La donna nell’Islam
Diritti delle donne islamiche
La donna nel Corano
La famiglia nell’Islam
Donne "senza volto"?
Un problema aperto: mutilazioni genitali femminili
Voci di donne
Per approfondire
Diritti delle donne islamiche
Il tema dei diritti delle donne nell’Islam è al centro di accesi dibattiti e di giudizi estremamente contrastanti.
Da un lato, molti osservatori sostengono che non è facile parlare di "diritti" delle donne islamiche dal
momento che la maggior parte di esse sono private delle più elementari norme civili : "Dalla minore libertà di
spostamento alla minore libertà d'espressione, di parola, di saluto; minore possibilità di
avanzare negli studi o nella carriera e di rivestire cariche o ruoli di responsabilità in
ambito civile o religioso; quasi nessuna possibilità di partecipare alla vita politica o di
venire eletta; scarsa possibilità di decidere il proprio destino o quello dei propri figli;
sottomissione all'uomo, da cui può venire ripudiata (e non viceversa); convivenza con
altre mogli scelte dall'uomo; obbligo, in molti paesi, di coprire il proprio corpo e spesso
anche il viso; imposizione, in molti paesi, dell'infibulazione e dell'escissione; frequenti
gravidanze non scelte liberamente, ma imposte dal marito.
La condizione della donna nell'Islam varia molto da nazione a nazione. In quegli Stati ove
le leggi del Corano sono applicate più rigidamente, le donne vivono in minori condizioni di
libertà rispetto all'uomo, e spesso sono poste su un gradino inferiore. Esse però non
sempre avvertono come ingiustizia la diversità della loro condizione, ricevuta come abitudine culturale. Ma
anche se l'avvertissero come ingiustizia, non sempre sono in grado con le proprie forze di modificare la
propria situazione". (vedi Encanta)
Dall’altro, la cultura islamica sostiene che le donne accedono a specifici diritti sociali: "La donna, come
l'uomo, è un entità indipendente e quindi un soggetto umano pienamente responsabile delle sue scelte e
delle sue azioni. Inoltre i doveri previsti dalla Shari'a, la legge islamica, sono gli stessi tra gli uomini e le
donne.
Inoltre la donna costituisce persona giuridica a sé, a prescindere dal marito, dal padre o da qualsiasi parente
maschio tant'è vero che può scegliere di diventare musulmana a prescindere dalla fede dei suoi parenti più
prossimi Ma ha anche la possibilità di scegliere autonomamente se accettare un matrimonio o meno, e se
non vi è l'assenso della donna il matrimonio non può essere considerato valido.
La donna ha diritto ad una sua propria proprietà privata, che non è tenuta a condividere con nessuno. La
dote che l'uomo versa a la donna viene a far parte proprio di questa sua proprietà va investita nei suoi
bisogni personali e non va investita nelle esigenze della famiglia, che devono essere sostenute dall'uomo, ma
alle quali la donna può decidere spontaneamente, e in accordo con il marito, di parteciparvi anche con una
sua attività lavorativa fuori dalle mura domestiche".
La donna nel Corano
Nel Corano, testo sacro della religione islamica, molteplici sono i riferimenti nei confronti della donna nei suoi
aspetti spirituali, in quelli sociali e in quelli economici; secondo l’interpretazione che viene data da alcuni
studiosi del testo sacro del Corano, la donna è considerata pari all’uomo, gode di molteplici diritti, deve
essere rispettata ed amata. In una sorta di concezione "stilnovistica" è l’ancella – tramite, attraverso la quale
è possibile "elevarsi" a Dio.
" Chiunque - sia esso maschio o femmina - faccia delle opere buone, ed abbia fede, in verità a costui Noi
daremo una nuova vita che sia buona e pura, ed elargiremo a tali individui la loro ricompensa in base alle
loro azioni. (Corano 16:97, vedere anche 4:124). Il Corano indica chiaramente che il matrimonio è
condivisione tra le due metà della società, e che i suoi obiettivi, oltre al perpetuarsi della vita umana, sono il
benessere emotivo e l'armonia spirituale. Le sue basi sono l'amore e la misericordia. "E tra i Suoi segni vi è
questo: Che Egli creò compagne per voi da tra di voi in cui possiate trovare riposo, pace mentale in esse, ed
Egli ordinò tra voi amore e misericordia. Ecco, qui vi sono invero segni per le persone che riflettono."
