Il GATTO NELL'ANTICO EGITTO. di Giuseppe Fornara. Premessa. L'area del Nord Africa attualmente coperta dal Deserto del Sahara ha subito molteplici variazioni climatiche nel corso del tempo, alternando periodi molto piovosi ad altri di totale aridità. Nel periodo finale dell'ultima glaciazione, chiamata “Wurmiana”, il Sahara era ancora più ampio di oggi, estendendosi a sud ben oltre i suoi confini attuali. La fine della glaciazione ha portato ad un drastico cambiamento climatico, tra il 9.000 e il 6.000 a.C., in quanto l'enorme quantità di vapore acqueo prima contenuta nelle calotte polari ha potuto liberarsi nell'atmosfera, anche a causa dell'aumento della temperatura media della terra, avvenuta in poche centinaia di anni, portando così ad intensi e durevoli fenomeni monsonici in tutta l'area. In questo ambiente ritornato ad avere foreste lussureggianti, estese praterie, grandi fiumi e laghi, si muoveva una fauna assai diversificata, simile a quella che si trova attualmente nelle zone tropicali ed equatoriali dell'Africa. E gli umani che qui vivevano erano, probabilmente, sia stanziali sia nomadi cacciatori raccoglitori. I graffiti e le pitture rupestri di questo periodo preistorico - che si sono ritrovate in tutto il nord Africa - documentano una ricchissima fauna, caccia, danze rituali di cui non si sa pressoché nulla … probabilmente legate alle attività venatorie, sciamaniche ed a riti di passaggio (Hoggar, Tassili, Tibesti, Geràt, Grande Atlante). Dopo questa fase di grande piovosità, al nord iniziò un periodo di decisa riduzione dei fenomeni, mentre nella parte centro sud l'inaridimento fu contrastato dai venti monsonici che continuarono ad apportare sufficienti piogge stagionali. Questa situazione cambiò intorno al 4.200 a.C., e la piovosità si ridusse progressivamente sino al clima attuale. A mano a mano che il clima cambiava, riducendo le aree irrigue, si spostavano gli animali erbivori per trovare cibo, seguiti dai predatori e dai gruppi umani; si arrivò così, nel corso del quinto millennio a.C., ad avere grandi estensioni desertiche e oasi di dimensioni variabili che punteggiavano l'Africa del Nord … e un'oasi “continua” ... la Valle del Nilo con il suo grande Delta. E lungo la Valle del Nilo si crearono agglomerati urbani che, con l'avvento dell'agricoltura e del conseguente surplus alimentare (cereali), ebbero uno sbalorditivo incremento di popolazione, con stratificazione sociale a struttura verticistica. Si pervenne così a due egemonie, una nel Delta, nella città di Buto e l'altra nell'alto Egitto, nella città di Nekhen, vicino all'attuale città di El Kab, sull'altra riva del Nilo. Fu poi un sovrano di Nekhen che invase e conquistò il Delta espugnando la capitale Buto e divenendo così il “Signore delle Due Terre” (Si presume intorno al 3.050 circa A.C.). In epoca molto più tarda, i discendenti di questo conquistatore assunsero il titolo di “Per-a'a” che significava in geroglifico "grande casa", quindi palazzo. Questa denominazione si è tramutata nell'ebraico "par'ooh" e, da qui, nel greco "pharaò" e, poi, nel latino tardo “Pharao” e nell'italiano Faraone. Perciò," Faraone" voleva indicare chi stava nel Palazzo. Probabilmente, i primi Faraoni protodinastici erano gli unici ad abitare in una casa di pietra. Tutti gli altri, come si può vedere ancor oggi navigando sul Nilo in alcune zone rurali,costruivano le proprie abitazioni con mattoni ricavati impastando limo del fiume e paglia, disseccati al sole (mattoni crudi). E tra tutti gli animali che abitavano in questo grande scenario di mutazioni climatiche c'erano molti felini, razze grandi e piccole …. ma a noi interessano alcune di quelle piccole che vennero a contatto con l'uomo dapprima nel Sahara e poi lungo la Valle del Nilo e nelle Oasi. Felis silvestris lybica (GATTO SELVATICO AFRICANO) E' una sottospecie del gatto selvatico (Felis silvestris) . Di colore molto variabile dal grigio sabbia sino al marrone chiaro, appare anche con tigrature di vario genere su corpo, più marcate su zampe e coda. E' più minuto rispetto al Felis silvestris: la lunghezza del corpo – testa inclusa – va dai 45 ai 75 cm e la coda può essere tra i 20 ed i 40 cm. Il mantello è più corto rispetto al Felis silvestris ed il suo peso varia dai tre ai sette kg. Vive in varie zone dell'Africa e nel Medio Oriente. Felis chaus nilotica (GATTO CHAUS). Ha una struttura più grande del gatto domestico. E'conosciuto anche coi nomi di gatto delle paludi, gatto della giungla e gatto dei canneti (e, erroneamente, anche di lince delle paludi), le sue zampe molto alte gli conferiscono una caratteristica andatura più dinoccolata; vederlo incedere da una certa distanza lo fa assomigliare allo sciacallo - anche grazie ad orecchie decisamente più lunghe rispetto al Felis silvestris lybica. La sua taglia è di 70 - 75 cm; la coda va dai da 25 a 30 cm. Pesa tra i cinque e i diciassette kg. Il cranio è più allungato rispetto agli altri gatti. Il mantello è brunastro, rossiccio o grigio, senza alcun disegno tranne dei semi anelli nella parte interna delle zampe anteriori e due o tre anelli quasi alla fine della coda. Molti esemplari presentano un ciuffo di peli al vertice delle orecchie, simili