progettazione curricolare e laboratorio di storia

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Allegato 1 CRITERI PER UNA PROGETTAZIONE CURRICOLARE NELL’AREA GEOSTORICO­ SOCIALE di Maurizio Gusso 1 0. PREMESSA: UNO SFONDO DI ESPERIENZE E RIFLESSIONI CURRICOLARI ISPIRATE ALLA CENTRALITÀ DELLA MEDIAZIONE DIDATTICA 0.1 UNO SFONDO DI ESPERIENZE E RIFLESSIONI CURRICOLARI Questo contributo personale alla riflessione sulla progettazione curricolare nell’area geo­storico­ sociale tiene conto di una serie di proposte e sperimentazioni curricolari e di laboratorio, ispirate alla centralità della mediazione didattica (Gusso, 1998 a: 50­53) fra ­ i bisogni di formazione geo­storico­sociale degli studenti (Baiesi – Guerra, 1997); ­ le risorse culturali, costituite dai saperi geo­storico­sociali sia quotidiani (memoria, rappresentazioni e immagini dell’ambiente, della società, della storia, concetti spontanei ecc.: Criscione e altri, 1993; Lazzarin, 1985; Mattozzi, 1986; Passerini, 1988; Tabboni, 1984), sia disciplinari (storiografia, geografia, scienze sociali). Mi riallaccio, anzitutto, alle sensate esperienze ­ della ricerca­azione (1988­1991) (Aa. Vv., 1994), ­ dei tredici progetti di sperimentazione assistita (1995­1996) (Aa. Vv., 1998 b) ­ e del Gruppo regionale di ricerca (1999­2000) (Citterio – Salvarezza, 2003) dell'Irrsae / Irre Lombardia sull'area geo­storico­sociale. Si tratta di un modello di progettazione curricolare a cui si sono in larga parte ispirati i corsi di formazione dei tutor e dei formatori dei docenti delle discipline geostorico­sociali sugli ultimi due modelli di scheda di valutazione nella scuola media, promossi dall'Irrsae Lombardia (1994 e 1996­ 1997) (Gusso, 1999 d), alcune scuole materne, elementari e medie delle provincie di Milano e Pisa (Gusso, 1999 e), il II Circolo didattico di Como e alcune scuole medie valdostane (Gusso, 1998 c). Mi riaggancio, inoltre, al dibattito interno all'associazione Iris (Insegnamento e ricerca interdisciplinare di storia) 2 . Ho fatto tesoro del Documento conclusivo del Gruppo di lavoro Aggregazione disciplinare storico­ geografico­sociale, pubblicato nella Sintesi dei gruppi di lavoro della Commissione di studio per il programma di riordino dei cicli di istruzione del Ministero della Pubblica Istruzione (Aa. Vv., 2001 a), e della sua più sintetica versione successiva, inclusa negli Indirizzi per l’attuazione del curricolo del Ministero della Pubblica Istruzione (Aa. Vv., 2001 b: 60, 62, 76­78, 110­115 e 134­138). Ho esaminato attentamente la documentazione relativa alle iniziative dell'Irrsae Emilia­Romagna sull'area geostorico­sociale (Aa. Vv., 2000 b: 221­227; Marostica, 1997). Per quanto riguarda le singole discipline dell’area geostorico­sociale, ho tenuto conto, anzitutto, delle riflessioni e delle proposte relative al curricolo 'verticale' di storia, formulate da enti ed esperti italiani (Aa.Vv., 2000 b) ed europei, ed in particolare: ­ dalle associazioni nazionali di didattica della storia aderenti al Forum delle associazioni disciplinari della scuola: Clio '92 3 (Aa. Vv., 1999 a; 2000 a; Associazione Clio ’92, 2000: 13­104, 1 Questo scritto rappresenta una sintesi di M.Gusso, Il contributo di storia alla ‘area geo­storico­sociale’, fra epistemologia e didattica e Ipotesi per un curricolo continuo di area geo­storico­sociale, in S.Citterio – M.Salvarezza (a c. di), L’area geostorico­sociale dalla ricerca al curricolo, Angeli, Milano, 2003 (in corso di pubblicazione). 2 Per le iniziative e i materiali prodotti dall'Associazione, se ne consulti il sito http://www.storieinrete.org.
1 143­171, 203­207 e 229­254; Bernardi, 2000), Insmli (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia "Ferruccio Parri") 4 (Grazioli, 2000, 2001; Lajolo, 2000; Pinotti, 2000), Landis (Laboratorio nazionale per la didattica della storia) 5 (Brusa, 1999, 2000 a, 2000 b, 2000 c; Gusso, 2000 a. 173­178) e Sis (Società Italiana delle Storiche) 6 (Aa. Vv., 1993; Delmonaco, 2000); ­ dalle singole Direzioni Generali del Ministero della Pubblica Istruzione:­ Istruzione Elementare (Aa.Vv., 1999 c); Istruzione secondaria di I grado (Aa. Vv., 1998 a; Cajani, 2000) e Istruzione Professionale: (Aa. Vv., 1999 a) ­ e dal Progetto Storia (interdirezionale, ma coordinato dalla Direzione Generale Istruzione Classica Scientifica e Magistrale) sulla storia del Novecento; ­ dal Cres (Centro ricerca educazione allo sviluppo) di Mani Tese (Aa. Vv., 1999 b). In secondo luogo, ho tenuto conto delle ipotesi curricolari a) di geografia, formulate dall'Aiig (Associazione Italiana Insegnanti di Geografia); b) di diritto ed economia, formulate dall'Aeee (Associazione Europea per l'Educazione Economica) ­ Italia; c) di studi sociali nelle elementari; d) dell'educazione civica nella scuola secondaria. 0.2 LA CENTRALITÀ DELLA MEDIAZIONE DIDATTICA FRA BISOGNI FORMATIVI E RISORSE GEO­STORICO­SOCIALI. UN ESEMPIO: STORIA 0.2.1 Storici e docenti di storia fra epistemologia, storiografia e didattica Fra gli storici e gli insegnanti di storia sono presenti diversi modi d’intendere le relazioni fra epistemologia, metodologia della ricerca storica e insegnamento / apprendimento della storia. Spesso dagli atteggiamenti degli uni sembra trasparire un’insufficiente conoscenza o una sottovalutazione della complessità del ‘mestiere’ ­ e delle ricerche nel campo – degli altri. Questo problema, che in diversa misura riguarda i rapporti fra tutte le discipline di ricerca e le materie d’insegnamento corrispondenti, sembra esser particolarmente drammatico nel caso di storia, in Italia, in cui le proposte avanzate da gruppi di insegnanti ricercatori di storia e da altri esperti (anche universitari) di didattica della storia incontrano un’ostilità spesso pregiudiziale da parte di un consistente numero di storici ‘accademici’, ossia di storici con una visione prevalentemente autoreferenziale, se non corporativa, della storiografia, poco attenti alle complesse relazioni fra università e scuola (Brusa, 1998; Brusa e altri, 2000: 10­14; Grazioli, 2001; Mattozzi, 2003). Parecchi storici sono piuttosto diffidenti sia verso la riflessione epistemologica (considerata troppo astrattamente teorica e filosofica), sia verso gli psicopedagogisti (vissuti come membri di una corporazione accademica concorrente, inclini a psicologismi e metodologismi astratti), sia verso chi si occupa di didattica della storia, considerata come una mediazione inutile e astrusa, se non dannosa, rispetto alla trasmissione di contenuti o come il trampolino di lancio di una nuova, potenziale e pericolosa, corporazione: quella dei ‘didattologi’. Gli storici ‘accademici’ sembrano spesso oscillare fra una posizione perfezionista, per cui qualunque mediazione didattica è condannata a tradire il rigore della ricerca storica, e una doppia morale, secondo cui gli insegnanti di storia dovrebbero attenersi a modelli narrativo­cronologico­lineari superati dalla ricerca storica, ma ritenuti necessari e sufficienti per una prima formazione storica degli allievi. Entrambi gli orientamenti hanno in comune la svalutazione della complessità delle relazioni fra ricerca storica e ricerca didattica e della mediazione didattica. D’altra parte, molti insegnanti di storia non solo hanno sostenuto pochi esami specifici, si sono laureati in altre discipline e non hanno esperienze di ricerca storica, epistemologica e psicopedagogica, ma hanno interiorizzato il modello ‘accademico’ secondo cui l’insegnamento è 3 Per le iniziative e i materiali prodotti da Clio ‘92, se ne consulti il sito http://www.clio92.it. Per le iniziative e i materiali prodotti dall’Insmli, se ne consulti il sito http://www.novecento.org. 5 Per le iniziative e i materiali prodotti dal Landis, se ne consulti il sito http://www.landis­online.it. 6 Per le iniziative e i materiali prodotti dalla Sis, se ne consulti il sito http://www.storiadelledonne.it/sis.
