Dal CERN alle STELLE 2 - Io Studio al Fermi

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( prof. Luca Torchio )
Come è possibile che l’uomo sia in grado di fare delle affermazioni ad esempio sulla
composizione del nucleo di una stella, sulla sua temperatura oppure sul fatto che solo lì avvengano
le reazioni nucleari da cui deriva l’enorme quantità di energia emessa, senza poter eseguire delle
misurazioni di tali grandezze direttamente? E’ infatti possibile misurare direttamente (non nel senso
metrologico di “misura diretta”!) solo la temperatura superficiale del sole o di una qualsiasi altra
stella e la percentuale dei vari elementi presenti nella “fotosfera” stellare e non nel suo interno.
Le descrizioni della struttura e dell’evoluzione di una stella che si trovano nei testi di scienze
naturali o astronomia divulgativa traggono la loro origine da “modelli teorici” di struttura o di
evoluzione di una stella. Ma dove sono stati “pescati” dai fisici e qual è il loro grado di affidabilità?
Facciamo un passo indietro: cos’è un modello?
Si potrebbe definire modello una “rappresentazione della realtà” che descrive un singolo
oggetto o fenomeno oppure una ristretta cerchia di fenomeni. Sicuramente il modello avrà
validità solo se “usato” correttamente ossia se applicato all’oggetto che descrive; ad esempio un
modello del sole sarà completamente inadatto a descrivere un altro tipo di stella.
Inoltre nell’ambito di una teoria più generale, ossia di una rappresentazione di una vasta classe di
fenomeni che si basa su di uno stesso presupposto (ad es. sul fatto che la riserva energetica delle
stelle è di natura nucleare), ci possono essere modelli differenti, anche in contrapposizione tra di
loro, che descrivono un singolo oggetto. Per esempio, nell’ambito della teoria dell’evoluzione
stellare esistono più modelli che possono descrivere la struttura di una stella “gigante rossa”: questi
modelli possono interpretare dati osservativi di varia natura e possono risultare parzialmente o
addirittura completamente in contraddizione. Un certo modello potrebbe render conto del flusso di
neutrini osservato ma non essere in grado di giustificare come questo sia in relazione con le
variazioni di luminosità che presenta un certo tipo di stella.
Quale valore di verità possiamo allora attribuire a questi modelli?
Per rispondere a questa domanda occorre capire come questi modelli vengono formulati e
sulla base di quali riscontri sperimentali. Possiamo però dire fin d’ora che, se nell’ambito di una
teoria i vari modelli ben si adattano a più dati osservativi e sono pochi gli aspetti contraddittori
allora possiamo concludere che l’affidabilità di questi modelli è alta e viceversa.
Precisiamo che questo metodo di procedere, tipico delle scienze sperimentali, è quello che viene
definito metodo induttivo sperimentale e che, nonostante tutti i suoi limiti, è il migliore in nostro
possesso quando si voglia indagare la natura in quanto:
1°) da un lato ha permesso di ottenere un numero elevatissimo di successi nel senso di applicazioni
pratiche derivanti da rappresentazioni della realtà sempre più “verosimili”: pensiamo allo sviluppo
della tecnologia della macchine a vapore a partire da una corretta interpretazione delle grandezze
calore e temperatura.
2°) d’altro lato, tutte le volte che si è allontanato da questo metodo, l’uomo è incappato in clamorosi
inconvenienti che in qualche caso sono costati moltissimo anche in termini di vite umane.
A questo proposito ci si potrebbe collegare al vasto tema riguardante le cosiddette pseudoscienze.
(Sarebbe pure interessante partire alla ricerca di tutti i risultati sbagliati, ma presentati come veri da
alcuni degli stessi scienziati che, a partire da Galileo in poi, hanno gettato le basi del metodo
sperimentale!).
E veniamo finalmente alla costruzione dei modelli; come ho già detto, queste “teorie in
miniatura” devono render conto dei dati osservativi ricavabili dalla stella stessa (es. la potenza
d’irraggiamento, temperature e composizioni superficiali, flusso di neutrini, ecc. ecc.) e al tempo
stesso trovano o meno conferma proprio dal confronto tra valori previsti e valori misurati.