a quelli delle linci. La sua diffusione è amplissima: vaste aree dell'Egitto (bene osservato nelle oasi di Siwa, Bawity, Fayyum e aree semi desertiche limitrofe. Felis margarita (GATTO DELLE SABBIE). E' piccolo e vive nei deserti dell'Asia e dell'Africa, in zone anche così aride che sono evitate da qualsiasi altra specie di felino. E' tarchiato, con zampe corte, grandi orecchie e lunga coda. Misura dai 45 ai 58 cm , inoltre la coda aggiunge al corpo tra i 28 e i 35 cm. Il suo peso varia tra un chilo e mezzo a quasi quattro chili. Il cranio è largo. Può appiattire le larghe orecchie orizzontalmente e anche curvarle verso il basso. Il pelo varia stagionalmente sino a poter arrivare ad una lunghezza di oltre 5 cm. Di colore giallognolo con sfumature grigio e avorio sulla maggior parte del corpo, può presentare striature scure soprattutto sulle zampe; ha il mento e la parte ventrale pressoché bianca. Gli occhi, rispetto alla testa, sono molto grandi. Ha fitto pelo tra le dita che gli permette di isolare le zampe dal calore rovente delle sabbie; gli artigli sono piccoli e smussati, specie nelle zampe posteriori. Queste caratteristiche fanno si che le sue impronte siano poco visibili, dissimulando bene la sua presenza. Oltre alle grandi orecchie, l'animale possiede anche bolle timpaniche molto ampie, che gli conferiscono un ottimo senso dell'udito, utile a percepire i movimenti delle prede sotto la sabbia. Simili adattamenti sono presenti anche in altre creature del deserto, come il Fennec (Vulpes zerda). Il nome scientifico dato al gatto domestico è Felis Silvestris Catus. Il gatto domestico (Felis Silvestris Catus) randagio o inselvatichito - quello che non si lascia avvicinare dall'uomo - non va confuso con il vero e proprio Gatto Selvatico Europeo (Felis Silvestris). Felis silvestris o Felis silvestris silvestris (GATTO SELVATICO EUROPEO). E' una sottospecie di gatto selvatico che abita le foreste dell'Europa occidentale, centrale e orientale. Raggiunge 1,20 metri di lunghezza compresa la coda, che misura 35 cm, ha un corpo robusto, agilissimo, testa corta e rotondeggiante, zampe forti e lunghe, specialmente quelle posteriori. Il pelo è folto e morbido, di colore grigio-fulvo con tigrature scure, più chiaro sul ventre; alcuni anelli nerastri ornano la coda. È dotato di una vista eccellente anche in pessime condizioni di luce, l'olfatto è eccezionale e l'udito ottimo. Ha orecchie dritte e larghe alla base ed occhi gialli. Particolarmente sviluppati sono i canini e i denti ferini, adatti a dilaniare la preda. In varie zone dell'Europa risulta completamente assente a causa del forte inurbamento, in quanto evita i luoghi frequentati dall'uomo. È presente in Italia ma molto raro. La popolazione nazionale è stata stimata in circa 700- 800 animali distribuiti nelle Alpi occidentali, sull'Appennino centro-meridionale, nel Gargano e in Sicilia. Da una ricerca effettuata sul DNA mitocondriale in Europa, Africa ed Asia di circa mille gatti domestici ed inselvatichiti è stato documentato come la sottospecie Felis silvestris lybica (gatto selvatico africano) si è diversificata dal Felis silvestris (gatto selvatico originale) intorno a 173.000 anni fa e dalla sottospecie asiatica Felis silvestris ornata e Felis silvestris cafra circa 131.000 anni fa. Tutti i gatti domestici attuali (o inselvatichiti ma con avi domestici) derivano, attraverso almeno 5 mutazioni (cinque progenitrici che hanno fissato delle modifiche nel patrimonio mitocondriale), esclusivamente dal Felis silvestris lybica ; nessun'altra delle sottospecie di Felis silvestris appare coinvolta nel processo di domesticazione. L'ultima sottospecie selvatica diversificata è quella del gatto sardo ( Felis silvestris lybica sarda). Le Origini del gatto domestico. L'origine della domesticazione del gatto si perde nei meandri del tempo trascorso anche se, tra gli animali domestici, è l'ultimo arrivato. Pecore, capre, bovini, suini, cavalli, asini e cani (tanto per citare i più importanti) vantano una coabitazione con l'uomo assai più arcaica. Le più antiche testimonianze archeologiche di presenze feline in relazione all'uomo datano intorno ai 9.500 anni fa, a Cipro, e a 5.500 anni fa in Cina. Inoltre reperti archeologici di 8.000 anni fa, venuti alla luce nell'Anatolia sud-occidentale, ci dimostrano che a quell'epoca tra l'uomo e il gatto vi era già una sorta di relazione. La paleontologia, tuttavia, può accertare la presenza di un animale in un certo periodo ma non aiuta a stabilire quando è iniziata la sua domesticazione. Nel corso del passaggio da nomadi ad agricoltori, gli uomini hanno avvicinato gli esemplari più docili instaurando una reciproca collaborazione: i gatti rappresentavano un importante alleato nella caccia ai roditori, aiutando così la buona conservazione dei depositi di cereali. In cambio l'uomo poteva fornire loro ripari più sicuri e, perché no, anche una diversificazione alimentare. Un topo adulto mangia circa 4 grammi di cibo al giorno (un ratto nero 115 gr), ma ne deteriora da cinque a dieci volte di più con le deiezioni solide e l’urina. Un topo può danneggiare fino a 15 Kg di cibo l’anno (un ratto fino a 453 Kg). I gatti domestici, ben