible church
University of Missouri Press
aprile 1993
pp.280, UK £ 35,95
Un esame del centro ecclesiastico di
un campione rappresentativo della
prosa di Milton, preso da tutto l’arco
della sua vita. L’autore conclude che
l’ecclesiologia di Milton dà origine a
una nuova forma mitica, derivata dalla cultura inglese della metà del XVII
secolo, e pensata per essa.
Hurley, Michael
Bacharach, Susan
(a cura di)
Foundations of decisional
theory: Issues and advances
Blackwell, aprile 1993
pp.352, UK £ 17,99
Il volume contiene dieci saggi svolti
da economisti e filosofi contemporanei sui fondamenti della teoria decisionale. L’introduzione dei curatori
propone una rivisitazione dei principali problemi sollevati dai contributi,
e un’esposizione dei maggiori sviluppi recenti.
Hosinki, Thomas E.
An introduction to the metaphysics
of Alfred North Whitehead:
Stubborn fact and creative advance
Rowman & Littlefield, maggio 1993
pp.300, UK £ 20,50
Un’introduzione alla complessa metafisica di Alfred North Whitehead,
rivolta allo studente di filosofia. Vi
vengono spiegati i temi centrali di
Whitehead, le idee e la terminologia
in modo semplice e lineare. Esempi
tratti dalla vita quotidiana illustrano
le implicazioni del suo pensiero per la
teologia cristiana contemporanea.
Im Hof, Ulrich
Das Europa der Aufklärung
C. H. Beck, marzo-aprile 1993
pp.280, DM 48
L’epoca illuministica è giunta nella
storia come l’”era filosofica”. Con essa
ha inizio quel progetto di modernità
che ha improntato l’Europa e il mondo
fino a oggi. Ulrich Im Hof ricostruisce
in questo volume un suggestivo panorama di questo grande momento della
storia spirituale europea.
Hottois, Gilbert
Simondon et la philosophie
de la culture technique
De Boeck-Wesmael, aprile 1993
pp.140, F 125
Un saggio su questo filosofo contemporaneo che tentava di affrontare il
problema cruciale della dissociazione culturale fra le scienze, le tecniche
e le lettere umane e di inventare, per
risolverla, nuovi strumenti concettuali.
Inwagen, Peter van
Metaphysics
Oxford Univ., marzo 1993
pp.256, £ 11.95
Questo libro di testo è costruito attorno a tre questioni cruciali: quali sono
gli aspetti più generali del mondo;
perché esiste il mondo e qual è la
natura e il posto degli esseri razionali
nel mondo.
Howard, Michael - Paret, Peter
(a cura di)
Klaus von Clausewitz: On war
Everyman’s Library, maggio 1993
pp.784, UK £ 10,99
Pubblicato per la prima volta nel 1832,
questo saggio costituisce un tentativo
occidentale di interpretare la guerra,
in termini delle sue dinamiche interne
e del suo uso come strumento politico. Questa nuova edizione comprende un commento di Bernard Brodie,
ex professore di Scienze Politiche
alla University of California, Los
Angeles, USA.
Inwood, Michael (a cura di)
Georg Wilhelm Friedrich Hegel:
Introductory lectures on aesthetics
Penguin Books, maggio 1993
pp.240, UK £ 6,99
Queste lezioni, tenute a Berlino verso
il 1820, sono una classica introduzione all’argomento. Hegel le corredò di
una prefazione con un riassunto delle
principali dottrine; questa introduzione è divenuta a sua volta un classico,
che costituisce anche un prolegomeno al pensiero di Hegel.
Jaffro, Laurent (a cura di)
Anthony Ashley Cooper, comte
de Shaftesbury: Exercises
Aubier, aprile 1993
Hunt, Ian
Analytical and dialectical marxism
Avebury, aprile 1993
74
pp.480, F 290
Questi Exercises sono concepiti come
un’opera privata che non si preoccupa di proporre una dottrina ma di
esercitare il suo autore, uno dei più
grandi moralisti inglesi del XVII secolo. Questa tecnica di sé consiste nel
disfarsi dei turbamenti delle passioni
così da stabilire in sé, per mezzo di
una disciplina delle rappresentazioni,
un’affezione naturale.
Janke, Wolfgang
Vom Bilde des Absoluten.
Grundzüge der Phänomenologie
Fichtes
de Gruyter, marzo-aprile 1993
pp.569, DM 228
Una esposizione completa della filosofia di Fichte nelle lezioni sul manifestarsi dell’assoluto. L’accento viene messo su un perfezionamento della filosofia nella differenziazione da
Hegel, Schelling, Hölderlin.
Jasper, David (a cura di)
Postmodernism, literature
and the future of theology
Macmillan, aprile 1993
pp.192, UK £ 35
Teologi, filosofi, critici letterari e
storici delle idee affrontano la questione di come la tradizione giudaico-cristiana di riflessione teologica
abbia sofferto l’emergere della teoria e della pratica postmoderna nella
letteratura e nella critica, e l’abbia
negoziato.
Jerphagnon, Lucien
Histoire de la pensée
1: Antiquité et Moyen Age
LGF, aprile 1993
pp.539, F 65
L. Jerphagnon, membro fondatore del
Centro internazionale di studi platonici e aristotelici, ci guida alle origini
del pensiero, del passaggio dal mito
al discorso razionale, sulle tracce delle grandi personalità e delle grandi
scuole.
Johnson, Peter (a cura di)
Frames of deceit:
A study of the loss and recovery
of public and private trust
Cambridge Univ., maggio 1993
pp.224, UK £ 30 - $ 49,95
Un’indagine filosofica sulla natura
della fiducia nella vita pubblica e in
quella privata. Vi si esamina il modo
in cui la fiducia nasce, viene messa in
crisi e in cui la si recupera in caso di
scontro fra imperfezioni morali e politiche.
Jonas, Hans
Philosophie. Rückschau
und Vorschau am Ende
des Jahrhunderts
Suhrkamp, marzo-aprile 1993
pp.44, DM 17,80
”Credo d’altra parte nella forza inventiva dell’uomo e nella sua astuzia
vitale, nella sua capacità di vedere, di
progettare, di dominarsi, di elaborare
le leggi e di attenervisi. Troverà anche i mezzi contro ciò di cui è egli
stesso la causa.”
Keil, Geert
NOVITÀ IN LIBRERIA
Kritik des Naturalismus
de Gruyter, marzo-aprile 1993
pp.430, DM 188
Servendosi fra il resto dell’analisi della
metafora, si dimostra che le teorie
naturalistiche in sé contengono concetti intenzionali in forma nascosta.
decisivi al vasto dibattito che circonda la controversa opera di Carol Gilligan sulle differenze sessuali nei processi decisionali. Nel libro vi è anche
un saggio della stessa Gilligan, in
risposta ad alcune critiche che le sono
state rivolte.
Kemp, John
The philosophy of Kant
Thoemmes, marzo 1993
pp.138, £ 9,99
Una sinopsi della filosofia critica di
Kant, scritta nella speranza che renda
la lettura di Kant “un po’ più facile”.
Il libro espone le principali tesi della
filosofia teoretica e pratica di Kant e
la sua filosofia del bello e del fine.
Laubier, Patrick de (a cura di)
La philosophie d’inspiration
chrétienne
aprile 1993
pp.92, F 70
Il volume completa il panorama sulla
filosofia di ispirazione cristiana trattando filosofi contemporanei di lingua tedesca e considerando la filosofia medievale come una chiave per
comprendere la modernità.
