il tempo e l`idea

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Anno X X
n° 1 - 12
Gennaio - Giugno 2 0 1 2
Edizioni Il Campano
Proprietario e Direttore responsabile
Bruno Di Porto
Registrazione Tribunale di Pisa
N. 3 del 25 gennaio 1993
Redazione grafica e impaginazione digitale
Daniele Aharon Massimi
e-mail : [email protected]
HAZMAN VEHARAION
IL TEMPO E L’IDEA
Una finestra ebraica sul mondo – Attualità e Cultura
In questo numero:
Chi spregia il giorno delle piccole cose?
• Editoriale.................................................2
• DIVERSITÀ IDEOLOGICHE NEL SIONISMO
ITALIANO di A. Rofè.........................................3
• LEONE CARPI ...................................................8
• UNA PROIEZIONE POETICA DI DAVID LEVI........13
• DUE GESÙ DI ALESSANDRO DINI......................15
• SIRACUSA EBRAICA di G. Coen........................17
• RICORDO DI PAOLA FRANCHETTI.....................19
LEONE CARPI (1810 - 1898)
Nato a Cento nel 1810, morto a Roma nel 1898,
protagonista del Risorgimento, liberale, economista, fiero ebreo.
LEONE CARPI ................................................................................................................................................................8
•
BREVI NOTIZIE - LUTTI - EVENTI – SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE ...................................................................19
1
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Gennaio - Giugno 2012
EDITORIALE
Nel numero scorso si pianse la strage nella scuola ebraica di
Tolosa. In questo la strage di giovani turisti israeliani a Burgas
in Bulgaria. Due tra le nostre e due tra le tante tragedie
del mondo, per ognuna delle quali quasi giornalmente
ci si duole, ma segnate dal particolare accanimento di
ideologia terrorista contro il popolo ebraico, in attacchi
che si susseguono. Nella lista storica si iscrive il crimine
alle Olimpiadi di Monaco, che le Olimpiadi di Londra, a
quarant’anni di distanza, rifiutano di commemorare, come
non fosse un fatto loro, un’offesa allo sport mondiale. Noi
ricordiamo, così come avvertiamo le stragi di cristiani in
Africa e i dolori di questo nostro paese, dalla bomba di
un malvagio folle contro la scuola di Brindisi ai misfatti di
lucide criminalità (saliente è il ventennale della strage di
via D’Amelio), ed al terremoto in Emilia, una pena diversa,
questa, per fenomeni naturali. Cose scontate, che tutti sanno
dalle cronache, in un piccolo periodico privo di cronaca, che
però le soffre e sente il bisogno di registrarle, persuaso della
condivisione dei lettori.
L’ebraismo italiano ha attuato la sua riforma istituzionale,
dandosi un’assemblea permanente con democratiche
elezioni, che ha eletto la Giunta e confermato alla presidenza
l’avvocato Renzo Gattegna. Ogni comunità, per quanto
piccola, ha ora un suo rappresentante nel parlamento
dell’Unione, eletto oppure designato dal Consiglio. Pisa
ha scelto il rag. Anselmo Calò, esponente di primo piano
nell’Unione, invitato permanente in Giunta. Una novità è
stata la lista di giovani donne, impegnate e premiate con un
successo che le ha inserite nel quadro, integrandolo senza
sconvolgerlo.
Questo numero, primo della nostra ventesima annata, si
apre con la relazione del professor Alexander Rofè ad un
gran convegno, tenuto il 27 – 28 giugno in Gerusalemme,
sui contributi degli ebrei italiani alla nascita ed allo sviluppo
di Israele. E’ un confronto di quattro personalità, con loro
angolazioni sioniste, viste da vicino e ritratte con efficaci
tocchi di pennello culturale da un uomo di lunga esperienza,
dedito alla conoscenza e a metodi di indagine nella
comprensione del mondo biblico, sionista con le sue affinità
ideali e le sue leali differenze da altri nello stesso sionismo.
Rofè evidenzia la radice religiosa della rinascita ebraica,
ma ammonisce sulle prerogative e i caratteri propri dello
Stato, una volta fondato, che lo distinguono dalla religione,
ponendo i diritti al riparo dai rigori dell’integralismo
religioso, esso stesso da rispettare ma tenuto al rispetto.
Analogamente egli distingue i criteri dell’esegesi moderna
dalla logica del midrash, che ha il suo pregio nella tradizione,
ma da cui la critica biblica fin dall’Ottocento ha ritenuto di
prescindere nell’analisi dei testi. Il quartetto del professor
2
Rofè si conclude con la figura di Isacco Sciaky, che fu con
Leone Carpi alla testa del sionismo revisionista in Italia.
Nell’articolo seguente si risale con l’avo omonimo di Leone
Carpi, dal risorgimento ebraico all’ebraismo risorgimentale
italiano, nell’età dell’emancipazione. Nel terzo articolo
da Leone Carpi, nativo di Cento in Emilia, si passa al
patriota e vate piemontese David Levi, cogliendone una
originale immedesimazione poetica in Miriam madre di
Gesù: da ebreo e da razionalista egli non poté credere alla
concezione virginale per opera dello spirito santo, ma volse
delicatamente il prodigio in esperienza onirica, rendendo la
sensazione e il sentimento della giovane donna, nella luce
dell’Eterno femminile. Nel quarto articolo il protagonista
è lo stesso Nazareno, sdoppiato tra il Gesù della fede
cristiana e il Gesù storico, carismatico maestro ebreo, nel
libro, brevemente recensito, del professor Alessandro
Dini, architetto fiorentino. Il quinto articolo, del professor
Giorgio Coen, narra un soggiorno a Siracusa, come già fece
il redattore di questo foglio alle pagine 75 – 77 della nostra
XVIII annata (2010), con la lieta differenza e sorpresa, che
egli, andato con la moglie Franca e i cugini Arnaldo e Anna
Coen, ha potuto incontrare la comunità ebraica, frattanto
sorta nella città siciliana, attorno al rabbino Stefano Di
Mauro, trascorrendovi uno shabbat. Si segnala, con ciò,
il fenomeno, minoritario e marginale quanto si voglia, di
nuove realtà ebraiche fuori del contesto ufficiale, tra l’altro,
in questo caso, ad opera di un rabbino ortodosso.
Seguono infine alcune notizie, segnalazioni bibliografiche
e i necrologi dedicati alla professoressa Paola Franchetti,
affezionata lettrice del nostro periodico, fin dalla sua nascita,
ed alla signora Maria Cuccaro, mamma del nostro amico
Yosef Ciccarella.
In ricordo delle vittime della strage di Monaco nel 1972
durante le olimiadi.
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Gennaio - Giugno 2012
RELAZIONE DEL PROFESSOR ALEXANDER ROFE’ AL CONVEGNO “L’ITALIA IN ISRAELE” TENUTO A GERUSALEMME IL 26 E 27 GIUGNO 2012
“IL CONTRIBUTO DEGLI EBREI ITALIANI ALLA NASCITA E ALLO SVILUPPO DELLO STATO DI ISRAELE”
DIVERSITA’ IDEOLOGICHE NEL SIONISMO ITALIANO
CASSUTO, PACIFICI, ARTOM, SCIAKY
di Alexander Rofè
Parlare in qualche cosa come venti minuti di questi
quattro maestri e pensatori è una vera audacia. E già
mi pare di vederli abbozzare un sorriso ironico, alla
fiorentina (tutti e quattro furono fiorentini, di nascita
o di soggiorno), per questo mio ardire di “condensarli”
in sì breve tempo. La mia attenuante è che vorrei
semplicemente renderli presenti a un pubblico che
non li ha conosciuti, e che forse vorrà poi rivolgersi ai
loro scritti per intenderli meglio e comprendere il loro
contributo alla vita e al pensiero di Israele.
UMBERTO CASSUTO
1883 – 1951
Comincerò con Cassuto, il mio primo, amato e
rimpianto, maestro di Bibbia. Umberto, Moshé David,
Cassuto nacque a Firenze nell’età umbertina, nel 1883.
A Firenze completò i suoi studi rabbinici e universitari,
e colà, poi a Roma, insegnò nell’Università e nel
Collegio rabbinico. Fu invitato all’Università Ebraica
di Gerusalemme nel 1939 e qui insegnò fino alla sua
prematura scomparsa nel 1951. Dodici anni in tutto!
Eppure in questo breve tempo lasciò un’impronta
profonda nello studio accademico della Bibbia Ebraica
in Israele. Basta dire che Cassuto fu uno dei Padri
Fondatori di discipline all’Università Ebraica, fondatori
oriundi dall’Italia; come Tedeschi nella giurisprudenza,
Bachi nella statistica e demografia, Raccah nella fisica,
così Cassutto iniziò lo studio critico-storico della Bibbia
Ebraica in Israele. Infatti, nell’Università Ebraica non
esisteva una cattedra di studi biblici prima della venuta
di Cassuto. C’era stata l’opposizione di fondamentalisti
ebrei, che influenzavano i maggiori donatori
all’Università; e ricordiamo che in quel periodo, del
mandato britannico sulla Palestina, l’Università non
era sovvenzionata dallo Stato, e dipendeva perciò
dalla generosità di filantropi.
Dunque Cassuto iniziò, anche se con moderazione,
lo studio critico-storico della Bibbia nell’Università
Ebraica. In primo luogo ciò è evidente col suo
abbandono del midrash, delle omelie tradizionali
ebraiche, nell’esegesi della Bibbia1. Il midrash è
istruttivo per se stesso, ma nell’interpretazione della
Scrittura può sviare l’esegeta. Inoltre, l’interprete, per
Cassuto, non deve mai cercare nei testi dei segreti
profondi o delle rivelazioni sublimi. (Riecheggiano qui
le parole del grande Baruch Spinoza nel suo Tractatus
Theologico-Politicus). Il testo biblico va spiegato sul
1
U. Cassuto, “La Bibbia e l’ebraismo moderno”, Israel,
Vol. 9 (13.3.1924), pp. 3-4; idem, “Our Task in Biblical Scholarship”,
in idem, Biblical and Canaanite Literatures (in ebraico), Jerusalem
1972, pp. 3-11. Questa fu la sua prolusione all’ Universita’ Ebraica
il 15.11.1939, abbreviata e tradotta in francese in Madregot 1
(1940), pp. 75-81: “Notre tâche dans la science de la Bible”. Gli scritti
sparsi di Cassuto sono stati tradotti e pubblicati in inglese; è da
lamentare l’assenza di una loro pubblicazione in italiano.