(Corano 30:21)."
Maggiori approfondimenti sul testo del Corano e sul modo in cui è venuto e viene interpretato nei confronti
della donna si possono trovare:
La famiglia nell’Islam
Il diritto di famiglia non segue i percorsi della legislazione civile ma affonda le radici nel diritto sacro
dell’Islam, la Shari’a, riformulata in codici e leggi dai diversi stati Arabi durante l’ultimo secolo.
Per il diritto musulmano il matrimonio è un contratto. L’Islam non conosce il concetto teologico di
sacramento caratteristico del Cristianesimo.
"Il matrimonio musulmano è essenzialmente un contratto consensuale. La nozione di sacramento è estranea
all’islam, anche se ciò non significa che il matrimonio sia una realtà esclusivamente profana. Il matrimonio
può essere sciolto per iniziativa di uno dei coniugi oppure consensualmente e l’analisi delle cause di
scioglimento (ed anche di nullità) evidenza un’attenzione alla effettiva vitalità del rapporto coniugale in
termini che presentano qualche punto di contatto con i principi sottesi alla disciplina del divorzio attualmente
vigenti in molti Paesi occidentali". (Cfr. per maggiori approfondimenti: Ferrari Silvio, La pluralità dei
matrimoni dal punto di vista religioso (cristianesimo, ebraismo, islam), in Donati Pierpaolo (a cura di),
Identità e varietà dell’essere famiglia. Il fenomeno della "pluralizzazione", Settimo rapporto
Cisf in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, pp. 309 – 349).
"Come ogni altro contratto, il matrimonio è concluso con il consenso delle parti contrattanti. Le parti del
contratto non coincidono però necessariamente con gli sposi. Occorre considerare che, secondo la sharî‘a,
ogni persona può essere titolare del rapporto matrimoniale, anche il bambino appena nato. Se l’individuo, a
causa dell’età immatura, non è in grado di decidere e di concludere il matrimonio, qualcuno lo farà per lui: il
tutore matrimoniale (walî), che normalmente è il padre. Nei matrimoni precoci la volontà matrimoniale è del
tutore, che quindi esercita il potere di costrizione matrimoniale (ijbâr). Tale potere cessa quando l’individuo
ad esso sottoposto raggiunge la pubertà. Fa eccezione, secondo i malikiti, la donna vergine. La verginità, allo
stesso modo della giovane età, implica poca conoscenza della vita, e giustifica il prolungarsi del potere di
costrizione del tutore…Le parti possono apporre al contratto clausole e stipulazioni dirette a modificarne gli
effetti tipici, purché non contrastanti con i principi irrinunciabili che lo reggono. Tale opinione,
tradizionalmente riferibile alla sola scuola h³anbalita, è oggi recepita da tutti i legislatori. È quindi possibile
che la moglie pretenda dal marito l’impegno di non trasferire il domicilio coniugale dalla città di origine, di
permetterle di esercitare una professione o di partecipare alla vita pubblica, di non chiederle di seguirlo nei
suoi viaggi. Il marito può inoltre promettere di non sposare un’altra donna (clausola di
monogamia), o può dare alla donna mandato di autoripudiarsi. Alcuni suggeriscono che
tramite l’apposizione di una clausola gli sposi possano decidere la comunione degli
acquisti, in deroga al regime patrimoniale normale che è quello della perfetta separazione
dei patrimoni dei coniugi. Nei matrimoni misti, accordi particolari circa l’educazione
religiosa dei figli, in contrasto con il principio per cui i figli devono essere educati nella
religione paterna, sono destinati a essere considerati nulli…La vita coniugale che trae vita
dal matrimonio è segnata dalla preminenza dell’uomo: la donna deve mettersi a sua
disposizione e prestargli obbedienza. Il corrispettivo di tale quotidiana sottomissione è il
mantenimento che l’uomo versa alla moglie, indipendentemente dalla condizione di
bisogno di lei: esso comprende il vitto, l’alloggio, il vestiario, le spese mediche e il servizio.