nutriti, non uccidono normalmente molte prede. I gatti liberi si nutrono quotidianamente di almeno due – quattro piccoli mammiferi, per lo più roditori, per un totale oltre 1000 animali l’anno; grazie a queste straordinarie capacità predatorie, ciascun gatto è potenzialmente in grado di salvare 225 tonnellate di cereali all’anno !!! L'ingresso del gatto nella storia è databile in base a testimonianze iconografiche egizie (3000 a.C.), ma i motivi per i quali l'antico popolo della Valle del Nilo passò dal rispetto per l'animale che proteggeva i granai a una vera e propria divinizzazione di esso, sfumano in quell'alone vagamente misterioso che ha sempre circondato questa straordinaria creatura. L'azione diretta dell'uomo produsse una lenta pressione selettiva che portò alla definitiva mutazione di alcuni tratti caratteriali del gatto, favorendo così in modo più marcato l'interazione tra le due specie, sino a fare del piccolo felino uno tra i compagni più diffusi ed apprezzati. La testimonianza sicura di un qualche tipo di rapporto tra uomo e gatto ci proviene dal sito cinese del villaggio di Quanhucun, nella regione del Shaanxi, datata, come sopra detto, a 5.500 anni fa (Studio di Yaowu Hu Accademico delle Scienze cinese, descritta nel suo articolo pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences”); in questo lavoro, ottenuto grazie agli studi sugli isotopi dell'azoto e del carbonio presenti nei resti di gatti, topi ed umani del sito, sono illustrate le loro diete alimentari grazie alle quali si può documentare anche l'inizio di una convivenza tra felini ed umani in quest'area. Nel bacino del Mediterraneo si pensa che la mutua collaborazione tra gatti e umani si sia verificata nel Vicino Oriente. Nel sito di Shillourokambos, sull'isola di Cipro, è stata ritrovata una sepoltura congiunta di un essere umano e di un gatto selvatico (Felys silvestris libyca) , databile intorno ai 9500 anni fa. In Egitto importanti – ma rari - ritrovamenti di scheletri di gatto selvatico si sono trovati nel 1922 negli scavi di Mostagedda (Cultura Tasiana) e Badari (Cultura Badariana) databili a partire dal VI millennio a.C. e nel periodo predinastico ( detto anche periodo Naqada I – II – III che va dal 3900 al 3050 a.C.). Per rintracciare i resti di gatti in una sicura relazione con l'uomo, nella Valle del Nilo, dobbiamo arrivare a 4200 anni fa. Ma il processo di domesticazione si pensa abbia “preso l'avvio” almeno intorno ai settemila anni fa. Non si può tuttavia ancora parlare di “addomesticamento” in quanto la presenza del gatto era sì legata alla sfera contadina, grazie all’aiuto che i felini apportavano nella caccia ai topi, ma ancora lontana dalla convivenza nelle case e dall’allevamento selettivo. Si può dire, comunque, che questo processo non sia cronologicamente molto distante poiché si datano intorno a 4000 anni fa i primi ritrovamenti di gatti mummificati e i primi dipinti funerari nelle tombe. In questo periodo il gatto fa ormai parte della vita quotidiana dell’uomo aiutandolo nella difesa dai topi che minacciano il raccolto, ma anche come semplice animale da compagnia e persino come diletto dei nobili che si intrattengono nell’osservarli durante la caccia agli uccelli. Da qui il passo da animale domestico a divinità è ormai breve. Durante l' Antico Regno (2686 – 2184 a.C.), le raffigurazioni più usuali all’interno delle mastabe (tombe) dei nobili mostravano, nei bassorilievi e nelle pitture, due mammiferi carnivori: la Genetta comune (Genetta genetta) e la Mangusta egiziana o Icneumone (Herpestes ichneumon). Ambedue questi piccoli mammiferi sono voraci predatori (tra cui anche i topi). La mangusta, in particolare, era assai apprezzata in quanto abilissima cacciatrice di serpenti. In questo periodo storico presenza di immagini di gatti è difficile da ravvisare. Nei bassorilievi e nelle pitture il proprietario della tomba era raffigurato intento a seguire le attività giornaliere nei suoi possedimenti, mentre pescava nei papireti o durante la caccia. L'argomento centrale era però la sua presenza, unitamente ai suoi familiari e amici, nel corso del suo banchetto funebre. Nella tomba (mastaba) di un alto funzionario di nome Meryre-nufer (soprannominato Qar – G7101 - nella piana di Giza) si è trovata una parte di un bassorilievo ove pare che un gatto tenga nelle fauci un volatile. Non si è però certi che l'animale raffigurato sia proprio un gatto, a causa delle proporzioni del corpo (muso corto, orecchie a punta e gambe lunghe) . Regno di Pepi I (2332-2283) – VI din. Nel complesso funebre del faraone Pepi II, (2278-2184) – VI din., è stato rinvenuto un bassorilievo di tre gatti girati a sinistra (si tratta di tre geroglifici di gatto) ; due sono seduti mentre il terzo è accucciato. Nel Medio Regno (2040 - 1782 a.C.) il gatto diventa una figura importante come elemento decorativo (ad esempio statuette in vari materiali) e la sua presenza si manifesta anche nelle raffigurazioni funebri. La grande necropoli dell'antica città egizia di Menat Khufu, nell'attuale Beni Hasan, (a 20 km dalla moderna città di Minya, nel Medio Egitto), ospita, tra le altre, tombe di grande importanza storica e artistica. Il governatore