Le grandi migrazioni del passato e del presente

Le grandi migrazioni del passato e del presente
Il termine migrazione si presta a molteplici interpretazioni e all’indicazione di diversi tipi di movimenti a
seconda del soggetto che compie l’azione, il motivo, l’epoca e altre variabili.
Per gli animali il concetto si presta nella maggior parte dei casi indicare movimenti stagionali, dovuti a
ragioni climatiche o in taluni casi a dinamiche di riproduzione della specie o di ricerca di cibo. In talune specie
questi movimenti sono state spesso indirizzate e in parte lo sono ancora dall’uomo.
Possono essere ricordate a proposito le migrazioni stagionali di alcune specie di uccelli da nord a sud o
viceversa per far fronte a condizioni climatiche più favorevoli; analoghi motivi hanno spinto l’uomo a indurre
questo moto nelle mandrie di ovini o bovini (trasumanza, alpeggio), anche alla ricerca di un cibo più ricco. Altre
specie animali sembrano legate a specifici cicli vitali su scale spaziali più o meno ampie; esemplari, in questo
caso, le migrazioni transoceaniche delle anguille (Mar dei Sargassi, lagune mediterranee) o quelle dei
salmonoidi).
Fin dalla preistoria l’uomo ha in ogni caso insito il concetto di trasferimento da un luogo all’altro anche su
vasta scala geografica; le dinamiche che hanno diffuso in continenti diversi singole collettività sono di
interpretazione non univoca e devono far riferimento comunque ad assetti geomorgoloci (deriva progressiva dei
continenti) e climatici diversi (glaciazioni e periodi intermedi) da quelli attuali.
Anche i termini che vengono utilizzati per indicare grandi movimenti umani tradiscono poi il punto di vista
dell’osservatore: ciò che in alcune lingue corrisponde al termine “migrazione” in altre diventa “invasione”.
Dati di diverso tipo si prestano ad essere interpretati anche per le fasi preistoriche come una migrazione
di flora e fauna tra Eurasia e Africa, ma anche tra Asia e continenti americani. Esistono teorie più o meno
condivise sulle origini dell'uomo contemporaneo. anche in rapporto agli ominidi.
L'origine africana dell'Homo sapiens è il modello paleoantropologico dominante tra le teorie che tendono
a descrivere l'origine e le prime migrazioni umane.
A riguardo si possono ipotizzare le seguenti dinamiche:
Forse 70-75 000 anni fa (comunque in epoca da precisare) dall'Africa del Nordest parte un'espansione
che segue la costa meridionale dell'Asia fino all'India ed al Sud Est asiatico, da questa regione partono due rami:
uno verso Nord, in Cina (67 000 anni fa); l'altro ramo si dirige a Sud fino alla Nuova Guinea e l'Australia (60 00055 000 anni fa).
Alcuni nuclei navigano lungo la costa Est dell'Asia verso Nord,. Tra 50-30 000 anni fa si ha il primo
passaggio dell’attuale stretto di Bering, (non si sa se per via di terra o per navigazione). Inizia quindi il
popolamento delle Americhe; contestualmente inizia il popolamento dell'Asia centrale.
Nel periodo compreso tra 45 e 40 000 anni fa, ha inizio il popolamento del Medio Oriente a partire
dall'Asia del Sud e dall'Africa nordorientale; verso 40 000 anni fa ha inizio il popolamento dell'Europa dal SudEst
(Medioriente) e dall'Est (Asia); 25-10 000 anni fa ulteriore popolamento dell'Africa a Nord dell'Equatore
Il Nord del Medio Oriente viene occupato da una popolazione in partenza dalla Turchia e
successivamente dalla regione kurgan, ambedue parlanti lingue indoeuropee e ambedue dirette in Europa.
L’ultima grande espansione è quella delle lingue altaiche che, cominciata 2300 anni fa, continua fin quasi
ai nostri giorni, sostituendo le lingue indoeuropee che erano parlate precedentemente in Asia centrale e in
Turchia.
Per quanto concerne l’uomo i fattori delle migrazioni sembrano moltiplicarsi durante i secoli ed acquisire
caratteri di consapevolezza singola e collettiva, che lasciano spesso spazio a ragioni culturali e non solo materiali:
ricerca più o meno voluta di una maggiore indipendenza dal nucleo sociale originale o pura e semplice curiosità
intellettuale, scelta obbligata da una crescita demografica e quindi da insufficienti risorse materiali o occupazionali
delle sedi storiche o da imposizioni dettate da conflitti, provvedimenti di ordine razziale, vere e proprie
deportazioni forzate (diaspora ebraica, diaspora tibetana, diaspora armena, diaspora africana).
Più in dettaglio la migrazione umana può realizzarsi secondo le modalità del nomadismo, dell’esodo,
dell’invasione da parte di popolazioni nomadi non necessariamente a scapito di altre sedentarie e socialmente più
evolute, della colonizzazione di terre in vari aspetti, della diaspora, della deportazione.
Si possono anche ricordare migrazioni umane stagionali per ragioni di lavoro o di turismo.
Carta dei principali spostamenti umani nelle epoche più antiche basati su rilievi genetici
Gli Indoeuropei
Gli Indoeuropei erano un popolo che ebbe in comune la cultura, la religione, l’etnia e la lingua. Tra il
4500 ed il I millennio a.C, con ondate migratorie successive, colonizzarono gran parte dell’Asia centromeridionale e dell’Europa. Sembra che la regione d’origine degli Indoeuropei fosse nelle pianure della Russia
meridionale e che ad essi sia riconducibile la cultura dei Kurgan che si sviluppò in quell’area fra il 5000 ed il 3000
a.C.. L’unità di origine dei popoli Indoeuropei, venne evidenziata con l’aiuto delle scienze moderne nel corso del
XIX secolo. Inizialmente con la linguistica, con l’ausilio della filologia comparata, che riuscì a dimostrarlo; in
seguito, con la stessa disciplina si riuscì a stabilire con una certa sicurezza, l’ordine e la successione delle
diverse migrazioni effettuate da questi popoli. Con la mitologia, si riuscì a dare un nuovo impulso alle varie teorie
sulle origini storiche degli Indoeuropei. Nelle differenti culture si trovavano dispersi, miti leggende e simboli,
collegati tra loro da una fonte comune, un semplice concetto primitivo dal quale derivarono. Le lingue di origine
indoeuropea formano il gruppo di lingue più diffuse nel mondo. Di questa grande famiglia fanno parte le lingue
celtiche, germaniche, italiche, slave, baltiche, indoiraniche ed in più un gruppo di lingue più isolate come il greco,
l’albanese e l’armeno, alle quali sono da aggiungere due sottogruppi linguistici oggi estinti: le lingue anatoliche,
che erano quelle parlate dagli Ittiti e il tocarico, che veniva parlato nel Turkestan cinese. L’estensione primaria di
queste lingue, copre quasi tutto il continente europeo ed una buona parte dell’Asia.
Dopo le grandi scoperte geografiche, le lingue indoeuropee si sono diffuse in tutti i continenti. Esse sono
flessive, tutte con declinazione nominale e sistema verbale articolati. Tre furono le ondate migratorie: la prima,
avvenuta verso il 2000 a.C:, spinse verso sud gli Ittiti ed i Greci. I primi fondarono un grande impero nell’Asia
Minore, mentre i secondi si diffusero progressivamente nei territori estremi della penisola balcanica e nelle isole
del Mar Egeo. Nel corso della seconda ondata, alcuni gruppi si spinsero fino all’India e alla Persia, formando i
popoli Indiani, Medi e Persiani.
La terza ondata migratoria di popoli Indoeuropei, interessò l’Europa occidentale e meridionale ed
interessò i Veneti, i Latini, gli Osci, gli Umbri, gli Illiri ed i Celti. Secondo recenti teorie, il luogo d’origine di questi
popoli era compreso tra il basso corso del fiume Volga, il Mar Caspio, il lago Aral e l’alto corso dello Jenisej. Gli
Indoeuropei erano quindi stanziati originariamente nelle steppe nelle grandi foreste russe ed avevano una
carnagione piuttosto chiara, dovuta al clima rigido della regione. La loro società si divideva in tre categorie: i
guerrieri, i sacerdoti e i lavoratori; quest’ultima classe era composta dai più deboli e dagli appartenenti ai popoli
vinti ridotti in una specie di schiavitù. In guerra erano soliti utilizzare l’ascia in ferro ed il carro da combattimento.
Nei paesi mediterranei occupati, il preesistente matriarcato venne sostituito dal patriarcato. Per quanto
concerneva la religione, gli Indoeuropei avevano il culto degli agenti atmosferici, del cielo, della luna, del sole,
degli alberi e dei boschi.
Migrazioni indoeuropee tra il 3000 e il 1000 a.C.
Il ruolo di queste divinità consisteva nel dominio del clima ed era quindi collegato direttamente
all’agricoltura e all’allevamento, le due principali attività dei popoli di quel periodo storico. I Romani, con le loro
conquiste contribuirono secoli più tardi, ad estendere la diffusione della lingua indoeuropea in una buona parte
del mondo conosciuto.
Nell’immagine sono evidenziati i nomi e le migrazioni di diversi popoli, quasi tutti con certezza di origine
indoeuropea; ad essi vanno aggiunti anche quelli che trovarono la loro sede nel subcontinente indiano.
In Europa prevalgono le parlate della famiglia indoeuropea: segue per importanza il gruppo delle lingue
agglutinanti uralo-altaiche e non mancano i gruppi minori. Specie dove il mondo germanico viene a contatto col
mondo slavo esiste un notevole mescolamento etnico. Al gruppo neolatino spettano Italiani e Ladini, Francesi e
Valloni, Spagnoli e Portoghesi, Romeni. Al gruppo germanico Tedeschi, Olandesi e Fiamminghi, Scandinavi,
Anglo-Sassoni. Al gruppo slavo Russi, Ucraini, Polacchi, Cechi e Slovacchi, Serbi, Croati e Sloveni, Bulgari.
Minori gruppi indoeuropei sono: Celti, Lettoni e Lituani, Albanesi e Greci. Non appartengono alla famiglia
indoeuropea: Baschi, Finni, Magiari, Tatari, Turchi, Chirghisi e Calmucchi. Vi sono pure Ebrei e Zingari, sparsi in
territori diversi.
La colonizzazione mediterranea dei Fenici
Nella prima parte del I millennio a.C. i Fenici erano la maggior potenza commerciale nel Mar
Mediterraneo. Avevano contatti commerciali in Egitto e in Grecia e, fondarono colonie in Occidente fino alla
moderna Spagna, a Gadir (Cadice) e in seguito a Barcino (Barcellona). Da qui controllavano l'accesso all'Oceano
Atlantico ed alle rotte commerciali per la Britannia.
La più famosa e potente delle colonie fenicie fu Kart-Hadasht (Cartagine), fondata da Tiro. Cartagine
stessa a sua volta fondò numerose colonie nel Mediterraneo occidentale, come Carthago nova (Cartagena) e
Hispalis (Siviglia) in Spagna, Drepanon (Trapani), Karalis (Cagliari).
La regione fenicia
Il paese dei Fenici si trovava in una posizione strategica per il commercio, in rapporto con due grandi
civiltà come quella egizia e quella assira, ma anche con quelle mesopotamiche. Dopo il suo esordio come popolo
di terra il Mediterraneo si aprì ai Fenici come un naturale bacino di espansione. Fu sostanzialmente l’aumento
demografico delle diverse città fenice a spingerli ad attività commerciali marittime. Il territorio coltivabile veniva
sfruttato con colture mediterranee, ma la loro produzione non doveva evidentemente essere sufficiente.
Alcune risorse del territorio come quello del legname del cedro, delle sabbie idonee alla lavorazione del
vetro e della porpora tratta dal murice utilizzata nella tintura delle stoffe, ma anche particolari tecniche nella
lavorazione dei metalli (oro, argento, rame, stagno, ferro, bronzo) rappresentavano invece un patrimonio in grado
di animare anche delle esportazioni.
La rete di scambi dei Fenici, che all'inizio non andava più in là dell'Egitto e delle Mesopotamia, si allargò
progressivamente, di pari passo con i progetti tecnici nella costruzione delle imbarcazioni e nella navigazione, a
tutto il Mediterraneo. Le loro navi arrivavano a superare anche lo stretto di Gibilterra, da un lato, le coste africane
bagnate dall'Atlantico dall'altra, probabilmente raggiungendo anche le coste Britanniche.
A una prima fase priva di intenti di conquista e creazione di insediamenti stabili, detta della
“precolonizzazione” (XI-IX sec. a.C. circa) ne seguì dall’ VIII sec. a.C. un vero e proprio movimento coloniale che
interessò l’Italia, l’Africa settentrionale e la Spagna meridionale nonché Creta, Malta, Pantelleria, la Corsica e le
Baleari.
Tra i diversi luoghi interessati dalla presenza fenicia non va dimenticata Cipro, che già dal IX sec. a.C.
mostra segni di una assidua frequentazione fenicia e la cui vicinanza territoriale alla Fenicia è tale da renderla
intimamente legata alla madrepatria,
Inutile dire che i rapporti con altri centri del Mediterraneo, anche orientale, favorì l’acquisizione di nuove
nozioni geografiche e nautiche. La navigazione, ovviamente senza l'ausilio della bussola, si svolgeva sotto la
guida dell'Orsa minore, che significativamente i Greci stessi chiamavano «fenicia». (la Stella Polare, chiamata
appunto, la Stella dei Foinike).
Le navi evitavano con cura di prendere il largo ed infatti le colonie fenicie occupano sulle coste distanze
sempre regolari: erano i punti d'appoggio essenziali per una navigazione sicura.
Le navi si spingevano in mare aperto solo in periodi dell'anno favorevoli e sulle rotte più brevi fra un
porto amico e l'altro. Il commercio con il Mediterraneo orientale per lo più seguiva le coste della Palestina,
dell'Egitto, della Libia e, in genere dell'Africa del nord. Per raggiungere la Spagna era necessario fare scalo sulla
punta occidentale della Sicilia e di lì in Sardegna e poi alle Baleari. Dalla Sicilia poi, lungo la costa settentrionale
si poteva bordeggiare raggiungendo la Campania e il Lazio, l'Etruria, la Gallia. Cartagine era praticamente
estromessa dal commercio nell'Egeo, nello Ionio e nell'Adriatico aree commerciali monopolizzate dalle colonie
greche (si ricordino, oltre alla Magna Grecia, Ancona e più a nord Adria) ancorché soggette al pericolo dei pirati
Illiri. Proprio questo quasi monopolio greco nell'est rendeva vitale, per Cartagine, il controllo dell'occidente
mediterraneo.
Ma non per questo i Fenici esitarono dal lanciarsi in imprese più rischiose verso mete lontane: secondo
Erodoto compirono addirittura la circumnavigazione dell'Africa, (conosciuto sotto il nome di "Periplo di Annone") e
raggiunsero le Canarie e le Azzorre, e forse accidentalmente l'America del Sud.
Rotte atlantiche fenicie
Per disporre di approdi sicuri e, soppratutto, di rifornimenti di viveri e attrezzature nel corso dei loro
lunghi viaggi, le città fenicie crearono delle colonie in vari paesi del Meditarreneo. Il carattere originariamente
provvisorio e finalizzato appunto al ricovero e al mantenimento degli equipaggi, si trasformò relativamente presto
in quello di veri e propri centri di insediamenti stabili abitati da Fenici che vi si erano appositamente trasferiti.
Sorsero così centri come Adrumeto, Cartagine, Utica e Tangeri sulla costa nordafricana; Monzia e
Panormo (oggi Palermo) in Sicilia; Nora, Sulcis, Tharros e Caralis (oggi Cagliari) in Sardegna; Malta e Gozo, nelle
due isole omonime poste al centro del Mediterraneo; Cadice in Spagna.
Trasformatesi in veri e propri porti commerciali tali colonie restarono tuttavia in genere attive solo sul
mare e non all'interno.
L'unico caso anomalo si è avuto con Cartagine, fondata (814 a.C.) dalla città di Tiro che nel corso del
tempo fondò altre colonie nel Mediterraneo.
La nuova città stabilì subito rapporti d'amicizia con i popoli vicini: la posizione che occupava era tale
però da portarla in breve tempo ad assumere una posizione di egemonia. Infatti essa era eccezionale sia in sé sia
per le possibilità di irradiazione e di consolidamento dell'interno. La collina su cui sorgeva si apriva come un vasto
promontorio tra due lagune, che ne difendevano ottimamente i fianchi, ed era unita al continente da un istmo
sabbioso, di cui era facile e comodo assicurarsi e mantenere il controllo. Infine il promontorio offriva possibilità di
terre coltivate.
Al di là del racconto tradizionale sulla fondazione di Cartagine mancano precise notizie sulle vicende
della città, fino alla fondazione di una colonia in Ibiza, nel 654/3 avanti Cristo. Ma è indubbio che Cartagine si
sviluppò presto al livello di principale centro fenicio d'Occidente indipendentemente dalla madrepatria, riuscendo
ad imporre la propria autorità e supremazia a tutte le altre colonie. L'elemento che contribuì in modo determinante
alla realizzazione della zona d'influenza cartaginese, che poi diverrà vero e proprio impero, è la penetrazione
greca nell'area mediterranea; questo creò un pericolo costante per le numerosissime colonie fenicie sulle coste
del Mediterraneo; anche la natura stessa delle colonie fenicie, avamposti isolati, facili prede delle rivolte delle
popolazioni dell'entroterra, rendeva necessario un appoggio ad un centro unico, che poi era inevitabilmente
proprio la colonia più forte.
I motivi che spinsero i Fenici a creare delle colonie stabili sono determinati dal convergere di più fattori:
la crisi delle città-madri a causa dell’espansionismo dell’impero Assiro con una conseguente perdita dell’
indipendenza politica e la possibilità di gestire la rete dei commerci nel Mediterraneo; dall’altro la contestuale
colonizzazione greca che indusse i Fenici a consolidare la propria presenza nel Mediterraneo centro–occidentale
per garantirsi il monopolio nel commercio dei metalli ed infine anche il bisogno di difendere i loro piccoli empori
dagli attacchi delle popolazioni indigene.
