La luce delle stelle Quando un raggio di luce colpisce un prisma di vetro subisce, per rifrazione, una scomposizione delle radiazioni che lo costituiscono generando uno spettro colorato. Dopo una pioggia, le goccioline di acqua sospese nell'aria possono comportarsi da singoli prismi scomponendo la luce del Sole con il risultato ben noto dell'arcobaleno. Se la luce considerata è quella del Sole, per definizione bianca, con il prisma si ottengono i 6 colori dell'arcobaleno, ossia violetto, blu, verde, giallo, arancione e rosso. L'indaco non è un colore specifico ma una variante di blu, è per questo che i colori dell'arcobaleno sono 6 e non 7. I colori dal rosso al violetto sono quelli che fanno parte del cosiddetto spettro visibile, cioè sono quella parte della luce che è visibile ai nostri occhi. Fu Newton nel 1666 a scomporre la luce solare per primo con un prisma per studiarne le proprietà. In tal modo ha dato vita alla spettroscopia, che analizza le radiazioni emesse da una sorgente per comprenderne le proprietà fisiche e chimiche. In realtà il Sole produce luce, ossia radiazione elettromagnetica, che va dai raggi gamma fino alle onde radio ed il visibile è solo una piccolissima parte di tutto quello che invia verso lo spazio, Terra compresa. Con λ (lambda) si indica la lunghezza d'onda, espressa nella -9 figura seguente in m e in nm (=nanometri ossia 10 m) per lo spettro visibile. Esistono 2 differenti tipi di spettri: di emissione e di assorbimento. Quelli di emissione possono essere continui o a righe, quelli di assorbimento sono a righe. 1) Spettri di emissione continui. In questi spettri sono presenti tutte le radiazioni in modo continuo e senza lacune, dal violetto al rosso per quanto riguarda il visibile. Si ottengono da un solido o un liquido incandescente, cioè riscaldato fino a quando inizia ad emettere luce, oppure da un gas denso riscaldato, la luce prodotta viene fatta passare attraverso una fenditura e poi un prisma, che la scompone in uno spettro continuo. Un esempio nella vita quotidiana ci viene dalle lampade ad incandescenza, in cui un filamento di tungsteno è riscaldato e portato appunto all'incandescenza tramite il passaggio di una corrente elettrica, la loro emissione è in buona parte assimilabile a quella di un corpo nero, cioè generano uno spettro di emissione continuo. 2) Spettri di emissione a righe. Si ottengono usando come sorgente un gas rarefatto, cioè a densità e pressione basse, che viene riscaldato o colpito da una scarica elettrica. Lo spettro prodotto dal gas non è continuo ma a righe (sottili se il gas è formato da atomi, a bande se il gas è formato da molecole) diversamente colorate e su uno sfondo nero. Ogni elemento chimico della tavola periodica ha uno suo determinato spettro di emissione a righe (ma anche di assorbimento, vedi avanti) che lo caratterizza, un po' quello che valgono per noi esseri umani le impronte digitali, che sono segni distintivi ed identificativi di una determinata persona. Tali spettri non si limitano al visibile ma comprendono anche regioni esterne al rosso ed al violetto. Sul seguente sito è possibile osservare, per tutti i tipi di atomi della tavola periodica, i relativi spettri di emissione e di assorbimento compresi nel visibile. Usare Firefox ed eventuali componenti aggiuntivi richiesti. http://jersey.uoregon.edu/elements/Elements.html. 3) Spettri di assorbimento (a righe). Si ottengono quando la luce viene fatta passare attraverso un gas a bassa pressione e meno caldo della sorgente. In questo caso il gas assorbe solo alcune delle radiazioni. Se poi la luce che ha attraversato il gas viene fatta passare attraverso un prisma, si ottiene uno spettro di assorbimento caratterizzato dal presentare uno sfondo colorato dal rosso al violetto interrotto da righe nere, che corrispondono alle radiazioni assorbite dal gas. In definitiva lo spettro di assorbimento è il negativo dello spettro di emissione per uno stesso elemento chimico e consente di identificarlo. Gli spettri emessi dalle stelle sono in gran parte di assorbimento: infatti la radiazione viene prodotta nel nucleo della stella, a seguito del processo di fusione termonucleare, e poi raggiunge lo spazio esterno dopo aver attraversato i gas che compongono l'atmosfera della stella. Quindi dall'esame degli spettri di assorbimento possiamo conoscere in modo molto accurato la composizione chimica dell'atmosfera di una qualsiasi stella senza la necessità di esami diretti che, viste le distanze esistenti, al momento e, forse, per sempre, sono impossibili. Anche la luce solare scomposta da un prisma, se esaminata a fondo, non produce uno spettro di emissione ma di assorbimento, pertanto non continuo ma a righe. Lo spettrografo è uno strumento utilizzato in astronomia per ottenere e quindi esaminare gli spettri delle stelle. Spettro di emissione nel visibile dell'atomo di idrogeno (H). Spettro di assorbimento nel visibile dell'atomo di idrogeno (H). Spettro di emissione nel visibile dell'atomo di sodio (Na). Spettro di assorbimento nel visibile dell'atomo di sodio (Na). La luminosità delle stelle Le stelle hanno luminosità differente, essa può essere misurata con uno strumento chiamato fotometro. Luminosità apparente: è la luminosità di una stella misurata dalla Terra, dipende da quanta energia irradia la stella ma anche dalla sua distanza. Una stella può quindi apparirci più luminosa di un'altra solo perché è più vicina alla Terra. Luminosità assoluta: misura l'energia (=radiazione elettromagnetica) irradiata