Cristiani in politica

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Cristiani in politica
Giancarlo Grandis
[lezione tenuta alla scuola diocesana di formazione socio-politica il 9 marzo 2013]
La partecipazione dei cristiani alla vita pubblica in quanto cittadini
è attestata fin dai primi secoli della storia della Chiesa. La famosa
Lettera a Diogneto di un antico autore ecclesiastico, citato dal
Catechismo della Chiesa Cattolica, lo testimonia con questa
affermazione: «I cristiani… abitano nella propria patria, ma come pellegrini;
partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono staccati come
stranieri… Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le
leggi… Così eccelso è il posto loro assegnato da Dio, e non è lecito disertarlo»
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2240).
Mettiamo subito in evidenza tuttavia che la partecipazione dei
cristiani alla vita pubblica ha un’estensione più vasta della semplice
partecipazione all’azione politica. Potremo dire che la partecipazione
dei cattolici alla vita politica è una modalità dell’impegno del
cristiano nel mondo, che «in duemila anni di storia si è espresso
seguendo percorso diversi» (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il
comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002).
Nel contesto del nostro tempo e dal punto di vista della
Rivelazione ebraico-cristiana, l’impegno politico dei cattolici va
pensato nell’orizzonte della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) che è
un sistema di pensiero sulla vita sociale e pubblica che la Chiesa ha
elaborato nel tempo, attingendone il contenuto da due fonti: la
Parola di Dio (fides) e l’esperienza umana (ratio) (cfr Gaudium et spes,
46).
Attingendo al dato biblico – che costituisce l’imprescindibile
orizzonte del pensare cristiano – troviamo che Gesù istruisce i suoi
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discepoli a distinguere, vale a dire a non confondere ma anche a non
separare, il piano della relazione con Dio (religioso) e il piano della
relazione con il potere mondano (politico). Inoltre, attraverso due
suggestive immagini, quella del sale e quella della luce, dice loro come
deve essere la loro presenza nel mondo.
Vale la pena richiamare questi due testi che hanno una particolare
pertinenza col tema della nostra riflessione e offrono spunti di
ispirazione sempre attuali.
A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. Il
testo evangelico «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di
Dio» (Mc 12,13-17) è assai noto. È meno noto, invece, il contesto in
cui tale espressione è pronunciata da Gesù, che è assai istruttiva per
la riflessione che andiamo facendo. L’evangelista Marco, prima di
procedere a narrare la passione del Nazareno illustra alcuni conflitti
tra lui e l’aristocrazia sacerdotale e laicale del tempo su temi ben
precisi (la discussione sul divorzio, il dibattito sulla risurrezione,
ecc.). Questo testo – spesso utilizzato per legittimare il potere
politico e la sua autonomia, e la distinzione di ambiti tra Chiesa e
Stato – induce a riflettere sulla presenza nella vita civile del cristiano,
il quale appartiene sia allo Stato come cittadino, verso cui ha precisi
doveri, sia a Dio come credente, al quale, in caso di conflitti di
valori, deve assoluta obbedienza, dando così fondamento
all’obbiezione di coscienza. Di fronte a comandi ingiusti, gli apostoli
non avevano dubbi: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At
5,29).
Sale della terra e luce del mondo. L’espressione voi siete «il sale
della terra e la luce del mondo» (Mt 5, 13-14), Gesù la pronuncia
all’interno del primo grande discorso che va sotto il nome di Discorso
della montagna. Esso contiene il manifesto, la magna charta della vita
cristiana, dove è espressa la dottrina della vera giustizia che consiste in
una vita totalmente orientata a Dio.
