segnali sonori e musica - Istituto di Istruzione Superiore "Aldo Moro"

ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE
Liceo Scientifico
Istituto Tecnico Industriale
ALDO MORO
Via Gallo Pecca n. 4/6
10086 RIVAROLO CANAVESE
ANNO SCOLASTICO 2013/2014
ESAME DI STATO
Marco Coha
Classe V E
Sezione Scientifica
SEGNALI SONORI E MUSICA
INDICE
ABSTRACT ITALIANO ……………………………………………………………... pag. 3
Capitolo 1 – Principi fisici alla base dei segnali sonori e la fisica degli strumenti
1.1 - COS’È UN SEGNALE SONORO………………………………………..………… pag. 6
1.2 - CLASSIFICAZIONE DEI SEGNALI SONORI .…………………………….……….
pag. 7
1.3 - PROPRIETÀ DELLE ONDE SONORE …………………………………...……...... pag. 8
1.4 - LA SENSAZIONE SONORA …………………………………………………….. pag. 8
1.5 - DAI SEGNALI SONORI ALLA MUSICA .………………………….……………... pag. 9
1.6 - LA FISICA DEGLI STRUMENTI …………………………………...……..…....... pag. 10
1.7 - GLI STRUMENTI A FIATO ……………………………………………………... pag. 12
1.8 - LA TROMBA ………………………………………………………………….. pag. 13
Capitolo 2 – Influenze musicali nell’architettura e nella storia
2.1 - LA MUSICA TRA PRESENTE E PASSATO…………………………………..……
pag. 16
2.2 - MUSICA E ARCHITETTURA: IL TEATRO REGIO DI TORINO..…………………... pag. 17
2.3 - LA MUSICA NELLA STORIA: L’EVOLUZIONE DEI CORPI BANDISTICI………....... pag. 21
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ……………………………………………………...
2
pag. 26
ABSTRACT ITALIANO
Nelle pagine che seguono verranno approfondite alcune tematiche inerenti al tema
“Segnali sonori e Musica”.
I motivi per cui, personalmente, ho deciso di costruire un elaborato sul mondo della
musica sono molteplici: primo fra tutti, il fatto che la musica abbia accompagnato il mio
cammino di crescita sin da quando ero un bambino iscritto alla scuola primaria. In molti
periodi bui, la musica, metaforicamente, mi è stata vicino e mi ha aiutato a sopportare
alcune problematiche che la vita mi aveva posto.
In secondo luogo, ho deciso di parlare di musica per approfondire le mie conoscenze
in questo campo: prima di iniziare la ricerca che ha successivamente portato alla stesura di
questo testo, ero convinto che la musica fosse solo un’arte, forse, come sosteneva
Schopenhauer, l’arte più profonda e universale, “una metafisica in suoni […] capace di
metterci in contatto, al di là dei limiti della ragione, con le radici stesse della vita e
dell’essere”. Ora, alla fine di questa mia ricerca, posso vedere chiaramente come la musica
possa essere compresa all’interno di qualsiasi campo della vita e della conoscenza umana: la
musica permea la letteratura (italiana e straniera), le scienze (come la fisica e la
matematica), la storia, la filosofia, l’arte in generale. Sono, in altre parole, giunto ad
ampliare le mie conoscenze in campo musicale e la mia stessa concezione di musica. E’,
comunque, meglio precisare che di tutti questi campi in cui la musica irrompe con il proprio
bagaglio di emozioni, ho scelto di trattare solo di alcuni (principalmente per motivi di
sintesi), ossia di quelli che più si avvicinano alla mia personalità, per così dire, pratica e
volta all’osservazione più del concreto che dell’astratto.
In terza istanza, un’ulteriore motivazione che mi ha spinto a parlare di musica in
questa sede è la mia opinione personale, secondo cui, nel mondo odierno, la musica debba
essere rivalutata. Per quanto mi riguarda, la musica dovrebbe essere fatta oggetto di studio
nelle scuole italiane. Oggi non esistono più grandi compositori conosciuti da tutti in tutto il
mondo e, sempre più, al posto dell’armonia, caratteristica originaria della musica almeno
nella sua fase iniziale, gli artisti dei nostri giorni cercano la dissonanza o altri effetti estranei
alla corretta concezione di musica degli uomini del passato. Spero che il popolo italiano
sappia recuperare e rivalorizzare il proprio patrimonio musicale parimenti a quello artistico:
è un peccato che la terra in cui nacquero i più grandi architetti, scultori, pittori, musicisti
richiesti in tutto il mondo per la loro bravura, la terra che attualmente ha il maggior numero
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di siti riconosciuti dall’UNESCO finisca per non considerare questa sua importante
ricchezza, probabilmente, in questo periodo di crisi, la più importante.
Per quanto concerne la trattazione, non ho incontrato difficoltà particolari nel capire e
nel rielaborare i concetti contenuti nei vari libri, presentazioni multimediali e siti internet
che ho usato come fonti e che vengono puntualmente citate nella sezione “Bibliografia e
Sitografia”. Spero che anche chi avrà il compito di leggere questo mio elaborato non
incontri difficoltà nella comprensione degli argomenti trattati, talvolta un po’ difficili a
causa della complessità dell’argomento scelto (in particolare per chi non si interessa
quotidianamente di musica) e della necessità di sintetizzare in poche pagine ciò che avrebbe
dovuto occupare molto più spazio.
Riguardo ai contenuti approfonditi, inizieremo soffermandoci sugli elementi che
stanno alla base di qualunque suono, ossia i segnali sonori e le loro caratteristiche. Più
segnali sonori, infatti, sono i costituenti di ciò che noi comunemente chiamiamo “musica”.
Dopo aver analizzato le proprietà di questi segnali, proveremo a cercare una connessione tra
concetti fisici e note musicali, scoprendo che il nesso ricercato risiede nella differenza di
frequenza delle onde sonore. Avendo ricavato tutte le sette note musicali e le loro cinque
alterazioni come rapporti tra numeri interi, saremo in grado di trattare un argomento più
complesso, la fisica alla base degli strumenti musicali, prendendo in maggior
considerazione gli strumenti a fiato e, ancor più in particolare, la tromba, scelta dovuta al
fatto che è lo strumento per cui ho studiato e continuo a studiare.
Tutto questo è ciò che sta alla base delle teorie fisiche riguardanti la musica e, in
modo particolare, i segnali sonori. Il nostro elaborato procederà mostrando come, appunto,
la musica influenzi profondamente molti aspetti della nostra vita presente e passata.
Mostreremo il profondo legame che unisce la musica e l’architettura, analizzando l’acustica
di uno dei teatri più conosciuti a livello nazionale e internazionale: il Teatro Regio di
Torino. Nello specifico, vedremo come la struttura architettonica dei moderni teatri sia
funzionale alla creazione delle migliori condizioni di propagazione del suono in tutte le
direzioni. Analizzeremo, infine, la stretta relazione che si instaura tra la musica e alcune
epoche della storia italiana e mondiale, seguendo l’evoluzione nel corso della storia di una
particolare formazione musicale: la banda musicale.