L’insubordinazione ingiustificata della donna determina la sospensione del mantenimento. Il mantenimento è
dovuto per tutto il tempo che la donna resta nella potestà dell’uomo, cioè fino alla fine del ritiro legale (‘idda)
che segue lo scioglimento del matrimonio per morte, ripudio o divorzio. Il ritiro legale permette di accertare
l’eventuale gravidanza della donna; esso dura generalmente tre mesi, dopo i quali il marito non ha più alcun
obbligo nei confronti della moglie. Dopo lo scioglimento del matrimonio, la donna che non ha redditi propri
resta a carico della famiglia di origine o dei figli.
Famiglia e matrimonio nell’Islam
Per quel che concerne l’educazione dei figli vige una netta distinzione dei ruoli educativi paterni e materni. E’
il padre in prima persona a prendere le decisioni relative all’educazione della prole: "Al padre spetta in
esclusiva il potere di prendere le decisioni relative all’educazione del figlio, alla sua istruzione, all’avviamento
al lavoro, al matrimonio e all’amministrazione dei suoi beni. Egli è il rappresentante legale del minore. Tutti
questi sono aspetti particolari della wila\ya, la potestà paterna. In assenza del padre, il posto è preso da un
agnato o dal tutore nominato nel testamento (was³i\). Se mancano sia gli agnati sia il tutore testamentario,
il giudice provvede alla nomina di un rappresentante del minore (muqaddam). La madre deve invece
custodire, sorvegliare e curare il figlio: ciò costituisce il contenuto della h³ad³a\na, o custodia del bambino.
La custodia è considerata un compito squisitamente femminile: in caso di assenza o incapacità della madre,
è una parente femmina, generalmente del lato materno, a sostituirla".
Il messaggero dell’Islam, La famiglia nell’Islam, in "Donna e società", n.84, sett.-dic. 1987, pp. 134-138
Donne "senza volto"?
Anche per quel che riguarda l’usanza di coprirsi il volto, tipica dei Paesi musulmani si riscontrano diversi
punti di vista tra loro anche contraddittori. Da un lato il volto coperto è legato alla tradizione, un’antica
usanza che viene mantenuta e che si è consolidata in numerosi paesi orientali; dall’altro è visto quale
ulteriore limitazione alla liberà femminile, simbolo di repressione da parte di un mondo e di un tipo di cultura
prettamente maschilista.
Il recente film "Viaggio a Kandahar" opera del regista iraniano Mohsen Makhamlbaf, con maestria e poesia
ha indagato questo aspetto della cultura e della società afgana attraverso il racconto del viaggio che la
protagonista compie ritornando in Afghanistan, sua terra d’origine.
Secondo la studiosa Leila Ahmedfu nell'era degli Abbasidi inizia, in Medio Oriente, la compravendita delle
donne come merce e oggetti d'uso sessuale. Da allora le donne sono considerate esclusivamente come
esseri sessuati. Qualsiasi cosa facciano sono in primo luogo e soprattutto corpi seducenti.
Il volto nascosto
Il velo, con tutte le sue forme diffuse nel mondo musulmano (haïk nella tradizione algerina, chador in quella
iraniana, burqa in quella del subcontinente indiano) non è stato introdotto dall'islam, ma ripreso dalla
tradizione bizantina, per diventare il simbolo della condizione economica del padrone di casa che poteva
tenere moglie e figlie a casa, proteggendo l'onore della famiglia. È soltanto nel corso del 1900 che il velo
diventa centrale nella questione della condizione femminile nell'islam: nel 1923 Huda Shaarawi, la prima
femminista egiziana, in un atto audace, si toglie il velo nella stazione ferroviaria del Cairo; nel 1936 Reza
Khan, padre dell'ultimo shah di Persia, vieta il velo nel tentativo di modernizzare ed occidentalizzare il
paese; nel 1947 il sultano Muhammad V invita sua figlia a togliersi il velo in pubblico. Negli anni della
guerra di liberazione in Algeria le donne rivendicano l'uso del velo come affermazione della loro identità
araba e musulmana. I movimenti integralisti vedono nel velo una questione di importanza ideologica e di
ordine pubblico, garantito soltanto se le donne sono nascoste, invisibili e intoccabili e di questo le donne
afgane sono diventate un tragico emblema.