3
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
livello naturale, umano. Per esempio, il concatenarsi
delle diverse unità in un libro biblico fu determinato
non da profonde intenzioni degli autori, ma da motivi
psicologici, come l’associazione di idee e, ancor più,
l’affinità esteriore2. Infine, l’investigazione storica del
Cassuto lo portò a ricercare le radici della letteratura
ebraico-biblica nella poesia canaanea, specialmente
quella scoperta nei ruderi della città di Ugarit, sulla
costa settentrionale della Siria.3
È una cosa che a pensarci bene è straordinaria: Cassuto,
un ebreo osservante e rabbino, mise in rilievo il debito
della cultura ebraica biblica verso la civiltà canaanea,
quella stessa che gli autori biblici avevano tanto
deprecato e disprezzato. Naturalmente, però, Cassuto
amava sottolineare la differenza del tenore morale
che correva tra i poemi epici canaanei e la letteratura
religiosa di Israele.
Cassuto fu molto amato e stimato a Gerusalemme, sia
per la sua personalità pacata e armoniosa, sia per la sua
vasta cultura, sia per le sue facoltà intellettuali, sia per
la sua capacità organizzativa: egli fu tra i fondatori e
direttori della nostra Enciclopedia Biblica, che in nove
volumi fu completata trentasette anni dopo la sua
morte. Ma non dobbiamo tacere che parte della sua
popolarità fu dovuta alle sue posizioni armonistiche
circa la composizione del Pentateuco. Cassuto tentò
di confutare l’ipotesi documentaria, ossia che il
Pentateuco, specie nella sua parte narrativa, risultasse
dalla composizione di distinti documenti che l’avevano
preceduto. L’ipotesi era stata generalmente aborrita
dagli Ebrei dell’età contemporanea. Cassuto, nel
contestarla, trovò in Israele non poca approvazione
e plauso. Non tutti si resero conto, però, che Cassuto
non tornava alle posizioni apologetiche-tradizionali:
egli ammetteva che la stesura della Torah fosse stata
preceduta da delle fonti, in parte scritte, in parte orali,
e con ciò implicitamente ammetteva che la Torah nella
sua completezza non poteva essere attribuita a Mosè!4
Chi si rese perfettamente conto delle implicazioni della
critica storica di Cassuto fu l’altro fiorentino di nascita,
2
U. Cassuto, “L’ordinamento del libro di Ezechiele”, Miscellanea Giovanni Mercati, a cura di A. M. Albareda, Vol. I, Citta’ del
Vaticano 1946, pp. 40-51, spec. pp. 46-47.
3
U. Cassuto, “Biblical and Canaanite Literatures” (in ebraico), nel volume succitato a n. 1, pp. 20-54.
4
4
U. Cassuto, La questione della Genesi, Firenze 1934.
Gennaio - Giugno 2012
Alfonso Pacifici.5 Se Cassuto fu un vero umanista,
una specie di Pico della Mirandola ebreo nel secolo
ventesimo, Pacifici per contro fu una contemporanea
personificazione ebraica di Girolamo Savonarola. Mi fu
riferito che Pacifici una volta lanciò contro Cassuto una
specie di anatema o scomunica a causa degli scritti
considerati eretici di quest’ultimo6. L’episodio si confà
al carattere e alle idee di Pacifici.
ALFONSO PACIFICI
1889-1981
Nato nel 1889, fu convertito all’osservanza delle
mitzvoth, i precetti religiosi, dal Rabbino Shemuel
Hirsch Margulies, e diventò, ancora giovane, un acceso
sionista. Studiò legge a Pisa, dove si laureò, ma si
distinse specialmente come oratore e pubblicista. Il
suo passaggio all’integralismo religioso ebraico fu
graduale. In un suo discorso del 1916, pubblicato nel
1917 sul settimanale Israel, da lui fondato con Dante
Lattes, parlava della “Questione Nazionale Ebraica”7.
Qui c’era la nazione ebraica, l’anima della nazione,
il movimento nazionale ebraico, il ritorno alla patria
degli ebrei, la ricostruzione sionista in Palestina, una
normale vita economica ebraica; ancora non c’era
5
Si vedano, su Pacifici, il profilo di Bruno Di Porto in
“Hazman Veharaion – Il Tempo e L’ Idea”, XV (2007), n. 24, e per la
tesi di laurea a Pisa, ibidem, VII (1999), nn. 22-23, 24.
6
Di questa notizia non so se esiste una documentazione.
A questo proposito il dott. Reuven Ravenna mi ha indicato l’articolo
di Pacifici, “Il caso Cassuto”, RMI 10 (1934), pp. 93-99.
7
A. Pacifici, La questione nazionale ebraica e la guerra
europea, Firenze 5677-1917, 32 pp. , riprodotto dal settimanale
ebraico Israel N.i 20-21, 22-24 dello stesso anno.
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
niente del Pacifici posteriore. Ma nel 1922 già si vantava
in conversazione con Weizmann, che alle cariche
principali dell’organizzazione Sionistica Italiana non
poteva essere eletto “chi fosse stato noto come non
osservante dello shabbath”. E a questo Weizmann
reagì: “Ma allora, Signor Pacifici, voi mi volete fare
dell’Ebraismo italiano una miniatura?”8.
Gradualmente Pacifici si avvicinava alla ortodossia
integralista ebraica. Gradualmente. Mi fu raccontato
che nel 1925 circa venne in una prima visita in Eretz
Israel. Compagno di viaggio fu il Dr. Enzo Bonaventura,
che poi ebbe la cattedra di psicologia in questa
università, e perì nel 1948 nel massacro di SheikhJarrach. Vennero a Gerusalemme, salirono sulla
spianata del Tempio, entrarono nella Cupola della
Roccia, e lì si fermarono assorti in contemplazione
mistica… Ben sappiamo che quello che fecero è una
trasgressione inammissibile per un Ebreo osservante.
Ma Pacifici ancora non lo sapeva.
In questa fase sionistica, Pacifici, continuando
l’opera del suo maestro Margulies, ebbe certo non
poca influenza su giovani ebrei fiorentini; negli anni
trenta vennero in aliyah diverse famiglie di Firenze: i
Sinigaglia, Servadio, Ottolenghi, Padovano, Cividalli,
Ascoli, Bonaventura, Padoa, Sarfatti, Gennazzani,
Bigiavi-Levi, Fiano, Passigli, Procaccia, Bolaffi, De
Angelis, Beinaim, Varadi, Rocca e lo stesso Cassuto.
Credo che in percentuale di ‘olim la comunità di
Firenze sorpassò tutte le altre comunità italiane. Una
buona parte di loro si stabilirono a Ramat-Gan, dove
col tempo istituirono una sinagoga di rito fiorentino. In
questa si commemorava con la hashkavah il Rav S. H.
Margulies ancora trent’anni dopo la sua scomparsa! Il
tempio esiste e funziona tuttora, anche se i discendenti
dei fondatori si sono un po’ sparsi per il paese. Pacifici
stesso compì la sua aliyah nel 1934 e si stabilì a
Gerusalemme.
Ma l’opinione di Pacifici continuava a muoversi sempre
più verso la più rigorosa ortodossia. Lo udii una volta
parlare al beit-ha‘am, in via Giaffa, nella prima metà
degli anni ’50. I neturei qartà, i facinorosi ultraortodossi,
avevano ordito delle violente dimostrazioni per non
so più quale infrazione dei precetti religiosi nella città
8
A. J. M. Pacifici, ‘Una miniatura’. Ricordi di una
conversazione con Chaim Weizmann, in Scritti in memoria di Leone
Carpi, a cura di D. Carpi et al., Gerusalemme 1967, pp 219-228.
Gennaio - Giugno 2012
di Gerusalemme. (Ben sappiamo che sono tumulti
periodici!). Pacifici si schierò senza equivoci dalla loro
parte e dichiarò testualmente: “La differenza fra noi e
Amran Bloi [il capo dei neturei qartà] è che egli fa, e noi
parliamo”, e testualmente in ebraico con puro accento
fiorentino:
La posizione di Pacifici si era consolidata in un
monismo religioso. La Torah, scritta e orale, rivelazione
divina a Israele, è l’alpha e l’omega dell’esistenza
umana. Nient’altro può contare, solo l’osservanza
scrupolosa delle mitzvoth, dei precetti divini, e in
primis lo studio stesso della Torah. Lo Stato, il ritorno
degli Ebrei alla loro patria, per lui erano cose che
avrebbero acquistato significato solo se impregnate
dall’osservanza delle mitzvoth! Altrimenti, ne facciamo
a meno! Addio Sionismo! Addio Stato! Non per niente
i seguaci di Pacifici predicano oggi la sua dottrina sul
periodico Segullat Israel, in italiano, da New York!
Vi è una forza, una vera potenza, quasi da profeta, nella
predicazione di Pacifici. È la certezza di parlare per Dio
(adesso si scrive solo D.). Con questa sicurezza attacca
la critica biblica, “che su pretese basi scientifiche
veniva[no] di fatto a negare l’origine divina della Torà
stessa” e la condanna come “mode critiche pseudoscientifiche”9. A questo mi provo a rispondere a
distanza di cinquantasei anni: vi è una disciplina che
si chiama storia, con essa, se la curiamo onestamente,
possiamo comprendere il nostro passato, e, in sostanza,
noi stessi. Ogni totalitarismo implica la svalutazione
di questa disciplina. Il nazismo e il fascismo lo fecero
sostituendo alla storia i miti pagani e la retorica
dell’impero romano. Il bolscevismo tramutò la storia
in farsa, riscrivendola continuamente al servizio dei
padroni di turno, i segretari del partito. Pacifici, dal suo
podio, con grande aria di superiorità, parla di “pretese
basi scientifiche” di “mode critiche pseudoscientifiche”
– anche lui rappresenta un totalitarismo: la Torà è tutto,
il pensiero umano applicato alla storia non conta. Non
esiste comprensione al di fuori della Torà!
9
A. Pacifici, “Considerazioni sulle Comunita’ separate,
l’Unita’ d’Israele e le Comunita’ ebraiche d’Italia”, Scritti in memoria
di Sally Mayer (1875-1953, Gerusalemme 1956, pp. 295-307, a p. 298
5
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Non so se Cassuto ebbe occasione di rispondere a
Pacifici.
ELIA SAMUELE ARTOM
1887-1965
Chi certamente era vicino alle posizioni di Cassuto
era suo cognato Elia Samuele Artom, nato a Torino
nel 1887, Rav in diverse comunità italiane, tra le quali
Tripoli e anche Firenze; si stabilì a Gerusalemme nel
1939, tornò di volta in volta a insegnare in Italia e qui
decedette nel 1965. E’ sepolto a Gerusalemme. Artom
era molto erudito negli studi ebraici, autore di un
commentario popolare a tutta la Bibbia, traduttore
in ebraico dei libri apocrifi e in più versato nella
storia e la letteratura del Giudaismo post-biblico.