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Capitolo
1
Principi fisici alla base dei segnali sonori e la fisica degli strumenti
1.1 – Che cos’è un segnale sonoro
Iniziamo la nostra trattazione provando a spiegare cosa si intende per “segnale sonoro”. Per
giungere a questo obbiettivo, consideriamo un esempio pratico. Immaginiamo due persone
che stanno parlando tra loro. La comunicazione orale sappiamo che avviene per mezzo della
trasmissione di un segnale vocale da “chi parla” a “chi ascolta”. Il segnale viene generato
tramite il sistema di produzione della voce, costituito dall'insieme degli organi di fonazione
come la lingua, le corde vocali, i polmoni, ecc., grazie al quale “chi parla” induce una
variazione nella pressione dell'aria: tale variazione costituisce il “segnale vocale”
propriamente detto. Se volessimo rappresentare su un grafico matematico ciò che abbiamo
appena enunciato, si otterrebbe un risultato simile a quello riportato in figura qui sotto
(Figura 1.1):
dove la distanza tra il punto A e il punto B rappresenta la distanza reale tra i due
interlocutori. La persona che si trova nel punto A (in questo caso, per convenzione, la
persona che sta parlando) genera una variazione di pressione acustica dell’aria,
rappresentabile come una specie di onda che parte da A e si dirige verso B. In altri termini,
l’onda si sposta lungo l’asse dello spazio e, solo dopo aver attraversato l’intervallo che
separa i due interlocutori, giunge all’orecchio della persona situata nel punto B. E’ altresì
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importante notare che l’altezza a cui si trova il grafico è (in linea generale) del tutto
arbitraria, in quanto dipende dalle condizioni in cui si considera la pressione.
Pertanto, da quanto emerge dalla Figura 1.1, un qualsiasi segnale sonoro, dal punto di vista
fisico-matematico, è rappresentabile in un grafico pressione-spazio ed è descritto da una
funzione sinusoidale. Ciò significa che il suono è un fenomeno di tipo ondulatorio, come,
del resto, ci viene suggerito quando si sente parlare di “onda sonora” o di “suono
armonico”. Più precisamente, un segnale sonoro può essere definito come l’insieme delle
perturbazioni meccaniche che, modificando la densità dell’aria (o, in generale, del mezzo in
cui si propagano), creano successive compressioni e decompressioni trasportando l’energia
meccanica secondo le modalità dell’onda longitudinale, dove per onda longitudinale si
intende un’onda la cui direzione di propagazione è sempre parallela ai movimenti
complessivi delle molecole che costituiscono il mezzo stesso.
1.2 – Classificazione dei segnali sonori
Nello studio dei segnali sonori è utile ricorrere ad una sorta di classificazione, basata
sull’osservazione di caratteristiche comuni che distinguono alcuni segnali da altri. Si
possono, perciò, avere più criteri di classificazione. In questa sede, ne prenderemo in
considerazione due, che hanno come loro criterio-base la periodicità del segnale (primo
caso) e la sua morfologia (secondo caso).
La prima suddivisione, la più naturale, è quella che separa i segnali periodici dai segnali non
periodici, dove:
-
-
Per segnali periodici si intendono quei segnali il cui andamento si ripete dopo un
determinato intervallo di tempo detto periodo e indicato con T. Questo significa che,
applicando una traslazione verso destra o verso sinistra di un vettore v(T;0), si otterrà
un grafico perfettamente sovrapponibile a quello di partenza.
Per segnali non periodici si intendono quei segnali il cui andamento non rispetta
alcun tipo di regolarità e per cui non si riesce ad individuare un periodo T.
La seconda suddivisione (detta classificazione morfologica) prende in considerazione il
grafico pressione-spazio di cui prima si è parlato analizzando dal punto di vista matematico
il suo dominio e il suo codominio.
-
-
In base al dominio, distinguiamo i segnali in:
o Segnali continui: funzioni che hanno come dominio tutto l’asse x, ossia
l’insieme dei numeri reali.
o Segnali discreti: funzioni che hanno come dominio l’insieme dei numeri interi
In base al codominio, distinguiamo i segnali in:
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o Segnali ad ampiezza continua: hanno come codominio l’insieme dei numeri
reali.
o Segnali ad ampiezza discreta: hanno come codominio un insieme finito
1.3 – Proprietà delle onde sonore
Poiché un segnale sonoro è un fenomeno ondulatorio, sono valide tutte le leggi legate ai
fenomeni delle onde in generale, ossia alcune loro proprietà come la riflessione, la
diffrazione, la rifrazione, il principio di sovrapposizione e molte altre. In questa sede,
analizzeremo in particolare la riflessione e la diffrazione, in quanto queste due proprietà
sono le più usate e le più conosciute.
Per quanto riguarda la riflessione, nel caso delle onde sonore, essa dà origine all’eco, il
fenomeno che possiamo facilmente constatare quando, per esempio, urliamo una frase di
fronte ad una parete rocciosa e possiamo riascoltare nitidamente le parole che abbiamo
pronunciato. Il termine “eco” è anche spesso usato come prefisso in riferimento a quegli
strumenti o attività che utilizzano come principio base quello della riflessione delle onde
sonore, come nei campi della medicina (quando si sente parlare di ecocardiogramma,
ecografia, ecc.) e della navigazione (quando si sente dire che le navi sono munite di
ecoscandaglio, detto anche SONAR).
Tutti questi strumenti utilizzano frequenze sonore del campo degli ultrasuoni, affinché gli
effetti della diffrazione siano limitati. Si definisce diffrazione la capacità di un’onda
qualsiasi di attraversare un ostacolo modificando la sua traiettoria di propagazione, senza
però che l’onda ritorni indietro (fenomeno di riflessione). Per capire meglio quanto detto,
consideriamo un esempio che ci viene riportato dalla natura. Il pipistrello (il quale non è
dotato di vista) si orienta e riesce ad evitare ostacoli anche di piccole dimensioni grazie alla
sua capacità di emettere onde sonore. Tuttavia, perché questo possa avvenire, il pipistrello
deve emettere onde sonore di lunghezza d’onda con ordine inferiore alla dimensione
dell’ostacolo naturale da evitare. Se l’ordine di grandezza delle lunghezze d’onda delle onde
emesse fosse maggiore o uguale alle dimensioni dell’ostacolo da superare, esse lo
aggirerebbero, comportando seri rischi alla vita di questo animale.
1.4 – La sensazione sonora
Abbiamo già detto che i suoni che noi sentiamo sono dovuti ad una variazione di pressione.
Le variazioni di pressione che generano onde udibili dall’uomo sono molto piccole rispetto
ai valori della pressione atmosferica (105 Pa): la soglia di udibilità, ossia il suono più debole
che un uomo possa sentire, corrisponde alla pressione (indicabile con P0) di 20.10-6 Pa,
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mentre la soglia del dolore, corrispondente al suono più forte oltre al quale si possono avere
gravi danni all’udito, corrisponde ad una pressione di 20 Pa.
