I PIANETI EXTRASOLARI e la ricerca della vita

Cortina Astronomica
anno 2011
I PIANETI EXTRASOLARI e la ricerca della vita
di Giulia Iafrate
C’è qualcuno là fuori? O siamo soli nell’Universo? Questa domanda attanaglia l’uomo da millenni e, tuttora, non
ha ancora trovato risposta. Possiamo fare alcune considerazioni e dire che sarebbe egoistico, considerata la vastità
dell’Universo, pensare di essere soli; ma attualmente l’unica certezza è che la sola civiltà evoluta a noi nota è la nostra.
Negli ultimi 15 anni gli astronomi hanno scoperto
oltre 500 pianeti extrasolari (o esopianeti), cioè
pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal
Sole e quindi non appartengono al Sistema
Solare. Rivelare un pianeta extrasolare però non è
semplice, anzi, richiede strumenti molto sofisticati:
nonostante l’esistenza di pianeti orbitanti attorno
ad altre stelle sia stata ipotizzata molti secoli fa, il
primo esopianeta è stato individuato solamente nel
1995. Quell’anno due astronomi dell’Osservatorio di
Ginevra, M. Mayor e D. Queloz, osservarono delle
minuscole variazioni nella velocità radiale della
stella 51 della costellazione del Pegaso (51 Peg),
variazioni ricondotte proprio alla presenza di un pianeta in orbita attorno alla stella. La notizia fece molto scalpore perché,
finalmente, si erano poggiate le basi per la ricerca della vita extraterrestre. Il requisito fondamentale per l’esistenza di
vita extraterrestre (dai batteri a una civiltà evoluta) è, infatti, un pianeta su cui tale vita possa svilupparsi; è innegabile
che uno dei fini della ricerca di pianeti extrasolari sia proprio la possibilità di trovare un pianeta che evidenzi le tracce
della presenza della vita.
Metodi di ricerca
Un pianeta extrasolare è un oggetto troppo piccolo e poco luminoso (brilla di luce riflessa) per venire distinto dalla stella
attorno a cui orbita, è quindi molto difficile riuscire a osservarlo da Terra.
La maggior parte dei pianeti extrasolari a noi noti sono stati scoperti tramite i cosiddetti metodi indiretti: studiando gli
effetti che un pianeta induce sulla stella attorno a cui orbita.
Una stella “normale”, senza pianeti attorno, ha luminosità costante, si muove di moto rettilineo in cielo rispetto alle altre
stelle e, su tempi brevi, la possiamo considerare sempre alla stessa distanza da noi. Cosa succede se a questa stella
aggiungiamo un pianeta che le orbita attorno?
Un pianeta, per quanto piccolo, perturba il moto
della stella a causa delle interazioni gravitazionali
tra i due corpi: la stella attrae a sé il pianeta, ma
anche quest’ultimo attrae la stella. Il risultato è che
entrambi orbitano attorno al centro di massa del
sistema e la stella appare muoversi in cielo su una
traiettoria ondulata. Ecco allora il primo metodo di
ricerca: l’astrometria, lo studio della posizione delle
stelle e del loro moto in cielo.
Nel suo moto attorno al centro di massa del sistema
la stella si muove per mezza orbita verso di noi e
per l’altra metà nella direzione opposta. La variazione della velocità radiale della stella può essere
rivelata dallo studio delle sue righe spettrali. Questo
secondo metodo (studio delle velocità radiali) ha
permesso la scoperta della maggior parte di pianeti
individuati finora.
Oltre agli effetti gravitazionali, un pianeta può anche
influire sulla luminosità della stella. Nel caso in cui il pianeta transiti davanti al disco della stella, noi osserviamo un calo
di luminosità di quest’ultima. Il metodo dei transiti è molto importante perché è l’unico che consente di ricavare il raggio
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del pianeta: il calo di luminosità è proporzionale al rapporto tra il raggio della stella e quello del pianeta. Se è nota anche
la massa del pianeta (calcolabile dalle interazioni gravitazionali) allora possiamo calcolare la sua densità e determinare
se è roccioso oppure gassoso.