Donne senza volto
Per maggiori approfondimenti
Un problema aperto: mutilazioni genitali femminili
Si tratta di una pratica tradizionale tipica di alcune popolazioni africane che impone di asportare (escissione)
o mutilare (infibulazione) parte dei genitali delle bambine in tenera età.
Il fenomeno non è recente, è un rito di antica tradizione per garantire alla donna "purezza" e "fedeltà",
tuttavia i rischi e le conseguenze sono gravissimi: infezioni emorragiche anche mortali e danni permanenti
che in gravidanza e nel parto possono avere pesanti conseguenze per il neonato. Per l’Organizzazione
Mondiale della Sanità sono oltre 120 milioni le donne vittime di "mutilazioni genitali". I Paesi più interessati
sono quelli del Corno d’Africa (Somalia, Eritrea, Gibuti ed Etiopia), ma anche in altri paesi come Egitto,
Kenia, Burkina Faso, Senegal questi rituali sono ancora diffusi e anche fuori da questi territori questa pratica
riguarda donne e bambine anche quando emigrano o nascono in altri paesi. Molteplici sono le segnalazioni di
operatori sanitari, anche in Italia, che dichiarano di non sapere come comportarsi quando viene loro richiesto
di praticare rescissioni o infibulazioni. In un’intervista (vedi: Mutilazioni femminili: difendere i diritti e
la salute delle donne, in "Sir", n. 29, aprile 1999), Graziella Sacchetti, ginecologa dell’ospedale S. Paolo di
Milano ha asserito: "Serve una maggiore collaborazione tra medici e mediatori culturali per un lavoro di
informazione nelle comunità etniche di appartenenza delle donne, rispettandone le tradizioni. Va fatto capire
che le mutilazioni femminili non sono previste dal Corano e che provocano gravi conseguenze fisiche e
psicologiche".
Per ulteriori approfondimenti si rimanda a:
Farinelli Fiorella, I corpi mutilati delle donne, "Rocca", settembre 1999.
Bono Anna, Marchiate per sempre, Il nostro tempo, 31 gennaio 1999.
Iossa Mariolina, Infibulazione, 50 mila vittime in Italia, "Corriere della Sera", 7 marzo2001
Voci di donne
Alcune donne, rappresentanti della cultura islamica, attraverso testimonianze scritte, hanno dato voce alla
loro realtà. La voce di un passato e di un presente raccontato in prima persona. Testimoni dirette della loro
identità di donna e di persona in una società e in una cultura così diverse dalla nostra.
Assia Djebar, algerina, è una scrittrice, storica e cineasta è rappresenta una tra le figure più complesse e
ricche operanti sulla scena contemporanea internazionale. Attraverso la lettura dei suoi testi è possibile
avere la testimonianza diretta della condizione femminile nel mondo mussulmano. Il suo è un viaggio nella
storia , un viaggio che la conduce a imbattersi in una immagine, quella dell'Algeria che ora le appare come
una donna, che non ha (avuto) diritto di parola, che non ha (avuto) accesso alla scrittura, perché a coprire il
suo sapere e la sua lingua, ricacciate indietro e forzatamente dimenticate, i conquistatori hanno imposto la
propria lingua, la propria cultura, la propria legge. L'identità del presente si è costruita in questo impasto
inconsapevole, privo di prospettiva storica, che ha aderito alla pelle come una maschera troppo a lungo
indossata e che ci si è ormai dimenticati di portare, finendo per scambiarla per il proprio volto.
Come donna e femminista, Assia Djebar è mossa dal bisogno di scrivere la sua storia e la memoria delle sue
antenate, dall'urgenza di portare alla luce la vita dentro le case, dietro le file di persiane chiuse che danno
sulla strada, dentro ai reticoli dei cortili interni, nei bagni turchi, dietro il velo. Ha bisogno, per trovare un
senso alla sua sofferenza e lenire il dolore provocato dalla consapevolezza, che non l'abbandona mai,
dell'esistenza di schiere di donne imprigionate, di portare alla superficie della parola scritta quel non detto, le
emozioni, la sofferenza, il rimosso della storia. Questo viaggio nella non-visibilità delle donne incontra alla
fine la stessa immagine del viaggio nella storia, quella della donna/Algeria.