4 2 fondamentalmente trasmissione unidirezionale di contenuti o al massimo di metodi storiografici (Brusa, 2000 a: 108­110; Mattozzi, 2003). Negli ultimi decenni gruppi minoritari, ma quantitativamente e qualitativamente sempre più significativi, di insegnanti ricercatori e di altri esperti di didattica della storia hanno provato a rompere questo circolo vizioso fra tradizionalismo degli storici e tradizionalismo dei docenti, con il sostegno di associazioni di didattica della storia, di associazioni generali degli insegnanti e di settori del Ministero, dell’università e degli altri enti preposti alla ricerca, alla documentazione e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In molti casi tali gruppi sono andati oltre sia l’insegnamento “tradizionale”, sia le illusioni dell’insegnamento “alternativo” e della scimmiottatura ‘scientistica’ della ricerca storiografica, percorrendo le vie di una didattica “innovativa” (Frigerio e altri, 1987: 4­14), consapevole della centralità della ‘mediazione didattica’. Non si è trattato di esperienze isolate: molti progetti innovativi si sono sviluppati in contesti istituzionali via via più ampi, fino a diventare progetti di singoli Istituti, reti di scuole, università, Provveditorati, Irrsae, Direzioni generali del Ministero e ipotesi curricolari ministeriali. Tuttavia, a mano a mano che la rete degli innovatori si estendeva, s’infittiva e acquistava peso politico­ istituzionale, per reazione, anche lo schieramento tradizionalista si organizzava collegando ambienti universitari e liceali, settori dei media, lobbies e forze politiche ostili alle riforme universitaria e scolastica, fino alla polemica fra storici ostili e storici favorevoli alle riforme e al dialogo con esperti di didattica della storia e psicopedagogisti (Aa. Vv., 2001 a, 2001 b; 2001 c, 2001 d; Arnaldi e altri, 2001; Brusa, 1998, 2001 a; Grazioli, 2001; Mattozzi, 2002 a, 2002 b, 2003) 7 . 0.2.2 Diverse modalità d’analisi della struttura della disciplina storica Pressoché tutti i più recenti progetti di revisione dei curricoli della scuola primaria e secondaria e i programmi ministeriali in vigore contengono indicazioni sulla necessità di basare ogni materia d’insegnamento ­ per esempio: storia ­ sull’analisi della struttura della disciplina di ricerca corrispondente (Guarracino ­ Ragazzini, 1990: 47­55; Lastrucci, 2000: 19­21; Schwab, 1971) ­ per esempio: la storiografia ­ e di integrarla in un‘area di insegnamenti affini, come quella “geostorico­ sociale”. L’approccio più frequente all’epistemologia e all’analisi della struttura della disciplina storica è quello che segue il classico schema gerarchico, deduttivo e ‘discendente’ per cui si passa dal piano più generale e più elevato (quello dell’epistemologia pura) a quello più specificamente didattico attraverso qualche passaggio intermedio (es.: quello della metodologia della ricerca storica): un approccio tradizionalmente ‘accademico’ e a prima vista rassicurante nella sua sistematicità, che, però, quando viene applicato meccanicamente nell’autoaggiornamento e nella formazione degli insegnanti o nelle programmazioni didattiche, comporta dei gravi rischi, come quelli dello scientismo e della riduzione della didattica disciplinare a mera applicazione empirica e tecnica della storiografia. Il passaggio dalla disciplina di ricerca alla materia d’insegnamento non può essere, infatti, né una banalizzazione, né una miniaturizzazione della storiografia; se di traduzione o trasposizione didattica si tratta, essa non è meccanica, ma creativa: una mediazione didattica interculturale fra i saperi storici specialistici, quelli quotidiani, le competenze professionali degli insegnanti e i bisogni di formazione storica degli studenti e della società; una forma di riduzione non semplicistica, ma consapevolmente convenzionale, della complessità della storiografia, che già rappresenta una forma di riduzione consapevolmente convenzionale della complessità dei processi storici. In base alla duplice esperienza di docente di storia e di formatore di insegnanti di storia delle scuole di ogni ordine e grado, mi sembra più utile proporre un percorso meno deduttivo, meno rettilineo e più a spirale, che assuma come stella polare della navigazione la ‘mediazione didattica’, tenendo conto in particolar modo del dibattito sui ‘nuclei fondanti’ delle discipline. 7 Si veda la documentazione presente in siti come quelli sopra citati e come http://www.cidi.it, http://www.istruzione.it, http://www.edscuola.it, http://www.nonunodimeno.it, http://www.pavonerisorse.to.it e http://www.vlib.iue.it/lib/sissco.
