ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE Liceo Scientifico Istituto Tecnico Industriale ALDO MORO Via Gallo Pecca n. 4/6 10086 RIVAROLO CANAVESE ANNO SCOLASTICO 2013/2014 ESAME DI STATO Marco Coha Classe V E Sezione Scientifica SEGNALI SONORI E MUSICA INDICE ABSTRACT ITALIANO ……………………………………………………………... pag. 3 Capitolo 1 – Principi fisici alla base dei segnali sonori e la fisica degli strumenti 1.1 - COS’È UN SEGNALE SONORO………………………………………..………… pag. 6 1.2 - CLASSIFICAZIONE DEI SEGNALI SONORI .…………………………….………. pag. 7 1.3 - PROPRIETÀ DELLE ONDE SONORE …………………………………...……...... pag. 8 1.4 - LA SENSAZIONE SONORA …………………………………………………….. pag. 8 1.5 - DAI SEGNALI SONORI ALLA MUSICA .………………………….……………... pag. 9 1.6 - LA FISICA DEGLI STRUMENTI …………………………………...……..…....... pag. 10 1.7 - GLI STRUMENTI A FIATO ……………………………………………………... pag. 12 1.8 - LA TROMBA ………………………………………………………………….. pag. 13 Capitolo 2 – Influenze musicali nell’architettura e nella storia 2.1 - LA MUSICA TRA PRESENTE E PASSATO…………………………………..…… pag. 16 2.2 - MUSICA E ARCHITETTURA: IL TEATRO REGIO DI TORINO..…………………... pag. 17 2.3 - LA MUSICA NELLA STORIA: L’EVOLUZIONE DEI CORPI BANDISTICI………....... pag. 21 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ……………………………………………………... 2 pag. 26 ABSTRACT ITALIANO Nelle pagine che seguono verranno approfondite alcune tematiche inerenti al tema “Segnali sonori e Musica”. I motivi per cui, personalmente, ho deciso di costruire un elaborato sul mondo della musica sono molteplici: primo fra tutti, il fatto che la musica abbia accompagnato il mio cammino di crescita sin da quando ero un bambino iscritto alla scuola primaria. In molti periodi bui, la musica, metaforicamente, mi è stata vicino e mi ha aiutato a sopportare alcune problematiche che la vita mi aveva posto. In secondo luogo, ho deciso di parlare di musica per approfondire le mie conoscenze in questo campo: prima di iniziare la ricerca che ha successivamente portato alla stesura di questo testo, ero convinto che la musica fosse solo un’arte, forse, come sosteneva Schopenhauer, l’arte più profonda e universale, “una metafisica in suoni […] capace di metterci in contatto, al di là dei limiti della ragione, con le radici stesse della vita e dell’essere”. Ora, alla fine di questa mia ricerca, posso vedere chiaramente come la musica possa essere compresa all’interno di qualsiasi campo della vita e della conoscenza umana: la musica permea la letteratura (italiana e straniera), le scienze (come la fisica e la matematica), la storia, la filosofia, l’arte in generale. Sono, in altre parole, giunto ad ampliare le mie conoscenze in campo musicale e la mia stessa concezione di musica. E’, comunque, meglio precisare che di tutti questi campi in cui la musica irrompe con il proprio bagaglio di emozioni, ho scelto di trattare solo di alcuni (principalmente per motivi di sintesi), ossia di quelli che più si avvicinano alla mia personalità, per così dire, pratica e volta all’osservazione più del concreto che dell’astratto. In terza istanza, un’ulteriore motivazione che mi ha spinto a parlare di musica in questa sede è la mia opinione personale, secondo cui, nel mondo odierno, la musica debba essere rivalutata. Per quanto mi riguarda, la musica dovrebbe essere fatta oggetto di studio nelle scuole italiane. Oggi non esistono più grandi compositori conosciuti da tutti in tutto il mondo e, sempre più, al posto dell’armonia, caratteristica originaria della musica almeno nella sua fase iniziale, gli artisti dei nostri giorni cercano la dissonanza o altri effetti estranei alla corretta concezione di musica degli uomini del passato. Spero che il popolo italiano sappia recuperare e rivalorizzare il proprio patrimonio musicale parimenti a quello artistico: è un peccato che la terra in cui nacquero i più grandi architetti, scultori, pittori, musicisti richiesti in tutto il mondo per la loro bravura, la terra che attualmente ha il maggior numero 3 di siti riconosciuti dall’UNESCO finisca per non considerare questa sua importante ricchezza, probabilmente, in questo periodo di crisi, la più importante. Per quanto concerne la trattazione, non ho incontrato difficoltà particolari nel capire e nel rielaborare i concetti contenuti nei vari libri, presentazioni multimediali e siti internet che ho usato come fonti e che vengono puntualmente citate nella sezione “Bibliografia e Sitografia”. Spero che anche chi avrà il compito di leggere questo mio elaborato non incontri difficoltà nella comprensione degli argomenti trattati, talvolta un po’ difficili a causa della complessità dell’argomento scelto (in particolare per chi non si interessa quotidianamente di musica) e della necessità di sintetizzare in poche pagine ciò che avrebbe dovuto occupare molto più spazio. Riguardo ai contenuti approfonditi, inizieremo soffermandoci sugli elementi che stanno alla base di qualunque suono, ossia i segnali sonori e le loro caratteristiche. Più segnali sonori, infatti, sono i costituenti di ciò che noi comunemente chiamiamo “musica”. Dopo aver analizzato le proprietà di questi segnali, proveremo a cercare una connessione tra concetti fisici e note musicali, scoprendo che il nesso ricercato risiede nella differenza di frequenza delle onde sonore. Avendo ricavato tutte le sette note musicali e le loro cinque alterazioni come rapporti tra numeri interi, saremo in grado di trattare un argomento più complesso, la fisica alla base degli strumenti musicali, prendendo in maggior considerazione gli strumenti a fiato e, ancor più in particolare, la tromba, scelta dovuta al fatto che è lo strumento per cui ho studiato e continuo a studiare. Tutto questo è ciò che sta alla base delle teorie fisiche riguardanti la musica e, in modo particolare, i segnali sonori. Il nostro elaborato procederà mostrando come, appunto, la musica influenzi profondamente molti aspetti della nostra vita presente e passata. Mostreremo il profondo legame che unisce la musica e l’architettura, analizzando l’acustica di uno dei teatri più conosciuti a livello nazionale e internazionale: il Teatro Regio di Torino. Nello specifico, vedremo come la struttura architettonica dei moderni teatri sia funzionale alla creazione delle migliori condizioni di propagazione del suono in tutte le direzioni. Analizzeremo, infine, la stretta relazione che si instaura tra la musica e alcune epoche della storia italiana e mondiale, seguendo l’evoluzione nel corso della storia di una particolare formazione musicale: la banda musicale. 