Artom era sionista: il suo figlio maggiore Emanuele,
Rav anche lui, partecipò all’attività dell’haganah; il
secondogenito, Me’ir, fece l’aliyah nel 1945, ma morì di
poliomielite nel 1947; il figlio minore, Reuvèn, cadde
in guerra, a Motza, nel marzo del 1948. Il pensiero di
Artom verte su due poli: la Torà e lo Stato. Lo Stato di
Israele deve basarsi sulla Torà, altrimenti non potrà
durare. Ma la visione della Torà per Artom è dinamica:
la legge di Israele è stata, in passato, di continuo
sviluppo; questo sviluppo deve rinnovarsi, affinché le
leggi della Torà possano rispondere a tutti i quesiti che
ha sollevato la nuova situazione – l’indipendenza di
Israele. Per il rinnovamento della Torà Artom auspicava
un rinnovamento del rabbinato – il sorgere di una
nuova classe di rabbini, che avrebbero assunto la
responsabilità di legiferare, così come avevano fatto i
nostri saggi nel periodo della Mishnà.
Il libro programmatico di Artom, La nuova vita di Israele,
‫ייח לארשי םישדחה‬, fu pubblicato postumo dal figlio
6
Gennaio - Giugno 2012
Emanuele nel 196610.
Sono passati quarantasei anni, e per ora sembra
che ci siamo ben allontanati dal programma di
Artom: il rabbinato in Israele non si è evoluto verso
un rinnovamento della legge ebraica; viceversa si è
involuto, verso il modo di vivere dell’Europa Orientale
nel secolo diciottesimo, con l’aggravante di un
parassitismo economico e un violento fanatismo. La
Torà non potrà essere la magna charta dello Stato di
Israele. Chi lo disse già novant’anni fa fu Isacco Sciaky,
la persona più odiata ed esecrata nel sionismo italiano.
Anche vent’anni dopo la sua morte ho sentito parlare
male di lui, ed erano calunnie! Era odiato perché
era un caratteraccio, e detestato perché le sue idee
precorrevano i tempi e lo rendevano impopolare. In
più era sionista-revisionista, il partito ostracizzato dalle
sinistre sionistiche e dai borghesi benpensanti.
Isacco Sciaky in visita alla Nave Scuola Sarah
Alla sua sinistra l’istitutore Abraham Blass
Chi era Isacco Sciaky? Nacque a Salonicco nel 1896,
studiò in scuole italiane; era un grande ammiratore
dell’Italia e della cultura italiana; venne a Roma nel 1917
e qui studiò filosofia con Giovanni Gentile ed Ernesto
Bonaiuti, il “Santo”. Insegnò filosofia; nel 1939 venne in
Eretz-Israel, e insegnò a Tel Aviv e a Gerusalemme. Qui
morì nel 1979.
10
In italiano: E. S. Artom, La nuova vita di Israele, Roma
5726, 1966.
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Darò qui un esempio del come questo enfant terrible
del sionismo italiano irritava i suoi interlocutori. Nel
1931 Sciaky venne con Roifer, suo amico, in una prima
visita in Eretz-Israel. A Tel Aviv gli mostrarono con
orgoglio la nuova grande sinagoga in via Allenby;
era costata sforzi economici non indifferenti. “Non
mi impressiona affatto” – disse Sciaky – “è una città di
ebrei ed è naturale che ci sia una sinagoga. Il successo
sarà quando nel centro di Tel Aviv ci sarà anche una
chiesa!” Sciaky, a differenza degli altri sionisti italiani
era un laico; e questo si spiega anche con le loro
differenti origini. I sionisti italiani venivano dalla
religione ebraica o, come Pacifici, avevano ritrovato la
loro identità ebraica nella religione. Sciaky, come del
resto tanti Ebrei dell’Europa Orientale, era cresciuto
in un’etnia ebraica, quella di Salonicco, una città che
all’epoca era abitata da quattro gruppi etnici – Turchi,
Bulgari, Greci ed Ebrei – l’esistenza di una nazione
ebraica era per Sciaky un dato di fatto.
Nel pensiero di Sciaky lo Stato aveva un posto eminente.
Lo Stato – come sede del diritto, che assicura la libertà
all’individuo, limitandola di fronte alla libertà del
prossimo. E siccome lo Stato deve assicurare la libertà
dei cittadini deve necessariamente essere laico. Se
non c’è una chiara distinzione tra confessione e stato,
non solo sarà offesa la libertà, non solo l’uguaglianza
dei cittadini, ma lo Stato diventerà anche il campo di
battaglia tra le diverse fazioni religiose, come l’Europa
dei secoli XVI-XVII, come – per tornare ai fatti nostri – lo
Stato Ebraico nell’età ellenistica e romana.
“Libera chiesa in libero stato” – era il programma di
Cavour. E questo era l’eroe del Risorgimento ammirato
da Sciaky, non Mazzini, non Garibaldi (il patriota
guerrigliero ammirato da Begin), Cavour! All’amico
Roifer Sciaky donò nel febbraio del 1936 una biografia
di Cavour11; nella dedica scrisse: “questo ritratto di
un costruttore di Stato”. Nella stessa data gli dette
un estratto della nota, ben lunga, da lui pubblicata,
all’Accademia Nazionale dei Lincei: “Stato e libertà
nel pensiero di Rousseau”12; lì c’è la dedica: “A Roifer,
pensando allo Stato nostro da ricostruire”.
11
Giuseppe Massari, Il conte di Cavour (Ricordi biografici)
(1872), Rist. Sesto San Giovanni 1935.
12
Presentata dal Socio G. Gentile, Reale Accademia
Nazionale dei Lincei, Rendiconti della Classe di Scienze morali,
storiche e filologiche, Ser. VI, Vol. XI, fasc. 7-10, luglio-ottobre 1935,
pp. 489-554.
Gennaio - Giugno 2012
Con queste idee, nel 1924, Sciaky si aggregò al
Sionismo Revisionista di Jabotinsky.13
Per Jabotinsky Sciaky si adoperò in una continua
azione diplomatica presso il governo italiano14, un
filosofo nella politica e diplomazia... Quanto sia difficile
mettere insieme queste cose lo illustra il seguente
episodio (raccontatomi da Sciaky). A fine giugno 1936
Jabotinsky si incontro’ a Ginevra con tre revisionisti
italiani – Carpi, Roifer e Sciaky. C’era stata la conquista
dell’Etiopia e le sanzioni contro l’Italia, e la domanda in
aria era che direzione avrebbe preso la politica italiana.
Sciaky spiegò lungamente a Jabotinsky che l’Italia non
poteva andare con la Germania nazista. Il resto, poi,
si sa. Ma nel 1939 o 1940 Sciaky scrisse a Jabotinsky:
“Si ricorda che Le dissi a Ginevra che l’Italia non si
sarebbe alleata colla Germania? Io non mi sbagliai; si
è sbagliato ‘lui’ [ossia Mussolini]”. Eh già, Sciaky non
sbagliava mai... La morale è che i filosofi a volte vedono
le cose non come sono, ma come dovrebbero essere.
Il revisionismo di Sciaky, oltre al suo carattere difficile,
oltre al suo laicismo che contrastava le idee di Pacifici,
Lattes, Ciro Glass e altri attivisti del Sionismo, lo rese
inviso agli ambienti del Sionismo italiano. Ma Enzo
Sereni gli tenne fede, nonostante i contrasti ideologici:
nel novembre del 1939 lo chiamò al telefono da
Roma: “Vieni, prendi il treno da Firenze stanotte; ho un
certificato per te, te lo meriti”. Fu così che Sciaky arrivò
per tempo in Eretz-Israel. Lo Stato di Israele è il frutto di
quell’anelito al Ritorno inerente alla religione ebraica.
Fu quell’anelito la prima ragione del movimento
sionista, che in settant’anni di sforzi immani stabilì lo
Stato Ebraico in questo paese. Ma una volta fondato,
lo Stato, se vuole perdurare, deve reggersi secondo
la logica degli Stati, deve aprirsi alla partecipazione
di tutti i cittadini nella cosa comune, la res publica. Lo
Stato non può essere confessionale. Se vuole vivere,
deve recidere la corda ombelicale che lo nutriva, dal
grembo della tradizione ebraica. Oggi questa verità è
pressoché accettata dalla maggioranza degli israeliani.
Sciaky, che precorreva i tempi, la proclamava già molti
anni fa. Ma era una voce che chiamava nel deserto…
13
Gli scritti ebraici e sionistici di Sciaky sono stati raccolti
da V. Pinto in Il salonicchiota in nero, Livorno 2009 .
14
Si veda V. Pinto, a cura di, Stato e libertà: il carteggio
Jabotinsky-Sciaky (1924-1939),Soveria Mannelli (Catanzaro) 2002.
7
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Gennaio - Giugno 2012
LEONE CARPI (1810 - 1898)
Protagonista del Risorgimento, liberale, economista, fiero ebreo
Leone Carpi (1810 - 1898)
Leone Carpi è stato un patriota del Risorgimento,
economista e deputato nell’Italia unita. Nacque nel
1810 a Cento, in provincia e delegazione pontificia
di Ferrara, da cospicua famiglia ebraica. L’avo Mosè
aveva avuto la privilegiata qualifica di familiare del
cardinale Alessandro Albani. Il padre Lazzaro era
stato capitano della Guardia nazionale nel periodo
francese e ricevette un encomio dal segretario di Stato
cardinale Ercole Consalvi per la promozione di regolari
mercati di bestiame ed attività imprenditoriale.
Sempre Lazzaro aprì nella casa di Bologna il primo
oratorio per i correligionari tornati ad abitare nella
città. Oltre il confine del Lombardo Veneto la famiglia
poté acquistare un terreno e svolgere attività agricola,
curata da Leone, in provincia di Rovigo. A differenza,
dunque, dell’andamento generale per gli ebrei,
specialmente in Roma, i Carpi avrebbero potuto
vivere bene l’età della Restaurazione, ma aderirono
ben presto, padre e figli, ai movimenti liberali in
società segrete, compromettendosi con le autorità, sia
pontificie che austriache.
Leone si diede, da autodidatta, una buona cultura,
soprattutto economica e politica. Dalla fase della
clandestinità in società segrete, unica possibile per
chi si impegnasse politicamente, prima della stagione
giobertiana e del pontificato di Pio IX, passò su
8
posizioni moderate, partecipando al movimento di
opinione pubblica che chiedeva graduali riforme
in una prospettiva di unione confederale tra gli stati
italiani e di norme costituzionali.
Tra i diritti da affermare era per lui, naturalmente,
la parità degli ebrei agli altri cittadini, e di questo
problema discusse, nel 1847, su giornali toscani, con
il cognato Salvatore Anau, fratello infatti di sua moglie
Pamela, banchiere e filantropo ferrarese, il quale
voleva un’azione al massimo concertata con ambienti
liberali cristiani, auspicando che fossero questi a
prender l’iniziativa, come in effetti stava avvenendo:
nella stessa Toscana lo fece Giambattista Giorgini,
letterato e professore all’Università di Pisa, genero del
Manzoni, sul giornale “L’Italia”. Ai correligionari Anau
soprattutto chiedeva di prepararsi all’emancipazione
uscendo dalla separatezza della loro piccola società,
come, del resto, stava avvenendo, attraverso crescenti
contatti tra ebrei e cristiani. La parte meno evoluta
della piccola società ebraica, legata a minuti commerci
e a caratteristiche che marcavano la differenza, era
ovviamente il ceto povero e Anau criticava, a questo
proposito, le comunità perché lo sovvenivano in
denaro o provvedendolo di umili abitazioni, invece
di indirizzarlo a mestieri manuali e di dargli una base
elementare di istruzione, togliendolo da un modo di
vita che attirava pregiudizi: anche questo avviamento
ai mestieri, con un minimo di istruzione elementare,
già si era cominciato a fare in seno alle comunità e
bisognava semmai dargli incremento.