L’intervallo tra i due estremi copre, dunque, ben sei ordini di grandezza. Per questo motivo,
per esprimere la pressione della vibrazione sonora si utilizza non una scala lineare, bensì
una scala logaritmica, che prende il nome di scala dei decibel (dB), che consente di
contenere i valori compresi tra la soglia di udibilità e quella di dolore nell’intervallo
compreso tra 0 e 120 dB. La relazione tra la misura in decibel e la pressione è data
dall’equazione:
X = 20.log10 (P/ P0)
dove X rappresenta la misura in decibel, P la pressione di vibrazione sonora di un certo
segnale sonoro e P0 la pressione riferita alla soglia di udibilità. E’ evidente che:
-
se P = P0 = 20.10-6 Pa (soglia di udibilità), allora X = 0 (perché log10 1 = 0),
se P = 20 Pa (soglia del dolore), allora X = 120 (poiché log10 106 = 6)
Alcuni esempi:
-
una normale conversazione tra due persone corrisponde a circa 40 dB
il rumore del traffico urbano può arrivare anche a 80 dB
un martello pneumatico o la musica in una discoteca corrisponde a circa 120 dB
il rumore di un aereo in fase di decollo arriva a toccare il valore di 140 dB.
1.5 Dai segnali sonori alla musica
Fino ad ora, ci siamo occupati di segnali sonori in generale. Ora vorremmo applicare queste
teorie fisiche (dette, anche, leggi dell’acustica) al campo della musica.
Prendiamo in considerazione lo strumento più elementare, il diapason (mostrato
in figura), uno strumento che, in qualunque punto venga percosso con un
martelletto, emette un suono detto “suono puro”. Questo suono puro ha una
frequenza ben definita, pari a 440 Hz, e la sua funzione d’onda ha una sola
componente sinusoidale a quella frequenza. In musica, al suono del diapason (e
quindi a f = 440 Hz) si associa la nota denominata La. Si dà lo stesso nome di La
a tutti quei suoni ottenuti moltiplicando o dividendo questo valore di f per un
multiplo di 2. Infatti, questo risulta ben evidente se consideriamo il caso di una
chitarra: se faccio vibrare una delle sei corde che la compongono, ottengo un
suono; se poi posiziono una delle mie dita esattamente a metà di quella stessa
corda che ho suonato prima, si ottiene un suono più acuto ma della stessa
armonica, dove per armonica si intendono le frequenze il cui valore è multiplo
intero della frequenza base di un'onda.
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Dal La, ricavo tutte le frequenze delle altre note (Do, Re, Mi, Fa, Sol, Si) e delle alterazioni
(Do#, Re#, Fa#, Sol#, La#) come rapporti fra numeri interi. Accostando le note naturali, si
viene a creare una scala naturale musicale, detta così perché rispecchia una particolare
successione di suoni, costruita aiutandosi con un diapason, partendo dal primo grado della
scala (detto Do, con f = 256 Hz), da cui si derivano tutti gli altri suoni tramite l’applicazione
di rapporti razionali. Quindi la scala naturale musicale è formata dalla successione delle
sette note senza alterazione: Do – Re – Mi – Fa – Sol – La – Si – Do.
La scala naturale non è, però, una successione lineare di valori delle frequenze, ossia la
differenza tra le frequenze di due note vicine è differente da quella esistente tra altre due
note vicine. In particolare, la differenza tra le frequenze delle coppie
Mi-Fa e Si-Do è di lunga inferiore rispetto alla differenza tra le altre
coppie. Questo è ben visibile se si osserva l’immagine a lato, che
riporta la tastiera di un pianoforte: infatti, come si può notare, in due
casi (corrispondenti alle coppie citate prima), non è presente il tasto
nero che nella maggior parte dei casi sta a metà tra due tasti bianchi.
Gli intervalli tra Mi-Fa e Si-Do sono, perciò, detti semitoni, mentre
gli intervalli tra le altre coppie di note sono detti toni.
Tuttavia, se è vero che la differenza tra le frequenze di due note contigue non è costante,
risulta invece costante il rapporto tra le frequenze delle note separate da un tono di
differenza. Tale rapporto è di circa 1,11. Analogamente, è costante il rapporto tra le
frequenze delle note separate da un semitono di differenza, dove questo rapporto vale 1,065.
Tale scala ha, però, un limite fondamentale: essa non esaurisce tutti i suoni possibili in
natura. Infatti, come già accennato prima, esistono anche delle alterazioni, indicate con il
simbolo # (che si legge diesis) oppure b (che si legge bemolle), corrispondenti ai tasti neri
che si trovano sulla tastiera del pianoforte. Nell’antichità il problema non venne affrontato,
in quanto le alterazioni erano usate di rado e solamente nel canto gregoriano, mentre non
erano mai utilizzate nelle ballate. Solo con l’avvento della polifonia si iniziò a studiare e
costruire le alterazioni in modo tale che il rapporto tra due semitoni fosse sempre costante.
Questo portò all’idea che, tra una nota e la sua ottava superiore, si potesse dividere tale
intervallo in 12 parti, secondo una progressione geometrica, in modo da formare la
cosiddetta scala temperata, che include tutti i suoni possibili nell’intervallo tra due note con
lo stesso nome. Perciò la successione della scala temperata è:
Do – Do# - Re – Re# - Mi – Fa – Fa# - Sol - Sol# - La - La# - Si – Do
1.6 – La fisica degli strumenti musicali
Gli strumenti musicali sono un esempio di applicazione, avvenuta fin dall’antichità, dei
principi fondamentali della fisica delle onde meccaniche. La creatività umana è riuscita a
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produrre oggetti in grado di emettere suoni piuttosto rari in natura se si considera che essa
produce in prevalenza rumori.
In linea generale, gli strumenti musicali sono dispositivi basati sulla capacità di un sistema
di trasformare una certa quantità di energia, ricevuta dall’esterno, in energia oscillante e di
irradiarne una parte nell’ambiente circostante sotto forma di variazioni oscillatorie della
pressione atmosferica. Queste vibrazioni (come già detto all’inizio) raggiungono l’orecchio
e danno luogo alla percezione sonora. Per ogni strumento musicale, possiamo distinguere
due componenti fondamentali: il generatore di vibrazioni e l’eccitatore.
Il generatore di vibrazioni può essere un corpo vibrante (corda o membrana) o una cavità
risonante, per esempio un tubo. La capacità di vibrare dei corpi vibranti è dovuta
all’elasticità di cui sono dotati. L’ eccitatore è, invece, il dispositivo che trasferisce l’energia
al generatore di vibrazioni. A seconda dello strumento considerato, si possono distinguer più
eccitatori. Alcuni esempi possono essere:
-
le dita delle mani, i plettri, gli archi nel caso di strumenti a corda
le bacchette in legno, per gli strumenti a percussioni
l’aria, per gli strumenti a fiato
Esiste, poi, una terza componente caratteristica di ogni strumento, che viene detta adattatore
energetico. L’adattatore energetico fa in modo che l’energia acustica sviluppata dallo
strumento musicale venga irradiata il più possibile all’aria circostante e possa così
raggiungere gli ascoltatori. Esempi ne sono, per gli strumenti costituiti da corde, la tavola
armonica, posta sempre nelle vicinanze delle corde (subito sotto ad esse nelle chitarre e nei
pianoforti, alla base di queste nelle arpe) o, per gli strumenti a fiato, il tubo stesso in cui si
immette aria.