del 16esimo nomo dell'Alto Egitto, Baquet III, vissuto all'inizio del secondo millennio a.C., ci lascia immagini della vita di tutti i giorni: in una di queste “scene” sono raffigurati un gatto ed un topo. Dall'impostazione delle figure si percepisce il carattere domestico e famigliare del felino. Ancora nel Beni Hasan troviamo la tomba di Khnumhotep III che ricoprì l'importante incarico di primo ministro (visir) per il faraone Senusret III (1878 – 1841 a.C., XII Din.). Nell'immagine della pesca nelle paludi di papiri e canneti il nobile è raffigurato in piedi su una barca mentre sta per infilzare dei pesci con l'arpione. Un Felis chaus è qui raffigurato su un gambo di papiro, intento a controllare i movimenti di una preda. Il Nuovo Regno (1570 - 1070 a.C.). In questo lungo periodo della Civiltà egizia, in cui il Paese delle Due Terre diventa anche, per un periodo di quasi un secolo e mezzo, il centro politico, culturale ed economico del Mediterraneo e del vicino oriente, il gatto è parte del tessuto culturale della Valle del Nilo. L'elegante figura del felino diventa oggetto di bellezza a sé stante, e non soltanto una decorazione per abbellire. All'inizio di questa fase storica si ascrive la collana della regina Ah - hotep, consorte del faraone Seqenenra Taa (16° sec. a. C.), e specchi con maniglie che raffigurano giovani donne nude con in braccio un gatto. Le raffigurazioni tombali con gatti diventano numerose. Nella necropoli della Tebe occidentale (Luqsor) : Tomba di Menna (TT69) . Scriba del catasto reale durante il regno del faraone Thutmosi IV (1419-1386 a.C.). Nota in modo particolare per la conservazione delle decorazioni pittoriche. Scene rituali, di caccia, agricole, della vita quotidiana. Il banchetto funebre e la scena della “pesatura dell'anima” durante il giudizio divino al cospetto di Osiride. Proprio nella scena della caccia vengono raffigurati un gatto (certamente il Felis silvestris libyca) che si avvicina ad un nido e una mangusta icneumone che cammina tra i papiri. Tomba di Neferhotep (TT A.5) (15° - 14° sec. a. C.). Una scena di questo ipogeo raffigura il dignitario mentre scocca una freccia che colpisce un Felis Chaus: si tratta di una davvero rara presentazione di un gatto che diventa “preda”. Tomba di Nakht (TT 52). Scriba, sacerdote e astronomo del dio Amon durante il regno di Thutmose IV (1419-1386 a.C.). Costruita e decorata con particolare cura, è un classico ipogeo assai ben conservato, della XVIII din. Una scena stupenda raffigura i due coniugi durante il banchetto funebre con tre giovani donne che suonano il flauto, il liuto e l'arpa, danzatrici ed un arpista cieco. Sotto la sedia della consorte Tawi è rappresentato un gatto tigrato mentre divora un pesce, tenendolo ben fermo con una zampa. Il testo dipinto sulla parete dice che “Il gatto è di Nakht”. Proprio in questo periodo storico diventa “di moda” dipingere il gatto domestico sotto la sedia della dama, soprattutto nell'area di Tebe (Capitale dell'Egitto in questo periodo con il nome di “Wasit” - Lo Scettro ). Il gatto e la donna condividevano la vita nella casa, con un forte legame di tipo affettivo. Nella Tebe occidentale, presso Deir el Medina – ove si sono ritrovati i basamenti del grande villaggio degli artigiani (che hanno scavato e dipinto le tombe di faraoni, regine, principi, nobili, sacerdoti, generali e privati della XVIII, XIX E XX din. di Tebe) sono situate varie tombe, di cui molte splendidamente dipinte, che ci danno una meravigliosa testimonianza delle capacità artistiche dell'epoca. Due tra queste, di Ipuy, scultore, e della consorte Duammeres (TT217 - regno di Ramses II , 1279-1212 a.C.) e di Penbuy e Kasa (TT10 – regno di Ramses II , 1279-1212 a.C.) presentano il gatto in modo insolito, di fronte e non di profilo. Il gattino posto sulle gambe di Ipuy solleva la zampina in modo affettuoso verso il padrone. Un gatto adulto è seduto sotto la sedia di Duammeres, e guarda frontalmente verso coloro che osservano, ma il corpo è di profilo. Gli abitanti della Valle del Nilo temevano la notte mentre, per i gatti, non vi era differenza alcuna … anzi ...essi amavano forse di più la parentesi di ombra che il dio sole Ra lasciava sulla terra per passare, con la sua barca sacra, nel mondo sotterraneo. Gli egizi erano ammaliati dagli occhi del gatto, così particolari nel chiudersi della loro pupilla sino ad una strettissima fessura, tanto che il loro legame con i luminari maggiori, sole e luna, venne sostenuta già sin dalla V dinastia (Antico Regno, prima del 2184 a.C.). Il fatto poi che il felino dormisse molto sovente raggomitolato, assumendo una forma circolare, fu considerata una prova della sua relazione con le divinità e l'eternità: il geroglifico “shenu” ( dal significato di “circondare”) è composto di una corda circolare chiusa da un legnetto. Essa è anche la raffigurazione dell'universo - in quanto si pensava che il dio sole Ra, sulla sua barca sacra, descrivesse nelle 24 ore del giorno e della notte un percorso circolare passando per tutte le parti dell'universo da lui creato, comprese le ore notturne in cui, come detto sopra, transitava del mondo sotterraneo dell'Aldilà. Nel secondo millennio