Direzione e Redazione Via Tosco Romagnola 1766 56023 Casciavola di Cascina (Pisa) Tel. 050.777249 e-mail : [email protected] Anno X X n° 1 - 12 Gennaio - Giugno 2 0 1 2 Edizioni Il Campano Proprietario e Direttore responsabile Bruno Di Porto Registrazione Tribunale di Pisa N. 3 del 25 gennaio 1993 Redazione grafica e impaginazione digitale Daniele Aharon Massimi e-mail : [email protected] HAZMAN VEHARAION IL TEMPO E L’IDEA Una finestra ebraica sul mondo – Attualità e Cultura In questo numero: Chi spregia il giorno delle piccole cose? • Editoriale.................................................2 • DIVERSITÀ IDEOLOGICHE NEL SIONISMO ITALIANO di A. Rofè.........................................3 • LEONE CARPI ...................................................8 • UNA PROIEZIONE POETICA DI DAVID LEVI........13 • DUE GESÙ DI ALESSANDRO DINI......................15 • SIRACUSA EBRAICA di G. Coen........................17 • RICORDO DI PAOLA FRANCHETTI.....................19 LEONE CARPI (1810 - 1898) Nato a Cento nel 1810, morto a Roma nel 1898, protagonista del Risorgimento, liberale, economista, fiero ebreo. LEONE CARPI ................................................................................................................................................................8 • BREVI NOTIZIE - LUTTI - EVENTI – SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE ...................................................................19 1 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 EDITORIALE Nel numero scorso si pianse la strage nella scuola ebraica di Tolosa. In questo la strage di giovani turisti israeliani a Burgas in Bulgaria. Due tra le nostre e due tra le tante tragedie del mondo, per ognuna delle quali quasi giornalmente ci si duole, ma segnate dal particolare accanimento di ideologia terrorista contro il popolo ebraico, in attacchi che si susseguono. Nella lista storica si iscrive il crimine alle Olimpiadi di Monaco, che le Olimpiadi di Londra, a quarant’anni di distanza, rifiutano di commemorare, come non fosse un fatto loro, un’offesa allo sport mondiale. Noi ricordiamo, così come avvertiamo le stragi di cristiani in Africa e i dolori di questo nostro paese, dalla bomba di un malvagio folle contro la scuola di Brindisi ai misfatti di lucide criminalità (saliente è il ventennale della strage di via D’Amelio), ed al terremoto in Emilia, una pena diversa, questa, per fenomeni naturali. Cose scontate, che tutti sanno dalle cronache, in un piccolo periodico privo di cronaca, che però le soffre e sente il bisogno di registrarle, persuaso della condivisione dei lettori. L’ebraismo italiano ha attuato la sua riforma istituzionale, dandosi un’assemblea permanente con democratiche elezioni, che ha eletto la Giunta e confermato alla presidenza l’avvocato Renzo Gattegna. Ogni comunità, per quanto piccola, ha ora un suo rappresentante nel parlamento dell’Unione, eletto oppure designato dal Consiglio. Pisa ha scelto il rag. Anselmo Calò, esponente di primo piano nell’Unione, invitato permanente in Giunta. Una novità è stata la lista di giovani donne, impegnate e premiate con un successo che le ha inserite nel quadro, integrandolo senza sconvolgerlo. Questo numero, primo della nostra ventesima annata, si apre con la relazione del professor Alexander Rofè ad un gran convegno, tenuto il 27 – 28 giugno in Gerusalemme, sui contributi degli ebrei italiani alla nascita ed allo sviluppo di Israele. E’ un confronto di quattro personalità, con loro angolazioni sioniste, viste da vicino e ritratte con efficaci tocchi di pennello culturale da un uomo di lunga esperienza, dedito alla conoscenza e a metodi di indagine nella comprensione del mondo biblico, sionista con le sue affinità ideali e le sue leali differenze da altri nello stesso sionismo. Rofè evidenzia la radice religiosa della rinascita ebraica, ma ammonisce sulle prerogative e i caratteri propri dello Stato, una volta fondato, che lo distinguono dalla religione, ponendo i diritti al riparo dai rigori dell’integralismo religioso, esso stesso da rispettare ma tenuto al rispetto. Analogamente egli distingue i criteri dell’esegesi moderna dalla logica del midrash, che ha il suo pregio nella tradizione, ma da cui la critica biblica fin dall’Ottocento ha ritenuto di prescindere nell’analisi dei testi. Il quartetto del professor 2 Rofè si conclude con la figura di Isacco Sciaky, che fu con Leone Carpi alla testa del sionismo revisionista in Italia. Nell’articolo seguente si risale con l’avo omonimo di Leone Carpi, dal risorgimento ebraico all’ebraismo risorgimentale italiano, nell’età dell’emancipazione. Nel terzo articolo da Leone Carpi, nativo di Cento in Emilia, si passa al patriota e vate piemontese David Levi, cogliendone una originale immedesimazione poetica in Miriam madre di Gesù: da ebreo e da razionalista egli non poté credere alla concezione virginale per opera dello spirito santo, ma volse delicatamente il prodigio in esperienza onirica, rendendo la sensazione e il sentimento della giovane donna, nella luce dell’Eterno femminile. Nel quarto articolo il protagonista è lo stesso Nazareno, sdoppiato tra il Gesù della fede cristiana e il Gesù storico, carismatico maestro ebreo, nel libro, brevemente recensito, del professor Alessandro Dini, architetto fiorentino. Il quinto articolo, del professor Giorgio Coen, narra un soggiorno a Siracusa, come già fece il redattore di questo foglio alle pagine 75 – 77 della nostra XVIII annata (2010), con la lieta differenza e sorpresa, che egli, andato con la moglie Franca e i cugini Arnaldo e Anna Coen, ha potuto incontrare la comunità ebraica, frattanto sorta nella città siciliana, attorno al rabbino Stefano Di Mauro, trascorrendovi uno shabbat. Si segnala, con ciò, il fenomeno, minoritario e marginale quanto si voglia, di nuove realtà ebraiche fuori del contesto ufficiale, tra l’altro, in questo caso, ad opera di un rabbino ortodosso. Seguono infine alcune notizie, segnalazioni bibliografiche e i necrologi dedicati alla professoressa Paola Franchetti, affezionata lettrice del nostro periodico, fin dalla sua nascita, ed alla signora Maria Cuccaro, mamma del nostro amico Yosef Ciccarella. In ricordo delle vittime della strage di Monaco nel 1972 durante le olimiadi. HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 RELAZIONE DEL PROFESSOR ALEXANDER ROFE’ AL CONVEGNO “L’ITALIA IN ISRAELE” TENUTO A GERUSALEMME IL 26 E 27 GIUGNO 2012 “IL CONTRIBUTO DEGLI EBREI ITALIANI ALLA NASCITA E ALLO SVILUPPO DELLO STATO DI ISRAELE” DIVERSITA’ IDEOLOGICHE NEL SIONISMO ITALIANO CASSUTO, PACIFICI, ARTOM, SCIAKY di Alexander Rofè Parlare in qualche cosa come venti minuti di questi quattro maestri e pensatori è una vera audacia. E già mi pare di vederli abbozzare un sorriso ironico, alla fiorentina (tutti e quattro furono fiorentini, di nascita o di soggiorno), per questo mio ardire di “condensarli” in sì breve tempo. La mia attenuante è che vorrei semplicemente renderli presenti a un pubblico che non li ha conosciuti, e che forse vorrà poi rivolgersi ai loro scritti per intenderli meglio e comprendere il loro contributo alla vita e al pensiero di Israele. UMBERTO CASSUTO 1883 – 1951 Comincerò con Cassuto, il mio primo, amato e rimpianto, maestro di Bibbia. Umberto, Moshé David, Cassuto nacque a Firenze nell’età umbertina, nel 1883. A Firenze completò i suoi studi rabbinici e universitari, e colà, poi a Roma, insegnò nell’Università e nel Collegio rabbinico. Fu invitato all’Università Ebraica di Gerusalemme nel 1939 e qui insegnò fino alla sua prematura scomparsa nel 1951. Dodici anni in tutto! Eppure in questo breve tempo lasciò un’impronta profonda nello studio accademico della Bibbia Ebraica in Israele. Basta dire che Cassuto fu uno dei Padri Fondatori di discipline all’Università Ebraica, fondatori oriundi dall’Italia; come Tedeschi nella giurisprudenza, Bachi nella statistica e demografia, Raccah nella fisica, così Cassutto iniziò lo studio critico-storico della Bibbia Ebraica in Israele. Infatti, nell’Università Ebraica non esisteva una cattedra di studi biblici prima della venuta di Cassuto. C’era stata l’opposizione di fondamentalisti ebrei, che influenzavano i maggiori donatori all’Università; e ricordiamo che in quel periodo, del mandato britannico sulla Palestina, l’Università non era sovvenzionata dallo Stato, e dipendeva perciò dalla generosità di filantropi. Dunque Cassuto iniziò, anche se con moderazione, lo studio critico-storico della Bibbia nell’Università Ebraica. In primo luogo ciò è evidente col suo abbandono del midrash, delle omelie tradizionali ebraiche, nell’esegesi della Bibbia1. Il midrash è istruttivo per se stesso, ma nell’interpretazione della Scrittura può sviare l’esegeta. Inoltre, l’interprete, per Cassuto, non deve mai cercare nei testi dei segreti profondi o delle rivelazioni sublimi. (Riecheggiano qui le parole del grande Baruch Spinoza nel suo Tractatus Theologico-Politicus). Il testo biblico va spiegato sul 1 U. Cassuto, “La Bibbia e l’ebraismo moderno”, Israel, Vol. 9 (13.3.1924), pp. 3-4; idem, “Our Task in Biblical Scholarship”, in idem, Biblical and Canaanite Literatures (in ebraico), Jerusalem 1972, pp. 3-11. Questa fu la sua prolusione all’ Universita’ Ebraica il 15.11.1939, abbreviata e tradotta in francese in Madregot 1 (1940), pp. 75-81: “Notre tâche dans la science de la Bible”. Gli scritti sparsi di Cassuto sono stati tradotti e pubblicati in inglese; è da lamentare l’assenza di una loro pubblicazione in italiano. 