DIALOGHI DI VITA BUONA Abbiate cura Naturale e artificiale nell

DIALOGHI DI VITA BUONA
Abbiate cura
Naturale e artificiale nell’esperienza umana
Come la Bibbia vede il corpo
Quando la Bibbia parla del corpo ci stupisce.
Almeno, io ho avuto chiaramente
sorpresa e grande interesse.
questa
impressione:
Mi piacerebbe questa sera condividerla con voi.
Vorrei farlo con semplicità, senza la pretesa di fornire troppe
spiegazioni, raccogliendo il dato in modo essenziale, quasi
disarmato, e provando così a dare una risposta alla domanda
sulla cura, che è l’oggetto del nostro confronto.
Tento di riassumere un insegnamento estremamente ricco in
quattro affermazioni sintetiche, che ricavo da quattro testi
che ascolteremo.
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1.
Prima affermazione: il corpo non è una parte di noi
separata dall’anima e a lei contrapposta.
È l’idea entrata ormai nel pensiero comune: l’anima da una
parte e il corpo dall’altra La prima nobile il secondo no; la
prima destinata all’immortalità, il secondo all’estinzione;
la prima, spirituale, protesa verso il cielo, il secondo,
materiale ancorato alla terra.
Questo dualismo, di stampo greco, nella Bibbia non trova
giustificazione.
In realtà, per la Bibbia non abbiamo un corpo, ma siamo
corpo, siamo un soggetto vivo, anzi vivente, nella interazione
tra visibile e invisibile di noi stessi, anima e corpo in costante
rapporto: mai l’una senza l’altro.
Gen 2,5-7
Fermiamoci in particolare sull’ultima frase di qeusto testo del
Libro della Genesi.
Il linguaggio biblico è suggestivo e tutto da interpretare.
Il termine “corpo” qui non c’è, ma si sta pensando a questo.
Il creatore plasma l’uomo come un vasaio plasma l’argilla. C’è
però un particolare curioso: l’uomo non è plasmato
direttamente dalla terra – e quindi dal fango come di solito si
pensa – ma dalla polvere della terra.
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Occorre rifarsi all’immagine – per noi non familiare – del
deserto roccioso. Quando spira il vento si alza dal terreno la
sabbia, che poi si disperde. Questa polvere, appunto, viene
plasmata dal Creatore per far esistere l’uomo nella sua
corporeità.
È un’azione assolutamente illogica per è noi, impossibile
anche solo da immaginare.
Un modo per alludere alla intrinseca fragilità del corpo
dell’uomo ma soprattutto per dire che solo Dio conosce che
cosa sia in verità il corpo umano.
Discreto invito rivolto agli scienziati di tutti i tempi,
affinché non cessino mai di stupirsi e non si sentano mai
padroni di ciò che è offerto alla loro conoscenza.
Quanto all’alito che raggiunge l’uomo plasmato dalla
polvere della terra, l’interpretazione non deve essere
frettolosa.
Non va identificato con l’anima distinta dal corpo.
Il termine chiave qui è “vita”. L’alito del Creatore è il
principio che rende possibile per l’uomo la vita in tutta la
sua misteriosa realtà, come partecipazione a ciò che è proprio
di Dio stesso.
L’uomo sarà dunque per grazia un “essere vivente” ma farà
di questa vita un’esperienza tutta sua, nella quale il suo
essere corpo interverrà a pieno titolo.
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2.
Seconda affermazione: il corpo dell’uomo è più del suo
fisico.
Tre parole aiutano a cogliere chiaramente il valore e la
funzione del corpo per ciascuno di noi.
• Prima parola: IDENTITA’.
La vita, quando si tratta di un soggetto umano, non è
mai generica.
Assume una forma unica, assolutamente personale,
corrispondente a ciò che tentiamo di esprimere quando
diamo alla persona un nome, o quando ognuno di noi
dice di se stesso: “Io”.
Ora, proprio il corpo interviene a identificare il
soggetto. La prova? Abbiamo solo l’imbarazzo della
scelta! Pensiamo al nostro volto, al tono della nostra
voce, al nostro modo di camminare, alla nostra
impronta digitale, alla nostra firma.
• Seconda parola: RELAZIONE.
Il nostro corpo ci permette di incontrare gli altri e di
percepire il mondo che ci circonda.
Diversamente da quanto siamo portati a pensare, il
corpo non è anzitutto l’organismo fisico ma l’insieme
dei cinque sensi con le azioni che questi ci consento: la
vista, la parola, l’udito, l’olfatto, il tatto e il movimento.
• Terza parola: ESPRESSIONE. Il corpo ci consente di
manifestare agli altri ciò che di noi non possono, la
nostra interiorità, il mondo dei nostri pensieri,
desideri, sentimenti.
Vi è un canale diretto tra anima e corpo, come
dimostrano le nostre lacrime ma anche il teatro e la
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danza. Quel che accade al mio corpo accade a me e quel
che accade a me non prescinde mai dal mio corpo.
Mc 1,42-43
Un lebbroso guarito.
Uno dei miracoli di Gesù. Forse non è una caso che la
maggior parte dei miracoli di Cristo siano stati delle
guarigioni: la malattia, ferendo il corpo, compromette
l’esperienza piena della vita, che da sempre Dio desidera
per l’uomo.
