Vuoto 2

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Porfirio.
Περί
αγαλμάτων
Sulle
immagini
degli dei
Porfirio originario di Tiro nacque nel 233 e.v. e morì a Roma
nel 305 circa. Fu un filosofo neoplatonico del III sec., epoca che
si definisce della crisi del paganesimo e del passaggio al
cristianesimo.
La sua riflessione filosofica tentava di tenere in piedi la
vecchia idea religiosa di origine greco-romana, operando su due
livelli non contrapposti, ma complementari: una pars destruens,
o negativa che consisteva in un attacco frontale del
cristianesimo, che andava prendendo sempre più piede i quel
periodo, e una pars construens che rafforzava l'antico concetto
di ευσέβεια, la pietas latina, dandole una veste neoplatonica
ispirata alla teologia di Plotino e alla parte più antica del
platonismo che rendesse ragione delle pratiche religiose e
cultuali più diffuse.
In questa sua operazione di salvataggio del mondo ellenistico,
Porfirio, non mancò di approfondire e dare nuova dignità ai
vaticini, agli oroscopi, ai sacrifici, al culto delle statue degli dei,
fino alla ricerca dell'invio orazione divina nelle opere dei poeti
ispirati dalle muse e, soprattuto, nei responsi oracolari più
antichi, ma non tralasciò quelli più recenti, di provenienza
delfico-apollinea, orfico-dionisiaca, caldaica, ermetici e sibillini.
In un contesto come questo è chiaro che gli attacchi di
Porfirio al cristianesimo sono quelli di un uomo pio e religioso,
che vede nel messaggio cristiano una minaccia per la
sopravvivenza dell'impero.
La filosofia religiosa di Porfirio è stata considerata uno
degli aspetti più deboli del suo pensiero, sottovalutato fino agli
anni sessanta del secolo appena chiusosi.
Sulla sua riflessione religiosa, ma direi anche più generale, ha
pesato come un macigno il ritratto, negativo, costruito da Joseph
Bidez nel 1913 in Vie de Porphyre. Lo studioso iscriveva parole
distruttive nei confronti del filosofo neoplatonico:
"Spirito critico ed ingenuità, entusiasmo sincero e abile
opportunismo, scienza solida ed erudizione puerile; curiosità di
un Greco avido di sapere e di comprendere, aberrazioni di un
occultista; andatura libera di un pensiero che discute e ragiona,
docilità di un credulo pronto ad accettare tutte le rivelazioni;
apostolato morale molto elevato, appoggi compromettenti,
volgarizzazione lucida e facile, e nessuno ha ancora tentato di
catalogare e di descrivere ognuno di questi svariati elementi, né
di dire come abbiano potuto incontrarsi".
Nella filosofia di Porfirio sono presenti filologia poetica,
ermeneutica filosofica e esegesi religiosa anche quando si occupa
di Omero e degli altri poeti, sia quando si occupa di Platone o di
altri filosofi, sia quando si occupa dei responsi oracolari o della
Bibbia.
Per meglio comprendere questa varietà di interessi bisogna fare
riferimento a quanto scrive Porfirio stesso, a proposito di se
stesso, nella Vita di Plotino, premessa alla sua redazione delle
Enneadi.
A tal proposito egli riferisce di un episodio accaduto durante
l'annuale celebrazione del compleanno di Platone nella scuola di
Plotino. Porfirio lesse un poema di sua composizione intitolato Il
matrimonio sacro: "Poiché parlavo da ispirato in un linguaggio
mistico e iniziatico e qualcuno aveva detto 'Porfirio è impazzito',
egli (Plotino) replicò in modo che tutti sentissero: 'Ti sei rivelato
nello stesso tempo poeta filosofo e ierofante". Porfirio stesso si
definisce ierofante, ossia sacerdote dei sacri misteri eleusini, lo
stesso termine che nella tradizione ebraica indicava il sommo
sacerdote del tempio e, nel mondo latino, il Pontefice Massimo.
nella figura di Porfirio si concentrano questi aspetti solo
apparentemente divergenti, filosofia, poesia e religione senza
soluzione di continuità.