Vogliamo ora approfondire come sia possibile affermare che nel sole avvengano proprio
determinate reazioni nucleari e non altre.
Nei laboratori di ricerca in fisica delle particelle elementari come quelli del C.E.R.N. di Ginevra o
dell’INFN di Trieste si riproducono reazioni nucleari fornendo grandi quantità di energia alle
particelle elementari che si desidera studiare: questo avviene accelerandole all’interno dei cosiddetti
particelle elementari che si desidera studiare: questo avviene accelerandole all’interno dei cosiddetti
acceleratori di particelle e facendole scontrare contro bersagli fissi (target) oppure facendo collidere
tra loro due fasci opposti. In queste condizioni è possibile valutare con margini d’incertezza
apprezzabili il numero degli oggetti che “partecipano” ad una certa reazione, le loro velocità
relative ed il numero di reazioni di un certo tipo che avvengono a seguito dell’urto.
Si definisce tasso di reazione nucleare il numero di reazioni che avvengono al secondo in un cm3:
r A+ B→C + D =
numero di reazioni
cm 3 * s
Sperimentalmente risulta che r è direttamente proporzionale a:
NA: numero di nuclei A per cm3 del fascio incidente:
NB: numero di nuclei B per cm3 del target o del secondo fascio;
v : velocità relativa dei nuclei A rispetto ai nuclei B.
r sarà quindi uguale al prodotto di queste tre grandezze per un coefficiente di proporzionalità,
chiamato “sezione d’urto” e indicato con σ:
bbRA+B→C+D = NA*NB*v*σbb
-24
2
dalla formula risulta: [σ]=[L2]; si misura in cm2 ma si usa solitamente il Barn = 10 cm .
Misurando dunque queste tre grandezze e conteggiando il numero di reazioni avvenute otteniamo
un valore sperimentale della sezione d’urto σ pari a r/( NA*NB*v).
Dalle misure di laboratorio risulta che in realtà σ non è costante ma dipende dalle velocità v dei
“proiettili”: σ = σ(v) e quindi, all’interno delle stelle, dipenderà dalla temperatura.
Il dato sperimentale più evidente è il seguente: a parità di temperature σ delle reazioni di fusione
diminuisce all’aumentare del numero di massa A (protoni+neutroni) dei reagenti: c’era da aspettarselo!
Bastava osservare la curva del ∆E/A in funzione di Z. Per Z>56 σ è praticamente nullo.
Questo ci dice che il ciclo p-p [Bethe 1938]è molto più probabile del ciclo C-N-O [Bethe – Von
Weizsäcker1 1938] a temperature non troppo elevate e che una volta ottenuti due nuclei di deuterio
sarà molto improbabile che essi si fondano direttamente insieme a formare l’elio 4; le reazioni più
probabili sono le seguenti:
reazioni
tempi di dimezzamento
1
1
2
+
1°) 1H + 1H = 1D +β + ν
τ = 1010 anni
(N.B.: D = deuterio = 1H2)
3
2°) 1H1 + 1D2 = 2He + γ
τ = 5,6 secondi!
La seconda reazione è dunque la favorita e permette un accumulo di elio 3 che può dare origine alle
seguenti reazioni (nelle seguenti formule sarà indicato il nucleo dell’idrogeno 1H1 con il simbolo p):
3
3
4
3
4
7
3°) 2He + 2He = 2He + 2p
4°) 2He + 2He = 4Be + γ
-
7
a questo è ugualmente probabile la cattura di un e o di un p da parte del 4Be ; in entrambe i casi si
8
arriva a sintetizzare un “fantasma”: il 4Be !
-6
Il Berilio 8 ha infatti una vita media di soli 10 secondi!! Ma questo tempo è sufficiente a rendere
8
12*
possibile la reazione: 4Be + α = C .
