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A differenza di quanto si può osservare in altre regioni dell'Italia meridionale, però, per tutto il VI sec. le popolazioni messapiche non condividono la pratica di arricchire con numerosi vasi di importazione i corredi funerari. Un significativo esempio della complessità sottesa ai rapporti greci-indigeni è proprio da vedersi nell'ambito delle pratiche funerarie: allo stato attuale delle conoscenze, le più antiche 'tombe messapiche' (a parte gli enchytrismoi, che significativamente continuano fino all'epoca romana) appaiono attestate, peraltro in numero assai limitato, intorno al 600 a.C., se non agli inizi del VI secolo a.C., nell'area settentrionale e 'istmica' della Messapia. Nella prima metà del VI sec. a.C. appaiono databili le più antiche tombe rinvenute a Manduria, e verso la metà del secolo le più antiche di Rudiae e Cavallino. Al pieno VI sec. a.C.
si datano le più antiche tombe 'note' di Alezio e verso la fine del VI (o
agli inizi del V) quelle di Ugento e Vaste. Dai dati appena richiamati
emerge un esempio possibilmente significante di 'diffusione' nell'area
messapica dell'uso di seppellire gli adulti in 'tombe' a partire dall'area
più settentrionale verso il 600 a.C. fino a quella più 'meridionale' entro
il 500 ca. a.C,.
Questo esempio distributivo di per sé sembrerebbe indiziare l'emergere e diffondersi nel mondo messapico, nel corso del VI sec. a.C., di significative dinamiche di trasformazione socio-culturale, con l'introduzione e diffusione di 'nuovi' rituali funerari. Dinamiche, in cui un ruolo
notevole parrebbe attribuibile a fenomeni 'acculturativi' greco-messapici, cioè di trasformazione delle realtà socio-culturali indigene innescati
dal contatto coi Greci.
Dal punto di vista della tipologia è interessante rilevare che, mentre
nelle aree contigue, come la Peucezia, il rituale della deposizione vede
costantemente la posizione rannicchiata del cadavere, in Messapia già
tra le più antiche sepolture si riscontrano casi di deposizione in posizione supina, che poi diventano sempre più frequenti. Per capire il significato di questo aspetto peculiare della civiltà messapica, occorre operare
delle quantificazioni distributive del fenomeno. Si parla di deposizioni e
non di tombe, perché un ulteriore aspetto di notevole rilievo delle evidenze funerarie e necropoliche del mondo messapico consiste nel cospicuo fenomeno del riutilizzo della stessa tomba per deposizioni successive, con accantonamento dei resti antropologici e di corredo di quelle precedenti entro la tomba stessa o all'esterno di essa. Interessante è anche
la problematica relativa alla dislocazione delle tombe rispetto agli spazi
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I Messapì nel basso Salento: fonti letterarie ed archeologiche
funzionali di abitato: anche
qui possiamo intravedere,
già per il VI secolo fenomeni significativi di distribuzione spaziale delle
tombe in rapporto agli abitati. Dove è individuabile
l'esistenza di forme di delimitazione del centro abitato, le tombe appaiono ad
es. distribuite sia all'interno che all'esterno dell'area
insediativa. 44
Proprio per meglio intendere l'apporto del mondo greco allo sviluppo del
mondo messapico nel periodo arcaico e classico è
necessario soffermarci sull'importante scoperta della
statua bronzea di Ugento. 45
Se vogliamo proporre una
ipotesi di ricostruzione del
contesto cultuale in cui era Fig. 3: Lo Zeus di Ugento.
collocata la statua di Zeus
dobbiamo mettere insieme
informazioni provenienti da altri ritrovamenti in Messapia. Certamente
l'immagine divina non era custodita m un tempio simile agli edifici greci; bisogna invece pensare ad un recinto in blocchi squadrati in cui si
svolgevano le pratiche del culto. La presenza di stele e cippi caratterizza peraltro altri luoghi di culto in Messapia e sembra richiamare la vicenda che riguarda i delitti compiuti dai Tarantini nella città messapica
di Carbina. Secondo la tradizione riferita da Clearco, e risalente forse ad
Antioco, i guerrieri tarantini resisi colpevoli di sacrilega hybris in occa-
44
45
Lombardo 1994, pp. 30-33.