4 5 Capitolo 1 Principi fisici alla base dei segnali sonori e la fisica degli strumenti 1.1 – Che cos’è un segnale sonoro Iniziamo la nostra trattazione provando a spiegare cosa si intende per “segnale sonoro”. Per giungere a questo obbiettivo, consideriamo un esempio pratico. Immaginiamo due persone che stanno parlando tra loro. La comunicazione orale sappiamo che avviene per mezzo della trasmissione di un segnale vocale da “chi parla” a “chi ascolta”. Il segnale viene generato tramite il sistema di produzione della voce, costituito dall'insieme degli organi di fonazione come la lingua, le corde vocali, i polmoni, ecc., grazie al quale “chi parla” induce una variazione nella pressione dell'aria: tale variazione costituisce il “segnale vocale” propriamente detto. Se volessimo rappresentare su un grafico matematico ciò che abbiamo appena enunciato, si otterrebbe un risultato simile a quello riportato in figura qui sotto (Figura 1.1): dove la distanza tra il punto A e il punto B rappresenta la distanza reale tra i due interlocutori. La persona che si trova nel punto A (in questo caso, per convenzione, la persona che sta parlando) genera una variazione di pressione acustica dell’aria, rappresentabile come una specie di onda che parte da A e si dirige verso B. In altri termini, l’onda si sposta lungo l’asse dello spazio e, solo dopo aver attraversato l’intervallo che separa i due interlocutori, giunge all’orecchio della persona situata nel punto B. E’ altresì 6 importante notare che l’altezza a cui si trova il grafico è (in linea generale) del tutto arbitraria, in quanto dipende dalle condizioni in cui si considera la pressione. Pertanto, da quanto emerge dalla Figura 1.1, un qualsiasi segnale sonoro, dal punto di vista fisico-matematico, è rappresentabile in un grafico pressione-spazio ed è descritto da una funzione sinusoidale. Ciò significa che il suono è un fenomeno di tipo ondulatorio, come, del resto, ci viene suggerito quando si sente parlare di “onda sonora” o di “suono armonico”. Più precisamente, un segnale sonoro può essere definito come l’insieme delle perturbazioni meccaniche che, modificando la densità dell’aria (o, in generale, del mezzo in cui si propagano), creano successive compressioni e decompressioni trasportando l’energia meccanica secondo le modalità dell’onda longitudinale, dove per onda longitudinale si intende un’onda la cui direzione di propagazione è sempre parallela ai movimenti complessivi delle molecole che costituiscono il mezzo stesso. 1.2 – Classificazione dei segnali sonori Nello studio dei segnali sonori è utile ricorrere ad una sorta di classificazione, basata sull’osservazione di caratteristiche comuni che distinguono alcuni segnali da altri. Si possono, perciò, avere più criteri di classificazione. In questa sede, ne prenderemo in considerazione due, che hanno come loro criterio-base la periodicità del segnale (primo caso) e la sua morfologia (secondo caso). La prima suddivisione, la più naturale, è quella che separa i segnali periodici dai segnali non periodici, dove: - - Per segnali periodici si intendono quei segnali il cui andamento si ripete dopo un determinato intervallo di tempo detto periodo e indicato con T. Questo significa che, applicando una traslazione verso destra o verso sinistra di un vettore v(T;0), si otterrà un grafico perfettamente sovrapponibile a quello di partenza. Per segnali non periodici si intendono quei segnali il cui andamento non rispetta alcun tipo di regolarità e per cui non si riesce ad individuare un periodo T. La seconda suddivisione (detta classificazione morfologica) prende in considerazione il grafico pressione-spazio di cui prima si è parlato analizzando dal punto di vista matematico il suo dominio e il suo codominio. - - In base al dominio, distinguiamo i segnali in: o Segnali continui: funzioni che hanno come dominio tutto l’asse x, ossia l’insieme dei numeri reali. o Segnali discreti: funzioni che hanno come dominio l’insieme dei numeri interi In base al codominio, distinguiamo i segnali in: 7 o Segnali ad ampiezza continua: hanno come codominio l’insieme dei numeri reali. o Segnali ad ampiezza discreta: hanno come codominio un insieme finito 1.3 – Proprietà delle onde sonore Poiché un segnale sonoro è un fenomeno ondulatorio, sono valide tutte le leggi legate ai fenomeni delle onde in generale, ossia alcune loro proprietà come la riflessione, la diffrazione, la rifrazione, il principio di sovrapposizione e molte altre. In questa sede, analizzeremo in particolare la riflessione e la diffrazione, in quanto queste due proprietà sono le più usate e le più conosciute. Per quanto riguarda la riflessione, nel caso delle onde sonore, essa dà origine all’eco, il fenomeno che possiamo facilmente constatare quando, per esempio, urliamo una frase di fronte ad una parete rocciosa e possiamo riascoltare nitidamente le parole che abbiamo pronunciato. Il termine “eco” è anche spesso usato come prefisso in riferimento a quegli strumenti o attività che utilizzano come principio base quello della riflessione delle onde sonore, come nei campi della medicina (quando si sente parlare di ecocardiogramma, ecografia, ecc.) e della navigazione (quando si sente dire che le navi sono munite di ecoscandaglio, detto anche SONAR). Tutti questi strumenti utilizzano frequenze sonore del campo degli ultrasuoni, affinché gli effetti della diffrazione siano limitati. Si definisce diffrazione la capacità di un’onda qualsiasi di attraversare un ostacolo modificando la sua traiettoria di propagazione, senza però che l’onda ritorni indietro (fenomeno di riflessione). Per capire meglio quanto detto, consideriamo un esempio che ci viene riportato dalla natura. Il pipistrello (il quale non è dotato di vista) si orienta e riesce ad evitare ostacoli anche di piccole dimensioni grazie alla sua capacità di emettere onde sonore. Tuttavia, perché questo possa avvenire, il pipistrello deve emettere onde sonore di lunghezza d’onda con ordine inferiore alla dimensione dell’ostacolo naturale da evitare. Se l’ordine di grandezza delle lunghezze d’onda delle onde emesse fosse maggiore o uguale alle dimensioni dell’ostacolo da superare, esse lo aggirerebbero, comportando seri rischi alla vita di questo animale. 