Questa espressione evidenzia innanzitutto la grande dignità che
Gesù attribuisce ai suoi discepoli, ma anche la loro grande
responsabilità. Essa è rivolta a tutti i componenti la Chiesa, al popolo
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di Dio nel suo insieme sia chierici che laici. Il Concilio Vaticano II
sottolinea che questo insegnamento di Gesù indica come i laici sono
chiamati ed essere nel mondo. Essi sono «chiamati a rendere presente e
operosa la chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può
diventare sale della terra se non per mezzo loro. Così ogni laico, in virtù dei doni
che gli sono stati fatti, è testimonio e insieme vivo strumento della stessa missione
della Chiesa “secondo la misura del dono del Cristo”» (Ef 4,7) (Lumen
gentium, 33).
Sullo sfondo di questi due riferimenti biblici, vorrei ora sviluppare
la mia riflessione sul tema: I cattolici in politica attraverso la
presentazione di tre importanti profili che mi sembra possano
caratterizzare bene la presenza dei cattolici in politica: 1. Il profilo
identitario: chi è il cattolico, come credente e come cittadino; 2. Il
profilo valoriale: quali sono i principi e i valori che ispirano l’azione
del cattolico in politica; 3. Il profilo strategico: come concretamente
collocarsi nell’attuale panorama politico italiano determinato dalla
presenza dei partiti?
1. L’identità del cattolico come credente e come cittadino.
Una delle tante questioni che toccano la presenza dei cattolici in
politica è la questione della identità. Chi è oggi il cattolico che si
impegna in politica, in questo scenario che – a partire dalla metà
degli anni novanta del secolo scorso con tangentopoli e la fine
dell’unità politica dei cattolici in un unico partito – è radicalmente
mutato? Oggi non è più possibile pensare l’«identità politica» come
semplice «identità partitica». I due termini non possono più essere
considerati equivalenti e intercambiabili.
Una non adeguata riflessione sull’identità del cattolico in politica è
connessa – secondo Giorgio Campanini – con una riflessione sulla
sua irrilevanza e dispersione ovunque del voto cattolico, che «non si
rivolge più in modo preferenziale alle liste e agli uomini che fanno
dichiarata manifestazione di “cattolicesimo”» (CAMPANINI G.,
Editoriale. Cattolici e politica: quale identità?, in http://www.
argomenti2000.it/argomenti/laicita/apl/campaniniAS.pdf), e «pare avulso
da considerazioni valoriali e pienamente “secolarizzato» (FEDELI A. V.
3
“Cattolici e politica”. Ma… quali cattolici? Per quale politica?, in «Iustitia» 4
[2012] 475).
Non intendiamo inoltrarci su questa complessa questione della
identità del cattolico in politica, ma solo proporre qualche riflessione
previa di carattere antropologico nella prospettiva di evidenziare i
presupposti e i valori-base che dovrebbero sostenere e motivare
dall’interno la sua azione.
Partiamo da una semplice considerazione sull’identità della
persona umana. Essa non è univoca ma duale. È allo stesso tempo
una identità individuale e una identità comunionale. Tecnicamente si
dice che la persona è «in sé» (singolarità) e «per sé» (relazionalità).
Semplificando un po’ possiamo dire che l’identità individuale fa
emergere soprattutto la dimensione propria dell’uomo (l’io), mentre
l’identità comunionale più l’aspetto politico (l’essere con, io-tu).
In quanto individuo, unico e irrepetibile, la persona umana è
titolare di valori che possiamo dire pre-politici. La persona viene
prima della società. In quanto essere politico, invece, essa possiede
valori relazionali/sociali, il cui fondamento è nella persona.
Sintetizzando e schematizzando possiamo evidenziare come
l’identità del cattolico presenti tre caratteristiche: è una identità
individuale, una identità politico/sociale, una identità cristiana. Su queste
tre caratteristiche vorrei fare alcune semplici considerazioni sia sul
piano della presenza del cattolico in politica che su quello dei valori
che dovrebbero ispirare la sua azione.
