Diritto e rovescio A cura di Stefano Citterio 1 Rita Redaelli2 La responsabilità infermieristica nel processo di somministrazione del farmaco Cassazione Penale, Sezione IV, sentenza del 10/7/2008 n. 32424 IL FATTO Il piccolo Riccardo, di sedici mesi, il 4 giugno 2002, viene ricoverato presso una clinica milanese su consiglio del pediatra di fiducia per problemi di alimentazione. Intorno alle ore 16.30 del medesimo giorno vengono somministrati al piccolo paziente alcuni farmaci tra cui una fiala di ISOPTIN (principio attivo Verapamil). Immediatamente dopo la somministrazione di questo farmaco si è verificato un improvviso aggravamento delle condizioni del bambino che ha reso necessario il suo ricovero nel reparto di rianimazione dove, nonostante le cure prestategli, è deceduto il giorno successivo. I giudici di merito hanno ricostruito la sequenza dei fatti in questo modo: Riccardo, prima del ricovero, assumeva il farmaco Isoptin per os, in compresse da 20 mg, ed il medico accettante, dopo averlo visitato all’atto del ricovero, confermava la terapia impostata dal collega. In reparto, però, erano disponibili solo compresse da 40 mg, difficilmente divisibili e quindi non correttamente dosabili; per questa ragione il medico ha contattato il farmacista della struttura il quale gli ha comunicato che, nell’immediato, il farmaco non era disponibile in compresse ma in fiale da 20 mg somministrabili per via endovenoAgorà n. 52 marzo 2013 sa. D’accordo con il farmacista il medico ha deciso che queste fiale potessero essere somministrate anche per via orale e se le è fatte trasmettere in reparto. Alla telefonata, secondo la ricostruzione dei fatti, hanno assistito anche l’infermiera che ha somministrato il farmaco e la Dott.ssa specializzanda che ha compilato il foglio di terapia. Il foglio di terapia in realtà non è mai stato rinvenuto, ma dall’audizione dei vari testimoni è emerso che la specializzanda abbia ammesso di non aver indicato la via di somministrazione del farmaco. L’infermiera ha somministrato la terapia attenendosi alla via di somministrazione indicata sulla confezione, quindi per via endovenosa, nonostante la madre le avesse comunicato che quel farmaco non fosse mai stato somministrato al figlio in vena ma solo per bocca, con le conseguenze già riportate. I Giudici di merito hanno accertato che il decesso fu provocato dalla somministrazione endovenosa del farmaco che ha determinato un avvelenamento acuto da Verapamil, che la somministrazione orale avrebbe con certezza evitato essendo molto diverse le modalità di assorbimento del principio attivo. I tre imputati sono stati condannati per il delitto di omicidio colposo. COMMENTO L’emersione del tema degli eventi avversi nell’assistenza sanitaria segna senza dubbio un aspetto di grande rilevanza nella storia dei servizi sanitari 51 Diritto e rovescio 52 dell’occidente. Questo processo rientra nel più generale fenomeno del riconoscimento sociale di quello che è stato definito “the dark side of organization”. Organizzazioni complesse in cui vengono implementate tecnologie avanzate e sempre più sofisticate presentano proporzionalmente anche situazioni di “errore”. È questo il caso delle organizzazioni sanitarie. “To Err is Human”. Con questo titolo l’autorevole Institute of Medicine (IOM) statunitense ha pubblicato nel 1999 un rapporto di ricerca sul tema degli errori nella pratica medica e sulle loro conseguenze sui cittadini in cura. Il rapporto dello IOM ha per la prima volta affrontato in modo sistematico il tema dell’errore in sanità con l’intento di analizzare le cause di questo tragico fenomeno e di proporre possibili rimedi. Oltre a questo, nonostante il titolo richiami alla responsabilità degli operatori della sanità, il rapporto afferma con forza che il principale elemento di criticità per garantire la sicurezza dei pazienti non consiste nella qualità professionale degli operatori sanitari, ma semmai nelle caratteristiche organizzative del sistema complessivo dell’assistenza sanitaria, per via dell’assenza di un dispositivo sistematico di raccolta e di analisi dei dati sugli eventi avversi e, di conseguenza, di accorgimenti organizzativi e tecnologici per contrastarne la comparsa. In Italia il tema dell’errore nella pratica sanitaria non ha avuto propugnatori altrettanto autorevoli come l’Institute of Medicine americano. Tuttavia anche nel nostro Paese gli ultimi anni hanno visto una crescita delle iniziative sul tema. Anche il Ministero della Salute ha attivato un Protocollo di monitoraggio degli Eventi Sentinella. L’errore di terapia che determina morte, coma o grave danno al paziente rientra tra questi. Per evento sentinella si intende “un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente evitabile, che può comportare morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del servizio sanitario. Il verificarsi di un solo caso è sufficiente per dare luogo ad un’indagine conoscitiva diretta ad accertare se vi abbiano contribuito fattori eliminabili o riducibili e per attuare le adeguate misure correttive da parte dell’organizzazione”. La massima che possiamo trarre da questo caso è che in presenza di una prescrizione incompleta, lacunosa o ambigua (cioè interpretabile) è fatto obbligo, prima di precedere a somministrare qualsiasi farmaco, chiedere conferma al medico prescrittore. Affermazione che appare ovvia, nei fatti, rischia di non esserlo a causa degli errori cognitivi, così frequenti in casi di eventi avversi. Nel fatto in discussione l’infermiera non è stata negligente o incompetente, il suo errore rientra nella fallibilità del ragionamento umano che induce, come in questo caso, ad assumere comportamenti potenzialmente