a.C. L'adorazione dell'astro notturno prese piede in modo macroscopico e si sviluppò anche una nuova credenza: durante la notte il gatto era, con la Luna, un salvatore del paese, in quanto rifletteva con i suoi occhi i raggi da lui “catturati” al sole durante il giorno, permettendo così alla terra di non cadere nel buio più completo. Per questo suo legame anche con la Luna fu attribuito all'ormai domestico felino un forte legame magico con le maree, le condizioni atmosferiche, la crescita di alcune colture e il ciclo mestruale delle donne. Il geroglifico che identificava il gatto si leggeva “Mau” o “Miiew”ed era anche considerato un amuleto protettore dal malocchio e dagli spiriti malevoli. Legato al verbo “vedere” questo geroglifico riporta ancora all'occhio del gatto che, secondo altre credenze, poteva anche penetrare a fondo nell'animo umano “leggendo nel cuore”. Per gli Egizi ogni essere umano aveva la sua anima: la chiamavano Ba. Anche gli dei possedevano un'anima che si manifestava al mondo attraverso un animale, una pianta o un particolare oggetto (talvolta anche più di uno). Era il Ba che dava a ciascun vivente il suo “Soffio Vitale”. E così i Ba di Ra erano il falco e l'airone ( o fenice) ma anche il gatto solare, della dea Bastet era il gatto femmina, quello della dea Hathor era la vacca celeste, i Ba di Thot erano l'ibis sacro e il babbuino, quello di Seth il formichiere, di Sobek il coccodrillo, di Sekhmet la leonessa e così via. Il Ba di Iside era il gatto. Iside e Bastet, quindi, erano legate dallo stesso Ba e condividevano così la stessa anima. Il gatto era dunque l’anima della grande madre (Iside) e della signora dell’est (Bastet) che non a caso, molto spesso, venivano identificate in un’unica grande dea, ovvero la stessa Iside. E’ noto come il mondo animale e vegetale siano stati considerati magici e divini dagli egizi, nella convinzione che i viventi fossero la manifestazione degli dei. Ne sono una prova i numerosi testi magici ritrovati su papiri, scolpiti su pietra nei templi e raffigurati nei bassorilievi e dei dipinti tombali. Inoltre il mondo animale non mutava nel tempo e questo conduceva alle credenze del popolo del Nilo relative all’Universo, ovvero che fosse immobile e vivente allo stesso tempo, di generazione in generazione. Tutto ciò portava a considerare la vita animale e vegetale partecipe dell’Universo e quindi partecipe della natura divina: per questo secondo gli egizi essa era la manifestazione delle divinità. Questo legame tra divino e viventi ha probabilmente avuto origine addirittura in culti totemici di epoca preistorica, sviluppato delle genti che vivevano del Sahara ancora rigoglioso di vita. Secondo il mito della città di Heliopolis (l'Egizia Iunu) il dio Demiurgo solare Ra nella forma di di gatto dalle lunghe orecchie, armato di coltello, affrontò all'inizio del tempo il grande serpente Apophi che incarnava le forze del caos, e lo sconfisse ferendolo gravemente. Subito dopo creò gli altri dei e diede origine all'universo attraverso di loro. Questa vittoria si ripeteva nella mattina di ogni nuovo giorno, con la nascita di Ra nel suo aspetto dello scarabeo Kepher, trionfo della luce sulle tenebre, ed ogniqualvolta si manifestava un'eclissi di sole (*) (*) Quando gli egizi pensavano che il serpente Apophi emergesse dalle profondità delle acque del Nilo celeste, su cui navigava la barca di Ra durante il giorno, al fine di affrontarlo nuovamente per riprendersi il cosmo e riportarlo al caos. A questo punto Ra doveva ancora una volta affrontarlo in forma di gatto solare avendo ragione di lui e ristabilendo l'ordine e la luce solare, vittoriosa, su tutto il creato. In questo tipo di gatto molti studiosi ravvisano il Felis chaus nilotica. (Apophi veniva neutralizzato da Ra, ma mai ucciso – Il caos era sempre in agguato sull'ordine e l'equilibrio creato da Ra). Nel corso della V dinastia (Antico regno) gli egizi introdussero i gatti nei cortili antistanti i grandi templi dedicati al dio Ra quali più pratiche sostituzioni alle leonesse - di assai più difficile mantenimento e gestione ( le leonesse avevano, sino ad allora, “sorvegliato” le sacre aree). Sono di questo periodo i primi ritrovamenti di amuleti, ciondoli e orecchini in forma di gatti seduti o accucciati o di testine di gatto, di vari materiali (fritta di vetro – fajence -, pietre dure ecc.). Altra divinità anche con aspetto di gatto o leone maschio era Anher o Onuris, adorato nelle province di File, This e Sebennythos. Considerato in tutto il paese quale signore della guerra e della caccia unitamente al dio Montu. I Testi funerari delle Piramidi sono tra le più antiche fonti scritte sulle pareti delle piramidi dei sovrani a partire dal Faraone Unis (2375-2345 a.C.) ultimo sovrano della V dinastia. Appaiono per la prima volta durante la V dinastia (2465 -2323 a. C) verso il termine dell'Antico Regno. Il loro fine era quello di aiutare il re defunto nel suo cammino nell'aldilà. Essi descrivono l’ascesa dal re al cielo, la sua trasformazione in una stella delle circumpolari Nord e il suo divenire un Osiride; al contempo illustrano le procedure per la purificazione e gli incantesimi per giungere indenni alla meta. In uno