Per quanto concerne la presenza occorre far notare che quella
politico/sociale è di segno diverso delle altre due. Mentre quella
politico/sociale è storica e intramondana (ambito dei mezzi), e quindi si
svolge sul terreno della negoziazione, della mediazione, del
compromesso, ecc., quella individuale e cristiana ha una dimensione
trascendente (ambito dei fini). E proprio per questo essa è portatrice di
valori fondativi che non possono essere oggetto di contrattazione,
perché fondativi, e quindi precedono ogni negoziazione. Per fare un
esempio, valori sociali come la solidarietà, la sussidiarietà, la pace
sono valori importanti, ma che si possono negoziare perché ci sono
molti modi e strategie politiche per realizzarli. Ma di fronte al valore
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della vita, o lo si riconosce o lo non lo si riconosce. Esso infatti più
che un valore è un principio, sul cui riconoscimento si basa e si può
discutere ogni altro valore.
2. Principi e valori che ispirano l’azione del cattolico in
politica. Entriamo allora nel secondo punto della nostra riflessione,
quello dei principi e dei valori che devono ispirare l’azione politica
del cattolico.
Sono due i fari che la illuminano e che costituiscono i capisaldi
della DSC: 1. La centralità della persona; 2. Il “bene comune”. Sulla
base di questi due fondamentali riferimenti viene elaborata tutta una
serie di principi e valori che sono chiamati ad orientare l’azione
sociale e politica.
È su questo terreno che oggi si fa un gran parlare dei valori
“negoziabili” e “non negoziabili”. C’è chi afferma – soprattutto
coloro non hanno una visione trascendente della persona – che tutto
è negoziabile e che in questa libertà totale di negoziazione sta
l’essenza della democrazia. C’è d’altra parte chi afferma, in nome del
valore trascendente della persona – come il pensiero cattolico (ma
non in quanto cattolico ma in quanto antropologico) –, che ogni
negoziazione deve presupporre una piattaforma comune e
riconosciuta da cui partire. Questa è individuata nei cosiddetti
“valori non negoziabili” contenuti nella natura umana. Questo oggi
è un punto delicato e conflittuale nel dibattito politico sui nuovi
diritti che questi valori chiamano in causa. Tali nuovi diritti
implicano più a monte quella che deve essere considerata la vera
questione del contendere, vale a dire la visione dell’uomo che sta alla
base delle varie concezioni e strategie politiche.
Siamo di fronte oggi ad una vera questione ed emergenza
antropologica. C’è chi afferma che è in atto un vero e proprio
cambiamento del paradigma antropologico che finora ha sostenuto
la nostra cultura e la nostra società occidentale. «Di punto in bianco
– afferma il sociologo Luc Boltanski – tali cambiamenti si sono
ritrovati al centro di grandi dibattiti; è parso infatti, e non senza
ragione, che comportassero una riformulazione delle nostre
concezioni dell’appartenenza all’umanità, una rimessa in discussione
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delle dimensioni dell’antropologia prevalente nelle società
occidentali, dimensioni che fino a oggi erano date per scontate»
(BOLTANSKI L. La condizione fetale. Una sociologia della generazione e
dell’aborto, Feltrinelli, Milano 2007, 3).
La questione della presenza dei cattolici in politica non è oggi una
semplice questione di identità e unità partitica, ma di identità e unità
culturale.
Nel convegno ecclesiale di Palermo del 1995, all’indomani della
fine della unità partitica dei cattolici nella DC, Giovanni Paolo II
aveva trattato questo problema auspicando che la diaspora partitica
in atto dei cattolici – ormai irreversibile – non diventasse una
diaspora culturale. E invitava a cercare una nuova unità dei cattolici
affinché non rimanessero emarginati e irrilevanti, ma soprattutto
affinché non venisse a mancare in politica l’apporto di valori che,
prima di essere confessionali, sono valori antropologici e laici.
Alcuni passaggi di quel discorso vale la pena qui richiamare. Il
Papa faceva notare innanzitutto che dal travaglio profondo che il
popolo italiano stava attraversando, insieme ad altre domande, saliva
verso la Chiesa anche «quella di non abdicare mai alla difesa dell’uomo». E
continuava: «In questo dialogo con l’intero Paese ha un ruolo insostituibile la
dottrina sociale cristiana. Essa parla a tutti perché esprime la realtà dell’uomo.