3 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 livello naturale, umano. Per esempio, il concatenarsi delle diverse unità in un libro biblico fu determinato non da profonde intenzioni degli autori, ma da motivi psicologici, come l’associazione di idee e, ancor più, l’affinità esteriore2. Infine, l’investigazione storica del Cassuto lo portò a ricercare le radici della letteratura ebraico-biblica nella poesia canaanea, specialmente quella scoperta nei ruderi della città di Ugarit, sulla costa settentrionale della Siria.3 È una cosa che a pensarci bene è straordinaria: Cassuto, un ebreo osservante e rabbino, mise in rilievo il debito della cultura ebraica biblica verso la civiltà canaanea, quella stessa che gli autori biblici avevano tanto deprecato e disprezzato. Naturalmente, però, Cassuto amava sottolineare la differenza del tenore morale che correva tra i poemi epici canaanei e la letteratura religiosa di Israele. Cassuto fu molto amato e stimato a Gerusalemme, sia per la sua personalità pacata e armoniosa, sia per la sua vasta cultura, sia per le sue facoltà intellettuali, sia per la sua capacità organizzativa: egli fu tra i fondatori e direttori della nostra Enciclopedia Biblica, che in nove volumi fu completata trentasette anni dopo la sua morte. Ma non dobbiamo tacere che parte della sua popolarità fu dovuta alle sue posizioni armonistiche circa la composizione del Pentateuco. Cassuto tentò di confutare l’ipotesi documentaria, ossia che il Pentateuco, specie nella sua parte narrativa, risultasse dalla composizione di distinti documenti che l’avevano preceduto. L’ipotesi era stata generalmente aborrita dagli Ebrei dell’età contemporanea. Cassuto, nel contestarla, trovò in Israele non poca approvazione e plauso. Non tutti si resero conto, però, che Cassuto non tornava alle posizioni apologetiche-tradizionali: egli ammetteva che la stesura della Torah fosse stata preceduta da delle fonti, in parte scritte, in parte orali, e con ciò implicitamente ammetteva che la Torah nella sua completezza non poteva essere attribuita a Mosè!4 Chi si rese perfettamente conto delle implicazioni della critica storica di Cassuto fu l’altro fiorentino di nascita, 2 U. Cassuto, “L’ordinamento del libro di Ezechiele”, Miscellanea Giovanni Mercati, a cura di A. M. Albareda, Vol. I, Citta’ del Vaticano 1946, pp. 40-51, spec. pp. 46-47. 3 U. Cassuto, “Biblical and Canaanite Literatures” (in ebraico), nel volume succitato a n. 1, pp. 20-54. 4 4 U. Cassuto, La questione della Genesi, Firenze 1934. Gennaio - Giugno 2012 Alfonso Pacifici.5 Se Cassuto fu un vero umanista, una specie di Pico della Mirandola ebreo nel secolo ventesimo, Pacifici per contro fu una contemporanea personificazione ebraica di Girolamo Savonarola. Mi fu riferito che Pacifici una volta lanciò contro Cassuto una specie di anatema o scomunica a causa degli scritti considerati eretici di quest’ultimo6. L’episodio si confà al carattere e alle idee di Pacifici. ALFONSO PACIFICI 1889-1981 Nato nel 1889, fu convertito all’osservanza delle mitzvoth, i precetti religiosi, dal Rabbino Shemuel Hirsch Margulies, e diventò, ancora giovane, un acceso sionista. Studiò legge a Pisa, dove si laureò, ma si distinse specialmente come oratore e pubblicista. Il suo passaggio all’integralismo religioso ebraico fu graduale. In un suo discorso del 1916, pubblicato nel 1917 sul settimanale Israel, da lui fondato con Dante Lattes, parlava della “Questione Nazionale Ebraica”7. Qui c’era la nazione ebraica, l’anima della nazione, il movimento nazionale ebraico, il ritorno alla patria degli ebrei, la ricostruzione sionista in Palestina, una normale vita economica ebraica; ancora non c’era 5 Si vedano, su Pacifici, il profilo di Bruno Di Porto in “Hazman Veharaion – Il Tempo e L’ Idea”, XV (2007), n. 24, e per la tesi di laurea a Pisa, ibidem, VII (1999), nn. 22-23, 24. 6 Di questa notizia non so se esiste una documentazione. A questo proposito il dott. Reuven Ravenna mi ha indicato l’articolo di Pacifici, “Il caso Cassuto”, RMI 10 (1934), pp. 93-99. 7 A. Pacifici, La questione nazionale ebraica e la guerra europea, Firenze 5677-1917, 32 pp. , riprodotto dal settimanale ebraico Israel N.i 20-21, 22-24 dello stesso anno. HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 niente del Pacifici posteriore. Ma nel 1922 già si vantava in conversazione con Weizmann, che alle cariche principali dell’organizzazione Sionistica Italiana non poteva essere eletto “chi fosse stato noto come non osservante dello shabbath”. E a questo Weizmann reagì: “Ma allora, Signor Pacifici, voi mi volete fare dell’Ebraismo italiano una miniatura?”8. Gradualmente Pacifici si avvicinava alla ortodossia integralista ebraica. Gradualmente. Mi fu raccontato che nel 1925 circa venne in una prima visita in Eretz Israel. Compagno di viaggio fu il Dr. Enzo Bonaventura, che poi ebbe la cattedra di psicologia in questa università, e perì nel 1948 nel massacro di SheikhJarrach. Vennero a Gerusalemme, salirono sulla spianata del Tempio, entrarono nella Cupola della Roccia, e lì si fermarono assorti in contemplazione mistica… Ben sappiamo che quello che fecero è una trasgressione inammissibile per un Ebreo osservante. Ma Pacifici ancora non lo sapeva. In questa fase sionistica, Pacifici, continuando l’opera del suo maestro Margulies, ebbe certo non poca influenza su giovani ebrei fiorentini; negli anni trenta vennero in aliyah diverse famiglie di Firenze: i Sinigaglia, Servadio, Ottolenghi, Padovano, Cividalli, Ascoli, Bonaventura, Padoa, Sarfatti, Gennazzani, Bigiavi-Levi, Fiano, Passigli, Procaccia, Bolaffi, De Angelis, Beinaim, Varadi, Rocca e lo stesso Cassuto. Credo che in percentuale di ‘olim la comunità di Firenze sorpassò tutte le altre comunità italiane. Una buona parte di loro si stabilirono a Ramat-Gan, dove col tempo istituirono una sinagoga di rito fiorentino. In questa si commemorava con la hashkavah il Rav S. H. Margulies ancora trent’anni dopo la sua scomparsa! Il tempio esiste e funziona tuttora, anche se i discendenti dei fondatori si sono un po’ sparsi per il paese. Pacifici stesso compì la sua aliyah nel 1934 e si stabilì a Gerusalemme. Ma l’opinione di Pacifici continuava a muoversi sempre più verso la più rigorosa ortodossia. Lo udii una volta parlare al beit-ha‘am, in via Giaffa, nella prima metà degli anni ’50. I neturei qartà, i facinorosi ultraortodossi, avevano ordito delle violente dimostrazioni per non so più quale infrazione dei precetti religiosi nella città 8 A. J. M. Pacifici, ‘Una miniatura’. Ricordi di una conversazione con Chaim Weizmann, in Scritti in memoria di Leone Carpi, a cura di D. Carpi et al., Gerusalemme 1967, pp 219-228. Gennaio - Giugno 2012 di Gerusalemme. (Ben sappiamo che sono tumulti periodici!). Pacifici si schierò senza equivoci dalla loro parte e dichiarò testualmente: “La differenza fra noi e Amran Bloi [il capo dei neturei qartà] è che egli fa, e noi parliamo”, e testualmente in ebraico con puro accento fiorentino: La posizione di Pacifici si era consolidata in un monismo religioso. La Torah, scritta e orale, rivelazione divina a Israele, è l’alpha e l’omega dell’esistenza umana. Nient’altro può contare, solo l’osservanza scrupolosa delle mitzvoth, dei precetti divini, e in primis lo studio stesso della Torah. Lo Stato, il ritorno degli Ebrei alla loro patria, per lui erano cose che avrebbero acquistato significato solo se impregnate dall’osservanza delle mitzvoth! Altrimenti, ne facciamo a meno! Addio Sionismo! Addio Stato! Non per niente i seguaci di Pacifici predicano oggi la sua dottrina sul periodico Segullat Israel, in italiano, da New York! Vi è una forza, una vera potenza, quasi da profeta, nella predicazione di Pacifici. È la certezza di parlare per Dio (adesso si scrive solo D.). Con questa sicurezza attacca la critica biblica, “che su pretese basi scientifiche veniva[no] di fatto a negare l’origine divina della Torà stessa” e la condanna come “mode critiche pseudoscientifiche”9. A questo mi provo a rispondere a distanza di cinquantasei anni: vi è una disciplina che si chiama storia, con essa, se la curiamo onestamente, possiamo comprendere il nostro passato, e, in sostanza, noi stessi. Ogni totalitarismo implica la svalutazione di questa disciplina. Il nazismo e il fascismo lo fecero sostituendo alla storia i miti pagani e la retorica dell’impero romano. Il bolscevismo tramutò la storia in farsa, riscrivendola continuamente al servizio dei padroni di turno, i segretari del partito. Pacifici, dal suo podio, con grande aria di superiorità, parla di “pretese basi scientifiche” di “mode critiche pseudoscientifiche” – anche lui rappresenta un totalitarismo: la Torà è tutto, il pensiero umano applicato alla storia non conta. Non esiste comprensione al di fuori della Torà! 9 A. Pacifici, “Considerazioni sulle Comunita’ separate, l’Unita’ d’Israele e le Comunita’ ebraiche d’Italia”, Scritti in memoria di Sally Mayer (1875-1953, Gerusalemme 1956, pp. 295-307, a p. 298 5 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Non so se Cassuto ebbe occasione di rispondere a Pacifici. ELIA SAMUELE ARTOM 1887-1965 Chi certamente era vicino alle posizioni di Cassuto era suo cognato Elia Samuele Artom, nato a Torino nel 1887, Rav in diverse comunità italiane, tra le quali Tripoli e anche Firenze; si stabilì a Gerusalemme nel 1939, tornò di volta in volta a insegnare in Italia e qui decedette nel 1965. E’ sepolto a Gerusalemme. Artom era molto erudito negli studi ebraici, autore di un commentario popolare a tutta la Bibbia, traduttore in ebraico dei libri apocrifi e in più versato nella storia e la letteratura del Giudaismo post-biblico. Artom era sionista: il suo figlio maggiore Emanuele, Rav anche lui, partecipò all’attività dell’haganah; il secondogenito, Me’ir, fece l’aliyah nel 1945, ma morì di poliomielite nel 1947; il figlio minore, Reuvèn, cadde in guerra, a Motza, nel marzo del 1948. Il pensiero di Artom verte su due poli: la Torà e lo Stato. Lo Stato di Israele deve basarsi sulla Torà, altrimenti non potrà durare. Ma la visione della Torà per Artom è dinamica: la legge di Israele è stata, in passato, di continuo sviluppo; questo sviluppo deve rinnovarsi, affinché le leggi della Torà possano rispondere a tutti i quesiti che ha sollevato la nuova