fotodiodi - fototransistori - fotoresistori

FOTODIODI - FOTOTRANSISTORI - FOTORESISTORI
RIVELATORI DI RADIAZIONI INFRAROSSE
RIVELATORI PIROELETTRICI
I fotosensori a semiconduttore sono quei componenti che risultano sensibili alle radiazioni
elettromagnetiche.
L'effetto fotoelettrico di giunzione è alla base del funzionamento di fotodiodi e fototransistori;
l'effetto fotoconduttivo è alla base del funzionamento dei rivelatori di radiazioni infrarosse e dei
fotoresistori .
FOTODIODI
1. Generalità sui fotodiodi.
É noto che la caratteristica corrente-tensione di una giunzione PN al Ge o al Si ha un
comportamento non ohmico e passa per l'origine degli assi (fig. 1).
Si è scoperto che illuminando il dispositivo in corrispondenza della giunzione PN, la sua
caratteristica trasla verso il basso come indicato in fig. 1. La curva a tratto pieno si riferisce al
dispositivo nel buio , mentre quella tratteggiata al dispositivo colpito dalla luce sulla sua giunzione.
Un diodo a giunzione PN , costruito in modo che la sua giunzione possa essere colpita da una
radiazione luminosa è detto fotodiodo semiconduttore o fotocellula a giunzione e può essere usato
come dispositivo fotoconduttore o come dispositivo fotovoltaico.
Come dispositivo fotoconduttore, il fotodiodo è polarizzato in direzione inversa e la tensione
d'uscita viene sviluppata ai capi di una resistenza di carico RL in serie (fig. 1). Come dispositivo
fotovoltaico il fotodiodo è usato per convertire la potenza raggiante direttamente in potenza elettrica.
In fig. 1 il terzo quadrante corrisponde al funzionamento fotoconduttivo , mentre il quarto
quadrante corrisponde al funzionamento fotovoltaico.
Prendendo in considerazione il funzionamento fotoconduttivo , le curve del terzo quadrante di fig.
1 vengono per comodità ruotate di 180° come mostrato in fig. 2. Nel fotodiodo fotoconduttivo con la
giunzione PN polarizzata inversamente , la corrente varia quasi linearmente con il flusso luminoso.
2. Costruzione dei fotodiodi.
I fotodiodi sono fatti con materiale semiconduttore , germanio o silicio monocristallino.
Essenzialmente non sono altro che diodi a giunzione p-n polarizzati in senso inverso realizzati in
modo da raccogliere con la massima efficienza l'energia luminosa incidente lasciandola penetrare fino
nella carica spaziale (o zona di svuotamento) della giunzione (fig. 3).
La luce genera in questa regione una quantità di coppie elettrone-lacuna , che vengono separate
dal campo elettrico che si forma alla giunzione e spinte in direzioni opposte : in particolare gli elettroni
vengono attratti verso la zona n e le lacune verso la zona p , generando una fotocorrente diretta come
la corrente inversa di giunzione ed approssimativamente proporzionale all'intensità luminosa incidente
. In assenza di luce scorrerà attraverso la giunzione del diodo solo la debole corrente di oscurità IRO . In
presenza di luce avremo pertanto una corrente aggiuntiva , la fotocorrente IF , per cui la corrente
complessiva circolante nel diodo sarà:
ID = IRO + IF
La corrente in un fotodiodo semiconduttore polarizzato inversamente dipende dalla diffusione dei
portatori minoritari verso la giunzione. Se la radiazione luminosa viene focalizzata in una piccola area
lontano dalla giunzione , i portatori minoritari iniettati possono, prima di diffondere verso la giunzione,
ricombinarsi tra loro e quindi si ha una corrente molto più piccola di quella che si avrebbe se i portatori
minoritari venissero iniettati nei pressi della giunzione . La fig. 4 mostra l'andamento della corrente
attraverso il fotodiodo esplorando il dispositivo mediante un punto luminoso; la corrente varia
esponenzialmente con la distanza tra la giunzione ed il punto luminoso; la curva è asimmetrica dati i
diversi valori delle lunghezze di diffusione dei portatori minoritari nelle regioni P ed N, e per grandi
distanze del puntino luminoso dalla giunzione, tende al valore della corrente di oscurità .
In fig. 5 è riportata una famiglia di curve di un fotodiodo al silicio. In ordinata è indicata la
fotocorrente ID, in ascissa la tensione VR, come parametro vengono dati differenti valori di intensità
luminosa.
La sensibilità spettrale di un fotodiodo dipende dal valore del salto di energia del materiale
semiconduttore impiegato.
Nei diodi al silicio, la massima sensibilità spettrale si ha in corrispondenza delle lunghezze d'onda
comprese tra 800 e 900 nm. La banda delle frequenze luminose alle quali il fotodiodo può rispondere
può essere modificata impiegando opportuni filtri . Per esempio, nei sistemi di telecomando ad
infrarossi viene di solito usato il fotodiodo BPW 50 , il quale, munito di un filtro per l'infrarosso, rende
il fotodiodo insensibile alla luce diurna e consente quindi un più favorevole rapporto segnale/disturbo;
il filtro permette infine di adattare la sensibilità del fotodiodo alla curva di emissione del diodo
trasmettitore (fig. 6).
I tempi di commutazione dei fotodiodi comunemente impiegati sono dell'ordine del microsecondo;
nei fotodiodi veloci possono essere 100 volte inferiori.
I fotodiodi offrono rispetto ai tradizionali dispositivi fotosensibili, cioè i fotoresistori e i rivelatori
di radiazioni infrarosse, il vantaggio di una più lunga durata ed un'area attiva estremamente ridotta;
quest'ultima prerogativa è di notevole utilità nelle applicazioni in cui i fotodiodi sono utilizzati come
indicatori di posizione.
FOTOTRANSISTORI
4. Generalità sui fototransistori.
I fototransistori sono dispositivi che rivelano la presenza di radiazioni visibili e, a differenza dei
fotodiodi sono in grado di dare una certa amplificazione alla fotocorrente prodotta. Sono costruiti alla
stessa maniera dei normali transistori e da questi differiscono solo per avere in testa, una finestra che
consente alla radiazione visibile di colpire la giunzione collettore-base.