Allo sviluppo sempre crescente di Cartagine fa diretto riscontro la progressiva crisi di Tiro e dell'Oriente
fenicio, che perse sotto i colpi successivi di Assiri, Babilonesi e Persiani la forza della propria autonomia e finì in
uno stato di effettivo vassallaggio.
All'epoca della fondazione della colonia di Ibiza, con ogni probabilità i Cartaginesi si insediarono anche in
Sardegna ed in Sicilia, e complessivamente già nel VII secolo la diffusione mediterranea di Cartagine era un fatto
reale e di grande portata.
Intorno al 600, secondo quanto narra Tucidide, i Cartaginesi subirono una dura sconfitta navale per
opera dei greci Focesi che riuscirono così ad installarsi a Marsiglia, una colonia che permetteva il controllo della
ricca zona della valle del Rodano. In questo momento particolarmente difficile Cartagine strinse rapporti con gli
Etruschi, nel comune tentativo di contrastare l'espansione greca nel Mediterraneo. Questa alleanza permetterà
una piena rivincita sui Focesi: ad Alalia Cartaginesi ed Etruschi li affrontarono in una dura battaglia sul mare
(541/535), riuscendo ad infliggere loro una grave sconfitta, e ad annientare la potenza dei Focesi e nello stesso
tempo a bloccare per sempre la via della Corsica e della Sardegna all'espansione greca.
Alcuni trattati divisero la zona d'influenza tra Etruschi e Cartaginesi e sancirono un periodo di intensi
scambi anche culturali e artistici tra le due civiltà.
L'alleanza aveva un significato più vasto sul piano mediterraneo: essa saldava infatti in Occidente la
coalizione anti-greca costituita dalle nazioni orientali sotto l'egida dell'impero persiano; la prima avvisaglia di crisi
nell'alleanza anti-greca d'Occidente è data dal declino etrusco e precisamente dalla proclamazione
dell'indipendenza di Roma con la cacciata dei Tarquini (510). Il primo atto internazionale della Repubblica
Romana sarà proprio la stipula d'un patto d'amicizia con Cartagine: praticamente ciò dimostra come nulla potesse
accadere di politicamente rilevante in Occidente senza suscitare immediatamente l'intervento di Cartagine, vero
pilastro in questo periodo della storia mediterranea.
Significativo il fatto che quando l'avanzata persiana contro la Grecia fu bloccata, anche la potenza
cartaginese subì una serie di rovesci in Sicilia (Imera, 480), finendo col rinunciare alle sue pretese di egemonia
anche sull'isola in cui forti erano le tracce della presenza greca.
L'eccezionale grado di potenza militare e commerciale raggiunta da Cartagine prima del suo scontro con
Roma è comprensibile anche tenendo conto delle colonie più importanti sparse lungo le coste del Mediterraneo
occidentale.
Sulle coste africane, procedendo da est verso ovest, il primo insediamento d'un certo rilievo era Leptis
Magna, poi Ocea (l'attuale Tripoli), più avanti Bu Settha, Sabratha; nell'area geografica dell'attuale Tunisia, il
primo centro punico di rilievo era Acholla, poi Thapsos e Mahdia e Leptis Minor; particolarmente importante è
Hadrumetum, oggi Susa, e anche Utica, tradizionalmente ritenuta la più antica colonia fenicia dell'Africa
settentrionale. Nell'attuale territorio algerino ben poco è possibile rintracciare delle colonie di Hippo Acra (Biserta)
e Hippo Regius (Bona) e Philippeville; meglio nota è Cirta (Costantina); di Icosium (Algeri) poco si conosce, dato
lo sviluppo del centro fino allo sviluppo della città moderna.
Procedendo ancora verso Occidente seguono Iol (Cherchel), Gunugu (Guraya), Les Andalouses,
Rachgoun, Mersa Madakh. Passando nel territorio dell'odierno Marocco, il primo centro punico che s'incontra è
Russadir, poi Emsa, segue Sidi Abdselam del Behar, Tamuda. Sulla costa atlantica del Marocco abbiamo Lixus e
Mogador.
Naturalmente non è sempre facile poter distinguere tra gli insediamenti originalmente punici e quelli
fenici passati sotto il pieno e diretto controllo cartaginese. In generale, l'affermazione di Cartagine determina il suo
sostituirsi alla madrepatria nell'opera di colonizzazione in Occidente; tuttavia alcuni reperti archeologici
suggeriscono un'origine direttamente orientale, o comunque contatti con il mondo fenicio.
Le colonie in Occidente non sono meno numerose.
Malta, originariamente colonia fenicia, passò poi sotto controllo diretto di Cartagine; e con Malta le altre
isolette di Gozo e Pantelleria, tutte particolarmente importanti nei traffici marittimi verso la Sicilia e verso la
Grecia. In Sicilia non è possibile stabilire bene se siano giunti prima i Fenici o i Cartaginesi, in ogni caso la loro
presenza è cospicua anche se difficilmente ricostruibili con sicurezza per gli sviluppi storici successivi.
In Sardegna le origini fenicio-puniche sono notevolmente antiche e con sicurezza l'esistenza d'una fase
fenicia è di periodo precedente la presenza punica; in ogni caso l'intervento di Cartagine nell'isola è un fatto
compiuto a partire dal VI secolo. Nora, Sulcis, Inosim, Karalis (l'odierna Cagliari) e Tharros sono le colonie più
importanti sulla costa; ma anche all'interno si spinse la colonizzazione cartaginese, con le colonie di Othoca,
Uselis, Macopsica, Magomadas, Gurulis, Nura; recentemente un importante caposaldo punico è stato scoperto a
Monte Sirai. Se le città costiere sorsero evidentemente come punti di appoggio sulle grandi rotte marittime del
commercio, quelle dell'interno rispondono ad esigenze molteplici, tra cui sul piano internazionale va citato l'intento
di tener lontani i Greci da questa zona vitale per il traffico mediterraneo, mentre sul piano interno la creazione
delle colonie ha una funzione di protezione dei centri costieri e nello stesso tempo di sfruttamento delle risorse
agricole e minerarie.
In Sicilia l'insediamento fenicio e poi punico avvenne senza grandi reazioni da parte delle popolazioni
autoctone; un esempio è il tempio di Monte Erice dedicato ad Astarte Ericina (dea-madre dell'area cananea e
assimilata in seguito a Venere), era frequentato sia dai fenici che dagli Elimi che spesso aiutarono i fenici nella
lotta contro i Greci. In un primo tempo, invece, le colonie fenicie in Sardegna non riuscirono ad andare oltre un
controllo del territorio appena circostante, per la decisa resistenza che incontrarono.
In Spagna la colonizzazione fenicia ebbe lo scopo essenziale di assicurarsi il controllo delle fonti del
commercio dei metalli (oro, stagno e specialmente argento) che i Fenici acquistavano in questa regione per poi
rivendere in Oriente. Le principali colonie sono Cadice, forse anche la più antica, secondo la tradizione che la
vuole fondata dalla flotta di Tiro nel 1110; poi Tartesso, città ricca per il commercio dei metalli, Ibiza nelle Baleari,
di primaria importanza per il controllo delle rotte marittime verso i porti spagnoli.
. Procedendo lungo la costa settentrionale dell’Africa troviamo tracce considerevoli di fondazioni fenicie
nell’ampia fascia costiera che va dalla Tunisia al Marocco. Risulta tuttavia difficoltoso distinguere se la loro origine
sia da ricondurre alla fase fenicia o alla fase in cui Cartagine, diventata grande potenza, fonda a sua volta nuove
colonie. Fra l’Africa settentrionale e la Sicilia, insediamenti fenici sono presenti a Malta fin dall’VIII secolo a.C. e a
Gozo e Pantelleria solo nel VII sec. a.C. La colonizzazione di queste tre isole è stata una scelta quasi obbligata
per i Fenici in quanto funzionali non solo alle rotte commerciali, ma anche come punti strategici di dominio
marittimo e di sbarramento a difesa dagli antagonisti ( Greci e Romani).
Da Mozia a Tharros, l’Italia insulare custodisce le testimonianze di una penetrazione che non rimase
nell’ambito solo militare e commerciale ma che influenzò la cultura, l’artigianato e l’arte. In Sicilia i maggiori centri
fenici sono Mozia, Solunto, Palermo e Marsala, antica Lilibeo. Ancora presenze puniche sono individuabili a
Selinunte, fondata dai Greci a metà del VII a.C. e ad Erice, città elima, nelle isole Egadi. In Sardegna, invece,
dove la penetrazione è più vasta specie nella parte meridionale dell’isola i maggiori centri di fondazione fenicia
sono: Cagliari, Nora, Bitia, Sulcis, Monte Sirai e Tharros. Un controllo capillare e un intenso sfruttamento delle
risorse agricole dell’isola si avranno infine con i Cartaginesi, a partire dal IV sec. a.C.
La penisola iberica rappresenta il vertice più occidentale nell’ambito dell’espansione fenicio – punica nel
Mediterraneo. L’interesse dei Fenici per la Spagna va individuato nell’estrema ricchezza di metalli di questa
regione e nella cruciale posizione strategica per le aspirazioni politiche di Cartagine fra il VI ed il V sec. a.C. Oltre
ai grandi centri urbani di Cadice e Ibiza, della cui fondazione abbiamo notizia negli autori antichi, vanno ricordate
le numerose colonie dell’Andalusia, databili tra VIII e VI sec. a.C.: Villaricos, Almuñécar, Morro de Mezquitilla,
Chorreras, Toscanos, Malaga, Guadalhorce, Doña Blanca.
Principali rotte commericiali dei Fenici e tipologie di merci trasportate
Le migrazioni doriche
Linee di espansione dei Dori nel Peoponneso, a Creta e in Asia minore.
I Dori non sono da tutti considerati stirpe di ellenica, ma essi fecero del loro dio eponimo Doro un figlio (il
quarto) di Elleno, il capostipite degli Elleni.
Le genti doriche, rappresentanti dell'ultima ondata delle tribù che da nord e da est invasero la penisola e
le isole greche, abitavano originariamente la regione danubiana per poi passare nella valle del Vardar.
Penetrarono in Grecia parte attraverso l'Epiro e l'Illiria e parte attraverso la Macedonia Occidentale e la Tessaglia.
Raggiunsero il Peloponneso mescolandosi agli abitanti di Micene e Tirinto, conquistandole gradualmente. Nella
tradizione antica questa migrazione è rappresentata dalla leggenda del ritorno degli Eraclidi. Secondo la
testimonianza di Erodoto e Tucidide i discendenti di Eracle verso il 1200 a.C. si sarebbero spinti nel Peloponneso,
in Laconia e nella Messenia.
Alcuni studiosi hanno individuato nel racconto mitologico una prova della cosiddetta "invasione dorica",
ultima responsabile della decadenza della civiltà micenea.
Per tre secoli, a partire dal 1100 a.C. circa, la Grecia attraversò un periodo di assestamento, chiamato
dagli storici Medioevo ellenico, caratterizzato da una commistione dei tratti peculiari della precedente cultura
micenea e delle innovazioni doriche, quali l'introduzione dell'uso del ferro, dell'incinerazione dei morti e della
costruzione dei primi templi.
Alcune città doriche, Corinto e Megara in particolare, presero parte al grande movimento colonizzatore
che a partire dall'VIII secolo a.C. si sviluppò in tutto il bacino del Mediterraneo. Colonie doriche furono fondate in
Asia Minore, a Cipro, in Africa settentrionale ed in Italia (Magna Grecia e Sicilia). Fra queste ultime va segnalata
Siracusa, fondata da Corinto, che a sua volta poi fondò Ancona (il cui epiteto è appunto "la città dorica") ed Adria.
Sparta fondò Taranto nella penisola italica. La stessa Taranto, con Agrigento e Siracusa in Sicilia, furono le più
popolose e ricche città greche d'Italia prima della conquista romana.
La colonizzazione greca.
Per colonizzazione greca si intende il processo di migrazione di parte della popolazione di alcune poleis
greche in territori oltremarini. Comunemente si distinguono due ondate di colonizzazione, la prima colonizzazione,
si orientò intorno all'XI secolo a.C., verso le coste occidentali dell'Asia Minore e le isole prospicienti, da parte di
coloni eoli, ioni e dori, che si stabilirono rispettivamente nelle aree settentrionale, centrale e meridionale della
fascia costiera e sulle isole prospicienti, denominate perciò Eolide, Ionia e Doride.
La differenziazione dei tre principali gruppi etnici greci con rispettive colonie in Asia Minore
La seconda colonizzazione, verificatasi dall'VIII secolo a.C. al VI secolo a.C. verso terre più lontane,
quali l'Italia peninsulare (la Magna Grecia), la Sicilia, il Mar Nero, l'attuale Provenza e la Spagna sudorientale, e
anche l'Egitto con la fondazione dell'emporio di Naucrati.
Navi cariche di uomini, animali, aratri e oggetti di uso quotidiano lasciarono le coste greche e si diressero
verso le coste del Mar Nero, su quelle iberiche, su quelle francesi e su quelle italiane. alla ricerca di pianure fertili
più estese e di risorse, soprattutto metallifere, scarsamente presenti in patria.
Merce di scambio era rappresentata in genere da prodotti come olio, ceramiche, armi.
La colonia greca (ἀποικία) veniva fondata da gruppi di coloni, provenienti in genere da un'unica polis,
che creavano una nuova entità politica completamente autonoma; essi s'imbarcavano verso la nuova terra sotto
la guida di un aristocratico chiamato οἰκιστής (oikistēs = ecista), letteralmente "fondatore". Con l'antica patria
venivano mantenuti legami di culto e di lingua anche politici e militari.
Essa veniva costruita su un'altura vicino ad una costa debitamente protetta da una cinta di mura; le terre
circostanti erano dedicate all’agricoltura
Le più famose e potenti colonie greche furono quelle dell'Italia meridionale e della Sicilia, grazie anche al
clima favorevole alla coltivazione di grano, vite, ulivo. Tra queste Zancle (Messina), Rhegion (Reggio Calabria),
Locri Epizefiri, Kroton (Crotone), Sybaris (Sibari), Metapontion (Metaponto), Kyme (Cuma), Poseidonia
(Paestum), Hyele (Elea), Syraka (Siracusa),Taras (Taranto), Ghelas (Gela) ed Akragas (Agrigento).
La colonia più antica era quella di Pithekoussai, nei pressi di Lacco Ameno nell'odierna isola di Ischia
che era stata fondata da coloni provenienti da Calcide e da Eretria situate nell'Eubea, mentre tra le più recenti vi
furono le Eolie cnidie.
Erano queste grandi poleis (o, secondo altri, solo le città dell'Italia meridionale continentale) che, grazie
ai loro commerci ed alle loro scuole artistiche e filosofiche, divennero città regine del Mediterraneo centrale,
dando vita all'appellativo di Magna Grecia.
In Italia centrale e settentrionale sorgevano Ankon (Ancona) ed Adria. In Francia molto importanti erano
le colonie di Massalia (Marsiglia) e Nikaia (Nizza).
Altre colonie greche si trovavano nel Bosforo Cimmerio: Tanais, Caffa, ed altre.
Le colonie romane
Una colonia romana (il termine deriva propriamente da colonus, coltivatore) era una comunità autonoma,
situata in un territorio conquistato da Roma (provincia) in cui si erano stanziati dei cittadini romani, legata da
vincoli di eterna alleanza con la madrepatria. La più antica fu Anzio, dedotta, cioè passata al rango appunto di
colonia, nel 338 a.C.
Importante sottolineare che come luoghi in cui stanziare i propri coloni i Romani prediligevano città già
abitate dai popoli sottomessi. Inizialmente servivano da avamposto per controllare un territorio che sarebbe stato
ulteriormente colonizzato: in questo senso, il ruolo di Aquileia nell'espansione romana verso il nord est fu
importantissimo.
Verso la fine della Repubblica Romana, le colonie servirono soprattutto da territorio abitabile dai proletari
o dai veterani dell'esercito romano, soluzione uesta che riduceva la pressione demografica dell'Urbe.
Esistevano diversi tipi di colonia. I più importanti erano le colonie romane e le colonie di diritto latino. Nel
primo caso gli abitanti avevano la cittadinanza romana, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti, e
un'amministrazione cittadina direttamente sotto il controllo di Roma.
Nel secondo caso venivano istituite nuove entità statali, con magistrati locali, autonomia amministrativa
e, in alcuni casi, con l'emissione di monete, ma comunque con l'obbligo di fornire, in caso di guerra, l'aiuto
richiesto da Roma secondo la formula togatorum.
Quest’ultima era uno schema tenuto a Roma che elencava i vari obblighi militari che i socii (alleati) di
Roma erano tenuti a fornire in caso di guerra. Togati, cioè "quelli che indossavano la toga", non corrisponde
esattamente a "civis Romanus" e indica più generalmente le "popolazioni romanizzate"; nel contesto di inscrizioni,
quando appare l'espressione, togati sembra indicare non solo i Romani, ma anche alleati o Latini soggetti alla
coscrizione
Gli abitanti delle colonie latine non erano cives Romanio optimo iure, quindi non godevano tutti i diritti,
ma possedevano lo ius connubii (diritto di matrimonio) e lo ius commercii (diritto di commercio) secondo i diritti del
Nomen Latinum. Avevano sostanzialmente il compito di romanizzare il territorio.
Le colonie venivano fondate secondo il diritto latino sia come forma di controllo della diffusione della
cittadinanza romana (in quanto considerata superiore a tutte le altre), sia per motivi pragmatici: non essendo
direttamente governate da Roma come le colonie di diritto romano ma avendo magistrati propri potevano meglio
e più velocemente prendere decisioni per difendersi da pericoli imminenti.
Le colonie erano rette dai duoviri, da un senato locale e da un'assemblea popolare. In età imperiale
alcune città si arrogarono il titolo di colonia pur non possedendolo, perché questo titolo era diventato un privilegio
di pochi municipia, nome che indicava centri….