Dell'Aglio 2002, pp. 36-41.
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sione della conquista della città iapigio-messapica di Carbina, dove avevano recato oltraggio a donne e fanciulli nei templi dei Carbinati, sarebbero stati per ciò puniti dalla divinità, che avrebbe negato loro il ritorno
a casa annientandoli con la folgore. "E ancora oggi a Taranto, ogni casa
ha dinanzi alle porte un numero di stele pari a quello dei membri della
spedizione in Iapigia che avevano abitato in essa; su queste stele, nell'anniversario del loro annientamento, non piangono gli scomparsi né
versano libagioni di rito, ma sacrificano a Zeus Kataibates" 46 .
Tale tradizione appare interessante perché riguarda le peculiari pratiche funerario-cultuali attribuite ai Tarantini, con i sacrifici allo Zeus Kataibates collegati a 'monumenti funerari' così particolari come le stele
erette dinanzi alle porte delle abitazioni. E' da sottolineare la centralità
della tradizione sostitutiva e simbolica delle stele, non segnacoli di vere
e proprie tombe, ma sostituti simbolici delle tombe stesse, in perfetta coerenza con le valenze trasfiguranti ed eroicizzanti del fulmine in quanto
concreto manifestarsi dello Zeus Kataibates. Ed è forse proprio nelle loro valenze di 'rappresentanti simbolici' di defunti che hanno fatto esperienza di trasfigurazione eroica attraverso il fulmine, che le stele non sono oggetto delle lamentazioni e libagioni rituali riservate ai defunti, ma
piuttosto di pratiche 'cultuali' per Zeus Kataibates. 47 La statua ugentina
suggerisce così numerosi collegamenti sul ruolo che Zis aveva nella religione messapica, e sulle strutture cultuali che nel Salento arcaico si apprestavano per venerare questa divinità. 48
La fondazione della colonia tarantina segnò, però, a lungo andare, l'inizio di un crescente antagonismo tra i nuovi arrivati e gli indigeni: dopo una prima fase di pacifici contatti sorvegliati, cominciarono le scaramucce di confine e le scorribande improvvise; gli scontri cruenti si ebbero alla fine del VI e nel V sec.. I motivi di fondo di queste continue
razzie tarantine in terra iapigia e degli scontri che ne derivarono non sono attestati con sicurezza, ma sono comunque più o meno facilmente intuibili: si è trattato di bisogno tarantino di allargare e consolidare la propria x66pa, o di tendenza egemonica di Taranto, o di esigenza di cercarsi manodopera servile, o, forse, un po' di tutte queste cose insieme. Sta
CLEARCH., fr. 48 Wehrli, apud ATHEN., Deipn., XII, 522 D-F.
47 Lombardo 1994, p. 35.
48 D'Andria 2002a, pp. 52-54.
46
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di fatto che le discordie qua e là affiorate sfociarono nello scontro del
473-472 a.C., che provocò nel 471 a.C. la più grande strage di greci che
Erodoto conosca. 49 Lo scontro vide di fronte le alleate Taranto e Reggio
da una parte e dall'altra l'intero popolo degli Iapigi unito nel momento
del bisogno da una specie di organismo federativo in seno al quale Taranto tenterà di insediarsi come cuneo disgregatore, chiuso in un rigido
sistema difensivo 50 . Dopo questa esplosione di violenza, Taranto dové
conseguire qualche altra vittoria 51 , ma riuscì ad ottenere al massimo un
maggiore influsso sulle zone della Puglia settentrionale.
Questo clima si riflette nello spegnersi improvviso, nel mondo messapico, di quei fenomeni di più incisiva trasformazione, segnata dal contatto con i Greci, che avevano caratterizzato la seconda metà del VI sec.
a.C.. In diversi contesti archeologici della Messapia si registra una netta
diminuzione o una interruzione delle fasi di occupazione.