Il meccanismo di funzionamento è quello classico già illustrato a proposito degli altri dispositivi
fotosensibili con la differenza che , in questo caso, è la giunzione base-collettore che funziona da
fotodiodo (fig. 18). I fotoni incidenti producono al momento dell'impatto nella regione della giunzione
collettore-base coppie di elettroni-lacune. La giunzione base-collettore è polarizzata in senso inverso,
per cui le lacune si dirigeranno verso la base e gli elettroni verso la regione del collettore. La giunzione
base-emettitore, polarizzata invece in senso diretto, farà sì che le lacune pervenute sulla base si
dirigano verso l'emettitore mentre gli elettroni si dirigeranno dall'emettitore alla base. A questo punto
si instaura il meccanismo di funzionamento del transistore in base al quale gli elettroni iniettati
dall'emettitore attraverso il sottile strato della regione della base verranno catturati dal collettore che si
trova a polarità positiva. É questo flusso di elettroni che costituisce la corrente prodotta dalla luce, e
cioè la fotocorrente. in definiva quindi le coppie di elettroni-lacune prodotte dalla radiazione luminosa
tenderanno ad aumentare la corrente di base, per cui , se il fototransistore sarà collegato alla
configurazione con emettitore in comune, la corrente di base prodotta dalla radiazione luminosa
risulterà automaticamente moltiplicata dal fattore di amplificazione hFE del transistore e costituirà la
corrente di collettore, che è data da :
IC = ßIB + (ß + 1) ICBO = ßIB + ICO = ßIB
La corrente di saturazione di collettore Ico, detta in questa caso corrente di oscurità, è in genere di
valore trascurabile; la corrente di collettore Ic corrisponderà allora alla corrente di base IB moltiplicata
per il fattore di amplificazione ß del transistore.
In fig. 19 si può vedere l'andamento della fotocorrente (Ic) in funzione della tensione VCE , per
differenti valori della radiazione incidente espressa in lux ( lx ) .
5. Fototransistori commerciali.
Con un'adatta scelta di materiali è possibile ottenere da un fototransistore una corrente, a parità di
illuminazione, 100 volte più grande di quella di un semplice fotodiodo. Questo fatto però non
determina la superiorità del fototransistore sul fotodiodo, almeno nella maggior parte delle
applicazioni.
Innanzitutto, la corrente di oscurità Ico del fototransistore, pur essendo trascurabile, risultando
anch'essa moltiplicata come la corrente di base per il fattore b, determina un basso valore del rapporto
segnale/disturbo. Anche la risposta in frequenza non è buona a causa dell'elevato valore della capacità
della giunzione base/collettore. Sotto questo punto di vista, è migliore il fotodiodo. A causa di questi
svantaggi l'impiego del fototransistore è limitato alle applicazioni on/off, nelle quali, il fatto di
produrre una certa amplificazione, rende superflua l'aggiunta di ulteriori sistemi di amplificazione.
Il campo di applicazione tipico dei fototransistori è infatti quello concernente la lettura delle
schede e dei nastri perforati , dove la sua prontezza di risposta lo fa preferire ai fotoresistori e ai
fotodiodi. In questo particolare impiego, il fototransistore deve dire soltanto se c'è o non c'è un foro nel
nastro ( linguaggio digitale ) e di conseguenza non rivestono importanza le eventuali non lincarità del
dispositivo.
In fig. 20 sono riportati alcuni tipi di fototransistori e fotodiodi Philips/Elcoma e nelle pagine
seguenti le caratteristiche complete del fototransistore Philips BPX95B. I fototransistori vengono fatti
quasi esclusivamente con il silicio.
FOTORESISTORI
Effetto fotoconduttivo.
Quando una radiazione colpisce un semiconduttore, la conducibilità di quest'ultimo aumenta e si
ha l'effetto fotoconduttivo , che può essere spiegato come segue. La conducibilità di un materiale è
proporzionale alla concentrazione dei portatori di carica presenti, secondo la nota relazione:
s = (n mn. + p mp ) e .
L'energia raggiante fornita al semiconduttore provoca la rottura dei legami covalenti e si creano
coppie elettrone-lacuna in eccesso rispetto a quelle generate termicamente . Questo aumento di
concentrazione dei portatori fa diminuire la resistenza del materiale e quindi un tale dispositivo è
chiamato fotoresistore o fotoconduttore . Interrompendo la radiazione incidente i portatori in eccesso si
ricombinano tra loro riportando la conducibilità del semiconduttore al suo valore iniziale in condizioni
di oscurità . I tempi di salita e di decadimento della concentrazione dei portatori in eccesso dipendono
dal tempo di vita medio dei portatori minoritari nel semiconduttore.
Tali tempi, che nelle fotoresistenze utilizzate in pratica vanno da 1 ms a qualche centinaio di ms,
pongono un limite per la più alta frequenza di modulazione della luce incidente a cui esse danno una
risposta sensibile.
Anche per l'effetto fotoconduttivo esiste una frequenza di soglia della radiazione incidente, dato
che la minima energia richiesta da un fotone per produrre la rottura di un legame covalente è
rappresentata dalla larghezza della banda proibita EG (in elettron-volt) del materiale semiconduttore.
La lunghezza d'onda di soglia è definita come la lunghezza d'onda corrispondente alla Energy-gap EG
ed è data dalla relazione: lth = 1,24/EG con lth espressa in micron. Per il silicio è EG = 1,1 eV e lth =
1,13 eV, mentre per il germanio è EG = 0,72 eV e lth = 1,73 m , alla temperatura d'ambiente.
7. Fotoresistori al solfuro di cadmio CdS.
I fotoresistori (o cellule fotoconduttive) al solfuro di cadmio si ottengono depositando un sottile
strato di CdS su un substrato di ceramica ad alto contenuto di allumina dopo aver formato gli elettrodi
per evaporazione attraverso una maschera metallica. La cellula viene protetta dall'umidità mediante un
contenitore di vetro o di vetrometallo. In fig. 21 è mostrata una tipica cellula al CdS con contenitore in
vetro-metallo. Il wafer di ceramica è unito alla base con una resina epossidica (Epoxy) termicamente
conduttiva ; con ciò si realizza un'efficiente asportazione del calore dal materiale fotosensibile,
assicurando la sua stabilità ad alti livelli di corrente. Una resina epossidica elettricamente conduttiva
unisce i terminali agli elettrodi a pettine realizzando una connessione elettrica permanente e sicura. La
fig. 23 mostra la relazione fra la resistenza in ohm e l'illuminazione in foot-candles (1 foot-candle = 1
lumen/piede2 = 10,764 lux) per sei diverse fotocellule al solfuro di cadmio tipo SyIvania , per una
temperatura di calore (*) della sorgente di 2870 °K .
La resistenza della fotocellula alla completa oscurità (dark resistance) può essere maggiore di 2 MW
e quando viene stimolata con luce abbastanza intensa può abbassarsi fino a meno di 10 W.
I principali vantaggi delle cellule fotocondutttive al CdS consistono nella loro alta capacità di
dissipazione di potenza , nella eccellente sensibilità nello spettro visibile e nel basso valore di
resistenza quando sono stimolate dalla luce.
Queste cellule sono progettate per una potenza di dissipazione ( alla temperatura d'ambiente di 25
°C ) che va da 70 mW ad 1 ÷ 1,2 W . Con dissipatore di resistenza termica di 5 °C/W, la potenza
massima dissipabile per alcuni tipi è dell'ordine 2 ÷ 3 W con temperatura d'ambiente di 25°C . Una
cellula al CdS può quindi azionare direttamente un relè senza circuiti amplificatori intermediari.