Ragazze a Cairo
Una letteratura al femminile: Assia Djebar
Io, donna dell’Islam senza veli
Un’altra "voce" di donna islamica è quella di Shashikumar Mehmooda appartenente al movimetno RAWA
(Revolutinary Association of The Women of Afghanistan). Parla della misoginia patologica dei talebani e della
lotta di RAWA per sopravvivere.
"La vita delle donne sotto i regimi fondamentalisti come quello dei talebani è terribile. I fondamentalisti non
accettano il fatto che le donne facciano parte della società. Ora l'Afghanistan è un paese spettrale e a causa
dei continui combattimenti e dell'aumentato livello di criminalità, le donne del paese non sono molto di più
che zombi. A loro non è permesso farsi curare, istruirsi o divertirsi. Vengono legate per strada a causa delle
più strane ragioni e le loro mani vengono tagliate se rubano un pezzo di pane.
"I talebani non accettano il fatto che le donne facciano parte della società"
RAWA
Donne afghane in lotta
Alessandra Garusi (giornalista e scrittrice) riporta un’intervista fatta ad una donna afghana descrivendo le
sensazioni e la particolare situazione di quel momento:
Nascosta sotto ampissime vesti di colore blu, una donna esce dall'ombra e sussurra con un filo di voce, in un
inglese fortemente accentato: "Sono un'educatrice. Avresti un lavoro per me, non a Kabul, in provincia?"
L'odore rancido delle fogne all'aperto impregna l'aria di questo caldo pomeriggio e il latrare dei cani randagi
in lontananza fa sì che la domanda della donna sia poco più che un bisbiglio. Un'altra donna fuori da una
moschea guarda di sfuggita uno straniero, poi china di colpo la testa quasi a volersi seppellire all'interno del
suo burqa1 e si fa avanti con la mano tesa: "Non sono una che fa l'elemosina, ma non ho scelta. Ho bisogno
di cibo per la mia famiglia", dice una voce da dentro.
Digilander
Vedi anche:
Donne d’Islam
Leila Ahmed. Oltre il velo. La donna nell’Islam da Maometto agli ayatollah
Giorgi Tilde, Sotto il burqa il coraggio, "Cronache e opinioni", n. 11, novembre 2001
Diverso il caso di una donna italiana Barbara Farina che è diventata musulmana ed è stata la prima donna in
Italia ad ottenere nel 1994 il diritto a comparire con il capo coperto dal hijab sulla carta d’identità.
L’altra metà dell’Islam. Viaggio negli harem italiani
La donna nell’ISLAM
(www.wikipedia.it)
Lo studio della condizione della donna nell'Islam riguarda le attitudini e le credenze riguardo i
ruoli e le responsabilità delle donne all'interno della religione islamica.
La complessa relazione tra donna e Islam è definita tanto dai testi islamici quanto dalla storia e
cultura del mondo islamico.[1] In base al Corano, le donne sono uguali agli uomini di fronte a Dio.[2]
La Sharia (legge islamica) include differenze tra i ruoli di genere, i diritti e gli obblighi della donna
e dell'uomo. Gli interpreti dei testi giuridici islamici hanno diversi giudizi circa l'interpretazione
delle norme religiose sulla condizione della donna. Secondo i più conservatori, le differenze tra
uomo e donna sono dovute ad un diverso status e responsabilità dei due[3], mentre il liberalismo
musulmano, il femminismo islamico ed altri gruppi hanno argomentato a favore di interpretazioni
più originali ed aperte.
I paesi a maggioranza musulmana concedono alla donna vari gradi di diritti riguardo a matrimonio,
divorzio, diritti civili, status legale, abbigliamento ed istruzione, in base a diverse interpretazioni
della dottrina islamica e dei principi di laicità. Tali paesi presentano alcune donne in alte posizioni
politiche, ed hanno eletto diversi capi di stato donna.[4]
Condizione sociale
Dal punto di vista religioso non sembrano esserci problemi; per la legge islamica la donna è
ontologicamente uguale all’uomo, ha gli stessi doveri, non c’è per essa alcuna discriminazione nella
vita eterna che l’attende dopo la morte. I problemi cominciano quando dal campo religioso si passa
a quello sociale.