Abbiamo visto che i vari strumenti possono essere distinti a seconda del generatore,
dell’eccitatore e dell’adattatore che gli sono propri. Ma cos’è che permette di distinguere
realmente due strumenti diversi tra loro? Infatti, due strumenti, anche se possono emettere
suoni della stessa frequenza, possono in ogni caso venir sempre distinti. La risposta
all’interrogativo che ci siamo posti sta nella definizione di timbro: la peculiarità di ciascun
strumento musicale, compresa la voce umana, risiede nella composizione dell’onda
risultante, formata da un certo numero di armoniche superiori rispetto a quella
fondamentale. Tale caratteristica è, appunto, il timbro. Il timbro,
dunque, è il carattere che permette di distinguere suoni provenienti
da sorgenti diverse e, quindi, di riconoscere lo strumento musicale o
la voce che li ha prodotti. Suoni di timbro diverso, poiché
determinati da più armoniche, differiscono per la forma dell’onda,
come si deduce dalla figura a lato.
In conclusione, possiamo affermare che:
-
La produzione del suono si basa sulle proprietà elastiche dei
materiali che permettono loro di vibrare secondo frequenze caratteristiche.
Possiamo produrre suoni facendo vibrare , cioè applicando un impulso e fornendo
loro “energia di vibrazione”, corde , tubi o membrane tese.
La qualità (o timbro) del suono prodotto dipende dall’oggetto che lo produce.
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1.7 – Gli strumenti a fiato
Gli strumenti musicali possono essere ricondotti a tre famiglie principali:
-
Strumenti a corda, se il generatore di suono è costituito da corde tese.
Strumenti a fiato, se l’aria è messa in vibrazione all’interno di un tubo o un’altra
cavità.
Strumenti a percussioni, se a vibrare è una membrana o il corpo stesso.
Strumenti elettrofoni, se sfruttano l’energia elettrica per generare suoni o
amplificarli.
In questa sezione, ci dedicheremo allo studio degli strumenti a fiato e, in particolare, della
tromba.
Alla base dell’emissione di suoni negli strumenti a fiato risiede una particolare proprietà
dell’aria: la sua elasticità. Proviamo a fare un piccolo esperimento: prendiamo una pompa
simile a quelle usate per gonfiare le gomme di una bicicletta, e tappiamo l’estremità da cui
dovrebbe uscire l’aria. Se ora spingiamo verso il basso il pistone posto all’altra estremità,
questo tende a tornare alla posizione di partenza, comportandosi allo stesso modo di una
pompa. Ecco perché possiamo affermare che l’aria è elastica. Proprio per questa proprietà,
se soffiamo in una bottiglia, ne esce un suono.
La differenza principale che contraddistingue gli strumenti a fiato dagli altri strumenti è che,
in questo caso, non è il corpo stesso dello strumento a vibrare (come avviene nelle corde
della chitarra o del pianoforte e nelle membrane, o pelli, degli strumenti a percussione), ma
l’aria che circola all’interno. Le pareti dello strumento, allora, servono solo più come mezzo
per contenere una colonna d’aria messa in circolo dal fiato dello strumentista.
Un’altra importante considerazione va fatta per l’altezza del suono. Per altezza si intende il
carattere che distingue i suoni gravi da quelli acuti. Suoni di altezza diversa corrispondono a
frequenze sonore diverse. Negli strumenti a fiato, per innalzare l’altezza di una nota è
sufficiente uno di questi due metodi:
-
Ridurre la lunghezza del tubo in cui viene immessa l’aria.
Diminuire la lunghezza efficace del tubo aprendo dei fori tonali lungo la parete,
come mostrato in figura.
Lunghezza
efficace
della canna
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La lunghezza utile della canna diventa sempre più corta quanto più il foro tonale tenuto
aperto si sposta verso il centro della canna, raggiunto il quale la nota si innalza di un'ottava,
ossia raddoppia in frequenza, come già spiegato in precedenza quando si era presa in
considerazione una chitarra, della quale una corda
veniva “pizzicata” esattamente nel suo punto centrale
determinando un suono la cui frequenza era un multiplo
di due della frequenza originaria della corda vibrante.
Un esempio molto significativo di questo fenomeno è il
caso del trombone, mostrato nella figura a lato: questo
strumento è formato principalmente da un tubo a forma
di U, detto coulisse, che se allungato produce suoni
sempre più gravi, mentre se viene accorciato produce
dei suoni sempre più acuti, ossia di altezza maggiore,
proprio come avveniva nel semplice tubo considerato
precedentemente.
1.8 – La tromba
« Il primo musicista jazz fu un trombettista, Buddy Bolden, l'ultimo sarà un trombettista,
l'arcangelo Gabriele »
(Wynton Marsalis)
La tromba è uno strumento musicale a fiato appartenente alla famiglia degli ottoni, tra i
quali esso è lo strumento che suona nella parte più acuta del registro. La tromba,
nell’antichità, non nacque nella caratteristica forma che oggi possiamo vedere. Ciò è
probabilmente dovuto a difficoltà di fabbricazione insormontabili per gli uomini di quel
tempo. Infatti, sbagliando anche di un decimo di millimetro si può ottenere un suono
completamente diverso, oppure, sempre per piccole variazioni, lo strumento può risultare
non suonabile. E’ per questo motivo che in origine la tromba nacque come un tubo rettilineo
con campana ad un’estremità, molto simile, dunque, ad un clarinetto di oggi, anche se molto
più lungo. Ciò comportava, però, dei disagi per due problemi fondamentali: primo, era
alquanto difficile trasportare un oggetto di una così notevole lunghezza; secondo, non si
potevano eseguire tutte le note della scala naturale, ma solo quelle derivate dagli armonici
(l’insieme delle note accomunate da una stessa posizione) della nota fondamentale prodotta.
Per ovviare a questi due problemi, si pervenne alla forma tuttora conosciuta: il ripiegamento
del tubo su sé stesso permise il trasporto dello strumento (anche se accrebbe le difficoltà di
produzione), mentre l’introduzione dei pistoni (detti comunemente tasti, i quali permettono
allo strumentista di avere sette posizioni diverse con cui produrre le note) risolse il secondo
problema, permettendo l’esecuzione delle sette note naturali e le loro cinque alterazioni.