1.4 – La sensazione sonora Abbiamo già detto che i suoni che noi sentiamo sono dovuti ad una variazione di pressione. Le variazioni di pressione che generano onde udibili dall’uomo sono molto piccole rispetto ai valori della pressione atmosferica (105 Pa): la soglia di udibilità, ossia il suono più debole che un uomo possa sentire, corrisponde alla pressione (indicabile con P0) di 20.10-6 Pa, 8 mentre la soglia del dolore, corrispondente al suono più forte oltre al quale si possono avere gravi danni all’udito, corrisponde ad una pressione di 20 Pa. L’intervallo tra i due estremi copre, dunque, ben sei ordini di grandezza. Per questo motivo, per esprimere la pressione della vibrazione sonora si utilizza non una scala lineare, bensì una scala logaritmica, che prende il nome di scala dei decibel (dB), che consente di contenere i valori compresi tra la soglia di udibilità e quella di dolore nell’intervallo compreso tra 0 e 120 dB. La relazione tra la misura in decibel e la pressione è data dall’equazione: X = 20.log10 (P/ P0) dove X rappresenta la misura in decibel, P la pressione di vibrazione sonora di un certo segnale sonoro e P0 la pressione riferita alla soglia di udibilità. E’ evidente che: - se P = P0 = 20.10-6 Pa (soglia di udibilità), allora X = 0 (perché log10 1 = 0), se P = 20 Pa (soglia del dolore), allora X = 120 (poiché log10 106 = 6) Alcuni esempi: - una normale conversazione tra due persone corrisponde a circa 40 dB il rumore del traffico urbano può arrivare anche a 80 dB un martello pneumatico o la musica in una discoteca corrisponde a circa 120 dB il rumore di un aereo in fase di decollo arriva a toccare il valore di 140 dB. 1.5 Dai segnali sonori alla musica Fino ad ora, ci siamo occupati di segnali sonori in generale. Ora vorremmo applicare queste teorie fisiche (dette, anche, leggi dell’acustica) al campo della musica. Prendiamo in considerazione lo strumento più elementare, il diapason (mostrato in figura), uno strumento che, in qualunque punto venga percosso con un martelletto, emette un suono detto “suono puro”. Questo suono puro ha una frequenza ben definita, pari a 440 Hz, e la sua funzione d’onda ha una sola componente sinusoidale a quella frequenza. In musica, al suono del diapason (e quindi a f = 440 Hz) si associa la nota denominata La. Si dà lo stesso nome di La a tutti quei suoni ottenuti moltiplicando o dividendo questo valore di f per un multiplo di 2. Infatti, questo risulta ben evidente se consideriamo il caso di una chitarra: se faccio vibrare una delle sei corde che la compongono, ottengo un suono; se poi posiziono una delle mie dita esattamente a metà di quella stessa corda che ho suonato prima, si ottiene un suono più acuto ma della stessa armonica, dove per armonica si intendono le frequenze il cui valore è multiplo intero della frequenza base di un'onda. 9 Dal La, ricavo tutte le frequenze delle altre note (Do, Re, Mi, Fa, Sol, Si) e delle alterazioni (Do#, Re#, Fa#, Sol#, La#) come rapporti fra numeri interi. Accostando le note naturali, si viene a creare una scala naturale musicale, detta così perché rispecchia una particolare successione di suoni, costruita aiutandosi con un diapason, partendo dal primo grado della scala (detto Do, con f = 256 Hz), da cui si derivano tutti gli altri suoni tramite l’applicazione di rapporti razionali. Quindi la scala naturale musicale è formata dalla successione delle sette note senza alterazione: Do – Re – Mi – Fa – Sol – La – Si – Do. La scala naturale non è, però, una successione lineare di valori delle frequenze, ossia la differenza tra le frequenze di due note vicine è differente da quella esistente tra altre due note vicine. In particolare, la differenza tra le frequenze delle coppie Mi-Fa e Si-Do è di lunga inferiore rispetto alla differenza tra le altre coppie. Questo è ben visibile se si osserva l’immagine a lato, che riporta la tastiera di un pianoforte: infatti, come si può notare, in due casi (corrispondenti alle coppie citate prima), non è presente il tasto nero che nella maggior parte dei casi sta a metà tra due tasti bianchi. Gli intervalli tra Mi-Fa e Si-Do sono, perciò, detti semitoni, mentre gli intervalli tra le altre coppie di note sono detti toni. Tuttavia, se è vero che la differenza tra le frequenze di due note contigue non è costante, risulta invece costante il rapporto tra le frequenze delle note separate da un tono di differenza. Tale rapporto è di circa 1,11. Analogamente, è costante il rapporto tra le frequenze delle note separate da un semitono di differenza, dove questo rapporto vale 1,065. Tale scala ha, però, un limite fondamentale: essa non esaurisce tutti i suoni possibili in natura. Infatti, come già accennato prima, esistono anche delle alterazioni, indicate con il simbolo # (che si legge diesis) oppure b (che si legge bemolle), corrispondenti ai tasti neri che si trovano sulla tastiera del pianoforte. Nell’antichità il problema non venne affrontato, in quanto le alterazioni erano usate di rado e solamente nel canto gregoriano, mentre non erano mai utilizzate nelle ballate. Solo con l’avvento della polifonia si iniziò a studiare e costruire le alterazioni in modo tale che il rapporto tra due semitoni fosse sempre costante. Questo portò all’idea che, tra una nota e la sua ottava superiore, si potesse dividere tale intervallo in 12 parti, secondo una progressione geometrica, in modo da formare la cosiddetta scala temperata, che include tutti i suoni possibili nell’intervallo tra due note con lo stesso nome. Perciò la successione della scala temperata è: Do – Do# - Re – Re# - Mi – Fa – Fa# - Sol - Sol# - La - La# - Si – Do 1.6 – La fisica degli strumenti musicali Gli strumenti musicali sono un esempio di applicazione, avvenuta fin dall’antichità, dei principi fondamentali della fisica delle onde meccaniche. La creatività umana è riuscita a 10 produrre oggetti in grado di emettere suoni piuttosto rari in natura se si considera che essa produce in prevalenza rumori. In linea generale, gli strumenti musicali sono dispositivi basati sulla capacità di un sistema di trasformare una certa quantità di energia, ricevuta dall’esterno, in energia oscillante e di irradiarne una parte nell’ambiente circostante sotto forma di variazioni oscillatorie della pressione atmosferica. Queste vibrazioni (come già detto all’inizio) raggiungono l’orecchio e danno luogo alla percezione sonora. Per ogni strumento musicale, possiamo distinguere due componenti fondamentali: il generatore di vibrazioni e l’eccitatore. Il generatore di vibrazioni può essere un corpo vibrante (corda o membrana) o una cavità risonante, per esempio un tubo. La capacità di vibrare dei corpi vibranti è dovuta all’elasticità di cui sono dotati. L’ eccitatore è, invece, il dispositivo che trasferisce l’energia al generatore di vibrazioni. A seconda dello strumento considerato, si possono distinguer più eccitatori. Alcuni esempi possono essere: - le dita delle mani, i plettri, gli archi nel caso di strumenti a corda le bacchette in legno, per gli strumenti a percussioni l’aria, per gli strumenti a fiato Esiste, poi, una terza componente caratteristica di ogni strumento, che viene detta adattatore energetico. L’adattatore energetico fa in modo che l’energia acustica sviluppata dallo strumento musicale venga irradiata il più possibile all’aria circostante e possa così raggiungere gli ascoltatori. Esempi ne sono, per gli strumenti costituiti da corde, la tavola armonica, posta sempre nelle vicinanze delle corde (subito sotto ad esse nelle chitarre e nei pianoforti, alla base di queste nelle arpe) o, per gli