SIMON BOCCANEGRA di Giuseppe Verdi Melodramma in un prologo e tre atti. Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave, è tratto dal dramma Simón Bocanegra dello spagnolo Antonio García Gutiérrez mai pubblicato in italiano, nel quale si narra la storia di Simone Boccanegra, il corsaro genovese che nel Trecento riuscì a salire al seggio dogale grazie all'appoggio di un amico e che al termine di una vita funestata da tragici eventi – la morte della donna segretamente amata, appartenente a una famiglia patrizia e la scomparsa della figlia – morì avvelenato dallo stesso amico. La prima ebbe luogo il 12 marzo 1857 al Teatro La Fenice di Venezia. Opera della maturità verdiana, che segue la celebre “trilogia popolare”, fu in parte pregiudicata dal non felice libretto di Piave, ma le numerose pagine di grande forza drammatica che essa conteneva, spinsero Verdi, oltre vent’anni dopo a rimaneggiare profondamente la partitura su un libretto revisionato da Arrigo Boito. La nuova e definitiva versione andò in scena il 24 marzo 1881 al Teatro alla Scala di Milano con notevole successo. PERSONAGGI PRINCIPALI. Simon Boccanegra, corsaro al servizio della Repubblica genovese; Jacopo Fiesco, nobile genovese; Amelia Boccanegra, figlia di Simone; Gabriele Adorno, gentiluomo genovese; Paolo Albiani, filatore d'oro, genovese. TRAMA Genova, tra il 1339 e il 1363. Il corsaro Simon Boccanegra, viene eletto doge di Genova, grazie all’appoggio di Paolo Albani, capo del partito plebeo, mentre il ricco e potente Jacopo Fiesco, padre di Maria, una ragazza sedotta e abbandonata (e poi a suo tempo trovata morta) da Boccanegra, nutre nei confronti di costui una profonda avversione. Il doge ritrova dopo venticinque anni (in realtà uno di meno, per l’errato calcolo di Piave) la figlia Amelia che ebbe da Maria Fieschi e la destina in moglie a Gabriele. Paolo Albiani, attuale favorito del doge, al quale Amelia era stata in un primo tempo promessa, giura di vendicarsi, progettando il rapimento della giovane. Frattanto a una riunione plenaria nella Sala del Consiglio, il doge riesce con il suo prestigio a mettere ancora una volta d’accordo patrizi e plebei, e a placare la sommossa popolare. Infine, avendo intuito la colpevolezza di Paolo Albiani nel tentato rapimento di Amelia, lo costringe a maledire se stesso. Deciso a vendicarsi del doge, Paolo gli propina un veleno; poi persuade Gabriele, ignaro del vero legame esistente tra Amelia e il doge, che i sentimenti di Simone per la donna sono impuri. Gabriele tenta allora di uccidere il doge, che gli rivela la verità. Finalmente placato Gabriele si offre a sua volta come messaggero di pace per fermare i patrizi insorti. Paolo finisce sul patibolo mentre Fiesco è liberato dalla prigione. Simone, prima di spirare, si pacifica con lui e benedice le nozze di Amelia con Gabriele Adorno, che i genovesi acclamano nuovo doge.