situazione – l’indipendenza di Israele. Per il rinnovamento della Torà Artom auspicava un rinnovamento del rabbinato – il sorgere di una nuova classe di rabbini, che avrebbero assunto la responsabilità di legiferare, così come avevano fatto i nostri saggi nel periodo della Mishnà. Il libro programmatico di Artom, La nuova vita di Israele, ייח לארשי םישדחה, fu pubblicato postumo dal figlio 6 Gennaio - Giugno 2012 Emanuele nel 196610. Sono passati quarantasei anni, e per ora sembra che ci siamo ben allontanati dal programma di Artom: il rabbinato in Israele non si è evoluto verso un rinnovamento della legge ebraica; viceversa si è involuto, verso il modo di vivere dell’Europa Orientale nel secolo diciottesimo, con l’aggravante di un parassitismo economico e un violento fanatismo. La Torà non potrà essere la magna charta dello Stato di Israele. Chi lo disse già novant’anni fa fu Isacco Sciaky, la persona più odiata ed esecrata nel sionismo italiano. Anche vent’anni dopo la sua morte ho sentito parlare male di lui, ed erano calunnie! Era odiato perché era un caratteraccio, e detestato perché le sue idee precorrevano i tempi e lo rendevano impopolare. In più era sionista-revisionista, il partito ostracizzato dalle sinistre sionistiche e dai borghesi benpensanti. Isacco Sciaky in visita alla Nave Scuola Sarah Alla sua sinistra l’istitutore Abraham Blass Chi era Isacco Sciaky? Nacque a Salonicco nel 1896, studiò in scuole italiane; era un grande ammiratore dell’Italia e della cultura italiana; venne a Roma nel 1917 e qui studiò filosofia con Giovanni Gentile ed Ernesto Bonaiuti, il “Santo”. Insegnò filosofia; nel 1939 venne in Eretz-Israel, e insegnò a Tel Aviv e a Gerusalemme. Qui morì nel 1979. 10 In italiano: E. S. Artom, La nuova vita di Israele, Roma 5726, 1966. HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Darò qui un esempio del come questo enfant terrible del sionismo italiano irritava i suoi interlocutori. Nel 1931 Sciaky venne con Roifer, suo amico, in una prima visita in Eretz-Israel. A Tel Aviv gli mostrarono con orgoglio la nuova grande sinagoga in via Allenby; era costata sforzi economici non indifferenti. “Non mi impressiona affatto” – disse Sciaky – “è una città di ebrei ed è naturale che ci sia una sinagoga. Il successo sarà quando nel centro di Tel Aviv ci sarà anche una chiesa!” Sciaky, a differenza degli altri sionisti italiani era un laico; e questo si spiega anche con le loro differenti origini. I sionisti italiani venivano dalla religione ebraica o, come Pacifici, avevano ritrovato la loro identità ebraica nella religione. Sciaky, come del resto tanti Ebrei dell’Europa Orientale, era cresciuto in un’etnia ebraica, quella di Salonicco, una città che all’epoca era abitata da quattro gruppi etnici – Turchi, Bulgari, Greci ed Ebrei – l’esistenza di una nazione ebraica era per Sciaky un dato di fatto. Nel pensiero di Sciaky lo Stato aveva un posto eminente. Lo Stato – come sede del diritto, che assicura la libertà all’individuo, limitandola di fronte alla libertà del prossimo. E siccome lo Stato deve assicurare la libertà dei cittadini deve necessariamente essere laico. Se non c’è una chiara distinzione tra confessione e stato, non solo sarà offesa la libertà, non solo l’uguaglianza dei cittadini, ma lo Stato diventerà anche il campo di battaglia tra le diverse fazioni religiose, come l’Europa dei secoli XVI-XVII, come – per tornare ai fatti nostri – lo Stato Ebraico nell’età ellenistica e romana. “Libera chiesa in libero stato” – era il programma di Cavour. E questo era l’eroe del Risorgimento ammirato da Sciaky, non Mazzini, non Garibaldi (il patriota guerrigliero ammirato da Begin), Cavour! All’amico Roifer Sciaky donò nel febbraio del 1936 una biografia di Cavour11; nella dedica scrisse: “questo ritratto di un costruttore di Stato”. Nella stessa data gli dette un estratto della nota, ben lunga, da lui pubblicata, all’Accademia Nazionale dei Lincei: “Stato e libertà nel pensiero di Rousseau”12; lì c’è la dedica: “A Roifer, pensando allo Stato nostro da ricostruire”. 11 Giuseppe Massari, Il conte di Cavour (Ricordi biografici) (1872), Rist. Sesto San Giovanni 1935. 12 Presentata dal Socio G. Gentile, Reale Accademia Nazionale dei Lincei, Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, Ser. VI, Vol. XI, fasc. 7-10, luglio-ottobre 1935, pp. 489-554. Gennaio - Giugno 2012 Con queste idee, nel 1924, Sciaky si aggregò al Sionismo Revisionista di Jabotinsky.13 Per Jabotinsky Sciaky si adoperò in una continua azione diplomatica presso il governo italiano14, un filosofo nella politica e diplomazia... Quanto sia difficile mettere insieme queste cose lo illustra il seguente episodio (raccontatomi da Sciaky). A fine giugno 1936 Jabotinsky si incontro’ a Ginevra con tre revisionisti italiani – Carpi, Roifer e Sciaky. C’era stata la conquista dell’Etiopia e le sanzioni contro l’Italia, e la domanda in aria era che direzione avrebbe preso la politica italiana. Sciaky spiegò lungamente a Jabotinsky che l’Italia non poteva andare con la Germania nazista. Il resto, poi, si sa. Ma nel 1939 o 1940 Sciaky scrisse a Jabotinsky: “Si ricorda che Le dissi a Ginevra che l’Italia non si sarebbe alleata colla Germania? Io non mi sbagliai; si è sbagliato ‘lui’ [ossia Mussolini]”. Eh già, Sciaky non sbagliava mai... La morale è che i filosofi a volte vedono le cose non come sono, ma come dovrebbero essere. Il revisionismo di Sciaky, oltre al suo carattere difficile, oltre al suo laicismo che contrastava le idee di Pacifici, Lattes, Ciro Glass e altri attivisti del Sionismo, lo rese inviso agli ambienti del Sionismo italiano. Ma Enzo Sereni gli tenne fede, nonostante i contrasti ideologici: nel novembre del 1939 lo chiamò al telefono da Roma: “Vieni, prendi il treno da Firenze stanotte; ho un certificato per te, te lo meriti”. Fu così che Sciaky arrivò per tempo in Eretz-Israel. Lo Stato di Israele è il frutto di quell’anelito al Ritorno inerente alla religione ebraica. Fu quell’anelito la prima ragione del movimento sionista, che in settant’anni di sforzi immani stabilì lo Stato Ebraico in questo paese. Ma una volta fondato, lo Stato, se vuole perdurare, deve reggersi secondo la logica degli Stati, deve aprirsi alla partecipazione di tutti i cittadini nella cosa comune, la res publica. Lo Stato non può essere confessionale. Se vuole vivere, deve recidere la corda ombelicale che lo nutriva, dal grembo della tradizione ebraica. Oggi questa verità è pressoché accettata dalla maggioranza degli israeliani. Sciaky, che precorreva i tempi, la proclamava già molti anni fa. Ma era una voce che chiamava nel deserto… 13 Gli scritti ebraici e sionistici di Sciaky sono stati raccolti da V. Pinto in Il salonicchiota in nero, Livorno 2009 . 14 Si veda V. Pinto, a cura di, Stato e libertà: il carteggio Jabotinsky-Sciaky (1924-1939),Soveria Mannelli (Catanzaro) 2002. 7 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 LEONE CARPI (1810 - 1898) Protagonista del Risorgimento, liberale, economista, fiero ebreo Leone Carpi (1810 - 1898) Leone Carpi è stato un patriota del Risorgimento, economista e deputato nell’Italia unita. Nacque nel 1810 a Cento, in provincia e delegazione pontificia di Ferrara, da cospicua famiglia ebraica. L’avo Mosè aveva avuto la privilegiata qualifica di familiare del cardinale Alessandro Albani. Il padre Lazzaro era stato capitano della Guardia nazionale nel periodo francese e ricevette un encomio dal segretario di Stato cardinale Ercole Consalvi per la promozione di regolari mercati di bestiame ed attività imprenditoriale. Sempre Lazzaro aprì nella casa di Bologna il primo oratorio per i correligionari tornati ad abitare nella città. Oltre il confine del Lombardo Veneto la famiglia poté acquistare un terreno e svolgere attività agricola, curata da Leone, in provincia di Rovigo. A differenza, dunque, dell’andamento generale per gli ebrei, specialmente in Roma, i Carpi avrebbero potuto vivere bene l’età della Restaurazione, ma aderirono ben presto, padre e figli, ai movimenti liberali in società segrete, compromettendosi con le autorità, sia pontificie che austriache. Leone si diede, da autodidatta, una buona cultura, soprattutto economica e politica. Dalla fase della clandestinità in società segrete, unica possibile per chi si impegnasse politicamente, prima della stagione giobertiana e del pontificato di Pio IX, passò su 8 posizioni moderate, partecipando al movimento di opinione pubblica che chiedeva graduali riforme in una prospettiva di unione confederale tra gli stati italiani e di norme costituzionali. Tra i diritti da affermare era per lui, naturalmente, la parità degli ebrei agli altri cittadini, e di questo problema discusse, nel 1847, su giornali toscani, con il cognato Salvatore Anau, fratello infatti di sua moglie Pamela, banchiere e filantropo ferrarese, il quale voleva un’azione al massimo concertata con ambienti liberali cristiani, auspicando che fossero questi a prender l’iniziativa, come in effetti stava avvenendo: nella stessa Toscana lo fece Giambattista Giorgini, letterato e professore all’Università di Pisa, genero del Manzoni, sul giornale “L’Italia”. Ai correligionari Anau soprattutto chiedeva di prepararsi all’emancipazione uscendo dalla separatezza della loro piccola società, come, del resto, stava avvenendo, attraverso crescenti contatti tra ebrei e cristiani. La parte meno evoluta della piccola società ebraica, legata a minuti commerci e a caratteristiche che marcavano la differenza, era ovviamente il ceto povero e Anau criticava, a questo proposito, le comunità perché lo sovvenivano in denaro o provvedendolo di umili abitazioni, invece di indirizzarlo a mestieri manuali e di dargli una base elementare di istruzione, togliendolo da un modo di vita che attirava pregiudizi: anche questo avviamento ai mestieri, con un minimo di istruzione elementare, già si era cominciato a fare in seno