In particolare, essa deve costituire il fondamento e l’impulso per l’impegno sociale
e politico dei credenti. E concludeva: «La Chiesa non deve e non intende
coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto
non esprime preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzionale o
costituzionale, che sia rispettosa dell’autentica democrazia (cf. Centesimus
Annus, 47). Ed ecco il passaggio da evidenziare: «Ma ciò nulla ha a che
fare con una “diaspora” culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o
visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a
forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai
principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita
umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della
giustizia e della pace» (Discorso, 23 novembre 1995).
Questo è il problema: come il cattolico è chiamato ad essere
presente oggi in politica?
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3. I cattolici tra “diaspora politica” e “diaspora culturale”. Di
fronte alle molteplici appartenenze politiche dei cattolici, c’è chi oggi
parla di un pluralismo “diseducato” e “disordinato”.
Dentro questa situazione di smarrimento, il magistero della Chiesa
recentemente ha invitato a guardare avanti e ha auspicato a più
riprese il sorgere di una nuova generazione di politici cattolici per
una presenza nei vari schieramenti non dettata tanto da convenienze
personali o di gruppo secondo il vecchio vizio politico, ma dalla
testimonianza dei valori che si ispirino all’antropologia cristiana e
che hanno nella Rivelazione la loro sorgente.
Lo ha fatto per primo Benedetto XVI in una sua visita a Cagliari,
in un breve passaggio della sua omelia durante la celebrazione
eucaristica sul sagrato del Santuario di Nostra Signora di Bonaria,
che non è passato inosservato e ha avviato nei mass-media una
articolata discussione in merito. Rivolgendosi a Maria, il papa
concludeva dicendo ai presenti, tra cui molti politici: «Vi renda capaci
di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di
una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con
competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile» (Omelia, 7
settembre 2008).
L’auspicio è stato poi più volte ripreso dal Presidente della CEI il
cardinal Bagnasco. Aprendo i lavori del Consiglio permanente della
CEI, così terminava il suo intervento: «Mi avvio alla conclusione,
confidando un sogno, di quelli che si fanno ad occhi aperti, e che dicono una
direzione verso cui preme andare. Mentre incoraggiamo i cattolici impegnati in
politica ad essere sempre coerenti con la fede che include ed eleva ogni istanza e
valore veramente umani, vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una
generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura
odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa
pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e
per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro
giorni. Italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come
decisiva per l’agire politico» (Prolusione, 20 gennaio 2010).
L’impegno politico dei cattolici chiama in causa una questione
diventata assai importante dopo il Concilio Vaticano II, quella della
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vocazione e dell’impegno dei laici nel mondo. Alberto Fedeli,
dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, afferma che dopo l’entusiasmo
iniziale si è assistito ad uno spegnersi progressivo della loro rilevanza
nella società: «A fronte dei fenomeni di secolarizzazione, la Chiesa e
le singole comunità hanno sovente reagito in modo difensivo e
impaurito, chiudendosi al mondo così rendendo irrilevante la
vocazione laicale che si gioca anzitutto nella testimonianza nel
mondo». E denuncia che «ne è conseguita una clericalizzazione
progressiva della comunità cristiana e dei soggetti ecclesiali, laici
compresi, valorizzati solo in funzione di meri esecutori di iniziative
sempre e solo intra-ecclesiali». Non mancano tuttavia «segnali di
un’inversione di tendenza» (FEDELI, “Cattolici e politica”. Ma… quali
cattolici? Per quale politica?, 473-474). Anche se ancora incipiente e
timida essa tuttavia dà bene a sperare. Tale inversione è dovuta
soprattutto alla ripresa dell’ecclesiologia di comunione del Concilio
Vaticano II nella prospettiva della nuova evangelizzazione, rilanciata
dal recente sinodo dei vescovi (La nuova evangelizzazione per la
trasmissione della fede cristiana [7-28 ottobre 2012]). Guardando verso il
futuro, l’auspicio è che i laici possano riprendere il loro ruolo di
mediazione tra ambito politico e ambito ecclesiale, uscendo
dall’anonimato e dall’afonia in cui sono caduti e puntando su una
loro organizzazione.