da una stella nell'unità di tempo. Dipende da: temperatura superficiale della stella e superficie della stella. Più una stella è calda e grande, maggiore è la sua luminosità. Conoscendo la luminosità apparente e la distanza dalla Terra di una qualsiasi stella, possiamo calcolarne anche la luminosità assoluta. Si esprime in joule/secondo. La luminosità delle stelle viene indicata di solito con la magnitudine, che consente di confrontare la luminosità di una stella con quella delle altre, stabilendo una scala di grandezza relativa. Per ogni astro si possono determinare la magnitudine apparente e assoluta. Si tratta di valori adimensionali quindi senza unità di misura, questo li differenzia dai valori di luminosità corrispondenti, espressi come detto in joule/secondo. Nel II secolo a.C. si pensava ancora che le stelle fossero incastonate sulla superficie interna di un'enorme sfera e che pertanto si trovassero tutte alla stessa distanza dalla Terra. Era quindi facile pensare che le stelle più brillanti fossero anche quelle più grandi. L’astronomo greco Ipparco di Nicea catalogò un migliaio di stelle, sulle circa 6000 visibili ad occhio nudo, in base alla loro luminosità. Utilizzò una scala, detta scala delle magnitudini o delle grandezze, dalla prima magnitudine fino alla sesta. Il criterio era quello di catalogare le stelle più brillanti come stelle di prima magnitudine, fino ad arrivare alla sesta magnitudine, la classe a cui appartengono stelle debolissime, visibili solo da un uomo dotato di ottima vista. Quindi con la scala di Ipparco più è alto il valore di magnitudine, minore è la luminosità della stella. Nel 1856 l’astronomo britannico Pogson osservò che una stella di prima magnitudine è approssimativamente 100 volte più luminosa di una di sesta magnitudine. Nel tentativo di conservare l'analogia con la vecchia classificazione di Ipparco, basata sulla capacità percettiva dell’occhio umano, pose pari a 2,12 la magnitudine della stella Polare ed utilizzò tale valore come riferimento per calcolare la magnitudine di tutte le altre stelle. In tal modo, la differenza tra un valore di magnitudine e quello immediatamente successivo o precedente è sempre pari a circa 2,5 volte. Quindi per le classi di Ipparco, si ha come differenza massima di luminosità, tra la I e 5 la VI classe, un valore di 2,5 = 97,7 cioè circa 100 volte, come detto sopra. La magnitudine definita da Pogson si dice apparente (m), dato che l’osservazione e la misura si effettuano dalla Terra e dipende dalla distanza. Oggi la magnitudine apparente può assumere anche valori negativi e varia da un massimo di -26,8 (per il Sole, che è la stella più vicina a noi e quindi la più luminosa) ad un minimo di +30, per le stelle meno luminose, rilevabili sono con i telescopi. Esiste una relazione che ci permette di ricavare il valore della magnitudine assoluta di una stella (M), che esprime la magnitudine apparente di una qualsiasi stella come se si trovasse ad una distanza costante, pari a 32,6 anni luce, dalla Terra. M = m + 5 – 5 log d con M = magnitudine assoluta, m = magnitudine apparente, d = distanza della stella dalla Terra. Quindi conoscendo la magnitudine apparente e la distanza reale di una stella dalla Terra, possiamo anche calcolarne la magnitudine assoluta. Questo permette di avere una misura della reale luminosità di una stella e pertanto della sue reali dimensioni. Come esempio possiamo considerare due lampade accese della stessa potenza, 100 W, poste rispetto ad un osservatore dapprima alla stessa distanza, 2 m, poi una viene allontanata fino a 200 m mentre l'altra resta dov'era. Per l'osservatore le lampade inizialmente sono della stessa luminosità poi quella più distante sembrerà essere la meno luminosa, a causa della diversa distanza delle due sorgenti di luce. La potenza effettiva delle lampade, 100 W, può essere paragonata alla magnitudine assoluta di una stella, la potenza percepita dall'osservatore quando le lampade sono a distanze diverse da lui può essere invece paragonata alla magnitudine apparente di una stella. Le stelle possono essere classificate in 7 classi spettrali principali, indicate dalle lettere O, B, A, F, G, K, M. Ad ogni classe corrisponde un certo valore di temperatura superficiale della stella e di colore. Le stelle più fredde sono quelle rosse con temperature intorno ai 3000 K, quelle più calde sono quelle azzurre o blu con temperature intorno ai 40000 k. Stelle appartenenti alla stessa classe hanno non solo la stessa temperatura superficiale e lo stesso colore ma anche lo stesso spettro di assorbimento, come evidenziato in figura. L'esame degli spettri di assorbimento consente agli astronomi di conoscere molte caratteristiche di una stella, in particolare la composizione chimica della sua atmosfera e la sua temperatura superficiale ma non basta: infatti con l'esame degli spettri possiamo anche arrivare a conoscere le dimensioni di una stella, poiché la larghezza di una linea spettrale dipende anche dalla pressione del gas che la produce. Una stella compatta, detta "nana", ha infatti in superficie un gas più denso rispetto a quello presente in stelle di maggior dimensione, dette "giganti". Sappiamo dai test di laboratorio che un gas compresso produce linee spettrali più larghe di uno rarefatto, quindi l'esame della larghezza delle righe permette di classificare la stella anche per le dimensioni. Bibliografia utilizzata Geografia generale di C. Pignocchino Feyles e I. Neviani Ed. SEI prof. Luigi Cenerelli a.s. 2015-2016