pericolosi. L’infermiera pur essendo presente alla telefonata tra il medico e la farmacista aveva capito che, non essendo disponibili le compresse di Isoptin, dovevano essere somministrate le fiale che le erano state consegnate per via endovenosa. Il che spiega, secondo la Corte di merito, la determinazione dell’infermiera di fronte alle rimostranze della madre del bambino. L’assenza della via di somministrazione nella prescrizione (che palesemente violava la classica regola delle 6G) e le proteste della madre, quindi, non sono state barriere sufficienti ad evitare l’evento avverso. Possiamo anche dedurre che gestire prescrizioni incomplete fosse piuttosto frequente? Non lo sappiamo, anche se l’abitudine a certe violazioni può determinare comportamenti che tendono a “riparare” la violazione commessa da un altro membro dell’equipe (frequentemente in perfetta buona fede e con la volontà di fare presto e bene nonostante l’imprevisto), generando una ulteriore violazione. Da questi comportamenti può facilmente determinarsi un evento avverso. La condotta dell’infermiera non si può definire abnorme o imprevedibile (come indicato nel ricorso dei medici) perché si trovava a somministrare un farmaco che, sulla confezione, riportava la somministrazione EV. Era certamente suo obbligo chiedere conferma di questa prescrizione dato che il foglio di terapia nulla riportava in proposito, ma eccezionale e imprevedibile non è certo la condotta di chi si adegua alle prescrizioni scritte sulla confezione in mancanza di una precisazione, assolutamente necessaria per la gravità del rischio, nella prescrizione terapeutica e in mancanza di istruzioni certe e confermate. La colpa dell’infermiera trova il suo presupposto nell’ambiguità della prescrizione e nel mancato recepimento delle istruzioni (sempre che vi siano state). La sua condotta colposa trova l’antecedente Agorà n. 52 marzo 2013 Diritto e rovescio logico e causale nelle negligenze dei due medici che l’hanno incaricata di una somministrazione ad alto rischio fornendole un farmaco, per uno specifico paziente, farmaco che non sarebbe dovuto essere nemmeno presente in reparto per logici motivi di sicurezza, senza che le fossero fornite istruzioni inequivocabili circa il suo utilizzo. Il fatto, poi, che nemmeno la Dott.ssa si sia preoccupata di scrivere correttamente la prescrizione fa nascere il forte dubbio che le informazioni fossero davvero poco chiare tra i vari membri dell’équipe. Per questo anche il medico strutturato risulta in colpa poiché non si è preoccupato di accertare che l’infermiera avesse compreso come doveva somministrare il farmaco. In questo caso i medici hanno legittimamente scelto una modalità inusuale di somministrazione di un farmaco, ma sanno, o dovrebbero sapere, che una diversa modalità di somministrazione può avere effetti mortali su un certo tipo di paziente; il rischio è altissimo, poiché sulla confezione del farmaco è indicata proprio la via di somministrazione che nel caso specifico può essere mortale. L’ordinamento consente di svolgere determinate attività pericolose, o di svolgerle secondo modalità pericolose, ma richiede ulteriori presidi cautelari idonei ad evitare o a diminuire il rischio del verificarsi di eventi dannosi. Nel caso in questione quale dovrebbe essere la regola cautelare rafforzata da osservare? Se il medico decide di non somministrare il farmaco personalmente deve avere la CERTEZZA che la persona incaricata sia idonea ad eseguire il compito e che abbia effettivamente compreso quali modalità deve seguire; l’incaricato, medico o infermiere, deve essere a conoscenza che diverse modalità possono avere effetto mortale e va segnalato altresì che le modalità da seguire sono diverse da quelle indicate sulla confezione. 1 Presidente Ipasvi Como 2 Infermiera Legale e Forense, Consigliere Ipasvi COMO Agorà n. 52 marzo 2013 La raccomandazione n. 7 del Ministero della Salute emanata nel 2008 raccomanda (tra le altre cose) di adottare, per garantire più sicurezza e ridurre la possibilità di errori nel processo della terapia farmacologica, la scheda unica di terapia dove, in accordo con le disposizioni vigenti in tema di privacy, vengano riportate dal medico tutte le informazioni necessarie per l’individuazione della terapia e dall’infermiere ciò che è stato effettivamente somministrato, apponendo le proprie firme o sigle, in modo da consentire la tracciabilità. In questa situazione, oltre a quanto già detto circa l’incompletezza della prescrizione, si può osservare che se la struttura del foglio unico di terapia fosse stata concepita separando i farmaci in base alla via di somministrazione, ciò poteva rappresentare una ulteriore barriera all’accadere dell’evento. Per questo motivo la modalità con cui viene strutturata la documentazione clinica risulta particolarmente rilevante per la gestione del rischio clinico. Il ruolo giocato in modo combinato dalle organizzazioni di tutela degli utenti dei servizi sanitari e dai mass media ha portato il tema dell’errore in una zona di consapevolezza pubblica da cui difficilmente si potrà retrocedere che sta alimentando una nuova cultura, amplificatrice di atteggiamenti rivendicativi e compensatori, in cui l’errore non è più scusabile, non è più un dato naturale imputabile al destino, ma un fatto imputabile a responsabilità soggettiva o oggettiva. In questo momento di crisi generale, di tagli ai costi della sanità, di fronte alla riorganizzazione e ottimizzazione delle risorse disponibili, mai come ora è necessaria una sinergia positiva tra la dirigenza sanitaria, la dirigenza infermieristica e gli infermieri perché l’obiettivo deve essere comune: sicurezza per i pazienti e sicurezza per gli operatori 53