Kenny, Anthony
Descartes:
A study of his philosophy
Thoemmes, marzo 1993
pp.252, £ 9,99
Volto ad aiutare studenti laureati e
non laureati nella comprensione della
filosofia di Descartes, il libro tratta in
special modo l’epistemologia, la metafisica e la filosofia della mente di
Descartes.
Kolakowski, Leszek
Religion
Fontana, maggio 1993
pp.228, UK £ 6,99
Il libro discute gli argomenti pro e
contro l’esistenza di Dio, esaminando rigorosamente i fondamenti logici
di tutte le principali credenze e non
credenze. Il pensiero ateistico viene
mostrato in tutta la sua criticabilità a
una solida fede religiosa.
Krawietz, W.
Henrik, von Wright, G. (a cura di)
Öffentliche oder private Moral?
Vom Geltungsgrunde
und der Legitimität des Rechts.
Festschrift für Ernesto
Garzon Valdés
Duncker & Humblot
marzo-aprile 1993
pp.486, DM 248
Kuhlman, Hartmut
Schellings früher Idealismus.
Ein kritischer Versuch
Metzler, marzo-aprile 1993
pp.344, DM 58
Una ricerca monografica che sottopone a esame lo sviluppo del più
oscuro fra tutti gli “idealisti” in rapporto ai suoi contemporanei, da un
punto di vista non solo sistematico,
ma anche storico.
Langthaler, Rudolf
Organismus und Umwelt.
Die biologische Umweltlehre
im Spiegel traditioneller
Naturphilosophie
Weidmann, marzo-aprile 1993
pp.270, DM 68
Larrabee, Mary Jeanne
An ethic of care: Feminist
and interdisciplinary
perspectives
Routledge, marzo 1993
pp.288, £ 12,99
Un volume che riunisce contributi
aveva appena iniziato ad affrontare
l’argomento dell’”etica della fede”.
Ogni uomo, egli dice, dovrebbe accordare il proprio assenso esclusivamente in base all’evidenza, massima
più semplice da pronunciare che da
capire, e più semplice da capire che
da mettere in pratica.
Lohmann, G. (a cura di)
Zur Philosophie der Gefühle
Suhrkamp, marzo-aprile 1993
pp.360, DM 26
Longrigg, James
Greek rational medicine:
Philosophy and medicine
from Alcmaeon to the Alexandrians
Routledge, maggio 1993
pp.288, UK £ 40
Il testo esamina gli importanti rapporti fra filosofia e medicina nell’antica Grecia e successivamente e ne
rivela i significati per la pratica e la
teoria contemporanea occidentale.
Lauth, Reinhard
Transzendentale Durchdringung
der Philosophie und des Lebens
Ars una, marzo-aprile 1993
pp.400, DM 138
Reinhard Lauth, promotore e curatore della monumentale opera completa di J. G. Fichte dell’Accademia
Bavarese delle Scienze va annoverato fra i più competenti conoscitori
mondiali della filosofia trascendentale (Immanuel Kant, J. G. Fichte). Il
testo proposto contiene in diversi singoli saggi la summa degli sforzi filosofici dell’autore.
Lotz B., Johannes
Esperienza trascendentale
Vita e Pensiero, maggio 1993
pp.372, L.72.000
Con questo libro Lotz si volge a
chiarire la problematica dell’esperienza e dei suoi livelli di realizzazione. In tal senso l’esperienza ontica è distinta dall’esperienza trascendentale con i suoi gradi (eidetica, ontologica, metafisica, religiosa), i quali si ottengono con un
processo d’interiorizzazione.
Levinas, Emmanuel
Dieu, la mort et le temps
Grasset, maggio 1993
pp.250, F 115
Il volume comprende da una parte un
“dialogo” con grandi filosofi come
Heidegger o Aristotele sul concetto
di morte e di tempo, e dall’altra una
ricerca stringente sul tema del “nome”
o del “concetto” divino.
Lübbe, Hermann
Geschichtsphilosophie:
Verbliebene Funktionen
Palm & Enke, marzo-aprile 1993
pp.32, DM 18
Liske, Michael-Th.
Leibniz’ Freiheitslehre.
Die logisch-metaphysischen
Voraussetzung von Leibniz’s
Freiheitstheorie
Meiner, marzo-aprile 1993
pp.308, DM 128
Il presente volume ricostruisce le lezioni di Leibniz sulla libertà sulla
base dei principi ontologici di unità e
di differenza graduale e ne dimostra
la coerenza.
Lucas, J.R.
Responsibility
Clarendon, aprile 1993
pp.288, UK £ 30
Il volume presenta un’ampia e accessibile discussione della responsabilità in vari ambiti della vita umana,
dalle relazioni personali e sessuali
alla politica. J. R. Lucas discute la
libertà della volontà, critica l’utilitarismo e offre una guida dell’utente
alle teorie correnti della punizione.
Lloyd, G.E.R. (a cura di)
Methods and problems in Greek
science: Selected papers
Cambridge Univ., aprile 1993
pp.472, UK £ 15,95
La presente raccolta di articoli sulla
scienza greca contiene 15 dei più
importanti scritti pubblicati da G. E.
R. Lloyd in questo ambito a partire
dal 1961, oltre a tre articoli inediti.
Gli argomenti spaziano in tutte le
aree e in tutti i periodi della scienza
greca, fra cui l’astronomia, la cosmologia e la biologia.
Lyman, Rebecca J.
Christology and cosmology:
Models of divine activity
in Origen, Eusebius
and Athanasius
Clarendon, maggio 1993
pp.200, UK £ 25
Il libro propone una nuova interpretazione del rapporto fra il pensiero greco e l’antica teologia cristiana analizzando l’opera di tre pensatori fondamentali: Origene, Eusebio e Atanasio. L’autore fa una valutazione delle
loro idee su Cristo e la redenzione e le
confronta alle idee contemporanee.
Locke, John
Of the conduct of the understanding
(From the “Posthumous works”)
Thoemmes, marzo 1993
pp.160, £ 12,99
In questa opera incompiuta Locke
MacBeath, Murray
Le Poidevin, Robin (a cura di)
The philosophy of time
Oxford Univ., marzo 1993
pp.232, £ 8,95
75
Il libro presenta una serie di letture
che introducono agli argomenti centrali della filosofia del tempo. Due dei
saggi sono stati scritti appositamente
per questo volume. I curatori riassumono il retroterra del dibattito e dimostrano come le questioni della filosofia del tempo siano legate ad altre
braqnche della filosofia.
MacNiven, Don
Creative morality
Routledge, maggio 1993
pp.256, UK £ 10,99
Un esame filosofico dei dilemmi
morali. Il libro analizza i sistemi etici
su cui sono basate le nostre decisioni
morali e propone una teoria etica
ampia per l’interpretazione dei moderni problemi morali.
Malebranche, Nicolas
Abhandlung von Natur
und der Gnade
Trad.a cura di S. Ehrenberg
Meiner, marzo-aprile 1993
pp.260, DM 48
Prima traduzione tedesca della seconda edizione del 1712 con note al
testo e alla bizzarra terminologia di
Malebranche e con un’introduzione
sistematica.
Marcus, Ruth Barcan
Modalities:
Philosophical essays
Oxford Univ., marzo 1993
pp.288, £ 30
Una raccolta degli scritti più importanti di questa filosofa e logica americana, che comprende i suoi influenti
primi scritti sulla logica modale e la
sua opera più recente sulla filosofia
morale e la razionalità.