Salvatore Anau, banchiere, filantropo, pubblicista,
segretario del Circolo Nazionale in Ferrara, deputato alla
Costituente della Repubblica Romana, fondò un asilo
infantile nelle campagne di Paviole.
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Anau voleva inoltre modificare il culto, introducendo
le preghiere in italiano, togliendo i riferimenti
all’antica patria in Sion e la messianica aspettativa
a tornarvi, voleva alleggerire il rigore dei precetti,
voleva far posto alle donne nel culto, e si mostrava,
al riguardo, informato, assai più di quanto si fosse in
Italia, del movimento di riforma che era in corso tra
gli ebrei negli altri paesi di Europa, ma ne esagerava
l’estensione. Nell’ebraismo italiano non ci fu un
movimento organizzato di riforma, ma cominciavano
ad affiorare alcuni cambiamenti, come una prima
introduzione della maggiorità religiosa per le ragazze.
A lui, in fondo, il movimento di riforma interessava
soprattutto sotto il profilo della facilitazione ad entrare
nella circostante società cristiana, ad adottare costumi
e modi di vita simili a quella della maggioranza: in una
parola a favorire quel processo che fu poi chiamato
assimilazione, e che ha compreso diverse gradazioni
di distacco dalle origini e di uniformità con i non
ebrei. Di riforme si parlava in campo ebraico, dove
c’era, tra i rabbini e i fedeli, chi le intendeva come
misurato adeguamento ai tempi, per contenere,
con preghiere meno lunghe e regole meno strette,
la disaffezione, che già si notava verso il culto e le
tradizioni: si rinvia al profilo del rabbino maggiore di
Mantova, Marco Mortara, nella nostra annata XVII (pp.
43–68), ora pubblicato nella rivista “Materia Giudaica”.
Meno avveduto era il parlare, così genericamente, di
riforma dell’ebraismo, per meritare l’emancipazione,
su un giornale liberale cattolico, diretto dall’abate
Raffaello Lambruschini, egregia personalità, il
quale chiarì, in nota di commento, che la questione
dell’emancipazione degli ebrei, nel dibattito pubblico
italiano, non doveva essere religiosa ma civile e
politica. Quanto alla religione, il direttore non poteva
tacere l’auspicio dell’approdo di tutti gli israeliti alle
verità evangeliche, cosa che tardava ad avvenire per
colpa, in gran parte, cristiana, avendo i cristiani male
interpretato la dottrina di Gesù. Anau rimase ebreo e
non arrivava certamente a prospettare la conversione,
ma perorò, non richiesto, un formale ossequio alla
Croce come simbolo sacro di unità nazionale italiana.
Carpi sostenne, in dibattito col cognato, sul giornale
“L’Alba”, che gli ebrei dovevano esser parte attiva nella
richiesta dei loro diritti, civili e politici, a prescindere
da modifiche o miglioramenti nella vita interna delle
comunità, che non era comunque in contrasto con la
società circostante.
Riteneva errato chiedere il sacrificio dei riti e simboli
religiosi che univano la minoranza ebraica: usava
al riguardo una espressione generica di tutela della
tradizione religiosa, senza entrare nel merito della
dottrina e della precettistica.
Carpi mise in atto l’impegno diretto con un opuscolo
di protesta, da Firenze, contro una direttiva ufficiosa
della Segreteria di stato pontificia per l’esclusione
degli ebrei dalla Guardia civica, allargando il discorso
Gennaio - Giugno 2012
dal caso, di per sé umiliante, alla generale esigenza
dell’emancipazione, che gli ebrei meritavano per leale
attaccamento ai rispettivi paesi e per l’apporto civile
ed economico che recavano, nell’interesse stesso degli
stati. L’emancipazione venne conseguita nel Regno
subalpino, che nel ’48 si mise alla testa del movimento
per l’indipendenza italiana, muovendo guerra, invero
sfortunata, all’Austria. Il seguito degli eventi in Roma
portò all’allontanamento del papa, ospite in Gaeta
del re di Napoli, e all’indizione delle votazioni per
l’assemblea costituente. Carpi ed Anau furono eletti
entrambi deputati, l’uno di Bologna, l’altro di Ferrara.
Carpi fu segretario generale alle finanze nel governo
della Repubblica romana, per la quale tentò una
missione a Parigi, ed Anau la rappresentò presso
la consorella Repubblica di Venezia. Al ritorno del
governo papale in Roma, entrambi ripararono nel
Regno subalpino, da dove Carpi denunciò in un
secondo opuscolo l’assedio delle truppe francesi al
ghetto romano, onde perquisire le umili case, alla
ricerca di oggetti che si diceva fossero stati sottratti
alle chiese e ai conventi. Nel 1858, con il padre e il
fratello Alessandro, Leone si adoperò presso il governo
di Torino per la restituzione del fanciullo Edgardo
Mortara, rapito alla famiglia.
Carpi viaggiò in Europa, scrisse un libro sulla Spagna,
mostrando punti di mediterranea affinità con l’Italia
nel difficile decollo economico (La Spagna e l’Italia.
Politica. Beni delle manimorte. Banche. Agricoltura.
Note di viaggio, Torino 1865), fu deputato di Ferrara
nella breve settima legislatura del 1860, che seguì
alle annessioni dell’Italia centrale al Regno sabaudo,
sciogliendosi quando fu proclamato il Regno d’Italia.
Si dedicò allo studio di grandi questioni nazionali, con
vaste inchieste, e alla pubblicazione di relativi volumi.
Trattò, fra i primi, il problema dell’emigrazione, specie
in rapporto all’esodo dalle campagne, chiedendo che
venisse tutelata dallo Stato e indirizzata, per il futuro,
verso colonie di popolamento sotto sovranità italiana:
Dell’emigrazione italiana all’estero nei suoi rapporti
coll’agricoltura, coll’industria e col commercio, opera con
cui vinse il concorso del Premio Ravizza, Firenze 1871, e
Delle colonie e dell’emigrazione d’italiani all’estero sotto
l’aspetto dell’industria, commercio ed agricoltura, opera
premiata dal Ministero dell’istruzione pubblica, Milano
1874. Fu fautore, in generale, di interventi dello Stato, e
sostenne la necessità di protezione daziaria per l’avvio
allo sviluppo industriale, partendo da condizioni
svantaggiate al confronto con le solide economie di
nazioni e stati, uniti da tempo, ricchi di capitali, di
materie prime, di colonie, di reti ferroviarie. In polemica
con il liberismo, giudicava che la libertà politica e
morale non fosse necessariamente o strettamente
collegata alla libertà economico – commerciale: è un
tema complesso su cui discuteranno Croce e Einaudi.
Fustigò, nell’opera L’Italia vivente. Studi sociali
(Milano 1878), la rendita inoperosa, la speculazione
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HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
finanziaria, l’eccessiva propensione piccolo borghese
agli impieghi, propugnò l’educazione al lavoro e
al carattere. Avversò le proposte regionalistiche,
come pericolose per la tenuta dell’unità, lasciando
ai comuni le funzioni di amministrazione locale e
per il resto assicurando la preminenza dello Stato:
Del riordinamento amministrativo del Regno, Bologna
1860; Non più illusioni. Cenni sugli attuali avvenimenti
italiani, Torino 1860. A tale linea statalistica si collega
la sua veduta in politica ecclesiastica, contraria al
separatismo, raccomandando invece la massima
cura del basso clero a diretto contatto con il popolo,
onde staccarlo, per quanto possibile, dalle alte sfere
della gerarchia cattolica e dalle suggestioni alla
mobilitazione delle masse contro l’ancora fragile
Stato unitario. Parimenti temeva l’eversione anarchica
e socialista da sinistra, chiedendo, da moderato,
temperate ma decise riforme sociali. Il moderatismo
dinamico e riformatore di Carpi si è continuato,
per spontanee riprese, in un filone di pensiero e di
iniziativa con contributi di ebrei: il metodo della seria
inchiesta lo unisce a Sidney Sonnino (non ebreo ma di
padre ebreo), a Leopoldo Franchetti, a Enea Cavalieri,
che condussero l’inchiesta del 1876 sulla Sicilia e
altri studi sul campo nel Meridione. In Franchetti si è
sviluppata l’opzione coloniale; con Luigi Luzzatti si
è evidenziata la continuità di politica commerciale,
di impegno sociale, a fini di saggia conservazione (v.
Emilio Falco, I figli di David e l’unità d’Italia. Leone Carpi
e Luigi Luzzatti, Roma 2003).
Carpi si è occupato, in varie pubblicazioni, delle
banche, delle casse di risparmio, del credito agrario
e fondiario. Ha collaborato al giornale economico “Il
Sole”, alla “Gazzetta Piemontese”, al “Popolo Romano”.
Sergio Riccò, in un saggio del 1978, e Silvio Lanaro, nel
libro del 1979 Nazione e lavoro, hanno definito Carpi,
per l’energico impegno allo sviluppo del paese e al
rafforzamento dello Stato, un ebreo nazionale, qualifica
emblematica della nazionalizzazione, o identificazione
degli ebrei emancipati negli stati moderni, nello
specifico in Italia. La definizione può valere per molti
altri ebrei dei diversi paesi, identificati a fondo con le
rispettive patrie, e certo calza per Carpi, insieme con
la connotazione, ben motivata, di ebreo, essendosi
distinto nella difesa a viso aperto della propria
minoranza e del buon nome dell’ebraismo. Riccò lo ha
qualificato con rilievo nel titolo Leone Carpi: un ebreo
nazionale fra Risorgimento e industrializzazione. Lanaro
ha approfondito la definizione in una nota dedicata
all’aspetto ebraico di Carpi, nel libro, che parla di
molti altri personaggi, ma dedica ben undici pagine
consecutive al nostro uomo di singolarissimo acume,
Ebreo nazionale dalla fedeltà a tutta prova, anche se non
incline ai travestimenti codardi.