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Ritornando a considerazioni di carattere fisico, il suono nella tromba viene prodotto dalla
vibrazione delle labbra dello strumentista a contatto con il bocchino (la prima parte dello
strumento), le quali emettono una specie di ronzio. Di per sé, con il solo bocchino si
riescono ad ottenere tutte le note musicali e le loro alterazioni, ma poiché il suono che ne
esce è particolarmente grezzo, il bocchino è associato all’amplificatore del suono, ossia la
tromba vera e propria, fino a giungere alla campana che, secondo quanto detto in
precedenza, è l’adattatore energetico. Prima di giungere alla campana, estremità finale dello
strumento, il suono percorre tutto il canneggio dello strumento, procedendo senza
deviazioni (nel caso in cui non si schiacci nessun pistone), oppure, nel caso in cui vengano
schiacciati uno o più pistoni, subendo deviazioni e, quindi, entrando nelle varie pompe
collegate ai pistoni sottoposti a pressione dallo stesso strumentista. Le posizioni possibili,
come prima accennato, sono sette e permettono la produzione di sette note diverse. Se, per
esempio, partiamo da un Sol e percorriamo le varie posizioni in ordine crescente (passando,
cioè, dalla prima alla settima) si ha:
Sol – Fa # - Fa – Mi – Re # - Re – Do #
Per suonare il Do, la nota immediatamente successiva al Do #, si ritorna alla prima
posizione (quella con cui si era già suonato Sol) e si riinizia la successione crescente delle
posizioni. La differenza tra due note suonate nella stessa posizione sta nell'apertura labiale,
nella portata del flusso d'aria e nella sua pressione.
Lo strumentista, nell’esecuzione dei brani proposti, dovrà anche far attenzione
all’intonazione rispetto agli altri strumenti con cui suona, intervenendo opportunamente con
la mano sinistra sulle pompe collegate ai pistoni. Nel caso in cui lo strumentista (tramite il
suo orecchio) si accorga di essere, per così dire, “stonato”, egli dovrà allungare o accorciare
le pompe legate ai singoli pistoni con l’obbiettivo di recuperare l’intonazione persa.
Essendo presenti tre pistoni, esistono tre pompe ad essi collegati su cui intervenire (di cui,
però, solamente due sono movibili) più una pompa generale, che viene mossa prima
dell’inizio di un concerto dal direttore d’orchestra nell’atto di “intonare” gli strumenti.
Riguardo al timbro dello strumento, sebbene si pensi che sia uguale per ogni tromba presa in
considerazione, ciò non è così. Infatti, metodi di fabbricazione e materiali diversi danno
origine a trombe con timbri diversi, sebbene ciò sia poco percettibile. Il fattore più
importante è sicuramente il metodo di saldatura della campana al corpo cilindrico ad essa
precedente: più la saldatura della campana avviene a maggior distanza da questa, maggiore
sarà la risonanza e superiore la resa sonora. Il prezzo di vendita di una tromba è quasi
unicamente legato a questo fattore. Tuttavia, come detto anche i materiali utilizzati
concorrono a determinare il timbro caratteristico di un particolare tipo di tromba.
Attualmente, esistono tre tipi di trombe:
-
Quelle leggere, generalmente laccate, caratterizzate da notevole velocità del flusso
dell'aria e maggiore facilità di esecuzione, che permettono la produzione di suoni più
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-
-
squillanti e avvertiti a maggior distanza (caratteristiche molto utili se si suona in
ambienti esterni)
Quelle pesanti, generalmente argentate, caratterizzate dalla necessità di un flusso
d'aria maggiore e quindi da una maggiore difficoltà a produrre suoni, da timbri meno
squillanti ma di gran lunga più espressivi, con ampie possibilità di variazioni
timbriche e dinamiche del suono, il che consente di raggiungere la massima intensità
dei suoni.
Quelle in rame, caratterizzate dal tipico colore rossiccio del rame, accomunate da
timbri più caldi ed espressivi, molto apprezzate dagli strumentisti, ma molto meno
comuni delle altre due, anche per l’ingente costo di produzione.
Infine, da un punto di vista storico, la tromba è uno dei più antichi strumenti musicali
esistenti, usata anche da popolazioni molto antiche (per impartire segnali di guerra o per
annunciare le festività). E’ presente anche in molte citazioni bibliche, anche se, in questo
caso, si parla di strumenti molto differenti da quelli da noi oggi conosciuti. E’ inoltre
elemento costituente di quasi tutte le formazioni musicali.
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Capitolo 2
Influenze musicali nell’architettura e nella storia
2.1 - La musica tra presente e passato
Fino a questo punto, abbiamo visto come l’emissione di suoni e la conseguente creazione di
un brano musicale possa essere spiegata con le leggi della fisica classica. Ora il nostro
obiettivo sarà capire l’importanza che la musica ha esercitato e continua ad esercitare su
altri settori del nostro vivere quotidiano.
Nel mondo di oggi, ascoltare musica è molto semplice: basta comperare un cd, andare su un
sito internet adibito all’ascolto di musiche e canzoni, accendere una radio, andare ad un
concerto di qualche artista o gruppo, oppure andare ad una qualunque festa organizzata, e
così via. Proprio in questo consiste la fortuna delle persone dei nostri giorni: poter ascoltare
la canzone che si vuole sentire, in qualunque momento, in qualsiasi posto in cui ci si trova,
spendendo, in certi casi, nulla.
Questa è la caratteristica, però, che più ci allontana dal mondo degli antichi. In origine, la
musica serviva come accompagnamento al canto degli aedi, come per esempio Omero, il
famoso cantore “cieco”. Con l’affermarsi delle prime religioni, il canto e il suono prodotto
da primitivi strumenti (come il flauto, ricavato con estrema facilità da una canna di legno
qualsiasi) divennero elementi fondamentali dei riti sacri che venivano celebrati.
Parallelamente, nacquero i primi prototipi di corni, chiamati così perché venivano ottenuti
dalla lavorazione delle corna di alcuni capi di bestiame, come le mucche e i tori, e usati
molto spesso in battaglia. Si potrebbe andare ancora molto avanti, parlando di come sono
nati gli altri strumenti a fiato, gli strumenti ad arco, quelli a percussione, ma tralasciamo per
ovvi motivi di sintesi.
Risulta, invece, fondamentale notare un fatto importante: chi suonava questi antichi
strumenti, non era certamente uno strumentista che avesse studiato musica e che venisse
pagato per suonare, ma, nella maggior parte dei casi, si trattava di uomini ai margini della
società che, per sopravvivere, si riducevano a chiedere l’elemosina in cambio di un po’ di
musica da loro prodotta (da cui si può notare che, per certi versi, lo scenario di oggi non è
poi molto diverso da quello di millenni di anni fa). La vera svolta e l’introduzione della
figura del musicista (ossia di un uomo che avesse le conoscenze per saper suonare uno
strumento, anche se tale figura non era ancora riconosciuta professionalmente e, di
conseguenza, nemmeno retribuita) avvenne con la nascita del teatro greco. Questo, tuttavia,
differiva molto dal concetto di teatro che noi possediamo. Da allora, infatti, il teatro fu
coinvolto in una serie di notevoli innovazioni (prima fra tutte, il passaggio dalla
rappresentazione in uno spazio aperto alla rappresentazione in uno spazio chiuso) che lo
portarono alla realtà che ancora oggi conosciamo. Il legame musica – rappresentazione
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teatrale andò sempre più consolidandosi, fino a raggiungere i massimi vertici, in Italia e in
Europa, nel XVIII e nel XIX secolo, con la produzione di grandi opere teatrali (ancora oggi
rappresentate) messe in musica da compositori del calibro di Rossini, Verdi, Puccini, Bach,
Mozart, Beethoven, Bizet, i vari componenti della famiglia Strauss, solo per citare alcuni
esempi.