1
Autore del modello nucleare descritto dalla “formula semiempirica delle masse” che descrive la curva di ∆E/A
Osservazione: in realtà l’esistenza pur infinitesima nel tempo del 4Be8 non è sufficiente a
garantire da sola la formazione del C12: occorre ipotizzare l’esistenza di un particolare stato
eccitato di questo C12 nel quale possono trasformarsi le coppie 4Be8 + α: l’esistenza di questo stato
fu dimostrata dall’astrofisico Fred Hoyle con calcoli basati sulla teoria quantistica del nucleo.
12
Quando il 10÷15% del He4 si è trasformato in C12 diventa probabile la reazione C + α = O16 + γ
(lo sappiamo dalle misure di r per questa reazione); inoltre per temperature dell’ordine di dieci
milioni di gradi (107°K) quali quelle stimate nella fase di vita di “gigante rossa” il ciclo p-p viene
affiancato dalla presenza delle reazioni di ciclo CNO e dunque aumenta l’efficienza nella
produzione di particelle alfa. Così tramite successive “catture α” (ad opera dell’O16 e del N14
accumulato con il ciclo CNO) e decadimenti β+ si viene a formare il 10Ne22.
N.B.: il fatto che questo queste reazioni possano avvenire alla stessa temperatura delle precedenti,
nonostante l’aumento della repulsione elettrica, ci dice che entrano in gioco questioni nucleari, di
natura quantistica, indipendenti da Z. Vedi a tal proposito il grafico sperimentale della σ(C12 + α
→ O16 + γ) in funzione delle Energie (misurate in Mev) in fig.3 a fondo pagina.
A questo punto capita qualcosa di inaspettato che però è fondamentale per spiegare la sintesi,
all’interno delle stelle degli elementi pesanti ossia quelli per cui Z>56: oltre questa soglia le
reazioni di fusione sono “proibite” dalla legge ∆E/A perché sottraggono energia invece di fornirla.
Quando e solo quando la temperatura del “core” supera i trecento milioni di gradi (T>3*108) le
particelle α hanno l’energia sufficiente per vincere la repulsione colombiana (=elettrica) per essere
assorbite dal nucleo di Neon 22. Chi ce lo garantisce? Ovviamente i risultati sperimentali che
evidenziano che σ(v) aumenta con le velocità e dunque con le temperature.
Il Neon 22 reagendo con un’α ha il 50% di probabilità di formare il Magnesio26 ed il restante 50%
di formare Magnesio25 più un neutrone:
22
c10Ne
25
+ α = M G + 0 n1 c
In base alle misure delle sezioni d’urto delle reazioni di cattura dei neutroni effettuate in
laboratorio risulta che circa l’80% dei neutroni sono catturati dal magnesio 25 e vanno a
formare magnesio 26! Solo il restante 20% di neutroni rimane a disposizione per essere
catturato dall’eventuale ferro presente nel nucleo della stella, ma questo è sufficiente per
spiegare la formazione degli elementi pesanti in misura tale da ottenerne l’abbondanza
effettivamente stimata nell’universo!!!
Detto per inciso, faccio notare che è stata proprio l’astrofisica negli ultimi anni, a dare un
impulso fondamentale alla ricerca di base sulle sezioni d’urto, iniziata con le prime ricerche sulla
fissione nucleare: pensate che l’attuale valore riconosciuto per la σn(Ne22) è di sei centesimi del
valore stimato negli anni ’60!
In effetti i risultati sperimentali garantiscono che la cattura dei neutroni ad opera di nuclei pesanti è
favorita al crescere di A e soprattutto al diminuire della velocità v dei neutroni stessi: questo
permette che la cattura sia possibile senza che siano necessari ulteriori aumenti di temperatura.