L’astrometria, lo studio della velocità radiale e i transiti sono i tre principali metodi indiretti che permettono di confermare
la presenza di pianeti extrasolari attorno
ad altre stelle della nostra galassia.
Riuscire a riprendere un’immagine degli
esopianeti è molto difficile, per la grande
differenza di luminosità tra essi e le loro
stelle. È quindi necessario utilizzare alcuni
accorgimenti particolari, per esempio
osservare nell’infrarosso o tramite un
coronografo. Nelle lunghezze d’onda
dell’infrarosso la differenza di luminosità
tra stella e pianeta si riduce, rendendo così
a volta possibile la ripresa di un’immagine
del pianeta. Un coronografo è invece uno
strumento che crea un’eclisse artificiale,
ponendo un disco occultatore sul piano
focale del telescopio per mascherare la
stella. Anche in questo caso risulta quindi
possibile riprendere il pianeta. Nonostante
ciò, attualmente è stato possibile riprendere immagini dirette di solo 15 pianeti
su oltre 500 conosciuti.
Condizioni per la vita
Il nostro pianeta, la Terra, è l’unico nel Sistema Solare dove sia presente la vita: perché?
La vita necessita di un suolo su cui svilupparsi: un pianeta “abitabile” deve innanzitutto essere roccioso. Non è possibile
trovare alcuna forma di vita su un pianeta gassoso. Nel nostro Sistema Solare i candidati si riducono così a quattro:
Mercurio, Venere, Terra e Marte. La seconda condizione è la presenza di un solvente, in forma liquida, necessario per
esempio a trasportare atomi e molecole permettendo la formazione di molecole via via sempre più complesse. Ricordiamo
che la vita sulla Terra è nata negli oceani. Questo solvente non deve per forza essere l’acqua, ma l’acqua è sicuramente
quello con le proprietà più adatte a tale scopo. Abbiamo sottolineato la necessità che il solvente sia presente in forma
liquida: la regione attorno a una stella in cui un eventuale pianeta potrebbe avere la giusta temperatura per l’acqua
liquida viene chiamata “regione di abitabilità”. La collocazione della regione di abitabilità dipende dalla quantità di energia
emessa dalla stella: molto vicina se la stella è relativamente fredda (es. una nana rossa con temperatura superficiale
di poche migliaia di gradi) o più lontana se la stella è più calda. Nel nostro Sistema Solare (temperatura superficiale del
Sole 5700 K) la regione di abitabilità si colloca tra 0.7 e 1.2 unità
astronomiche (UA): l’unico pianeta all’interno è proprio la nostra
Terra! Un pianeta roccioso all’interno della regione di abitabilità
della propria stella e un solvente non sono però ancora sufficienti
per permettere lo sviluppo della vita: l’evoluzione è un processo
lungo e perché possa avvenire queste condizioni devono valere
per molti milioni di anni. La stella deve trovarsi in una fase stabile
della propria vita, ovvero nella cosiddetta “sequenza principale”. In
questa fase la stella produce energia tramite le reazioni nucleari
che trasformano quattro atomi di idrogeno in uno di elio. Una
stella trascorre in sequenza principale la maggior parte della
propria vita: il Sole vi risiede da 4.5 miliardi di anni e vi rimarrà
per altrettanto tempo. Alla fine di tale periodo avrà esaurito
l’idrogeno nel nucleo e diventerà una stella gigante rossa: un
po’ più fredda, ma molto più grande, talmente grande da sfiorare
l’orbita della Terra e mettere così fine a eventuali forme di vita
ancora presenti su di essa.
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Lo zoo dei pianeti extrasolari
I 500 pianeti scoperti finora sono quasi tutti gassosi, molto massicci
e vicini alle loro stelle. Vengono chiamati Hot Jupiters (Giovi caldi).
