XII. Il Lord protettore Nel dicembre del 1653 venne promulgato dal

XII. Il Lord protettore
Nel dicembre del 1653 venne promulgato dal parlamento un documento costituzionale, detto
Instrument of Government, in base al quale Cromwell fu proclamato Lord protettore. La carica
somigliava molto a quella di un sovrano, ma di un sovrano costituzionale la cui libertà d'azione era
condizionata: con l'Instrument of Government la gentry aveva infatti voluto imporre a Cromwell certi
limiti. Il Lord protettore non aveva il diritto di veto alle deliberazioni del parlamento, a meno che
queste violassero la costituzione. Inoltre i poteri di Cromwell erano limitati dalla presenza di un consiglio di Stato, una sorta di ministero composto da tredici membri, ai quali spettava nominare il
successore di Cromwell. Dei tredici membri nove erano generali, ben diversi però dagli ufficiali di
estrazione popolana che erano stati tipici dell'Esercito di nuovo modello. Erano generali di sentimenti
conservatori, in massima parte di origine gentry. Alcuni di loro erano preposti a compiti particolari:
per esempio, il generale George Monck era preposto a governare la Scozia, incarico che svolse
brillantemente, riuscendo a pacificare il paese e riscuotendo grande popolarità. Su un solo punto, quello del riordinamento della chiesa, Cromwell ebbe cura di non lasciarsi legare le mani e ottenne carta
bianca.
A parte la questione religiosa, alla quale per la sua particolare importanza dedicheremo un capitolo
a parte, il XIV, un'altra questione stava a cuore a Cromwell: la riforma del sistema giudiziario. Come
egli disse nel settembre del 1656, «C’è nella nazione un’unica grande lagnanza: è la legge». Era
sommamente ingiusto «impiccare un uomo per sei o otto pence, oppure che so io, impiccare per una
sciocchezza e assolvere per un omicidio». Vennero infatti introdotte alcune ulteriori riforme nella
amministrazione della giustizia, riprendendo quanto suggerito la prima volta nella proposta costituzionale avanzata nel 1647 da Cromwell, Ireton e Lambert e riprendendo altresí quanto progettato dal
parlamento Barebone (vedi capitoli VIII e XI). Tuttavia un'importante riforma che riguardava il
funzionamento della giustizia, quella della Cancelleria (un tribunale di origine regia), fu affidata «alle
mani sicure» di tre avvocati, che non si preoccuparono certo di tutelare gli interessi della povera gente
dal momento che gli avvocati erano soliti interpretare le leggi secondo gli interessi di chi meglio era in
grado di pagarli.
Sempre nel dicembre del 1653 era stata attuata una riforma elettorale, già messa allo studio dal
parlamento Rump, intesa a togliere il voto ai contadini proprietari meno abbienti. Nonostante le
apparenze, la riforma, lungi dall'avere un significato conservatore, mirava a indebolire il potere politico
dei grandi proprietari, ai quali andava di norma il voto dei contadini poveri, e otteneva lo scopo voluto
limitando il suffragio solo a chi era economicamente indipendente. La riforma tuttavia venne annullata
nel 1654, secondo quanto chiesto dai conservatori.
Il tono generale dell'epoca era dato da questa dichiarazione di Cromwell: «Non tendevano forse i
principi livellatori a ridurre tutto ad un livello? [...] Quale era il disegno, se non quello di rendere un
affittuario partecipe di una fortuna tanto ingente quanto quella di un proprietario terriero [...]. Era una
voce gradevole per tutti i poveri e probabilmente non sgradita a tutti i malvagi». Per fortuna dei conservatori le speranze di quei «malvagi» che non avrebbero sgradito rendere l'affittuario tanto ricco
quanto il proprietario erano andate deluse. Scomparsa la spinta egalitaria che per un decennio aveva
sommosso la società inglese, subentrò nei rapporti sociali la tradizionale deferenza dell'inferiore verso
il superiore. Coloro che piú a lungo avevano tenuto viva la spinta egalitaria, cioè molti fra gli ufficiali
dell'esercito di tendenze radicali, vennero accuratamente dispersi, inviati chi in Irlanda, chi in Scozia,
chi nella Giamaica, chi trasferito nella Marina. Nel 1654 aumentarono le imposte indirette sui generi di
largo consumo. Vennero abrogate alcune leggi votate dal parlamento Barebone, in particolare quella
che, regolando i rapporti fra creditori e debitori poveri, difendevano questi ultimi dai soprusi dei primi.