In fig.2,3 sono presentati gli andamenti della sezione d’urto σn della cattura dei neutroni al variare
di A e di v:
σn(A) mB
σ (E) mB
σn(v) mB
0,4
100
10
56
150
fig.1
v
A
fig.2
0,5
fig.3
E(MeV)
Dalla formula del tasso di reazione nucleare si nota che, per poterlo determinare e dunque capire se
avviene una certa reazione piuttosto che un’altra, è necessario conoscere oltre che σ (misurata in
laboratorio insieme ai valori NA e NB dell’esperimento che si considera) anche NA ed NB del nucleo
della stella! Come possiamo determinarli? Come al solito sulla base di un modello teorico fondato
sui seguenti dati osservativi:
1°) Si può misurare l’abbondanza attuale dell’elemento più diffuso nell’universo ossia l’idrogeno.
2°) L’idrogeno costituisce l’elemento principale delle cosiddette nebulose nelle quali sono stati
osservati degli oggetti che ben si prestano ad esser interpretati come “protostelle”.
3°) Le reazioni che interessano l’idrogeno tendono a farne diminuire l’abbondanza.
4°) Nelle atmosfere di alcune stelle, molto massicce (le giganti blu) non si trova traccia di elementi
pesanti, dunque è verosimile pensare che in una fase iniziale dell’universo tutte le stelle
“bruciassero” solo idrogeno ed alcune di esse, le più massicce, attraversino ancora oggi questa
fase di vita non avendo esaurito il combustibile.
Direi che ne abbiamo a sufficienza per impostare un modello matematico che descriva un
sistema termodinamico formato inizialmente solo da idrogeno; il sistema si mantiene in equilibrio
grazie al bilanciamento della forza di gravità che da sola tenderebbe a far contrarre il sistema su se
stesso (si dice “implodere”) e la forza di pressione dovuta all’energia liberata nel nucleo dalle
reazioni nucleari. Mescoliamo saggiamente questi ingredienti con quattro secoli di conoscenze sulla
gravità, sulla meccanica dei sistemi continui e con due secoli di termodinamica ed otteniamo su un
piatto d’argento un bel modello di stella (di prima generazione) che ci fornisce la composizione
percentuale del suo “core”: a questo punto dalle misure di σ e dal calcolo di r possiamo sapere dopo
quanto tempo la inizierà la combustione dell’elio e via di questo passo…
Aah… dimenticavo di aggiungere il lievito: una spruzzatina di fisica quantistica e di fisica dei
plasmi renderà più appetibile il nostro modello come abbiamo assaporato sopra…infatti, nelle
condizioni fisiche del sistema descritto dal modello, gli atomi sono completamente ionizzati e
dunque non sarebbe molto furbo continuare a cucinare utilizzando l’equazione dei gas perfetti che
comunque ci ha permesso di sfornare ottimi piatti.
Tornando seri, per un attimino, diciamo che questi modelli prevedono, a seconda della massa
iniziale della stella, una diversa durata ed un differente tipo di “morte”: per stelle di massa superiore
a ≈ 1,4 masse solari (limite di Chandrasekar) l’esistenza (come “stella”) si conclude con una
esplosione (Supernova) che libera nello spazio interstellare una certa quantità di elementi pesanti;
dalla “condensazione” di questi gas interstellari nasceranno altre stelle, che verranno chiamate di
seconda generazione (tra di esse il nostro Sole), la cui composizione comprenderà, fin dall’inizio,
gli elementi pesanti.
E lì, giù a cucinare altri modelli!!!
Dimenticavo: su testi differenti è possibile riscontrare valori sensibilmente differenti relativi alle
temperature, alle sezioni d’urto, ecc. ma questo è ovvio: misure più precise e nuove conoscenze
“fisiche” arricchiscono i modelli; e poi si sa: la cucina è un’arte ed ogni cuoco non vuole rivelare i
suoi segreti…
Mi sembra importante però far notare che solo utilizzando un modello che si rifà ai gas perfetti è
possibile con le conoscenze matematiche liceali (se ce ne fosse il tempo!) descrivere in modo
rigoroso e ben più approfondito di quanto illustrato in queste poche righe, le varie fasi di vita di una
stella e dunque il variare della sua posizione sul mitico “diagramma HR”.
Eccovi in conclusione un tipico grafico delle abbondanze percentuali di H, He,…in funzione tempo.