Le colonie romane solo militari erano poste ai confini o sulle coste, le colonie latine, più dedite alla
valorizzazione del territorio, stavano all'interno. Nelle colonie latine venivano stanziati 2500 coloni, nelle colonie
romane 300.
La Forma Coloniae era una serie di tavolette di bronzo in cui erano indicate le dimensioni dei lotti e il
nome degli assegnatari; nel I sec. a.c. l'assegnazione era di 50 iugeri (poco meno di 13 ettari), e il rapporto tra
centurie e coloni era di 1:4.
Nel 90 a.c. la Lex Iulia concesse la cittadinanza romana agli italici rimasti fedeli a Roma durante la
Guerra Sociale; nell'89 a.c. la Lex Pautia e Papiria, e la Lex Pompeia completarono la legislazione a favore degli
Italici.
Gli zingari
Zingari, zigani, zingani o gitani sono termini generici usati per indicare un insieme di diverse etnie,
originariamente ritenute nomadi. Attualmente il nomadismo interessa solo una minoranza di queste popolazioni
che, indipendentemente dalle proprie abitudini, cerca di mantenere l'uso di lingue di origine indiana.
A causa della connotazione negativa che la parola zingari ha assunto, alcuni utilizzano per definirli il
termine generico nomadi (anche se la maggior parte non lo è più), rom (ma non tutti lo sono), sinti (il nome di una
delle etnie), oppure in modo totalmente erroneo anche rumeni o slavi a causa della cittadinanza di molti di loro. In
realtà non c'è alcuna connessione - neppure etimologica - tra il nome "rom" e il nome dello stato di Romania, il
popolo di lingua neolatina dei rumeni o la lingua rumena, né teoricamente con le popolazioni slave, in quanto i
rom e i sinti sarebbero etnicamente di origine indiana.
Secondo diversi studiosi, il termine corretto da utilizzare sarebbe quello proprio dell'etnia o il termine più
generale di popolazione romaní, sostituendo i termini zingaro e zingari, laddove usati come aggettivi, con i
corrispondenti aggettivi romanó e romaní.
In Italia si continua ad utilizzare il termine "zingari" per indicare l'insieme delle etnie e l'aggettivo "romanì"
viene utilizzato solo in relazione alla lingua propria dei rom e sinti.
In Italia sono presenti diversi gruppi etnici della popolazione romaní: rom e sinti; l'etnia kalé è presente
soprattutto in Spagna. Le popolazioni romaní sono in massima parte stanziali e hanno generalmente la
cittadinanza del paese in cui vivono.
La parola italiana zingaro, come il francese tsigane, il portoghese cigano, il rumeno ţigan, l'ungherese
cigány e il tedesco Zigeuner, deriva dal greco medievale (Α)τσίγγανοι (A)tsínganoi (greco moderno Τσιγγάνοι,
Tsingáni), tribù dell'Anatolia. Non è escluso che l'etimo originario sia indo-ario, atzigan. Un'opinione diffusa
all'inizio del XX secolo ne faceva risalire l'origine allo stanziamento in Mesopotamia di popolazioni sire, etiopi e
nubiane, in seguito alle vittorie dell'imperatore Costantino V di Bisanzio, che si sarebbero chiamate Athingan, in
seguito disperse dalle invasioni turche.
Zingaro e zingano (così come Ατσίγγανος) sono da alcuni autori fatti risalire a Αθίγγανοι Athínganoi,
"intoccabili", nome di gruppi eretici stanziati nelle regioni anatoliche di Frigia e Licaonia; essa avrebbe avuto
connotazione, secondo molti, negativa (dato che trattasi dello stesso nome dell'infima "casta-non casta" indiana, i
paria,.
Altri ritengono invece che la connotazione del significato fosse positiva, portando a sostegno di ciò un
documento del 1387 di Nauplia, in Grecia, dove i veneziani confermarono i privilegi agli zingari già concessi a loro
dai bizantini. Privilegi che ritroviamo per questi popoli in diversi documenti per un centinaio di anni in diversi
luoghi dell'Europa.
Intorno al XVI secolo il termine avrebbe assunto quella connotazione negativa che troviamo ancora oggi.
Spesso, per indicare le etnie romaní, vengono usati anche altri nomi meno precisi: ad esempio, in
italiano zingari (popolare zingani) e gitani; in inglese gipsies e travellers; in francese gens du voyage, tsiganes e
manouches; in spagnolo e in catalano gitanos; in tedesco Zigeuner; in ungherese cigány; in polacco cyganie, ecc.
La parola gitano, come l'inglese gypsy, il francese gitan e lo spagnolo gitano alimentava la leggenda di
una loro provenienza dall'Antico Egitto e il mito degli zingari discendenti dal figlio di Abramo con la schiava Agar.
Altri sostiene che nomade, riferito ai rom, è un termine ottocentesco, usato non tanto per indicare lo stile
di vita di questi quanto piuttosto con intento discriminatorio verso coloro che ritenevano "uomini inferiori" poiché
pigri, vagabondi, caratterialmente instabili, in contrapposizione a quello dell'uomo eletto, amante della patria,
posato e seguace della morale.
Rom sta ad indicare una precisa etnia di popolazione romanì, ed è il termine con il quale il non-zingaro,
oggi, intende indicare, erroneamente, tutti i gruppi di popolazioni romanì; questi, sia kalè, sinti e rom ritengono, da
parte loro, che il termine "zingaro" sia offensivo.
Gli zingari di origine indiana in Europa (ovvero zingari di Lingua romaní) sono rappresentati dai gruppi
etnici:
•
Rom (in Europa centro-orientale)
•
Sinti (presenti in Francia, Germania, Spagna e nord Italia), i Manouches in Francia.
•
Kalé (presenti principalmente in Spagna)
•
Romanichals (principalmente presenti in Regno Unito e Galles)
•
Romanisæl (principalmente presenti in Svezia e Norvegia)
Ciascuno di questi gruppi contiene al proprio interno ulteriori suddivisioni (sottogruppi).
Diverse etnie degli zingari in Europa
Popolazioni non-indiane a volte genericamente accomunate sotto lo stesso termine di "zingari":
•
"Gens de Voyage" "Les Gitans" (Francia)
•
Jenisch (Germania)
•
Pavee (Irlanda)
•
Tattaren (penisola scandinava)
Quale sia il luogo d'origine del popolo zingaro (se gli zingari provengono da un luogo unico) è una
questione a lungo dibattuta. La maggior parte degli studiosi ritiene essere una regione situata tra India e Pakistan
attuali, da dove verso l'anno mille iniziarono l'esodo fuggendo dalle devastanti invasioni di Mahmud di Ghazni. Il
principale argomento di tale tesi, comunque variamente circostanziata, è la chiara derivazione indiana della loro
lingua, il loro aspetto fisico e le documentazioni storiografiche della loro antica presenza in tali territori.
Migrazioni degli zingari
Non è tuttavia chiaro se la regione indiana sia stata il luogo di origine primitivo della cultura zingara e
non piuttosto una tappa intermedia di una migrazione più complessa, dal momento che tale cultura risulta
radicalmente diversa da quelle dell'area indiana: si suppone quindi che debba avere una più antica origine
allogena ancora non identificata, portata da un misterioso popolo ivi migrato e successivamente mescolatosi con
stirpi locali e indianizzato nel linguaggio.
Seguendo le tracce linguistiche gli studiosi affermano che nella propria migrazione la popolazione
romaní giunse prima in Armenia, ivi stanziando abbastanza a lungo da acquisire anche dalla lingua armena molti
vocaboli, , poi dall'Armenia si spostò verso l'Impero Bizantino.
La prima testimonianza scritta che viene ricondotta alla presenza delle popolazioni romaní in Asia
Minore, è un manoscritto del 1068 nel quale viene utilizzato il termine "atsincani", la versione georgiana delle
forme greche "atsinganoi/tsinganoi" (Ατσίγγανος), ritenuta una corruzione della parola athinganoi, che in greco
significa "che non vuole essere toccato/che è intoccabile".
Altri documenti di epoca posteriore, come un documento scritto tra il 1170 ed il 1178 riferiscono di un
gran numero di "athinganoi" dall'Asia minore, con serpenti nelle loro ceste, che praticavano la magia della
predizione del futuro ed altre pratiche stregonesche
L'origine della setta degli Athinganoi non è stata ancora datata per certa e di conseguenza non ci sono
elementi per pensare che si trattasse di precursori dell'esodo delle popolazioni rom.
Si stima che la popolazioni romaní arrivò in Europa prevalentemente tra il XIV ed il XV secolo.[1]
Si ritiene che in Italia i primi immigrati di etnia rom e sinti siano arrivati nel 1392 come conseguenza della
battaglia del Kosovo fra le armate ottomane e quelle serbo-cristiane che, con la vittoria delle prime, affermò
l'influenza islamica nei Balcani.[14] Tuttavia le prime testimonianze storiche scritte della presenza della
popolazione romaní risalgono al XV secolo e sono costituite principalmente da racconti di viaggiatori e pellegrini
in Terra Santa.
Da questi testi si desume che i primi zingari siano arrivati ufficialmente a Bologna e a Forlì nel 1422
(documenti degli archivi municipali, deliberazioni e conti dei comuni in cui compaiono le varie liberalità concesse
su richiesta dei rappresentanti degli zingari).
Nei secoli successivi la loro presenza si consolida in tutto il mondo. Rom, Sinti, Kalé e Romanichals
passeranno attraverso la storia fino ai nostri giorni superando persecuzioni di ogni genere: arresti di massa in
Spagna nel XVIII secolo, la schiavitù in Romania (abolita solamente dopo il 1850), i campi di concentramento
nazisti ed i rigurgiti xenofobi dell'epoca attuale, testimoniando una capacità di resistenza alle avversità non
comune ad altri popoli
La popolazione romaní normalmente adotta la religione praticata dalle popolazioni non zingare fra cui
vivono. Per la stragrande maggioranza sono cristiani: nel nord Europa sono protestanti, in Serbia, Russia,
Romania, Bulgaria, Grecia, etc., ortodossi, mentre in Ungheria, Italia, Spagna, Francia, Polonia, Austria, Croazia,
Slovenia, ecc. sono cattolici. Nel complesso risultano essere in gran maggioranza cattolici. Una piccola
minoranza sono invece musulmani, in alcune zone della Bosnia, della Macedonia e del Kosovo e nei Paesi
islamici, dove però sono raramente presenti.
I rom ed i sinti hanno una visione mitica di un mondo diviso tra forze oscure e contrarie, benefiche o
malefiche, in perpetua lotta di influenza. Le due forze sono impersonate in Dio e nel diavolo. Dio creatore,
principio del bene e il diavolo, principio del male, sono ambedue potenti e sempre in lotta tra loro. Il Dio creatore
(Del o Devél) è assistito da forze spirituali soprannaturali benigne, mentre vi sono creature maligne che agiscono
nella sfera dominata dal diavolo (Beng). Inoltre essi credono ai santi ed agli spiriti dei defunti (mulé).
Di regola quindi rom, sinti, kalé e romanichals possono, a seconda delle circostanze, essere cristiani
cattolici, cristiani ortodossi, cristiani protestanti o musulmani. Essi tuttavia quasi sempre rielaborano queste
religioni attraverso i concetti mitici propri della loro cultura.
Sebbene sia difficile dare uno stereotipo della struttura sociale delle diverse etnie, si può affermare come
fra gli zingari non esistano le classi sociali come si intendono comunemente. Le uniche distinzioni all'interno delle
comunità sono quelle tra i sessi (maschi - femmine) e una differenziazione data dall'età (giovane - anziano).
Ciò che conta in primo luogo per lo zingaro è la famiglia, il nucleo costituito da marito, moglie e figli. Al di
là del nucleo famigliare si pone la famiglia estesa, che comprende i parenti con i quali vengono sovente mantenuti
i rapporti di convivenza nello stesso gruppo, comunanza di interessi e di affari. Oltre alla famiglia estesa, presso i
rom esiste la kumpánia, cioè l'insieme di più famiglie non necessariamente unite fra loro da legami di parentela,
ma tutte appartenenti allo stesso gruppo ed allo stesso sottogruppo o a sottogruppi affini.
Poiché nella popolazione romaní l'ospedale, il medico, il prete sono associati al concetto di morte, i
contatti con loro devono essere limitati al minimo; la donna mestruata e la puerpera sono fonte di impurità e non
possono fare vita pubblica o lavare i propri panni con quelli degli altri. Nei rom "vlaχ" (ossia originari della
Valacchia), presso i quali il concetto di impurità è più radicato, durante tutto il periodo della gravidanza e nei
quaranta giorni dopo il parto alla donna non è consentito fare alcuna attività (ad esempio, non le è permesso di
cucinare). Al termine del periodo di purificazione, i vestiti indossati, il letto, i piatti, i bicchieri e tutti gli oggetti
adoperati dalla puerpera sono distrutti o bruciati.
Il matrimonio, che di solito matura in giovane età, è anch'esso regolato dalle usanze, diverse però tra le
etnie. Così, mentre nei Sinti il matrimonio avviene per fuga (di regola i due giovani si rifugiano per alcuni giorni
presso dei parenti) nei rom avviene per "acquisto": quando c'è l'accordo dei due giovani e delle famiglie, la
famiglia dello sposo corrisponde una ingente somma di denaro alla famiglia della sposa come sorta di
risarcimento.
Il matrimonio può anche aversi tra persone di diversa etnia o tra un uomo o donna romaní e uomo o
donna "gağé" (cioè estraneo alla popolazione romaní).
La morte, come la nascita, è considerata una circostanza impura. Il culto dei morti è molto sentito, ed è
diffusa la convinzione che il morto possa riapparire sotto forma di animale o di uomo, e vendicarsi se non
debitamente onorato.
La lingua parlata dalle etnie rom e sinti è il romanì, lingua di ceppo indoario, affine al sanscrito e alle
lingue moderne dell'India.
Il regime nazista attuò un vero e proprio genocidio della popolazioni romaní, uccidendo circa 250.000
zingari nei campi di sterminio, una cifra che deve essere raddoppiata considerando i romaní uccisi appena
catturati oppure morti durante il trasferimento verso i lager. I rom ricordano oggi questa tragedia con il termine
romanì Porajmos ("devastazione"), analogo a quello con cui si ricorda il più noto sterminio nazista del popolo
ebraico, la Shoah ("sterminio") .
A partire dal 2005 il razzismo nei confronti delle popolazioni gitane è diventato oggetto di attenzione
istituzionale, a livello europeo, con l'adozione di una risoluzione del Parlamento europeo, il primo testo ufficiale
che parla di "Anti-Gypsyism/Romaphobia" (in lingua inglese) e "antitsiganisme/
romaphobie/tsiganophobie" (in lingua francese). Le conferenze internazionali OSCE/EU/CoE di Varsavia
(ottobre 2005) e Bucarest (maggio 2006), hanno confermato il termine «anti-Gypsyism» a livello internazionale.
Secondo il Consiglio d'Europa in Europa vive un gruppo di circa 10-12 milioni di gitani, ed in alcuni paesi
del centro e dell'est Europa (Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia) arrivano a rappresentare fino al 5%
della popolazione. In base alle stime del Consiglio d'Europa, la Romania è il paese con il maggior numero di
cittadini gitani, nel 2001 ne sono stati censiti 535.140 (2,5% della popolazione). Bulgaria, Spagna e Ungheria
hanno ognuna una popolazione di circa 800.000 gitani, Serbia e Repubblica Slovacca circa 520.000, Francia e
Russia tra i 340 e quattrocentomila; ma secondo il rapporto Dominique Steinberger del 2000 in Francia
vivrebbero almeno un milione di gitani. Nei restanti paesi le presenze maggiori si contano in Regno Unito (300
000 unità), Macedonia (260 000 unità), Repubblica ceca (300 mila) e Grecia (350 mila).
Le migrazioni di etnie romaní dall'est Europa che hanno interessato l'Italia nel Novecento sono state
principalmente tre: in seguito alla fine della Seconda guerra mondiale, dalla Croazia di lingua italiana; tra fine
degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta, in seguito al terribile terremoto che devastò la Macedonia
(Skopje), ed a partire dal 1987, con il grande esodo che ha visto i rom fuggire dalla guerra nella ex Jugoslavia,
principalmente dalla Bosnia ed Erzegovina e dal Kosovo, e poi dalla fine del socialismo reale nei paesi
dell'Europa orientale.
In Italia la popolazione zingara è stata quantificata al 2007 in circa 200.000 persone di etnia rom e sinti.
Altre fonti parlano di 130/150 000 presenze , di questi i Rom propriamente detti, di antico insediamento,
sarebbero 45.000, di cui circa l'80% è cittadino italiano, mentre il restante 20% è costituito da rom provenienti dai
paesi dell'Est Europa.
Si stima che circa la metà di questa popolazione sia composta da minori, bambini e giovani adolescenti
mentre solo il 2,5 - 3% supera i 60 anni. Il tasso di natalità è elevato (mediamente 5/6 figli per i nuclei familiari di
nuova formazione), così anche il tasso di mortalità ha indici molto alti.
In Italia la popolazione romaní si divide in:
•
Rom italiani (con cittadinanza): circa 90.000, di cui:
o
30.000 residenti nel Sud Italia, distinguibili in:
Rom abruzzesi e molisani: giunti in Italia al seguito dei profughi arbëreshë dall'Albania dopo la
battaglia di Kosovo Polje nel 1392, parlano romanì oltre ai dialetti locali e praticano l'allevamento e il commercio
di cavalli, oltre che, nel caso delle donne, la chiromanzia (romnìa), diversi nuclei sono emigrati in vari centri del
Lazio a partire dal Novecento
Rom napoletani (napulengre): ben integrati, fino agli anni settanta si occupavano principalmente
della fabbricazione di attrezzi da pesca e di spettacoli ambulanti
Rom cilentani: comunità di 800 persone residente ad Eboli, con punte di elevata
alfabetizzazione
Rom pugliesi
Rom calabresi: uno dei gruppi più poveri, con 1550 ancora residenti in abitazioni di fortuna
Camminanti siciliani:
o
Rom harvati: 7.000 persone giunte dalla Jugoslavia settentrionale dopo la seconda guerra
mondiale. I khalderasha ne costituiscono un sottogruppo.
o
Rom lovari: circa 1.000 persone, si occupano principalmente dell'allevamento di cavalli (la
parola viene dall'ungherese ló, che significa appunto cavallo).
o
Rom balcanici: circa 70.000
o
Rom jugoslavi: presenti principalmente in campi del Nord Italia. Meno del 10% dei minori
frequenta le scuole pubbliche e bassissimo è il tasso d'impiego degli adulti.