Questo fatto non significa però che non ci siano anche pianeti
rocciosi simili alla Terra, ospitali per la vita. Un Hot Jupiter è più
facile da individuare, perché per la sua massa e la sua vicinanza alla
stella induce maggiori effetti gravitazionali. Per riuscire a scoprire
molte altre “Terre” servono strumenti più precisi e tecnologicamente
avanzati di quelli attualmente disponibili. Inoltre, quando riusciremo
a individuare facilmente anche i pianeti terrestri, magari all’interno
della regione di abitabilità, rimarrà comunque il problema di capire
se ospitano la vita: non riuscendo a riprendere immagini dirette
l’unica possibilità è cercare tracce della vita nella loro atmosfera
(per esempio i prodotti della fotosintesi o altri composti di chiara
origine biologica). Un pianeta extrasolare può essere molto diverso
dalla nostra Terra: immaginiamo un pianeta in orbita attorno a una stella doppia o tripla (due o tre stelle che orbitano una
attorno all’altra). Gli abitanti di questo pianeta vedrebbero sorgere e tramontare due o tre “soli” e, probabilmente, ce ne
sarebbe uno sempre sopra l’orizzonte. Su quel pianeta allora sarebbe sempre giorno, i suoi abitanti non conoscerebbero
la notte e forse neanche immaginerebbero l’esistenza delle stelle. Oppure un pianeta che ruota attorno alla sua stella con
moto sincrono (periodo di rotazione uguale al periodo di rivoluzione, come la Luna attorno alla Terra): avrebbe sempre
la stessa faccia rivolta verso il sole, con metà superficie costantemente illuminata e calda e l’altra metà sempre al buio.
Ultime due considerazioni: supponiamo l’esistenza, da qualche parte nella nostra galassia, di un pianeta Pippo abitato
da una civiltà evoluta capace e disponibile a comunicare con noi. Ipotizziamo che questo pianeta si trovi a 50 anni luce
dalla Terra (50 anni luce, su scala stellare, è un valore molto piccolo): ogni messaggio impiega 50 anni per arrivare a
destinazione. Per un semplice “ciao, qui Terra” e successiva risposta “ciao Terra, qui pianeta Pippo” servono 100 anni…
nella migliore delle ipotesi.
Andiamo ora un po’ più lontano, fuori dalla nostra galassia, su un ipotetico pianeta nella galassia di Andromeda. La
galassia di Andromeda dista da noi 2 milioni di anni luce: se su quel pianeta ci fosse qualcuno con uno strumento così
potente e tecnologicamente avanzato da riuscire a osservare la Terra, cosa vedrebbe? Vedrebbe la Terra come era 2
milioni di anni fa, vedrebbe quindi… i mammut!
C’è qualcuno là fuori?
A questa domanda ha provato a rispondere
l’astronomo Frank Drake nel 1961, presentando un’equazione per stimare il numero
di civiltà extraterrestri evolute presenti nella
nostra galassia (la Via Lattea).
L’equazione di Drake è:
N = R* ∙ fp ∙ ne ∙ fl ∙ fi ∙ fc ∙ fm ∙ L,
con N il numero di civiltà extraterrestri
evolute presenti nella nostra galassia;
R* il tasso medio di formazione stellare
nella Via Lattea; fp la frazione di stelle
che possiedono pianeti; ne il numero di
pianeti, per sistema solare, in condizione
di ospitare forme di vita; fl la frazione dei
pianeti ne che ha effettivamente sviluppato
la vita; fi la frazione di pianeti fl su cui si
sono sviluppati esseri intelligenti; L la
durata di queste civiltà evolute.
Sono state fatte molte stime sul risultato della suddetta equazione, tuttavia, l’unico valore di N dato dalle osservazioni è
N=1, la nostra civiltà è l’unica a noi nota. Ancora un po’ di pazienza per poter dire di avere un amico extraterrestre!
I dati aggiornati sui pianeti extrasolari sono disponibili sul sito: http://www.exoplanet.eu
www.cortinastelle.it
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