strumenti a fiato, il tubo stesso in cui si immette aria. Abbiamo visto che i vari strumenti possono essere distinti a seconda del generatore, dell’eccitatore e dell’adattatore che gli sono propri. Ma cos’è che permette di distinguere realmente due strumenti diversi tra loro? Infatti, due strumenti, anche se possono emettere suoni della stessa frequenza, possono in ogni caso venir sempre distinti. La risposta all’interrogativo che ci siamo posti sta nella definizione di timbro: la peculiarità di ciascun strumento musicale, compresa la voce umana, risiede nella composizione dell’onda risultante, formata da un certo numero di armoniche superiori rispetto a quella fondamentale. Tale caratteristica è, appunto, il timbro. Il timbro, dunque, è il carattere che permette di distinguere suoni provenienti da sorgenti diverse e, quindi, di riconoscere lo strumento musicale o la voce che li ha prodotti. Suoni di timbro diverso, poiché determinati da più armoniche, differiscono per la forma dell’onda, come si deduce dalla figura a lato. In conclusione, possiamo affermare che: - La produzione del suono si basa sulle proprietà elastiche dei materiali che permettono loro di vibrare secondo frequenze caratteristiche. Possiamo produrre suoni facendo vibrare , cioè applicando un impulso e fornendo loro “energia di vibrazione”, corde , tubi o membrane tese. La qualità (o timbro) del suono prodotto dipende dall’oggetto che lo produce. 11 1.7 – Gli strumenti a fiato Gli strumenti musicali possono essere ricondotti a tre famiglie principali: - Strumenti a corda, se il generatore di suono è costituito da corde tese. Strumenti a fiato, se l’aria è messa in vibrazione all’interno di un tubo o un’altra cavità. Strumenti a percussioni, se a vibrare è una membrana o il corpo stesso. Strumenti elettrofoni, se sfruttano l’energia elettrica per generare suoni o amplificarli. In questa sezione, ci dedicheremo allo studio degli strumenti a fiato e, in particolare, della tromba. Alla base dell’emissione di suoni negli strumenti a fiato risiede una particolare proprietà dell’aria: la sua elasticità. Proviamo a fare un piccolo esperimento: prendiamo una pompa simile a quelle usate per gonfiare le gomme di una bicicletta, e tappiamo l’estremità da cui dovrebbe uscire l’aria. Se ora spingiamo verso il basso il pistone posto all’altra estremità, questo tende a tornare alla posizione di partenza, comportandosi allo stesso modo di una pompa. Ecco perché possiamo affermare che l’aria è elastica. Proprio per questa proprietà, se soffiamo in una bottiglia, ne esce un suono. La differenza principale che contraddistingue gli strumenti a fiato dagli altri strumenti è che, in questo caso, non è il corpo stesso dello strumento a vibrare (come avviene nelle corde della chitarra o del pianoforte e nelle membrane, o pelli, degli strumenti a percussione), ma l’aria che circola all’interno. Le pareti dello strumento, allora, servono solo più come mezzo per contenere una colonna d’aria messa in circolo dal fiato dello strumentista. Un’altra importante considerazione va fatta per l’altezza del suono. Per altezza si intende il carattere che distingue i suoni gravi da quelli acuti. Suoni di altezza diversa corrispondono a frequenze sonore diverse. Negli strumenti a fiato, per innalzare l’altezza di una nota è sufficiente uno di questi due metodi: - Ridurre la lunghezza del tubo in cui viene immessa l’aria. Diminuire la lunghezza efficace del tubo aprendo dei fori tonali lungo la parete, come mostrato in figura. Lunghezza efficace della canna 12 La lunghezza utile della canna diventa sempre più corta quanto più il foro tonale tenuto aperto si sposta verso il centro della canna, raggiunto il quale la nota si innalza di un'ottava, ossia raddoppia in frequenza, come già spiegato in precedenza quando si era presa in considerazione una chitarra, della quale una corda veniva “pizzicata” esattamente nel suo punto centrale determinando un suono la cui frequenza era un multiplo di due della frequenza originaria della corda vibrante. Un esempio molto significativo di questo fenomeno è il caso del trombone, mostrato nella figura a lato: questo strumento è formato principalmente da un tubo a forma di U, detto coulisse, che se allungato produce suoni sempre più gravi, mentre se viene accorciato produce dei suoni sempre più acuti, ossia di altezza maggiore, proprio come avveniva nel semplice tubo considerato precedentemente. 1.8 – La tromba « Il primo musicista jazz fu un trombettista, Buddy Bolden, l'ultimo sarà un trombettista, l'arcangelo Gabriele » (Wynton Marsalis) La tromba è uno strumento musicale a fiato appartenente alla famiglia degli ottoni, tra i quali esso è lo strumento che suona nella parte più acuta del registro. La tromba, nell’antichità, non nacque nella caratteristica forma che oggi possiamo vedere. Ciò è probabilmente dovuto a difficoltà di fabbricazione insormontabili per gli uomini di quel tempo. Infatti, sbagliando anche di un decimo di millimetro si può ottenere un suono completamente diverso, oppure, sempre per piccole variazioni, lo strumento può risultare non suonabile. E’ per questo motivo che in origine la tromba nacque come un tubo rettilineo con campana ad un’estremità, molto simile, dunque, ad un clarinetto di oggi, anche se molto più lungo. Ciò comportava, però, dei disagi per due problemi fondamentali: primo, era alquanto difficile trasportare un oggetto di una così notevole lunghezza; secondo, non si potevano eseguire tutte le note della scala naturale, ma solo quelle derivate dagli armonici (l’insieme delle note accomunate da una stessa posizione) della nota fondamentale prodotta. Per ovviare a questi due problemi, si pervenne alla forma tuttora conosciuta: il ripiegamento del tubo su sé stesso permise il trasporto dello strumento (anche se accrebbe le difficoltà di produzione), mentre l’introduzione dei pistoni (detti comunemente tasti, i quali permettono allo strumentista di avere sette posizioni diverse con cui produrre le note) risolse il secondo problema, permettendo l’esecuzione delle sette note naturali e le loro cinque alterazioni. 