3 Le discipline di ricerca geo­storico­sociali non costituiscono in senso stretto né i contenuti né gli obiettivi degli insegnamenti geo­storico­sociali, ma ne rappresentano le risorse: sono come delle miniere, da cui non si tratta di estrarre tutti i minerali che contengono, ma solo quelli che è possibile e sensato lavorare in laboratorio, cioè, fuor di metafora, solo gli aspetti significativi da un punto di vista formativo e suscettibili di essere rielaborati nell’attività didattica (Campanella, 1986), o meglio nel laboratorio didattico. Questi minerali possono essere considerati come i ‘nuclei fondanti’ da trasferire dalle discipline di ricerca alle materie d’insegnamento. 0.2.3 ‘Nuclei fondanti’ della storia, fra ricerca e didattica Propongo di affrontare la questione dei ‘nuclei fondanti’ a partire dalla centralità della mediazione didattica. Occorre far tesoro degli sviluppi del dibattito pedagogico­didattico e politico­scolastico: per esempio, il documento I contenuti essenziali per la formazione di base, redatto nel marzo 1998 da Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe e Mario Vegetti su incarico dell’allora ministro Luigi Berlinguer (Maragliano e altri, 2000: 1 e 3), usa termini come “contenuti essenziali” o “irrinunciabili” o “strutture culturali di base”; mentre il documento del 2001 Indirizzi per l’attuazione del curricolo dell’allora ministro Tullio De Mauro usa l’espressione “nuclei costitutivi delle discipline” (Aa. Vv., 2001 b: 28) e altri testi usano di preferenza il termine “nuclei fondanti” (Mattozzi, 2000; Pinotti, 2000: 339­340). Non solo non si può banalizzare il discorso dei ‘saperi essenziali’ riducendolo al problema, peraltro reale ma più limitato, dei ‘contenuti minimi’ di ogni materia, ma occorre distinguere fra ­ un approccio di epistemologia disciplinare pura ai ‘nuclei fondanti’ della singola disciplina di ricerca e ­ un approccio di epistemologia didattica ai ‘nuclei fondanti’ del suo insegnamento/apprendimento. Nel dibattito sulle competenze necessarie per insegnare una data materia, si scontrano due tendenze: ­ quella, minoritaria fra gli esperti di didattica disciplinare, ma purtroppo ampiamente maggioritaria nelle università, di chi pensa che servano quasi esclusivamente delle competenze disciplinari (magari relative non solo ai contenuti, ma anche alle metodologie di ricerca), salvo un po’ di ‘sana praticaccia’ didattica sul campo e al massimo un’infarinatura di competenze psicopedagogiche; ­ quella, maggioritaria fra gli esperti di didattica disciplinare, ma purtroppo minoritaria nelle università, di chi pensa che servano pressoché altrettanto competenze disciplinari, psicopedagogiche, comunicativo­relazionali, organizzativo­gestionali e didattico­disciplinari. Non si tratta di ricavare meccanicamente dall’analisi epistemologica della struttura delle discipline di ricerca geostorico­sociali i concetti­chiave, le operazioni e gli “operatori cognitivi” (Mattozzi, 1990: 19­23) dell’insegnamento / apprendimento delle discipline geo­storico­sociali: la traduzione didattica dei ‘saperi esperti’ non è una semplice riproduzione meccanica o parafrasi o miniaturizzazione, ma una riconversione / rielaborazione profonda, ossia una mediazione didattica. La ricerca didattica e la necessaria dimensione di ricerca dell’apprendimento non riproducono meccanicamente le caratteristiche della ricerca disciplinare, anche se devono valorizzarne le risorse. Troppo spesso la necessaria analisi della struttura della disciplina si limita al terreno del lessico (concetti­chiave), senza affrontare fino in fondo quello della morfosintassi (metodi, procedure ecc.) della disciplina. Per restare al piano lessicale / concettuale, possiamo immaginare tre insiemi di concetti: a) i concetti specificamente disciplinari; b) la rielaborazione di tali concetti da parte degli insegnanti; c) i concetti spontanei corrispondenti degli allievi. Non è possibile pensare che gli studenti riproducano direttamente i concetti specificamente disciplinari (o quelli rielaborati dagli insegnanti) senza che si producano interazioni – o interferenze ­ con i loro corrispondenti concetti spontanei. Infatti, come fra saperi quotidiani e saperi disciplinari, così fra concetti spontanei degli allievi e concetti specificamente disciplinari si istituisce un rapporto di continuità / discontinuità affidato alla mediazione didattica dell’insegnante,
4 che inizierà a rilevare, valorizzare, problematizzare e relativizzare i concetti spontanei degli studenti per confrontarli con i concetti specificamente disciplinari; alla fine, è realistico pensare che gli allievi costruiranno autonomamente un quarto insieme di concetti d), intermedio fra gli insiemi a) e b), da una parte, e c), dall’altra. Per quanto riguarda il piano della morfosintassi della disciplina, possiamo fare delle considerazioni analoghe – per esempio ­ a proposito delle fonti e dei modelli (sia descrittivi, sia narrativi, sia esplicativi / interpretativi). 0.3 LE TRE DIMENSIONI DEL CURRICOLO Le mie riflessioni sulle ipotesi curricolari tengono conto di tre grandi dimensioni del curricolo: ­ una dimensione ‘orizzontale’: quella del passaggio graduale da un approccio predisciplinare a uno disciplinare aperto e a vari tipi e livelli di interdisciplinarità (Orefice, 1982); ­ una ‘verticale’, relativa alla continuità / discontinuità fra i vari gradi di scuola; ­ una ‘profonda’: quella metodologica di una progettazione curricolare innovativa. 1. LA DIMENSIONE ' ORIZZONTALE' DEL CURRICOLO: DA UN APPROCCIO PREDISCIPLINARE ALLA COSTRUZIONE DI UNA 'AREA' GEO­STORICO­ SOCIALE 1.1 PREDISCIPLINARE, DISCIPLINARE, INTERDISCIPLINARE DI ‘AREA’ Il percorso proposto è quello di un passaggio graduale da un approccio predisciplinare spaziotemporale­sociale ­ ad approcci disciplinari aperti ­ e alla fondazione di una ‘area’ formativa geo­storico­sociale. Il punto di partenza, che accomuna allievi, insegnanti e ricercatori specializzati nelle discipline geo­ storico­sociali, è un approccio predisciplinare e intuitivo­globale (‘sincretico’), che possiamo chiamare spaziotemporale­sociale perché basato su esperienze e categorie spaziali, temporali e sociali ­ fra loro intrecciate e distinte, ­ ma né confondibili né separabili, anche se spesso vengono confuse o separate in compartimenti stagni. Questo punto di partenza costituisce l’orizzonte di riferimento della scuola materna / dell'infanzia, ­ che non a caso non prevede materie d’insegnamento chiamate geografia, storia e studi sociali, ­ ma che, proprio per mantener fermo l’obiettivo di una formazione integrale e globale della persona, contribuisce a costruire i prerequisiti (esperienze, linguaggi, conoscenze) socio­ spaziotemporali perché tali materie possano essere sensatamente e gradualmente introdotte nella scuola elementare. La scuola elementare ha il compito di operare un primo passaggio dall’approccio predisciplinare­ sincretico della scuola materna / dell'infanzia a una prima fondazione ­ sia di linguaggi disciplinari (geografia, storia e le altre scienze sociali adombrate dagli studi sociali), ­ sia di un 'ambito antropologico', in realtà geo­storico­sociale, nel senso che le esperienze e le categorie spaziali, temporali e sociali, predisciplinari, sincretiche e trasversali, iniziano a inverarsi in categorie spaziali, temporali e sociali specificamente disciplinari e quindi geografiche, storiche, demografiche, economiche, sociologiche, giuridiche, politiche,
5 antropologiche, psicologiche, almeno nel retroterra della formazione professionale degli insegnanti, che dovranno mediare fra i “concetti spontanei” (e le esperienze) degli allievi e quelli disciplinari. In modo non meccanico­lineare, ma ‘a spirale’, la scuola secondaria di primo grado può rafforzare questo percorso predisciplinare ­ disciplinare aperto ­ interdisciplinare utilizzando le risorse delle materie geografia, storia e educazione civica per fondare una ‘area geo­storico­sociale’. Analogamente la scuola secondaria di secondo grado può rafforzarlo utilizzando le risorse delle materie storia e ­ dove esistono ­ educazione civica, diritto ed economia, geografia ecc. per fondare un ‘settore’ geostorico­antropologico­sociale. In questo caso ho ripreso ­ il termine "ambito” dai programmi del 1985 delle elementari; ­ il termine “area” dai programmi del 1979 della secondaria di primo grado; ­ il termine “settore” dai programmi Brocca della secondaria di secondo grado. Anche il Gruppo di lavoro Aggregazione disciplinare storico­geografico­sociale prevede un passaggio graduale da un "ambito antropologico­ambientale" a una "area storico­geografico­ sociale". 1.2 COME FONDARE L’AREA GEO­STORICO­SOCIALE: LA TEMATIZZAZIONE In ogni caso, si tratta di un approccio pluri­ o inter­disciplinare, che per comodità possiamo chiamare ‘area formativo­didattica geo­storico­sociale’ e che si fonda su due convenzioni: ­ la “convenzione epistemica di un’area di saperi geostorico­sociali”; ­ e “la convenzione formativo­didattica di un’area di insegnamenti geostorico­sociali, legata ad alcune condizioni politico­scolastiche, quali l’esistenza di almeno due insegnamenti geostorico­ sociali nel grado di scuola considerato, dotati di un numero sufficiente di ore, e un’adeguata soluzione dei problemi degli abbinamenti di materie affini e della formazione delle rispettive figure di insegnanti” (Gusso, 1994: 129). Si tratta di una problematica complessa, che può essere semplificata non semplicisticamente attraverso una riduzione di complessità consapevolmente convenzionale, visualizzabile in una prima grande mappa di macroconcetti fondativi (o meglio di campi semantico­concettuali). Anzitutto, tali macroconcetti sono utili per governare il passaggio ­ dal piano epistemologico­scientifico della “area di saperi geo­storico­sociali” (da quelli quotidiani, come la memoria storico­sociale e le rappresentazioni e immagini dell’ambiente, della società e della storia, a quelli specialistico­disciplinari) ­ al piano formativo­didattico della “area di insegnamenti geo­storico­sociali”. In secondo luogo, tali macroconcetti sono necessari per compiere un’operazione, che accomuna allievi, insegnanti e ricercatori, come la tematizzazione, cioè la delimitazione del campo dell’oggetto di studio o insegnamento o ricerca. Lo schema della tematizzazione ­ riecheggia in parte le famose ‘cinque w’ dell’educazione linguistica anglosassone (What? Who? Where? When? Why?), ­ recupera le prime quattro domande (“Che cosa?”, “Chi?”, “Dove?” e “Quando?”), ­ ma lascia provvisoriamente in sospeso la quinta per la sua complessità e ambivalenza (infatti esiste un “Perché?” causale, che rinvia a concetti come “causa” / ”condizione” / ”fattore” e “conseguenza / effetto”, e un “Perché?” finale, che rinvia a concetti come “intenzionalità” / “scopo” / ”obiettivo” / ”senso”) ­ e la sostituisce con un’altra, che corrisponde a un “Che cosa?” di secondo grado come un sottotema o un sottotitolo consente di approfondire un tema o un titolo, ma che preferisco indicare con la domanda “Quali aspetti / variabili privilegiare di quel ‘che cosa’?” (si veda il punto 3.3).