Marquardt, Udo
Die Einheit der Zeit
bei Aristoteles
Königshausen & Neumann
marzo-aprile 1993
pp.214, DM 58
Marten, Rainer
Lebenskunst.
Ein philosophischer Entwurf
W. Fink, marzo-aprile 1993
pp.280, DM 58
”Arte di vivere”: questo è il progetto
complessivo della filosofia pratica
come etica di una vita ben riuscita,
più precisamente la rappresentazione
concreta di una nuova Caritas: della
vita come inutilità liberamente utile e
utilizzabile.
Martin, Jean-Clet
Variations: la philosophie
de Gilles Deleuze
Payot, maggio 1993
pp.264, F 135
Questo saggio, una spiegazione dell’opera di Deleuze, non vuole ambire
allo status di commento; Deleuze si
può dire che non si presti a questo
esercizio. Il termine “variazione” è
un concetto nodale nel filosofo; il
testo rappresenta, nella sua forma e
NOVITÀ IN LIBRERIA
nelle sue tesi, una sorta di piega dell’opera, ossia una sorta di libro di
Deleuze, soprannumerario.
nelle sue concezioni fortemente anticartesiane, anti-francesi e anti-illuministiche.
originale proposta: scindere, nell’individuo, il punto di vista personale da
quello impersonale.
della coscienza, della razionalità, del
timore della morte, della memoria e
altro ancora.
Mautner, Thomas (a cura di)
Francis Hutcheson: Two texts
on human nature
Cambridge Univ., maggio 1993
pp.240, UK £ 30
Francis Hutcheson (1694-1746) è stato il primo importante filosofo dell’illuminismo scozzese. I due saggi presentati in questo volume si riferiscono alla sua fiducia nell’esistenza di
un senso morale e discutono la popolare teoria che la moralità altro non
sia che la prudente ricerca del proprio
interesse.
Moore, A. W. (a cura di)
The theory of meaning
Oxford Univ., marzo 1993
pp.320, £ 9,95
Parte della collana “Oxford Readings
in Philosophy”, il presente volume
propone una scelta degli scritti più
importanti nel dibattito sulla natura
del senso e del referente iniziato 100
anni fa con il saggio di Frege “Senso e
referente”, argomento che si trova al
centro della filosofia del linguaggio.
Nam-in Lee
Edmund Husserls Phaenomenologie
der Istinkt
Kluwer Academic, marzo 1993
pp.288, £ 80
Una ricostruzione della “Phaenomenologie der Istinkt” dall’opera pubblicata e dai manoscritti inediti di
Husserl. Vi si possono vedere le implicazioni di quel testo per il sistema
fenomenologico e si conclude che la
fenomenologia trascendentale non
può più essere considerata una filosofia della coscienza a una sola faccia.
Nussbaum, Martha - Amartya Sen
(a cura di)
The quality of life
Clarendon, marzo 1993
pp.464, £ 45
Economisti e filosofi di spicco affrontano il problema di definire e
misurare la qualità della vita. Recenti
sviluppi nella definizione filosofica
del benessere vengono discussi e legati a questioni pratiche.
Mayer, Hans
Walter Benjamin.
Congetture su un contemporaneo
Garzanti, giugno 1993
pp.84, L. 16.500
Ripercorrendo le tappe di quella che
considera un’esistenza “romanticamente” fallimentare ma non per questo improduttiva, Mayer sottolinea la
contraddizione tra «la fama universale postuma di Benjamin, la scrupolosa edizione di tutta la sua eredità
spirituale, l’investigazione puntuale
della sua vita...».
McConica, James
Quinton, Lord Anthony
Kenny, Sir Anthony - Burke, Peter
Renaissance thinkers:
Erasmus, Bacon, More
and Montaigne
Oxford Paperbacks, aprile 1993
pp.480, UK £ 9,99
Il presente volume contiene studi biografici di quattro dei più importanti
autori filosofici del Rinascimento
europeo. Vi si spiega come tutti avessero letto i classici dell’antica Grecia
e di Roma e fossero convinti che le
idee dell’antichità pagana conservassero il proprio valore anche nell’era
cristiana.
Mill, John Stuart
Three essays on religion
Thoemmes, marzo 1993
pp.314, £ 14,99
Tre saggi del filosofo inglese John
Stuart Mill, nei quali egli esprime le
sue idee sulla religione.
Mill, John Stuart
Auguste Comte and the positivism
Thoemmes, aprile 1993
pp.202, UK £ 14,99
Saggio e critica di John Stuart Mill
della dottrina positivistica proposta
da Auguste Comte, dove egli sottolinea i difetti e propoe modifiche.
Miller, Cecilia
Giambattista Vico:
Imagination and historical
knowledge
Macmillan, maggio 1993
pp.260, UK £ 40
Questa analisi testuale degli scritti
teoretici di Giambattista Vico mette
l’accento sulle sue prime opere, teorie del linguaggio e della società.
L’importanza fondamentale di Vico
nella storia delle idee europee sta
Morin, Edgar
Le idee: habitat, vita
organizzazione, usi e costumi
Feltrinelli, giugno 1993
pp. 336, L. 50.000
Le idee è il quarto volume dell’opera
più impegnativa di Morin, sociologo
e filosofo molto noto e apprezzato
soprattutto negli ambienti ecologisti
o comunque sensibili ai problemi di
una politica “planetaria” più umana e
attenta alle interrelazioni con l’ambiente. In questo capitolo della sua
filosofia del “Metodo”, il filosofo tira
le fila della sua indagine, affrontando
il tema del “mondo delle idee” in
modo originale, trattando le idee come
organismi. esaminandole dal punto
di vista della loro autonomia e dipendenza dalla mente umana.
Nancy, Jean-Luc
La partizione delle voci.
Verso una comunità
senza fondamenti
Rizzoli, giugno 1993
pp.108, L. 20.000
L’ermeneutica non è immediata interpretazione di un dato ma il darsi
stesso dell’essere. Ma poiché ogni
interpretazione è singolare, il senso si
annucia non nel significato, ma nelle
singole voci degli uomini.
Negrotti, Massimo
Per una teoria dell’artificiale
FrancoAngeli, giugno 1993
pp.160, L. 25.000
L’impiego di certi aggettivi, nella
nostra cultura, è fondato su una semantica incerta o, a volte, su una
diffusa ma irriflessa nozione di senso
comune. Artificiale è sicuramente uno
di questi. La sua definizione è quasi
sempre negativa (non naturale) oppure genericamente assimilata a quella di teconologia (fatto dall’uomo).
Scopo di questo volume è di presentare le ragioni che inducono a porre
l’artificiale al centro di una indagine
teorica che ne definisca la fisionomia, le differenze, i comportamenti,
nonché le possibili co-evoluzioni culturali.
Münch, Dieter
Intention und Zeichen.
Untersuchungen zu Franz Brentano
und zu Edmund Husserls Frühwerk
Suhrkamp, marzo-aprile 1993
pp.330, DM 42
Mure, G. R. G.
The philosophy of Hegel
Thoemmes, marzo 1993
pp.224, £ 12,99
Secondo l’autore, la concezione della
filosofia di Hegel era storica ed evolutiva nel senso ampio del termine. In
questo libro l’autore esprime le sue
idee sulla filosofia di Hegel.
Niemann, Hans-J.
Die Strategie der Vernunft.
Rationalität in Erkenntnis.