13 Ritornando a considerazioni di carattere fisico, il suono nella tromba viene prodotto dalla vibrazione delle labbra dello strumentista a contatto con il bocchino (la prima parte dello strumento), le quali emettono una specie di ronzio. Di per sé, con il solo bocchino si riescono ad ottenere tutte le note musicali e le loro alterazioni, ma poiché il suono che ne esce è particolarmente grezzo, il bocchino è associato all’amplificatore del suono, ossia la tromba vera e propria, fino a giungere alla campana che, secondo quanto detto in precedenza, è l’adattatore energetico. Prima di giungere alla campana, estremità finale dello strumento, il suono percorre tutto il canneggio dello strumento, procedendo senza deviazioni (nel caso in cui non si schiacci nessun pistone), oppure, nel caso in cui vengano schiacciati uno o più pistoni, subendo deviazioni e, quindi, entrando nelle varie pompe collegate ai pistoni sottoposti a pressione dallo stesso strumentista. Le posizioni possibili, come prima accennato, sono sette e permettono la produzione di sette note diverse. Se, per esempio, partiamo da un Sol e percorriamo le varie posizioni in ordine crescente (passando, cioè, dalla prima alla settima) si ha: Sol – Fa # - Fa – Mi – Re # - Re – Do # Per suonare il Do, la nota immediatamente successiva al Do #, si ritorna alla prima posizione (quella con cui si era già suonato Sol) e si riinizia la successione crescente delle posizioni. La differenza tra due note suonate nella stessa posizione sta nell'apertura labiale, nella portata del flusso d'aria e nella sua pressione. Lo strumentista, nell’esecuzione dei brani proposti, dovrà anche far attenzione all’intonazione rispetto agli altri strumenti con cui suona, intervenendo opportunamente con la mano sinistra sulle pompe collegate ai pistoni. Nel caso in cui lo strumentista (tramite il suo orecchio) si accorga di essere, per così dire, “stonato”, egli dovrà allungare o accorciare le pompe legate ai singoli pistoni con l’obbiettivo di recuperare l’intonazione persa. Essendo presenti tre pistoni, esistono tre pompe ad essi collegati su cui intervenire (di cui, però, solamente due sono movibili) più una pompa generale, che viene mossa prima dell’inizio di un concerto dal direttore d’orchestra nell’atto di “intonare” gli strumenti. Riguardo al timbro dello strumento, sebbene si pensi che sia uguale per ogni tromba presa in considerazione, ciò non è così. Infatti, metodi di fabbricazione e materiali diversi danno origine a trombe con timbri diversi, sebbene ciò sia poco percettibile. Il fattore più importante è sicuramente il metodo di saldatura della campana al corpo cilindrico ad essa precedente: più la saldatura della campana avviene a maggior distanza da questa, maggiore sarà la risonanza e superiore la resa sonora. Il prezzo di vendita di una tromba è quasi unicamente legato a questo fattore. Tuttavia, come detto anche i materiali utilizzati concorrono a determinare il timbro caratteristico di un particolare tipo di tromba. Attualmente, esistono tre tipi di trombe: - Quelle leggere, generalmente laccate, caratterizzate da notevole velocità del flusso dell'aria e maggiore facilità di esecuzione, che permettono la produzione di suoni più 14 - - squillanti e avvertiti a maggior distanza (caratteristiche molto utili se si suona in ambienti esterni) Quelle pesanti, generalmente argentate, caratterizzate dalla necessità di un flusso d'aria maggiore e quindi da una maggiore difficoltà a produrre suoni, da timbri meno squillanti ma di gran lunga più espressivi, con ampie possibilità di variazioni timbriche e dinamiche del suono, il che consente di raggiungere la massima intensità dei suoni. Quelle in rame, caratterizzate dal tipico colore rossiccio del rame, accomunate da timbri più caldi ed espressivi, molto apprezzate dagli strumentisti, ma molto meno comuni delle altre due, anche per l’ingente costo di produzione. Infine, da un punto di vista storico, la tromba è uno dei più antichi strumenti musicali esistenti, usata anche da popolazioni molto antiche (per impartire segnali di guerra o per annunciare le festività). E’ presente anche in molte citazioni bibliche, anche se, in questo caso, si parla di strumenti molto differenti da quelli da noi oggi conosciuti. E’ inoltre elemento costituente di quasi tutte le formazioni musicali. 15 Capitolo 2 Influenze musicali nell’architettura e nella storia 2.1 - La musica tra presente e passato Fino a questo punto, abbiamo visto come l’emissione di suoni e la conseguente creazione di un brano musicale possa essere spiegata con le leggi della fisica classica. Ora il nostro obiettivo sarà capire l’importanza che la musica ha esercitato e continua ad esercitare su altri settori del nostro vivere quotidiano. Nel mondo di oggi, ascoltare musica è molto semplice: basta comperare un cd, andare su un sito internet adibito all’ascolto di musiche e canzoni, accendere una radio, andare ad un concerto di qualche artista o gruppo, oppure andare ad una qualunque festa organizzata, e così via. Proprio in questo consiste la fortuna delle persone dei nostri giorni: poter ascoltare la canzone che si vuole sentire, in qualunque momento, in qualsiasi posto in cui ci si trova, spendendo, in certi casi, nulla. Questa è la caratteristica, però, che più ci allontana dal mondo degli antichi. In origine, la musica serviva come accompagnamento al canto degli aedi, come per esempio Omero, il famoso cantore “cieco”. Con l’affermarsi delle prime religioni, il canto e il suono prodotto da primitivi strumenti (come il flauto, ricavato con estrema facilità da una canna di legno qualsiasi) divennero elementi fondamentali dei riti sacri che venivano celebrati. Parallelamente, nacquero i primi prototipi di corni, chiamati così perché venivano ottenuti dalla lavorazione delle corna di alcuni capi di bestiame, come le mucche e i tori, e usati molto spesso in battaglia. Si potrebbe andare ancora molto avanti, parlando di come sono nati gli altri strumenti a fiato, gli strumenti ad arco, quelli a percussione, ma tralasciamo per ovvi motivi di sintesi. Risulta, invece, fondamentale notare un fatto importante: chi suonava questi antichi strumenti, non era certamente uno strumentista che avesse studiato musica e che venisse pagato per suonare, ma, nella maggior parte dei casi, si trattava di uomini ai margini della società che, per sopravvivere, si riducevano a chiedere l’elemosina in cambio di un po’ di musica da loro prodotta (da cui si può notare che, per certi versi, lo scenario di oggi non è poi molto diverso da quello di millenni di anni fa). La vera svolta e l’introduzione della figura del musicista (ossia di un uomo che avesse le conoscenze per saper suonare uno strumento, anche se tale figura non era ancora riconosciuta professionalmente e, di conseguenza, nemmeno retribuita) avvenne con la nascita del teatro greco. Questo, tuttavia, differiva molto dal concetto di teatro che noi possediamo. Da allora, infatti, il teatro fu coinvolto in una serie di notevoli innovazioni (prima fra tutte, il passaggio dalla rappresentazione in uno spazio aperto alla rappresentazione in uno spazio chiuso) che lo portarono alla realtà che ancora oggi conosciamo. Il legame musica – rappresentazione 16 teatrale andò sempre più consolidandosi, fino a raggiungere i massimi vertici, in Italia e in Europa, nel XVIII e nel XIX secolo, con la produzione di grandi opere teatrali (ancora oggi rappresentate) messe in musica da compositori del calibro di Rossini, Verdi, Puccini, Bach, Mozart, Beethoven, Bizet, i vari componenti della famiglia Strauss, solo per citare alcuni esempi. Proprio per l’importanza che la musica stava acquistando all’interno delle rappresentazioni teatrali, fu necessario lo studio di alcune soluzioni architettoniche le quali migliorassero l’acustica dei teatri, al fine di rendere allo spettatore un suono sempre più fruibile e più puro, in cui si potessero riconoscere le “voci” di ogni singolo strumento, evitando un ammasso di suoni che andassero a sovrapporsi e che avrebbero comportato un netto distacco dalla partitura originaria . Nacque proprio da questa esigenza il legame tra musica e architettura che andremo ad approfondire meglio nel prossimo paragrafo, prendendo come esempio un famosissimo teatro a noi molto vicino per collocazione geografica: il Teatro Regio di Torino. 