Proprio per l’importanza che la musica stava acquistando all’interno delle rappresentazioni
teatrali, fu necessario lo studio di alcune soluzioni architettoniche le quali migliorassero
l’acustica dei teatri, al fine di rendere allo spettatore un suono sempre più fruibile e più
puro, in cui si potessero riconoscere le “voci” di ogni singolo strumento, evitando un
ammasso di suoni che andassero a sovrapporsi e che avrebbero comportato un netto distacco
dalla partitura originaria . Nacque proprio da questa esigenza il legame tra musica e
architettura che andremo ad approfondire meglio nel prossimo paragrafo, prendendo come
esempio un famosissimo teatro a noi molto vicino per collocazione geografica: il Teatro
Regio di Torino.
2.2 Musica e architettura: il Teatro Regio di Torino
Il Teatro Regio di Torino è uno dei più grandi e importanti teatri italiani, nonché molto
conosciuto a livello europeo e internazionale. L’impianto originario era profondamente
diverso da quello che vediamo oggi: infatti, nella notte tra l’8 e il 9 febbraio 1936, il Teatro
fu distrutto da un violento incendio. L’unica parte a noi rimasta della struttura originaria è la
facciata, iscritta dal 1997 nell’elenco dei beni protetti dall’Unesco, mentre l’interno fu
completamente trasformato dai lavori di ricostruzione che presero avvio nel 1967 per
concludersi solamente sei anni dopo nel 1973.
Il progetto di ricostruzione, in origine, venne affidato agli architetti Aldo Morbelli e
Robaldo Morozzo della Rocca, vincitori del concorso bandito nel 1937. Tuttavia, il loro
progetto, nonostante continui aggiornamenti e persino una cerimonia di posa della prima
pietra nel 1962, non giunse mai a realizzazione: l’amministrazione comunale, infatti, nel
1965 adottò una nuova soluzione, ossia affidare il progetto all’architetto Carlo Mollino,
affiancato da un nutrito gruppo di ingegneri, responsabili degli aspetti strutturali.
Carlo Mollino fu un uomo brillante e pieno di interessi: oltre ad
essere architetto, egli era anche fotografo, designer, aviatore e
pilota automobilistico. Personalità eclettica (da come si può
facilmente dedurre dalle sue innumerevoli passioni), fu anche
autore di alcuni volumi di architettura (Architettura, tecnica e
arte, 1948) e di altro genere, come per esempio il trattato
Introduzione al discesismo (1951), ossia un manuale per gli
sciatori dell’epoca, dal quale emerge tutta la sua personalità
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bizzarra e irrequieta. Fu molto attivo, come architetto, nella Torino della metà del XX
secolo, per la quale realizzò il Palazzo della Camera di Commercio (l’opera che più lo rese
celebre), l’Auditorium della Rai e gli uffici dell’AEM (Azienda elettrica municipale) di
Torino, oltre ad aver partecipato a molti altri concorsi.
Il progetto di Mollino per il Teatro Regio di Torino, come già detto, rivoluzionò
completamente la struttura interna di tale edificio (come si vede bene nelle figure sotto) e
tenne in particolare considerazione il problema dell’acustica, tanto che portò alla
realizzazione di quella che viene definita “volta ortofonica”.
[La foto in alto riporta la struttura originale del Teatro Regio; questa foto fu scattata la sera dell’8
febbraio 1936, poche ore prima dello sviluppo dell’incendio che lo distrusse completamente. La
figura sottostante ritrae il Teatro Regio come appare ora]
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Per quanto riguarda la pianta dell’edificio, Mollino progettò
l’interno della struttura ispirandosi ad un busto femminile (come si
vede nella figura a lato), conferendo quindi alla sala principale una
forma ad ostrica semiaperta o, più semplicemente, ovoidale: ecco
perché, dando ancora una volta prova della sua bizzarra personalità,
tenne il discorso di presentazione del progetto con un uovo in mano.
Rispetto alla pianta originaria, l’impostazione planimetrica fu
ruotata di 90 gradi: ciò fu reso possibile solo grazie all’incendio del
1936 e ai bombardamenti che coinvolsero Torino nel periodo della
Seconda Guerra Mondiale, i quali distrussero quasi completamente
le fabbriche che prima circondavano l’antico Regio.
All’esterno, l’opera riprende in chiave attuale lo spirito delle
costruzioni barocche, ossia recupera l’andamento sinuoso delle facciate laterali e l’uso del
mattone a vista, decorato con fregi ornamentali.
Ma la parte più importante è sicuramente l’interno: la sala principale è a platea unica, con
1582 posti a sedere, con profilo ellissoidale che digrada verso il proscenio. Il soffitto stesso
ha forma ellissoidale: ciò fu possibile grazie alla disposizione dei palchi, che coronano
l’intera sala e sono inclinati verso il proscenio. Una straordinaria soluzione architettonica è
data dalla nuvola luminosa, progettata dallo stesso Mollino con Gino Sarfatti. Costituita da
1900 prismi in perspex di lunghezza variabile disposti attorno a tubi di alluminio che
portano ciascuno una lampada da 40 W, essa, con una luce morbida e scintillante, conferisce
luminosità all’intera sala.
La parte più importante per la nostra trattazione è la volta. Mollino pensò ad un teatro dove
il suono si potesse espandere in modo corretto, senza essere alterato e ostacolato da strutture
architettoniche. Proprio per questo, la sala si presenta rivestita completamente in legno di
faggio, il materiale più adatto alla diffusione sonora. In legno furono infatti costruiti o
rivestiti pavimenti, pareti, palchi, boccascena (l’insieme degli elementi che collegano la sala
al palcoscenico) e dorsi delle poltrone. Inoltre, Mollino fu uno dei primi architetti ad
adottare nel suo progetto la costruzione di una volta ortofonica. L’ortofonia (dal greco
orthos, che significa retto, corretto e phonia, che significa voce) indica la corretta
dispersione del suono stabilita in base al tempo di riverberazione, cioè il tempo che impiega
il suono per estinguersi del tutto a partire dalla fine della sua produzione.
Poco più di cinque anni fa, il Teatro Regio di Torino fu soggetto di studio da parte
dell’A.I.A, l’Associazione Italiana di Acustica. Nello studio eseguito, venne utilizzato il
metodo del Beamformer, che prevede l’utilizzo di un insieme di microfoni disposti in modo
tale da formare una sfera in grado di trasferire alcuni dati al computer. L’emissione di
qualunque segnale sonoro viene catturata da questo sistema, che invia tutti i dati ad un
computer, il quale, tramite uno specifico software, elabora una mappa acustica che viene
sovrapposta ad un immagine statica del teatro ripresa da una telecamera. Si può, allora,
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osservare come avviene la propagazione del suono nella sala. Ovviamente, scegliendo
differenti posizioni in cui installare questo sistema di Beamformer, si ottengono più mappe
relative a più punti di osservazione.