Gli scarsi indizi relativi agli insediamenti del V sec. a.C. portano ad
ipotizzare un esteso ritorno ad esperienze di abitato fortemente disperso
nel territorio in cui alcune zone, in genere poste ad una quota più alta rispetto alle aree circostanti e già frequentate nelle fasi precedenti, svolgono la funzione di punto di riferimento delle popolazioni sparse, con
valenze politiche e religiose. 52
Maggiori attestazioni sono fornite dalle necropoli, dove sembra persistere un carattere di continuità con i sistemi che per il secolo precedente vengono interpretati come segno di estesi processi di "ellenizzazione" della società messapica, ma che appaiono ora piuttosto come
aspetti "residuali" di situazioni precedenti ormai radicate nel mondo indigeno. 53
L'orientamento del mondo messapico verso Atene è confermato anche dalle tradizioni su Teseo a Brindisi e dalla testimonianza di Tucidide 54 sulla spedizione ateniese del 413, in cui il dinasta messapico Artas
HDT. VII, 170. Palumbo 1986, pp. 17-19.
50 Ci riferisce Novembre 1971, p. 43, che il sistema difensivo messapico è stato comunemente indicato nella distribuzione strategica di torri di fortificazioni e vedetta (specchie) in connessione con poderose muraglie (Paretoni)
51 Vedi PAUS. X, 10, 6 e X, 13, 10.
52 D'Andria 1992, p. 118.
53 D'Andria 1991, p. 439-441.
54 THUC. VII, 33, 4.
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fornì 150 akontistai (lanciatori di giavellotto), rinnovando un antico patto di amicizia con gli Ateniesi.
Un fondamentale punto fermo nella storia dei Messapi è, infatti, costituito dal giugno del 413 a.C.: è in gioco il trattato riferito ad una presunta alleanza tra la grande Atene e i Messapi. Due sono le fonti quasi
coeve dell'antichità in merito al fatto in questione, Tucidide e Demetrio
Commediografo. 55 Cosimo Pagliara riferisce che gli strateghi ateniesi
Demostene ed Eurimedonte si muovono a capo della flotta ateniese da
Corcira alla volta della Sicilia, per portare aiuto al corpo di spedizione
da tempo lì inviato con l'obiettivo di occupare la città ribelle di Siracusa. Intanto è da precisare che due anni prima, nel 415 a.C., sempre secondo il racconto di Tucidide, al passaggio del grosso della flotta ateniese diretta in Sicilia, Taranto e Locri addirittura avevano proibito alla
flotta di avvicinarsi alle loro coste per il normale rifornimento di acqua
potabile. Di qui il primo dato inconfutabile: in una situazione di estrema
ostilità di Taranto nei confronti di Atene, i due strateghi con la loro flotta approdarono al Promontorio Iapigio; è evidente che gli Ateniesi si erano già procurato "l'appoggio della città messapica che controllava proprio il primo approdo sulla costa italiana per chi provenisse da Corcira,
cioè di Baptc (Veretum), che possedeva un porto Oepivoc ricco di acqua
sorgiva nell'odierna cala di S. Gregorio, che si incontra appena doppiato il Capo di S. Maria di Leuca. Da lì si mossero all'approdo successivo,
le isole xotpabEc".
A questo punto si innesta un altro annoso problema di interpretazione: tradizionalmente tutti i traduttori e i commentatori di Tucidide hanno individuato queste isole nelle Cheradi, cioè le isole di S. Pietro e di
S. Paolo nella rada di Taranto. Ciò, invece, non è possibile: basti pensare all'atteggiamento ostile di Taranto, città che non avrebbe mai consentito uno sbarco della flotta ateniese nel proprio porto. Quindi dovette
trattarsi di altre isole: "Lungo la costa salentina, da Leuca fino a Taranto, le uniche isole degne di tal nome sono quelle di S. Andrea e Gallipoli; ... A breve distanza dalla costa, sulle prime colline che la dominano,
sorgeva l'antico centro messapico noto poi con il nome latino di Aletium
che dovette avere il suo sbocco a mare, proprio nei pressi delle isole co-
55
Commediografo 1888, p. 795.