In fig. 25 è rappresentata la curva di risposta spettrale del CdS ,confrontata con la curva di
sensibilità standard dell'occhio umano .
(*) La temperatura di colore di una sorgente luminosa è quella temperatura da dare a un corpo nero affinché emetta una radiazione
che fornisca all'occhio umano la stessa impressione di colore della sorgente luminosa; cioè la temperatura di colore della sorgente è la
temperatura assoluta alla quale il massimo d'irraggiamento del corpo nero si trova in corrispondenza della stessa lunghezza d'onda del
massimo di irraggiamento della sorgente luminosa (fig. 24).
Il corpo nero è un radiatore ipotetico perfetto in grado di emettere per qualsiasi lunghezza d'onda una quantità di energia raggiante
pari alla massima teoricamente ottenibile da qualsiasi altro radiatore alla stessa temperatura. La quantità di energia raggiante dipende
dalla temperatura secondo una formula nota come legge di Planck.
8. Rapidità di risposta dei fotoresistori.
Una rilevabile diminuzione di resistenza può essere raggiunta soltanto dopo che la sostanza
fotoconduttrice ha assorbito un sufficiente numero di fotoni. In pratica buona parte della variazione di
corrente ne1 circuito a cui appartiene la cellula, si verifica in un tempo di circa 10 -5 secondi dall'istante
di inizio dell'illuminazione; mantenendo l'illuminazione costante, la corrente sale lentamente verso il
valore di regime. Analogamente, a causa del tempo di vita dei portatori, dopo aver tolto
l'illuminazione, la corrente scende dapprima rapidamente portandosi poi lentamente al primitivo valore
corrispondente alla resistenza oscura . In fig. 26 sono riportati tre andamenti nel tempo della
fotocorrente , in percento del valore di regime, per tre diversi valori dell'illuminazione; in (a) si osserva
l'aumento di corrente verso il valore di regime dopo l'applicazione della luce e in (b) la diminuzione
della corrente del valore di regime al valore di oscurità , dopo la rimozione della luce. Sebbene
l'aumento e il decadimento della conduttanza (e quindi della corrente) all'applicazione o alla rimozione
dell'illuminazione sia soltanto approssimativamente esponenziale e dipenda dal valore
dell'illuminazione, si usa frequentemente il termine costante di tempo per indicare il tempo richiesto
dalla conduttanza a salire al 63,2 % del valore massimo, o a diminuire dal valore massimo fino al 36,8
% di esso. Come esempio, se una cellula al CdS è stata mantenuta al buio per un lungo periodo di
tempo e viene poi illuminata con illuminazione di 10 foot-candIes, la sua costante di tempo è
approssimativamente dell'ordine di 70 ms. In generale le fotoresistenze rispondono più rapidamente ad
alti livelli di luce ed il tempo di salita è di solito più grande di quello di discesa, fig. 26a e b .
Fotoresistori commerciali e loro impiego.
Per la fabbricazione dei fotoresistori possono essere impiegati vari tipi di materiali semiconduttori;
in pratica, viene usato quasi esclusivamente il solfuro di cadmio (CdS) a causa della sua notevole
sensibilità alle radiazioni luminose, della sua robustezza e del suo basso costo.
Tra gli impieghi più caratteristici dei fotoresistori citiamo, il controllo della fiamma (ORP 69), il
controllo della luminosità ambientale (RPY233), nel qual caso la fotocorrente opportunamente
amplificata viene usata per azionare un relè oppure uno strumento di misura . In passato, i fotoresistori
venivano impiegati nei televisori per adattare alla luce dell'ambiente l'intensità del contrasto
dell'immagine.
In fig. 28 si possono vedere alcune versioni di fotoresistori Philips
RIVELATORI Di RADIAZIONI INFRAROSSE
10. Generalità.
I rivelatori di radiazioni infrarosse sono ancora dei fotoresistori, che basano il loro principio di
funzionamento sull'effetto fotoconduttivo.
I rivelatori dell'infrarosso lavorano al limite della radiazione visibile e precisamente nella banda
che inizia in corrispondenza di l = 780 nm e che si estende fino l = 1 mm. Di particolare importanza
pratica è la gamma di lunghezze d'onda che si estende fino a circa 10 mm dato che i trasmettitori dì
radiazione infrarosse lavorano proprio in questa banda. D'altra parte, la lunghezza d'onda di 10 mm
corrisponde ad un corpo irradiante con temperatura di 17 °C, temperatura questa corrispondente alla
normale temperatura ambiente.
Come rivelatori (o sensori) di radiazioni infrarosse con lunghezza d'onda compresa tra 780 nm e
circa 15 mm sono di particolare importanza i fotoresistori formati dai seguenti materiali
semiconduttori:
- solfuro di piombo (PbS);
- antimoniuro di indio (InSb);
- tellururo di cadmio e mercurio ( Hg(1-x)Cdx.Te ) .
11. I rivelatori al solfuro di piombo (PbS).
Come materiale di partenza per la costruzione di questi rivelatori viene impiegato solfuro di
piombo in polvere ad elevata purezza dal quale mediante processi di evaporazione e di sedimentazione
viene ricavato uno strato di materiale policristallino sensibile alle radiazioni infrarosse.
Successivamente la cellula è sottoposta ad un processo di ricottura in aria o in atmosfera
contenente ossigeno; tale trattamento fa aumentare la sensibilità alla luce dello strato di solfuro di
piombo .
Il solfuro di Piombo presenta la sua più grande sensibilità nella regione dell'infrarosso, nel campo
di lunghezze d'onda fra 10.000 Å e 30.000 Å e la forma della curva di risposta spettrale dipende dal
metodo con cui la cellula viene preparata. ( 1 Å = 10-4 mm =10-1 nm )
I rivelatori al PbS commerciali vengono costruiti con resistenze all'oscurità fra 100 kW e 10 MW.
Le strato di PbS è instabile se è esposto all'aria e quindi le fotocellule al solfuro di piombo sono
costruite in modo che lo strato sensibile sia mantenuto sotto vuoto. La fig. 29 mostra la sezione di una
fotocellula al PbS. Vengono depositati inizialmente elettrodi di Aquadag e successivamente lo strato di
solfuro di piombo che viene poi trattato termicamente e infine l'ampolla è vuotata e sigillata.
RIVELATORI PIROELETTRICI
14. Il materiale ceramico.
Si tratta di titanato-zirconato di piombo opportunamente drogato in maniera da possedere le
caratteristiche richieste dai rivelatori di radiazioni infrarosse.(*) . É un materiale robusto, non
deteriorabile dall'acqua ; per questo motivo si presta a una produzione di serie allo stesso modo dei
materiali semiconduttori impiegati per la realizzazione dei transistori discreti o integrati. Questo
materiale possiede una temperatura di Curie elevata, e può lavorare a temperature fino a 100 °C, senza
presentare variazioni degne di nota nelle sue caratteristiche, e cioè, nella risposta alle variazioni di
temperatura .