[Mappe acustiche relative a posizioni diverse sia della sorgente di suono, sia del ricevitore]
Prendendo, invece, in considerazione una mappa
ricavata da una vista frontale della sala, come
quella
a
fianco,
che
rappresenta
in
contemporanea la vista del palco e del soffitto, si
capisce meglio come la volta ortofonica messa a
punto da Mollino contribuisca ad una regolare
diffusione del suono. In particolare, la zona
caratterizzata dal colore rosso, indica un’intensità
sonora maggiore, che va a scemare
allontanandosi sempre più dalla sorgente, situata,
in questo caso, in prossimità del centro del
palcoscenico.
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2.3 - La musica nella storia: l’evoluzione dei corpi bandistici
Già nel primo paragrafo di questo capitolo, avevamo fatto cenno alla stretta relazione che
esiste tra il succedersi dei periodi storici e l’evoluzione della musica, delle sue tecniche e
della figura del musicista. Ora, in questa sezione, ci occuperemo in particolare
dell’evoluzione di una particolare specie di formazione musicale che più di tutte andò
sviluppandosi seguendo il mutare delle epoche storiche: la banda musicale.
La banda musicale, nel senso generico in cui noi oggi la conosciamo, è una formazione
composta esclusivamente da strumenti a fiato e a percussione. La differenza più importante
che la differenzia da un’orchestra sinfonica è la totale assenza degli archi, assenza che però
viene compensata da strumenti del tutto estranei alla formazione tipica dell’orchestra. In
altre parole, la banda, pur non comprendendo nel suo organico violini, viole, violoncelli,
contrabbassi, arpe e altri strumenti sempre presenti nelle grandi orchestre, bilancia questa
assenza con l’utilizzo di flicorni, saxofoni e clarinetti costruiti su diversi tagli, che prendono
i nomi dalle quattro voci principali della musica lirica (soprani, contralti, tenori e baritoni).
E’ proprio per questo motivo che spesso si sente dire che “i clarinetti sono i violini della
banda”, intendendo con questa frase che l’uso massiccio di clarinetti nelle bande musicali
controbilancia la mancanza dei violini.
Genericamente, nelle formazioni bandistiche dei nostri giorni trovano spazio i seguenti
strumenti:
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-
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Flauto traverso, appartenente alla famiglia dei legni. E’ considerato lo strumento più
antico ed è caratterizzato dal tipico suono acuto.
Clarinetto, sempre appartenente alla famiglia dei legni, costruito in legno d’ebano
oppure in ebanite. Esistono clarinetti di diverse misure (dal clarinetto in La bemolle,
il più piccolo, al clarinetto in Si bemolle, il più diffuso). Spesso nelle bande trova
spazio anche il clarinetto basso, un particolare tipo di clarinetto, in grado di produrre
suoni molto gravi, e facilmente riconoscibile per la sua smisurata altezza, che è
intorno ad un metro.
Oboe, appartenente alla famiglia dei legni, caratterizzato dall’imboccatura ad ancia
doppia (ossia, costituita da due lamelle in legno che producono il suono per la loro
vibrazione di una contro l’altra), produce un suono leggero e penetrante. E’ spesso,
giustamente, considerato lo strumento più difficile da suonare all’interno di una
formazione bandistica.
Fagotto, anch’esso appartenente ai legni, con imboccatura ad ancia doppia, dal suono
più cupo. E’ uno degli strumenti più costosi della banda musicale.
Saxofono, appartenente alla famiglia dei legni (sebbene abbia un corpo in ottone), è
uno strumento ad ancia semplice di cui esistono quattro versioni, tutte impiegate
nelle varie formazioni: soprano (caratterizzato da una tipica forma oblunga, simile a
quella del clarinetto, ma con canneggio più ampio), contralto (la versione più nota e
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più diffusa), tenore (più grande del contralto e caratterizzato da una linea sinuosa) e
baritono (con funzione di accompagnamento e dell’altezza di circa un metro).
Corno, della famiglia degli ottoni, formato da un tubo “arrotolato” molte volte su se
stesso, caratterizzato da un’imboccatura molto piccola e da tre pistoni.
Tromba, (vedi anche capitolo 1, paragrafo 1.8), della famiglia degli ottoni, dal suono
squillante, in grado di produrre i suoni più acuti tra gli stessi ottoni.
Trombone, della famiglia degli ottoni, caratterizzato da un’imboccatura ampia, il cui
corpo può essere costituito in due modi del tutto diversi: da tre pistoni, come la
maggior parte degli altri ottoni, oppure da una coulisse, un tubo movibile a forma di
U, che viene allungato e accorciato continuamente dal braccio destro dello
strumentista.
Flicorno, appartenente alla famiglia degli ottoni, di cui esistono anche qui le quattro
varianti (soprano, contralto, tenore, baritono) che differiscono per il timbro sempre
più grave. Possono essere costituiti da tre o quattro pistoni.
Tuba, della famiglia degli ottoni. E’ lo strumento in grado di produrre i suoni più
gravi fra tutti gli strumenti (e relativi registri) della banda. E’ l’equivalente del
contrabbasso delle grandi orchestre sinfoniche.
Percussioni, la grande famiglia che accomuna i vari strumenti suonabili per
percussione diretta dello strumento da parte di bacchette in legno o delle mani stesse
dello strumentista. I più usuali sono la batteria, i timpani, i vari tipi di xilofoni, la
grancassa, i piatti e una serie di altri strumenti di uso limitato (triangolo, windbells,
bonghi, maracas, nacchere, ecc)
Questa è la banda come noi oggi la conosciamo. Ma non è sempre stato così. All’origine
dello stesso vocabolo “banda” vi è un contesto militare: le “bande” in origine erano dei
raggruppamenti di un certo numero di soldati. L’accezione musicale di banda è comparsa
solo in seguito, per lenta derivazione, dato che in ogni esercito uno di questi raggruppamenti
citati era costituito da primitivi musicisti che, con squilli di tromba e rulli di tamburi, erano
in grado di conferire un determinato ritmo alla marcia dei soldati e ad incitarli durante il
combattimento.
Già nel periodo in cui l’Impero Romano si trovò al culmine della sua gloria e potenza,
esistevano piccole corporazioni di musicisti, i cosiddetti “tibicini”. I tibicini erano
un’associazione di uomini che suonavano il flauto, che accompagnavano le cerimonie
funebri e le scene di azione all’interno delle rappresentazioni teatrali. Alcuni erano al
servizio dello stato, i più a disposizione di chiunque li richiedesse per l’accompagnamento
musicale di manifestazioni di carattere privato. Con la successiva nascita dei comuni e
sull’esempio delle corti feudali, iniziarono a formarsi delle piccole corporazioni di musicisti
stipendiati. La più antica di queste corporazioni fu la Filarmonica dei Laudesi, attiva a
Firenze fin dai primi anni del 1200. Tuttavia, anche in questa epoca, la maggior parte dei
gruppi formati da suonatori di tuba, trombe e tamburello conservava ancora un carattere
militare: il loro compito era quello di accompagnare gli eserciti dei vari comuni alla
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battaglia. In tutta la Penisola Italiana sorsero queste piccole formazioni, dai vari centri della
Toscana allo Stato Pontificio, da Napoli alle grandi corti del Nord Italia, come Bologna, che
poteva vantare per sé l’organizzazione di veri e propri concerti, e Venezia, dove nacquero
persino i primi concorsi musicali.