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stiere ... Queste affiorano lunghe basse e rocciose, così da giustificare il
nome che ricevettero dai naviganti greci" 56 .
Da tale assunto seguono conseguenze che scardinano antichi schemi:
innanzitutto Arta, leggendario re messapico, diventerebbe re di Aletium
e non di Oria come vuole tanta tradizione; in secondo luogo non si tratterebbe di un vero e proprio re, bensì di un capo. Arta, infatti, viene definito da Tucidide 8uvao Tric, termine usato questa sola volta nell'intera
opera dello storico: prova evidente dello sforzo compiuto da questo per
ricercare la definizione più appropriata alla figura e al ruolo svolto da
questo condottiero messapico. Bisogna, inoltre, precisare che il rapporto
stabilitosi tra il re messapico Arta e gli strateghi ateniesi rivestiva un carattere privato e personale, nel senso che si trattò di un'amicizia tra persone investite in quel momento di gravi responsabilità, non di un'alleanza formale tra Stati.
-
4. Superato il momento di crisi del V sec. a.C., che continua in parte nella prima metà del IV sec. a.C., i segni di una rapida ed intensa trasformazione si possono individuare invece nella seconda metà del IV
sec. a.C., quando la Messapia conosce una crescita complessiva dei suoi
sistemi insediativi, certamente da collegare ad uno sviluppo demografico, dovuto all'acquisizione ed alla circolazione di tecniche di sfruttamento agricolo più evolute ed alla circolazione di risorse. Un evidente
surplus agricolo porta ad un incremento degli scambi; cresce in modo
esponenziale la presenza di anfore commerciali; negli insediamenti si
sviluppano le attività artigianali, dalla estrazione della pietra, per gli impegnativi programmi costruttivi, alla produzione di ceramica, che tende
ad uniformarsi alle tecniche ed alle fogge decorative italiote, in particolare tarantine.
Durante questo stesso periodo, però, la presenza di Roma nell'area pugliese si andò intensificando, all'interno dei complessi e difficili rapporti
che si erano stabiliti tra i Greci di Taranto, gli indigeni apuli e le tribù italiche dei Sanniti che esercitavano una forte pressione dalle montagne appenniniche. Questi fattori provocarono la crisi del primato di Taranto, che
mentre tentava invano di rafforzare il blocco delle altre città italiote, era
costretta a ricorrere all'aiuto di potenze straniere, che organizzarono una
serie di spedizioni guidate dai re spartani e da quelli dell'Epiro.
56 pagliara
1971, pp. 33-51.
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Il primo a raggiungere la nostra terra fu nel 342 a.C. Archidamo, figlio di Agesilao, che, partito alla volta dell'Italia per proteggere l'antica
colonia di Sparta, morì dopo due anni combattendo contro i Lucani. Pochissimi anni dopo, intorno al 335 a.C., è la volta di Alessandro il Molosso, re dell'Epiro: egli fu chiamato in Italia dai Tarantini che si trovavano in difficoltà alle prese con i confinanti Messapi e Lucani. Egli morì nel 331 a.C. ucciso da un traditore senza che il suo obiettivo fosse raggiunto e senza che Taranto avesse risolto i suoi problemi. Meno di un
trentennio dopo si svolse l'avventura di Cleonimo, altro principe spartano che nel 303 mette insieme una grande flotta con 20.000 uomini quasi tutti mercenari e parte per la Sicilia a combattere contro Agatocle tiranno dell'isola e ribelle alla volontà di Sparta. Poiché Cleonimo sceglie
il Salento come base per le proprie operazioni contro la Sicilia, inevitabilmente entra in guerra anche contro Taranto: di qui l'alleanza tra Agatocle e Taranto contro il principe spartano, il quale da Corcira piomba
sulla parte orientale della penisola salentina, prende Thuriae e la saccheggia. Roma interviene subito ed è scacco per Cleonimo che, sconfitto a Turi nel 302, è costretto a cercare fortuna altrove.