15. Effetto piroelettrico.
I materiali piroelettrici hanno la caratteristica di presentare una polarizzazione elettrica spontanea
tutte le volte che sono portati al di sotto della loro temperatura di Curie. (Temperatura o punto di Curie
è la temperatura al di sopra della quale una sostanza ferromagnetica diventa paramagnetica ). In queste
condizioni, la variazione della temperatura del materiale produrrà una corrispondente variazione del
grado di polarizzazione.
L'effetto piroelettrico può essere messo in evidenza nella seguente maniera.
Si prenda un sottile dischetto di materiale ceramico che presenti caratteristiche piroelettriche; su
entrambe le facce del materiale si formino due sottili strati metallici (elettrodi) ottenuti per
evaporazione di un dato metallo. Successivamente si provveda a riscaldare questo particolare
condensatore.
A questo punto si noterà come variando la temperatura del dischetto del materiale piroelettrico,
varino anche le cariche elettriche indotte sui due elettrodi (fig. 33). Queste cariche, a seconda se i
reofori dei due elettrodi siano aperti o in cortocircuito produrranno una corrispondente tensione o
corrente.
La sensibilità spettrale di questi rivelatori si estende per tutta la gamma deIl'infrarosso. Per riuscire
ad ottenere un elevato rapporto segnale/disturbo occorrerà collegare il rivelatore ad un amplificatore
avente una resistenza d'ingresso molto elevata.
16. Rivelatori piroelettrici al solfato di triglicine.
Questo tipo di rivelatore piroelettrico è stato sviluppato principalmente per la ricerca scientifica.
Come materiale sensibile impiega il solfato di triglicine (TGS).
La temperatura di lavoro di questi rivelatori è compresa tra + 10 e + 40 °C. Oltre al basso rumore,
questi rivelatori hanno un'elevata sensibilità.
17. Rivelatori piroelettrici in materiale ceramico.
Questi rivelatori di infrarosso vengono impiegati principalmente nei sistemi di protezione e di
antifurto per uso domestico.
Una famiglia di rivelatori molto nota è quella dei tipi RPY 86/87/88/89 (fig. 31). L'elemento
sensibile è in questo caso un materiale ceramico prodotto in grandi serie. Il limite inferiore di
sensibilità (1 mm … 6,5 mm) viene fissato dal particolare materiale di cui è fatta la finestra . Per
rendere più semplice l'adattamento con il successivo amplificatore , solitamente si incorpora nel
rivelatore un preamplificatore a FET.
L'andamento tipico dei parametri caratteristici di questi rivelatori si può vedere nelle figg. 35, 36.
Queste curve valgono per il rivelatori IRPY 89. In fig. 35 è indicato l'andamento della tensione di
rumore VB/(B)1/2, la sensibilità s, e l'equivalente potenza di rumore NEP in funzione della temperatura
.
Nella fig. 36 si può invece vedere come vari la sensibilità spettrale in funzione della lunghezza
d'onda.
Un dispositivo molto interessante è rappresentato dal rivelatore piroeletrico RPY93 con
incorporato l'amplificatore (fig. 34b).
Questo rivelatore è formato infatti da due unità piroelettriche collegate in antiparallelo . Questa
particolare struttura consente di compensare quasi del tutto il rumore di fondo del rivelatore . Questa
caratteristica è particolarmente apprezzata nei sistemi antifurto i quali presenteranno pertanto estrema
prontezza di allarme .
EMETTITORI DI RADIAZIONE
I diodí LED (LED = Light Emitting Diode) occupano una considerevole porzione del mercato dei
vari tipi di display . I pregi di questo display sono: emissione attiva della luce (contrariamente a
quanto avviene nei display LCD) , capacità di produrre quattro colori (rosso, arancione, giallo e verde),
bassa tensione di alimentazione , compatibilità con i circuiti integrati , tempo di risposta breve e
robustezza , per citare quelli più rappresentativi.
Di fronte a questi pregi stanno però alcuni svantaggi: il principale è costituito dal fatto che questo
display richiede per il suo funzionamento una corrente relativamente elevata, ed in secondo luogo è
molto difficile ottenere da questo display luce blu: i pochi tipi disponibili sono per questo motivo
molto costosi . Per il momento non si intravede una soluzione di questo problema offerta da altre
tecnologie .
Principio di funzionamento dei materiali usati
Il principio di funzionamento è il seguente : quando una giunzione PN viene polarizzata in senso
diretto si assiste ad un passaggio (iniezione) attraverso la giunzione , di elettroni verso lo strato P. Qui
diventano cariche minoritarie le quali ricombinandosi con le lacune (cariche maggioritarie nello strato
P) emettono una radiazione luminosa ( fotone ) .
Allo stato attuale della tecnologie, il materiale utilizzato per realizzare i LED non è il silicio ,
perché la differenza tra le bande energetiche (band gap) dei silicio è appena 1,1 eV, e pertanto quando
una carica salta da una banda all'altra si ha solo emissione di radiazioni infrarosse. .
La maggior parte dei semiconduttori emette luce con un'efficienza così bassa che le emissioni non
possono essere facilmente rivelate; a differenza di quanto avviene nel germanio e nel silicio si è
scoperto che in alcuni semiconduttori, ad esempio l'arseniuro di gallio, si possono ottenere elevate
efficienze della radiazione dovuta alle ricombinazioni.
L'emissione di luce è dovuta, come rappresentato in fig. 1, alle ricombinazioni elettrone-lacuna fra
le bande di conduzione e di valenza (transizione I), fra i livelli di energia dei donatori e degli accettori
(transizione Il) oppure fra i livelli energetici fra i quali si hanno le transizioni III, IV e V di fig. l. La
lunghezza d'onda della radiazione luminosa emessa dipende dal valore della energy-gap del materiale
Ec-Ev , e dai livelli energetici di drogaggio Ed-Ea .
Per ottenere una radiazione visibile, il materiale deve avere una energy-gap superiore a 1,8 eV
(radiazione da 7.000 A a 6.000 A per le transizioni I, II e III) . Quando l'energy-gap non è
sensibilmente più grande di 1,8 eV si hanno le transizioni IV e V e la luce viene emessa nel lontano
infrarosso.
La transizione I è più probabile nell'arseniuro di gallio leggermente drogato, la II nel carburo di
silicio, la III nel fosfuro e arseniuro di gallio, la IV nelle cellule elettroluminescenti al solfuro di zinco
drogato con rame e la V nel fosfuro di gallio drogato con zinco e ossigeno. Attualmente vi sono tre
materiali elettroluminescenti che danno efficienti emissioni luminose quando la giunzione PN è
polarizzata direttamente: il fosfuro e arseniuro di gallio Ga (As, P); l'arseniuro di gallio e di alluminio
(Ga, AI) As, il fosfuro dì gallio drogato con zinco e ossigeno GaP (Zn: 0) .