Khorakhanè ("lettori di Corano"): caratterizzati dalla religione musulmana e provenienti da
Kosovo e Bosnia ed Erzegovina, sono il gruppo più numeroso di rom stranieri presente nel Bresciano. La
migrazione è avvenuta dalla seconda metà del 1991 fino all'estate del 1993, in concomitanza con l'aggravarsi
della situazione bellica nella ex Jugoslavia
Dasikhané: caratterizzati dalla religione ortodossa, provenienti da Romania o Bulgaria.
o
Rom romeni: sono il gruppo in maggior crescita; hanno comunità a Milano, Roma, Napoli,
Bologna, Bari, Pescara, Genova, ma si stanno espandendo anche nel resto d'Italia.
•
Sinti: circa 30.000, residenti principalmente in Nord e Centro Italia e occupati principalmente
come giostrai, mestiere che sta scomparendo e che li costringe ultimamente a reinventarsi in nuovi mestieri, da
rottamatori a venditori di bonsai.
A questi si aggiungono i clandestini, il cui numero non è stabilito ufficialmente.
In Francia: si stimano 340/400 000 presenze Rom/Sinti/Manouches . Disposizioni di legge prevedono
che ogni città con più di 5.000 abitanti deve obbligatoriamente allestire uno spazio a disposizione per gli itineranti
ai quali vengono riservate particolari condizioni di stazionamento e fornitura acqua ed elettricità a patto che gli
stessi abbiano "les carnets de voyage" rilasciati e vidimati dalle prefetture e suddivisi in 3 categorie .Con il
governo Sarkozy come ministro dell'interno, nel febbraio 2003, sono state inserite una serie di sanzioni per chi
non rispetta le regole dei campi. Chi occupa abusivamente un'area pubblica può essere arrestato e il mezzo
sequestrato .
In Germania: si stimano 130 000 presenze che la legge considera «minoranza nazionale» dando loro
diritti e doveri. A partire dagli anni sessanta, la Germania ha accolto gran parte di rom in fuga dando loro
possibilità di lavorare e sostenendoli sia con case popolari sia con sussidi per il vitto.
In Grecia si stima una presenza di 200.000 su una popolazione di 10.000.000 di abitanti.
Per la Spagna la stima è di circa 800 000 presenze rom/sinti/kalè, la Spagna ha una delle comunità
nomadi più popolose, occupando, in Europa, il terzo posto dopo Romania e Bulgaria. Dalla fine degli anni ottanta
ha elaborato un programma di sviluppo stanziando annualmente circa tre milioni di euro ai quali si aggiungono i
finanziamenti delle singole regione e delle ONG. È stato istituito un ufficio che coordina le politiche sociali per gli
zingari .
•
Irlanda e Regno Unito: 19.000 Irish Travellers in Irlanda e tra 20.000 e 30.000 Irish Travellers
nel Regno Unito, di cui 1.900 in Irlanda del Nord.
La prima notizia che si ha degli zingari in Spagna - di etnia Kalé - risale al 1415, quando attraversarono i
Pirenei e si stanziarono nella penisola iberica. Probabilmente la comunità dei Kalè spagnoli rappresenta uno degli
esempi più proficui di convivenza ed integrazione storicamente verificata tra popolazioni europee e popolazioni
romaní, avendo prodotto un sostanziale adattamento culturale della seconda (in questo caso del tutto stanziale)
alla realtà sociale ed economica locale senza che si sia verificata completa assimilazione.
Nel decidere la propria collocazione abitativa, gli zingari tendono a preservare l'unità della famiglia
estesa (comprendente fino a 60 persone), cercando allo stesso tempo di non mescolarsi con altri gruppi.
La maggior parte degli zingari in Italia è stanziale e vive in aree attrezzate in case popolari e alloggi
costruiti dai comuni o enti pubblici in aree specifiche o in case di proprietà o in affitto.
Esistono numerosi "campi nomadi" autorizzati dai comuni, dove le abitazioni sono costituite da container,
roulotte, tende e baracche. Le condizioni igieniche e di sicurezza abitativa sono talvolta precarie, e non sono rari
gli incendi e gli incidenti mortali dovuti all'utilizzo di candele (spesso manca l'elettricità). Oltre ai campi autorizzati,
esistono diversi campi abusivi, abitati principalmente da rom dell'est Europa.
Sono stati compiuti alcuni tentativi di creare dei micro-villaggi che permettessero alla popolazione romaní
di preservare la propria struttura familiare e al tempo stesso innalzare i propri standard abitativi e sociali, talvolta
con risultati positivi.
La diaspora armena
Il primo impero armeno fu la civiltà di Urartu, che fiorì nel Caucaso e nell'Asia Minore orientale tra l'800
a.C. e il 600 a.C.
Nel I secolo a.C., durante il regno di Tigrane II d'Armenia, l'Armenia costituiva un impero regionale che si
estendeva dalle coste del mar Nero al mar Caspio e a quelle del Mediterraneo, ma nel 36 a.C. venne sconfitta dai
Romani guidati da Pompeo; da quella data fu per secoli una delle poste in gioco prima fra Romani e Parti e poi fra
Bizantini e Sassanidi.
Nel 301 l'Armenia fu il primo stato al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di stato,
precedendo così di alcuni decenni l'impero romano, e
istituì la propria Chiesa Apostolica Armena, che si separò dalle altre chiese cristiane dopo il Concilio di
Calcedonia del 451.
Con il succedersi delle dinastie e delle occupazioni di Parti, Romani, Arabi (dal 645), Mongoli e Persiani,
lo stato fu notevolmente indebolito.
Quando l'Armenia fu di nuovo un regno indipendente (884-1045), esso visse un rinascimento culturale,
politico ed economico.
Con la costruzione di Ani, la nuova capitale, l'Armenia divenne una popolosa e prosperosa nazione che
ebbe influenza politica sulle nazioni vicine. Sebbene la nativa dinastia dei Bagratidi, alla quale gli Arabi avevano
affidato la corona d'Armenia, si trovasse in circostanze favorevoli, il sistema feudale indebolì gradualmente il
paese erodendo il sentimento di lealtà nei confronti del governo centrale.
Nel 1071, dopo la sconfitta di Bisanzio da parte dei Turchi Selgiuchidi, anche l'Armenia Maggiore venne
conquistata. Migliaia di famiglie cristiane, guidate da un familiare dell'ultimo re di Ani, lasciarono l'Armenia e si
insediarono in terre straniere, come la Cilicia. La situazione diede ai Curdi l'opportunità di espandersi nel territorio
dell'Armenia in Anatolia. Dal 1080 al 1375, il centro politico della nazione armena si spostò verso sud, come
Regno Armeno di Cilicia, con i suoi stretti legami con gli Stati crociati, primo fra tutti la contea di Edessa, per i
comuni interessi anti-bizantini ed anti-islamici; finché i Mamelucchi d'Egitto non lo conquistarono.
Nel 1454, un anno dopo la conquista di Costantinopoli da parte di Mehmed II, l'impero ottomano e la
Persia dominata dai Safavidi si spartirono la regione. Il Sultano invitò l'arcivescovo armeno a stabilire un
patriarcato a Costantinopoli. Gli armeni di Costantinopoli divennero una componente rispettabile della società
ottomana, mentre gli altri armeni subivano le angherie dei vari pascià e bey e pagavano esosi tributi imposti dalle
tribù curde.
Tra il 1813 e il 1828 il territorio che corrisponde all'attuale Armenia (i khanati di Erevan e Karabakh)
furono temporaneamente annessi all'Impero russo. In seguito alle guerre Russo-Turche (1828-1829) l'Impero
ottomano cedette una parte del territorio armeno all'Impero Russo. Nel XIX e XX secolo le ambizioni della Russia
di penetrare nel territorio armeno erano legate all'obiettivo di trovare uno sbocco sul Mar Mediterraneo.
Nonostante alcune riforme nel 1839, la situazione degli armeni ottomani cominciò a peggiorare e diede luogo a
diversi massacri rendendo gli armeni sempre più filo-russi e infidi per gli ottomani.
Negli ultimi anni dell'Impero ottomano (1915-1923), molti armeni residenti nell'Anatolia orientale (che
erano perciò chiamati dai loro connazionali "armeni occidentali") furono sterminati in quello che è stato
successivamente definito il "genocidio armeno". A questo proposito, mentre gli armeni e l'opinione pubblica
mondiale ritengono che si trattasse effettivamente di un genocidio sostenuto e organizzato dalle autorità
ottomane, i turchi affermano che tale strage fu dovuta ad un guerra civile accompagnata dalla carestia e dalle
malattie. Secondo le stime, le vittime oscillano fra 200.000 e 1.800.000 persone. Attualmente il genocidio viene
commemorato dagli armeni di tutto il mondo il 24 aprile.
Nel corso della Rivoluzione Russa, nel settembre 1917 si tenne la convenzione di Tiflis (Tbilisi), in cui si
elesse un Consiglio Nazionale Armeno. Tuttavia, la firma del patto russo-ottomano del 1º gennaio 1918 permise
al pascià Vehib di attaccare la nuova Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, cui dal 28 maggio
succedette la Repubblica Democratica di Armenia (o "Prima Repubblica Armena"), con l'appoggio di irregolari
curdi e successivamente dei Tatari dell'Azerbaigian. Benché l'Armenia occidentale fosse riconosciuta come parte
della Repubblica di Armenia nel Trattato di Sèvres (10 agosto 1920), la sconfitta militare contro i Turchi e la
successiva invasione da parte delle truppe bolsceviche russe nel 1920 costrinsero nel 1922 l'Armenia ad entrare
a far parte della Repubblica Transcaucasica, una delle repubbliche dell'Unione Sovietica. che cedette alla Turchia
ulteriori territori armeni. Solo nel 1936 fu costituita la Repubblica socialista sovietica armena.
L'Armenia dichiarò la sua indipendenza dall'Unione Sovietica il 21 settembre 1991. Negli ultimi decenni il
paese è stato impegnato in un lungo conflitto con l'Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, un'exclave
armena in territorio azero. I due stati si sono affrontati nel 1988 per il controllo dell'enclave,mentre gli altri armeni
subivano le angherie dei vari pascià e bey e pagavano esosi tributi imposti dalle tribù curde.
Tra il 1813 e il 1828 il territorio che corrisponde all'attuale Armenia (i khanati di Erevan e Karabakh)
furono temporaneamente annessi all'Impero russo. In seguito alle guerre Russo-Turche (1828-1829) l'Impero
ottomano cedette una parte del territorio armeno all'Impero Russo. Nel XIX e XX secolo le ambizioni della Russia
di penetrare nel territorio armeno erano legate all'obiettivo di trovare uno sbocco sul Mar Mediterraneo.
Nonostante alcune riforme nel 1839, la situazione degli armeni ottomani cominciò a peggiorare e diede luogo a
diversi massacri rendendo gli armeni sempre più filo-russi e infidi per gli ottomani.
Negli ultimi anni dell'Impero ottomano (1915-1923), molti armeni residenti nell'Anatolia orientale (che
erano perciò chiamati dai loro connazionali "armeni occidentali") furono sterminati in quello che è stato
successivamente definito il "genocidio armeno". A questo proposito, mentre gli armeni e l'opinione pubblica
mondiale ritengono che si trattasse effettivamente di un genocidio sostenuto e organizzato dalle autorità
ottomane, i turchi affermano che tale strage fu dovuta ad un guerra civile accompagnata dalla carestia e dalle
malattie. Secondo le stime, le vittime oscillano fra 200.000 e 1.800.000 persone. Attualmente il genocidio viene
commemorato dagli armeni di tutto il mondo il 24 aprile.
Nel corso della Rivoluzione Russa, nel settembre 1917 si tenne la convenzione di Tiflis (Tbilisi), in cui si
elesse un Consiglio Nazionale Armeno. Tuttavia, la firma del patto russo-ottomano del 1º gennaio 1918 permise
al pascià Vehib di attaccare la nuova Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, cui dal 28 maggio
succedette la Repubblica Democratica di Armenia (o "Prima Repubblica Armena"), con l'appoggio di irregolari
curdi e successivamente dei Tatari dell'Azerbaigian. Benché l'Armenia occidentale fosse riconosciuta come parte
della Repubblica di Armenia nel Trattato di Sèvres (10 agosto 1920), la sconfitta militare contro i Turchi e la
successiva invasione da parte delle truppe bolsceviche russe nel 1920 costrinsero nel 1922 l'Armenia ad entrare
a far parte della Repubblica Transcaucasica, una delle repubbliche dell'Unione Sovietica. che cedette alla Turchia
ulteriori territori armeni. Solo nel 1936 fu costituita la Repubblica socialista sovietica armena.
L'Armenia dichiarò la sua indipendenza dall'Unione Sovietica il 21 settembre 1991. Negli ultimi decenni il
paese è stato impegnato in un lungo conflitto con l'Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, un'enclave
armena in territorio azero. I due stati si sono affrontati nel 1988 per il controllo dell'enclave, conflitto che è esploso
a seguito dell'indipendenza di entrambi i paesi avutasi con la dissoluzione dell'URSS (1991). Nel maggio 1994,
con la proclamazione del cessate il fuoco, le autorità armene controllavano non solo l'intero Nagorno-Karabakh
ma anche una porzione di territorio etnicamente azero. Le economie di entrambi gli stati hanno sofferto a causa
della guerra, soprattutto per via dei reciproci blocchi commerciali.
Nella seguente tabella sono indicati i primi 30 paesi (in totale una settantina) che ospitano comunità
armene.
Posizione Stato
Comunità principali
Numero di Armeni
1
Armenia
L'intero paese
2.982.904 (stima 2005)
2
Russia
Mosca, Caucaso, Vladivostok
1.130.491 (2002)
3
Francia
Parigi, Marsiglia, Lione
500.000
4
Iran
Teheran, Isfahan, New Julfa, Iran del Nord
400.000
5
Stati Uniti
Los Angeles, Glendale, Fresno, Boston, Watertown
1.500.000 (2009)
6
Georgia
Tbilisi, Samtskhe-Javakheti, Adjara
267.000 (2004)
7
Siria
Damasco, Aleppo, Kamishli
190.000
8
Libano
Beirut, Bourj Hammoud, Anjar
140.000
L'intera regione
130.000
9
NagornoKarabakh
10
Argentina
Buenos Aires, Cordoba
130.000
11
Ucraina
Kiev, Odessa, Crimea
99.894 (2001)
12
Turchia
Istanbul e altre comunità
da 40.000 a 70.000
13
Giordania
70.000
14
Uzbekistan
70.000
15
Germania
42.000
16
Canada
Montreal, Laval, Toronto, Cambridge, Vancouver
40.505 (2001)
17
Brasile
San Paolo e l'area circostante
40.000
18
Grecia
19
Australia
20
Turkmenistan
21
Bulgaria
22
Bielorussia
25.000
23
Kazakistan
25.000
24
Uruguay
19.000
25
Regno Unito
26
Ungheria
15.000
27
Belgio
10.000
28
Rep. Ceca
10.000
29
Iraq
Baghdad, Mossul, Zakho, Avzrog
10.000
30
Israele
Quartiere Armeno di Gerusalemme
9.800
35.000
Melbourne, Sydney
35.000
30.000
Sofia, Filippopoli
Londra
30.000
18.000
La diaspora ebraica
La diaspora ebraica è la dispersione del popolo ebraico avvenuta durante i regni di Babilonia ( ) e
sotto l'impero romano. In seguito il termine assunse il significato più generale di “migrazione”.
È generalmente accettato che la diaspora ebraica abbia avuto inizio intorno all'VIII-VI secolo a.C., con la
conquista degli antichi regni ebraici e l'espulsione programmata degli schiavi ebrei dalle loro terre. Molte comunità
ebraiche si stabilIrono poi in varie zone del medio oriente e crearono importanti centri di giudaismo, diventati in
seguito rilevanti. Le soppressioni della grande rivolta ebraica nel 70 d.C. e della rivolta di Bar Kokhba, nel 135
d.C., contribuirono notevolmente all'espansione della diaspora. Molti ebrei furono espulsi dallo stato della Giudea,
mentre altri furono venduti come schiavi.
Il termine diaspora è anche usato, in forma più spirituale, per riferirsi agli ebrei i cui antenati si sono
convertiti all'ebraismo al di fuori di Israele, sebbene questi non possano essere propriamente definiti come esiliati.
Gli Ebrei erano un popolo di pastori nomadi organizzato in tribù (piccole comunità di famiglie imparentate
tra loro) guidate da un patriarca. La loro storia inizia con uno di questi patriarchi: Abramo, originario della città di
Ur in Mesopotamia; secondo la tradizione biblica egli si diresse verso la Siria e il Mediterraneo per stabilirsi verso
il 1800 a.C. in Palestina ( o “terra di Canaan”) terra promessa loro da Dio. Dalla Palestina, dopo l’epoca dei
patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe), essi migrano in Egitto stabilendosi pacificamente in quel paese.
Ma loro situazione cambiò sotto i faraoni Ramsete II e Merenptah e a seguito di una vera e propria
persecuzione, sotto la guida di Mosè decisero di tornare in Palestina, attraversando il deserto del Sinai. Qui Mosè
diede al suo popolo una legge scritta, istituì una casta sacerdotale (leviti) e un luogo di culto (l'arca dell'alleanza),
stabilendo di fatto una religione monoteista
Verso il 1200 a.C. gli Ebrei intraprensero l’occupazione della Palestina, conquistando sotto la guida di
Giosuè prima Gerico e, dopo una lunga e sanguinosa lotta, alla guida di Davide (
) anche Gerusalemme.