Venne del pari abrogata una legge votata dal Lungo parlamento che confiscava una parte delle
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proprietà della Corona. L'ampia libertà di dibattito che aveva caratterizzato il decennio precedente
venne ristretta grazie alla introduzione della censura sulla stampa. Forse nulla dà il senso
dell'abbandono, da parte di Cromwell, degli ideali rivoluzionari come il suo ripudio della libertà
concessa a ciascun laico di amministrare il proprio culto. Nel 1654 Cromwell affermò: «Questo
governo ha cercato di por fine a quella corsa pazza [...] per cui ognuno si eleva a ministro e
predicatore». Adesso egli consentiva che il parlamento difendesse la legittimità e necessità delle decime. Un seguace della Quinta Monarchia, John Rogers, ebbe buon giuoco a rimproverargli: «Una volta
eri d'altro parere, e mi dicevi che volevi estirparle».
Per chi aveva creduto nei grandi ideali puritani la delusione era profonda. Ne è un esempio famoso
l'atteggiamento di John Milton che nel 1649 aveva accettato la carica di segretario per gli affari esteri
nella neonata repubblica sull'onda delle grandi speranze suscitate dalla rivoluzione. Dopo essere stato
sostenitore del suffragio universale, Milton era giunto piú tardi a rimpiangere la semidittatura del parlamento Barebone. Questo, almeno, sembra il significato delle parole scritte nel 1660: «Indubbiamente
è piú giusto, se si giunge alla prova di forza, che un numero ristretto spinga un numero piú vasto a
conseguire la sua libertà [...] piuttosto che un numero piú grande, per il piacere della propria iniquità,
obblighi un numero ristretto ad essere, in modo altamente ingiurioso, suo schiavo». Ma subito dopo il
1653 (fine del parlamento Barebone e proclamazione del Protettorato) Milton si era allontanato da
Cromwell e aveva ammonito gli inglesi a diffidarne. Nel 1655 aveva scritto: «A meno che non riusciate
a soggiogarne l'inclinazione all'avarizia, all'ambizione [...] scoprirete di aver nutrito in casa un despota
ostinato e intrattabile come non lo si è mai incontrato sul campo [...]. Diverrete soggetti ad essere
sottomessi a vostra volta dagli stessi nemici o da altri». E molti anni dopo, nel Sansone agonista
(1670), Milton adombrò se stesso e l'Esercito di nuovo modello in questi versi:
Io non ero un privato, ma una persona allevata
con forza sufficiente e mandato celeste
perché liberassi il mio paese. E se le lor menti servili
non vollero accogliere me, loro liberatore espressamente inviato,
anzi per nulla mi consegnarono ai loro padroni,
tanto piú indegni furono; e per questo da allora sono schiavo.
L'utopia delusa, e la poesia che ne nasceva, erano parte integrante della rivoluzione e, anzi, uno dei
suoi momenti piú alti. Milton compose il suo capolavoro, Paradise lost (Il Paradiso perduto) fra il
1658 e il 1665. Ma nella realtà dei fatti la rivoluzione era finita e il nostro dovere di cronisti ci impone
di seguire le tappe, non sempre lineari, del suo esaurimento.
I generali del consiglio che affiancava il Lord protettore erano, abbiamo detto, in massima parte
membri della gentry. Tuttavia il fatto stesso di appartenere all'esercito, sia pure a un esercito che poco
aveva ormai dei caratteri del Nuovo modello, li rendeva in qualche misura diversi dalla classe sociale
da cui provenivano. Per questo, dal momento che nei primi mesi del 1655 c'erano state alcune
cospirazioni intese a rovesciare il Protettorato, alcune ispirate dai realisti e altre, sul versante opposto,
dai repubblicani intransigenti, nell'agosto dello stesso anno il consiglio propose, e Cromwell accettò, di
instaurare un regime militare. Il paese fu diviso in undici distretti, a capo di ciascuno dei quali venne
posto un generale. Questi tolsero alla gentry il comando della milizia di contea e interferirono
pesantemente in tutti gli aspetti della vita locale. Fra i loro compiti c'era non solo quello di fare in modo
che le «persone oziose o vagabonde [prive di ] alcun visibile mezzo di sussistenza, né occupazione, né
impiego... possano essere costrette a lavorare»; c'era non solo il compito di reprimere l'ubriachezza, la
bestemmia e il rifiuto di osservare la festività. Essi fecero sentire la loro autorità anche nel regolare i
divertimenti, come le corse dei cavalli, i combattimenti dei cani contro l'orso, quelli dei galli.