Ma qui sta il problema. Come pensare l’unità dei cattolici in una
cultura diventata irreversibilmente pluralista e dove i cattolici
operano ormai sparsi in quasi tutti gli schieramenti politici?
Seguendo ancora la riflessione del giurista Fedeli, il pluralismo dei
cattolici ha sempre contraddistinto la loro presenza politica. Anche
quando essi agivano in una unità partitica nella grande area della DC
(soprannominata la Balena Bianca) si potevano riconoscere almeno
quattro aree culturali: cattolico democratico, cattolico intransigente, cattolico
liberale, cattolico sociale.
Oggi si possono individuare nella cultura cattolica almeno tre
modalità di pensare la presenza dei laici nella sfera politica: «una
“cultura della presenza”, che parte dall’evento cristiano proponendolo
nello spazio politico senza mediazioni e senza indulgere al dialogo,
con strategie mondane di egemonia culturale, e non solo; una
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“cultura della mediazione”, che sottolinea invece maggiormente
l’esigenza di dialogo, per agire sul piano politico a partire dalla
mediazione dei valori evangelici in valori umani comuni; una “cultura
del paradosso”, che pone anch’essa la centralità dell’evento cristiano,
ma riconoscendo il valore del dialogo, in un orizzonte più
escatologico, profetico» (FEDELI, “Cattolici e politica”. Ma… quali
cattolici? Per quale politica?, 475).
Vorrei concludere riportando un breve passo del discorso che il
papa emerito Benedetto XVI ha rivolto il 7 maggio di qualche anno
fa (2011) ai rappresentati delle 15 diocesi del Triveneto riuniti in
assemblea per il Secondo convegno di Aquileia, che potrebbe
costituire un buon vademecum sia per i cattolici che desiderano vivere
la loro cittadinanza in coerenza con la propria fede sia per coloro
che più da vicino vogliono vivere l’avventura dell’impegno politico
diretto: «Siete chiamati a vivere con quell’atteggiamento carico di fede che viene
descritto dalla Lettera a Diogneto: non rinnegate nulla del Vangelo in cui
credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel
vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel
Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una
“città” più umana, più giusta e solidale».
Ecco qual è lo scopo ultimo dell’impegno polito dei cattolici: dare
il proprio personale e positivo contributo per costruire una “polis”
più umana, più giusta e solidale. Umanesimo, giustizia, solidarietà
costituiscono tre fondamentali punti di riferimento della loro azione.
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APPENDICE
Il 'Decalogo del Buon politico' di don Luigi Sturzo
1.
È prima regola dell’attività politica essere sincero e onesto. Prometti poco e
realizza quel che hai promesso.
2.
Se ami troppo il denaro, non fare attività politica.
3.
Rifiuta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto
vantaggio politico.
4.
Non ti circondare di adulatori. L’adulazione fa male all’anima, eccita la
vanità e altera la visione della realtà.
5.
Non pensare di essere l’«uomo indispensabile», perché da quel momento
farai molti errori.
6.
È più facile dal no arrivare al sì che dal sì retrocedere al no. Spesso il no è
più utile del sì.
7.
La pazienza dell’uomo politico deve imitare la pazienza che Dio ha con gli
uomini. Non disperare mai.
8.
Dei tuoi collaboratori al governo fai, se possibile, degli amici, mai dei
favoriti.
9.
Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse
vedono le cose da punti di vista concreti, che possono sfuggire agli uomini.
10. Fare ogni sera l’esame di coscienza è buona abitudine anche per l’uomo
politico.
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