6 Ovviamente si può arricchire ulteriormente lo schema con altre domande di secondo grado (“Come?”, “Perché?”, “Come si fa a saperlo?”), che permettono di introdurre altri campi semantico­ concettuali come quelli di ­ "esposizione" / “narrazione” / ”descrizione” / ”argomentazione”, ­ “comprensione” / “spiegazione” / ”interpretazione”, ­ “modello, “causa” / ”condizione” / ”fattore”, “effetto” / ”conseguenza”, ­ “fonte / documento”. Questi campi semantico­concettuali costituiscono un insieme dinamico di relazioni e non una somma statica di elementi, né una giustapposizione di comportamenti stagni, come quando si fanno coincidere rigidamente ­ la geografia con le categorie spaziali, ­ la storia con quelle temporali ­ le altre scienze sociali con quelle sociali, come se ­ la geografia potesse esistere senza le categorie sociali e temporali, ­ la storia senza quelle spaziali e sociali ­ e le scienze sociali senza quelle spaziali e temporali. In altri termini, un'area formativa geo­storico­sociale è un prodotto delle relazioni coerenti fra i suoi elementi e si costruisce ­ sia valorizzando la dimensione sincretica dell’approccio predisciplinare per costruire i prerequisiti per una propedeutica ai linguaggi disciplinari, ­ sia individuando i peculiari apporti dei linguaggi disciplinari all’analisi di oggetti che di per sé sono interdisciplinari, ­ sia costruendo forme di interdisciplinarità sul quadruplice terreno dei contenuti, degli obiettivi, dei metodi di ricerca e delle strategie didattiche. La fondazione di un curricolo orizzontale geo­storico­sociale non può esaurirsi in una mappa dei macroconcetti fondativi, ma deve prendere in considerazione anche il versante socioaffettivo­ relazionale dei saperi geo­storico­sociali, ossia le loro valenze formative e i loro usi sociali o pubblici (Gallerano, 1995). 2. LA DIMENSIONE 'VERTICALE' DEL CURRICOLO: ELEMENTI POSITIVI DI CONTINUITÀ / DISCONTINUITÀ 2.1 DAL CURRICOLO VERTICALE TRADIZIONALE A QUELLO INNOVATIVO Gli elementi negativi ­ di continuità (ciclicità ripetitiva di contenuti, obiettivi e strategie didattiche) ­ e di discontinuità (separatezza o gerarchia fra i gradi di scuola), caratterizzanti il tradizionale curricolo ‘verticale’ geo­storico­sociale, vanno sostituiti con gli elementi positivi ­ di continuità (unitarietà e gradualità) ­ e discontinuità (specificità), propri di un curricolo innovativo, o meglio di più curricoli innovativi (Gusso, 1987: 46), con una particolare attenzione ai raccordi fra cicli scolari successivi. La specificità significa adattamento ‘a spirale’ delle ipotesi curricolari ai diversi tipi di destinatari e di contesti educativi e scolastici. Per esempio: la scuola materna / dell'infanzia presuppone un approccio predisciplinare, ma in grado di costruire i prerequisiti socio­spaziotemporali della formazione geo­storico­sociale successiva.
7 Tale formazione nelle elementari può avvenire attraverso un approccio propedeutico alle discipline geo­storico­sociali e a prime forme di interdisciplinarità, attraverso il percorso ­ dallo spazio vissuto, dal tempo vissuto e dalla socialità vissuta ­ ai quadri di ambiente e a un primo approccio tipologico “a maglie larghe” ai quadri di civiltà. La scuola media (con l’aggiunta auspicabile del nuovo biennio, nella prospettiva dell’elevamento dell’obbligo scolastico a sedici anni) potrebbe, allora, essere dedicata a un approccio sistemico, ma a maglie più fitte, ai quadri di ambiente e civiltà, con un taglio comparativo, sia sincronico, sia diacronico. Il triennio finale potrebbe essere, infine, dedicato a sviluppare al massimo la dimensione di ricerca didattica e di laboratorio, con una maggior porzione di tempo riservata ad attività opzionali e alle curvature “di indirizzo” delle materie geo­storico­sociali. L’unitarietà e la gradualità sono assicurate soprattutto dal metodo di una progettazione curricolare flessibile e ‘ad albero’, che costituisce la terza dimensione del curricolo, quella della profondità (si veda il punto 3). 2.2 UN ESEMPIO DI CONTINUITÀ / DISCONTINUITÀ POSITIVA NEL CURRICOLO VERTICALE DI ‘AREA’: QUADRI GENERALI E APPROFONDIMENTI Un esempio di continuità / discontinuità positiva nel curricolo verticale di area geo­storico­sociale è quello del diverso dosaggio, nei differenti cicli scolari, di due componenti indispensabili: ­ i quadri generali di riferimento spaziotemporale­sociali e geo­storico­sociali; ­ gli approfondimenti. In ogni ciclo scolare, infatti, si tratta di trovare un equilibrio fra due esigenze apparentemente di segno opposto (si veda il punto 3.1): ­ l'esigenza di generalizzare e astrarre, per evitare un eccessivo monografismo e favorire la costruzione di quadri di riferimento generale spaziotemporale­sociali e geo­storico­sociali, anche grazie al ricorso a tipologie (si veda il punto 3.2); ­ quella di approfondire e concretizzare, per evitare che l'astrazione si riduca ad astrattezza o astrusità, anche grazie il ricorso ad esempi flash e/o allo studio di casi (si veda il punto 3.2). Un elemento di continuità / unitarietà positiva può essere garantito dalla ricerca, in ogni ciclo scolare, di un equilibrio fra ­ la costruzione di quadri generali tipologici di riferimento spaziotemporale­sociali e geo­storico­ sociali; ­ il ricorso a esemplificazioni e approfondimenti di casi. Un elemento di discontinuità / specificità / gradualità positiva può essere assicurato dalla graduazione, in ogni ciclo scolare, di specifici modi diversi di dosare l'equilibrio tra forme diverse di ­ quadri generali di riferimento; ­ approfondimento. Per esempio, un elemento di continuità / unitarietà, anzitutto, ma anche di discontinuità / specificità / gradualità positive può essere garantito ­ con l’introduzione, in forme diverse, in tutti i cicli scolari, di alcune tematiche trasversali ricorrenti (es.: gioco; famiglia; gruppo dei pari; scuola; quartiere; animali; piante; alimentazione; abbigliamento; abitazione; viaggi; scambi; conflitti), trattate prima in chiave predisciplinare, poi disciplinare e infine interdisciplinare di 'area'; ­ con un percorso a spirale dal sé / vicino all'altro / lontano spaziale, temporale, sociale, cognitivo (dai saperi quotidiani spaziotemporale­sociali a quelli disciplinari geo­storico­sociali) e socioaffettivo­relazionale. Un altro elemento di discontinuità / specificità soprattutto, ma anche di continuità / unitarietà / gradualità positive può essere assicurato dal passaggio graduale