Infatti il Corano stabilisce: «gli uomini sono preposti alle donne perché Dio ha prescelto alcuni
esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle.»
Questo significa, in pratica, che la donna, finché rimane in famiglia, è sottoposta all’autorità del
padre e dopo, quando si sposa, passa sotto l’autorità del marito. Paradossalmente esclusa da questa
tutela ( wilāya ) è la nubile non più giovane ( anīs ), che può in tutto e per tutto gestirsi senza
dipendere dall'altrui beneplacito.
Nel mondo islamico le donne non sono ugualmente discriminate in tutti i Paesi, per cui parlando dei
diritti delle donne islamiche occorre precisare a quale piano ci si riferisca, se teorico-religioso o
pratico-politico, ed a che paese si faccia riferimento.
In alcuni Stati esse hanno ormai ottenuto parecchi privilegi una volta destinati quasi esclusivamente
agli uomini, ma negli Stati più tradizionalisti e in quelli che mirano alla reintroduzione a pieno
titolo della sharīa, dove le norme del Corano sono interpretate ed applicate in maniera più rigida e
rigorosa, le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di libertà, e sono considerate ad
un livello inferiore rispetto all’uomo.
Fonti coraniche
Il principio della superiorità maschile è enunciato dal Corano nella sura IV, detta al-Nisā
donne), al versetto 34:
(delle
« Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto
alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che
proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete
l'insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla
contro di esse. Allah è altissimo, grande »
(Trad. di Alessandro Bausani)
Così, in virtù di questo precetto, le donne sono private persino dei fondamentali diritti umani e
civili: non godono della libertà di spostamento, della libertà di espressione e di parola; non possono
procedere negli studi né tanto meno fare carriera o ricoprire cariche o posizioni di responsabilità in
campo civile o religioso. Non possono decidere il proprio destino né quello dei propri figli e sono
totalmente sottomesse all'uomo, da cui possono venire ripudiate (e non viceversa). Sono
eventualmente costrette a convivere con altre mogli scelte dall'uomo; e sono obbligate a coprire il
proprio corpo e spesso anche il viso.
La poligamia è lecita e prevista dal Corano per gli uomini (Sura "delle donne", versetto 3) con la
limitazione se temete di non essere giusti con loro sposatene una sola o le ancelle in vostro
possesso. Questa limitazione ha indotto alcuni commentatori modernisti ad affermare che, poiché è
impossibile essere giusti con più di una donna (come è detto nella stessa sura al versetto 129) la
poligamia è virtualmente illecita.
Al v. 15 della stessa sura si dice se alcune delle vostre donne avranno commesso atti indecenti
portate quattro testimoni contro di loro, e se questi porteranno testimonianza del fatto, chiudetele
in casa fin che non le coglierà la morte o fin quando Dio apra loro una via. Dai commentatori
questa punizione s'intende abrogata dal v. 2 della sura "della Luce", in cui si afferma che l'adultera e
l'adultero siano puniti con cento colpi di frusta ciascuno alla presenza di un gruppo di credenti, ma
in questo caso si parla di adulterio mentre nell'altra sura si parla di atti indecenti e i commentatori
non sono d'accordo se per atti indecenti debba intendersi l'adulterio.
Secondo il Corano l'uomo può ripudiare la moglie e non v'è nessun accenno che la moglie possa
farlo nei confronti del marito. Nella sura "della Luce". il v. 31 prescrive che le credenti abbassino
gli sguardi e custodiscano le loro vergogne, non mostrino troppo le loro parti belle ad altri che agli
uomini della famiglia e non battano i piedi sì da mostrare le loro parti nascoste. Secondo un'usanza
che è precedente al Corano questo versetto proibirebbe alla donne di mostrare il volto e quindi
avrebbe giustificato nei tempi passati l'esistenza dei ginecei (harem) in cui erano rinchiuse le donne,
custodite nel caso di personalità di grande ricchezza, da guardiani evirati, nonché l'uso oggi in certi
Stati islamici di vesti che coprono interamente il viso. Circa l'obbligo di portare il velo e coprire il
volto non c'è alcun versetto che lo prescriva espressamente e nemmeno il v. 59 della sura "delle
Fazioni alleate" lo afferma, anche se dice: Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti
che si coprano dei loro mantelli, che sono grandi veli che vanno dalla testa ai piedi. Circa il divieto
di battere i piedi forse ci si riferisce alla non liceità del ballo per le donne musulmane.