Successore di Davide fu Salomone (
), l’ultimo re della dinastia ebraica.
Ha inizio in effetti un periodo di decadenza del popolo ebraico. Dopo poche generazioni, infatti il regno si
divide in due parti: il Regno di Israele e il Regno di Giuda, che in momenti diversi caddero sotto dominazioni
straniere; questo spinse gli Ebrei in alcune aree del Medio Oriente e ancora in Egitto tra il 400 e il 300 a.C..
Così divisi, i territoroi due regni vennero invasi prima dagli Assiri e successivamente. nel 607 a.C., dai
Babilonesi.
La "cattività” cioè la prigionia in terra babilonese" (607-537 a.C.) terminò con la conquista di Babilonia da
parte dei persiani il cui re, Ciro, permise il ritorno degli ebrei in Palestina.
Di fatto la nuova situazione non rappresenta uno stato ebraico, quanto piurttosto una comunità in cui il
potere viene esercitato, di dalla casta sacerdotale.
Il crollo dell'impero persiano, a opera di Alessandro Magno (332 a.C.), comprese la Palestina nel regno
ellenistico dei Tolomei d'Egitto: ad Alessandria si insedia una numerosa comunità ebraica nella quale si fonde, in
una sintesi originale e ricca, tradizione biblica e cultura greca. Al dominio dei Tolomei segue quello dei sovrani
ellenistici di Siria, i Seleucidi (198), che, con Antioco IV Epifane (174-164), tentano di ellenizzare la Palestina. La
rivolta dei Maccabei (
) mise fine al dominio seleucide nel 141. Ma il nuovo stato ebraico risultava
profondamente diviso da dispute religiose (sadducei, farisei, esseni, asidei) e politiche.
Verso il 63 a.C. i Romani invasero il territorio ebraico e la Giudea diventò prima uno stato vassallo
dell’impero e poi una vera e propria provincia di Roma. Due rivolte antiromane, una del 70 d.C, l’altra nel 135,
videro costretti a un nuovo esiliio.
Le fonti antiche parlano di 600 mila morti e di decine di migliaia di Ebrei venduti come schiavi. Il Tempio
(costruito da Salomone, distrutto dai Babilonesi e molti secoli dopo ricostruito) venne di nuovo e definitivamente
distrutto; la stessa Gerusalemme, divenuta colonia romana (Aelia Capitolina) venne interdetta agli Ebrei.
Alcune comunità di esuli si costituirono nell'impero dei Parti a Babilonia, raggiungendo notevole
prosperità economica, ma sotto i successori Sassanidi essi vennero perseguitati dalla classe religiosa dei Magi.
La condizione degli Ebrei migliorò relativamente dopo la conquista araba, ma sempre in posizione di inferiorità
sociale. Le comunità della Mesopotamia vennero fatti oggetto di una persecuzione più decisa rd emigrarono
ancora più ad oriente in Afganistan, India, Caucaso.
Anche se con l’editto di cittadinanza di Caracalla (212) gli Ebrei divennero cittadini romani e
acquistarono notevoli libertà in Asia minore, nei Balcani, nell'Africa settentrionale e in Spagna, le successive leggi
restrittive di Costantino ( ), Teodosio ( ) e Giustiniano (
) li privò di alcuni diritti acquisiti con la cittadinanza
romana.
Successivamente, nel secondo millennio dell'affermazione del Cristianesimo in Europa, il popolo ebraico
andrò incontro a maggiori problemi, perché formalmente accusati di deicidio perché autori della crocefissioni di
Cristo.
Fino al secolo XI la convivenza tra Ebrei e Cristiani fu per lo più pacifica e costruttiva.
L'atteggiamento della Chiesa cristiana nei loro confronti fu fin dal principio duplice e in taluni periodi
decisamente avverso con diverse accuse e sotto diversi pretesti, tra cui il prestito ad usura, praticato dagli Ebre,
perché proibito ai Cristiani; di fatto, però, il papa Gregorio Magno ( ) assicurò loro la libertà di culto e come esuli
una particolare protezione.
In un epoca in cui gli stati europei dovevano sostenere cospicue spese militari furono proprio gli Ebrei, in
molti luoghi, ad essere finanziatori di tali spese.
.Agli ebrei furono concesse autorizzazioni relative anche ai banchi di pegno attraverso i quali prestano
danaro a tasso prefissato; molto spesso solo in base a questa attività essi ebbero diritto di residenza. Ben presto
le condotte aumentano e gruppi ebraici si stabiliscono nelle grandi e piccole città come nei centri rurali. Agli Ebrei
era fatto divieto di portare armi e come tali, essendo riconosciuti inabili alla guerra, non vennero riconosciuti nella
condizione di uomini liberi.
L'intensificarsi della devozione popolare e la crescente irritazione nei confronti dell'usura praticata dagli
ebrei culminano in una serie di espulsioni: dall'Inghilterra nel 1290, dalla Normandia nel 1296, dalla Francia nel
1306, nel 1394 e alla fine del '400 dai domini spagnoli, fino a sfociare anche in sanguinose persecuzioni
(pogrom), spesso istigate da infondate accuse di profanazione delle ostie e di omicidi rituali.
Il IV Concilio Lateranense (1215) stabilì che gli ebrei dovevano vivere in quartieri separati (che
prenderanno in Italia il nome di ghetti) con porte da aprire all'alba e chiudere al tramonto, restare esclusi dagli
uffici pubblici e portare un segno di riconoscimento, consistente per gli uomini in cappelli di foggia e colore
particolare (giallo o rosso) o un disco di panno sul mantello; le donne dovevano avere un velo giallo sul capo,
come le prostitute. Queste disposizioni rimasero per lo più inattuate per oltre un secolo.
Con Federico II nel 1236 gli Ebrei furono dichiarati "servi del principe" (servi camerae nostrae) e così
l'espressione di schiavitù per gli Ebrei, intesa dalla Chiesa in senso spirituale, divenne anche giuridica con la
dipendenza personale ed economica dall'imperatore.
La peste nera che si diffonde in Europa nel 1348 fu nuovo motivo di persecuzione. Gli ebrei furono infatti
incolpati di diffondere la malattia avvelenando i pozzi, rimanendone essi immuni. Se la prima accusa è falsa, la
seconda nasce da un'osservazione probabilmente fondata. Gli ebrei vivono già raccolti e isolati in un'unica zona
della città (il ghetto) e seguono, per motivi religiosi, particolari e rigorose norme alimentari ed igieniche. È
possibile quindi che, proprio grazie a questi elementi, la pestilenza non abbia trovato terreno fertile nelle loro
comunità. La calunnia, che nasce e si diffonde in Germania, provocò massacri e fughe. Nella sola Germania
furono sterminate oltre 350 comunità ebraiche. Molti ebrei fuggono dal centro Europa e emigrano verso oriente.
La Polonia dapprima li accolse favorendone una propria cultura (Yiddish), poi le autorità e la popolazione li
perseguitarono. Le comunità superstiti tedesche si oppongono con l'opera di alcuni umanisti (Reuchlin) allopera
distruttiva del "Talmud" sollecitata dai Domenicani e dall'ebreo convertito Pfefferkorn. Lo stesso Lutero dopo
averli difesi nella speranza di una loro conversione alla sua fede, li attaccò sobillando contro i principi protestanti.
I gruppi che vivevano nella penisola iberica, con l'opera dell'Inquisizione furono perseguitati ce condannati nella
Spagna di Torquemada anche con torture e battesimi coatti (1492). Nel 1496 gli Ebrei furono espulsi dal
Portogallo ed anche i battezzati coatti, chiamati "marranos" sono obbligati a lasciare il paese per l'Africa, la
Toscana e l'Olanda. Altri trovano rifugio anche nell'Italia settentrionale, in particolare nelle comunità di Venezia,
Padova, Ferrara e Mantova. Il numero degli ebrei che vivono nella nostra penisola salì a circa cinquantamila su
un totale di 11 milioni di italiani di quel tempo
. Nel corso del Medio Evo, le legislazioni relative agli Ebrei in Italia furono diverse di luogo in luogo: in
alcune località, come ad esempio a Forlì, potevano possedere terreni e fabbricati. Col Cinquecento, però, tale
facoltà andò restringendosi ai soli fabbricati. Sempre a Forlì, si tenne, nel 1418, un importante congresso ebraico.
Però la popolazione ebraica più numerosa e più prospera, nell'Europa del XIV secolo, è quella spagnola,
dove le comunità bene organizzate godono della protezione particolare dei sovrani di Aragona e di Castiglia.
Grazie alle condizioni favorevoli gli ebrei di Spagna annoverano fra loro una quantità di cortigiani,
diplomatici, esattori delle imposte, medici, astronomi e traduttori che fanno carriera al servizio dei loro signori e
d'intellettuali, ai poeti, e ai pochi che salgono in fama per le loro versioni delle opere filosofiche e scientifiche di
autori arabi, facendo guadagnare ai propri connazionali il titolo di "mediatori culturali dell'Europa ”.
Però nel 1492 in Spagna, i re cattolici Ferdinando e Isabella decidono di cacciare dal loro regno tutti gli
ebrei che vi abitano. Furono cacciati 300.000 individui. La "nazione ebraica" resta così al bando dalle comunità
cristiane per molti secoli. La politica assolutistica del XVII e del XVIII secolo veros le comunità ebraiche è di pura
convenienza economica: nei principati tedeschi i vari sovrani vi cercano nuove fonti economiche mediante lotterie
e monopoli. Si viene così a costituire una classe di ebrei finanzieri e banchieri creando una sorta di aristocrazia in
seno ai collegionari (baroni Roschildt) che continuano a vivere di piccolo commercio, del cambio e dei pegni.
Soltanto nel 1781 L'imperatore d'Austria Giuseppe II emana una patente di tolleranza (atto legislativo che
concede la libertà di religione ai gruppi non cattolici tra cui gli ebrei chiamati israeliti, mentre la Rivoluzione
francese pronuncia a sua volta la piena equiparazione degli ebrei agli altri cittadini nel 1791.
La "emancipazione" degli ebrei è successivamente sancita nel corso dell'Ottocento dagli altri Stati
europei, tra cui la Prussia nel 1813, il Regno di Sardegna nel 1848, il Regno d'Italia nel 1861, la Gran Bretagna
nel 1866, la Germania nel 1870..
Assai dura per tutto l'Ottocento resta, invece, la condizione degli ebrei in Russia, in cui l'annessione delle
province polacche aveva inserito più di un milione di israeliti; l'assassinio di Alessandro II (1881) provoca
sanguinosi massacri di ebrei (pogrom), favoriti dal governo, che si ripetono negli anni seguenti, provocando
migliaia di morti. L'antisemitismo però non scompare nei paesi in cui gli ebrei sono stati emancipati; esso continua
a serpeggiare virulento all'interno di circoli culturali e di gruppi politici di orientamento reazionario e nazionalista.
Con la riorganizzazione degli stati dell'Europa su base etnica gli Ebrei, senza Stato, diventano facile bersaglio
della retorica nazionalista. Il razzismo antisemita prende poi nuovo vigore dopo la grande guerra, con
manifestazioni particolarmente violente e irrazionali in Germania, dove il nazionalismo, stimolato dalla disfatta,
addossa agli ebrei e ai socialisti la responsabilità della sconfitta, aprendo la strada alle farneticazioni di Hitler, che
indica negli ebrei la causa di tutte le disgrazie del paese. Gli ebrei, quindi, di nuovo, assumono il "ruolo" di capro
espiatorio. Adolf Hitler, applicando sino alle estreme conseguenze i principi del nazionalismo, avviò a soluzione
finale l’eliminazione degli Ebrei.
Principali centri di raccolta e di sterminio degli Ebrei tra il 1942 e 1944
Fino al 2008 esisteva ancora una piccola comunità di fede ebraica nello Yemen (280 persone). A fine
febbraio 2009, 230 di essi sono stati accolti in Israele per salvarli dal probabile attacco di fondamentalisti islamici.
Oggi rimangono nel Paese arabo 50 persone, disperse nella capitale San'a.
Nazionalità
Israele
Stati Uniti
Residenti
5.309.000
5.275.000
Nazionalità
Francia
Canada
Regno Unito
Russia
Argentina
Germania
Australia
Brasile
Ungheria
Ucraina
Sud Africa
Bielorussia
Italia
Messico
Belgio
Turchia
Paesi Bassi
Cile
Iran
Etiopia
Azerbaijan
Uruguay
Spagna
Svezia
Marocco
Bolivia
Residenti
492.000
373.000
297.000
228.000
184.000
118.000
103.000
96.000
80.000-100.000
80.000
72.000
45.000
45.000
40.000
32.000
18.000-30.000
18.000-30.000
21.000
11.000-35.000
12.000-22.000
20.000
20.000
12.000-20.000
18.000
1.500
200
Tabella degli stati con maggiori comunità ebraiche.
La diaspora africana
Direttrici della diaspora africana
La diaspora africana è la migrazione dei popoli africani e dei loro discendenti prevalentemente verso le
Americhe, e successivamente in Europa, Medioriente ed altri luoghi in tutto il mondo. Gran parte degli
appartenenti alla diaspora africana discendono dalle persone che erano state ridotte in schiavitù durante la tratta
atlantica degli schiavi, ed una gran parte di essi vivono in Brasile. La popolazione subsahariana è scesa a 799,83
milioni di persone nel 2007, e rappresenta circa il 12% della popolazione mondiale.
Basandosi sulla genetica umana, è opinione diffusa che le popolazioni preistoriche africane, che
lasciarono il continente negli ultimi centomila anni, siano gli antenati di tutti gli umani non africani. Ma con la
formazione delle prime comunità, specialmente in Egitto e in medioriente, queste migrazioni si ridussero perché
l'unico passaggio per uscire dal continente africano via terra era la penisola del Sinai. Con lo sviluppo della civiltà
e la scoperta della vela, i neri africani viaggiarono verso il medioriente, l'Europa e l'Asia Molti di loro si stabilirono
in Europa e Asia ed ovviamente ebbero discendenti dalle popolazioni locali. Oggi alcune ricerche suggeriscono
che alcuni elementi genetici negli europei e negli asiatici hanno un'ascendenza africana.
Queste prime migrazioni sono peraltro minime se confrontate con la tratta atlantica degli schiavi e con
quella araba.
Sia la tratta atlantica che quella araba finirono nel XIX secolo.
Gran parte della diaspora africana si è dispersa in Europa, Asia e nelle Americhe durante la tratta
atlantica e araba degli schiavi. A partire dal IX secolo gli schiavi africani venivano presi dall'Africa del nord e
dell'est e portati in medioriente e Asia. A cominciare dal XV secolo gli africani vennero presi anche dal resto del
continente, specialmente dall'Africa occidentale, e condotti prima in Europa e poi nelle Americhe. Sia la tratta
atlantica che quella araba finirono nel XIX secolo.
Nonostante il commercio degli schiavi sia stato bandito in molti paesi nella prima metà del XIX secolo, il
traffico illegale di schiavi continuò attraverso l'Atlantico fino alla fine del secolo.
Fin dalla comparsa delle prime attività spagnole nelle Americhe, gli africani erano presenti sia come
volontari nel corpo di spedizione che come coloni involontari.
L'immigrazione africana è diventata la principale forza della moderna diaspora. È stato stimato che la
popolazione corrente di africani immigrati nei soli Stati Uniti è di 600.000 individui. I paesi con più immigrati negli
Stati Uniti sono Nigeria, Ghana, Etiopia, Eritrea, Egitto, Sierra Leone, Somalia e Sudafrica. Altri sono immigrati da
Angola, Capo Verde, Mozambico, Guinea equatoriale, Kenya e Camerun. Solitamente gli immigrati si
concentrano nelle aree urbane, spostandosi poi nelle aree suburbane.
Un significativo numero di africani sono immigrati in molti altri paesi come Regno Unito e Francia.
Tra il 1500 e il 1900, approssimativamente quattro milioni di neri africani vennero schiavizzati e portati
nelle piantagioni nelle isole dell'Oceano Indiano, circa otto milioni vennero portati nei paesi mediterranei, e circa
undici milioni sopravvissero al viaggio verso il nuovo mondo. I loro discendenti ora si trovano in tutto il mondo. A
causa dei matrimoni misti e all'assimilazione genetica, non è del tutto evidente chi discenda dalla diaspora
africana.
Alcuni esempi di popolazioni di continenti diversi dall'Africa che sono visti o vedono loro stessi come neri
a causa della discendenza dai neri africani sono:
•Afroamericani
•Afrolatinoamericani. Tra queste popolazioni in America Centrale e del Sud ci sono quelli che si
identificano come negros. Alcuni si identificano come afro-latinoamericani quando hanno alti livelli di mescolanza
con altre etnie.
•Afroarabi Gli antenati di varie popolazioni del medioriente arrivarono con la tratta araba degli schiavi.
•Siddi. Abitanti del subcontinente indiano (Pakistan e India), discendenti dei neri africani.
Le statistiche provengono da diverse fonti e i paesi usano metodi di valutazione molto diversi per definire
una "razza", etnia, o nazionale o genetica degli individui, metodi che vanno dall'osservazione per caratteristiche
somatiche, al chiedere direttamente alle persone di scegliere tra alcune opzioni predefinite, a volte con l'opzione
"Altra categoria", e a volte a risposta libera, così che differenti popolazioni nazionali tendono a scegliere in diversi
modi. Colore della pelle e caratteristiche somatiche non sono considerati attendibili per determinare
l'appartenenza generica ad una razza in antropologia, così i dati non riflettono realisticamente le attuali
popolazioni africane nel mondo.