Questi materiali emettono in una banda che include la regione rossa dello spettro, ma le loro
lunghezze d'onda di picco di emissione (fig. 2) e le loro larghezze di banda sono diverse .
Il fosfuro e arseniuro di gallio emette dal verde all'infrarosso, da 5600 a 9.000 A a seconda
della quantità dì fosforo. Più grande è il contenuto di fosforo più corta è la lunghezza d'onda, come
indica la fig. 3. Con un contenuto di fosforo del 45 % si ha il picco dell'emissione nel rosso a 6.423 A
(fig. 4).
Fig. 2 - La lunghezza d'onda dell'emissione di picco dei diversi materiali elettorluminescenti
disponibili commercialmente vanno dal giallo-verde all'infrarosso
Il secondo motivo, che tra l'altro è il più importante, è che il silicio ed alcuni semiconduttori sono
materiali semiconduttori cosiddetti indiretti . Così , mentre nei materiali semiconduttori diretti , molto
probabilmente si ha una reazione di questo tipo: elettrone + lacuna -> fotone , e di conseguenza ,
emissione di luce , nei semiconduttori indiretti si ha produzione anche del cosiddetto fonone per cui la
reazione sarà: elettrone + lacuna -> fotone + fonone . In pratica ciò significa che i semiconduttori
diretti saranno buoni emettitori di luce mentre quelli indiretti lo saranno di meno,
Tra i semiconduttori diretti si annoverano alcuni composti formati con i gruppi III e V della tavola
periodica degli elementi, e cioè degli elementi boro ( B ) , alluminio ( Al ) , gallio ( Ga ), indio ( In ) (
III gruppo ) con gli elementi azoto ( N ) , arsenico ( As ) , antimonio ( Sb ) (V gruppo).
Dal punto di vista elettrico , un LED non è altro che un normale diodo PN polarizzato in senso
diretto . Le correnti di lavoro sono in questo caso comprese tra 3 e 30 mA con tensioni dirette di 1,6 V
per i diodi rossi, e di 2,4 V per i diodi verdi . Siccome la loro caratteristica tensione - corrente ha un
andamento molto ripido , nella maggioranza dei casi conviene alimentarli con una sorgente di corrente
costante . Le loro tensioni inverse s'aggirano sui 20 ... 50 V, e i tempi di commutazione sono
dell'ordine di 50 ns per i LED rossi , e dei 400 ns per i LED verdi.
Il rendimento quantico interno può arrivare anche al 100 % e cioè per ogni elettrone che supera la
giunzione PN si ha l'emissione di un quanto di luce. Generalmente però la luce emessa internamente
non esce dal semiconduttore. La maggior parte della luce viene generata in uno strato di carica spaziale
largo circa 0,5 m sul lato P della giunzione; se la superficie dell'anodo è molto vicina alla giunzione, la
maggior parte dei fotoni generati internamente raggiungono la superficie stessa . Tuttavia soltanto una
piccola percentuale dei fotoni può uscire, poiché la maggior parte dei fotoni viene riflessa
internamente alla superficie (perdite per riflessione) a causa della differenza fra l'indice di rifrazione
del Ga (As, P) (n = 3,5) e dell'ambiente circostante (n = 1). Un'altra perdita è dovuta al fatto che
l'energia liberata in una ricombinazione può essere convertita sotto forma di calore in oscillazione del
reticolo.
É importante l'angolo critico, per il quale la luce dall'interno del materiale, incidendo sulla
superficie, viene totalmente riflessa internamente (angolo di riflessione totale). Più piccolo è l'angolo,
più piccola è la quantità di luce generata che passa attraverso la superficie. L'indice di rifrazione del Ga
(AsP) è approssimativamente di 3,5. Se il diodo si affaccia direttamente all'ambiente esterno, l'angolo
critico misurato dalla normale alla superficie è 16,65% Assumendo una radiazione isotropica emessa
alla giunzione PN, soltanto il 2,87 % della luce fuoriesce dal diodo. Se però il diodo viene rivestito con
una sostanza avente indice di rifrazione più grande, come una lente in resina epossidica con un indice
di rifrazione di 1,6, l'angolo critico aumenta a 27, 29°. L'efficienza di emissione viene così migliorata
di un fattore 3 e cioè il 9,3 % della luce emessa passa all'esterno.
I LED possono lavorare entro un'ampia gamma di temperature comprese tra -50 e +80°C . Quando
sono incapsulati possono sopportare forti sollecitazioni meccaniche . La loro intensità luminosa tende a
calare molto lentamente nel tempo . Normalmente si raggiungono più di 100.000 ore di vita ( 11 anni )
.
2. Formazione della giunzione PN nei diodi all'Ga(AsP).
La giunzione PN emettitrice di luce nei diodi all'Ga (AsP) è contenuta in strati di fosforo e
arseniuro di gallio a concentrazione graduale, cresciuti su un substrato di tipo N di GaAs in un forno di
crescita epitassiale dalla fase di vapore (fig. 5). La variazione della composizione degli strati serve a
minimizzare le dislocazioni del cristallo formate quando un materiale viene cresciuto sopra un altro
avente una diversa costante reticolare.
Vengono introdotti nel forno epitassiale, sotto condizioni controllate, dei gas contenenti arsenico,
fosforo, zinco e selenio. Il primo strato di tipo N, sopra il substrato, viene cresciuto con una
composizione che va dal GaAs puro a un composto con il 55 % di GaAs e il 45 % di GaP. Dopo che
questo strato ha assunto la corretta composizione di fosforo, si regola il livello di drogaggio di tipo N,
ottenuto col selenio, al fine di ottimizzare l'efficienza di emissione del cristallo. Viene poi depositato il
secondo strato di tipo N di composizione Ga (As 55 %, P 45 %). Dopo aver interrotto bruscamente il
flusso di gas drogante di tipo N, s'introduce il drogante di tipo P, che è zinco ' sotto forma di cloruro di
zinco, in modo da formare la giunzione PN. Questo strato di tipo P drogato con zinco, di composizione
Ga (As 55 %, P 45 0) è reso il più sottile possibile per mantenere basso il suo assorbimento della luce
generata dalla giunzione. Dopo la formazione della giunzione, il flusso di gas contenente fosforo viene
aumentato e il flusso di gas contenente arsenico viene diminuito in modo da formare una regione di
basso assorbimento della luce. Il contenuto in fosforo di questa regione è graduato, si ha cioè uno
strato di tipo P che gradualmente passa dalla composizione Ga (As 55 %, P 45 %), alla composizione
(As 45 %, P 55 %) (fig. 5). Infine il flusso di gas con drogante di tipo P viene aumentato per formare
uno strato di tipo P+ di composizione Ga (As 45 %, P 55 %). Questo strato è sufficientemente
conduttivo da far sì che la corrente iniettata al contatto metallico si sparpagli fino agli orli del diodo e
ciò assicura che la luce venga emessa uniformemente.