Nella sura "del Misericordioso" si parla del paradiso con le vergini a disposizione degli uomini ma è
pur vero che lo stesso Testo sacro islamico afferma che esistono anche ghulām (schiavi, paggi).
Insensati i commenti di certi esegeti secondo cui a popolare l'inferno sarebbero in maggioranza le
donne, anche se questo attesta una certa qual attitudine mentale maschilista, fortemente presente
nella cultura islamica.
Se tutto ciò appare in qualche modo soggetto a interpretazione ( ijtihād ), sì da smentire chi affermi
apoditticamente che il velo o la supremazia dell'uomo sulla donna siano previsti, nella loro
accezione più avvilentemente maschilista, dal Corano, ben diversa è la situazione legata al diritto
ereditario. Nella medesima sura "delle donne", al v. 11, è infatti detto in merito all'eredità ai figli
Iddio vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine e in molti altri punti del Corano
si evidenzia uno stato d'inferiorità della donna rispetto all'uomo, anche se sono frequenti le
raccomandazioni ai mariti di trattare con gentilezza e giustizia le loro mogli anche nei rapporti
sessuali, in caso di poligamia. Ovviamente alle donne non è concesso avere più di un marito.
Il principio della superiorità maschile è evidenziato anche nel verso 228 della sura 2:
« “Le donne divorziate osservino un ritiro della durata di tre cicli, e non è loro permesso nascondere
quello che Allah ha creato nei loro ventri, se credono in Allah e nell'Ultimo Giorno. E i loro sposi
avranno priorità se, volendosi riconciliare, le riprenderanno durante questo periodo. Esse hanno
diritti equivalenti ai loro doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini sono superiori. Allah
è potente, è saggio”. »
( sura 2 verso 228 )
che Hamza Roberto Piccardo scrittore ed ex-segretario dell'UCOII nella versione del Corano da lui
stesso curata per Newton & Compton commenta così:
« "In un penoso sforzo di omologare l’Islàm alla cultura occidentale, alcuni commentatori
modernisti hanno scritto che la superiorità riguarda solo il diritto dell’uomo al ripudio della moglie,
facoltà che non gode di reciprocità. In realtà si tratta di qualcosa di molto più importante e
fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio, individuale, famigliare, sociale.
L’uomo e la donna sono due realtà complementari imprescindibili l’una dall’altra. Se così non fosse,
Allah (gloria a Lui l’Altissimo) non avrebbe formato Eva dalla costola di Adamo, avrebbe fornito
entrambi i generi di apparati riproduttivi completi ecc. ecc.
La struttura fisica dell’uomo è capace di grandi sforzi e di exploit significativi, quella della donna, di
fatica mediamente ripartita e grande sopportazione del dolore.
La sensibilità maschile è tutta esteriore, proiettata in un ambito extrafamigliare che tende a diventare
pubblico e politico. Quella femminile è interiore, attenta a sé stessa, tesa alla protezione di quanto
acquisito o all’acquisizione di semplici mezzi di sostentamento e di sicurezza.
La psicologia maschile è immaginifica, creativa, sperimentale, amante del rischio, desiderosa di
novità, di affermazione dell’io, il più delle volte ampia e superficiale. Quella femminile è concreta,
tradizionale, nemica dell’azzardo, desiderosa di certezze, di conservazione del “mio”, il più delle
volte profonda e limitata.
Nell’ambito famigliare il rispetto della Legge di Allah e della Sunna dell’Inviato fa sì che non si
creino situazioni tali da esigere un’affermazione di potere che mortifichi la complementarietà dei
coniugi. Ma oltre alla complementarietà c’è un problema di leadership, nella famiglia e nella società,
che non significa predominio, oppressione o disconoscimento della prevalenza femminile in una
quantità di settori e corcostanze. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) affida questo ruolo dirigente al
maschio. È un compito gravoso e difficile, di cui l’uomo farebbe spesso volentieri a meno, e di cui è
tenuto a rispondere davanti ad Allah." »