Molte ondate migratorie verso le Americhe, così come gli spostamenti all'interno del continente stesso,
hanno portato le persone di discendenza africana in America del Nord. Le prime popolazioni africane arrivarono
in Nordamerica nel XVI secolo attraverso il Messico e i Caraibi diretti nelle colonie spagnole della Florida, Texas
ed in generale nel sud degli attuali Stati Uniti. Su 12 milioni di persone che vennero portate nelle americhe
durante la tratta atlantica degli schiavi, 645.000 sbarcarono nelle colonie britanniche sul continente americano e
negli Stati Uniti, 1.840.000 arrivarono in altre colonie britanniche, principalmente nelle Indie Occidentali.
Nell'interpretazione della diaspora africana la tratta atlantica degli schiavi è spesso considerata come un
elemento fondamentale, ma ci furono altri undici flussi migratori dall'Africa verso l'America settentrionale a partire
dal XVI secolo, molti dei quali erano composti da immigranti volontari, sebbene diretti in un territorio ostile ed
economicamente basato sullo sfruttamento.
Negli anni 1860, africani delle molte ondate migratorie verso le Americhe, così come gli spostamenti
all'interno del continente stesso, hanno portato le persone di discendenza africana in America del Nord. Le prime
popolazioni africane arrivarono in Nordamerica nel XVI secolo attraverso il Messico e i Caraibi diretti nelle colonie
spagnole della Florida, Texas ed in generale nel sud degli attuali Stati Uniti. Su 12 milioni di persone che vennero
portate nelle americhe durante la tratta atlantica degli schiavi, 645.000 sbarcarono nelle colonie britanniche sul
continente americano e negli Stati Uniti, 1.840.000 arrivarono in altre colonie britanniche, principalmente nelle
Indie Occidentali. Nell'interpretazione della diaspora africana la tratta atlantica degli schiavi è spesso considerata
come un elemento fondamentale, ma ci furono altri undici flussi migratori dall'Africa verso l'America settentrionale
a partire dal XVI secolo, molti dei quali erano composti da immigranti volontari.
L'U.S. Boreau of the Census categorizza la popolazione in base alla razza su autoidentificazione, e non
prevede un'identità multietnica, anche se dal 2000 gli intervistati possono scegliere diverse etnie di
appartenenza.Nel 2000 gli afroamericani erano il 12,1 percento della popolazione totale negli Stati Uniti, e
costituiscono la più numerosa minoranza etnica del Paese; sono concentrati nelle aree urbane, soprattutto negli
stati del sud.Gran parte dei primi afro-canadesi emigrarono dagli Stati Uniti, compresi quegli afroamericani che
arrivarono come lealisti o fuggitivi lungo la Underground Railroad, una serie di itinerari segreti dai quali gli
emigranti neri arrivarono in Nuova Scozia e Ontario.
Continente / Nazione
Caraibi
Haiti
Repubblica Dominicana
Cuba
Giamaica
Trinidad e Tobago
Porto Rico
Bahamas
Barbados
Antille Olandesi
Santa Lucia
Saint Vincent e Grenadine
Isole Vergini americane
Grenada
Antigua e Barbuda
Bermuda
Saint Kitts e Nevis
Isole Cayman
Isole Vergini britanniche
Turks e Caicos
Europa
Italia
Francia
Regno Unito
Spagna
Germania
Paesi Bassi
Portogallo
Russia
Polonia
Irlanda
Asia
Giappone
Israele
India
Popolazione nazionale
39.148.115
8.924.553
9.507.133
11.423.925
2.804.332
1.047.366
3.958.128
307.451
281.968
225.369
172.884
118.432
108.210
90.343
78.000
66.536
39.619
47.862
24.004
26.000
738.856.462,00
60.448.163
62.752.136
60.609.153
40.397.842
82.000.000
16.491.461
10.605.870
141.594.000
38.082.000
4.339.000
?
127.756.815
7.282.000
1.132.446.000
Discendenti dei neri africani (%)
73,2%
97,5%
84,00%
10%
97,4%
58,00%
8,00%
85,00%
90,00%
85,00%
82,5%
85,00%
79,70%
95,00%
94,90%
61,20%
98,00%
60,00%
83,00%
34,00%
0,12%
3%
7%
3,0%
0,1%
0,6%
1,8%
2,0%
0,12%
0,002
1,1%
?%
?%
0,07%
0,003%
Discendenti dei neri africani (n.)
22.715.518
8.701.439
7.985.991
1.126.894
2.731.419
607.472
316.650*
209.000
253.771
191.564
142.629
100.667
86.243
81.309
63.000
40.720
38.827
28.717
19.923
18.000
9.017.583
1.300.000
4.000.000
2.015.400
100,000
500.000
300.000
201.200
100.000
4.500
43.000
?
10.000 6.000
30.000
Continente / Nazione
America del Sud/America Centrale
Belize
Guatemala
El Salvador
Honduras
Nicaragua
Costa Rica
Panamá
Colombia
Venezuela
Guyana
Suriname
Guyana Francese
Brasile
Ecuador
Perù
Bolivia
Cile
Paraguay
Argentina
Uruguay
America del Nord
Stati Uniti d'America
Canada
Messico
Oceania
Australia
Africa subsahariana
Fuori dall'Africa
Total
Popolazione nazionale
425.664.476
301.270
13.002.206
7.066.403
7.639.327
5.785.846
4.195.914
3.292.693
45.013.674
26.414.815
770.794
475.996
199.509
190.908.598
13.927.650
29.180.899
9.247.816
16.454.143
6.831.306
40.677.348
3.477.778
440.244.038
298.444.215
33.098.932
108.700.891
21.000.000
865.000.000
5.821.000.000
6.892.000.000
Tabella dei paesi con maggior popolazione della diaspora africana
Discendenti dei neri africani (%)
23,9%
31,00%
2,00%
< 0,01%
2,00%
9,00%
3,00%
14,00%
21,00%
tra il 10-26,5%
36,00%
47,00%
66,00%
6,0%
3,00%
3,00%
1,1%
< 0,1%
< 0,1%
< 0,1%
4,00%
11,8%
12,90%
2,7%
<1,00%
0,9%
99%
2,9%
14,2%
Discendenti dei neri africani (n.)
101.532.873
93.394
260.044
0*
152.787
520.726
125.877
460.977
9.452.872
2.641.481 - 6.999.926*
277.486
223.718
131.676
11.454.515
417.830
875.427
108.000
0*
0*
0*
139.111
39.264.514
38.499.304
783.795
103.000
248.605
856.350.000
168.879.165
978.664.565
La schiavitù iniziò ad essere fuori legge nel Nord America Britannico dall'inizio del 1793. Più tardi i flussi
migratori verso il Canada arrivavano principalmente dai Caraibi, così oggi il 70% degli afro-canadesi ha origini
caraibiche. Come conseguenza della maggior immigrazione dai Caraibi, il termine afro-canadese, benché a volte
utilizzato per riferirsi alla minoranza di neri canadesi aventi una diretta discendenza africana o afroamericana, non
è normalmente usato per definire i neri canadesi. I neri dei Caraibi sono solitamente definiti come canadesi delle
Indie Occidentali, canadesi caraibici o più raramente afro-caraibici canadesi, ma il termine più usato resta neri
canadesi, che include sia le comunità africane che caraibiche del Canada.
Ad un livello intermedio, sia in America latina che nelle ex piantagioni dell'Oceano Indiano e dei suoi
dintorni è difficile stabilire quali siano i discendenti degli schiavi africani perché gran parte della popolazione si è
mescolata con gli schiavi originari del posto. In luoghi dove sono stati importati relativamente meno schiavi (come
Argentina e Cile) pochi di loro sono considerati neri oggi, mentre al contrario dove sono stati importati molti
schiavi (come in Brasile o in Repubblica Dominicana) il numero dei neri è maggiore, ma molti hanno
un'ascendenza mista.
In Europa sono due milioni (senza includere i britannici di etnia mista) gli afro-britannici, che si dividono
tra africani e afro-caraibici.Si stima che in Francia vivono 3 milioni di discendenti africani, anche se un quarto di
essi risiedono nei territori d'oltremare. Si stima che in Italia vivano circa 800.000 cittadini di discendenza africana,
la maggior parte provengono dal Nord Africa, altri dall'Africa subsahariana, e una minima parte dai Caraibi.In
Olanda circa 300.000 sono originari del Suriname e delle Antille Olandesi. Gran parte vivono nelle isole di Aruba,
Bonaire, Curacao e Saint Martin, ma molti afro-olandesi vivono anche in Olanda.
I primi neri arrivarono in Russia con la tratta degli schiavi dell'Impero Ottomano e i loro discendenti
continuano a vivere nelle coste del Mar Nero.
Durante gli anni trenta quindici famiglie afroamericane si trasferirono in Unione Sovietica come esperti di
agraria.
Quando gli stati africani divennero indipendenti negli anni sessanta, l'Unione Sovietica offrì loro la
possibilità di studiare in Russia. In quarant'anni 400.000 africani divennero studenti in Unione Sovietica, e molti si
stabilirono lì.
Si noti che anche qui i non africani all'interno dell'ex Unione Sovietica si riferiscono colloquialmente agli
afro-russi come "neri". Della stessa categoria sono considerati anche rom, georgiani e tartari.
Gli afro-turchi, stimati in 2 milioni di persone di ascendenza africana anche parziale vivono nel litorale tra
la provincia di Antalya e Istanbul.
Alcuni panafricanisti considerano anche altri popoli africoidi come parte della diaspora africana, come,
tra gli altri, i pigmei asiatici, come nel caso di gruppi della penisola malese, Nuova Guinea (papuani),
andamanesi, alcune popolazioni del subcontinente indiano, tra cui i vedda, dràvida, tamili e le popolazioni
aborigene della Melanesia e Micronesia.
Molte di queste teorie sono però considerate dagli etnologi come pseusoscienza e pseudoantropologia
ideologicamente motivata dall'africocentrismo irredentista, ed accettate principalmente da alcuni estremisti negli
Stati Uniti, i quali non riflettono il pensiero generale della comunità afroamericana.
La maggior parte degli antropologi pensano che gli andamanesi ed altri popoli siano parte di una rete
gruppi etnici di proto-australoidi e paleometditerranei presenti in Asia meridionale le cui origini genetiche sono
riconducibili ai flussi migratori che culminarono negli aborigeni australiani, piuttosto che alle popolazioni africane
(benché indirettamente siano discendenti di alcuni gruppi preistorici che emigrarono dall'Africa, come tutti gli
esseri umani).
Sviluppi recenti.
Le migrazioni transahariane.
Direttrici di sviluppo del transito sahariano occidentale.
Il deserto del Sahara unisce l'Africa sub-sahariana ai Paesi del Maghreb. Viene attraversato da migranti
economici, in maggior parte dell'Africa occidentale, e rifugiati politici, provenienti soprattutto dal Corno d'Africa. Le
traversate si effettuano a bordo di camion o fuoristrada, affidati alla guida di organizzazioni criminali che
gestiscono il passaggio clandestino verso nord di uomini e merci. Durante i viaggi i passeggeri subiscono le
razzie della polizia, dei ribelli e degli stessi autisti
Non tutti coloro che attraversano il deserto hanno come obiettivo l'Europa. Al contrario, molti rimangono
nei Paesi del Maghreb, spesso come lavoratori stagionali. Nel Sahara finiscono anche i viaggi di
riaccompagnamento alla frontiera organizzati dai governi nordafricani, abituati da anni, sotto pressioni europee,
ad abbandonare in mezzo al Sahara migliaia di migranti e rifugiati rintracciati sul loro territorio in modo irregolare.
Molte persone hanno perso la vita in seguito a queste pratiche:
La prima rotta migratoria attraversa il Niger, congiungendo l'Africa centrale e occidentale alla Libia, da
dove il viaggio talvolta prosegue verso l'Italia. Il percorso segue l'antico tragitto carovaniero via Agadez e Dirkou
alla volta di Madama per poi entrare in Libia nei pressi del posto frontaliero di Toummo e risalire alla volta
dell'oasi di Sebha (in Libia). Sulla rotta i migranti sono spesso vittime delle razzie di polizia e ribelli.
Per chi rimane senza soldi il viaggio si tramuta in tragedia. Secondo diverse testimonianze le oasi del
deserto nigerino e libico sarebbero disseminate di schiavi. Giovani partiti dall'Africa occidentale alla volta
dell'Europa e rimasti bloccati senza soldi per proseguire né per ritornare.
Sin dagli anni novanta, una seconda rotta migratoria attraversa il Mali, raccogliendo i flussi migratori in
provenienza dalle regioni dell'Africa occidentale verso l'Algeria, paese di transito per raggiungere il Marocco e da
lì imbarcarsi alla volta della costa meridionale della Spagna o delle isole Canarie, oppure tentando di entrare nel
territorio delle due enclave spagnole di Ceuta e Melilla, in Marocco. La rotta segue i percorsi delle reti carovaniere
transahariane praticate per secoli dalle popolazioni nomadi (tuareg) di Mali, Niger e Algeria. I nuovi snodi
carovanieri rimodellano il paesaggio urbano e ripopolano di migranti e di gruppi dediti al trasporto e alla gestione
del loro trasporto - ma anche al contrabbando di merci, droga e armi - le città di Gao, Kidal (in Mali) e
Tamanrasset (in Algeria).
Drettrici marittime e terrestri delle migrazioni dall’Africa subsahariana
Da anni il governo algerino pratica respingimenti alla frontiera dei migranti sub-sahariani sprovvisti di
documenti di soggiorno. Così migliaia di persone ogni anno sono abbandonate in pieno deserto vicino ai posti
frontalieri di Bordj-Mokhtar, al confine con il Mali, e In Guezzam, al confine con il Niger. Succede così che migliaia
di deportati transitino e sostino, a volte per mesi o anni, nelle oasi frontaliere come quella di Tinzaouatine, in Mali.
I deportati si autodefiniscono in gergo aventuriers, avventurieri. Vivono in vecchie case abbandonate o
nelle grotte dei massicci di pietra del deserto. Le abitazioni vengono denominate ghetto, e sono divise per
nazionalità. C'è il ghetto degli ivoriani, quello dei nigeriani, quello dei camerunesi. Ogni comunità è organizzata
con un presidente, un vice presidente, un segretario e un responsabile della sicurezza. In nessuna delle
abitazioni c'è elettricità né acqua corrente. La prima città dista 400 chilometri, Kidal, in Mali. Chi vi è bloccato,
sopravvive lavorando in condizioni di schiavitù per i tuareg che abitano nell'oasi. Oppure tenta di raggiungere
Kidal avventurandosi in disperate marce a piedi.
I flussi migratori originari del Corno d'Africa transitano per la rotta che dal Sudan attraversa il deserto
libico, superando l'oasi di Kufrah alla volta di Ijdabiya, sulla costa mediterranea. La rotta è praticata in particolare
da profughi sudanesi, somali, etiopi ed eritrei. Il biglietto si acquista nei mercati di Khartoum, la capitale del
Sudan. Da lì si parte su dei fuoristrada pick up che trasportano una media di trenta persone. Il viaggio - salvo
imprevisti - dura un paio di settimane. I superstiti raccontano continui soprusi da parte degli autisti e della polizia.
Molte le vittime, dovute tanto agli incidenti quanto agli abusi degli organizzatori dei viaggi
Un'altra importante rotta è quella che porta dal Sudan all'Egitto, collegando Khartoum ad Aswan. Battuta
fino a pochi anni fa quasi esclusivamente da sudanesi, dal 2006 anche gli emigranti eritrei percorrono questo
tragitto, entrando in Egitto come via di transito verso Israele, paese che nel 2006 e 2007 ha ricevuto 10.000
richieste di asilo politico da parte di profughi entrati clandestinamente dalla sua frontiera con l'Egitto, lungo la
penisola del Sinai, in maggioranza eritrei e sudanesi. Nel corso del 2008, l'Egitto ha arrestato alla sua frontiera
meridionale col Sudan alcune migliaia di profughi, eritrei e sudanesi. Secondo Amnesty International le autorità
egiziane hanno rimpatriato almeno 1.200 richiedenti asilo eritrei nel giugno 2008. Le condizioni di detenzione dei
migranti nelle carceri egiziane sono pessime:
Una parte consistente dell'esodo somalo si concentra poi sullo Yemen, sulle cui coste nel 2007 sono
approdate circa 30.000 persone in fuga dalla guerra
Le rotte per attraversare il Mediterraneo sono principalmente cinque. Dalla costa atlantica
africana verso l'arcipelago spagnolo delle isole Canarie. Da Marocco e Algeria verso la costa spagnola
dell'Andalusia e delle isole Baleari oppure versd le due enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Dall'Algeria alla
Sardegna. Dalla Tunisia, la Libia e l'Egitto verso la Sicilia, Malta e le isole di Lampedusa e Pantelleria. E infine
dalla Turchia verso la Grecia. In alcuni casi poi gli emigranti africani utilizzano la rotta dell'est europeo: atterrano
con un visto turistico in Ucraina e proseguono verso Slovacchia e Polonia alla volta dell'Ue. Per raggiungere il
Mediterraneo esistono diverse rotte. Nella maggior parte dei casi, viaggiando senza visto, si è costretti ad
attraversare il deserto del Sahara. Dall'Africa occidentale e centrale lo si fa attraversando il Mali verso l'Algeria,
oppure il Niger verso la Libia. Dal Corno d'Africa la rotta è quella che va dal Sudan verso la Libia o l'Egitto. E
dall'Egitto parte la rotta verso Israele, paese nel quale circa 10.000 richiedenti asilo, in maggioranza eritrei e
sudanesi, hanno fatto ingresso dalla frontiera egiziana del Sinai tra il 2006 e il 2007
L’Unione europea ha coinvolto i Paesi del Nordafrica nelle sue politiche di contrasto all'immigrazione che
attraversa il Mediterraneo, inducendo così i governi locali a politiche di repressione e di ‘rimpatrio’ forzato dei
migranti che, in assenza di accordi di riammissione, vengono perlopiù ricondotti e abbandonati nei pressi delle
zone sud di confine con i paesi limitrofi (Rosso, al confine mauritano con il Senegal; Oujda, al confine marocchino
con l’Algeria; Tinzouatine e In Guezzam al confine algerino con il Mali e il Niger, Kufrah e Tumu, al confine libico
con il Sudan e il Niger.