PPPPP
X%
H1
He4
C12
O16
tempo
Approfondimento:
Astrofisica nucleare con “LUNA” ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso
di: Pietro Corvisiero (INFN – Genova)
A partire dai lavori fondamentali di Eddington del 1920 molti studi sono stati dedicati ai
meccanismi che regolano l`evoluzione delle stelle: le ricerche compiute in questa direzione
hanno consentito di chiarire gli aspetti principali di tali meccanismi. Tuttavia, nonostante
questo notevole sforzo sperimentale e teorico, molte questioni rimangono tutt`oggi senza
una chiara risposta: ad esempio, il problema dei neutrini solari, lo svolgersi delle fasi finale
dell`evoluzione delle stelle, la nucleosintesi, ecc. Queste, come è ben noto, non sono
ricerche di esclusiva pertinenza dell`astrofisica ma sono di grande importanza anche per
altri capitoli dalla fisica: basti pensare all`importanza che riveste il problema dei neutrini (la
loro massa ad esempio) per la fisica delle particelle elementari. Il metodo di ricerca
universalmente usato per la conferma dei modelli d`evoluzione stellare è fondato sullo
studio delle velocità con cui avvengono le reazioni nucleari nel corso della vita delle stelle
e, quindi, sullo studio delle sezioni d`urto delle suddette reazioni. La Fig. 1 mostra
l`insieme delle reazioni della catena protone-protone, responsabili della produzione del
98.5 % dell`energia nel Sole: il risultato netto è la trasformazione di 4 protoni in un nucleo
di elio e la associata produzione di energia nucleare.
Al fine di determinare le sezioni d`urto di tali processi si cerca di riprodurre in laboratorio le
condizioni nelle quali le reazioni avvengono nelle stelle: per una temperatura di 15 milioni
di gradi, tipica del nostro Sole, l`energia cinetica media della particelle che compongono il
plasma stellare è di qualche keV. D`altra parte, la barriera coulombiana repulsiva tra due
nuclei leggeri è dell`ordine del MeV, quindi mille volte più elevata: le reazioni di fusione
nelle stelle (e in laboratorio) procedono quindi solo tramite effetto tunnel, un processo la
cui probabilità decresce esponenzialmente al decrescere dell`energia. Tipicamente la
sezione d`urto ad energie dell`ordine della decina di keV è compresa tra pochi femtobarn
e qualche picobarn. Per questo motivo la misura delle sezioni d`urto, fino a non molto
tempo addietro, è stata eseguita ad energie ben maggiori (dove la sezione d`urto è 4-5
ordini di grandezza più elevata) di quelle caratteristiche delle fusioni stellari. Per ottenere
poi le sezioni d`urto a poche decine di keV, si è sistematicamente fatto ricorso alla
procedura di estendere con continuità alle basse energie i risultati ottenuti a più alte
energie: in questo modo si sono introdotte incertezze non quantificabili, dovute al modello
di estrapolazione di volta in volta usato. Rispetto agli attuali grandi progetti di fisica
nucleare e fisica delle particelle elementari, che guardano con interesse alla costruzione di
costosissimi acceleratori di particelle con energie sempre più elevate, l`astrofisica nucleare
ha il problema opposto: quello di riuscire a studiare reazioni nucleari in un intervallo di
energie bassissime. Si tratta di misure estremamente raffinate, spesso al limite delle
possibilità tecnologiche. La maggiore difficoltà nel ripetere le reazioni in laboratorio risiede
proprio nella impossibilità di poter usufruire di fasci e bersagli con luminosità anche
lontanamente confrontabili con quelle tipiche dei processi stellari.