2.2 Musica e architettura: il Teatro Regio di Torino Il Teatro Regio di Torino è uno dei più grandi e importanti teatri italiani, nonché molto conosciuto a livello europeo e internazionale. L’impianto originario era profondamente diverso da quello che vediamo oggi: infatti, nella notte tra l’8 e il 9 febbraio 1936, il Teatro fu distrutto da un violento incendio. L’unica parte a noi rimasta della struttura originaria è la facciata, iscritta dal 1997 nell’elenco dei beni protetti dall’Unesco, mentre l’interno fu completamente trasformato dai lavori di ricostruzione che presero avvio nel 1967 per concludersi solamente sei anni dopo nel 1973. Il progetto di ricostruzione, in origine, venne affidato agli architetti Aldo Morbelli e Robaldo Morozzo della Rocca, vincitori del concorso bandito nel 1937. Tuttavia, il loro progetto, nonostante continui aggiornamenti e persino una cerimonia di posa della prima pietra nel 1962, non giunse mai a realizzazione: l’amministrazione comunale, infatti, nel 1965 adottò una nuova soluzione, ossia affidare il progetto all’architetto Carlo Mollino, affiancato da un nutrito gruppo di ingegneri, responsabili degli aspetti strutturali. Carlo Mollino fu un uomo brillante e pieno di interessi: oltre ad essere architetto, egli era anche fotografo, designer, aviatore e pilota automobilistico. Personalità eclettica (da come si può facilmente dedurre dalle sue innumerevoli passioni), fu anche autore di alcuni volumi di architettura (Architettura, tecnica e arte, 1948) e di altro genere, come per esempio il trattato Introduzione al discesismo (1951), ossia un manuale per gli sciatori dell’epoca, dal quale emerge tutta la sua personalità 17 bizzarra e irrequieta. Fu molto attivo, come architetto, nella Torino della metà del XX secolo, per la quale realizzò il Palazzo della Camera di Commercio (l’opera che più lo rese celebre), l’Auditorium della Rai e gli uffici dell’AEM (Azienda elettrica municipale) di Torino, oltre ad aver partecipato a molti altri concorsi. Il progetto di Mollino per il Teatro Regio di Torino, come già detto, rivoluzionò completamente la struttura interna di tale edificio (come si vede bene nelle figure sotto) e tenne in particolare considerazione il problema dell’acustica, tanto che portò alla realizzazione di quella che viene definita “volta ortofonica”. [La foto in alto riporta la struttura originale del Teatro Regio; questa foto fu scattata la sera dell’8 febbraio 1936, poche ore prima dello sviluppo dell’incendio che lo distrusse completamente. La figura sottostante ritrae il Teatro Regio come appare ora] 18 Per quanto riguarda la pianta dell’edificio, Mollino progettò l’interno della struttura ispirandosi ad un busto femminile (come si vede nella figura a lato), conferendo quindi alla sala principale una forma ad ostrica semiaperta o, più semplicemente, ovoidale: ecco perché, dando ancora una volta prova della sua bizzarra personalità, tenne il discorso di presentazione del progetto con un uovo in mano. Rispetto alla pianta originaria, l’impostazione planimetrica fu ruotata di 90 gradi: ciò fu reso possibile solo grazie all’incendio del 1936 e ai bombardamenti che coinvolsero Torino nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, i quali distrussero quasi completamente le fabbriche che prima circondavano l’antico Regio. All’esterno, l’opera riprende in chiave attuale lo spirito delle costruzioni barocche, ossia recupera l’andamento sinuoso delle facciate laterali e l’uso del mattone a vista, decorato con fregi ornamentali. Ma la parte più importante è sicuramente l’interno: la sala principale è a platea unica, con 1582 posti a sedere, con profilo ellissoidale che digrada verso il proscenio. Il soffitto stesso ha forma ellissoidale: ciò fu possibile grazie alla disposizione dei palchi, che coronano l’intera sala e sono inclinati verso il proscenio. Una straordinaria soluzione architettonica è data dalla nuvola luminosa, progettata dallo stesso Mollino con Gino Sarfatti. Costituita da 1900 prismi in perspex di lunghezza variabile disposti attorno a tubi di alluminio che portano ciascuno una lampada da 40 W, essa, con una luce morbida e scintillante, conferisce luminosità all’intera sala. La parte più importante per la nostra trattazione è la volta. Mollino pensò ad un teatro dove il suono si potesse espandere in modo corretto, senza essere alterato e ostacolato da strutture architettoniche. Proprio per questo, la sala si presenta rivestita completamente in legno di faggio, il materiale più adatto alla diffusione sonora. In legno furono infatti costruiti o rivestiti pavimenti, pareti, palchi, boccascena (l’insieme degli elementi che collegano la sala al palcoscenico) e dorsi delle poltrone. Inoltre, Mollino fu uno dei primi architetti ad adottare nel suo progetto la costruzione di una volta ortofonica. L’ortofonia (dal greco orthos, che significa retto, corretto e phonia, che significa voce) indica la corretta dispersione del suono stabilita in base al tempo di riverberazione, cioè il tempo che impiega il suono per estinguersi del tutto a partire dalla fine della sua produzione. Poco più di cinque anni fa, il Teatro Regio di Torino fu soggetto di studio da parte dell’A.I.A, l’Associazione Italiana di Acustica. Nello studio eseguito, venne utilizzato il metodo del Beamformer, che prevede l’utilizzo di un insieme di microfoni disposti in modo tale da formare una sfera in grado di trasferire alcuni dati al computer. L’emissione di qualunque segnale sonoro viene catturata da questo sistema, che invia tutti i dati ad un computer, il quale, tramite uno specifico software, elabora una mappa acustica che viene sovrapposta ad un immagine statica del teatro ripresa da una telecamera. Si può, allora, 19 osservare come avviene la propagazione del suono nella sala. Ovviamente, scegliendo differenti posizioni in cui installare questo sistema di Beamformer, si ottengono più mappe relative a più punti di osservazione. [Mappe acustiche relative a posizioni diverse sia della sorgente di suono, sia del ricevitore] Prendendo, invece, in considerazione una mappa ricavata da una vista frontale della sala, come quella a fianco, che rappresenta in contemporanea la vista del palco e del soffitto, si capisce meglio come la volta ortofonica messa a punto da Mollino contribuisca ad una regolare diffusione del suono. In particolare, la zona caratterizzata dal colore rosso, indica un’intensità sonora maggiore, che va a scemare allontanandosi sempre più dalla sorgente, situata, in questo caso, in prossimità del centro del palcoscenico. 