Ai travestimenti codardi Carpi davvero non era
incline. In un articolo del 1884 sul “Vessillo Israelitico”,
ricordato da Lanaro, definì gli ebrei, e tale egli era,
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gente sdegnosa e fiera della propria indipendenza e di
quella dei popoli con cui si è immedesimata. Nel 1885,
su “La Domenica del Fracassa”, con lo scritto La schiatta
ebrea davanti all’umanità, rispose come si doveva a
Paolo Mantegazza, antropologo, igienista, senatore,
che aveva ripetuto giudizi sull’estraneità, la grettezza,
la separatezza degli ebrei, esortandoli, per rigenerarsi,
a desistere dal barbarico uso della circoncisione. Fuori
degli scritti specifici, scanditi ai momenti giusti, egli
nelle maggiori opere, di economia e di politica, poco
ha parlato degli ebrei, se non per dati particolari, tra
le varie popolazioni e i settori della società. Ma in una
raccolta, a dispense, di biografie di contemporanei,
intitolata Il Risorgimento italiano, da lui promossa
e curata, ebbe modo, senza firmarsi, di evidenziare
brevemente il contributo generale e l’afflato patriottico
degli ebrei, rilevandone il prevalente orientamento
liberale conservatore. Lo fece, distinguendolo per
la collocazione a sinistra, nel profilo del piemontese
David Levi (1816 -1898), figura, a partire dal nome,
prettamente ebraica, nelle cui opere l’ebraismo vibra
quasi costantemente, per quanto ne trattasse da libero
ed eclettico pensatore, e commisto a vari argomenti,
ma sempre con il fiero sentimento della propria
origine.
Carpi e Levi erano diversi: l’uno a destra, si intende
liberale, del resto molto pragmatico, con mobilità
a seconda dei problemi, e con sensibilità sociale,
l’altro a sinistra, costituzionale e non estrema; l’uno
economista ed abituato alle statistiche, l’altro umanista,
immaginoso ed incline a raccontarsi. Ma erano
accomunati, nel patriottismo italiano, dalla fedeltà
al retaggio e dalla franca espressione dell’identità
ebraica. Il nipote omonimo di Leone Carpi, nato a
Roma nel 1887 e morto a Gerusalemme nel 1964, è
stato il maggiore esponente italiano del movimento
sionista revisionista. A pagina 56 della nostra XVI
annata (2008) pubblicammo una sua lettera, del 7
ottobre 1942, in piena guerra, al dottor Guido Gallichi
di Pisa, a nome del movimento Betar, per ringraziarlo
di una offerta a favore dei profughi ebrei internati, in
memoria di Giorgio Roifer, ricordato nel nostro numero
precedente, padre del prof. Alexander Roifer (Rofè).
Il nipote, Leone Junior, rievocò il nonno, con un
confronto di generazioni, in due articoli nella “Rassegna
Mensile di Israel”, nel 1956 (annata XXII, pp. 298 – 307)
e nel 1961 (annata XXVII, pp. 283 – 288). Dalla famiglia
di Levi è disceso, per parte materna, Alfonso Pacifici,
l’assertore dell’ebraismo integrale, nato a Firenze nel
1889 e morto a Bné Berak nel 1981, ricordato in un
profilo della nostra XV annata (2007), pp. 105 – 116.
Quando il nonno morì, il nipote aveva undici anni.
Di lui, rievocandolo su “La Rassegna Mensile di Israel”
nel 1956, espresse questo personale ricordo: “Nel
rendere un doveroso tributo alla memoria di un mio
avo illustre, mi sento un po’ come quando bambino
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Gennaio - Giugno 2012
– semitismo a ebrei – ebraismo e al diffuso nel tempo
israeliti. Il termine semiti – semitismo richiamava una
provenienza e una più ampia area storico – culturale.
Lo fece particolarmente nel saggio Il semitismo nella
civiltà dei popoli (Torino 1884), in positivo, a fronte del
sorgente antisemitismo di matrice razziale, ma anche
in relazione alla grande problematica delle stirpi, per
cui gli ebrei si differenziavano in Europa dalla grande
maggioranza indoeuropea o aria.
Il nipote Leone Carpi junior
Nato a Roma nel 1887, morto a Gerusalemme
nel 1964. Avvocato, Leader del movimento
sionista revisionista Betar in talia. Diresse il
periodico “L’Idea Sionistica”
ascoltavo dalla sua bocca i racconti commoventi
degli avvenimenti ai quali aveva partecipato, delle
grandi personalità con le quali era stato in affettuosa
dimestichezza, o quando più modestamente egli si
compiaceva farmi ripetere la lezione di storia che
dovevo preparare per il giorno dopo a scuola”.
**
Ecco le righe, che suppongo di Leone Carpi, o
che comunque deve aver lui suggerito a qualche
collaboratore di comporre, sugli ebrei nel
Risorgimento, nel profilo di David Levi. Suppongo
che queste righe siano di Carpi, unitamente al profilo
di Levi, che non è firmato, essendo lo stesso Carpi il
curatore e coordinatore della raccolta di biografie di
contemporanei. E’ pensabile che, a maggior ragione,
non lo firmasse, per l’apologia dell’apporto ebraico,
se fatta da un ebreo. Un dubbio può venire per il
giudizio degli ebrei come per lo più abbienti, sapendo
certamente Carpi di avere molti correligionari poveri,
specialmente nella grande comunità di Roma,
oppressa dai papi, ma, parlando della partecipazione
al Risorgimento, doveva aver presente la componente
borghese, più attiva, di cui faceva parte. L’essere
abbienti, per doti di operosità e di risparmio, non era
una condizione di cui aver ritegno nella sua concezione
produttivistica, accompagnandola da caratteristiche
di sana temperanza. Parlò di elemento semitico per
probabile influenza di Levi, che alternò il termine semiti
E’ una storia che meriterebbe di essere scritta, quella
della cooperazione dell’elemento semitico nel grande
lavoro del Risorgimento italico. Forse, non v’ha alcuno
tra i governi antichi illiberali, i quali ammettessero nel
rispettivo territorio la residenza di popolazioni israelitiche,
presso i quali stessi non si abbia ad annoverare qualche
martire dell’indipendenza e della libertà, di nascita ebrea,
qualche cospiratore illustre, qualche valoroso pensatore
e scrittore, di pari origine, che possa vantare, per cotali
rispetti, notevoli titoli alla pubblica benemerenza e
fama. Cotesto fatto per tre ordini di considerazioni può
apparire interamente naturale. Avanti tutto la fervida
indole intellettuale, propria dei semitici, e il loro carattere
sommamente spiccato e intraprendente ne fa uomini
insofferenti di ogni tirannide politica e di pensiero.
Checché vogliasi dire in contrario da spiriti ricolmi di
pregiudizio, affezionaronsi realmente a quei paesi che
loro accordarono una comportabile ospitalità, a lungo
andare ne fecero la loro vera patria e indi alle sue sorti
politiche si interessarono al pari di tutti gli altri italiani.
Per ultimo, il loro fervore per la libertà politica e per la
indipendenza italiana doveva essere tanto maggiore in
quanto, il più delle volte, trattavasi per essi di acquistare,
insieme colla libertà politica, anco la religiosa e civile. Non
solamente, negli sforzi per il risorgimento della patria,
eglino dovevano scorgere il mezzo di divenire cittadini di
un governo e stato liberale, ma quello altresì di divenire
cittadini e di essere riconosciuti quali uomini eguali agli
altri, aventi diritti pari agli altri, come fu il grande fattore
e precipuo coordinatore di codesto risorgimento, così
favorirebbe eziandio il maggiore contingente alla storia
sopra vagheggiata. E tra gli altri non potrebbe non tener
nota del singolare fatto che, per lunghi anni, fu segretario
particolare del grande statista, il conte di Cavour, l’Artom,
ebreo piemontese, di cui l’incomparabile statista ebbe
ognora a lodarsi e per sua stessa confessione a giovarsi
molto. Ed il Giuseppe Finzi non va forse noverato fra i
martiri più illustri dell’indipendenza italiana? Per altro
canto, abbienti i più, circospetti, disposti ad appagarsi
del poco, senza rinunziare al molto che l’avvenire
potesse trarre seco, gli israeliti si ascrissero quasi
costantemente nelle file del partito conservatore liberale.
Le eccezioni a ciò sono rare; e una di queste poche ci
presenta appunto colui di cui tesseremo succintamente
la biografia, Davide Levi di Chieri, il quale nella sua
carriera politica militò costantemente col partito di
sinistra, incominciando con l’essere alleato di Mazzini, di
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HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Valerio e di Rattazzi, per finire poi con l’esserlo, in questi
ultimi anni, di Depretis, di Cairoli, di Zanardelli. [….]
Ci si ferma all’inizio del profilo di Levi, di cui ci
occupiamo in altra sede.
Quanto a Depretis, lo stesso Carpi fu assiduo
commentatore politico – economico sul quotidiano “Il
Popolo Romano”, che era vicino a questo statista.
Bibliografia:
Raffaele Romanelli, voce relativa a Leone Carpi, in
Dizionario biografico degli italiani, vol. 20, Roma,
Istituto della Enciclopedia italiana, 1977, pp. 599 – 604.
Idem, L’Italia liberale (1861 – 1900), Bologna, Il Mulino,
1979.
Gemma Volli, Il caso Mortara nell’opinione pubblica
e nella politica del tempo, in Bollettino del Museo del
Risorgimento, Bologna, 1960, n. 5, pp. 1087 – 1152.
Per l’attività liberale durante il Risorgimento e nella
Repubblica Romana:
Le assemblee del Risorgimento, vol. III, Roma, Tip. della
Camera dei deputati, 1911.
Ermanno Loevinson, Gli israeliti dello Stato Pontificio
e la loro evoluzione politico - sociale nel periodo del
Risorgimento italiano fino al 1849, in “Rassegna Storica
del Risorgimento”, XVI, 1929, pp. 768 – 803; Salvatore
Foà, Gli ebrei nel Risorgimento italiano, Assisi – Roma,
Carucci, 1978; Bruno Di Porto, Gli ebrei di Roma dai papi
all’Italia, in 1870 La breccia del ghetto. Evoluzione degli
ebrei di Roma, Roma, Barulli, 1971, pp. 15 – 78; Ester
Capuzzo, Gli ebrei nella società italiana, Roma, Carocci,
1999; Gadi Luzzatto Voghera, Il prezzo dell’eguaglianza.
Il dibattito sull’emancipazione degli ebrei in Italia (1781–
1848), Milano, Franco Angeli, 2007.
Per la discussione di Leone Carpi con Salvatore
Anau, si veda specialmente Andrew M. Canepa,
L’atteggiamento degli ebrei italiani davanti alla loro
seconda emancipazione: premesse e analisi, in “La
Rassegna Mensile di Israel”, XLIII, settembre 1977, pp.
419 – 436.
Per gli studi e le posizioni di Leone Carpi in materia
di emigrazione, di colonie, di politica economica e
commerciale, di politica ecclesiastica:
Epicarmo Corbino, Annali dell’ economia italiana, vol. II,
1871 – 1880, Città di Castello, Tip. Leonardo Da Vinci,
1931.
Fernando Manzotti, La polemica sull’emigrazione
nell’Italia unita, Milano, Società ed. Dante Alighieri,
1962.
Federico Chabod, Storia delle politica estera italiana dal
1870 al 1896, Bari, Laterza, 1965.