OPERE DI PORFIRIO
Il suo vero nome era Malco, che significa in lingua siriaca re,
nome tramutato in Porfirio dal maestro Cassio Longino e, infine,
tradotto in Basilio dal discepolo di Plotino Amelio Gentiliano. È
passato alla storia con il nome di Porfirio probabilmente perché
in Siria si produceva la porpora con la quale durante l'antichità
si coloravano le stoffe.
• 250/262 Commentari ad Omero, Scritti di filologia, retorica e
grammatica, probabilmente risalgono a questo periodo anche gli
Scritti storico-filosofici.
•
263/268 Commentari a Platone, Commentari a Aristotele,
Scritti metafisici.
•
268/272 Contro i cristiani, Isagoge alle Categorie di
Aristotele (Sulle cinque voci), De abstinentia. (Isagoge =
scritto o discorso introduttivo a un’opera, a una dottrina, a un
insegnamento)
• 273/300 Filosofia rivelata dagli oracoli, Sulle immagini degli
dei, Sui nomi divini, Sugli oracoli di Giuliano il Caldeo, Lettera
ad anebo, Scritti scientifici, Commentario agli armonici di
tolomeo, Introduzione all'apotelesmatica di Tolomeo,
Introduzione all'astronomia in tre libri.
•
301 Enneadi, Vita di Plotino, De regressu animae, Sentenze
sugli intelligibili.
•
302 (anno del matrimonio con Marcella, Porfirio aveva già 68
anni) Lettera a Marcella.
•
•
SULLE IMMAGINI
DEGLI DEI
• Le statue non sono delle semplici rappresentazioni iconiche
del dio. Al contrario sono la manifestazione (apparizione)
dell'essenza più intima e autentica del dio raffigurato.
Ogni particolarità rappresenta una modalità del dio. Una
modalità non è che un'apparenza, pertanto la statua ben si
presta a manifestare piuttosto che a significare,
ontologicamente, il dio che rappresenta.
• La statua è un supporto mnemonico simbolico, non un mero
oggetto da contemplare esteticamente.
Poste queste premesse si comprenderà che lo scritto di Porfirio
sulle immagini degli dei del pantheon tradizionale è un tentativo
di giustificare il loro culto attraverso il valore simbolico che ad
esse si può attribuire.
In un epoca di iconoclastia, per la quale le immagini sono delle
forme idolatriche di adorazione da combattere, Porfirio scrive
un'opera che ha proprio l'iconolatria come giustificazione.
Alla base della lettura porfiriana delle icone c'è Platone con la
sua distinzione tra simulacri e icone, che sostanzia la nota
condanna dell'arte nella Repubblica, laddove Platone dichiara
che l'arte essendo imitazione di una imitazione non avvia un
processo conoscitivo, essendo troppo lontana dal modello ideale.
Brevemente ricordiamo quel che diceva Platone dell'arte. Le cose
sensibili, le cose visibili di questo mondo, non sono altro che una
imitazione sbiadita delle idee forma che si trovano
nell'Iperuranio, come tali esse non sono delle verità ma
imitazioni. Ora se la natura con i suoi elementi è imitazione delle
idee forma, l'arte, dal momento che imita gli elementi della
natura è a sua volta imitazione di una imitazione, pertanto si
allontana notevolmente dal suo modello originario e, per questa
ragione, confonde piuttosto che chiarire le indagini sul vero.
In quanto tale soccorre la memoria di colui che sa nel momento in
cui essa è impegnata a riconoscere/elencare gli attributi divini (le
qualità della sua natura), la realtà della sua condizione
(ontologia).
Ontologicamente una statua è un medium che apre le porte del
mistero teosofico.
Schematicamente
# Distinzione tra icona e idolo, εικών
e είδωλον. La prima
è una immagine buona, la seconda una immagine cattiva.