Moral und Metaphysik
Vieweg, marzo-aprile 1993
pp.250, DM 80
Al relativismo moderno e postmoderno si contrappone un concetto
universalistico di ragione: con quella
stessa ragione che nella conoscenza
decide fra “giusto” e “sbagliato”, divengono obiettivamente condivisibili anche le decisioni morale e persino
metafisiche.
Nagel, T. (a cura di)
Experimental and theoretical
studies of consciousness
John Wiley and Sons, marzo 1993
pp.350, £ 45
Una panoramica complessiva dei
problemi di coscienza, con una raccolta di saggi che prendono in esame diverse prospettive: psicologica, neuropsicologica e filosofica.,
Il testo comprende un dibattito sui
meriti relativi delle differenti teorie della coscienza.
Noonan, Harold (a cura di)
Personal identity
Dartmouth, maggio 1993
pp.520, UK £ 60
Questa opera filosofica, che esplora il
concetto di identità personale, comprende una trattazione del futuro, del
passato, dell’importanza dell’identità di sé, della bisezione cerebrale e
dell’unità della coscienza, del fluire
Nagel, Thomas
I paradossi dell’uguaglianza
Il Saggiatore, maggio 1993
pp.232, L. 42.000
In questo libro Nagel chiarisce la natura del conflitto tra il punto di vista
dell’individuo e quello della collettività, cercando di conciliarli con una
76
Oakley, Justin
Morality and the emotions
Routledge, maggio 1993
pp.264, UK £ 12,99
Recenti teorie filosofiche e psicologiche vengono attaccate; l’autore sostiene che una reale comprensione
delle emozioni rivela il ruolo fondamentale che esse giocano nella vita
morale.
Oesterreich, P. (a cura di)
Person und Sinnerfahrung.
Philosophische Grundregeln
und interdisziplinäre
Perspektiven. Festschrift
für Georg Scherer zum 65.
Geburtstag
Wissenschaftl. Buchges.,
marzo-aprile 1993
pp.320, DM 69
La prima parte espone una questione
importante sull’etica e sul fondamento morale. La seconda parte contiene
saggi sulla fenomenologia dell’esperienza significativa o su quella dell’assurdo in Cusano, Fichte, Nietzsche, Husserl, Heidegger e altri. La
terza parte approfondisce le teorie filosofiche negli aspetti interdisciplinari.
Ogien, Ruwen
Un portrait logique et moral
de la haine
Eclat, aprile 1993
pp.68, F 60
R. Ogien dimostra qui che l’odio è
una relazione che possiede una sua
logica e che “se l’odio è ripugnante
non è certo perché è irrazionale”, ma
perché è intrinsecamente malvagio.
Ollman, Bertell
Dialectical investigations
Routledge, marzo 1993
pp.208, £ 12,99
Il libro offre agli studenti un’introduzione di base alla dialettica, unita a
un’importante esposizione delle sue
applicazioni a una vasta gamma di
fenomeni storici e sociali. In questo
volume Bertell propone anche sei studi approfonditi di esempi di applicazione del metodo dialettico.
Ortes, Giammaria
Un “filosofo” veneziano
del Settecento
Leo S.Olschki, maggio 1993
pp.310, L. 46.000
La varietà degli interessi dell’abate
veneziano sia nell’ambito delle scienze fisico-matamatiche che sul fronte
NOVITÀ IN LIBRERIA
delle scienze dell’uomo, si riconducono ad un discorso unico e coerente
grazie all’avvincente ricostruzione del
suo pensiero.
Otte, M. - Pätzold, D.
(a cura di)
Modellfunktionen der Philosophie
Meiner, marzo-aprile 1993
pp.161, DM 32
La filosofia ci mette di fronte all’evidenza che tutte le teorie in senso forte
dell’oggettività del soggettivo sono
subordinate e dunque quanto si possa
rendere trasparente tale oggettività.
Le scienze ci danno informazioni e
sapere, la filosofia un orientamento.
Page, Banjamin G. (a cura di)
Marxism and spirituality:
An international anthology
Bergin & Garvey, aprile 1993
pp.248, UK £ 44,95
Il volume rappresenta un passo verso
l’esplorazione della dimensione della spiritualità nel pensiero marxista.
Gli autori, sia marxisti che non marxisti, provenienti da diversi paesi, riflettono su problemi quali le implicazioni spirituali del marxismo e la sua
critica del determinismo economico,
l’alienazione e altro ancora.
Palmquist, Stephen R.
Kant’s system of perspectives:
An architectonic interpretation
of the critical philosophy
University Press of America,
marzo 1993
pp.490, £ 51,95
Tentativo rivoluzionario di dimostrare l’alto grado di coerenza sistematica
di tutto il progetto filosofico di Kant.
Usando il “principio della prospettiva” come strumento tecnico, l’autore
rivela che le teorie dell’opera di Kant
sono l’elaborazione architettonica di
una sola idea.
Patella, Giuseppe
Gracián o della perfezione
Studium, giugno 1993
pp.224, L. 24.000
Monografia filosofica sintetica ed
esaustiva, il volume prende in esame
l’opera e il pensiero del gesuita spagnolo del Seicent, Baltasar Gracián,
secondo una interpretazione appuntata sull’analisi delle complesse e
variegate forme della cultura barocca. Il volume si avvale inoltre di
un’ampia sezione antologica in cui
vengono tradotti, alcuni per la prima
volta, brani da vari testi gracianiani.
Peirce, Charles Sanders
Reasoning and the logic of things
Harvard Univ., marzo-aprile 1993
pp.610, $ 27
Il libro fornisce al lettore l’unico resoconto noto completo del filosofo
sulla propria opera. Il volume include
una serie di lezioni tenute a Cambridge, Massachusetts, nel 1898.
Penzo, Giorgio
Nietzsche allo specchio
Laterza, giugno 1993
pp.250, L. 27.000
Dagli anni della sua formazione e
degli studi, alla docenza universitaria, alle lunghe peregrinazioni che
precedono un declino inesorabile.
L’interpretazione del nuovo rapporto
che, partendo dalla crisi del pensiero
metafisico tradizionale, il filosofo
instaura tra conoscenza e verità.
Perry, John
”The problem of essential
indexical” and other essays
Oxford Univ., aprile 1993
pp.352. UK £ 32
Una raccolta di saggi che discute
alcuni aspetti delle idee dell’autore sulla filosofia del linguaggio e sulla filosofia della mente.
Egli riflette sui problemi legati
alla “credenza autolocativo”, con
pronomi dimostrativi come “io”
e “questo”.
Pettit, Philip
The common mind:
An essay in psychology,
society and politics
Oxford Univ., aprile 1993
pp.256, UK £ 30
Il presente trattato sostiene un modo
originale di dividere gli esseri senzienti, in particolare gli umani, da
altri sistemi intenzionali, sia naturali
che artificiali, appoggiando una visione di individualismo olistico e tratteggiando una nuova cornice per la
teoria sociale e politica.
Plantinga, Alvin
Warrant: The current debate
Oxford Univ., marzo 1993
pp.256, £ 15,95
Il professor Plantinga è famoso per
insigni opere nel campo dell’epistemologia e della filosofia della religione. In questo libro e in quello che lo
accompagna, “Warrant and proper
function”, Palntinga mette insieme i
sue aspetti del suo lavoro.
Die Welt und wir.
Band I/2: Raum - Substanz
Kausalität
Metzler, marzo-aprile 1993
pp.480, DM 78
”Con la sua comprensione della riflessione filosofica e con la sua interpretazione monistica dell’intenzionalità, Prauss ha scelto una via idealistica. Spazio e tempo divengono due
forme della ragione”.