Giuseppe Are, Il problema dello sviluppo economico
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Gennaio - Giugno 2012
nell’età della destra, Pisa, Nistri Lischi, 1965.
Ernesto Ragionieri, Politica e amministrazione nella
storia dell’Italia unita, Roma, Editori riuniti, 1979.
Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale dall’Unità
alla marcia su Roma, Roma – Bari, Laterza, 1976.
Sergio Riccò, Leone Carpi: un ebreo nazionale fra
Risorgimento e industrializzazione, in Atti e memorie del
Museo del Risorgimento, Mantova, vol. XV, 178, pp. 95
– 131.
Silvio Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura
borghese in Italia 1870 – 1925, Venezia, Marsilio, 1979.
Patrizia Audenino - Maddalena Tirabassi, Migrazioni
italiane, Milano, Bruno Mondadori, 2008.
Giovanni Zalin, Crescita economica, protezionismo
industriale e politica dei trattati commerciali in Luigi
Luzzatti, in Luigi Luzzatti e il suo tempo, atti di convegno
internazionale a cura di Pier Luigi Ballini e Paolo
Pecorari, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed
arti, 1994, pp. 215 – 257.
Chiara Vangelista e Matteo Reginato, L’emigrazione
valdese, in Storia d’Italia. Annali, vol. 24, Torino, Einaudi,
2012, pp. 161 – 182; Emilio Franzina, Poligrafi, storici
e migranti fra l’Italia e il mondo, ibidem, pp. 199 – 223.
Di Leone Carpi si sono dati cenni e notizie nella stampa
ebraica del tempo: “L’Educatore Israelita”, “Il Vessillo
Israelitico”, “Il Corriere Israelitico”. Egli stesso collaborò
alla stampa ebraica.
Per i fratelli Alessandro e Anselmo, nonché per lo
stesso Leone, si vedano: La massoneria a Livorno dal
Settecento alla Repubblica, a cura di Fulvio Conti,
Bologna, Il Mulino, 2006, nelle parti trattate da Fabio
Bertini, Alessandro Volpi, Donatella Cherubini, Liana
Elda Funaro; Fabio Bertini, Risorgimento e paese reale.
Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana (1830–1849),
Firenze, Le Monnier, 2003. Per Anselmo Carpi, Bruno
Di Porto, Spigolature ebraiche pisane dell’Ottocento, in
Ebrei in Toscana dal Medioevo al Risorgimento. Fatti e
momenti, Firenze, Olschki, 1980, pp. 65 – 101.
Per Leone Carpi, Junior, il nipote, si vedano: il volume
bilingue, in italiano ed ebraico, Scritti in memoria
di Leone Carpi. Saggi sull’Ebraismo italiano, a cura di
Daniel Carpi [figlio di Leone junior, pronipote di Leone
senior], Attilio Milano, Alexander Rofè, Gerusalemme,
Fondazione Sally Mayer – Scuola superiore di studi
ebraici di Milano, 1967; Renzo De Felice, Storia degli
ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961;
Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, Milano,
Comunità, 1982; Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia
fascista, Torino, Einaudi, 2000.
B. Di Porto
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
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DA LEONE CARPI A DAVID LEVI, CHE CARPI STIMO’ E PRESENTO’
IN AFFINITA’ PATRIOTTICA E DI EBRAICA FIEREZZA
UNA PROIEZIONE POETICA DI DAVID LEVI, PATRIOTA DEL RISORGIMENTO
NELL’ANIMO DI MIRIAM, TRA LE FIGURE DELL’ ETERNO FEMMINILE
Per lunghi stenti, errori, ambasce e morte
Illesi il ciel non li serbava invano (gli ebrei).
Il lume che all’aurora
Loro rifulse e le passate sorti
Auspici sono a novi fati ancora.
Tu lor fratel. Da un lor presepio uscì
Lui che il mondo prostrato adorò Dio.
David Levi (1816 – 1898)
David Levi (1816–1898), nativo di Chieri
in Piemonte, è un personaggio notevole e
caratteristico dell’Ebraismo italiano nell’Ottocento,
patriota appassionato, deputato della Sinistra,
poligrafo autore di parecchi libri, giornalista,
poeta, fiero dell’origine e appartenenza ebraica,
sentita ed espressa con altrettanta indipendenza
di libero pensatore.
La sua vita e la sua produzione interessano, tra
diversi aspetti, per il franco confronto con il
cristianesimo da una visuale non solo di ebreo, ma
di democratico laico, di razionalista e massone.
Nella fase di diffuse speranze, destate dall’inizio
pontificale di Pio IX, compose un canto per papa
Mastai, che il marchese Gino Capponi, non tenero
verso l’ebraismo, volle fare avere all’interessato.
Ne riproduco la conclusione:
Non so come Sua Santità, nel ruolo di padre del
gregge, abbia preso quella fraternità dello schietto
giudeo, ma egli era nella fase della clemenza,
gratificato e sospinto in avanti, al di là delle
intenzioni, da cori di lodi. Perfino un diplomatico
turco girava per Roma con l’effigie di Pio sul petto.
Neppure so come il pontefice abbia letto l’ultimo
verso, che suonava, più o meno, come successo
mondiale di un umile ebreo. Del resto, Giuseppe
Mazzini, nella lettera aperta a Pio IX, non era da
meno, quanto a huzpah (diciamo faccia tosta),
nell’invitare il papa ad avere fede: “Abbiate fede!”.
Il papa, da cui troppo si era atteso, deluse la causa
nazionale, non potendo porsi contro la cattolica
Austria, mentre in Roma i fermenti crescevano, al
punto di indurlo ad allontanarsi. Si indissero, in
tutto lo Stato pontificio, le elezioni per l’Assemblea
costituente, che votò la scelta repubblicana.
Leone Carpi e Salvatore Anau, come si vede in
altra parte di questo numero, furono deputati alla
Costituente e ricoprirono importanti cariche.
Ugualmente schietto fu Levi, a Torino, con Carlo
Alberto, parlandogli a viso aperto, tra i membri
della commissione che chiedeva l’emancipazione
degli ebrei e dei valdesi. Poiché l’Italo Amleto, come
lo definì Carducci, si preparava a sfidare l’Austria,
David gli chiese come potesse confrontarsi con
quell’impero straniero, dove gli ebrei erano trattati
assai meglio, non più ristretti nei ghetti. Le sue
parole, tra quelle di tutti gli altri, compresi i nobili
e cristianissimi fratelli d’Azeglio, la spuntarono, e
proprio all’inizio delle operazioni belliche, giunse
la sospirata parificazione degli ebrei, dopo quella
già concessa ai più benevolmente guardati
valdesi. Allora Levi girò per ogni ghetto del suo
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HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Piemonte, infervorando i giovani correligionari a
mostrarsi degni della libertà, arruolandosi per la
patria. Riconoscendo il merito della monarchia
subalpina, non solo verso gli ebrei, ma per
l’iniziativa che assumeva, tra tutti gli stati italiani,
per l’indipendenza della penisola, il patriota si
venne staccando politicamente da Mazzini, che
era andato a conoscere in Londra e con il quale
aveva collaborato e cospirato.
Levi operò e scrisse molto. Scrisse su tonalità
diverse. Laico e razionalista, valutò l’importanza
della sfera religiosa, che lambiva lo stesso suo
animo. Demitizzava, ma cercava di comprendere
la funzione e i significati dei miti, apprezzandone
le elaborazioni artistiche e le metafore che
suggeriscono. Non credeva all’avvenimento
oggettivo dei miracoli, ma provava interesse a
come gli individui e le genti investiti dall’aura
del miracolo ne fossero pervasi, indirizzati,
perfino cambiati. Sull’onda di questa proiezione
conoscitiva, giungeva ad ipotizzare, come non di
rado facevano i positivisti, che energie o fenomeni
speciali, producendo effetti attraverso l’etere,
sostanza tenue, imponderabile nello spazio,
potessero, se non alterare stati fisici, influire sulla
loro ricezione. Un particolare accostamento a
questa sfera gli riuscì all’incontro del “femminile”,
l’“Eterno Femminile”, come si intitola un suo libro,
che si completa nel titolo con il Cantico dei cantici
(Torino, 1880). Ebbene, nel libro, che è parte in
prosa e parte in cantiche, tra le figure femminili
della storia e del mito, si incontra Miriam, la madre
di Gesù, che esprime, in una breve lirica, come
visione di sogno e sensazione vissuta, l’esperienza
della concezione per amplesso dello Spirito:
Io sognai che fra le ambasce,
Ad un palpito, a improvvisa
Gioia il cuore trasalì
E la stanza dove assisa
Io gemeva fra le tenebre
Una pura luce empì.
Quella luce mi ricinse,
Qual letizia l’alma vinse
Che per gli occhi scese al cuor!
E sentiva un’infinita
Scaturigine di vita
In me infondersi e d’amor.
14
Gennaio - Giugno 2012
Trasaliva … e l’amor mio
Quale acceso raggio un Dio
Di sé tutto penetrò
E fra un’estasi tranquilla
Di quel raggio una scintilla
Mi rapì … mi trasmutò.
Or t’eleva, esulta, o cuore!
In me infuso è quel splendore.
Mi penetra un altro amore,
Ei, mio figlio, mio signore.
Sovente, ed è il caso di Levi, uomini dotati di
intuito artistico e psicologico riescono bene ad
esprimere sentimenti ed atteggiamenti femminili,
come la grande letteratura dimostra. Ma nel nesso
del femminile eterno con il Cantico dei cantici,
devo accennare ad una tesi critica, secondo
cui nella stupenda composizione biblica si può
riconoscere una presenza femminile al livello di
autrice. Il tema è stato esposto e sostenuto, con
fine analisi del testo e riferimenti a studiosi che già
la ravvisarono, dalla professoressa Ida Zatelli in un
recente convegno fiorentino. Il suo intervento è
visibile ed ascoltabile in registrazione su You Tube,
messa on line. (http://youtu.be/viciYqL68Q4)
bdp
M. Chagall - Il Cantico dei Cantici
7-11 Io sono per il mio diletto
e la sua brama è verso di me.
7-12 Vieni, mio diletto, andiamo nei campi,
passiamo la notte nei villaggi.
7-13 Di buon mattino andremo alle vigne;
vedremo se mette gemme la vite,
se sbocciano i fiori,
se fioriscono i melograni:
là ti darò le mie carezze!