Ma anche il modo in cui Gesù guarisce ha la sua importanza.
Toccare il lebbroso è entrare in relazione con lui, è
trasmettere a lui il proprio affetto, è far sentire all’altro la
sua dignità.
Il corpo così svolge proprio il suo compito
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3.
Terza affermazione. “Noi crediamo nella resurrezione dei
corpi”.
Se il corpo è più del fisico, se attraverso il mio corpo io
vengo riconosciuto, mi rapporto agli altri e mi esprimo,
allora posso intuire che tutto questo non dovrebbe mai
cessare, che la mia corporeità non dovrebbe essere
annientata.
Qui però si alza implacabile l’esperienza della morte: con
essa, il nostro corpo cessa di esistere e finisce in cenere.
Così normalmente si dice.
In realtà si dovrebbe dire più correttamente che finisce in
cenere il nostro fisico, vale a dire la forma attuale del
nostro corpo, legata a questa esperienza della vita che noi
conosciamo.
La Bibbia, in particolare il Nuovo Testamento, su questo apre
orizzonti grandiosi a partire dal mistero di Cristo.
Gv 20,19-22
Si parla qui del “Cristo Risorto”, espressione molto cara alla
tradizione cristiana.
Dopo la sua terribile morte in croce, Gesù si fa incontro ai
suoi discepoli.
Siamo davanti a qualcosa di inimmaginabile.
Notiamo: il testo non dice che i discepoli vedono la sua
anima immortale, ma che vedono lui, che lui parla a loro,
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che fa sentire loro il suo affetto e li aiuta a comprender il
senso di ciò che sta succedendo.
Ritroviamo le tre dimensione della corporeità. E avete
sicuramente notato il particolare del soffio, che ci rimanda al
Libro della Genesi: la vita che ha preso una forma nuova.
Ma le porte sono chiuse e non si capisce come abbia potuto
arrivare.
Il suo corpo è dunque reale quello ma diverso, frutto della
vittoria sulla morte.
Così sarà anche per noi, secondo la rivelazione cristiana. Un
corpo non più fisico ma – dice l’apostolo Paolo - “spirituale”.
Un corpo non più condizionato, ferito, umiliato, come è il
nostro attuale.
Una nuova corporeità che continuerà a identificarci, che ci
permetterà di relazionarci, che ci consentirà di esprimerci
nella cornice grandiosa di un mondo a sua volta redento: cieli
nuovi e terra nuova.
In questa direzione dobbiamo cercare il senso della parola
risurrezione.
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4.
Quarta e ultima affermazione: “Non esiste il curare, esiste
solo il prendersi cura”.
Toccare il corpo è sempre – per la Bibbia – toccare l’io nella
sua totalità.
Questo avviene sia in condizione di malattia, che in
condizione di salute. Sempre però si tratta di un “prendersi
cura”.
Chi si prende cura del mio corpo malato in realtà si
prende cura di me. Dal mio personale punto di vista sarà
sempre impossibile intendere un intervento medico come
un’operazione semplicemente tecnica sul mio organismo.
Ma c’è anche il prendersi del corpo in salute.
In che cosa consiste? Penso:
• nel rendere onore ad una persona rispettando il suo
corpo,
• nell’aiutarla a scoprire la nobiltà di se stesso
attraverso il corpo,
• nel far vivere ad ognuno l’esperienza positiva della
propria corporeità.
Come fare concretamente?
• Per esempio riconducendo sempre il corpo di una
persona al suo volto;
• Recuperando la priorità dei cinque sensi;
• Non lasciando mai mancare un’esperienza intensa dei
gesti espressivi che sono propri del corpo
(l’abbraccio, il bacio, la carezza, la stretta di mano);
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• Educando a leggere il linguaggio del corpo che
indirizza al segreto dell’anima.
In questa prospettiva – credo – si potrà meglio impostare una
riflessione seria e vera circa il rapporto tra il naturale e
l’artificiale, tra il corporeo e il virtuale e si comprenderà
chiaramente le potenzialità ma anche il limite del secondo
rispetto al primo.
Il calore di un abbraccio non potrà mai essere sostituito da
una comunicazione virtuale.
Ma si può arrivare ancora più lontano.
Rm 12,1.9-12.17-18
La cura per il corpo può raggiungere in prospettiva biblica la
dimensione liturgica e condurre a riconoscere che il corpo è
tempio di Dio, luogo sacro in cui celebrare il culto a lui
gradito.
Non solo spazi sacri ma uno stile di vita, quello che san
Paolo ha descritto in questa meravigliosa pagina: un modo di
essere e di agire, un modo di vedere, ascoltare, parlare, di
muoversi che rende onore al nostro corpo nella sua più
autentica funzione.
Una liturgia della vita quotidiana.
In questo senso e in questo modo ci si prepara alla
resurrezione dei corpi e in un certo senso già la si anticipa.
Siamo di fronte al corpo dei santi, trasfigurati dalla grazia
di Dio nell’esercizio quotidiano della carità.
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Mi vengono alla mente le aureole nei nostri dipinti
occidentali e le icone delle Chiese orientali.
Ecco, l’ultima parola della Bibbia sul corpo è questa: sin
d’ora trasparenza luminosa e attraente della carità di Dio.
+ Pierantonio Tremolada
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