8 ­ da forme più semplici ­ a forme via via più complesse di quadri di riferimento ­ spaziotemporale­sociali ('scene sociali': quadri di riferimento spaziotemporale­sociali esperiti nella vita quotidiana); ­ geo­storico­sociali ('quadri di ambiente', 'quadri di civiltà' o 'quadri di società'). Una corretta applicazione dell'approccio per tipologie e casi può consentire di evitare un dualismo fra quadri di riferimento e approfondimenti, favorendo gli snodi reciproci (si vedano i punti 3.1 ­ 3.2). 2.3 UN ESEMPIO DI GRADUALITÀ E DIFFERENZIAZIONE NEL CURRICOLO DI STORIA: L’APPROCCIO PER QUADRI DI CIVILTÀ La tipologia più semplice e meno etnocentrica dei quadri di civiltà è la seguente: 1. società di caccia / pesca / raccolta; 2. società agropastorali; 3. società industriali; 4. società post­industriali (Brusa, 1986; Brusa e altri, 2000: 35­46; Gusso, 1998 c: XIII­XIV). Si predilige il termine "società" per evitare di far riferimento alla tradizionale distinzione tra "civiltà", dotate di scrittura, e "culture", prive di scrittura; oggi, del resto, non si usa più il termine "civiltà" al singolare, in senso assoluto ed astratto, ma solo al plurale, in senso concreto, senza più stabilire una gerarchia tra le diverse civiltà (Aa. Vv., 2001 a, 2001 b; Braudel, 1976, I: 17­55). La griglia proposta può sembrare affetta da un taglio eccessivamente economicistico, ma è anche vero che l’attività economica è uno degli aspetti più visibili e rilevanti di una civiltà e che intorno ad essa si possono aggregare in modo non meccanico e non deterministico altre macro­variabili di civiltà, concernenti la cultura materiale, l’ambiente, l’organizzazione sociale, quella politico­ istituzionale e la cultura. Non bisogna trattare mai meno di due esempi / casi per ogni quadro di civiltà: infatti, se per un quadro di civiltà ci si limita a un solo esempio, gli allievi rischiano o di fare generalizzazioni indebite (per esempio, estendendo a qualsiasi civiltà agropastorale i tratti specifici dei primi villaggi neolitici) o di non riconoscere i tratti comuni a sottotipi diversi di uno stesso quadro di civiltà. Per i quadri più duraturi o che hanno lasciato più tracce nel nostro territorio (locale, regionale, nazionale o continentale) ­ soprattutto il quadro delle civiltà agropastorali ­ si potranno fare esempi più numerosi, esplicitando la classificazione in sottotipi adottata. Occorre anche variare gli spazi, in modo da coprire la maggior parte delle aree geostoriche del mondo con i diversi tipi di quadri di civiltà. Per ciascuno dei quadri di civiltà si dovrà seguire l’approccio per tipologie / casi, fornendo, cioè, pochi elementi essenziali generali e ritrovandoli o approfondendoli in qualche esempio specifico. I) Società di caccia­pesca­raccolta Occorre variare gli esempi in modo da coprire sia il vicino, sia il lontano spaziale e temporale. Si potrebbero prendere in esame ­ le origini paleolitiche (es.: il Paleolitico in Italia, analizzabile anche su scala locale) ­ e la situazione attuale, o almeno l'’800­‘900: oggi, infatti, non esistono più società di caccia­pesca­raccolta allo stato puro, ma c’è sempre un certo grado di integrazione con l’agricoltura; è comunque, interessante esaminare casi di popoli cacciatori / pescatori / raccoglitori, tuttora esistenti, come gli eschimesi / inuit, i pigmei, i boscimani, gli aborigeni australiani o alcune popolazioni amazzoniche come gli shuar. Sarebbe anche interessante analizzare l’impatto fra
9 ­ una società di caccia­pesca­raccolta ­ e la colonizzazione occidentale o una società industriale o post­industriale. II) Società agropastorali Le società agropastorali sono caratterizzate da una grande trasformazione interna al settore primario, ma conoscono importanti mutamenti anche nel settore secondario (dall’artigianato alla manifattura) e terziario (passaggio dall’economia del dono e dal baratto al commercio e all’economia monetaria; sviluppo della amministrazione ecc.). Si potranno scegliere dei sottotipi di quadri di civiltà agropastorali come i seguenti. A) Prime società agropastorali rurali: primi villaggi di agricoltori neolitici (es.: Anatolia; Mezzaluna fertile; Italia, anche su scala locale). B) Società prevalentemente pastorali: pastori delle steppe, grandi nomadi come unni, mongoli, turchi, beduini della penisola arabica ecc.. Si preferisce in questo caso adottare il termine "pastori", mentre si riserva il termine "allevatori" alle società, successive alla 'rivoluzione agronomica' dei secoli XVII­XVIII, che praticano anche l’allevamento in stalla e presentano integrazione, anziché conflitto, fra allevamento e agricoltura (cfr. Fabietti, 1980). Dato che anche in Italia la pastorizia ha conservato una certa importanza (vedi, per es., i casi dell’Abruzzo e della Sardegna), è preferibile trattare una società agricola in meno e lasciare spazio anche ad almeno una società pastorale. C) Prime società agrarie urbane: si includono qui quelle che vengono chiamate tradizionalmente le rivoluzioni urbana, dell’irrigazione e metallurgica, fenomeni in genere strettamente collegati. Si potrà scegliere una delle civiltà d’acqua / d’irrigazione ­ fluviali (es.: Egitto, Mesopotamia, Cina, India) ­ o di canali (es.: Persia, Bali, Liguria). Occorre fare una precisazione sui termini: la coppia "agricolo" vs "industriale" si riferisce al tipo di economia, di produzione; la coppia "rurale" vs "urbano" si riferisce alla forma di insediamento. In questo modo possiamo avere una società agricola, ma poco rurale, come nel caso delle società imperiali preindustriali, che sono società urbane, in cui, però, la stragrande maggioranza della popolazione lavora ancora nell’agricoltura. Anche quando trattiamo i comuni medievali, enfatizziamo di solito l’aspetto urbano, dimenticando che il comune urbano non sarebbe esistito senza il comune rurale, cioè senza un forte rapporto di interdipendenza fra città e campagna. D) Società agropastorali urbane metropolitane imperiali, schiaviste o servili (il termine "metropolitano" fa riferimento al tipo di insediamento; "imperiale" si riferisce all’organizzazione politica): in genere, sono fondate su un sistema ­ schiavistico (es.: impero romano) ­ o servile (es.: Sacro romano impero). E) Società miste agropastorali, con forte sviluppo dell’artigianato e del commercio: si potranno fare i seguenti esempi: ­ città­stato greche, oppure Comuni medievali (fase di riurbanizzazione successiva alla fase di riruralizzazione di età feudale, seguita alla crisi dell'impero romano); ­ oggi: "Sud" del mondo. F) Società agropastorali coloniali, basate sull’economia di piantagione. Quando gli spagnoli e i portoghesi arrivano nell’America centro­meridionale trovano società ­ sia di caccia / pesca / raccolta, ­ sia agropastorali di villaggio, o urbane e perfino imperiali (es.: inca), ma sconvolgono questo ordine attraverso l’etnocidio, l’asservimento delle popolazioni, la tratta degli schiavi dall’Africa e l’economia di piantagione (monocultura). III) Società industriali