Plato
The last days of Socrates
Penguin Books, maggio 1993
pp.272, UK £ 5,99
Socrate passò tutta la sua vita ad analizzare questioni etiche. Il presente
volume comprende l’Eutifrone,
L’apologia, il Critone e il Fedone.
Quilliot, Roland
La liberté
PUF, aprile 1993
pp.128, F 40
La libertà, miraggio o vocazione fondamentale dell’essere umano? Il problema del libero arbitrio, l’uomo libero, la libertà socio-politica.
Potrc, M. - Jerman, F. et al.
(a cura di)
Analytical philosophy.
Brentano, Russel, Wittgenstein
Vlg. J.H. Röll, marzo-aprile 1993
pp.158, DM 36
I saggi contenuti nel libro trattano i
fondamenti della filosofia analitica in
Russel e Wittgenstein, nonché la loro
influenza sulla psicologia e la filosofia attuali.
Ramsey, Bennett
Submitting to freedom:
The religious vision
of William James
Oxford Univ., aprile 1993
pp.208, UK £ 19,50
Una nuova analisi e interpretazione
delle idee religiose del filosofo americano del XIX secolo William James.
Potter, Vincent G.
Colapietro, Vincent
Readings in epistemology:
From Aquinas, Bacon, Galileo,
Descartes, Locke, Hume and Kant
Fordham Univ., marzo 1993
pp.300, £ 11,95
Le opere qui raccolte provengono
principalmente dagli empiristi inglesi. Ognuna di esse è inserita nel suo
contesto storico e i vari brani seguono
una progressione di sviluppo logico,
da Locke a Berkeley a Hume. Alla
fine di ogni capitolo compaiono domande di studio, volte a stimolare la
discussione.
Pettit, Philip (a cura di)
Consequentialism
Dartmouth, aprile 1993
pp.500, UK £ 60
L’opera affronta tutti gli aspetti del
consequenzialismo, comprendendo
l’utlitarismo, l’alienazione e la richiesta di moralità, il consequenzialismo
restrittivo, le azioni alternative, una
guida oggettivista al valore soggettivo, il lavoro recente nei limiti dell’obbligo, e altro ancora.
Pfordten, Dietmar v. d.
Deskription, Evaluation,
Präskription. Trialismus
und Trifunktionalismus
als sprachliche Grundlagen
von Ethik und Recht
Duncker & Humblot
marzo-aprile 1993
pp.474, DM 118
Potter, Vincent G., (a cura di)
On understanding understanding:
A course text
Fordham Univ., marzo 1993
pp.232, £ 11,95
Il libro si propone di costituire un’introduzione di base alla ricerca filosofica su questioni di epistemologia e di
familiarizzare il lettore con il periodo
storico europeo noto come Illuminismo. Per stimolare ulteriori riflessioni, alla fine di ogni capitolo vengono
incluse domande di studio.
Pighetti, Clelia
Atomi e lumi nel mondo spagnolo
Franco Angeli, giugno 1993
pp.176, L. 22.000
Il volume intende restituire alla critica storiografica un periodo apparentemente oscuro della cultura spagnola: il secondo Seicento e i primi decenni del Settecento.
Prandi, Julie D.
”Dare to be happy!”: A study
of Goethe’s ethics
University Press of America,
aprile 1993
pp.238, UK £ 35,50
Il testo esplora l’etica della felicità di
Goethe e i temi della rassegnazione al
suo interno. Prandi si serve di Lucrezio e Spinoza come modelli di influenza sulla “morale naturale” di
Goethe, prendendo in considerazione
i punti di contatto fra i tre nelle rispettive definizioni di ciò che rende le
persone razionalmente felici.
Plantinga, Alvin
Warrant and proper function
Oxford Univ., marzo 1993
pp.272, £ 15,95
Il professor Plantinga è famoso per
insigni opere nel campo dell’epistemologia e della filosofia della religione. In questo volume associato a
“Warrant: The current debate” Plantinga elabora un approccio originale
al problema di cosa legittimi le vere
opinioni facendone un sapere.
Prauss, Gerold
77
Ripani, Graziano
Parola e ascolto
Morcelliana, giugno 1993
pp.134, L. 15.000
L’interpretazione della Parola biblica attraverso un confronto critico con
Heidegger, Rosenzwieg, Gadamer,
Lévinas.
Robinson, Howard (a cura di)
Objections to physicalism
Clarendon, marzo 1993
pp.288, £ 32,50
Questi saggi mettono in crisi l’adeguatezza delle teorie materialiste contemporanee nella filosofia della mente. Le forme di materialismo qui discusse sono state l’avanguardia del
recente dibattito, ma si dimostra che
queste teorie affrontano problemi formidabili.
Roser, A. - Mohrs, T.
(a cura di)
Kant-Konkordanz. Zu den Werken
Immanuel Kants.
Bände I-IX :der Ausgabe
der Preußischen Akademie
der Wissenschaften
Weidmann, marzo-aprile 1993
10 voll. pp.7000, DM 198
Rosset, Clément
Le réel et son double:
essai sur l’illusion
Gallimard, aprile 1993
pp.144, F 25,50
Il reale non viene accettato che a certe
condizioni; se è spiacevole, un arresto di percezione mette la coscienza
al riparo da ogni spettacolo indesiderato. Nell’illusione la cosa è spostata,
messa altrove. Questo saggio si propone di illustrare il legame fra l’illusione e il doppio, a dimostrare che la
struttura dell’illusione non è altro che
la struttura paradossale del dubbio.
Rössler, B. (a cura di)
Quotierung und Gerechtikeit.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Eine moraliphilosophische
Kontroverse
Campus, marzo-aprile 1993
pp.220, DM 38
Il dibattito sul diritto della regolamentazione per le citazioni finora è
stato da noi condotto esclusivamente
a livello politico o giuridico. Fondamentale dunque è la domanda se sia
giusto che se ne riconosca una legittimità anche morale. Negli Stati Uniti
già da più di vent’anni è in corso un
simile dibattito filosofico morale sui
fondamenti della regolamentazione
sulle citazioni.
Rota, Giancarlo
Pensieri discreti
Garzanti, giugno 1993
pp.198, L. 35.000
Il volume raccoglie le tappe essenziali del percorso intellettuale di un matematico che è riuscito a coniugare la
ricerca scientifica e la speculazione
filosofica.
Rotenberg, Moredechai
Dialogue with deviance:
The hasidic ethic and the theory
of social contraction
University Press of America,
aprile 1993
pp.283, UK £ 16,95
Uno studio derivato, e basato, sull’etica giudaico-hassidica. Partendo
dal concetto cabalistico-hassidico di
contrazione, l’autore dimostra che non
si tratta di una costruzione personalesociale, ma di un’autocontrazione
sociale che spiega come si sviluppano l’”è” e il “dovrebbe” della società.
Ruben, David-Hillel (a cura di)
Explanation
Oxford Univ., maggio 1993
pp.328, UK £ 9,95
Parte della collana “Oxford Readings
in Philosophy”, questo volume presenta una selezione dei più importanti
scritti recenti sulla natura della spiegazione. Vi viene trattata un’ampia
gamma di argomenti, dalla filosofia
della scienza al terreno filosoficamente centrale della teoria della conoscenza.
Runzo, Joseph (a cura di)
Is God real?