Il progredire delle tecniche sperimentali ha consentito di avvicinarsi sempre più alle
energie proprie delle fusioni stellari. I maggiori progressi in questa direzione sono stati
compiuti con gli esperimenti eseguiti nell`ambito del progetto L.U.N.A. (Laboratory for
Underground Nuclear Astrophysics), che hanno consentito di effettuare per la prima
volta una misura diretta della sezione d`urto di una reazione di fusione alle energie tipiche
dei processi stellari. Questo è stato reso possibile grazie alla schermatura naturale di 1.5
km di roccia offerta dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) che attenua di ben sei
ordini di grandezza il flusso di raggi cosmici e rende possibili misure di reazioni il cui rateo
di conteggi è di soli pochi eventi al mese! La collaborazione LUNA ha costruito ed
installato nei laboratori sotterranei un piccolo acceleratore per ioni leggeri, in grado di
produrre fasci di protoni, 3He, 4He di energia massima di 50 keV con correnti dell`ordine
del milliampere. L`acceleratore è equipaggiato con un bersaglio gassoso a pompaggio
differenziale, realizzato quindi senza finestre direttamente nella linea di vuoto
dell`acceleratore. Tale apparecchiatura ha consentito di misurare per la prima volta la
sezione d`urto della reazione
3
He +3He
4
He + 2p
(una delle reazioni fondamentali per il problema dei neutrini solari) alle energie tipiche
delle stelle: l`intervallo energetico esplorato è compreso tra i 16.5 keV ed i 25 keV nel
centro di massa, corrispondente al picco di Gamow, cioè all`energia alla quale avvengono
le reazioni all`interno del Sole. Tale reazione riveste un ruolo importantissimo nella catena
p-p, anche in relazione al problema dei neutrini solari: a questo proposito le misure dirette
di LUNA hanno definitivamente escluso la presenza (prevista in diversi lavori teorici) di
una ipotetica risonanza in questo canale, che avrebbe avuto importanti implicazioni sui
modelli solari. I risultati della misura sono riportati in Fig. 3. Come consuetudine in campo
astrofisico, al posto delle sezioni d`urto viene riportato il fattore astrofisico S(E), ottenuto
depurando la sezione d`urto dal fattore esponenziale, che rappresenta la semplice
penetrazione di barriera e che varia rapidamente con l`energia. Il fattore astrofisico S(E)
rappresenta perciò il puro contributo nucleare dell`interazione. Da notare che per la prima
volta il fattore astrofisico è stato misurato in corrispondenza del picco di Gamow: non è più
necessaria alcuna estrapolazione. Il punto a più bassa energia (un solo conteggio) è stato
ottenuto in un tempo di misura di quasi tre mesi: durante questo periodo energia, corrente,
pressione del bersaglio, ecc. ecc., sono stati continuamente ed automaticamente
monitorati. Il sistema di rivelazione consisteva di otto silici in geometria quasi 4π
π
posizionati all`interno del bersaglio gassoso ed il trigger di acquisizione era costituito da
una coincidenza tra i due protoni dello stato finale osservati in due rivelatori differenti. Il
fondo misurato sui rivelatori è virtualmente zero: in più misure effettuate in varie riprese ed
in tempi diversi, assommanti ad un tempo totale di svariati mesi, non si è mai osservato
alcun conteggio di fondo nella zona energetica di interesse.
Dopo il successo riportato in questa fase pilota, la linea di ricerca di astrofisica nucleare
continuerà nei prossimi anni: nel 2000 è stato installato presso i LNGS un nuovo
acceleratore più moderno per misurare altre importanti reazioni della catena protoneprotone e del ciclo CNO e per aumentare così il grado di conoscenza delle reazioni di
fusione del ciclo di combustione dell`idrogeno nelle stelle. In particolare sono in
programma le misure dirette delle seguenti reazioni: 3He(4He,γ)7Be e 7Be(p,γ)8B
relativamente alla catena p-p, e 14N(p,γ)15O del ciclo CNO ad energie finora mai
raggiunte. Contemporaneamente, sempre sfruttando l`eccezionale protezione dei
laboratori sotterranei, LUNA studierà un altro effetto importantissimo che influenza i ratei di
reazione nelle stelle: l`effetto dello schermo elettronico sulle reazioni di fusione
molecolare. Anche in questo caso infatti bisogna scendere con l`energia di interazione fino
a pochi keV e quindi dove le sezioni d`urto sono estremamente basse.
Autore: Pietro Corvisiero – Università e Sezione INFN di Genova
A cura dell` Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
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