10 Per quanto riguarda la ‘prima rivoluzione industriale’, si può fare l’esempio classico della Gran Bretagna. La prima rivoluzione industriale è quella che porta un paese da un’economia agricolo­ artigianale­manifatturiero­commerciale a un’economia agricolo­industriale. La parte riservata all’industria è ancora quantitativamente esigua, ma ha un’importanza centrale. Nel caso della Gran Bretagna, assumono grande rilievo i settori tessile e meccanico, grazie all’impiego di nuove fonti di energia e macchine (energia / macchine a vapore). Nella ‘seconda rivoluzione industriale’ i settori di punta non sono più il tessile e il meccanico, ma l’elettromeccanico, l’automobilistico, il siderurgico, il chimico, il petrolifero, grazie all’impiego di nuove fonti di energia e macchine (l'elettricità, l’energia idroelettrica, il motore a scoppio, il petrolio). Quella che in alcuni paesi, come la Gran Bretagna, è già una seconda rivoluzione industriale, in altri paesi, come l’Italia, rappresenta, però, la prima vera fase dell’industrializzazione. Gli esempi più significativi potrebbero essere, accanto al caso italiano (analizzabile anche su scala locale), quelli degli Usa e della Germania. La ‘terza rivoluzione industriale’ vede il doppio sorpasso dell’industria e del terziario sull’agricoltura e quindi il passaggio da paese agricolo­industriale­terziario a paese industriale­ terziario­agricolo (in Italia questo avviene fra i censimenti del 1951 e del 1961, negli anni del boom economico). In questo caso i settori trainanti diventano quelli chimico­tessile (fibre artificiali), elettronico, elettromeccanico (elettrodomestici), automobilistico. Si potranno prendere ad esempio i casi dell’Italia (analizzabile anche su scala locale) o degli Stati Uniti. Sarebbe anche interessante vedere un esempio di ‘industrializzazione forzosa’ di un paese prevalentemente agricolo dell’Est o del Sud del mondo, caratterizzata dalla prevalenza di industria pesante, siderurgica e meccanica (es.: Urss, Cina). Sarebbe opportuno introdurre un esempio relativo alla ‘prima rivoluzione industriale’ e uno relativo alla ‘industrializzazione forzosa’ o alla ‘terza rivoluzione industriale’, in tempi più vicini a noi. IV) Società postindustriali: questa fase è caratterizzata ­ dalla diffusione del terziario avanzato (che qualcuno chiama ‘quaternario’): servizi sociali, servizi culturali, ricerca scientifica avanzata ecc.; ­ dallo sviluppo dell’informatica, della telematica ('società dell'informazione') ecc.; ­ da nuove forme di organizzazione del lavoro nell’industria (al fordismo ­ es.: catena di montaggio per la produzione in serie ­ si sostituiscono forme di organizzazione del lavoro innovative, dette "post­fordiste", come il toyotismo). Gli esempi potrebbero essere due: l’Italia (magari l’area del Nord­Est / adriatica) e gli Stati Uniti o il Giappone. Nel curricolo verticale innovativo di storia si può pensare (Gusso, 1998 c: XIII­XIV) I) a un passaggio graduale dalle ‘scene sociali’ ai ‘quadri d’ambiente’ e ai ‘quadri di civiltà’ fra il primo e il secondo ciclo della scuola elementare; II) a un approccio sistemico, ma non totalizzante, ai quadri di civiltà fra la scuola media e il biennio iniziale ‘obbligatorio’ della secondaria superiore; III) a un approccio più problematico, comparativo e laboratoriale, con le opportune curvature ‘di indirizzo’, che, però, recuperi come cornici tipologiche e periodizzanti i quadri di civiltà, nel triennio finale della secondaria superiore.
11 3. DIMENSIONE ‘PROFONDA' DEL CURRICOLO: METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE CURRICOLARE La dimensione ‘profonda’, ossia metodologica, consiste in una progettazione curricolare flessibile, per ­ temi / problemi (si vedano i punti 3.3 e 3.4); ­ tipologie / casi (si veda il punto 3.2); ­ filoni ricorrenti di finalità, temi e strategie didattiche fra loro coerenti (si veda il punto 3.5), riconducibili alle 'nuove educazioni trasversali', come le educazioni civica, allo sviluppo sostenibile, alla pace, all’interculturalità, alle pari opportunità ecc. (Aa. Vv., 1999 b; Gusso, 1990; 1994: 157­159; 1998 b: 29­38; 1998 c: XVII; 1999 a; 1999 b; 1999 c); ­ competenze (Associazione Clio ’92, 2000: 229­238; Gusso, 2000 a: 173­178); ­ concetti; ­ 'moduli' (Aa.Vv., 1999 a: 115­121; Brusa, 2001 b; Cajani, 2000: 57­95) o unità didattiche ‘strategiche’ e generalizzabili (Gusso, 1994: 159­162). Essa è caratterizzata, inoltre, da un approccio ­ ‘integrale’, ossia integrante obiettivi cognitivi (conoscenze e abilità graduate dal semplice al complesso) e socioaffettivo­relazionali (atteggiamenti e comportamenti); ­ intersoggettivo, attento alle identità / differenze personali, di età, generazione, genere e ruolo (Aa. Vv., 1993; Brigadeci, 2001; Cirio, 1991; Delmonaco, 2000; Passerini, 1988); ­ interattivo, ludico 8 , multi­ / iper­ mediale (Aa.Vv., 1998 a; Brusa – Bresil, 1994­1996; 2002); ­ da laboratorio (Bernardi, 2002; Brigadeci e altri, 2001; Brusa, 1991; Brusa – Bresil, 1994­1996; Cornacchioli, 2002: 235­286; Deiana, 1999; Delmonaco, 1995). L'ottica interculturale e in particolare europea implica ­ una riduzione del tasso di etnocentrismo (Aa. Vv., 1998 a; Baldocchi, 2002; Brusa, 1997; 2000 c; Brusa e altri, 2000; Cajani, 2000), sessocentrismo e sociocentrismo (Gusso, 1999 a: 224); ­ un’attenzione agli intrecci fra scala planetaria, nazionale, regionale­funzionale (sovranazionale e subnazionale) e locale (Associazione Clio ’92, 2000: 195­201; Brusa e altri, 2000: 32­33; Gusso, 2000 b: IX­X); ­ un'educazione alla dimensione europea (Baldocchi, 2002: 37­46). 3.1 UN APPROCCIO CHE PERMETTE DI SELEZIONARE, IN BASE A CRITERI ESPLICITI, I CONTENUTI DI UNA PROGETTAZIONE CURRICOLARE DI AREA GEO­STORICO­ SOCIALE Il problema dei problemi per i docenti delle materie dell'area è quello della sproporzione fra ­ la sovrabbondanza dei contenuti ­ e lo scarso numero di ore disponibili. Un buon insegnante avverte due esigenze come altrettanto sacrosante e in oggettivo conflitto fra loro: ­ da un lato, quella di non risolvere un anno di insegnamento in una serie di monografie a sé stanti, ma di costruire quadri generali di riferimento geo­storico­sociale; ­ dall’altro, un’esigenza di concrete esemplificazioni, di approfondimento ‘monografico’. A questa doppia esigenza risponde un noto modello universitario, che influenza anche la didattica nei gradi di scuola precedenti: quello per cui un anno di insegnamento accademico si articola ­ in una ‘parte generale’ ­ e in un ‘corso monografico’. 8 Per l’attività dell’associazione Historia ludens se ne veda il sito: http://www.eostel.it/historia_ludens.