Macmillan, maggio 1993
pp.288, UK £ 40
Una raccolta di saggi che affronta il
dibattito contemporaneo sul realismo
teologico. Esiste una realtà divina,
trascendente, indipendente dal pensiero umano? Con saggi di importanti
autori, schierati da una parte e dall’altra della questione, il libro costituisce
un dialogo fra realisti e non realisti.
Fiat lux
Quai Voltaire, aprile 1993
pp.624, F 310
Un saggio filosofico sul sublime, illustrato da numerose fotografie.
University Press of Virginia
maggio 1993
pp.284, UK £ 13,50
Traduzione inglese del Sistema dell’idealismo trascendentale di F. W. J.
Schelling, probabilmente la sua più
importante opera filosofica. Testo
centrale nella storia dell’idealismo
tedesco, la sua prima pubblicazione
in Germania avvenne nel 1800. Vi si
può trovare la sua filosofia dell’arte,
che influenzò l’opera di Coleridge.
Salla, Giovanni B.
Gewissensentscheidung.
Philosophisch-theologische
Analyse von Gewissen
und sittlichem Wissen
Tyrolia-Vlg., marzo-aprile 1993
pp.144, DM 29
Schérer, René
Zeus hospitalier:
éloge de l’hospitalité:
essai philosophique
Armand Colin, maggio 1993
pp.208, F 125
L’ospitalità è una virtù, un costume,
una semplice sopravvivenza, inutile
e cancellata, nelle nostre società rette
da uno stato di diritto? Invece di coltivarla, il nostro tempo si volge verso
altre urgenze. Tuttavia Kant vi ha
visto il primo e unico principio del
diritto internazionale.
Samely, Alexander
Spinozas Theorie der Religion
Königshausen & Neumann
marzo-aprile 1993
pp.108, DM 32
L’esposizione tenta di abbozzare una
visione chiara e complessiva della
teoria della religione di Spinoza e al
contempo di documentare e di mettere in rilievo gli elementi di questa
teoria all’interno dell’opera, in particolare dell’Etica e del Trattato teologico-politico stesso.
Schlette, Heinz R.
Weltseele. Geschichte
und Hermeneutik
Knecht, marzo-aprile 1993
pp.240, DM 68
Sarup, Madan
An introductory guide
to post-structuralism
and post-modernism
Harvester Wheatsheaf, aprile 1993
pp.240, UK £ 10,45
Pensato per i corsi pre-laurea di teoria
culturale, di studi culturali e di filosofia contemporanea, il libro introduce
alla teoria post-strutturalista e postmoderna. Vi si discute di concetti quali il
post-strutturalismo e il postmodernismo, con sezioni sulle critiche femministe a Lacan e a Foucault.
Schmitz, Hermann
Die entfremdete Subjektivität.
Von Fichte zu Hegel
Bouvier, marzo-aprile 1993
pp.320, DM 95
Il testo intraprende una ridefinizione
dei significati storici dell’idealismo
tedesco, che non sta tanto nella soluzione, quanto nella scoperta di un
problema, da allora divenuto virulento e infiltratosi in lungo e in largo
nell’immagine di sé dell’uomo. Si
tratta del problema di un allontanamento della soggettività.
Sauvanet, Pierre
L’insu
Ed. du Cavalier vert, maggio 1993
pp.240, F 120
”Ogni inizio era una maturazione clandestina.” Così comincia l’analisi clandestina della non-coscienza. Un nuovo sguardo filosofico sul concetto di
inconscio.
Schmitz, Hermann
Die Liebe
Bouvier, marzo-aprile 1993
pp.222, DM 58
L’amore viene definito da Schmitz
alla luce della sua nuova fenomenologia come situazione comune colma
di un’atmosfera che come sensazione
è una forma centrata nell’ambito poetico e (eventualmente) un punto di
ancoraggio e che si avverte nello stupore amoroso-affettivo.
Saviani, Lucio
Voci di confine.
Il limitee la scrittura
Ripostes, giugno 1993
pp.129, L. 15.000
Intorno al concetto di limite, come
paradossale “non luogo” del pensiero
che però scuote il pensiero stesso costringendolo ad interrogarsi su di esso,
l’Autore propone una suggestiva riflessione che si attesta “al limite” tra
interrogazione filosofica e letteratura,
servendosi di una scrittura mobile ed
avvolgente che rispecchia fino in fondo l’ampiezza semantica del tema.
Russ, Jaqueline (a cura di)
Histoire de la philosophie 1: Les pensées fondatrices
Armand Colin, aprile 1993
pp.192, F 69
Il volume tratta la filosofia antica e
medievale in tre ambiti: il pensiero
occidentale, l’Islam, il pensiero
orientale.
Schaal, Jean-François
Les corps: cours préparation HEC
Ellipses-Marketing, maggio 1993
pp.190, F 95
Da Spinoza a Merleau-Ponty, le diverse analisi del corpo. Uno studio
del tema in vista della prova di cultura
e di scienze umane dei concorsi HEC.
Saint-Girons, Baldine
Schelling, F.W.J.
System
of transcendental idealism
Schopenhauer, Arthur
Aforismi per una vita saggia
Rizzoli, giugno 1993
pp.288, L. 12.000
Un trattato su come percorrere lo scosceso sentiero della vita senza fare
troppe cadute e senza sprecare il proprio tempo per le cose futili.
Schröder, Winfried (a cura di)
Anonymus:
Traktat über die drei Betrüger.
Traité des trois imposteurs
Meiner, marzo-aprile 1993
pp.168, DM 68
Il leggendario trattato sui tre impostori (Mosè, Gesù e Maometto) va
annoverato fra i testi chiave più im-
78
portanti dell’illuminismo francese. Lo
scritto segna il passaggio dalla critica
razionale alla religione al successivo
ateismo nella filosofia dell’epoca
moderna.
Schultess, Peter
Am Ende Vernunft-Vernunft
am Ende?
Die Frage nach dem “logos”
bei Platon und Wittgenstein
Academia-Vlg., marzo-aprile 1993
pp.159, DM 29,50
Seebass, Gottfried
Wollen
Klostermann, marzo-aprile 1993
pp.380, DM 98
Il libro costituisce la prima parte di un
più ampio progetto filosofico di ricerca sul concetto di “responsabilità giuridica”, pensato metaeticamente, che
dovrebbe offrire un parametro di giudizio per determinate idee di “responsabilità” morale o di diritto.
Shaftesbury, Anthony Ashley
Cooper (comte de)
Exercises
Trad. di L. Jaffro
Aubier, marzo 1993
pp.480, F 290
Questi Esercizi sono concepiti come
un’opera privata che non si preoccupa di fornire una dottrina, ma di esercitare il suo autore, uno dei più grandi
moralisti inglesi del XVII secolo.
Questa tecnica di sé consiste nel disfarsi del perturbamento delle passioni così da stabilire in se stessi, per
mezzo di una disciplina della rappresentazioni, un’affezione naturale.
Shankman, A.
Aristotle’s “De insomniis”:
A commentary
E. J. Brill, marzo 1993
pp.160, £ 4,95
Un commento al testo del trattato sul
sogno di Aristotele. L’autore tratta
riga per riga le specifriche questione
esegetiche e filosofiche sollevate dallo scritto e mette in relazione l’analisi
del sogno di Aristotele con la sua
teoria della percezione e dell’immaginazione e con la sua filosofia della
mente.