# Per tale via le seconde saranno immagini dei demoni
malvagi, gli idoli sono i simulacri
che li raffigurano. Le
prime, le icone, sono le apparizioni degli dei, e le statue
che li raffigurano sono dette icone.
#
La
provenienza
platoniche
di
questa
distinzione
è
chiara: infatti Platone considerava buona soltanto quella
immagine che conservava forte e produttivo il suo legame
con l'idea forma, cioè quella che partecipava dell'idea.
Considerava al contrario cattiva quella che, come ad
esempio avviene nella pittura, imita l'oggetto e illude
sulla reale presenza del medesimo. La pittura simula la
presenza di ciò che viene rappresentato.
Tuttavia Platone stesso nelle Leggi moderò la sua posizione
sulla questione delle immagini. Scrive nel libro IX, 930e - 931a
(traduzione di Roberto Radice):
"Le antiche leggi riguardanti gli dei sono generalmente di due
tipi. Infatti, quelli degli dei che sono visibili noi li onoriamo
direttamente, gli altri, invece, li onoriamo in immagini (εικόνας)
costruendo per essi delle statue (αγάλματα). Ebbene, per quanto
le immagini che veneriamo siano prive di vita (αψύχους), riteniamo
che grazie ad esse proprio quegli dei viventi (εμψύχους θεούς), che
esse raffigurano, divengano verso di noi molto benevoli e
accondiscendenti".
Poiché, dunque, lo ierofante possiede l'arte di tradurre i simboli,
che gli dei amano più delle esplicite parole, egli può dare risalto
alle αγάλματα come se si trattasse di libri: "Parlerò solennemente
a coloro cui è permesso [...] lo faccio per coloro che hanno
imparato a decodificare dalle statue le scritture riguardanti gli
dei, come se fossero dei libri".
Poiché gli dei risiedo o nel fuoco e nella luce, sono cioè luminosi,
gli uomini per rappresentarli si sono serviti dei materiali
adeguati, come le trasparenze dei cristalli o del marmo pario o
l'avorio; si sono serviti inoltre dell'oro che rinvia al fuoco e
alla purezza. L'oro era ritenuto un elemento che non si
contaminava. Se la contrario si intendeva mostrare l'invisibilità
del dio si faceva ricorso alla pietra nera.
La simbologia viene così unita alla teurgia poiché colui che
costruisce le statue riesce a catturare la potenza del dio che
raffigura, il simbolo diventa in tal modo la via per esprimere
l'ineffabile, ciò che non ha forma e figura, e soprattuto rende
possibile i discorsi su di esso.
Tutte le statue che Porfirio passa in rassegna sono
rappresentazioni simboliche di un elemento costitutivo del cosmo,
ovvero di un principio divino:
Zeus = intelletto
Era = aria
Oceano = acqua
Estia = terra
Apollo = sole/fuoco
Artemide = luna
Muse = le sfere dei pianeti! le fatiche di Ercole, il simbolo dei
dodici segni zodiacali
• Resta sottinteso che ogni elemento principale contiene le altre
divinità a cui rimandano per analogia o teologia.
• Le εικόνες diventano così σύμβολα: l'immagine rende presente il
suo modello in una παρουσία simbolica. In questo modo la statua
della divinità riprende nella sua costituzione fisica e simbolica
il rapporto operato dal Demiurgo tra la forma e la materia, tra
l'Idea e la chora, anche se in modo imperfetto e inadeguato.
• Ecco perché si rende necessaria una spiegazione fisiologica
delle statue, unità ad una lettura simbolica o allegorica, non
solo fisica ma metafisica e teologica.
• Il simbolismo di Porfirio vuole cogliere il trascendente, ciò che
sfugge ai sensi e all'intelletto.