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Gennaio - Giugno 2012
DUE GESU’
UN LIBRO DI ALESSANDRO DINI
Edito dalla Giuntina
Vi è un Gesù della fede e dei dogmi cristiani
ed un Gesù storico, che variamente si enuclea
e si ricostruisce dal Nuovo Testamento e da
testi apocrifi. Il Gesù umano e storico coincide
con il Gesù ebreo, e che sia stato veramente,
esistenzialmente, ebreo, oggi lo riconosce,
più di quanto poté darsi nel passato, il mondo
cristiano, fuori della mistificante arianizzazione
o della trasmutazione in palestinese, giocando
sull’equivalenza geografica tra Erez Israel
e Palestina. Ci sono variazioni dogmatiche
nella Cristologia delle chiese cristiane e modi
diversi di seguire gli insegnamenti di Gesù tra
i cristiani. Ci sono diversità nella ricostruzione
dell’uomo e dell’ebreo Gesù, e qui la discussione
abbonda tra gli stessi ebrei o gli autori vicini alla
temperie ebraica. Molto vicino, direi coincidente,
è Alessandro Dini, architetto e professore di
architettura all’Università di Firenze, studioso
di problemi religiosi o in genere spirituali, che
ho avuto il piacere di conoscere presso la cara
professoressa Fortunée Treves. Di Marco Treves,
architetto e biblista, più volte ricordato per i suoi
studi nel nostro periodico, Dini è ammiratore e
postumo discepolo.
Il libro di Dini, edito dalla Giuntina nel 2011, si
intitola appunto Due Gesù. E’ di robusta mole, in
duecentosettantatre fitte pagine di volume in
quarto, sicché mi limito a recensirlo in grandi linee,
avvertendo i lettori interessati al complesso tema
che c’è molta altra materia nello svolgimento
del libro. Per cominciare, una descrizione
dell’impianto: il libro si compone di un prologo;
di otto capitoli intitolati L’unico e immateriale, Il
filo messianico, Gesù nel Nuovo Testamento, La
rivelazione, Il sacrificio, La resurrezione, Paolo di
Tarso, Due Gesù, quindi di un Posticum, e di tavole
fuori testo: Alfabeto ebraico ieratico o biblico,
Lessico ragionato, Sussidi linguistici e bibliografici,
Cronotassi delle scritture ebraiche ed evangeliche.
Raccomando, per una seconda edizione, l’indice
dei nomi.
Il Gesù di Dini è davvero ebreo, è il Chakham
Yehoshua bar Yoseph ha Notzrì, così nominato e
designato in continuità. E’ un ebreo ortodosso,
salvo venature riformistiche su aspetti e particolari
che si andavano elaborando tra i prodromi della
normativa halachica e mishnica. E’ ricondotto a
Nazareth, presumendovi che vi sia anche nato,
piuttosto che a Betlemme, scelta dal racconto
evangelico per corrispondere alla profezia di
Michea 5, 1: “O Betlemme Efrath, malgrado tu sia
la minore tra le famiglie di Giuda, da te uscirà la
guida di Israele, la cui origine è antichissima”.
Egualmente costruita e discutibile appare la
genealogia davidica del padre legale Yoseph.
Il Gesù ritratto da Dini è uno dei parecchi
maestri itineranti, accostabile per diversi
momenti ed aspetti a correnti e maestri ebrei
del tempo, comunque reagente ad influenze e
contaminazioni di costumi e credenze dei gentili.
Rivela tratti iniziatici ed acroamatici, in parabole,
nel rito battesimale di purificazione sul tipo
essenico, in miracoli che Dini interpreta in tal
guisa, in particolare la resurrezione di Lazzaro,
come risveglio della coscienza.
La svolta di Paolo di Tarso segna, per l’autore,
come in genere nella rappresentazione delle
origini cristiane, l’avvio alla trasfigurazione
extraebraica, ellenistica e teologica del nazareno,
con il conseguente distacco dell’eredità gesuana
dall’humus ebraico dei discepoli e dei parenti che
hanno direttamente conosciuto il maestro.
Poi, sul terreno romano, con interventi imperiali e
rigidezze gerarchiche, è cominciata la statuizione
dei dogmi, che ha fissato la fede nella duplice
natura del Gesù cristiano e la sua collocazione
nella struttura trinitaria. Tra gli evangelisti
speciale attenzione è dedicata a Giovanni, per
un verso il più lontano, ma per altri sorprendenti
punti il più vicino a rendere l’atmosfera e la
percezione del mondo ebraico. La condanna
alla crocifissione è chiaramente attribuita da
Dini all’autorità romana di occupazione, che
abbondantemente comminava tale pena per
rivolte o per sospetti, senza con ciò negare che
Gesù abbia avuto contrasti in campo ebraico. Dini
disegna il filo messianico che nell’ ebraismo biblico
prospettava un ruolo di guida di personaggi unti,
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HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
atti a dirigere il ritorno del popolo eletto all’unità,
all’indipendenza, all’integrità religiosa, nel segno
del ravvedimento, della fedeltà ai precetti,
ripristinando il regno davidico. In alternativa,
o in successione, alla prospettiva della guida
individualizzata, l’autore trae da passi profetici,
nel tornante dell’esilio babilonese, la visuale del
diretto intervento o impulso divino a compattare
e redimere l’intero popolo eletto; e l’intero popolo
assurge così al livello di messia collettivo e di luce
alle genti. In collaterale prospettiva, ove il popolo
continui a deviare e a deludere, si erge la vicaria,
selettiva, salvifica aderenza di un resto di Israele,
una minoranza fedele, capace di perpetuarsi, di
rinnovare e restaurare il regno. Ad un certo punto,
Dini vede sfrangiarsi il filo messianico, dopo Gesù,
investendo Gesù, ma, se ben intendo, andando
oltre le intenzioni e la predicazione dello stesso
chakham di Nazaret, del quale l’autore interpreta
il compiere della famosa dichiarazione “Non sono
venuto ad abrogare ma a compiere” (Matteo, 5,
17 – 18) nel senso di esser venuto ad aiutare a
mantenere un impegno, cioè la fedeltà del popolo
alla legge del Signore.
Questa
interpretazione
è
rassicurante
sull’ortodossia di Yehoshua, ma mi sembra
limitare il risalto personale, con cui il nazareno
si professava, con il rilievo della sua venuta, con la
tensione ad un fine di pregnanza, di pienezza, di
completezza.
Il compimento pare librarsi
tra integrale
osservanza della Torà ed attesa enigmatica,
esoterica, apocalittica di una conclusione, e forse
di un ricominciamento: prima che tutto accada. Se
Yehoshua ha ammonito a non credere che egli
fosse venuto ad abrogare la Torà, vuol dire che
ne ha dato l’ impressione, in un atteggiamento
ambivalente o contraddittorio, che si conferma
ad esempio nell’insegnare qualcosa di
profondamente contrario alla kasherut, allorché
dice che non è importante quel che si mangia
ma quel che si dice, laddove per la Torà sono
importanti entrambe le cose. Può essere che
quella frase sia un’aggiunta, diciamo paoliana,
ma, non avendo Yehoshua scritto nulla di suo, chi
ci autorizza a discernere in modo tagliente quel
che era suo e quel che gli è stato attribuito?
Non intendo con ciò porre già Yehoshua fuori
dell’ebraismo, ma mi interrogo su quale versante
e stile di ebraismo Yehoshua si ponesse, nel
paesaggio vario, oggettivamente pluralistico,
fermentante e travagliato dell’ebraismo nel
16
Gennaio - Giugno 2012
suo tempo. Yehoshua stesso si interrogava
ed interrogava su chi egli fosse, nel sentirsi
chiamato e nell’aspettativa che suscitava. Anche
l’aspettativa era di vari segni, tra la ricerca di
sollievo per tante individuali sofferenze e quella
di libertà per la sofferente nazione sotto il giogo
straniero. I miracoli narrati nei vangeli erano una
risposta alle richieste individuali, ma il prodigio
nazionale, cui presumibilmente rinunciava in vista
della fine dei tempi, si infranse nella motivazione
della condanna ai piedi della croce, la cui romana
sostanza era questa: “così finisce chi si fa re dei
giudei”. E i discepoli sulla via di Emmaus, delusi
nella speranza civile, patriottica, unita alla
speranza religiosa, gli dissero, senza sapere di
parlare con lui: “Noi speravamo che fosse lui che
avrebbe liberato Israele”.
Da quanto ho detto affiora qualche diversità di
rappresentazione tra il recensore e l’autore. Per
altre cose collimiamo, ad esempio nell’analisi
di Nicodemo e Giuseppe di Arimatea, come
esempi di ebraica, anzi farisaica, disponibilità
dialogica e pietosa mizvà verso il connazionale ed
interlocutore nazareno.
“Crocifissione bianca” di Marc ChagalL
Dipinto ad olio su tela di cm 155 x 140 realizzato nel 1938 e
custodito presso l’Art Institute di Chicago
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Gennaio - Giugno 2012
SIRACUSA EBRAICA
Di GIORGIO COEN
Rav Stefano Di Mauro
La città di Siracusa ha una posizione naturale delle
più suggestive, con un grande golfo delimitato a
nord dall’isola di Ortigia.
Lì il primo insediamento della città e quello di
maggior interesse per la sua ricchezza in antichi
edifici di varie epoche, dall’epoca greca, come il
tempio di Athena, in stile dorico, trasformato nel
Duomo della città, e i vari palazzi di stile barocco
spagnolesco e di stile rococò, al castello Maniace
di Federico II di Svevia.
Le strade, seppure in parte deturpate da vari
sventramenti avvenuti in successive epoche,
come nel periodo fascista che ha lasciato pesanti
tracce, specie palazzi del tutto fuori contesto, sono
quelle di un centro cittadino medievale molto
ben conservato e vissuto. Vi sono tanti ricordi dei
vari periodi e dominazioni del passato con una
forte presenza del lungo periodo spagnolo. Ma
una testimonianza molto importante per i ricordi
storici che ha lasciato, e che appare in poche
indicazioni stradali o monumentali, è quella
ebraica. Occorre andare a cercarla con l’aiuto di
una guida appassionata, come ci e’ capitato di
trovare tra i pochi ma significativi ebrei “rinati” della
città. E’ il grande quartiere di Siracusa del 1500,
tutto compreso in un ampio settore di circa un
kilometro quadrato nell’isola di Ortigia. Andando
a scoprirlo con la guida esperta ed appassionata
di cose ebraiche, si entra nella Giudecca per una
strada con numerose diramazioni numerate.
Molte vie sono strette, non più che vicoli, su cui si
affacciano balconi con ringhiere a sbalzo in ferro
battuto, già spesso notate nella Spagna ebraica,
come a Toledo e a Siviglia. I portoni danno
accesso a cortili molto accoglienti che possiamo
ben immaginare come sede di una tranquilla vita
familiare o del convergere di più gruppi familiari.