20 2.3 - La musica nella storia: l’evoluzione dei corpi bandistici Già nel primo paragrafo di questo capitolo, avevamo fatto cenno alla stretta relazione che esiste tra il succedersi dei periodi storici e l’evoluzione della musica, delle sue tecniche e della figura del musicista. Ora, in questa sezione, ci occuperemo in particolare dell’evoluzione di una particolare specie di formazione musicale che più di tutte andò sviluppandosi seguendo il mutare delle epoche storiche: la banda musicale. La banda musicale, nel senso generico in cui noi oggi la conosciamo, è una formazione composta esclusivamente da strumenti a fiato e a percussione. La differenza più importante che la differenzia da un’orchestra sinfonica è la totale assenza degli archi, assenza che però viene compensata da strumenti del tutto estranei alla formazione tipica dell’orchestra. In altre parole, la banda, pur non comprendendo nel suo organico violini, viole, violoncelli, contrabbassi, arpe e altri strumenti sempre presenti nelle grandi orchestre, bilancia questa assenza con l’utilizzo di flicorni, saxofoni e clarinetti costruiti su diversi tagli, che prendono i nomi dalle quattro voci principali della musica lirica (soprani, contralti, tenori e baritoni). E’ proprio per questo motivo che spesso si sente dire che “i clarinetti sono i violini della banda”, intendendo con questa frase che l’uso massiccio di clarinetti nelle bande musicali controbilancia la mancanza dei violini. Genericamente, nelle formazioni bandistiche dei nostri giorni trovano spazio i seguenti strumenti: - - - Flauto traverso, appartenente alla famiglia dei legni. E’ considerato lo strumento più antico ed è caratterizzato dal tipico suono acuto. Clarinetto, sempre appartenente alla famiglia dei legni, costruito in legno d’ebano oppure in ebanite. Esistono clarinetti di diverse misure (dal clarinetto in La bemolle, il più piccolo, al clarinetto in Si bemolle, il più diffuso). Spesso nelle bande trova spazio anche il clarinetto basso, un particolare tipo di clarinetto, in grado di produrre suoni molto gravi, e facilmente riconoscibile per la sua smisurata altezza, che è intorno ad un metro. Oboe, appartenente alla famiglia dei legni, caratterizzato dall’imboccatura ad ancia doppia (ossia, costituita da due lamelle in legno che producono il suono per la loro vibrazione di una contro l’altra), produce un suono leggero e penetrante. E’ spesso, giustamente, considerato lo strumento più difficile da suonare all’interno di una formazione bandistica. Fagotto, anch’esso appartenente ai legni, con imboccatura ad ancia doppia, dal suono più cupo. E’ uno degli strumenti più costosi della banda musicale. Saxofono, appartenente alla famiglia dei legni (sebbene abbia un corpo in ottone), è uno strumento ad ancia semplice di cui esistono quattro versioni, tutte impiegate nelle varie formazioni: soprano (caratterizzato da una tipica forma oblunga, simile a quella del clarinetto, ma con canneggio più ampio), contralto (la versione più nota e 21 - - - - più diffusa), tenore (più grande del contralto e caratterizzato da una linea sinuosa) e baritono (con funzione di accompagnamento e dell’altezza di circa un metro). Corno, della famiglia degli ottoni, formato da un tubo “arrotolato” molte volte su se stesso, caratterizzato da un’imboccatura molto piccola e da tre pistoni. Tromba, (vedi anche capitolo 1, paragrafo 1.8), della famiglia degli ottoni, dal suono squillante, in grado di produrre i suoni più acuti tra gli stessi ottoni. Trombone, della famiglia degli ottoni, caratterizzato da un’imboccatura ampia, il cui corpo può essere costituito in due modi del tutto diversi: da tre pistoni, come la maggior parte degli altri ottoni, oppure da una coulisse, un tubo movibile a forma di U, che viene allungato e accorciato continuamente dal braccio destro dello strumentista. Flicorno, appartenente alla famiglia degli ottoni, di cui esistono anche qui le quattro varianti (soprano, contralto, tenore, baritono) che differiscono per il timbro sempre più grave. Possono essere costituiti da tre o quattro pistoni. Tuba, della famiglia degli ottoni. E’ lo strumento in grado di produrre i suoni più gravi fra tutti gli strumenti (e relativi registri) della banda. E’ l’equivalente del contrabbasso delle grandi orchestre sinfoniche. Percussioni, la grande famiglia che accomuna i vari strumenti suonabili per percussione diretta dello strumento da parte di bacchette in legno o delle mani stesse dello strumentista. I più usuali sono la batteria, i timpani, i vari tipi di xilofoni, la grancassa, i piatti e una serie di altri strumenti di uso limitato (triangolo, windbells, bonghi, maracas, nacchere, ecc) Questa è la banda come noi oggi la conosciamo. Ma non è sempre stato così. All’origine dello stesso vocabolo “banda” vi è un contesto militare: le “bande” in origine erano dei raggruppamenti di un certo numero di soldati. L’accezione musicale di banda è comparsa solo in seguito, per lenta derivazione, dato che in ogni esercito uno di questi raggruppamenti citati era costituito da primitivi musicisti che, con squilli di tromba e rulli di tamburi, erano in grado di conferire un determinato ritmo alla marcia dei soldati e ad incitarli durante il combattimento. Già nel periodo in cui l’Impero Romano si trovò al culmine della sua gloria e potenza, esistevano piccole corporazioni di musicisti, i cosiddetti “tibicini”. I tibicini erano un’associazione di uomini che suonavano il flauto, che accompagnavano le cerimonie funebri e le scene di azione all’interno delle rappresentazioni teatrali. Alcuni erano al servizio dello stato, i più a disposizione di chiunque li richiedesse per l’accompagnamento musicale di manifestazioni di carattere privato. Con la successiva nascita dei comuni e sull’esempio delle corti feudali, iniziarono a formarsi delle piccole corporazioni di musicisti stipendiati. La più antica di queste corporazioni fu la Filarmonica dei Laudesi, attiva a Firenze fin dai primi anni del 1200. Tuttavia, anche in questa epoca, la maggior parte dei gruppi formati da suonatori di tuba, trombe