La conquista del West
All’indomani della loro costituzione (1787) gli Stati Uniti d’America presero un’importante decisione. Con
un provvedimento denominato «Ordinanza del Nord-Ovest» stabilirono infatti che i territori ancora inesplorati e
selvaggi che si trovavano fra i monti Allegani e il fiume Mississippi appartenevano all’Unione nel suo insieme e
non ai singoli Stati. In questo modo i coloni che si insediavano nelle nuove terre, una volta raggiunti i 60.000
abitanti, potevano costituirsi in nuovi Stati indipendenti, affiancandosi con pari diritti e doveri ai 13 fondatori
dell’Unione. Il provvedimento favorì quella che è passata alla storia e alla leggenda come la conquista del Far
West, un vastissimo territorio abitato da tribù di pellerossa nomadi, dediti alla caccia del bisonte, animale che
allora popolava le immense praterie di quelle regioni. Ampissimi spazi si aprirono quindi all’intraprendenza dei
coloni provenienti dall’est – i pionieri –, i quali realizzarono quell’epopea della frontiera destinata a caratterizzare
la mentalità e la cultura americane, sino a diventare uno dei miti fondativi degli Stati Uniti, celebrato dalla
letteratura e dal cinema di quel paese. Se inizialmente l’Unione crebbe molto lentamente, nel corso dell’800,
contestualmente allo sviluppo industriale del paese e alla crescita del flusso migratorio, la spinta verso Occidente
si sviluppò impetuosa, favorita anche dalla grande disponibilità di terre a buon mercato. Già nel 1850 l’Unione
contava 31 Stati, tra cui la California, dove la scoperta di ricchi giacimenti d’oro aveva attirato migliaia di cercatori,
incrementando in maniera consistente la popolazione locale. Nei decenni successivi, sino alla fine del secolo, nei
territori delle grandi praterie si costituirono, ai danni delle popolazioni indiane che le abitavano, altri 14 Stati.
Durante le «guerre indiane», combattute tra il 1862 e il 1890, i soldati americani, le cosiddette “giacche
blu” dal colore delle loro divise, avvalendosi della loro superiorità organizzativa e tecnologica, spazzarono via le
tribù di pellerossa, divise in etnie e gruppi spesso rivali tra loro. I trattati che gli yankee imposero ai nativi li
obbligarono ad abbandonare non solo i loro territori ma anche le loro tradizioni, trasformando dei cacciatori
nomadi in coltivatori sedentari, confinati in apposite riserve. Il consueto modo di vita indiano ne risultò
completamente stravolto. Insieme ai pellerossa scomparvero anche i bisonti, sterminati dai coloni che li
uccidevano per rifornire di carne gli operai impegnati nella costruzione delle lunghissime ferrovie, destinate a
collegare il paese da una costa all’altra. Lo sterminio deliberato dei bisonti favorì la diffusione dell’allevamento
estensivo dei bovini, praticato dai grandi proprietari terrieri spesso finanziati da banchieri e uomini di affari.
Contadini e allevatori avevano infatti colonizzato aree sempre più vaste del West, divenendo legalmente
proprietari di grandi appezzamenti. Già nel 1862, nel pieno della guerra di secessione, il presidente Abraham
Lincoln aveva promulgato l’Homestead Act, un provvedimento che consentiva ai capifamiglia che si stabilivano
nelle zone di frontiera di acquistare parecchi ettari di terreno a un prezzo simbolico. Si scatenò così una vera e
propria corsa verso quei territori, che furono progressivamente integrati nel mercato nazionale statunitense e che
favorirono lo straordinario sviluppo economico del paese nella seconda metà dell’800.
Gli Stati ammessi all’unione dal 1783 a oltre il 1890
Gli indiani e il loro stile di vita furono quindi sacrificati dinanzi al convergere di numerosi interessi, o se si
vuole, di fronte allo sviluppo delle forze produttive del sistema economico americano. I pellerossa tentarono di
resistere, riuscendo a cogliere soltanto qualche parziale successo, come la distruzione nei pressi del fiume Little
Big Horn, nel giugno del 1876, di un distaccamento del 7° cavalleggeri guidata dal generale Custer per mano dei
guerrieri Sioux e Cheyenne di Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Quella battaglia, dovuta all’ennesima violazione da
parte degli Stati Uniti di un trattato firmato con gli indiani, divenne parte integrante della mitologia statunitense,
alimentando la leggenda del selvaggio West civilizzato dai pionieri americani.
L'espansione a ovest da parte di coloni europei iniziò nel 1763 quasi casualmente, quando al termine
della guerra dei Sette anni la Francia cedette alla Gran Bretagna il Canada e il nordovest, conservando il controllo
delle isole di Saint-Pierre, Miquelon, Guadalupa e Martinica. Dopo la guerra di indipendenza americana, il
Louisiana Purchase (acquisto della Louisiana, 1803) praticamente raddoppiò il territorio statunitense, un fatto la
cui portata venne inizialmente sottovalutata in quanto lo scopo precipuo dell'acquisto era stato quello di ottenere
uno sbocco al mare attraverso il fiume Mississippi. Gli Stati Uniti ampliarono i propri territori in misura molto
maggiore di ogni altra nazione.
Le lotte e le altre vicissitudini legate a questo processo hanno quindi assunto un afflato epico-emotivo
molto forte. Stimolata, oltre che dalla fame di terra e di opportunità degli immigrati provenienti dai paesi più poveri
dell'Europa, anche dal diffondersi della teoria del così detto Manifest Destiny, che incoraggiava gli Stati Uniti a
estendere la loro influenza e la loro civiltà all'intero continente americano, la conquista del West ebbe vari stadi e
diverse frontiere: la Connecticut Valley, la valle dell'Ohio e le estensioni erbose del Kentucky, le Montagne
rocciose e, oltre il Missouri e il deserto americano, verso l'Oregon e le miniere californiane.
Con la significativa eccezione dei mormoni, l'emigrazione verso ovest avvenne non per comunità, ma per
individui o gruppi familiari, a iniziare dai primi frontiersmen, cacciatori e commercianti che segnarono le prime
piste. I colonizzatori del West non appartenevano in genere ai ceti estremi, ma a una sorta di classe media che
anche ideologicamente plasmò la società dei territori di frontiera, stimolando la pratica democratica e
l'atteggiamento pragmatico, pronto ad affrontare i problemi al loro porsi e ad accettare il continuo cambiamento
tipico della frontiera, che stimolava lo spirito d'avventura, l'inventiva e l'iniziativa individuale. In quello stesso
contesto si formarono le basi del pensiero politico americano, soprattutto la fede nel federalismo, che lasciava
ampia autonomia ai singoli stati. Anche l'orgoglio per i risultati raggiunti autonomamente dal paese si radica nella
sicurezza di sé tipica degli uomini del West.
Analogamente, il Louisiana Purchase, con le possibilità di espansione e popolamento che aprì, oltre a
dare agli Stati Uniti la possibilità di avere una presenza significativa in campo internazionale, è stato considerato
da alcuni storici alla base di un atteggiamento politico che darebbe la priorità al benessere della popolazione
agevolando il credito ed evitando tassazioni troppo gravose.
Inoltre la varietà stessa delle persone e dei motivi che spinsero la conquista sarebbe alla base di un
atteggiamento conciliativo e disponibile al dialogo che avrebbe favorito in ultima analisi l'unità nazionale. A tutto
ciò contribuì sicuramente la caratteristica peculiare del West americano che, diversamente da altre aree di
frontiera quali l'Africa, le steppe russe o le lande australiane, offriva risorse più immediatamente accessibili, grazie
anche a generose concessioni di terre e politiche governative favorevoli agli insediamenti, richiedendo al
contempo processi di adattamento molto meno laboriosi.
Mentre i pionieri consideravano il West da un punto di vista eminentemente pratico, le stesse
caratteristiche di territorio praticamente illimitato in mano a un'unica nazione, ricco di risorse di ogni genere, terre
fertili, foreste, minerali, clima propizio e grandi fiumi navigabili, ne fecero quasi un luogo favoloso, ove nulla era
precluso a chi avesse avuto forza e volontà sufficienti. La conquista del West procedette dunque a ondate che
spostarono la frontiera sempre più a ovest, dando così modo alle regioni di precedente colonizzazione di affinare i
costumi e instaurare via via modelli di società più progrediti. Sin dagli anni immediatamente successivi alla
rivoluzione gli Stati Uniti espressero una legislazione sull'ovest, che fu poi applicata all'intera nazione: un
ordinamento del 1785 regolò la vendita delle terre, un altro del 1787 vi stabilì forme di autorità costituita e definì
l'impegno pubblico ad appoggiare la formazione di scuole e altri centri per l'educazione; il Pre-emption Act del
1841 difese i diritti dei frontiersmen a detenere i terreni, e nel 1862 lo Homestead Act giunse quasi a coronare il
sogno di ogni famiglia di possedere un pezzo di terra.
Allo stesso modo, la crescita del West favorì l'emergere di personalità politiche da tali regioni. All'epoca
della guerra civile americana la maggioranza della classe dirigente era di origine western.
Tuttavia proprio le grandi risorse del West, percepite come infinite, ne favorirono lo sfruttamento
indiscriminato e talvolta la distruzione: lo sterminio della fauna selvatica, dai castori ai bisonti, e la distruzione
delle foreste avvennero sia per profitto che per liberare le terre coltivabili. Le Grandi pianure, che componevano
circa un quarto dell'intero territorio nazionale, furono quasi distrutte nel giro di una generazione dal cattivo uso
che della terra venne fatto da aspiranti agricoltori, inesperti, truffati dagli speculatori terrieri. E soprattutto
l'espansione a ovest portò all'annientamento delle popolazioni native sterminate da guerre ed epidemie, private di
ogni diritto, poste in riserve ove persero tradizioni e identità culturale.
La democrazia americana e il carattere nazionale, le cui radici sono da molti storici fatti risalire alla
colonizzazione del West, erano beneficio esclusivo dell'uomo bianco, che considerava il possesso e lo
sfruttamento del territorio un suo diritto naturale e con altrettanta naturalezza eliminava gli ostacoli, materiali o
umani, che avrebbero potuto impedirne l'esercizio.
Il West si estende al di là del Mississippi e della catena dei monti Allegheny giungendo fino alle
Montagne Rocciose. Si può suddividere in tre grandi zone: le Basse Terre Centrali, le Pianure Osage e le Grandi
Pianure.
Le Basse Terre Centrali si estendono oltre gli Appalachi, intorno ai Grandi Laghi fino ad Ovest alla valle
del Missouri.
Si caratterizzano per le basse altitudini, per la grande estensione. Il clima è temperato e continentale,
con l'inverno freddo e nevoso e l'estate calda e piovosa.
Le Grandi Pianure sono un territorio vasto 4000 chilometri racchiuso fra il Canada a Nord ed il Golfo del
Messico a Sud e le Montagne Rocciose ad Ovest. Il clima è semiarido, con scarse precipitazioni, per lo più
primaverili, che determinano una vegetazione stepposa; gli inverni sono secchi. Frequenti sono le tempeste
durante le quali (specialmente se trattasi di tornado) i venti possono raggiungere i 500 chilometri orari.
La fauna delle praterie era caratterizzata, prima della conquista dei bianchi, soprattutto dalle grandi
mandrie del bisonte americano. Nel 1550 circa si diffusero i cavalli portati dagli spagnoli: scappati dai recinti o
razziati dagli indiani, i cavalli vennero ben presto addomesticati dai nativi e il loro impiego determinò diverse
modificazioni dei loro stili di vita, non ultimo le mandrie di bisonti subirono ridimensionamenti importanti che
spinsero alla ricerca non solo di altri pascoli, ma anche di altre forme di sussistenza, come l'agricoltura.
Attualmente, la consistenza numerica del bisonte americano è valutata intorno a 40.000 esemplari
mentre i mustang contano una cifra che oscilla tra 40.000 e 100.000 unità .
Nelle Grandi Pianure vivevano molte tribù nomadi, che basavano la propria economia e sopravvivenza
sul bisonte.
La loro arte preferita era la pittura a sfondo religioso ed epico. I disegni raffiguravano animali come
l'Uccello del Tuono che li mettevano in comunicazione con gli Spiriti sovrannaturali o racconti e leggende da
tramandare.
Tutte le tribù erano dedite alla produzione artigianale di ornamenti, quali perline colorate e conchiglie
decorative.
Fu l'introduzione del cavallo, o il ritorno dello stesso nelle sue terre d'origine, a segnare una svolta
epocale nello stile di vita degli Indiani, che da sedentari, costruttori anche di città-fortezza, divennero nomadi e da
agricoltori si trasformarono in cacciatori. L'animale preferito divenne il bisonte, del quale gli Indiani sfruttavano
proprio tutto: la carne veniva consumata subito o conservata; la pelle veniva conciata dalle donne e trasformata in
abiti, mocassini, e nel rivestimento delle tende; dalle ossa, dagli zoccoli e dalle corna producevano utensili;
nonostante questi usi, gli Indiani non si lasciavano andare a razzie e uccidevano solo un numero di animali
necessario per la sopravvivenza di entrambi.
Gli spostamenti delle tribù causarono attriti e conflitti fra le varie nazioni Indiane. La guerra era interpretata
come un mezzo per procurarsi onore e prestigio. Le vittime degli scontri erano limitate poiché non era tanto importante
l'uccisione del nemico, quanto toccarlo con un'asta, permettendogli poi di scappare. Alcuni storici attribuiscono agli
Inglesi e agli Spagnoli l'origine dell'usanza dello scalpo, in quanto doveva servire come prova della reale uccisione di un
nativo per ottenere un compenso.
Inizialmente le armi degli Indiani erano primitive: arco, frecce, lancia, scudo e bastone, il tomahawk; ma con
l'arrivo dei bianchi cambiarono il modo e gli strumenti (armi da fuoco) di fare le guerre.
Il capo del gruppo veniva scelto per meriti di guerra o familiari o per conoscenze religiose, o per abilità dialettica
e oratoria; le decisioni venivano prese all'unanimità, tranne che per gli Apache presso i quali i capi avevano poteri
decisionali.
Il capo religioso era lo sciamano, nome di origine siberiana, che significa “colui che è sconvolto”; era in grado di
conoscere metodi e riti per curare malattie poiché aveva ricevuto dal Grande Spirito particolari poteri. La religiosità era di
tipo animista, infatti qualunque cosa era animata da un essere sovrannaturale e la struttura sociale era di tipo
protocomunista, priva di proprietà privata e accumulazione.
Il misticismo era costituito da sogni, visioni e riti come la Danza del Sole.
Il bambino, addestrato sin da piccolo ai giochi di caccia, attendeva l'età di 8 anni circa per assumere un ruolo
nella tribù; questo accadeva grazie ad un messaggio trasmesso dagli Spiriti che interpretato dagli sciamani delineava il
suo futuro. Una volta divenuto guerriero poteva sposarsi. Era prevista la poligamia, dato il maggior numero di donne
rispetto agli uomini.
Sin da piccoli imparavano, in aggiunta, il linguaggio dei gesti, comune a tutte le tribù, i segnali di fumo e degli
specchi.
Nelle pianure vivevano i Sioux, gli Cheyenne, i Pawnee; a Nord vi erano gli Arapaho, mentre a Sud vi erano i
Comanche, i Kiowa, e ancora più a Sud gli Apache e i Navajo.
Già nei secoli precedenti i coloni ebbero problemi con i nativi e innumerevoli furono le loro guerre però, solo
dopo il 1860 si ebbero le battaglie più dure, epiche e conclusive. La situazione raggiunse uno stato critico nel 1848,
perché a causa della scoperta dell'oro in California migliaia di cercatori attraversarono i territori dei Sioux facendo da
apripista alle rotaie della nascente linea ferroviaria nazionale. Ma quando nel 1862 i Sioux Santee del Minnesota furono
sottomessi, la situazione precipitò ulteriormente, in quanto tutte le tribù Sioux e anche altri popoli Indiani si ribellarono.
Il primo assalto lo fece il terzo Reggimento sugli Cheyenne guidati da Pentola Nera, i quali nel 1864, pur
volendo trattare e riappacificarsi, furono sterminati senza tanti complimenti; queste guerre furono infatti caratterizzate da
continue incomprensioni, malintesi, pregiudizi, scorrettezze commessi da tutte le parti in causa.
Nel 1865 fu proclamata la resa dei Sudisti e perciò la fine della Guerra Civile Americana; i coloni disposero da
quel momento di un esercito compatto e più numeroso. La prima guerra indiana durò due anni circa e le operazioni
iniziarono nell'agosto del 1866: i Sioux guidati da Cavallo Pazzo ottennero, inizialmente, brillanti vittorie e a nulla valsero
le spedizioni dei militari. Per un po' le due parti andarono avanti a forza di accordi e patti infranti e di controffensive sterili,
come quella invernale promossa dal generale Sheridan a causa della errata strategia tentata: battaglia regolare contro
guerriglia dei nativi. Una svolta si ebbe quando, il tenente colonnello Custer intercettò gli Cheyenne sul fiume Washita e
con una brillante manovra riuscì a sgominarli; in seguito a questo episodio, gli Indiani decisero di accettare la resa
incondizionata. Le tribù meridionali non crearono problemi per almeno altri cinque anni.
Le mandrie dei bisonti stavano scomparendo e dal 1875 i Comanche e i Kiowa si allearono con i Sioux; poco
prima i lavori della ferrovia subirono uno stop temporaneo, una epidemia di febbre gialla infuriò in Missouri e una
invasione di cavallette sconvolse il Midwest dando fiato ai predicatori del nuovo mondo.
Il governo cercò di comprare nuovi territori con il beneplacito di Nuvola Rossa ma con il dissenso dei Sioux, così
nel 1876 partì la seconda grande spedizione formata da tre contingenti atta a rastrellare la zona compresa tra North
Platte e Yellowstone.