Singer, Peter
A companion to ethics
Blackwell, marzo-aprile 1993
pp.560, £ 16
Un volume di saggi di alcuni dei più
insigni filosofi, che passa in rassegna
tutto il campo dell’etica dalle sue
origini, attraverso le grandi tradizioni
etiche fino alle teorie che ci dicono
come dovremmo vivere, sviluppando
specifiche questioni etiche e discutendo la natura dell’etica stessa.
Singer, Peter - Kuhse, Helga
Buckle, Stephen - Dawson, Karen
Kasimba, Pascal
Embryo experimentation
Cambridge Univ., marzo 1993
pp.279, £ 11,95
Gli sviluppi sulla tecnologia riproduttiva sono stati nuovi fin dalla nascita del primo bambino fecondato in
provetta, nel 1978. Ma, si chiede que-
NOVITÀ IN LIBRERIA
sto libro, la sperimentazione sull’embrione è eticamente accettabile? Qual
è lo status morale dell’embrione umano? E come dovrebbe affrontare la
questione una società democratica?
Skorupski, John
Knowles, Dudley
(a cura di)
Virtue and taste: Essays on
politics, ethics and aesthetics
Blackwell, maggio 1993
pp.256, UK £ 45
Il volume contiene due dei saggi di
Flint Schier sulla rappresentazione
nell’arte e nella libertà, pubblicati per
la prima volta. Del libro fanno parte
anche contributi di amici e colleghi
impegnati su questi temi, come quello di Malcolm Budd sul modo in cui
osserviamo le immagini e quello di
Peter Lamarque sui romanzi.
Solomon, Robert C.
Higgins, Kathleen (a cura di)
From Africa to Zen:
Invitation to world philosophy
Rowman & Littlefield, marzo 1993
pp.360, £ 24,95
Questa raccolta si propone di fornire
un’introduzione ad alcuni grandi e
spesso trascurate tradizioni filosofiche mondiali. Mentre alcuni paesi hanno lunghe tradizioni filosofiche scritte, in altri la filosofia è affidata alla
poesia, alla mitologia e ai racconti
popolari.
Sondag, Gérard (a cura di)
Duns Scot: Le principe
d’individuation
Vrin, aprile 1993
pp.217, F 158
Il testo qui proposto si interroga su
cosa sia che fa di un individuo ciò che
egli è. Né la materia, in opposizione
alla forma, né il numero, né il legame
ne spiegano la singolarità. Con questa
teoria egli si oppone a san Tommaso
sul problema dell’individualità.
Sorman, Guy
Denker unserer Zeit.
28. Gespräche mit I. Berlin,
B. Bettelheim, M. Djilas
E. Gombrich, Fr. von Hayek,
C. Lévi-Strauss, O. Paz,
K. Popper, E. Teller e altri
List, marzo-aprile 1993
pp.448, DM 44
Sosa, Ernest - Tooley, Michael
(a cura di)
Causation
Oxford Univ., marzo 1993
pp.264, £ 8,95
Il volume presenta una selezione dei
più influenti dibattiti recenti sulla fondamentale questione metafisica: Com’è possibile che un evento ne causi
un altro? L’argomento della causazione conduce a molti altri, quali il
tempo, la spiegazione, gli stati mentali, le leggi di natura e la filosofia
della scienza.
Spangler, Mary Michael
An aristotelian approach
University Press of America,
maggio 1993
pp.284, UK £ 25,50
Il testo si basa sui modelli naturali del
pensiero umano così come vengono
analizzati nella logica formale di Aristotele. In esso vengono presentate
soltanto le regole basilari necessarie
alla definizione, al giudizio e al ragionamento. L’autrice delinea una propria presentazione e fornisce esempi
familiari.
Stanley, Liz - Wise, Audrey
Breaking out again:
Feminist ontology and epistemology
Routledge, marzo 1993
pp.256, £ 10,99
In questa nuova edizione, le autrici
trattano la precedente accoglienza
del libro in termini di femminismo
accademico, rivisitando gli sviluppi del pensiero femminista nell’ambito della ricerca. Dopo di che passano a esaminare il modo in cui
conosciamo e costruiamo il mondo
basato su differenti etiche, storie,
razze e sessualità.
idee filosofiche e cosmologiche. Inserendole nell’ampio contesto della
filosofia, della matematica e della
cultura greca, Taub cerca di fornire
un quadro della natura del pensiero
scientifico greco.
Stein, Edith
La ricerca della verità
Città Nuova, giugno 1993
pp.256, L. 23.000
Il volume raccoglie scritti di Edith
Stein dal 1924 al 1937 in versione
integrale, concernenti il suo passaggio dalla fenomenologia alla filosofia
cristiana e quindi le sue prese di posizioni nei confronti di Husserl, Heidegger e Conrad-Martius.
Terricabras, J. M. (a cura di)
A Wittgenstein Symposium.
Girona, 1989
Edit.Rodopi, marzo-aprile 1993
pp.150, Dfl 45
Il centenario della nascita di Ludwig
Wittgenstein (1889-1951) ha offerto
l’occasione di recuperare alcuni dei
grandi soggetti wittgensteiniani. Il
presente volume è il risultato degli
scambi che hanno avuto luogo a Girona (Spagna) fra i più noti studiosi
dell’opera di Wittgenstein nei vari
paesi.
Swinburne, Richard
The coherence of theism:
Vol. 1
Clarendon, marzo 1993
pp.312, £ 13,95
Questa edizione riveduta del primo
volume di unatrilogia sulla filosofia
della religione è un’indagine di ciò
che significa, e della sua coerenza,
dire che c’è un Dio. L’autore conclude che, a dispetto delle obiezioni filosofiche, le affermazioni che i fedeli
fanno a proposito di Dio sono generalmentecoerenti.
Stäblein, R. (a cura di)
Moral
Elster, marzo-aprile 1993
pp.200, DM 30
Paul Virilio, Jean Baudrillard, Thomas H. Macho, Mona Singer, Uwe
Wesel e altri ancora aprono in questo
libro un dibattito internazionale sulle
possibilità della morale oggi.
Taub, Liba Chaia
Ptolemy’s universe:
The natural philosophical
and ethical foundations
of Ptolemy’s astronomy
Open Court Publishing Company
marzo 1993
pp.208, £ 13,50
Molto si è scritto sull’opera matematica di Tolomeo, ma ancora pochi
sono i tetativi di accostarsi alle sue
Stachowiak, H. (a cura di)
Sprachphilosophie,
Sprachpragmatik
und formative Pragmatik
Meiner, marzo-aprile 1993
pp.600, DM 278
Tenenbaum, K. - Vinci, P.
Filosofia e ebraismo
Giuntina, giugno 1993
pp.150, L. 28.000
Una scelta di pensatori che hanno
avuto un ruolo significativo nella cultura moderna interrogati a partire dalla loro specificità ebraica.
Tiles, Mary - Tiles, Jim
An introduction to historical
epistemology: The authority
of knowledge
Blackwell, maggio 1993
pp.240, UK £ 13,99
Il libro introduce le questioni epistemologiche, nella loro complessità storica esaminando il catalogo di Francis Bacon delle false fonti di autorità
epistemica, i quattro idola. I vari capitoli mettono in relazione la conoscenza con il linguaggio, la speculazione, la percezione e le formazioni
sociali.