dei capitoli si trova la presenza di una divinità felina femminile, la dea Maafdet. Essa combatte e sconfigge un serpente malvagio che ostacola il sovrano fornendo anche al faraone defunto la sua capacità di sconfiggere il male e il caos che incontra lungo il cammino. Anche nei testi funerari dei Sarcofagi compare il gatto; cosi sono denominati in quanto scritti all’interno delle pareti dei sarcofagi. Questi scritti si sostituirono ai Testi delle Piramidi. Le finalità erano le stesse dei testi più antichi e cioè di poter accedere alla vita eterna. Con la “rivoluzione Osiriaca” sono riportati sui sarcofagi dei nobili a cominciare dalla fine del terzo millennio a.C. In un primo tempo il gatto era sacro alla dea Isis, ma è possibile che, nel corso del tempo, una Isis a testa felina sia diventata una dea a sé stante con il nome di Bast o Bastet. (Il gatto rimase comunque legato al culto della dea Isis, anche in seguito). Il suo carattere lunare viene a volte sostituito con quello solare nella sua dualità Bastet – Sekhmet. Essa appare in alcuni miti quale figlia di Osiride (dio dell'aldilà e della rinascita delle messi dopo l'inondazione del Nilo) ed Isis (signora della fertilità, della maternità e della magia) oppure figlia di Ra (il grande creatore). Bastet era la dea dell’amore, della sessualità, della fertilità, della famiglia, della casa, dei figli, della musica e della danza - protettrice della maturazione delle messi e dei frutti. Veniva raffigurata sia in piccoli bronzetti, anche a carattere votivo, sia scolpita in statue a varie dimensioni. Assumeva due aspetti. I'uno era in forma di gatta, l'altro con fisico femminile e testa di gatta. In quest'ultimo caso era, di solito, in piedi con gambe unite e indossava una tunica aderente fino alle caviglie. La tunica aveva uno scollo a “V” e corte maniche che coprivano esclusivamente le spalle. Nella mano destra teneva il sistro, strumento musicale assai primitivo, simbolo dell'Armonia Universale e della sessualità. Nella sinistra l’egida, sorta di pettorale semicircolare di uso votivo sormontato da una testa felina o leonina con, sul capo, il disco solare e il serpente ureo, sacra manifestazione del potere supremo. Il disco solare e l’ureo rimandano alle origini di Bastet: ella è infatti la figlia del dio Ra e come tale ricopre un ruolo importante nel pantheon degli dei egizi. Al collo porta l’Udjat, o occhio di Ra, simbolo di protezione, completezza e integrità e Bastet rappresentava, infatti, uno dei due occhi del dio solare. Il sistro e l’egida sono strumenti di fondamentale importanza poiché Bastet li condivideva con la dea Iside e la dea Hathor. Sull'avambraccio recava un cestino, manifestazione di fertilità e abbondanza. Alcuni miti, simili tra loro, narrano della nascita di Bastet e Sekhmet. Il più diffuso racconta di come Ra, dio creatore, disgustato dal comportamento degli uomini, mandò nel mondo la dea Hathor per distruggerli. Assumendo la forma di una leonessa gigantesca iniziò a fare strage uccidendo tutti coloro che incontrava sul suo cammino. Ra, vedendo il terribile scempio, si pentì e cercò invano di richiamare la dea furiosa che, ormai sempre più assetata di sangue, non era più in grado di fermarsi. Fu il dio ibis Thot, gran visir del panhteon egizio, e signore della magia, della conoscenza, della scrittura e dei numeri, che riuscì ad escogitare uno stratagemma per fermarla della sua distruzione. Creò per magia decine e decine di barili contenenti birra, succo di melagrane e ocra rossa e li dispose davanti alle porte della capitale del regno, ove la dea feroce si stava recando per annientare tutti. Appena vide il liquido rosso, credendolo sangue, Sekhmet lo bevve fino a ubriacarsi e addormentarsi. Il sonno calmò la collera della dea, che al suo risveglio assunse la mite forma di Bastet e smise di infierire contro il genere umano. Una variante del mito afferma che Sekhmet al risveglio si bagnò nel Nilo e solo in quel momento si trasformò in Bastet che fece ritorno a Per – Bast (o Bubasti), la città a lei consacrata. Sekhmet rappresentava, con corpo di donna e testa leonina, la terribile forza distruttiva del sole, ma era anche “Colei che comanda agli spiriti” e per questo, nel suo altro aspetto benevolo, veniva ritenuta la dea della medicina e patrona dei medici. Gli antichi egizi pensavano che le malattie fossero originate da spiriti malevoli che si introducevano nel corpo umano attraverso i suoi orifizi. Per questo “Colei che comanda agli spiriti” aveva potere su di loro - e quindi veniva invocata e pregata dai medici prima di effettuare una visita e eventualmente somministrare dei rimedi. Faceva farte dei una delle più importanti triadi divine dell'Antico Egitto, quella dell'antica capitale Menfi. La triade era composta dal dio Ptah, il Grande Modellatore, dalla consorte Sekhmet e dal figlio Nefertum (dio della vegetazione). I faraoni amavano paragonarsi a Sekhmet quando, gettatisi con le truppe nel furore della battaglia, riuscivano a mettere in fuga e debellare le forze straniere spesso in lotta con l'Egitto per i territori dell'attuale Sinai, Israele, Giordania occidentale, Libano e sud della Siria o negli scontri con le popolazioni