Conseguenza di questo stato di cose è da considerare l'apparizione,
nel paesaggio messapico, delle grandi cinte murarie che includono l'abitato: il territorio viene capillarmente organizzato in unità cantonali aggregate intorno a centri dominanti la cui superficie racchiusa dalle fortificazioni supera i 100 ettari; intorno si sviluppano città di medie dimensioni ed infine gli impianti minori, a volte meno di un ettaro, legati allo
sfruttamento agricolo intensivo del territorio, le fattorie isolate e le torri
di avvistamento e di difesa. Ai centri maggiori interni corrispondono gli
impianti portuali sulle coste ionica ed adriatica, che pure appaiono dotati di ampie cinte fortificate. Solo di recente si comincia a comprendere
l'organizzazione urbanistica delle città messapiche di età ellenistica che
generalmente si articolano intorno a percorsi stradali privi della rigida
ortogonalità degli insediamenti greci, ma appaiono modellati in modo
più armonico con la morfologia del terreno e i caratteri del paesaggio circostante. Hanno in genere una cinta interna che racchiude il nucleo più
antico dell'abitato oltre che la residenza dei ceti dominanti. Il calcolo
della superficie racchiusa dalle cinte murarie può costituire un indice significativo di valutazione del ruolo svolto dai singoli centri all'interno
del tessuto insediati vo messapico.
Uno dei centri maggiori sembra essere Muro Leccese dove vi sono i
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resti della possente cerchia muraria, la cui struttura appare particolarmente interessante nel fatto che non c'è un emplecton di terra o pietrame, ma presenza di blocchi squadrati su tutta la lunghezza, disposti su
tre file. Questo tipo di muratura è piuttosto raro nell'elevato delle mura.
Diverso appare il discorso per l'altro grande centro, Ugento: infatti,
le mura hanno uno spessore di 6-7 metri e sono per la più costituite da
due paramenti realizzati da uno o due filari di grandi blocchi paralleli di
calcare locale, con emplekton formato da pietre e terra. Verosimilmente
intorno a tutto il tracciato delle mura, all'esterno si trovava un fossato largo 6-8 metri, oggi per lo più interrato: tale fossato, oltre a potenziare l'efficienza del sistema difensivo, venne sicuramente utilizzato anche come
cava da cui estrarre i blocchi impiegati per la costruzione delle mura.
Il sistema di questi centri si integra con gli approdi portuali che pure
appaiono dotati di grandi fortificazioni e che erano fondaci in cui nuclei
di mercanti greci dovevano essere insediati e dove il greco era parlato e
compreso come lingua franca anche dagli indigeni. 57 Anche la monetazione ad Ugento appare di chiara ispirazione greca.
Per quanto riguarda gli insediamenti posti sulla costa adriatica, il solo centro oggetto di un'analisi sistematica che permette di avviare lo studio sull'organizzazione dello spazio urbano in Messapia, risulta quello
di Vaste, in cui l'andamento delle mura definisce una pianta irregolare di
forma ovale, che induce a fare delle osservazioni sul fatto che queste cinte fortificate seguano un percorso non direttamente e non soltanto condizionato da fattori poliorcetici. Le fortificazioni corrono per chilometri
nel territorio e sembrano pietrificare e rendere visibili i limiti di uno spazio insediativo che si erano andati fissando nei secoli precedenti.
Strettamente legato a Vaste fu l'approdo di Otranto, il quale tra il IV
e il III sec. a.C. fu circondato da fortificazioni che racchiudevano un'area di circa 50 ettari. Dello spessore di cinque metri realizzata come un
enorme muro a secco, la cinta appariva rivestita all'esterno da blocchi
squadrati, disposti in una struttura isodomica con coronamento a merli
rettangolari, come nelle fortificazioni greche. Verso l'approdo orientale
si apriva una porta urbica: questa immetteva su una strada pavimentata
con pietre e ghiaia di calcare che portava ad una breve spiaggetta sabbiosa che costituiva l'approdo. Ai lati del percorso erano disposti bassi
57
D'Andria 2002b, pp. 7-9.
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