alle comunità e bisognava semmai dargli incremento. Salvatore Anau, banchiere, filantropo, pubblicista, segretario del Circolo Nazionale in Ferrara, deputato alla Costituente della Repubblica Romana, fondò un asilo infantile nelle campagne di Paviole. HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Anau voleva inoltre modificare il culto, introducendo le preghiere in italiano, togliendo i riferimenti all’antica patria in Sion e la messianica aspettativa a tornarvi, voleva alleggerire il rigore dei precetti, voleva far posto alle donne nel culto, e si mostrava, al riguardo, informato, assai più di quanto si fosse in Italia, del movimento di riforma che era in corso tra gli ebrei negli altri paesi di Europa, ma ne esagerava l’estensione. Nell’ebraismo italiano non ci fu un movimento organizzato di riforma, ma cominciavano ad affiorare alcuni cambiamenti, come una prima introduzione della maggiorità religiosa per le ragazze. A lui, in fondo, il movimento di riforma interessava soprattutto sotto il profilo della facilitazione ad entrare nella circostante società cristiana, ad adottare costumi e modi di vita simili a quella della maggioranza: in una parola a favorire quel processo che fu poi chiamato assimilazione, e che ha compreso diverse gradazioni di distacco dalle origini e di uniformità con i non ebrei. Di riforme si parlava in campo ebraico, dove c’era, tra i rabbini e i fedeli, chi le intendeva come misurato adeguamento ai tempi, per contenere, con preghiere meno lunghe e regole meno strette, la disaffezione, che già si notava verso il culto e le tradizioni: si rinvia al profilo del rabbino maggiore di Mantova, Marco Mortara, nella nostra annata XVII (pp. 43–68), ora pubblicato nella rivista “Materia Giudaica”. Meno avveduto era il parlare, così genericamente, di riforma dell’ebraismo, per meritare l’emancipazione, su un giornale liberale cattolico, diretto dall’abate Raffaello Lambruschini, egregia personalità, il quale chiarì, in nota di commento, che la questione dell’emancipazione degli ebrei, nel dibattito pubblico italiano, non doveva essere religiosa ma civile e politica. Quanto alla religione, il direttore non poteva tacere l’auspicio dell’approdo di tutti gli israeliti alle verità evangeliche, cosa che tardava ad avvenire per colpa, in gran parte, cristiana, avendo i cristiani male interpretato la dottrina di Gesù. Anau rimase ebreo e non arrivava certamente a prospettare la conversione, ma perorò, non richiesto, un formale ossequio alla Croce come simbolo sacro di unità nazionale italiana. Carpi sostenne, in dibattito col cognato, sul giornale “L’Alba”, che gli ebrei dovevano esser parte attiva nella richiesta dei loro diritti, civili e politici, a prescindere da modifiche o miglioramenti nella vita interna delle comunità, che non era comunque in contrasto con la società circostante. Riteneva errato chiedere il sacrificio dei riti e simboli religiosi che univano la minoranza ebraica: usava al riguardo una espressione generica di tutela della tradizione religiosa, senza entrare nel merito della dottrina e della precettistica. Carpi mise in atto l’impegno diretto con un opuscolo di protesta, da Firenze, contro una direttiva ufficiosa della Segreteria di stato pontificia per l’esclusione degli ebrei dalla Guardia civica, allargando il discorso Gennaio - Giugno 2012 dal caso, di per sé umiliante, alla generale esigenza dell’emancipazione, che gli ebrei meritavano per leale attaccamento ai rispettivi paesi e per l’apporto civile ed economico che recavano, nell’interesse stesso degli stati. L’emancipazione venne conseguita nel Regno subalpino, che nel ’48 si mise alla testa del movimento per l’indipendenza italiana, muovendo guerra, invero sfortunata, all’Austria. Il seguito degli eventi in Roma portò all’allontanamento del papa, ospite in Gaeta del re di Napoli, e all’indizione delle votazioni per l’assemblea costituente. Carpi ed Anau furono eletti entrambi deputati, l’uno di Bologna, l’altro di Ferrara. Carpi fu segretario generale alle finanze nel governo della Repubblica romana, per la quale tentò una missione a Parigi, ed Anau la rappresentò presso la consorella Repubblica di Venezia. Al ritorno del governo papale in Roma, entrambi ripararono nel Regno subalpino, da dove Carpi denunciò in un secondo opuscolo l’assedio delle truppe francesi al ghetto romano, onde perquisire le umili case, alla ricerca di oggetti che si diceva fossero stati sottratti alle chiese e ai conventi. Nel 1858, con il padre e il fratello Alessandro, Leone si adoperò presso il governo di Torino per la restituzione del fanciullo Edgardo Mortara, rapito alla famiglia. Carpi viaggiò in Europa, scrisse un libro sulla Spagna, mostrando punti di mediterranea affinità con l’Italia nel difficile decollo economico (La Spagna e l’Italia. Politica. Beni delle manimorte. Banche. Agricoltura. Note di viaggio, Torino 1865), fu deputato di Ferrara nella breve settima legislatura del 1860, che seguì alle annessioni dell’Italia centrale al Regno sabaudo, sciogliendosi quando fu proclamato il Regno d’Italia. Si dedicò allo studio di grandi questioni nazionali, con vaste inchieste, e alla pubblicazione di relativi volumi. Trattò, fra i primi, il problema dell’emigrazione, specie in rapporto all’esodo dalle campagne, chiedendo che venisse tutelata dallo Stato e indirizzata, per il futuro, verso colonie di popolamento sotto sovranità italiana: Dell’emigrazione italiana all’estero nei suoi rapporti coll’agricoltura, coll’industria e col commercio, opera con cui vinse il concorso del Premio Ravizza, Firenze 1871, e Delle colonie e dell’emigrazione d’italiani all’estero sotto l’aspetto dell’industria, commercio ed agricoltura, opera premiata dal Ministero dell’istruzione pubblica, Milano 1874. Fu fautore, in generale, di interventi dello Stato, e sostenne la necessità di protezione daziaria per l’avvio allo sviluppo industriale, partendo da condizioni svantaggiate al confronto con le solide economie di nazioni e stati, uniti da tempo, ricchi di capitali, di materie prime, di colonie, di reti ferroviarie. In polemica con il liberismo, giudicava che la libertà politica e morale non fosse necessariamente o strettamente collegata alla libertà economico – commerciale: è un tema complesso su cui discuteranno Croce e Einaudi. Fustigò, nell’opera L’Italia vivente. Studi sociali (Milano 1878), la rendita inoperosa, la speculazione 9 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 finanziaria, l’eccessiva propensione piccolo borghese agli impieghi, propugnò l’educazione al lavoro e al carattere. Avversò le proposte regionalistiche, come pericolose per la tenuta dell’unità, lasciando ai comuni le funzioni di amministrazione locale e per il resto assicurando la preminenza dello Stato: Del riordinamento amministrativo del Regno, Bologna 1860; Non più illusioni. Cenni sugli attuali avvenimenti italiani, Torino 1860. A tale linea statalistica si collega la sua veduta in politica ecclesiastica, contraria al separatismo, raccomandando invece la massima cura del basso clero a diretto contatto con il popolo, onde staccarlo, per quanto possibile, dalle alte sfere della gerarchia cattolica e dalle suggestioni alla mobilitazione delle masse contro l’ancora fragile Stato unitario. Parimenti temeva l’eversione anarchica e socialista da sinistra, chiedendo, da moderato, temperate ma decise riforme sociali. Il moderatismo dinamico e riformatore di Carpi si è continuato, per spontanee riprese, in un filone di pensiero e di iniziativa con contributi di ebrei: il metodo della seria inchiesta lo unisce a Sidney Sonnino (non ebreo ma di padre ebreo), a Leopoldo Franchetti, a Enea Cavalieri, che condussero l’inchiesta del 1876 sulla Sicilia e altri studi sul campo nel Meridione. In Franchetti si è sviluppata l’opzione coloniale; con Luigi Luzzatti si è evidenziata la continuità di politica commerciale, di impegno sociale, a fini di saggia conservazione (v. Emilio Falco, I figli di David e l’unità d’Italia. Leone Carpi e Luigi Luzzatti, Roma 2003). Carpi si è occupato, in varie pubblicazioni, delle banche, delle casse di risparmio, del credito agrario e fondiario. Ha collaborato al giornale economico “Il Sole”, alla “Gazzetta Piemontese”, al “Popolo Romano”. Sergio Riccò, in un saggio del 1978, e Silvio Lanaro, nel libro del 1979 Nazione e lavoro, hanno definito Carpi, per l’energico impegno allo sviluppo del paese e al rafforzamento dello Stato, un ebreo nazionale, qualifica emblematica della nazionalizzazione, o identificazione degli ebrei emancipati negli stati moderni, nello specifico in Italia. La definizione può valere per molti altri ebrei dei diversi paesi, identificati a fondo con le rispettive patrie, e certo calza per Carpi, insieme con la connotazione, ben motivata, di ebreo, essendosi distinto nella difesa a viso aperto della propria minoranza e del buon nome dell’ebraismo. Riccò lo ha qualificato con rilievo nel titolo Leone Carpi: un ebreo nazionale fra Risorgimento e industrializzazione. Lanaro ha approfondito la definizione in una nota dedicata all’aspetto ebraico di Carpi, nel libro, che parla di molti altri personaggi, ma dedica ben undici pagine consecutive al nostro uomo di singolarissimo acume, Ebreo nazionale dalla fedeltà a tutta prova, anche se non incline ai travestimenti codardi. Ai travestimenti codardi Carpi davvero non era incline. In un articolo del 1884 sul “Vessillo Israelitico”, ricordato da Lanaro, definì gli ebrei, e tale egli era, 10 Gennaio - Giugno 2012 gente sdegnosa e fiera della propria indipendenza e di quella dei popoli con cui si è immedesimata. Nel 1885, su “La Domenica del Fracassa”, con lo scritto La schiatta ebrea davanti all’umanità, rispose come si doveva a Paolo Mantegazza, antropologo, igienista, senatore, che aveva ripetuto giudizi sull’estraneità, la grettezza, la separatezza degli ebrei, esortandoli, per rigenerarsi, a