• Chiariamo con un esempio. Ermes è il simbolo del λόγος ποιητικός
καί ερμηνευτικός, "Ermes è il rappresentante della ragione
creatrice e anche interprete di tutte le cose. Ermes indica il
vigore, ed inoltre ... la ragione seminale che pervade tutte le
cose. Pertanto la ragione è composita: nel sole è Ermes, nella
luna invece è Ecáte, nel tutto è Ermes-Pan. Infatti la ragione
seminale è creatrice e pervade tutte le cose. Inoltre la ragione è
composita ed Ermes-Anubis è in un certo senso un semigreco
(trovandosi) anche presso gli egizi. E poiché la ragione seminale
era anche il simbolo della potenza dell'amore, Eros è il
rappresentante di questa. Perciò Eros è figlio di Ermes, ma è
anche fanciullo a causa degli accessi fulminei dei suoi attacchi
di desiderio".
• Afrodite "generatrice di desiderio è causa di nascite, la
rappresentarono donna per la procreazione e per l'avvenenza,
perché è anche Espero che è l'astro più bello che sta nel cielo.
Hanno accostato ad Afrodite anche Eros a causa del desiderio. E
Afrodite copre i seni e la parte intima perché la potenza (dei seni
e della parte intima femminile) è causa di procreazione e di
nutrimento. Inoltre Afrodite proviene dal mare, principio
liquido e caldo, in continuo movimento e spumante a causa della
sua agitazione che dicono sia simile alla capacità di generare."
• Questo tipo di approccio alle statue spiega anche la ragione per
la quale gli ultimi araldi della religione tradizionale non si
arresero al cristianesimo trionfante.
• Autori come Macrobio, Marziano Capella, [il primo autore dei
Sarurnali, in cui compaiono espliciti riferimenti a Porfirio per
l'interpretazione simbolica delle statue di Apollo e di Minerva
come figure del sole e della sapienza, dell'illuminazione e
dell'intelligenza; il secondo di un trattato enciclopedico di
stampo platonico in cui si presenta il sapere tradizionale in
forma allegorica ricondotto al dio della ragione interpretante
Mercurio/Ermes, intitolato De nuptiis Mercurii et Philologiae]
vissuti intorno al IV-V secolo e. v. tentarono di salvare le
statue greco-romane in quanto simboli della religione astrale e
raffigurazione dell'identità civile latina. Una battaglia
destinata alla sconfitta, quest'ultima era ben presente sullo
sfondo dell'epoca di passaggio dalla libertà greco-romana
all'oppressione-repressione dei vescovi cattolici.
• Furono proprio quest'ultimi a condannare ogni forma di
idolatria spingendosi fino all'estremo opposto, cioè
all'iconoclastia. Un atteggiamento che decretò la sparizione di
opere di inestimabile valore artistico e documentale, come ad
esempio la statua crisoelefantina di Atena nel Partenone,
un'inestimabile opera di Fidia pari a quella di Zeus ad Olimpia.
• Sulla rimozione della statua di Atena dal Partenone da parte di
cristiani possediamo un racconto di Marino di Neapoli (cap. 10
della Vita di Proclo). Quando per la prima volta Proclo giunse
ad Atene - nel 430, lo stesso anno della morte del vescovo di
Ippona (Agostino) - dopo essere sbarcato al Pireo, per prima cosa
vide il tempietto in cui si venerava la statua di Socrate, e poi,
giunto all'Acropoli e al Partenone, incontrò il custode che gli
disse "Se tu non fossi venuto, avrei chiuso". Qualche anno più
tardi, continua Marino, la statua di Atena fu rimossa dal
Partenone e la dea apparve in sogno a Proclo dicendogli che da
quel momento in poi si sarebbe trasferita a vivere nella sua
casa. E forse ancora abita lì visto che il nuovo museo
dell'Acropoli ingloba al suo interno, anzi sorge proprio sopra
la casa di Proclo poco sotto la collina dell'Acropoli.
Apparato iconografico esemplificativo:
1) Zeus crisoelefantino
Fidia 436-433 p.e.V.
2) Ermes, (Porfirio, Sulle immagini degli dei, F 359)
3) Afrodite (Porfirio, Sulle immagini degli dei, F
359)
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