Un'immediata utilizzazione dell'effetto fotoelettrico inverso sono i LED (Light Emitting Diode)
Fig. 5 - Costituzione degli strati P ed N di una giunzione emittente al Ga ( As , P ) .
Le frecce rappresentano la graduale variazione della composizione degli strati
che si usano come elementi di visualizzazione . Essi tendono a sostituire le normali lampadine spia al
neon perché hanno durata illimitata, tempi di commutazione più brevi, consumo minore e dimensioni
più piccole. Vengono riportate alcune tavole relative a LED utilizzati come solide state lamps, nei
colori rosso, giallo e verde; nelle caratteristiche contenute nelle tavole sono ben visibili le qualità di
questi versatili dispositivi.
LASER
I laser ( Laser = Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation : amplificazione della
luce mediante emissione stimolata di radiazione ) sono "componenti" che amplificano una oscillazione
luminosa avente una data fase producendo una luce monocromatica coerente . Questa luce ha
lunghezze d'onda che possono andare da 100 nm (1 nm = 10-9m), e pertanto nella gamma
dell'ultravioletto, e 700 mm (1 mm = 10-6m) , e cioè nel campo dell'infrarosso . Il laser produce quindi
una gamma di lunghezze d'onda molto più estesa di quelle che l'occhio umano può vedere . Il raggio
laser non si disperde ma rimane con lo stesso "spessore" anche dopo aver percorso grandissime
distanze.
Le caratteristiche fisiche del laser permettono di poter focalizzare il suo fascio in un punto di
dimensioni estremamente ridotte , e di concentrare quindi su questo punto enormi quantità di energia ,
dell'ordine di Terawatt/cm2 (1 Terawatt = 1012 W) . Grazie alla ridotta "apertura" , il raggio laser può
essere utilizzato per trasmettere informazioni a grandi distanze e attualmente è possibile modularlo con
frequenze dell'ordine delle frequenze video.
Luce laser e luce normale
La caratteristica principale della luce-laser è la coerenza . La luce laser è inoltre più intensa , più
monocromatica e più collimata (e cioè altamente rettilinea e parallela a se stessa) di qualsiasi altra
sorgente di luce .
La coerenza è quella proprietà in base alla quale le oscillazioni che attraversano un piano ad esse
perpendicolare ( fronte dell'onda ) , lo attraversano tutte con lo stesso angolo di fase . Un fascio di luce
coerente può essere quindi considerato come formato da un'onda ideale le cui proprietà , in funzione
dello spazio e del tempo , possono essere facilmente descrivibili e riproducibili . L'apparenza
granulosa, caratteristica della luce laser, è dovuta a fenomeni di interferenza prodotti a loro volta dalla
coerenza.
La luce ordinaria non è coerente ; il che significa che le sue oscillazioni attraversano il piano del
fronte dell'onda sotto angoli di fase di valore differente e con differente ampiezza . Un raggio di luce
non coerente può considerarsi essenzialmente un miscuglio disordinato di onde.
L'intensità di un raggio laser può raggiungere valori molto elevati. É possibile infatti ottenere
concentrazioni di potenza superiori a 1000 MW/cm2 . A questi valori di potenza , un raggio laser è in
grado di tagliare e vaporizzare qualsiasi materiale.
Emissione stimolata ed emissione spontanea
La produzione di luce-laser si basa sull'emissione stimolata , un fenomeno questo osservato soltanto
nel laser . L'emissione spontanea è al contrario il sistema normalmente usato per produrre luce
mediante eccitazione di atomi o di molecole .
È noto che in un atomo, gli elettroni risultano distribuiti su determinate orbite alle quali
corrispondono determinati livelli di energia . Quando un atomo è investito da una forma di energia (
calore, luce ...) , alcuni elettroni che si trovano ad un livello inferiore possono trasferirsi su un livello
superiore . Qui però non rimangono molto tempo perché , per natura , tendono a ritornare nel loro
livello naturale o livello-base . Durante questo "salto" essi cedono , sotto forma di luce (fotoni),
l'energia che era servita a loro per "saltare" sul livello superiore.
Fatta questa premessa, supponiamo che l'atomo del materiale-laser abbia livelli di energia sui quali
possono trasferirsi elettroni , e che il livello più basso ( livello o stato-base ) sia occupato dai suoi
normali elettroni e che il livello immediatamente superiore sia invece vuoto . Sotto l'azione di una
eccitazione (di natura calorica, ottica o elettrica) potrà succedere che un elettrone possa trasferirsi dal
livello più basso al livello immediatamente superiore . Questo elettrone però , dopo un certo tempo ,
tenderà a ritornare sul suo livello emettendo un fotone, e cioè luce. La direzione e la fase dell'onda
luminosa associate a questo fotone sono però irregolari , ed inoltre, l'energia posseduta dal fotone
corrisponderà alla differenza di energia esistente tra due livelli di energia . La durata della permanenza
dell'elettrone nel livello superiore potrà essere breve (meno di 10 picosecondi) oppure lunga (più di 1
microsecondo) , nel quale caso il livello viene chiamato metastabile e l'emissione di luce, fluorescenza.
L'emissione stimolata si ha quando, trovandosi l'elettrone di un atomo eccitato, sul livello di energia
immediatamente superiore, esso viene costretto a ritornare nel suo livello naturale da un fotone esterno
. ( Nell'emissione spontanea esso ritornava da solo nel suo livello, emettendo un fotone). In particolare,
se l'elettrone di un atomo che in seguito all'eccitazione viene a trovarsi nel livello superiore viene
colpito da un'onda luminosa (e cioè da un fotone esterno) la cui lunghezza d'onda corrisponde alla
differenza di energia tra i due livelli, questo elettrone sarà stimolato dall'onda luminosa a portarsi nel
livello di energia inferiore emettendo nello stesso tempo un fotone . Questo fotone però e l'onda ad
esso associata, verranno emessi nella stessa direzione e con la stessa fase della luce incidente (fotone
stimolatore). Verrà prodotta in questo modo un'onda luminosa avente una frequenza ben determinata,
la quale attraverserà il materiale eccitato e aumenterà in ampiezza in quanto essa stessa stimola
l'emissione.
Pompaggio e inversione della popolazione
Il processo al quale prima abbiamo accennato tendente ad eccitare il materiale-laser , a trasferire gli
elettroni dai livelli di energia inferiori ai livelli di energia superiori viene chiamato pompaggio .
Questo pompaggio degli elettroni può essere realizzato con sistemi ottici ricorrendo , per esempio, a
lampade particolari, a scariche elettriche, a reazioni chimiche, oppure, come avviene nel caso del laser
a semiconduttore (diodo laser) , iniettando gli elettroni nel livello di energia superiore dell'atomo
ricorrendo ad una corrente elettrica .
Nel laser questa inversione della "popolazione" è necessaria per dare inizio e mantenere
l'azione-laser . Inversione di popolazione significa in termini generali portare in una zona, elementi
(popolazione) che normalmente non risiedono in quella zona.