desistere dal barbarico uso della circoncisione. Fuori degli scritti specifici, scanditi ai momenti giusti, egli nelle maggiori opere, di economia e di politica, poco ha parlato degli ebrei, se non per dati particolari, tra le varie popolazioni e i settori della società. Ma in una raccolta, a dispense, di biografie di contemporanei, intitolata Il Risorgimento italiano, da lui promossa e curata, ebbe modo, senza firmarsi, di evidenziare brevemente il contributo generale e l’afflato patriottico degli ebrei, rilevandone il prevalente orientamento liberale conservatore. Lo fece, distinguendolo per la collocazione a sinistra, nel profilo del piemontese David Levi (1816 -1898), figura, a partire dal nome, prettamente ebraica, nelle cui opere l’ebraismo vibra quasi costantemente, per quanto ne trattasse da libero ed eclettico pensatore, e commisto a vari argomenti, ma sempre con il fiero sentimento della propria origine. Carpi e Levi erano diversi: l’uno a destra, si intende liberale, del resto molto pragmatico, con mobilità a seconda dei problemi, e con sensibilità sociale, l’altro a sinistra, costituzionale e non estrema; l’uno economista ed abituato alle statistiche, l’altro umanista, immaginoso ed incline a raccontarsi. Ma erano accomunati, nel patriottismo italiano, dalla fedeltà al retaggio e dalla franca espressione dell’identità ebraica. Il nipote omonimo di Leone Carpi, nato a Roma nel 1887 e morto a Gerusalemme nel 1964, è stato il maggiore esponente italiano del movimento sionista revisionista. A pagina 56 della nostra XVI annata (2008) pubblicammo una sua lettera, del 7 ottobre 1942, in piena guerra, al dottor Guido Gallichi di Pisa, a nome del movimento Betar, per ringraziarlo di una offerta a favore dei profughi ebrei internati, in memoria di Giorgio Roifer, ricordato nel nostro numero precedente, padre del prof. Alexander Roifer (Rofè). Il nipote, Leone Junior, rievocò il nonno, con un confronto di generazioni, in due articoli nella “Rassegna Mensile di Israel”, nel 1956 (annata XXII, pp. 298 – 307) e nel 1961 (annata XXVII, pp. 283 – 288). Dalla famiglia di Levi è disceso, per parte materna, Alfonso Pacifici, l’assertore dell’ebraismo integrale, nato a Firenze nel 1889 e morto a Bné Berak nel 1981, ricordato in un profilo della nostra XV annata (2007), pp. 105 – 116. Quando il nonno morì, il nipote aveva undici anni. Di lui, rievocandolo su “La Rassegna Mensile di Israel” nel 1956, espresse questo personale ricordo: “Nel rendere un doveroso tributo alla memoria di un mio avo illustre, mi sento un po’ come quando bambino HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 – semitismo a ebrei – ebraismo e al diffuso nel tempo israeliti. Il termine semiti – semitismo richiamava una provenienza e una più ampia area storico – culturale. Lo fece particolarmente nel saggio Il semitismo nella civiltà dei popoli (Torino 1884), in positivo, a fronte del sorgente antisemitismo di matrice razziale, ma anche in relazione alla grande problematica delle stirpi, per cui gli ebrei si differenziavano in Europa dalla grande maggioranza indoeuropea o aria. Il nipote Leone Carpi junior Nato a Roma nel 1887, morto a Gerusalemme nel 1964. Avvocato, Leader del movimento sionista revisionista Betar in talia. Diresse il periodico “L’Idea Sionistica” ascoltavo dalla sua bocca i racconti commoventi degli avvenimenti ai quali aveva partecipato, delle grandi personalità con le quali era stato in affettuosa dimestichezza, o quando più modestamente egli si compiaceva farmi ripetere la lezione di storia che dovevo preparare per il giorno dopo a scuola”. ** Ecco le righe, che suppongo di Leone Carpi, o che comunque deve aver lui suggerito a qualche collaboratore di comporre, sugli ebrei nel Risorgimento, nel profilo di David Levi. Suppongo che queste righe siano di Carpi, unitamente al profilo di Levi, che non è firmato, essendo lo stesso Carpi il curatore e coordinatore della raccolta di biografie di contemporanei. E’ pensabile che, a maggior ragione, non lo firmasse, per l’apologia dell’apporto ebraico, se fatta da un ebreo. Un dubbio può venire per il giudizio degli ebrei come per lo più abbienti, sapendo certamente Carpi di avere molti correligionari poveri, specialmente nella grande comunità di Roma, oppressa dai papi, ma, parlando della partecipazione al Risorgimento, doveva aver presente la componente borghese, più attiva, di cui faceva parte. L’essere abbienti, per doti di operosità e di risparmio, non era una condizione di cui aver ritegno nella sua concezione produttivistica, accompagnandola da caratteristiche di sana temperanza. Parlò di elemento semitico per probabile influenza di Levi, che alternò il termine semiti E’ una storia che meriterebbe di essere scritta, quella della cooperazione dell’elemento semitico nel grande lavoro del Risorgimento italico. Forse, non v’ha alcuno tra i governi antichi illiberali, i quali ammettessero nel rispettivo territorio la residenza di popolazioni israelitiche, presso i quali stessi non si abbia ad annoverare qualche martire dell’indipendenza e della libertà, di nascita ebrea, qualche cospiratore illustre, qualche valoroso pensatore e scrittore, di pari origine, che possa vantare, per cotali rispetti, notevoli titoli alla pubblica benemerenza e fama. Cotesto fatto per tre ordini di considerazioni può apparire interamente naturale. Avanti tutto la fervida indole intellettuale, propria dei semitici, e il loro carattere sommamente spiccato e intraprendente ne fa uomini insofferenti di ogni tirannide politica e di pensiero. Checché vogliasi dire in contrario da spiriti ricolmi di pregiudizio, affezionaronsi realmente a quei paesi che loro accordarono una comportabile ospitalità, a lungo andare ne fecero la loro vera patria e indi alle sue sorti politiche si interessarono al pari di tutti gli altri italiani. Per ultimo, il loro fervore per la libertà politica e per la indipendenza italiana doveva essere tanto maggiore in quanto, il più delle volte, trattavasi per essi di acquistare, insieme colla libertà politica, anco la religiosa e civile. Non solamente, negli sforzi per il risorgimento della patria, eglino dovevano scorgere il mezzo di divenire cittadini di un governo e stato liberale, ma quello altresì di divenire cittadini e di essere riconosciuti quali uomini eguali agli altri, aventi diritti pari agli altri, come fu il grande fattore e precipuo coordinatore di codesto risorgimento, così favorirebbe eziandio il maggiore contingente alla storia sopra vagheggiata. E tra gli altri non potrebbe non tener nota del singolare fatto che, per lunghi anni, fu segretario particolare del grande statista, il conte di Cavour, l’Artom, ebreo piemontese, di cui l’incomparabile statista ebbe ognora a lodarsi e per sua stessa confessione a giovarsi molto. Ed il Giuseppe Finzi non va forse noverato fra i martiri più illustri dell’indipendenza italiana? Per altro canto, abbienti i più, circospetti, disposti ad appagarsi del poco, senza rinunziare al molto che l’avvenire potesse trarre seco, gli israeliti si ascrissero quasi costantemente nelle file del partito conservatore liberale. Le eccezioni a ciò sono rare; e una di queste poche ci presenta appunto colui di cui tesseremo succintamente la biografia, Davide Levi di Chieri, il quale nella sua carriera politica militò costantemente col partito di sinistra, incominciando con l’essere alleato di Mazzini, di 11 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Valerio e di Rattazzi, per finire poi con l’esserlo, in questi ultimi anni, di Depretis, di Cairoli, di Zanardelli. [….] Ci si ferma all’inizio del profilo di Levi, di cui ci occupiamo in altra sede. Quanto a Depretis, lo stesso Carpi fu assiduo commentatore politico – economico sul quotidiano “Il Popolo Romano”, che era vicino a questo statista. Bibliografia: Raffaele Romanelli, voce relativa a Leone Carpi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 20, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1977, pp. 599 – 604. Idem, L’Italia liberale (1861 – 1900), Bologna, Il Mulino, 1979. Gemma Volli, Il caso Mortara nell’opinione pubblica e nella politica del tempo, in Bollettino del Museo del Risorgimento, Bologna, 1960, n. 5, pp. 1087 – 1152. Per l’attività liberale durante il Risorgimento e nella Repubblica Romana: Le assemblee del Risorgimento, vol. III, Roma, Tip. della Camera dei deputati, 1911. Ermanno Loevinson, Gli israeliti dello Stato Pontificio e la loro evoluzione politico - sociale nel periodo del Risorgimento italiano fino al 1849, in “Rassegna Storica del Risorgimento”, XVI, 1929, pp. 768 – 803; Salvatore Foà, Gli ebrei nel Risorgimento italiano, Assisi – Roma, Carucci, 1978; Bruno Di Porto, Gli ebrei di Roma dai papi all’Italia, in 1870 La breccia del ghetto. Evoluzione degli ebrei di Roma, Roma, Barulli, 1971, pp. 15 – 78; Ester Capuzzo, Gli ebrei nella società italiana, Roma, Carocci, 1999; Gadi Luzzatto Voghera, Il prezzo dell’eguaglianza. Il dibattito sull’emancipazione degli ebrei in Italia (1781– 1848), Milano, Franco Angeli, 2007. Per la discussione di Leone Carpi con Salvatore Anau, si veda specialmente Andrew M. Canepa, L’atteggiamento degli ebrei italiani davanti alla loro seconda emancipazione: premesse e analisi, in “La Rassegna Mensile di Israel”, XLIII, settembre 1977, pp. 419 – 436. Per gli studi e le posizioni di Leone Carpi in materia di emigrazione, di colonie, di politica economica e commerciale, di politica ecclesiastica: Epicarmo Corbino, Annali dell’ economia italiana, vol. II, 1871 – 1880, Città di Castello, Tip. Leonardo Da Vinci, 1931. Fernando Manzotti, La polemica sull’emigrazione nell’Italia unita, Milano, Società ed. Dante Alighieri, 1962. Federico Chabod, Storia delle politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, Laterza, 1965. Giuseppe Are, Il problema dello sviluppo economico 12 Gennaio - Giugno 2012 nell’età della destra, Pisa, Nistri Lischi, 1965. Ernesto Ragionieri, Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, Roma, Editori riuniti, 1979. Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale dall’Unità alla marcia su Roma, Roma – Bari, Laterza, 1976. Sergio Riccò, Leone Carpi: un ebreo nazionale fra Risorgimento e industrializzazione, in Atti e memorie del Museo del Risorgimento, Mantova, vol. XV, 178, pp. 95 – 131. Silvio Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870 – 1925, Venezia, Marsilio, 1979. Patrizia Audenino - Maddalena Tirabassi, Migrazioni italiane, Milano, Bruno Mondadori, 2008. Giovanni Zalin, Crescita economica, protezionismo industriale e politica dei trattati commerciali in Luigi Luzzatti, in Luigi Luzzatti e il suo tempo, atti di convegno internazionale a cura di Pier Luigi Ballini e Paolo Pecorari, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1994, pp. 215 – 257. Chiara Vangelista e Matteo Reginato, L’emigrazione valdese, in Storia d’Italia. Annali, vol. 24, Torino, Einaudi, 2012, pp. 161 – 182; Emilio Franzina, Poligrafi, storici e migranti fra l’Italia e il mondo, ibidem, pp. 199 – 223. Di Leone Carpi si sono dati cenni e notizie nella stampa ebraica del tempo: “L’Educatore Israelita”, “Il Vessillo Israelitico”, “Il Corriere Israelitico”. Egli stesso collaborò alla stampa ebraica. Per i fratelli Alessandro e Anselmo, nonché per lo stesso Leone, si vedano: La massoneria a Livorno dal Settecento alla Repubblica, a cura di Fulvio Conti, Bologna, Il Mulino, 2006, nelle parti trattate da Fabio Bertini, Alessandro Volpi, Donatella Cherubini, Liana Elda Funaro; Fabio Bertini, Risorgimento e paese reale. Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana (1830–1849), Firenze, Le Monnier, 2003. Per Anselmo Carpi, Bruno Di Porto, Spigolature ebraiche pisane dell’Ottocento, in Ebrei in Toscana dal Medioevo al Risorgimento. Fatti e momenti, Firenze, Olschki, 1980, pp. 65 – 101. Per Leone Carpi, Junior, il nipote, si vedano: il volume bilingue, in italiano ed ebraico, Scritti in memoria di Leone Carpi. Saggi sull’Ebraismo italiano, a cura di Daniel Carpi [figlio di Leone junior, pronipote di Leone senior], Attilio Milano, Alexander Rofè, Gerusalemme, Fondazione Sally Mayer – Scuola superiore di studi ebraici di Milano, 1967; Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961; Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, Milano, Comunità, 1982; Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, Torino, Einaudi, 2000. B. Di Porto HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 DA LEONE CARPI A DAVID LEVI, CHE CARPI STIMO’ E PRESENTO’ IN AFFINITA’ PATRIOTTICA E DI EBRAICA FIEREZZA UNA PROIEZIONE POETICA DI DAVID LEVI, PATRIOTA DEL RISORGIMENTO NELL’ANIMO DI MIRIAM, TRA LE FIGURE DELL’ ETERNO FEMMINILE Per lunghi stenti, errori, ambasce e morte Illesi il ciel non li serbava invano (gli ebrei). Il lume che all’aurora Loro rifulse e le passate sorti Auspici sono a novi fati ancora. Tu lor fratel. Da un lor presepio uscì Lui che il mondo prostrato adorò Dio. David Levi (1816 – 1898) David Levi (1816–1898), nativo di Chieri in Piemonte, è un personaggio notevole e caratteristico dell’Ebraismo italiano nell’Ottocento, patriota appassionato, deputato della Sinistra, poligrafo autore di parecchi libri, giornalista, poeta, fiero dell’origine e appartenenza ebraica, sentita ed espressa con altrettanta indipendenza di libero pensatore. La sua vita e la sua produzione interessano, tra diversi aspetti, per il franco confronto con il cristianesimo da una visuale non solo di ebreo, ma di democratico laico, di razionalista e massone. Nella fase di diffuse speranze, destate dall’inizio pontificale di Pio IX, compose un canto per papa Mastai, che il marchese Gino Capponi, non tenero verso l’ebraismo, volle fare avere all’interessato. Ne riproduco la conclusione: Non so come Sua Santità, nel ruolo di padre del gregge, abbia preso quella fraternità dello schietto giudeo, ma egli era nella fase della clemenza, gratificato e sospinto in avanti, al di là delle intenzioni, da cori di lodi. Perfino un diplomatico turco girava per Roma con l’effigie di Pio sul petto. Neppure so come il pontefice abbia letto l’ultimo verso, che suonava, più o meno, come successo mondiale di un umile ebreo. Del resto, Giuseppe Mazzini, nella lettera aperta a Pio IX, non era da meno, quanto a huzpah (diciamo faccia tosta), nell’invitare il papa ad avere fede: “Abbiate fede!”. Il papa, da cui troppo si era atteso, deluse la causa nazionale, non potendo porsi contro la cattolica Austria, mentre in Roma i fermenti crescevano, al punto di indurlo ad allontanarsi. Si indissero, in tutto lo Stato pontificio, le elezioni per l’Assemblea costituente, che votò la scelta repubblicana. Leone Carpi e Salvatore Anau, come si vede in altra parte di questo numero, furono deputati alla Costituente e ricoprirono importanti cariche. Ugualmente schietto fu Levi, a Torino, con Carlo Alberto, parlandogli a viso aperto, tra i membri della commissione che chiedeva l’emancipazione degli ebrei e dei valdesi. Poiché l’Italo Amleto, come lo definì Carducci, si preparava a sfidare l’Austria, David gli chiese come potesse confrontarsi con quell’impero straniero, dove gli ebrei erano trattati assai meglio, non più ristretti nei ghetti. Le sue parole, tra quelle di tutti gli altri, compresi i nobili e cristianissimi fratelli d’Azeglio, la spuntarono, e proprio all’inizio delle operazioni belliche, giunse la sospirata parificazione degli ebrei, dopo quella già concessa ai più benevolmente guardati valdesi. Allora Levi girò per ogni ghetto del suo 13 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Piemonte, infervorando i giovani correligionari a mostrarsi degni della libertà, arruolandosi per la patria. Riconoscendo il merito della monarchia subalpina, non solo verso gli ebrei, ma per l’iniziativa che assumeva, tra tutti gli stati italiani, per l’indipendenza della penisola, il patriota si venne staccando politicamente da Mazzini, che era andato a conoscere in Londra e con il quale aveva collaborato e cospirato. Levi operò e scrisse molto. Scrisse su tonalità diverse. Laico e razionalista, valutò l’importanza della sfera religiosa, che lambiva lo stesso suo animo. Demitizzava, ma cercava di comprendere la funzione e i significati dei miti, apprezzandone le elaborazioni artistiche e le metafore che suggeriscono. Non credeva all’avvenimento oggettivo dei miracoli, ma provava interesse a come gli individui e le genti investiti dall’aura del miracolo ne fossero pervasi, indirizzati, perfino cambiati. Sull’onda di questa proiezione conoscitiva, giungeva ad ipotizzare, come non di rado facevano i positivisti, che energie o fenomeni speciali, producendo effetti attraverso l’etere, sostanza tenue, imponderabile nello spazio, potessero, se non alterare stati fisici, influire sulla loro ricezione. Un particolare accostamento a questa sfera gli riuscì all’incontro del “femminile”, l’“Eterno Femminile”, come si intitola un suo libro, che si completa nel titolo con il Cantico dei cantici (Torino, 1880). Ebbene, nel libro, che è parte in prosa e parte in cantiche, tra le figure femminili della storia e del mito, si incontra Miriam, la madre di Gesù, che esprime, in una breve lirica, come visione di sogno e sensazione vissuta, l’esperienza della concezione per amplesso dello Spirito: Io sognai che fra le ambasce, Ad un palpito, a improvvisa Gioia il cuore trasalì E la stanza dove assisa Io gemeva fra le tenebre Una pura luce empì. Quella luce mi ricinse, Qual letizia l’alma vinse Che per gli occhi scese al cuor! E sentiva un’infinita Scaturigine di vita In me infondersi e d’amor. 14 Gennaio - Giugno 2012 Trasaliva … e l’amor mio Quale acceso raggio un Dio Di sé tutto penetrò E fra un’estasi tranquilla Di quel raggio una scintilla Mi rapì … mi trasmutò. Or t’eleva, esulta, o cuore! In me infuso è quel splendore. Mi penetra un altro amore, Ei, mio figlio, mio signore. Sovente, ed è il caso di Levi, uomini dotati di intuito artistico e psicologico riescono bene ad esprimere sentimenti ed atteggiamenti femminili, come la grande letteratura dimostra. Ma nel nesso del femminile eterno con il Cantico dei cantici, devo accennare ad una tesi critica, secondo cui nella stupenda composizione biblica si può riconoscere una presenza femminile al livello di autrice. Il tema è stato esposto e sostenuto, con fine analisi del testo e riferimenti a studiosi che già la ravvisarono, dalla professoressa Ida Zatelli in un recente convegno fiorentino. Il suo intervento è visibile ed ascoltabile in registrazione su You Tube, messa on line. (http://youtu.be/viciYqL68Q4) bdp M. Chagall - Il Cantico dei Cantici 7-11 Io sono per il mio diletto e la sua brama è verso di me. 7-12 Vieni, mio diletto, andiamo nei campi, passiamo la notte nei villaggi. 