12 Tale modello funziona solo a due condizioni (si veda il punto 3.2): a) la parte generale dovrebbe rinunciare alla pretesa di sistematicità e di enciclopedismo descrittivo per dedicarsi a costruire delle tipologie consapevolmente convenzionali, accompagnate da alcuni esempi abbastanza rapidi e dal rinvio a qualche successivo approfondimento in sede di corso monografico; b) il corso monografico dovrebbe mostrare sia gli elementi di tipicità, sia quelli di originalità del caso prescelto, rinviando alle tipologie esplicitate nella parte generale. Se queste due condizioni non si realizzano, il modello non funziona e produce il ben noto dualismo fra parte generale e corso monografico: a) la parte generale si riduce a un’arida, astratta grammatica nozionistica; b) il corso monografico degenera in monografismo, cioè in una forma eccessiva di approfondimento, slegato da precisi rinvii a tipologie e a un quadro generale di riferimento. L’esiguità del tempo a disposizione per le materie geo­storico­sociali nei gradi di scuola precedenti complica ulteriormente la situazione: per una specie di ‘legge della coperta corta’, ogni ora in più dedicata alla costruzione di quadri generali di riferimento geo­storico­sociale sembra un’ora sottratta alle esemplificazioni concrete; ogni ora in più dedicata alle esemplificazioni concrete sembra un’ora sottratta alla costruzione dei quadri di riferimento. La risposta a questa duplice esigenza può essere quella di un approccio per tipologie / casi, per temi / problemi, filoni ricorrenti di finalità, temi e ‘strategie didattiche’. 3.2 L’APPROCCIO PER TIPOLOGIE E CASI Una patologia diffusa nell’insegnamento delle materie geo­storico­sociali è quella dell’approccio enciclopedico­descrittivo e sistematico. In particolare, nel caso di storia, un malinteso senso della continuità storica, congiunto a una sopravvalutazione del ruolo della narrazione (o a una confusione fra la narrazione della storiografia e quella della fiction), conduce ­ a una sorta di ‘popolo scaccia popolo’ (o ‘epoca scaccia epoca’), ossessiva e frustrante fatica di Sisifo, ­ o a un etnocentrico evoluzionismo unilineare. Questo approccio va sostituito con uno sistemico, per tipologie e casi. Il punto di partenza è quello di un uso consapevolmente convenzionale di strumenti di semplificazione non semplicistica della realtà come le classificazioni. Se i fatti / processi / fenomeni geo­storico­sociali sono così numerosi e complessi che per nominarli tutti occorrerebbe un anno di scuola, è meglio provare a raggrupparli in base a delle tipologie esplicite, ­ citando per ogni tipo un esempio flash, quando il tempo è poco, ­ e rinviando ­ con la consolidata tecnica didattica della ‘anticipazione e ripresa’ ­ a un successivo (ma non troppo distante nel tempo) approfondimento monografico, quando il tempo consente una sorta di ‘studio di caso’, di cui mostrare gli elementi sia di tipicità sia di originalità. Non ha senso, per esempio, studiare cretesi, micenei, fenici, cartaginesi, greci e romani come tanti alberi a sé stanti, a prescindere dal loro formare la foresta dei popoli (o dei modelli di colonizzazione) mediterranei. 3.3 L’APPROCCIO PER TEMI Tematizzare un contenuto significa delimitare l’ambito del suo approfondimento.
13 Nel caso degli insegnamenti geo­storico­sociali ciò vuol dire compiere cinque grandi tipi di operazioni, che corrispondono a cinque ‘macroconcetti’ fondativi dell’area geo­storico­sociale (si veda il punto 1.2) e costituiscono le risposte a cinque ‘domande di controllo’ fondamentali: a) delimitare l’oggetto di insegnamento / studio / ricerca, ovvero costruire operativamente il fatto / processo / fenomeno geo­storico­sociale indagato (che cosa è avvenuto / avviene? che cosa stiamo insegnando / studiando / indagando?); b) contestualizzarlo nella società, ossia individuare quali sono le forze geo­storico­sociali attive in tali fatti / processi / fenomeni, secondo una ‘scala sociale’ individuo ­ gruppi sociali ­ comunità ­ movimenti ­ istituzioni ­ società (chi è che fa quel ‘che cosa’?); c) contestualizzarlo nello spazio, cioè situare quei fatti / processi / fenomeni nei rispettivi spazi, secondo una ‘scala spaziale’ dal locale al regionale subnazionale, al nazionale, al regionale sovranazionale, fino al planetario (dove si situano quel ‘che cosa’ e quel ‘chi’?); d) contestualizzarlo nel tempo, ovvero collocare quei fatti / processi / fenomeni nel tempo, datandoli, inserendoli in una cronologia e misurandone la durata, secondo una ‘scala temporale' ’breve durata degli avvenimenti ­ media durata dei cicli ­ lunga durata delle strutture’ (quando si verifica quel ‘che cosa’? quando agisce quel ‘chi’?); e) delimitarne le variabili / gli aspetti privilegiati, per esempio le ‘variabili di civiltà’ relative all’ambiente e alla cultura materiale, all’economia, all’organizzazione sociale, alla politica e alla cultura (quali aspetti / variabili privilegiare in quel ‘che cosa’?). 3.4 L’APPROCCIO PER PROBLEMI Problematizzare un tema significa riesaminarlo in base a delle domande 'strategiche', significative da un punto di vista sia culturale / disciplinare, sia formativo­didattico. Si tratta di individuare dei problemi sia culturalmente, sia socialmente e pedagogicamente rilevanti, ossia problemi ­ su cui gli storici si interrogano ancora, ma su cui la ricerca storica e la divulgazione storiografica e manualistica hanno già prodotto dei 'grandi o piccoli classici'; ­ percepiti o percepibili come tali dagli allievi e dalle loro subculture di riferimento; e quindi in grado di gettare un ponte ­ sia tra formazione scolastica e formazione extrascolastica; ­ sia fra passato e presente. 3.5 L’APPROCCIO PER FILONI RICORRENTI DI FINALITÀ, TEMI E STRATEGIE DIDATTICHE FRA LORO COERENTI Individuare, all’interno di un piano di lavoro personale di materia, dei filoni ricorrenti di temi, finalità e strategie didattiche fra loro coerenti è un modo di evitare di ridurlo a una somma di unità di lavoro monografiche e slegate fra loro (tante perle senza filo non fanno una collana) o collegate da un unico filo conduttore, che rischia di tradursi in un monografismo unilaterale o in una filosofia della storia imposta. Ogni 'filone' può essere definito da un insieme omogeneo di temi, concetti­chiave e finalità e inglobare due o più unità didattiche (o moduli), anche non consecutive. Per esempio, nel corso della ricerca­azione “Per un curricolo continuo di formazione geo­storico­ sociale”, promossa dall'Irrsae Lombardia, l'area geo­storico­sociale è stata fondata, in modo consapevolmente convenzionale, su cinque filoni ricorrenti (e intrecciati) di finalità e temi:
14 Finalità Concetti­chiave 1. Educazione socio­ambientale Uomini, ambienti, civiltà 2. Educazione interculturale Cultura / culture; identità, appartenenze, differenze 3. Educazione alla pace Pace, guerra; conflitto, convivenza, negoziazione, cooperazione 4. Educazione allo sviluppo Sviluppo / sottosviluppo; popolazione, risorse, territorio 5. Educazione alla socialità Individuo / istituzioni / società; regole, norme, valori Nella seguente tabella ho provato a ridurli a quattro. Nella sua colonna di sinistra compaiono le finalità, ossia gli obiettivi formativi (anche socioaffettivo­relazionali). Nella sua colonna di destra compaiono i corrispettivi concetti­chiave, all’incrocio fra obiettivi cognitivi (concettualizzare è pur sempre un’abilità) e contenuti (opportunamente tradotti in concetti). Finalità Concetti­chiave 1. Educazione allo sviluppo sostenibile Uomini, ambienti, civiltà; sviluppo / sottosviluppo; popolazione, risorse, territorio 2. Educazione interculturale e alle pari Cultura / culture; identità, appartenenze, differenze; opportunità genere / sesso, diritti / doveri, pari opportunità 3. Educazione alla pace Pace, guerra; conflitto, convivenza, negoziazione, cooperazione 4. Educazione civico­sociale Individuo / istituzioni / società; regole, norme, valori; diritti / doveri; inclusione / esclusione; potere / rappresentanza / partecipazione A ognuno di questi quattro filoni di finalità e temi sono riconducibili varie 'nuove educazioni trasversali': a) all’educazione allo sviluppo sostenibile si possono ricondurre l’educazione all’ambiente, l’educazione allo sviluppo e l’educazione allla mondialità; b) all’educazione interculturale e alle pari opportunità si possono ricondurre l’educazione interculturale, al non­razzismo e alla tolleranza e l’educazione alle pari opportunità; c) l’educazione alla pace va intesa come educazione alla risoluzione non violenta o alla negoziazione dei conflitti; d) all’educazione civico­sociale si possono ricondurre l’educazione civica, l’educazione alla socialità, l’educazione alla legalità e l’educazione ai diritti umani. Tra i quattro filoni c'è un'ampia fascia di sovrapposizione, anche se ognuno dei quattro mantiene un suo nucleo più specifico. I filoni sono stati scelti in base ai seguenti criteri: la possibilità di ricondurli a a) temi/problemi e concetti­chiave ­ sia specifici del mondo attuale; ­ sia sedimentati su più lunghe durate (anche sull'intero arco storico); b) problemi significativi da un punto di vista ­ sia culturale / storiografico; ­ sia sociale e pedagogico (si veda il punto 3.4); c) finalità ­ sia generali o trasversali; ­ sia specifiche di storia o dell'area geo­storico­sociale; d) percorsi didattici sostenibili, modulari, generalizzabili e interattivi.
15 3.6 GLI ELEMENTI DEL CURRICOLO COME CRITERI PER LA SELEZIONE DEI CONTENUTI Il problema da cui siamo partiti (la sproporzione fra la sovrabbondanza dei contenuti possibili e lo scarso tempo a disposizione) implica la difficoltà di selezionare i contenuti secondo criteri espliciti, trasparenti e condivisi. Fra le strategie per selezionare i contenuti, oltre all’approccio per tipologie e casi e per filoni ricorrenti di temi e finalità, può essere valorizzato anche un modo di intendere la progettazione curricolare come un insieme di relazioni coerenti fra contenuti, obiettivi e strategie didattiche. In effetti, i contenuti possono essere selezionati a) in base a selettori ‘interni’ di tipo contenutistico (v. l'approccio per temi / problemi e filoni ricorrenti di temi e la ricerca di contenuti ‘facilitatori’ di apprendimento); b) utilizzando come selettori le finalità e gli obiettivi, deducibili da un’analisi dei bisogni formativi specificamente geo­storico­sociali degli studenti e dalle valenze formative delle discipline geo­ storico­sociali (in particolare i contributi che gli insegnamenti geo­storico­sociali possono dare alle finalità generali dell'orientamento scolastico, professionale, civile e personale e all'alfabetizzazione funzionale all'esercizio dei diritti / doveri connessi alla cittadinanza: Gusso, 1998 c: XII); c) utilizzando come selettori le strategie didattiche più ‘economiche’, ossia quelle che ­ a parità di rilevanza culturale dei contenuti e di rilevanza formativa degli obiettivi ­ presentano il miglior rapporto fra costi e ricavi. Non ha, quindi, senso contrapporre una programmazione per obiettivi a una programmazione per temi e problemi o per concetti o per procedure o per competenze: quello che conta è la coerenza fra questi diversi elementi. Riferimenti bibliogr afici ­ Aa. Vv., 1993 = Aa. Vv., Generazioni. Trasmissione della storia e tradizione delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino, 1993 ­ Aa. Vv., 1994 = Aa. Vv., Per un curricolo continuo di formazione geostorico­sociale nella scuola di base, Irrsae Lombardia, Milano, 1994, voll. 2 ­ Aa. Vv., 1998 a = Aa. Vv., Seminario di Studio e Produzione "Il Novecento e la Storia", Ministero della Pubblica Istruzione / Direzione Generale Istruzione Secondaria di I Grado, Roma, s.d. (ma 1998) (cd­rom) ­ Aa. Vv., 1998 b = Aa. Vv., Scienze geostorico­sociali per un curricolo verticale. Dalla Ricerca­Azione alla Sperimentazione Assistita , Irrsae Lombardia, Milano, 1998 ­ Aa. Vv., 1999 a = Aa. Vv., …"non è più la stessa storia!” , Ministero Pubblica Istruzione / Direzione Generale Istruzione Professionale, Roma, 1999 ­ Aa. Vv., 1999 b = Aa. Vv., Dossier Quali storie del '900. Curricolo verticale: ipotesi di lavoro, "Strumenti Cres", 1999, n. 22 (supplemento a "Mani Tese", 1999, n.360), pp. 13­36 ­ Aa. Vv., 1999 c = Aa. Vv., Lo sguardo di Giano. La storia del Novecento nella scuola elementare, Ministero della Pubblica Istruzione / Direzione Generale dell'Istruzione Elementare ­ Anicia, Roma, 1999 ­ Aa. Vv., 2000 a = Aa. Vv., Tesi sulla didattica della storia, "I Quaderni di Clio '92", 2000, n.1, pp.11­44 (per una versione successiva in italiano e in inglese cfr. Aa.Vv., Tesi sulla didattica della storia / Theses on history teaching and learning, Clio ’92, Bologna, 2003) ­ Aa. Vv., 2000 b = Aa. Vv., Dalla storia alle storie n. 1 e Dalla storia alle storie n. 2, in Associazione Clio '92, 2000, pp. 210­220 e 221­227 ­ Aa. Vv., 2001 a = Aa. Vv., Documento conclusivo del Gruppo di lavoro Aggregazione disciplinare storico­ geografico­sociale, in Aa. Vv., Sintesi dei gruppi di lavoro della Commissione di studio per il programma di riordino dei cicli di istruzione del Ministero della Pubblica Istruzione (L. n. 30 del 10/02/2000), Ministero della Pubblica Istruzione, Roma, 2001 (reperibile nel sito del Ministero della Pubblica Istruzione: http://www.istruzione.it) ­ Aa. Vv., 2001 b = Aa. Vv., Indirizzi per l'attuazione del curricolo, in G.Cerini – I.Fiorin (a c. di), I curricoli della scuola di base. Testi e commenti, Tecnodid – Zanichelli, Napoli – Bologna, 2001, pp.21­138
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