Nel caso del laser , si parla di inversione di popolazione in quanto, sotto l'azione di una eccitazione
(luminosa o calorica) vengono trasferiti nel livello superiore elettroni che normalmente si trovano
invece nel livello di energia inferiore .
Normalmente , il livello di energia inferiore è quasi completamente pieno di elettroni mentre il
livello superiore (supponendo che si trovi a qualche decimo di elettrovolt al di sopra del livello
inferiore, a temperatura ambiente) è essenzialmente vuoto di elettroni .
Sotto l'azione di una eccitazione energetica , l'atomo del materiale del laser inverte il numero degli
occupanti di questi due livelli , e così il livello superiore viene ad essere pieno di elettroni .
È questa inversione di popolazione mantenuta dal pompaggio che mantiene l'effetto laser in quanto
l'onda luminosa esterna di adatta frequenza potrà stimolare e costringere questi elettroni pompati ad
andare nel livello di energia inferiore e produrre durante questa transizione la luce-laser.
Laser a gas
I laser a gas (figura 1) vengono per lo più prodotti mediante una scarica di corrente continua tra due
elettrodi ; una successiva eccitazione a frequenza elevata provvede ad aumentare la potenza . La luce
laser va avanti e indietro riflessa dai due specchi di cui uno è in parte trasparente . Appena
l'amplificazione del laser riesce a superare le perdite che la luce laser incontra in questo andare avanti e
indietro, si instaura l'autoeccitazione , e il laser diventa un vero generatore .
In questo laser a specchi si producono , per interferenza , effetti di risonanza che tendono ad
esaltare determinate lunghezze d'onda . Se, come indicato in figura 1, il sistema laser viene munito
della cosidetta finestra di Brew , sarà possibile effettuare la polarizzazione del fascio , e di
conseguenza una sua modulazione ricorrendo ai normali sistemi elettronici .
I laser a gas sono realizzati per lo più con elio e neon , e irradiano su una lunghezza d'onda di 632,8
nm: è il noto raggio rosso del laser . Altre miscele sono fatte con i gas nobili argon , cripton , neon e
xenon e con il "meno nobile" azoto . I laser che lavorano con anidride carbonica (C02) compressa a
molte atmosfere possono produrre impulsi laser la cui potenza può raggiungere i Gigawatt .
Laser a cristallo
É stato il primo tipo di laser . Nel 1960 Maimon introdusse infatti il suo laser a barra di rubino . I
laser a cristallo vengono "pompati" otticamente per lo più mediante lampi di luce prodotti da una
lampada alimentata con le correnti ottenute da scariche di un condensatore (figura 2) . Anche in questo
caso quindi siamo in presenza di un funzionamento ad impulsi .
Altri cristalli utilizzati sono il neodym-YAG (granato di yttrio e di alluminio), capaci di dare impulsi
di energia dell'ordine di 5000 joule.
Laser a semiconduttore
Sono i cosidetti diodi-laser (figura 3) . Il loro principio di funzionamento assomiglia a quello dei
LED . Possono irradiare un'ampia gamma di lunghezze d'onda di luce non coerente anche a bassi
valori di densità di corrente . Questi LED diventano laser solo dopo che è stata raggiunta una certa
densità di corrente per cui le perdite nel risonatore vengono compensate dall'effetto dell'amplificazione
La potenza laser fornita dipende dall'entità delle perdite nel materiale semiconduttore . Per
aumentare la potenza di uscita si usa collegare in serie più chip . In questa maniera è possibile ottenere
impulsi laser con potenze dell'ordine del kilowatt ma di breve durata . Come materiale-base , i
diodi-laser utilizzano principalmente materiali semiconduttori come il gallio, l'arsenico e l'alluminio.
Per ridurre le perdite di irradiazione, al posto della singola giunzione (figura 3) , attualmente
vengono impiegati sistemi a più giunzioni .
Il laser a semiconduttore è realizzato con i materiali semiconduttore come il gallio ( Ga ) ,
l'alluminio ( Al ) , l'arsenico ( As ) . La sua sigla commerciale è CQL10 (Philips) . È lungo circa 1 cm
e richiede una tensione di alimentazione di appena 2….3 V . Produce un raggio di luce coerente la cui
lunghezza d'onda ( 780 nm ) rimane costante anche a temperature ambientali di 60°C . Quest'ultima è
una caratteristica molto importante per il sistema audio digitale Compact Disc .
La lunghezza del raggio coerente è relativamente breve per cui questo laser a semiconduttore sarà
insensibile ai " rumori " prodotti da fenomeni di riflessione esterna . Il laser allo stato solido CQL 10
ha infine un rendimento superiore a quello al neon-elio.
Attualmente viene prodotto in grandi serie in quanto , come già detto, è la sorgente di luce laser
standard utilizzata negli attuali sistemi di riproduzione audio Compact Disc.
L'effetto laser nel CQL10
Nella figura 2 è riportato il laser a semiconduttore CQL10 in sezione . Un substrato di
gallio-arsenico (GaAs) fa da supporto a quattro strati ( da ricordare che gli elementi Ga e As sono
rispettivamente trivalente il primo e pentavalente il secondo ) . Lo strato 4 è formato da gallio e
arsenico puri , negli altri 3 strati ( 1, 2 e 3 ) , il gallio viene sostituito in parte da alluminio ( Al ) ,
anch'esso trivalente: e precisamente nella misura del 46% negli strati 1 e 3 , e del 16% nello strato 2
che è lo strato attivo , quello cioè che produce luce laser . Queste percentuali di alluminio introdotte in
ciascuno dei suddetti strati ( operazione di drogaggio ) determineranno i salti di energia ( energy gap )
di ciascun strato .
Fig. 2 - Cristallo del laser CQL10 in sezione . A sinistra della figura è indicato lo spessore dei vari strati ; a destra , il tipo di
conduzione e l'elemento drogato . Lo strato2 non viene drogato : ciononostante , le impurità residue gli conferiranno una debole
conducibilità di tipo n . Una forte diffusione di zinco (Zn) dà allo strato 4 una spiccata conducibilità di tipo p . I processo di
impianto di protoni effettuato negli strati superiori , indicati in grigio , rende questi ultimi isolanti , fa eccezione una finestrella
lunga appena 5mm . Un forte drogaggio attuato nel substrato e nello strato superiore permette di realizzare un perfetto contatto
elettrico tra il cristallo e gli altri strati metallizzati ( Cr-cromo ; Pt-platino ; Au-oro ; Ge-germanio ; Ni-nichel ) .
Facendo circolare una data corrente ( I ) in direzione indicata dalla freccia , i livelli di energia
assumeranno la configurazione riportata in figura 3 .