Vi è separazione e discrezione, atmosfera ancora
molto percepibile a distanza di cinque secoli. Ma
poi, ancora delle sorprese nella scoperta di uno
stabile antico con abbellimenti consistenti in una
stella a sei punte, un Maghen David stilizzato,
sul fronte di un palazzo considerato sede di
un vecchio ospedale israelitico, attualmente in
mano alla Chiesa, che non intende cederlo alla
nuova comunità ebraica, pur non essendo da
lei utilizzato. Alcune chiese sono trasformazioni
di vecchie sinagoghe. Ve ne erano almeno dieci,
perché la popolazione ebraica in quel periodo
ai tempi dell’editto di espulsione, contava circa
8.000 anime. Un albergo al centro della Giudecca
realizzato nel palazzo che era della famiglia
Bianca, costretta alla conversione al cattolicesimo,
ci riserva una sorpresa importante. Circa dieci anni
fa nel corso di una ristrutturazione conservativa
dell’antico palazzo è stato riportato alla luce un
ampio mikveh, collocato a parecchi metri sotto
il piano stradale. Si discendono 56 scalini per
una scala non stretta ma scoscesa, non dotata di
corrimano. Si raggiunge una grotta ben modellata
a scalpello con una volta ad archi sorretta da larghi
pilastri in pietra scavati nella roccia. Non vi sono
abbellimenti, le pareti sono scabre, ma frutto di un
lavoro di scavo molto accurato. Nel pavimento si
aprono delle vasche contenenti acqua limpida, in
cui è possibile scendere con dei gradini sommersi.
Alla ricezione ci assicurano che la famiglia si era
convertita e pertanto aveva posto un crocifisso
come d’uso sul suo stemma. Ma l’antica presenza
ebraica è manifesta e percepibile.
L’origine ebraica non è in genere facilmente
dichiarata dalla gente. Seppure una notevole
parte della popolazione di Siracusa sia di
ascendenza dai conversos, l’atteggiamento di
chi sa di esserlo è solo in qualche caso associato
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HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
al desiderio di riscoprire le proprie origini e di
accostarsi all’ebraismo, alcuni per rinascere come
ebrei, fenomeno avvenuto per alcune persone già
da molti anni ed accentuatosi negli ultimi cinque
anni per la nuova presenza di un rabbino sefardita
ortodosso. Il più spesso coloro che hanno qualche
contezza di provenire da famiglie ebraiche, ci
dicono, sono dominate dalla paura che la loro
ascendenza possa divenire di dominio pubblico.
Gennaio - Giugno 2012
riconoscere di origine ebraica, anche a volerla
rivendicare. Sicché appare prodigioso il rifiorire
di una comunità ebraica cittadina, tra persone e
famiglie che si sono aggregate intorno all’anziano
ma giovanile rabbino, nativo di Siracusa, che ha
trascorso gran parte della sua vita come medico
e rabbino negli Stati Uniti. Rav Stefano Di Mauro
è un uomo dalle apparenze semplici, con modi
tranquilli ed un parlare dolce e sommesso.
Via via che lo si ascolta ci si accorge che è una
persona decisa con una visione chiara della sua
missione ed un carisma ben percepito dai suoi
correligionari locali ed esterni. Sa di avere tutti
i titoli per esercitare il suo mandato che si è
autoimposto ed esercita con scrupolo il suo ruolo
nel servizio religioso e come capo della comunità
a cui dedica l’intera sua attività di guida religiosa
e culturale.
Abbiamo passato un intero sabato presso la sua
sinagoga ove oltre alle funzioni religiose abbiamo
consumato tre pasti rituali, fino alla avdalah. Il
gruppo dei correligionari locali seguiva cantando
con sentita partecipazione le preghiere del minhag
sefardita insieme al loro maestro. In complesso è
una fortuna che Siracusa abbia trovato in lui una
guida alla rinascita della comunità ebraica da
tempo repressa. Credo che l’ebraismo italiano
ufficiale debba a lui molta gratitudine e sostegno
nella sua missione.
Siracusa, “Vicolo IV ALLA GIUDECCA “
Ai pochi che si convertono all’ebraismo queste
persone esprimono il loro timore, arrivando talora
a troncare ogni rapporto con gli amici e parenti
che decidono di fare il percorso inverso, citando
la possibilità di essere uccisi da qualche nuovo
Hitler. Il loro timore, o addirittura terrore, sembra
derivare dal ricordo storico della Inquisizione,
dei massacri perpetrati allora, gli autodafé
che arrivavano a sacrificare decine di ex-ebrei
sospettati di continuare le antiche pratiche
religiose. Si trattava allora di spettacoli pubblici
a cui la gente ed i regnanti partecipavano con
entusiasmo. Il terrore della gente di oggi è così
vivo e genuino da far pensare che in una società
permeata dal cattolicesimo essere pubblicamente
considerati ebrei possa tuttora recare degli
svantaggi sociali e nei rapporti di lavoro. Si deve,
d’altronde, considerare che a distanza di parecchi
secoli, con inevitabili commistioni, acculturazioni
nell’ambiente circostante, e cambiamenti di
cognomi, non riesce facile potersi davvero
18
Il mikveh di Siracusa è il bagno rituale ebraico più antico
d’Europa, sito a 18 metri sotto il livello del suolo.
L’ età della sua costruzione risale al sesto secolo dell’era
volgare, in piena epoca bizantina.
HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
NOTIZIE
RICORDO DI PAOLA FRANCHETTI
Il 12 dicembre 2011, 16 kislev 5772, si è spenta in Roma la
longeva vita della professoressa Paola Franchetti, docente
liceale di lettere latine e greche. Nata nel 1914, aveva appena
compiuto novantasette anni. Nell’ultimo tempo veniva in
visita a leggerle, rinnovellandoli per sé, i buoni testi greci,
il matematico Pier Vittorio Ceccherini, suo ex alunno ed
amico di famiglia. Era figlia del medico Augusto, che fu capo
di gabinetto alla direzione generale della sanità pubblica
fino alle leggi antiebraiche e venne reintegrato, dopo la
liberazione, nel competente ministero, frattanto istituito.
Sua madre era Maria Padovani. Augusto Franchetti, padre di
Paola, ripeteva il nome dello zio avvocato, letterato, storico,
bibliofilo, pubblicista, amministratore comunale Augusto
Franchetti, a lungo presidente della Comunità israelitica di
Firenze, ivi nato nel 1840 ed ivi morto nel 1905, per il quale si
vedano la voce, curata da Nidia Danelon Vasoli nel volume
50 del Dizionario biografico degli italiani (Roma 1998), e
le Memorie della famiglia Franchetti, redatte da Rodolfo
Franchetti, pubblicate lungo la nostra settima annata (1999).
Padre del medico Augusto e avo di Paola fu l’ingegner
Federico, fratello dell’Augusto Franchetti, ora ricordato,
che ebbe, altro figlio, Alessandro, anch’egli ingegnere, e
questi fu il padre della professoressa Fortunée, docente di
lingua e letteratura francese. La professoressa Fortunée ha
preso il nome dalla nonna, Fortunéee Curiat, della famiglia
materna di rav Elia Benamozegh, sposa di Federico. Il padre
di Federico e di Augusto era il patriarcale Alessandro,
uomo di cultura e dantista. Siamo con ciò nell’atmosfera
risorgimentale di una grande famiglia originaria di Mantova
e passata per un’epoca a Tunisi, da dove giunse in Toscana
con David, padre di Alessandro.
La professoressa Fortunée Treves Franchetti ha creduto
fin dall’inizio nell’utilità di questo umile periodico,
interessandovi la cugina Paola, anch’ella affezionata
lettrice, tra le tante classiche letture. La professoressa Paola
ha destinato un generoso lascito per gli indigenti della
Comunità ebraica di Roma, che la ha rievocata la sera del
7 maggio 2012 nell’Aula Magna della Scuola media Angelo
Sacerdoti ed ha intestato a lei un’aula della stessa scuola.
Sono interventi il presidente Riccardo Pacifici, il rabbino
capo Riccardo Di Segni, il preside rav Benedetto Carucci, il
professor Ceccherini, la professoressa Cecilia Continelli e le
nipoti dell’indimenticabile Paola, maestra dei classici e di
vita, zikronà le berakhah.
***
In Viterbo, il 13 luglio 2012 (23 tamuz), si è spenta, in età di
ottantun anni, la signora Maria Ciccarella Cuccaro, madre
adorata del nostro amico Giuseppe Ciccarella. Ella nacque
in Napoli, sposò nel 1956 il carabiniere Ettore Ciccarella
(1921 – 2004). Maria ed Ettore hanno generato due figli,
Angelo e Giuseppe. La signora ha affrontato con coraggio
e pazienza, negli ultimi sette anni, la malattia, curata con
tutte le sue risorse da Giuseppe, il figlio vicino e convivente.
Ad entrambi, Giuseppe ed Angelo affettuose condoglianze.
Sia il ricordo della provvida mamma in benedizione.
Gennaio - Giugno 2012
L’otto luglio si sono sposati in Roma il dottor Renato
Coen, responsabile esteri della televisione Sky, e la collega
giornalista dottoressa Virginia Di Marco. Auguri agli sposi
e ai rispettivi genitori.
***
Il nuovo prefetto di Pisa, dottor Francesco Tagliente, ha
cordialmente ricevuto il presidente della comunità ebraica,
Guido Cava, ed il segretario dottor Giacomo Schinasi.
***
Condannati alla pena della vita (!?) E un libro bello e
commovente (Lecce, Pensa Multimedia, 2011) di Adele
Salzano, sorella di Teresa Salzano, benemerita con lei del
dialogo tra cristiani ed ebrei. E’ una storia della famiglia,
colpita dalla morte precoce del padre, in cui i ricordi
personali, di età in età, dalla prima fanciullezza ad oggi, si
intersecano con le vicende storiche del paese e del mondo,
come le due sorelle le hanno apprese e vissute, maturando
una coscienza democratica, ispirata dall’antifascismo del
padre e dal materno senso di giustizia.
***
Arrigo Procaccia di religione israelita. Un finanziere nella
tempesta delle leggi razziali, Roma, Chillemi, 2011, è una
sorta di autobiografia apocrifa di un maresciallo dell’arma di
finanza, realmente esistito, tracciata sugli elementi forniti dal
fascicolo personale, custodito presso il Museo storico della
Guardia di finanza e sui ricordi del figlio, ingegner Giorgio
Procaccia. Ne sono autori il capitano Gerardo Severino,
direttore dello stesso Museo, i cui lavori abbiamo altre
volte recensito, e il dottor Giovanni Cecini, autore del libro
I soldati ebrei di Mussolini. I militari israeliti nel periodo
fascista, Milano, Mursia, 2008. Arrigo Procaccia nacque a
Pistoia nel 1900, fu congedato all’inizio del 1939 a Torino ed
è morto nel 1958 a Roma.
***
SI E’ TENUTO A PISA, DAL 5 AL 20 MAGGIO
IL FESTIVAL NAZIONALE DELLE CULTURE
Il Festival è stato organizzato, con
patrocinio di molti enti, tra cui
l’Unione delle comunità ebraiche
italiane, e la collaborazione, pure
tra i molti enti, della Comunità
ebraica pisana.
Si è articolato in una numerosa
varietà di pannelli e testi per le
varie culture e religioni, in un
convegno ed in tavole rotonde.
Nell’ambito del Festival è stato
conferito un Premio a Rav Elio
Toaff.
Ideatrice e direttrice del Festival
è stata la sociologa professoressa
Serena Gianfaldoni.
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HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12
Gennaio - Giugno 2012
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