Tommasi, Wanda
Simone Weil: Segni, idoli
e simboli
✂
Osservazioni ……………………………………………………………………
Ritagliare e spedire
in busta chiusa a:
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
Coop. Edinform,
Informazione e Cultura,
Viale Montenero,68
20135 Milano
…………………………………………………………………………………
Suggerimenti
………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
79
NOVITÀ IN LIBRERIA
FrancoAngeli, giugno 1993
pp.240, L. 34.000
Il pensiero di Simone Weil è analizzato nel libro a partire da un tema
insistentemente presente nei Quaderni, quello dell’immaginazione.
Vattimo, Gianni
The adventure of difference.
Philosophy after Nietzsche
and Heidegger
Polity, marzo-aprile 1993
pp.220, £ 35
Come si deve concepire il ragionamento umano in mancanza di punti di
vista privilegiati? Attingendo all’opera di Nietzsche e Heidegger, Vattimo
propone una concezione del pensiero
basata sulla “differenza”, una differenza che ammetta la frammentazione
del sapere e rinunci alla ricerca della
totalità.
Vergotte, Henri-Bernard
Lectures philosophiques de
Soren Kierkegaard: Kierkegaard
chez ses contemporains danois
PUF, aprile 1993
pp.352, F 265
Il libro restituisce il pensiero di Kierkegaard e soprattutto la sua critica a
Hegel in rapporto al contesto concreto
dei dibattiti teologico-filosofici in seno
al pensiero danese del XIX secolo.
Völkner, Peter
Derrida und Husserl.
Zur Dekonstruktion
einer Philosophie der Präsenz
Passagen, marzo-aprile 1993
pp.144, DM 32,80
Voss, Stephen (a cura di)
Essays on the philosophy
and science of Rene Descartes
Oxford Univ., aprile 1993
pp.336, UK £ 15
I presenti saggi di importanti studiosi
di Descartes, mai pubblicatiprima d’ora
in inglese, rappresentano una panoramica della ricerca contemporanea sulla filosofia e sulla scienza di Cartesio.
Walls, Jerry L.
Hell: The logic of damnation
University of Notre Dame
aprile 1993
pp.182, UK £ 11,50
Walls mira a dimostrare che alcune
visioni tradizionale dell’inferno sono
ancora difendibili e credibili con integrità intellettuale e morale. Centrato
su questioni dal punto di vista della
teologia filosofica, egli esplora la
dottrina dell’inferno in relazione alla
natura divina e a quella umana.
Weinsheimer, Joel C.
Eighteenth-century
hermeneutics: Philosophy
of interpretation in England
from Locke to Burke
Yale University, aprile 1993
UK £ 25 - $ 35
Il libro si rivolge alle questioni ermeneutiche nell’interpretazione britannica scritturale, legale, storica, politica e letteraria. Esaminando l’opera di
Swift, Locke, Toland e altri, il volume discute i problemi di comprensione, concentrandosi sulle loro teorie
sull’applicazione del gusto per distinguere la verità.
Wetzel, M. - Rabaté, J.-M.
(a cura di)
Ethik der Gabe.
Denken nach Jacques Derrida
Akad.-Vlg., marzo-aprile 1993
pp.368, DM 48
White, Peter A.
Psychological metaphysics
Routledge, marzo 1993
pp.272, £ 40
Esplorazione delle premesse più fondamentali e importanti della costruzione psicologica della realtà, il testo
ipotizza che la gente sostanzialmente
pensi la causazione in termini di forze
delle cose stabili e specifiche, che
operano proucendo effetti in condizioni affidabili.
Wilhelm, K. (a cura di)
Utopie heute? Ende
eines menschheitsgeschichtlichen
Topos
Passagen, marzo-aprile 1993
pp.152, DM 29,80
Wollheim, Richard
The mind and its depths
Harvard Univ., maggio 1993
pp.224, UK £ 19,95
Il libro unisce l’interesse di Wollheim per il pensiero umano illuminato
alle sue più recenti conquiste sull’introspezione e l’espressione. Uno dei
temi centrali è l’importanza della psicoanalisi per il dibattito filosofico.
Wollhein estrapola la tesi della “corporalizzazione del pensiero” dagli
scritti di Freud.
Wooton, David (a cura di)
John Locke: Political writings
Penguin Book, maggio 1993
pp.496, UK £ 7,99
Una raccolta dei più importanti scritti
politici di Locke, che ebbero grande
impatto sui cromwelliani e che dopo
la Restaurazione posero le basi per il
liberalismo moderno.
Wormald, B.H.G.
Francis Bacon: History, politics
and science 1561-1626
Cambridge Univ., aprile 1993
pp.250, UK £ 45
Sottolineando l’ispirazione costituita
dalla storia per lo studio di Francis
Bacon della scienza naturale, B. H. G.
Wormal fornisce una fondamentale
rivalutazione di una delle figure più
complesse e innovative della tarda età
elisabettiane e di quella giacobina.
Wunenburger, Jean-Jacques
Questions d’éthique
PUF, aprile 1993
pp.416, F 98
Otto lezioni destinate a familiarizzare lo studente di filosofia con i concetti chiave delle differenti interpretazioni della vita morale: il senso
morale, la rappresentazione del bene,
il compimento etico, il vissuto morale, i fini morali, la comunità morale, il
valore della giustizia, i dibattiti contemporanei.
✂
ome e cognome ………………………………………………………………
ndirizzo ………………………………………………………………………
………………………………………………………………………
elefono ………………………………………………………………………
omputer usato
❏ IBM-Compatibile
❏ Macintosh
❏ Ms-Dos ❏ Windows
❏ System 6.x ❏ System 7.x
❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD
uono di prenotazione
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/
Windows
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh
al prezzo scontato di £ 120.000 (iva esclusa)*
80 verranno indicate in seguito
*le modalità di pagamento
Yandell, Keith E. (a cura di)
The epistemology of religious
experience
Cambridge Univ., aprile 1993
pp.432, UK £ 35
Il libro affronta una questione fondamentale della filosofia della religione. Può l’esperienza religiosa fornire
una prova della fede religiosa? E se è
così, in che modo? L’autore sostiene
che l’esperienza religiosa non è ineffabile e difende l’idea che una forte
esperienza divina fornisca una prova
dell’esistenza di Dio.
Yolton, John
Locke and the way of ideas
[1956]
Thoemmes, marzo 1993
pp.248, £ 15,99
L’autore esamina l’accoglienza e la
conseguente influenza nel XVIII secolo del “Saggio sull’intelletto umano” di Locke, che come rimarca più
volte ha segnato l’inizio della grande
tradizione empirica nella filosofia
britannica.
Yolton, John
A Locke dictionary
Blackwell, aprile 1993
pp.224, UK £ 14,99
Il testo presenta e spiega le parole e i
concetti chiave del pensiero e dell’opera di Locke. Oltre 130 voci, che
comprendono un resoconto dei suoi
molti libri, la sua posizione nelle scienze e nella religione e i suoi scritti
sull’educazione, la teologia e l’economia.
Zaccaria, Gino
L’etica originaria.
Hölderlin, Heidegger
e il linguaggio
EGEA, giugno 1993
pp.324, L. 35.000
Che ne è di ciò che permane al fondo
dell’etica metafisica, di ogni etica
metafisica? Che ne è dell’essenza
originaria dell’etico? Sono queste le
domande che provocano e reggono il
cammino qui tentato.
Zwierlein, E. (a cura di)
Gen-Ethik. Zur ethischen
Herausforderung durch
die Humangenetik
Schulz-Kirchner, marzo 1993
pp.104, DM 22
Ritagliare e spedire
in busta chiusa a:
Coop. Edinform,
Informazione e Cultura,
Viale Montenero,68
20135 Milano