Qui osserviamo che lo strato 2 diventa in pratica un "pozzo" ( pozzo di energia ) dove confluiscono
sia gli elettroni che provengono dallo strato 1 , sia le lacune che provengono dallo strato 3. Nello strato
2 assisteremo pertanto ad un incontro di elettroni e di lacune , e conseguente inversione di popolazione
in quanto abbiamo un eccesso di elettroni nella banda di conduzione e un eccesso di cavità nella banda
di valenza .
Fig. 3 - Schema semplificato dei livelli di energia che si stabiliscono nel cristallo del CQL10 quando una corrente molto intensa
scorre dallostrato3 allo strato1 . Le barriere di energia DEv e DEc intrappolano elettroni e lacune nello strato 2 , producendovi
un'inversione di popolazione che , a sua volta ,tenderà di incrementare l'emissione stimolata .
Fotoni di particolare frequenza n ( h n = E g2 , figura 3 ) potranno stimolare all'interno dello strato
2 la ricombinazione degli elettroni con le lacune . Queste ricombinazioni-stimolate daranno luogo a
emissione di fotoni questa volta però coerenti , ed in definitiva all'amplificazione di un'onda di luce
che attraverserà lo strato stesso .
All'interno dello strato 2 avrà inoltre luogo un fenomeno di riflessione che cercherà di trattenere i
fotoni all'interno dello strato stesso . Questo fenomeno di riflessione è causato dai piani di clivaggio
del cristallo sistemati ai due lati opposti del medesimo i quali si comportano come specchi : in
definitiva quindi lo strato 2 a causa di questo feedback ottico si comporterà come un risonatore .
Questa emissione stimolata aumenterà via via che aumenterà la corrente I . Superato un certo valore
di corrente ( corrente di soglia Ith ) , l'amplificazione diventerà abbastanza grande da superare le
perdite interne e quelle che si verificano sulle pareti a specchio dello strato . A questo punto, il
risonatore comincerà ad oscillare innescando in questo modo l'azione laser , e cioè l'emissione di un
raggio di luce interna coerente .
Al di sotto della corrente di soglia ( Ith ) , l'emissione stimolata viene fortemente attenuata . Gli
elettroni e le lacune saranno però in grado di ricombinarsi ancora spontaneamente emettendo però solo
fotoni incoerenti , e il dispositivo si comporterà allora come un semplice LED .
Per essere sicuri che all'interno dello strato 2 scorra un ben definito valore di corrente , si provvede
ad impiantare negli strati 3 e 4 , dei protoni come indicato in figura 2 , i quali fanno si che la zona
conduttrice vera e propria del chip assuma in pratica uno spessore di appena 5 mm .
Realizzazione pratica dei diodo laser
É indicata in figura 4 . Un blocchetto di rame fa da supporto al cristallo laser e nello stesso tempo
funziona da dissipatore di calore . Due incavi praticati su questo supporto consentono di posizionare il
laser nella maniera richiesta dalla particolare applicazione . Per proteggere il cristallo , si provvede a
riempire il contenitore con azoto secco .
Le superfici del cristallo vengono ricoperte con un sottile strato di oro allo scopo di impedire una
loro eventuale ossidazione .
Alla stabilizzazione della potenza ottica del laser provvede una rete di reazione ( figura 5 )
Fig. 4 - ( a ) Spaccato del laser CQL10 . Il raggio-laser lascia il contenitore attraverso una finestra di vetro praticata in alto .
Per proteggere il cristallo-laser , il contenitore viene riempito di azoto secco e sigillato ermeticamente . (b) Il basamento del
cristallo è costituito da un blocchetto di rame dal quale è stato eliminato l'ossigeno . Il cristallo-laser viene saldato sulla parete
superiore del blocco di montaggio in modo che lo stato attivo ( il 2 ) venga a trovarsi a diretto contatto con la superficie del
blocco in modo da consentire uno smaltimento più rapido possibile del calore .
comprendente un fotodiodo . Il fotodiodo è disposto dalla parte opposta della finestra da cui fuoriesce
il raggio laser ( figura 4 ) , ed è leggermente inclinato rispetto all'asse ottico del raggio laser di uscita ;
ciò allo scopo di impedire che una eventuale luce riflessa possa compromettere il funzionamento del
laser .
Il laser COL10 in funzione
Il raggio del laser CQL10 ha una lunghezza d'onda di 780 nm , la quale è leggermente più lunga di
quella del la ser al neon-elio ( 630 nm ) utilizzato per la scansione dei dischi VLP . Ciononostante , il
laser CQL10 , può essere impiegato senza problemi nella lettura di qualsiasi disco digitale .
La figura 6 riporta alcune curve che indicano come varia l'intensità del raggio laser in funzione della
corrente che attraversa il CQL10 ; il parametro in questo caso sono i differenti valori di
temperatura .
Si nota immediatamente come per ciascun valore di temperatura , una volta oltrepassata la corrente
di soglia Ith ( in corrispondenza della quale , come abbiamo visto , il laser inizia ad oscillare ) , il
raggio-laser aumenti rapidamente di intensità . Dalle curve si ricava inoltre come l'innesco del
raggio-lase dipenda marcatamente dal valore della temperatura del cristallo: infatti , un aumento di
temperatura di 30 K richiede un corrispondente aumento del 30% del valore di corrente ( Ith )
necessaria all'innesco del raggio-laser . Si comprende allora come sia estremamente importante
mantenere il cristallo, o almeno la sua parte attiva ( strato 2 ) , più fredda possibile ; diversamente il
laser, potrebbe entrare in un ciclo termico distruttivo ( il noto thermal runaway ) che causerebbe una
forte diminuzione dell'intensità del raggio e nello stesso tempo , una inutile conversione in calore della
sua energia . La figura 7 indica l'andamento del raggio laser (L) in funzione dell'angolo che esso forma
rispetto all'asse ottico (angolo a) .
Il laser allo stato solido CQL10 a differenza del laser all'elio-neon , possiede un raggio fortemente
divergente e astigmatico.
Ciò è dovuto a fenomeni di rifrazione che hanno luogo in corrispondenza della finestra di uscita.
Divergenza e astigmatismo possono comunque essere facilmente corretti mediante un sistema di
lenti .
I laser a semiconduttore tendono a deteriorarsi col passare del tempo in quanto la corrente di soglia
(o di innesco) Ith tende ad aumentare , ed inoltre la curva caratteristica , uscita luce-laser/corrente tende
ad assumere un andamento meno ripido di quello indicato nella figura 6 . La velocità di un tale
deterioramento dipende in gran parte dalla temperatura a cui si fa lavorare il laser: un aumento di
temperatura di 30 K , per esempio , può ridurre la vita del laser di un fattore di 15 .
Si conclude quindi che riuscendo a tenere sotto controllo la temperatura di funzionamento del laser ,
il suo invecchiamento sarà molto lento . Così per esempio ad una temperatura ambiente di 30 °C , e
con un livello di luce di 5 mW , ci si può aspettare dal CQL10 un funzionamento pressoché stabile per
una durata di 10.000 ore .