7-13 Di buon mattino andremo alle vigne; vedremo se mette gemme la vite, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni: là ti darò le mie carezze! HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 DUE GESU’ UN LIBRO DI ALESSANDRO DINI Edito dalla Giuntina Vi è un Gesù della fede e dei dogmi cristiani ed un Gesù storico, che variamente si enuclea e si ricostruisce dal Nuovo Testamento e da testi apocrifi. Il Gesù umano e storico coincide con il Gesù ebreo, e che sia stato veramente, esistenzialmente, ebreo, oggi lo riconosce, più di quanto poté darsi nel passato, il mondo cristiano, fuori della mistificante arianizzazione o della trasmutazione in palestinese, giocando sull’equivalenza geografica tra Erez Israel e Palestina. Ci sono variazioni dogmatiche nella Cristologia delle chiese cristiane e modi diversi di seguire gli insegnamenti di Gesù tra i cristiani. Ci sono diversità nella ricostruzione dell’uomo e dell’ebreo Gesù, e qui la discussione abbonda tra gli stessi ebrei o gli autori vicini alla temperie ebraica. Molto vicino, direi coincidente, è Alessandro Dini, architetto e professore di architettura all’Università di Firenze, studioso di problemi religiosi o in genere spirituali, che ho avuto il piacere di conoscere presso la cara professoressa Fortunée Treves. Di Marco Treves, architetto e biblista, più volte ricordato per i suoi studi nel nostro periodico, Dini è ammiratore e postumo discepolo. Il libro di Dini, edito dalla Giuntina nel 2011, si intitola appunto Due Gesù. E’ di robusta mole, in duecentosettantatre fitte pagine di volume in quarto, sicché mi limito a recensirlo in grandi linee, avvertendo i lettori interessati al complesso tema che c’è molta altra materia nello svolgimento del libro. Per cominciare, una descrizione dell’impianto: il libro si compone di un prologo; di otto capitoli intitolati L’unico e immateriale, Il filo messianico, Gesù nel Nuovo Testamento, La rivelazione, Il sacrificio, La resurrezione, Paolo di Tarso, Due Gesù, quindi di un Posticum, e di tavole fuori testo: Alfabeto ebraico ieratico o biblico, Lessico ragionato, Sussidi linguistici e bibliografici, Cronotassi delle scritture ebraiche ed evangeliche. Raccomando, per una seconda edizione, l’indice dei nomi. Il Gesù di Dini è davvero ebreo, è il Chakham Yehoshua bar Yoseph ha Notzrì, così nominato e designato in continuità. E’ un ebreo ortodosso, salvo venature riformistiche su aspetti e particolari che si andavano elaborando tra i prodromi della normativa halachica e mishnica. E’ ricondotto a Nazareth, presumendovi che vi sia anche nato, piuttosto che a Betlemme, scelta dal racconto evangelico per corrispondere alla profezia di Michea 5, 1: “O Betlemme Efrath, malgrado tu sia la minore tra le famiglie di Giuda, da te uscirà la guida di Israele, la cui origine è antichissima”. Egualmente costruita e discutibile appare la genealogia davidica del padre legale Yoseph. Il Gesù ritratto da Dini è uno dei parecchi maestri itineranti, accostabile per diversi momenti ed aspetti a correnti e maestri ebrei del tempo, comunque reagente ad influenze e contaminazioni di costumi e credenze dei gentili. Rivela tratti iniziatici ed acroamatici, in parabole, nel rito battesimale di purificazione sul tipo essenico, in miracoli che Dini interpreta in tal guisa, in particolare la resurrezione di Lazzaro, come risveglio della coscienza. La svolta di Paolo di Tarso segna, per l’autore, come in genere nella rappresentazione delle origini cristiane, l’avvio alla trasfigurazione extraebraica, ellenistica e teologica del nazareno, con il conseguente distacco dell’eredità gesuana dall’humus ebraico dei discepoli e dei parenti che hanno direttamente conosciuto il maestro. Poi, sul terreno romano, con interventi imperiali e rigidezze gerarchiche, è cominciata la statuizione dei dogmi, che ha fissato la fede nella duplice natura del Gesù cristiano e la sua collocazione nella struttura trinitaria. Tra gli evangelisti speciale attenzione è dedicata a Giovanni, per un verso il più lontano, ma per altri sorprendenti punti il più vicino a rendere l’atmosfera e la percezione del mondo ebraico. La condanna alla crocifissione è chiaramente attribuita da Dini all’autorità romana di occupazione, che abbondantemente comminava tale pena per rivolte o per sospetti, senza con ciò negare che Gesù abbia avuto contrasti in campo ebraico. Dini disegna il filo messianico che nell’ ebraismo biblico prospettava un ruolo di guida di personaggi unti, 15 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 atti a dirigere il ritorno del popolo eletto all’unità, all’indipendenza, all’integrità religiosa, nel segno del ravvedimento, della fedeltà ai precetti, ripristinando il regno davidico. In alternativa, o in successione, alla prospettiva della guida individualizzata, l’autore trae da passi profetici, nel tornante dell’esilio babilonese, la visuale del diretto intervento o impulso divino a compattare e redimere l’intero popolo eletto; e l’intero popolo assurge così al livello di messia collettivo e di luce alle genti. In collaterale prospettiva, ove il popolo continui a deviare e a deludere, si erge la vicaria, selettiva, salvifica aderenza di un resto di Israele, una minoranza fedele, capace di perpetuarsi, di rinnovare e restaurare il regno. Ad un certo punto, Dini vede sfrangiarsi il filo messianico, dopo Gesù, investendo Gesù, ma, se ben intendo, andando oltre le intenzioni e la predicazione dello stesso chakham di Nazaret, del quale l’autore interpreta il compiere della famosa dichiarazione “Non sono venuto ad abrogare ma a compiere” (Matteo, 5, 17 – 18) nel senso di esser venuto ad aiutare a mantenere un impegno, cioè la fedeltà del popolo alla legge del Signore. Questa interpretazione è rassicurante sull’ortodossia di Yehoshua, ma mi sembra limitare il risalto personale, con cui il nazareno si professava, con il rilievo della sua venuta, con la tensione ad un fine di pregnanza, di pienezza, di completezza. Il compimento pare librarsi tra integrale osservanza della Torà ed attesa enigmatica, esoterica, apocalittica di una conclusione, e forse di un ricominciamento: prima che tutto accada. Se Yehoshua ha ammonito a non credere che egli fosse venuto ad abrogare la Torà, vuol dire che ne ha dato l’ impressione, in un atteggiamento ambivalente o contraddittorio, che si conferma ad esempio nell’insegnare qualcosa di profondamente contrario alla kasherut, allorché dice che non è importante quel che si mangia ma quel che si dice, laddove per la Torà sono importanti entrambe le cose. Può essere che quella frase sia un’aggiunta, diciamo paoliana, ma, non avendo Yehoshua scritto nulla di suo, chi ci autorizza a discernere in modo tagliente quel che era suo e quel che gli è stato attribuito? Non intendo con ciò porre già Yehoshua fuori dell’ebraismo, ma mi interrogo su quale versante e stile di ebraismo Yehoshua si ponesse, nel paesaggio vario, oggettivamente pluralistico, fermentante e travagliato dell’ebraismo nel 16 Gennaio - Giugno 2012 suo tempo. Yehoshua stesso si interrogava ed interrogava su chi egli fosse, nel sentirsi chiamato e nell’aspettativa che suscitava. Anche l’aspettativa era di vari segni, tra la ricerca di sollievo per tante individuali sofferenze e quella di libertà per la sofferente nazione sotto il giogo straniero. I miracoli narrati nei vangeli erano una risposta alle richieste individuali, ma il prodigio nazionale, cui presumibilmente rinunciava in vista della fine dei tempi, si infranse nella motivazione della condanna ai piedi della croce, la cui romana sostanza era questa: “così finisce chi si fa re dei giudei”. E i discepoli sulla via di Emmaus, delusi nella speranza civile, patriottica, unita alla speranza religiosa, gli dissero, senza sapere di parlare con lui: “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele”. Da quanto ho detto affiora qualche diversità di rappresentazione tra il recensore e l’autore. Per altre cose collimiamo, ad esempio nell’analisi di Nicodemo e Giuseppe di Arimatea, come esempi di ebraica, anzi farisaica, disponibilità dialogica e pietosa mizvà verso il connazionale ed interlocutore nazareno. “Crocifissione bianca” di Marc ChagalL Dipinto ad olio su tela di cm 155 x 140 realizzato nel 1938 e custodito presso l’Art Institute di Chicago HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 SIRACUSA EBRAICA Di GIORGIO COEN Rav Stefano Di Mauro La città di Siracusa ha una posizione naturale delle più suggestive, con un grande golfo delimitato a nord dall’isola di Ortigia. Lì il primo insediamento della città e quello di maggior interesse per la sua ricchezza in antichi edifici di varie epoche, dall’epoca greca, come il tempio di Athena, in stile dorico, trasformato nel Duomo della città, e i vari palazzi di stile barocco spagnolesco e di stile rococò, al castello Maniace di Federico II di Svevia. Le strade, seppure in parte deturpate da vari sventramenti avvenuti in successive epoche, come nel periodo fascista che ha lasciato pesanti tracce, specie palazzi del tutto fuori contesto, sono quelle di un centro cittadino medievale molto ben conservato e vissuto. Vi sono tanti ricordi dei vari periodi e dominazioni del passato con una forte presenza del lungo periodo spagnolo. Ma una testimonianza molto importante per i ricordi storici che ha lasciato, e che appare in poche indicazioni stradali o monumentali, è quella ebraica. Occorre andare a cercarla con l’aiuto di una guida appassionata, come ci e’ capitato di trovare tra i pochi ma significativi ebrei “rinati” della città. E’ il grande quartiere di Siracusa del 1500, tutto compreso in un ampio settore di circa un kilometro quadrato nell’isola di Ortigia. Andando a scoprirlo con la guida esperta ed appassionata di cose ebraiche, si entra nella Giudecca per una strada con numerose diramazioni numerate. Molte vie sono strette, non più che vicoli, su cui si affacciano balconi con ringhiere a sbalzo in ferro battuto, già spesso notate nella Spagna ebraica, come a Toledo e a Siviglia. I portoni danno accesso a cortili molto accoglienti che possiamo ben immaginare come sede di una tranquilla vita familiare o del convergere di più gruppi familiari. Vi è separazione e discrezione, atmosfera ancora molto percepibile a distanza di cinque secoli. Ma poi, ancora delle sorprese nella scoperta di uno stabile antico con abbellimenti consistenti in una stella a sei punte, un Maghen David stilizzato, sul fronte di un palazzo considerato sede di un vecchio ospedale israelitico, attualmente in mano alla Chiesa, che non intende cederlo alla nuova comunità ebraica, pur non essendo da lei utilizzato. Alcune chiese sono trasformazioni di vecchie sinagoghe. Ve ne erano almeno dieci, perché la popolazione ebraica in quel periodo ai tempi dell’editto di espulsione, contava circa 8.000 anime. Un albergo al centro della Giudecca realizzato nel palazzo che era della famiglia Bianca, costretta alla conversione al