libiche o, ancora, nei territori di conquista dell'attuale Sudan settentrionale. A Torino, nel ricchissimo Museo Egizio, secondo solo a quello del Cairo, sono ospitate una serie di statue (alcune molto ben conservate) che raffigurano la dea Sekhmet: talune sono assise ed altre in piedi. Provengono dal tempio della dea Mut, consorte del dio nazionale del Nuovo Regno Amon. Sekhmet era considerata anche uno degli aspetti di Mut, oltreché dea a sé stante. Le statue furono offerte a cominciare dal faraone Amenhotep III (a seguito di una sua guarigione). In altri musei, in Egitto e fuori, altre statue similari sono visibili ai visitatori, offerte anche da regnanti di epoche successive. La dea ha in mano lo scettro Uag, di provenienza dal mondo vegetale e simbolo di potere divino, la chiave della vita Ankh e reca sul capo il disco solare. Con il Nuovo regno gli amuleti in forma di felino divengono sempre più numerosi e si trovano in molti tipi di gioielli nelle tombe dei nobili. Tenere un gatto in casa era, per gli egizi, fonte di benevolenza da parte degli dei: si riteneva che dare loro una sepoltura con una appropriata imbalsamazione arricchisse ulteriormente di benedizioni divine la casa che l'aveva ospitato. Quando un gatto moriva i familiari si radevano le sopracciglia in segno di lutto. Uccidere il gatto in modo deliberato comportava quasi sempre la pena capitale e chi ne causava la morte accidentale era severamente punito. Il rito funebre per il gatto, come per gli esseri umani, dipendeva dalle disponibilità della famiglia che lo aveva ospitato: i gatti sacri dei templi avevano, di solito, esequie ancora più elaborate. L'imbalsamazione era simile a quella delle spoglie umane; il gatto era immerso in un bagno di soluzioni saline per un certo periodo di tempo (anche sino ad un mese) in modo che i tessuti cedessero l'acqua contenuta nel corpo. Successivamente era svuotato delle interiora. La cavità addominale era poi riempita sovente con carta di papiro non più utilizzabile e oli essenziali di cedro, mirra, e profumazioni di varia provenienza ( in periodo greco romano anche di bitume). Il pelo veniva lavato, pettinato e profumato. La preparazione della mummia era completata da uno stretto bendaggio di lino e, in ultimo si inseriva sul capo una maschera più o meno elaborata riproducente le fattezze feline, in gesso o, di rado, in materiali ancora più pregiati. Ordinariamente le fattezze del muso erano anche semplicemente riportate sul bendaggio facciale. Si richiudeva poi la mummia in un piccolo sarcofago a misura, in una semplice cassa o all'interno di una scultura cava a forma felina, altre volte la scultura era in bronzo. Spesso, accanto al sarcofago, era collocata una statuetta della dea gatta. In altri casi le mummie erano inumate all'interno di vasi di argilla. In vari siti dell'Egitto sono stati rinvenuti grandi cimiteri che ospitavano mummie di animali sacri alle varie divinità: falchi, tori, coccodrilli, ibis, babbuini, pesci, ecc. ; questo era valido anche per i gatti. Le città, i templi e le necropoli. Una delle necropoli più estese si trova proprio nell'area della antica città di Per – Bast (Il dominio di Bastet), oggi denominata Tell Basta, a sudest della città di Zaqaziq, nella zona centro orientale del delta del Nilo. Era la città principale del culto della dea Gatta Bastet. L'importanza della città crebbe sin dagli inizi della storia egizia, in parte almeno grazie alla posizione strategica che permetteva di controllare le piste che collegavano la città di Menfi, allora capitale dell'Egitto, (in egizio antico Hut Ka Ptah e cioè Dimora del “Doppio” del dio Ptah) al Sinai (Uadi Tumilat) e, di conseguenza, con l'Asia. Con il terzo periodo intermedio (1085–715 a.C.) e l'ascesa politica del primo sovrano della XXII dinastia ( Sheshonq I - regno dal 945 al 924 a.C.) la capitale dell'Egitto venne portata nella città di Per – Bast (Bubastis) . Il tempio della dea Bast fu ulteriormente ingrandito. Edificato in granito rosso era lungo trecento metri per cinquanta e sorgeva su un'isola circondata da canali. In questo periodo storico la dea gatta soppiantò, a poco a poco, i culti di molte altre divinità femminili e divenne una divinità a carattere nazionale. Tra il 1887 ed il 1889 il tempio fu riportato alla luce da E. Naville. Non fu possibile ricostruire l'edificio per la mancanza di moltissime parti – impiegate nei secoli successivi come cava a cielo aperto. Si sono comunque potute individuare le principali aree del tempio: l'atrio d'ingresso fatto edificare dal faraone Osorkon II (874–850 a.C.), la sala del giubileo reale e l'atrio ipostilo di Osorkon III (787–759 a.C.), la sala di Nectanebo II (360 - 343 a.C.). Tra i templi minori di tutte le fasi della storia egizia ritrovati nel sito, è da ricordare l'edificio consacrato al culto del dio leone Mihos, considerato figlio di Bastet e fatto costruire da Osorkon III. Nella necropoli dei gatti, che affiancava l'insediamento urbano si sono rinvenute almeno 350.000 mummie. L'importanza della città si può anche immaginare dal ritrovamento di numerose tombe di dignitari del regno di alto rango, che qui decisero di farsi seppellire nelle loro “Case dell'Eternità “, di cui alcune anche visitabili - con bassorilievi e affreschi di gran pregio. Il clero preposto alla cura del tempio di Bastet riceveva offerte dai cittadini, dai pellegrini, dai nobili e dai faraoni. Il potere economico e politico di questo centro religioso si fece sentire anche negli affari di stato. Ovunque vi erano gatti, anche agghindati con gioielli ed altri elementi preziosi. Erano liberi di riprodursi, seguiti con cura e attenzione dal clero, dagli inservienti del tempio, dai cittadini e dai pellegrini. Alcuni sacerdoti erano incaricati di “vaticinare” alle richieste dei postulanti osservando i comportamenti di gatti scelti tra gli altri con criteri che non conosciamo. Ad ogni richiesta corrispondeva una donazione al tempio. Nella città si svolgevano ogni anno importanti feste in onore della dea, ricche di giochi e di svaghi; complicati rituali religiosi in suo onore si affiancavano a sfrenati baccanali orgiastici, con musica, danze, cibo, birra e vino. Non si ha una precisa documentazione di quanto avvenisse, ci resta la testimonianza dello storico Erodoto che così narra: - Giungono uomini e donne in gran numero, sulle barche. Gli uomini suonano il flauto e le donne i sonagli. Altri battono le mani e tutti cantano. E poi danzano tutti insieme. Arrivati alla città si celebrano sacrifici in onore di Bastet e il vino scorre a fiumi -. Ciò di cui si è al corrente è che, per la festa della Dea Gatta, che coincideva con il nostro 31 ottobre, partivano pellegrini non solo dall'Egitto e che il mezzo più usato era la via fluviale. Si credeva che queste manifestazioni aumentassero, per il favore della dea, fertilità delle persone e degli animali, incremento delle produzioni agricole e allagamenti del Nilo, con un apporto corretto di fertile limo. Un altro vasto “giacimento” di gatti imbalsamati venne scoperto verso la metà del XIX secolo nel Beni Hasan (Medio Egitto). Oltre venti tonnellate di mummie di gatto furono vendute ad un commerciante inglese che le rivendette al suo ritorno nella città di Liverpool , a poco prezzo, come concime. Ciononostante sono numerose le mummie ed i corredi funebri di gatti che sono ospitate in quasi tutti i musei egizi del mondo. Alcune di esse, una volta aperte, ci hanno restituito papiri che, restaurati, ci hanno fornito preziose informazioni di vario genere sulla vita nel mondo del Nilo ( Furono impiegati come riempitivi, quando non più utilizzabili come documenti scritti in quanto già compilati sul recto e verso ). Gli scavi archeologici hanno portato alla luce necropoli di mummie di gatto sparse un po' in tutto l'Egitto. Tanto per citare i siti principali ricordiamo Sakkara, Abido, il Beni Hasan, Tebe, Roda, Balat oltrechè, naturalmente, Per – Bast. Nel 2009 sono stati scoperti ad Alessandria d'Egitto i resti di un tempio dedicato alla dea Bastet. Costruito durante il regno del sovrano Tolomeo III (246-222 a.C.) fu ordinato dalla sua consorte, la regina Berenice. La missione archeologica condotta dal Prof. Mohammed Abdel Maqsoud, ha rilevato che l'edificio misurava 15 x 60 metri. Purtroppo anche questo tempio, nel corso dei secoli successivi, è stato usato come rifornimento di materiali per nuovi edifici sia romani che islamici e quindi poco ne è rimasto. In zona si sono comunque recuperate oltre seicento statue di questa epoca ( di cui, una parte cospicua, raffigura Bastet). Questa documentazione archeologica attesta che, anche nel periodo della dominazione dei Tolomei (305-30 a.C.), il culto della dea aveva un seguito nella nuova capitale del regno, Alessandria, uno tra i centri più importanti del Mediterraneo dell'epoca. Al British Museum di Londra ed al Louvre di Parigi alcune mummie di gatto sono state radiografate ed i risultati hanno lasciato assai perplessi gli archeologi. Molti soggetti risultano esser stati annegati, strangolati o uccisi in altro modo e poi mummificati e seppelliti con tutti i crismi più accurati nel procedimento di imbalsamazione dell'epoca. Ma il gatto non era sacro nell'Antico Egitto? Non esistevano punizioni severe per coloro che anche solo tentavano di fargli del male? Non parliamo poi di sopprimerlo …. e molti erano esemplari molto giovani e piccoli tra le mummie studiate …. sappiamo che un gatto ben tenuto e curato può mediamente vivere tra i 10 ed i 14 anni almeno. Sono state fatte alcune ipotesi: Forse i gatti si riproducevano in modo troppo veloce e quindi si è dovuto provvedere a “sfoltirne i ranghi”.... oppure l'uccisione rituale in offerta alla dea Bastet era un modo per propiziarsi la sua benevolenza …. magari dietro compenso ai sacerdoti da parte dei pellegrini che, in cerca di soluzioni ai loro problemi, malattie o difficoltà esistenziali pagavano per il sacrificio, la mummificazione e la sepoltura di un soggetto scelto all'interno del tempio … non lo sapremo mai. BIBLIOGRAFIA. La Religione Egizia – S. Morenz - Ed. Il Saggiatore – Milano, 1968 Storia del Mondo Antico – Cambridge University Press. - Garzanti - 1976 I Miti Egizi – B. de Rachewiltz – Ed. Longanesi – Milano, 1983 Lo Spiritualismo Egiziano Antico – G. Masi - Ed. Clueb – Bologna, 1994 The Cat in Ancient Egypt - J. Malek - The British Museum Press - London, 2006