e tamburello conservava ancora un carattere militare: il loro compito era quello di accompagnare gli eserciti dei vari comuni alla 22 battaglia. In tutta la Penisola Italiana sorsero queste piccole formazioni, dai vari centri della Toscana allo Stato Pontificio, da Napoli alle grandi corti del Nord Italia, come Bologna, che poteva vantare per sé l’organizzazione di veri e propri concerti, e Venezia, dove nacquero persino i primi concorsi musicali. Anche nel resto d’Europa, iniziarono a formarsi dei piccoli gruppi: nella Francia precedente all’ascesa di Luigi XIV, i grandi generali assoldavano uomini che accompagnassero i soldati nel combattimento e che li rallegrassero nei periodi di riposo. Francesco I stabilì che, nell’esercito, ogni mille uomini fossero presenti quattro suonatori di tamburi e due di pifferi. Emblematico è anche il caso di Vienna: qui, fin dal 1288, esisteva una corporazione di musici girovaghi posti sotto la protezione di un potente conte austriaco. Seguendo questo esempio, si vennero a creare bande di musicanti municipali (composte da pifferi, flauti, cennamelle o pive, viole, tamburi e trombe) che sarebbero state il germe delle moderne bande di oggi. Intanto, in tutti i principali centri d’Italia si iniziarono a tenere veri e propri concerti di bande dirette da un suonatore di tromba o trombone. A Roma esistevano tre formazioni bandistiche diverse, tra le quali il concerto Capitolino, che, dalla metà dell’Ottocento, diverrà Banda di Roma. A partire dal 1700, si iniziarono a formare bande non a scopi militari, formate cioè da civili che progressivamente incominciarono ad inserire nuovi strumenti all’interno delle proprie compagini, come il fagotto e l’oboe. Si trattava di una lenta evoluzione tecnica e una volonterosa elaborazione individuale, che porterà verso la fine di quel secolo alla divisione tra bande civili e bande militari. Nel 1763, per ordine di Federico di Prussia, si arrivò a stabilire un organico ben definito per le bande musicali: esse avrebbero dovuto essere composte da due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti, uno o due flauti, una o due trombe, controfagotto e serpentone. Inoltre, sempre per questa stessa riforma, si ha un repentino cambio di genere: infatti, si stabilì che le bande non dovessero più suonare musica da camera scritta appositamente per strumenti a fiato, ma marce, determinando così una sorta di ritorno alla funzione originaria della banda, ossia quella militare. Anche la rivoluzione francese contribuì ad accelerare l’evoluzione della banda: nel luglio 1794, in occasione della traslazione del corpo di Voltaire al Pantheon, la banda della Guardia nazionale eseguì alcuni pezzi, per i quali si prevedeva l’uso di tromboni, rullante, grancassa e altre percussioni mai usate prima. Sempre in Francia, qualche anno dopo, nel 1845, le musiche militari ottennero un grande incremento grazie alle riorganizzazioni introdotte da un grande fabbricante di strumenti belga, Adolfo Sax, da cui nascerà successivamente il saxofono. Per quanto riguarda l’Italia, le bande militari continuarono a rimanere trascurate, tanto che nel 1867, in occasione di una gara europea di bande tenutasi in Francia, nessun corpo musicale italiano prese parte all’evento. Intanto, nell’Italia Unita, continuavano a diffondersi le bande civiche, quasi sempre come derivazione di bande sorte per la Guardia Nazionale. 23 Tuttavia, è proprio in Italia che prende il via l’ultima e più grande riforma che coinvolge il mondo bandistico, che portò a fissare l’organico della banda che ancora oggi, generalmente, viene rispettato: il Maestro Vessella, nel 1885, con l’assunzione del nuovo incarico di direttore della Banda di Roma, aggiunse gli strumenti che mancavano nel vecchio organico (ossia clarinetti, clarinetto basso, tromboni, contrabbassi, flicorni e timpani) e regolamentò il numero di corni e trombe. Questo di Roma fu il primo esempio di formazione regolare d'un complesso bandistico moderno, che venne presentato per la prima volta al pubblico nell’aprile 1886, dove si esibì in una composizione scritta dallo stesso Vessella, la prima composta tenendo in considerazione la nuova formazione della banda. Per quanto riguarda le bande militari italiane, una loro regolamentazione fu possibile solo nel 1901, quando una specifica commissione affrontò per prima cosa un confronto tra la vecchia e la nuova organizzazione delle bande in senso generale: questo confronto diede prova della superiorità della nuova organizzazione elaborata da Vessella. Così, vennero create diverse bande militari, equiparabili, sul piano del suono e della bravura dimostrata, alle formazioni militari degli altri Paesi europei. Nel 1920, però, per ragioni economiche, si stabilì che ogni corpo d’armata avesse una sola banda militare. Fu per questa ragione che le varie formazioni dello stesso corpo d’armata furono unificate in una sola formazione, il cui accesso venne da allora regolato tramite concorso pubblico. Al momento, la più celebre formazione musicale militare italiana è la Banda dell’Arma dei Carabinieri, conosciuta per le sue esibizioni nelle varie piazze d’Italia e del mondo. Per quanto riguarda, invece, le bande civili, occorre sottolineare che, fino a qualche decina di anni fa, il loro repertorio (sia che si trattasse di una sfilata, sia di un concerto) si basava esclusivamente su marce, genere di composizione musicale caratterizzato da un tempo fisso, il 2/4 (che permette una corretta scansione del passo a cui attenersi), oltre che dall’uso di tonalità maggiori, che determinano un suono più allegro e scherzoso. Solo lentamente e in questi ultimi anni, è iniziata la trascrizione per banda di alcune famose opere liriche piuttosto che di altri generi, come la musica leggera, la musica pop, la canzone napoletana, le colonne sonore e molto altro ancora. [Nella foto, una banda musicale civile di inizio secolo] 24 [In queste foto, l’evoluzione della banda di Feletto Canavese, dove si nota lo sviluppo della stessa idea di concerto. Nella foto in alto, un concerto tenuto negli anni ’50 nella Piazza del Paese. In basso, il concerto di sole colonne sonore tenuto nel Novembre 2009 al teatro S. Giuseppe di Torino, sotto la direzione di Michael Giacchino, Premio Oscar per la miglior colonna sonora nel 2010] 25 Bibliografia G. Parodi, M. Ostilli, G. Monchi Onori, L’evoluzione della Fisica, Paravia, 2006 N. Abbagnano, G. Fornero, La filosofia, Paravia, 2009 P. Boggiatto, E. Carypis, A. Oliaro, Segnali e Partitura musicali, Dipartimento di Matematica, Università di Torino Sitografia http://it.wikipedia.org/ http://www.teatroregio.torino.it/ http://www.to.archiworld.it/OTO/ http://www.scs-controlsys.com/pdf/docs/DaroCernigliaGaloppini.pdf http://www.treccani.it/enciclopedia 26 27