cattolicesimo, ci riserva una sorpresa importante. Circa dieci anni fa nel corso di una ristrutturazione conservativa dell’antico palazzo è stato riportato alla luce un ampio mikveh, collocato a parecchi metri sotto il piano stradale. Si discendono 56 scalini per una scala non stretta ma scoscesa, non dotata di corrimano. Si raggiunge una grotta ben modellata a scalpello con una volta ad archi sorretta da larghi pilastri in pietra scavati nella roccia. Non vi sono abbellimenti, le pareti sono scabre, ma frutto di un lavoro di scavo molto accurato. Nel pavimento si aprono delle vasche contenenti acqua limpida, in cui è possibile scendere con dei gradini sommersi. Alla ricezione ci assicurano che la famiglia si era convertita e pertanto aveva posto un crocifisso come d’uso sul suo stemma. Ma l’antica presenza ebraica è manifesta e percepibile. L’origine ebraica non è in genere facilmente dichiarata dalla gente. Seppure una notevole parte della popolazione di Siracusa sia di ascendenza dai conversos, l’atteggiamento di chi sa di esserlo è solo in qualche caso associato 17 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 al desiderio di riscoprire le proprie origini e di accostarsi all’ebraismo, alcuni per rinascere come ebrei, fenomeno avvenuto per alcune persone già da molti anni ed accentuatosi negli ultimi cinque anni per la nuova presenza di un rabbino sefardita ortodosso. Il più spesso coloro che hanno qualche contezza di provenire da famiglie ebraiche, ci dicono, sono dominate dalla paura che la loro ascendenza possa divenire di dominio pubblico. Gennaio - Giugno 2012 riconoscere di origine ebraica, anche a volerla rivendicare. Sicché appare prodigioso il rifiorire di una comunità ebraica cittadina, tra persone e famiglie che si sono aggregate intorno all’anziano ma giovanile rabbino, nativo di Siracusa, che ha trascorso gran parte della sua vita come medico e rabbino negli Stati Uniti. Rav Stefano Di Mauro è un uomo dalle apparenze semplici, con modi tranquilli ed un parlare dolce e sommesso. Via via che lo si ascolta ci si accorge che è una persona decisa con una visione chiara della sua missione ed un carisma ben percepito dai suoi correligionari locali ed esterni. Sa di avere tutti i titoli per esercitare il suo mandato che si è autoimposto ed esercita con scrupolo il suo ruolo nel servizio religioso e come capo della comunità a cui dedica l’intera sua attività di guida religiosa e culturale. Abbiamo passato un intero sabato presso la sua sinagoga ove oltre alle funzioni religiose abbiamo consumato tre pasti rituali, fino alla avdalah. Il gruppo dei correligionari locali seguiva cantando con sentita partecipazione le preghiere del minhag sefardita insieme al loro maestro. In complesso è una fortuna che Siracusa abbia trovato in lui una guida alla rinascita della comunità ebraica da tempo repressa. Credo che l’ebraismo italiano ufficiale debba a lui molta gratitudine e sostegno nella sua missione. Siracusa, “Vicolo IV ALLA GIUDECCA “ Ai pochi che si convertono all’ebraismo queste persone esprimono il loro timore, arrivando talora a troncare ogni rapporto con gli amici e parenti che decidono di fare il percorso inverso, citando la possibilità di essere uccisi da qualche nuovo Hitler. Il loro timore, o addirittura terrore, sembra derivare dal ricordo storico della Inquisizione, dei massacri perpetrati allora, gli autodafé che arrivavano a sacrificare decine di ex-ebrei sospettati di continuare le antiche pratiche religiose. Si trattava allora di spettacoli pubblici a cui la gente ed i regnanti partecipavano con entusiasmo. Il terrore della gente di oggi è così vivo e genuino da far pensare che in una società permeata dal cattolicesimo essere pubblicamente considerati ebrei possa tuttora recare degli svantaggi sociali e nei rapporti di lavoro. Si deve, d’altronde, considerare che a distanza di parecchi secoli, con inevitabili commistioni, acculturazioni nell’ambiente circostante, e cambiamenti di cognomi, non riesce facile potersi davvero 18 Il mikveh di Siracusa è il bagno rituale ebraico più antico d’Europa, sito a 18 metri sotto il livello del suolo. L’ età della sua costruzione risale al sesto secolo dell’era volgare, in piena epoca bizantina. HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 NOTIZIE RICORDO DI PAOLA FRANCHETTI Il 12 dicembre 2011, 16 kislev 5772, si è spenta in Roma la longeva vita della professoressa Paola Franchetti, docente liceale di lettere latine e greche. Nata nel 1914, aveva appena compiuto novantasette anni. Nell’ultimo tempo veniva in visita a leggerle, rinnovellandoli per sé, i buoni testi greci, il matematico Pier Vittorio Ceccherini, suo ex alunno ed amico di famiglia. Era figlia del medico Augusto, che fu capo di gabinetto alla direzione generale della sanità pubblica fino alle leggi antiebraiche e venne reintegrato, dopo la liberazione, nel competente ministero, frattanto istituito. Sua madre era Maria Padovani. Augusto Franchetti, padre di Paola, ripeteva il nome dello zio avvocato, letterato, storico, bibliofilo, pubblicista, amministratore comunale Augusto Franchetti, a lungo presidente della Comunità israelitica di Firenze, ivi nato nel 1840 ed ivi morto nel 1905, per il quale si vedano la voce, curata da Nidia Danelon Vasoli nel volume 50 del Dizionario biografico degli italiani (Roma 1998), e le Memorie della famiglia Franchetti, redatte da Rodolfo Franchetti, pubblicate lungo la nostra settima annata (1999). Padre del medico Augusto e avo di Paola fu l’ingegner Federico, fratello dell’Augusto Franchetti, ora ricordato, che ebbe, altro figlio, Alessandro, anch’egli ingegnere, e questi fu il padre della professoressa Fortunée, docente di lingua e letteratura francese. La professoressa Fortunée ha preso il nome dalla nonna, Fortunéee Curiat, della famiglia materna di rav Elia Benamozegh, sposa di Federico. Il padre di Federico e di Augusto era il patriarcale Alessandro, uomo di cultura e dantista. Siamo con ciò nell’atmosfera risorgimentale di una grande famiglia originaria di Mantova e passata per un’epoca a Tunisi, da dove giunse in Toscana con David, padre di Alessandro. La professoressa Fortunée Treves Franchetti ha creduto fin dall’inizio nell’utilità di questo umile periodico, interessandovi la cugina Paola, anch’ella affezionata lettrice, tra le tante classiche letture. La professoressa Paola ha destinato un generoso lascito per gli indigenti della Comunità ebraica di Roma, che la ha rievocata la sera del 7 maggio 2012 nell’Aula Magna della Scuola media Angelo Sacerdoti ed ha intestato a lei un’aula della stessa scuola. Sono interventi il presidente Riccardo Pacifici, il rabbino capo Riccardo Di Segni, il preside rav Benedetto Carucci, il professor Ceccherini, la professoressa Cecilia Continelli e le nipoti dell’indimenticabile Paola, maestra dei classici e di vita, zikronà le berakhah. *** In Viterbo, il 13 luglio 2012 (23 tamuz), si è spenta, in età di ottantun anni, la signora Maria Ciccarella Cuccaro, madre adorata del nostro amico Giuseppe Ciccarella. Ella nacque in Napoli, sposò nel 1956 il carabiniere Ettore Ciccarella (1921 – 2004). Maria ed Ettore hanno generato due figli, Angelo e Giuseppe. La signora ha affrontato con coraggio e pazienza, negli ultimi sette anni, la malattia, curata con tutte le sue risorse da Giuseppe, il figlio vicino e convivente. Ad entrambi, Giuseppe ed Angelo affettuose condoglianze. Sia il ricordo della provvida mamma in benedizione. Gennaio - Giugno 2012 L’otto luglio si sono sposati in Roma il dottor Renato Coen, responsabile esteri della televisione Sky, e la collega giornalista dottoressa Virginia Di Marco. Auguri agli sposi e ai rispettivi genitori. *** Il nuovo prefetto di Pisa, dottor Francesco Tagliente, ha cordialmente ricevuto il presidente della comunità ebraica, Guido Cava, ed il segretario dottor Giacomo Schinasi. *** Condannati alla pena della vita (!?) E un libro bello e commovente (Lecce, Pensa Multimedia, 2011) di Adele Salzano, sorella di Teresa Salzano, benemerita con lei del dialogo tra cristiani ed ebrei. E’ una storia della famiglia, colpita dalla morte precoce del padre, in cui i ricordi personali, di età in età, dalla prima fanciullezza ad oggi, si intersecano con le vicende storiche del paese e del mondo, come le due sorelle le hanno apprese e vissute, maturando una coscienza democratica, ispirata dall’antifascismo del padre e dal materno senso di giustizia. *** Arrigo Procaccia di religione israelita. Un finanziere nella tempesta delle leggi razziali, Roma, Chillemi, 2011, è una sorta di autobiografia apocrifa di un maresciallo dell’arma di finanza, realmente esistito, tracciata sugli elementi forniti dal fascicolo personale, custodito presso il Museo storico della Guardia di finanza e sui ricordi del figlio, ingegner Giorgio Procaccia. Ne sono autori il capitano Gerardo Severino, direttore dello stesso Museo, i cui lavori abbiamo altre volte recensito, e il dottor Giovanni Cecini, autore del libro I soldati ebrei di Mussolini. I militari israeliti nel periodo fascista, Milano, Mursia, 2008. Arrigo Procaccia nacque a Pistoia nel 1900, fu congedato all’inizio del 1939 a Torino ed è morto nel 1958 a Roma. *** SI E’ TENUTO A PISA, DAL 5 AL 20 MAGGIO IL FESTIVAL NAZIONALE DELLE CULTURE Il Festival è stato organizzato, con patrocinio di molti enti, tra cui l’Unione delle comunità ebraiche italiane, e la collaborazione, pure tra i molti enti, della Comunità ebraica pisana. Si è articolato in una numerosa varietà di pannelli e testi per le varie culture e religioni, in un convegno ed in tavole rotonde. Nell’ambito del Festival è stato conferito un Premio a Rav Elio Toaff. Ideatrice e direttrice del Festival è stata la sociologa professoressa Serena Gianfaldoni. 19 HAZMAN VEHARAION - IL TEMPO E L’IDEA A nno X x n° 1-12 Gennaio - Giugno 2012 Con la stampa digitale puoi! In breve tempo e anche in poche copie. 20