Anche nel resto d’Europa, iniziarono a formarsi dei piccoli gruppi: nella Francia precedente
all’ascesa di Luigi XIV, i grandi generali assoldavano uomini che accompagnassero i soldati
nel combattimento e che li rallegrassero nei periodi di riposo. Francesco I stabilì che,
nell’esercito, ogni mille uomini fossero presenti quattro suonatori di tamburi e due di pifferi.
Emblematico è anche il caso di Vienna: qui, fin dal 1288, esisteva una corporazione di
musici girovaghi posti sotto la protezione di un potente conte austriaco. Seguendo questo
esempio, si vennero a creare bande di musicanti municipali (composte da pifferi, flauti,
cennamelle o pive, viole, tamburi e trombe) che sarebbero state il germe delle moderne
bande di oggi.
Intanto, in tutti i principali centri d’Italia si iniziarono a tenere veri e propri concerti di
bande dirette da un suonatore di tromba o trombone. A Roma esistevano tre formazioni
bandistiche diverse, tra le quali il concerto Capitolino, che, dalla metà dell’Ottocento,
diverrà Banda di Roma. A partire dal 1700, si iniziarono a formare bande non a scopi
militari, formate cioè da civili che progressivamente incominciarono ad inserire nuovi
strumenti all’interno delle proprie compagini, come il fagotto e l’oboe. Si trattava di una
lenta evoluzione tecnica e una volonterosa elaborazione individuale, che porterà verso la
fine di quel secolo alla divisione tra bande civili e bande militari.
Nel 1763, per ordine di Federico di Prussia, si arrivò a stabilire un organico ben definito per
le bande musicali: esse avrebbero dovuto essere composte da due oboi, due clarinetti, due
corni e due fagotti, uno o due flauti, una o due trombe, controfagotto e serpentone. Inoltre,
sempre per questa stessa riforma, si ha un repentino cambio di genere: infatti, si stabilì che
le bande non dovessero più suonare musica da camera scritta appositamente per strumenti a
fiato, ma marce, determinando così una sorta di ritorno alla funzione originaria della banda,
ossia quella militare.
Anche la rivoluzione francese contribuì ad accelerare l’evoluzione della banda: nel luglio
1794, in occasione della traslazione del corpo di Voltaire al Pantheon, la banda della
Guardia nazionale eseguì alcuni pezzi, per i quali si prevedeva l’uso di tromboni, rullante,
grancassa e altre percussioni mai usate prima. Sempre in Francia, qualche anno dopo, nel
1845, le musiche militari ottennero un grande incremento grazie alle riorganizzazioni
introdotte da un grande fabbricante di strumenti belga, Adolfo Sax, da cui nascerà
successivamente il saxofono. Per quanto riguarda l’Italia, le bande militari continuarono a
rimanere trascurate, tanto che nel 1867, in occasione di una gara europea di bande tenutasi
in Francia, nessun corpo musicale italiano prese parte all’evento. Intanto, nell’Italia Unita,
continuavano a diffondersi le bande civiche, quasi sempre come derivazione di bande sorte
per la Guardia Nazionale.
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Tuttavia, è proprio in Italia che prende il via l’ultima e più grande riforma che coinvolge il
mondo bandistico, che portò a fissare l’organico della banda che ancora oggi, generalmente,
viene rispettato: il Maestro Vessella, nel 1885, con l’assunzione del nuovo incarico di
direttore della Banda di Roma, aggiunse gli strumenti che mancavano nel vecchio organico
(ossia clarinetti, clarinetto basso, tromboni, contrabbassi, flicorni e timpani) e regolamentò
il numero di corni e trombe. Questo di Roma fu il primo esempio di formazione regolare
d'un complesso bandistico moderno, che venne presentato per la prima volta al pubblico
nell’aprile 1886, dove si esibì in una composizione scritta dallo stesso Vessella, la prima
composta tenendo in considerazione la nuova formazione della banda.
Per quanto riguarda le bande militari italiane, una loro regolamentazione fu possibile solo
nel 1901, quando una specifica commissione affrontò per prima cosa un confronto tra la
vecchia e la nuova organizzazione delle bande in senso generale: questo confronto diede
prova della superiorità della nuova organizzazione elaborata da Vessella. Così, vennero
create diverse bande militari, equiparabili, sul piano del suono e della bravura dimostrata,
alle formazioni militari degli altri Paesi europei. Nel 1920, però, per ragioni economiche, si
stabilì che ogni corpo d’armata avesse una sola banda militare. Fu per questa ragione che le
varie formazioni dello stesso corpo d’armata furono unificate in una sola formazione, il cui
accesso venne da allora regolato tramite concorso pubblico. Al momento, la più celebre
formazione musicale militare italiana è la Banda dell’Arma dei Carabinieri, conosciuta per
le sue esibizioni nelle varie piazze d’Italia e del mondo.
Per quanto riguarda, invece, le bande civili, occorre sottolineare che, fino a qualche decina
di anni fa, il loro repertorio (sia che si trattasse di una sfilata, sia di un concerto) si basava
esclusivamente su marce, genere di composizione musicale caratterizzato da un tempo fisso,
il 2/4 (che permette una
corretta scansione del passo a
cui attenersi), oltre che
dall’uso di tonalità maggiori,
che determinano un suono più
allegro e scherzoso. Solo
lentamente e in questi ultimi
anni, è iniziata la trascrizione
per banda di alcune famose
opere liriche piuttosto che di
altri generi, come la musica
leggera, la musica pop, la
canzone
napoletana,
le
colonne sonore e molto altro
ancora.
[Nella foto, una banda musicale civile di inizio secolo]
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[In queste foto, l’evoluzione della banda di Feletto Canavese, dove si nota lo sviluppo della stessa
idea di concerto. Nella foto in alto, un concerto tenuto negli anni ’50 nella Piazza del Paese. In
basso, il concerto di sole colonne sonore tenuto nel Novembre 2009 al teatro S. Giuseppe di Torino,
sotto la direzione di Michael Giacchino, Premio Oscar per la miglior colonna sonora nel 2010]
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Bibliografia
G. Parodi, M. Ostilli, G. Monchi Onori, L’evoluzione della Fisica, Paravia, 2006
N. Abbagnano, G. Fornero, La filosofia, Paravia, 2009
P. Boggiatto, E. Carypis, A. Oliaro, Segnali e Partitura musicali, Dipartimento di
Matematica, Università di Torino
Sitografia
http://it.wikipedia.org/
http://www.teatroregio.torino.it/
http://www.to.archiworld.it/OTO/
http://www.scs-controlsys.com/pdf/docs/DaroCernigliaGaloppini.pdf
http://www.treccani.it/enciclopedia
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