La spedizione fu organizzata maldestramente, al punto che raramente le comunicazioni fra i tre gruppi furono
valide; inoltre l'entità numerica dei guerrieri nativi era stata fin troppo sottostimata, le recognizioni dell'esercitò si
rivelarono insufficienti e fallaci, infine anche la sorte fu avversa e Custer.
Nello scontro decisivo i nativi dapprima neutralizzarono la prima colonna, poi si prepararono ad attaccare la
seconda scegliendo un campo di battaglia a loro congeniale: la valle del Little Bighorn. Custer non rispettò le consegne
commettendo l'errore che costò la vita a lui e ai suoi uomini; seguì invece le tracce di un campo indiano in movimento
protetto da oltre cinquemila guerrieri. La manovra di attacco di Custer fu facilmente sventata dai nativi che guidati da
Cavallo Pazzo sterminarono l'intero gruppo di Custer, mentre i rinforzi attesi dal tenente non arrivarono mai.
Nonostante la clamorosa vittoria di Little Bighorn le sorti della guerra arrisero agli americani, poiché a causa
della falcidia dei bisonti gran parte degli Indiani si stava arrendendo. Lo stesso Cavallo Pazzo fu catturato dopo una
spietata caccia ai suoi danni e nonostante l'aiuto di Piccolo Grande Uomo morì trafitto da un soldato.
L'ultimo baluardo di libertà per gli Indiani fu il gruppo Sioux guidato da Toro Seduto che però ebbe vari conflitti
con i suoi uomini e fu allontanato dalla riserva.
Nel 1889 si diffusero nuovi moti di ribellione indotti dal profeta indiano Wovoka che sostenne la sua capacità di
evocare il Grande Spirito grazie alla danza chiamata danza del Fantasma. Lo Spirito avrebbe dovuto compiere una lunga
serie di miracoli, che non si avverarono e anzi nel furore provocato dai disordini successivi perse la vita pure Toro
Seduto, ucciso da una mano indiana.
Nel 1894 il governo americano dichiarò chiusa la frontiera.
Il grande business del bestiame iniziò dopo la guerra civile. A causa della guerra le mandrie furono
abbandonate nelle mani delle donne e dei bambini e pascolavano confuse, non distinguendosi perché prive di marchio e
poco curate.
Per riorganizzare le file delle mandrie venne ideata una nuova figura professionale, formata da giovani di età
compresa tra i 18 e i 25 anni, valenti cavallerizzi chiamati cowboy. Il loro mestiere era monotono ma pericoloso e
imponeva un rapporto di ubbidienza e di fiducia con il datore di lavoro.
L'abbigliamento era pratico per le attività da svolgere e comodo anche per dormire, dato che spesso non si
cambiavano nemmeno gli abiti per la notte. Era costituito da cappello a larghe falde utile per ripararsi dalle intemperie,
camicia di lana, fazzoletto al collo per coprire la bocca dalla polvere, gilet con innumerevoli tasche, gambali di pelle per
proteggere le gambe, guanti per evitare bruciature, stivali stretti, appuntiti, col tacco alto, alquanto scomodi per
camminare, attività per altro secondaria nella vita del cowboy. Fondamentale era la sella, vero vanto del cowboy che
doveva essere la più comoda possibile. Gli strumenti di lavoro erano la frusta di cuoio ed il lazo.
Gli impegni annuali fondamentali erano i raduni per marchiare i capi e i lunghi trasferimenti verso le città, centri
di commercio del bestiame. Durante le estenuanti marce, per tranquillizzare le bestie, i cowboy intonavano qualche
canto, che avrebbe gettato le basi della futura musica country.
Quando la carovana arrivava a destinazione i cowboy cercavano di svagarsi nei saloon e nei quartieri a luci
rosse. Una parte della cinematografia ha deformato molte caratteristiche, molte usanze dei cowboy: sembra appurato
che furono ben pochi i duelli inscenati dai cowboy, che anzi, trascorrevano il minor tempo possibile nelle città, dovendo
occuparsi soprattutto del bestiame.
Col passare del tempo agli allevatori vennero sempre più a mancare le terre dove far pascolare le mandrie, a
cause della voracità dei coloni e questi contrasti sfociarono in vere e proprie battaglie. In seguito, per motivi sanitarie
anche le lunghe marcie furono abolite e la pratica dell'allevamento venne sostituita dai ranch. Lentamente, ma
inesorabilmente tramontò anche la figura professionale del cowboy, che sopravvisse solo nelle pagine artistiche, in
quelle letterarie e nei rodei.
La gestione della giustizia nel Far West fu per davvero improntata al fai da te, però i regolamenti venivano
rispettati e i banditi erano una sparuta minoranza.
Uno dei personaggi passati al mito, Jesse James, operò realmente con una sua banda verso gli anni settanta
dell'Ottocento.
Un'altra figura reale è quella di Billy the Kid che scatenò una faida di notevoli proporzioni prima di essere ucciso
dallo sceriffo corrotto Pat Garrett in circostanze tutt'oggi non completamente chiarite.
Principali tribù americane
Apache
Sono popoli dell'area Sud-Ovest (Nuovo Messico e Arizona), di lingua athapaskan. L'origine del nome è dubbia
e di varie origini, ma essi chiamavano se stessi "Tinne-ah" (oppureTinneh) che significa "Il Popolo". Giunsero in questa
regione, dal Canada nordoccidentale e dall'Alaska; condussero una vita nomade con dimore temporanee.
Si dividono in gruppi formati da famiglie matriarcali estese, fino a formare bande che è il massimo livello di
organizzazione politica.; ogni gruppo si considerava una nazione.
Esitono due grandi gruppi geografici: quello orientale e quello occidentale. Quello orientale era composto dai
Mescalero, Chiricahua, Jicarilla ed altri. Quello occidentale dai Fort Apache, Carrizo, Aravaipa, White Mountain, ecc.
Gli Apache, conosciuti anche come Navajo (o Navaho), vivevano principalmente di caccia e agricoltura;
impararono l'utilizzo del cavallo, purtroppo per compiere razzie, creandosi una reputazione di spietati. Comunque non
erano razzie di morte, ma solo per accumulare cibi e cavalli da portare alle famiglie...il tutto allo scopo di acquistare
importanza all'interno della famiglia, dove il ruolo predominante lo avevano le donne. Essi non erano guerrieri, anzi
erano maestri nell'evitare scontri con il nemico. Questo fino a che i bianchi non li hanno invasi, confinandoli nelle riserve.
Tappa fondamentale della loro disfatta fu Apache Pass.
Cheyenne
Il nome forse deriva dal termine "Sha-hi'-ye-na" che in lingua Lakota significa "Popolo che parla una lingua
strana". Loro invece preferivano chiamarsi "Dzi'tsiis-tas", cioè "La Gente che è Uguale".
Di lingua algonchina, agricoltori ed artigiani, un tempo vivevano nella zona dei Grandi Laghi (Minnesota), ma si
dovettero spostare verso le Pianure in seguito alla pressione dei Lakota e degli Ojibway. Vivenano nei Wigwam,
capanne fatte di pali piantai nel terreno e incurvati alle sommità e legati fra loro, ricoperte con erba secca e fango e
rivestite dicon corteccia e canne intrecciate. In estate, durante il periodo della caccia, invece conducevano vita da
nomadi e le loro abitazioni erano delle semplici tende ricoperte di pelli e trasportate dai cani, animali molto vicini a questa
popolazione.
Agli inizi del secolo scorso, dopo altri trasferimenti ancora più ad occidente, conobbero il cavallo. E' così
cambiata radicalmente la loro organizzazione socio-economica; divennero nomadi delle Pianure e sopravvivevano con la
caccia al bisonte, vivendo nei tipici Tepee (le classiche tende coniche). Divennero degli eccellenti cavalieri.
Essi si dividevano in due gruppi principali: i Cheyenne settentrionali, influenzati dai costumi e lingua dei Sioux, e
quelli meridionali, confinanti con gli Arapaho.
Vennero massacrati nella battaglia di Sand Creek.
Cherokee
Gruppo della famiglia linguistica irochese e di area culturale sudorientale. I cherokee ebbero un ruolo
importante nell'America coloniale e nella storia degli Stati Uniti e restano uno dei maggiori gruppi indigeni del paese.
Emigrati dal Texas e dal Messico si spostarono a nord, nella regione dei Grandi Laghi, dove vennero respinti
dagli Irochesi e dai Delaware. Si spostarono così definitivamente in una regione che comprendeva gli attuali stati della
Georgia, Alabama, N. e S. Carolina, Tennessee.
Furono alleati degli inglesi, prima contro i francesi nella lotta per il controllo dell'America settentrionale e poi
contro i coloni nella guerra d'indipendenza americana. Negoziarono la pace con gli Stati Uniti in una serie di trattati che
riconobbero la loro sovranità su parte delle loro terre.
Istituirono un sistema di governo modellato su quello americano, si dotarono di una costituzione e si
proclamarono Nazione, ma la scoperta di giacimenti d'oro nei loro territori costrinse anch'essi ad emigrare (forzatamente)
nelle riserve.
Erano anch'essi agricoltori e cacciatori.
Creek
Gruppo appartenente alla famiglia linguistica muscoghiana. Nel XVII secolo, i Creek costituivano il gruppo
dominante di una confederazione di tribù stanziate in gran parte dell'Alabama e della Georgia, che raggiunse anche i
30.000 membri e rappresentava, dopo i Cherokee, il raggruppamento più importante a sud di New York.
Un ramo della popolazione era rappresentato in Florida dai Seminole. Durante la guerra d'Indipendenza
americana, essi appoggiarono gli inglesi. Dovettero cedere numerose terre agli Stati Uniti e nel 1828 vennero messi
nelle riserve del Territorio Indiano. Costituirono una delle Cinque tribù civili (così chiamate perchè dotate di un sistema di
governo simile a quello statale).
I Creek, che erano agricoltori, abitavano in villaggi spesso situati sulle rive di fiumi o torrenti (in inglese "creeks":
da qui ne deriva il loro nome).
Le abitazioni erano capanne di legno ricoperte di argilla e disposte a rettangolo attorno a uno spazio centrale
riservato alle cerimonie pubbliche, la principale delle quali era il Busk, l'annuale danza del mais verde. Tradizionalmente,
le donne coltivavano il mais, le zucche, i fagioli e altri cereali, mentre gli uomini cacciavano e pescavano. Come molte
altre popolazioni, i creek amavano ricoprirsi di tatuaggi e ornamenti.
Sioux
Altra popolazione conosciuta con un nome storpiato dai francesi.
Questa era un insieme di popolazioni, che a differenza delle lingue si differiva in tre gruppi principali: Lakota (Gli
Uomini) o Teton, i veri e propri Sioux, abitanti le pianure dell'occidente della nazione Sioux; il gruppo più forte e
numeroso. Dakota (o Santee) abitanti ad est della nazione. Nakota (o Yankton e Yanktonai) situati nella zona centrale.
Questi tre gruppi, parlavano dialetti simili del ceppo siouan ed avevano culture affini; anticamente erano divise
in sette tribù costituenti i "Sette Fuochi del Consiglio" (Oceti Sakowin).
Storicamente come Sioux vennero identificati i Lakota, a loro volta divisi in sette sottogruppi (Oyate) o "Genti":
Oglala, Sihasapa (Piedi Neri), Itazipcho, Sichangu, Minneconjou, Hunkpapa e Oohenonpa.
Furono dei valorosi guerrieri e cavalieri; grazie a questo loro valore riuscirono a riportare una importante vittoria:
insieme agli Arapaho e agli Cheyenne sconfissero ed uccisero il generale Custer sul Little Big Horn.
Ma questo gli costò molto caro. Anche loro furono deportati nelle riserve.
Nez Percé
Nome datogli dai francesi e conosciuti in italiano come "Nasi Forati", ma in realtà essi sono i "Numipu"; questo
era il loro vero nome. Popolazione prevalentemente pacifica, viveva di caccia e pesca (salmone), di raccolta, ma
avevano anche un alto senso del commercio, che svilupparono ancor di più con l'utilizzo del cavallo (dai 50 ai 100 cavalli
per ogni uomo). Grazie ad essi poterono spingersi fino alle pianure e praticare la caccia al bisonte e quindi intrecciare
rapporti e contatti con le tribù delle pianure.
Erano organizzati in piccole bande indipendenti, ciascuna con un proprio capo, riconosciuto.
In seguito ci fù una divisione all'interno dei nasi forati in due gruppi: uno fortemente influenzato dai missionari e
dai loro usi e costumi, nonchè religioni.....l'altro gruppo fedele alle proprie tradizioni ma soprattutto alla propria
indipendenza. Quest'ultimi erano contro l'uomo bianco e contro le riserve.
Il loro territorio faceva parte di un'area che attualmente comprende il confine di tre stati: Oregon, Idaho,
Washington.
Vennero relegati nelle riserve dopo la "Lunga Marcia"
Irochesi
Potente confederazione costituita da cinque gruppi: Mohawk, Onondaga, Cayuga, Oneida e Seneca, conosciuta
anche come le Cinque Nazioni. Tra il 1715 e il 1722 venne ammesso anche il gruppo dei Tuscarora, prendendo il nome
di Lega delle sei Nazioni. Della famiglia linguistica irochese (alla quale diedero il nome) e dell'area culturale delle foreste
orientali, abitavano quindi l'attuale stato di New York.
Gli irochesi avevano un'economia agricola, ma erano anche abili nell'artigianato della ceramica, nella
produzione di canestri e stuoie. Di famiglia matriarcale, i clan irochesi avevano dei consigli direttivi, eletti con regole
abbastanza democratiche e i delegati potevano essere espulsi dalle donne del loro clan, se la loro condotta non era
apprezzata. Poiché non esisteva un capo supremo, le decisioni che riguardavano la lega dovevano essere prese
all'unanimità.
Eccellenti guerrieri, furono tra le prime popolazioni a "conoscere" gli europei e di conseguenza le armi da fuoco;
queste conoscenze consentì loro di soggiogare quasi tutte le popolazioni dell'area orientale e della costa atlantica.
Essi evitarono le riserve ed i sanguinosi scontri con i coloni perchè emigrarono in Canada, prima che ciò
avvenne, oppure ne rimasero fuori, in quanto le loro terre erano già state colonizzate, nei secoli precedenti al 1800.
Seminole
Popolo di lingua muscoghiana e dell'area culturale sudorientale, che abitavano le terre paludose della Florida,
mentre una parte della popolazione abitava le terre dell'Oklahoma.
I Seminole facevano parte della confederazione Creek, e si stabilirono in Florida nel XVIII secolo, allora territorio
spagnolo.
Venero raggiunti da altri gruppi indiani, ma soprattutto da schiavi neri fuggiaschi che vennero accolti in totale
libertà, stringendo un forte sodalizio. Furono separati dalla confederazione Creek quando venne tracciato il confine tra gli
Stati Uniti e la Florida.
Oppostisi strenuamente all'esodo forzato imposto dagli Stati Uniti dopo, combatterono le guerre seminole, in
parte vincendole; infatti fu l'unica popolazione che riuscì a non farsi trasferire totalmente nel Territorio Indiano e che
ancora oggi vive nella loro antica terra, anche se costretti in cinque riserve.
Ben diversa andò per i Seminole dell'Oklahoma, che dovettero rinunciare alla quasi totalità delle loro terre.
Araphao
"Popolo del Sentiero del Bisonte" (Kananavich), tribù di lingua algonchina, abitante le Pianure, erano divisi in
due: Arapaho e Hinananeina, tribù del Nord e tribù del Sud. Vissero a stretto contatto i primi con i Sioux, i secondi con i
Cheyenne. Questi contatti influenzarono molto le loro tradizioni e la loro lingua. Con l'introduzione del cavallo divennero
cacciatori di bisonti e praticarono il nomadismo.
Comanche
Popolo di lingua uto-azteca abitava le Grandi Pianure, dominandone una vasta zona. Erano i cavallerizzi più
abili di tutto il popolo indiano, in sella ai loro cavalli preferiti, i pony pinto, che inizialmente predavano agli spagnoli e poi
cominciarono ad allevare. Molto combattivi, facevano frequenti incursioni nei territori degli europei e degli altri indiani,
con un raggio d'azione che arrivava fino al Messico. Nomadi, vivevano principalmente di caccia al bisonte, abitavano
nelle tende tradizionali (Tepee) ed erano organizzati in gruppi patrilineari. Di grande importanza, per la loro religione,
erano le esperienze visionarie, che ricercavano in condizioni di isolamento e privazione. Era credenza comune che gli
spiriti degli animali favorissero alcuni individui e venissero in loro aiuto, e che spiriti protettivi abitassero le rocce e il
tuono.
Modoc
Popolazione di lingua "penutian", viveva tra la California e l'Oregon. Il nome signfica "Meridionali". Furono
agricoltori e cacciatori, nonché intrecciatori di canestri. Il loro territorio fu invaso dopo la scoperta dell'oro, da migliaia di
cercatori d'oro. Opposero una strenua resistenza a questa invasione; vennero sterminati e i 153 sopravvissuti furono
confinati nella riserva del Territorio Indiano.
Piedi Neri (Sioux)
Confederazione di tribù del ceppo linguistico algonchino, vivevano nelle pianure settentrionali tra i fiumi Missouri
e Saskatchewan. Formati da tre gruppi nomadi, i Siksika (Piedi Neri veri e propri), Kainah e Piegan si spostarono alla
ricerca di bufali, nel Montana, dove, acquisito l'uso del cavallo e delle armi da fuoco, giunsero a controllarne un vasto
territorio. Furono esperti cavallerizzi, guerrieri e cacciatori di bisonti, i piedi neri erano spesso in guerra con i vicini Cree,
Crow e coi lo confratelli Sioux. Dai primi del Novecento sono confinati in varie riserve del Canada e in Montana. Essi
vivevano in villaggi di Tepee, che potevano spostare facilmente nei loro trasferimenti. Le numerose bande di cui erano
costituiti si riunivano in estate per cerimonie sociali e religiose. Erano poligami e questo consentiva a un guerriero ricco
di avere molte mogli.