Il regime militare fu subito detestato dalla gentry, dai signori locali il cui ideale era un regime che
somigliasse a una federazione di contee, senza nessun potere abbastanza forte da limitare quello che
essi esercitavano sul luogo. I generali invece si comportavano come despoti inviati da un potere esterno
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e arbitrario, che esautoravano quelli tradizionali e che sembravano ricordare l'odiato assolutismo di
Giacomo I o dei vescovi di Laud. La critica piú forte che però fu fatta valere contro il regime militare
non fu quella dall'arbitrio assolutistico ma un'altra di natura opposta. Si criticava infatti che gli undici
distretti rischiavano di spezzettare l'Inghilterra in tanti cantoni, guidati da altrettanti piccoli autocrati,
che mettevano in pericolo l'unità della nazione. Il regime militare fini presto e lasciò nella memoria
della gentry un odio costante per qualunque tipo di esercito permanente, strumento di assolutismo e
causa di nuove tasse, che costituí poi una delle eredità piú importanti della rivoluzione. L'esercito, che
alla morte di Cromwell contava ancora la piú che rispettabile cifra di 40.000 uomini, venticinque anni
dopo ne contava meno di 10.000.
Nel marzo del 1657 una protesta della gentry presso Cromwell ebbe tanto effetto che il regime
militare venne finalmente abolito, con sollievo non solo dei signori locali che riprendevano la guida
delle contee e delle parrocchie, ma anche dello stesso Cromwell che si vide liberato dall'organismo di
controllo, il consiglio di Stato, impostogli dalla gentry al momento di assumere la carica di Lord
protettore. Infatti il consiglio, pur rimanendo in carica, venne profondamente modificato. Molti dei suoi
membri cambiarono ma soprattutto cambiò il suo carattere perché fu dato a Cromwell il potere di
imporgli la sua volontà. Il consiglio cessò di essere un organismo incaricato di controllare il Lord
protettore, diventò un organismo posto alle sue dipendenze. La nomina del successore venne tolta al
consiglio e affidata allo stesso Cromwell, il quale però nutri una notevole perplessità circa il nuovo
diritto accordatogli.
Ormai la gentry e le oligarchie cittadine nutrivano piena fiducia in Cromwell, che aveva, dal canto
suo, messo da parte ogni idea di modificare lo status quo sociale, i suoi centri di potere. L'Esercito di
nuovo modello e lo stesso parlamento Barebone erano cose passate. Sebbene la presenza ingombrante
di Cromwell vi facesse ancora ostacolo, si andava affermando la tradizionale concezione costituzionale
inglese, una concezione che aborriva ogni potere prevalente sugli altri, non solo dell'esercito ma anche
della Corona o del parlamento. Ormai la gentry, la nobiltà, le oligarchie cittadine erano solidali nel
rifiutare qualunque preminenza della Corona sul parlamento o del parlamento sulla Corona e
nell'identificare il buon governo con l'equilibrio fra questi poteri.
Già nel 1656, forse nella speranza di evitare o controllare in qualche misura il regime militare, il
parlamento aveva offerto a Cromwell il titolo di re, trasmissibile agli eredi. Cromwell lo aveva però
rifiutato, non si sa con quanta convinzione. La stessa proposta venne rinnovata il 25 marzo 1657, nel
contesto di un piú preciso processo di restaurazione monarchica. Ne era una prova il ripristino della
Camera dei Lord che, tentato invano nel gennaio precedente, venne adesso attuato. Unico residuo
repubblicano fu che la Camera dei Lord venne pudicamente chiamata «l'altra camera».
Cromwell aveva 58 anni. Secondo le speranze di vita di quell'epoca era anziano, e inoltre la
consuetudine del potere ne aveva fatto un vecchio gentiluomo conservatore cui l'idea della corona, per
quanto non ambita, non doveva nemmeno dispiacere. Ogni esitazione venne comunque fugata dalla
netta opposizione di quei pochi ufficiali dell'esercito venuti dalla gavetta e tuttora in servizio, come il
colonnello Pride, lo sbrigativo epuratore che anni prima aveva dato vita al parlamento Rump. Verso
questi ufficiali, per quanto esautorati, Cromwell nutriva rispetto e, forse, anche un certo rimorso.
Qualunque ne sia stata la ragione, egli non si senti di mettersi in urto con i suoi vecchi commilitoni e rinunciò ancora una volta alla corona. Ma la cosa gli dispiacque: sfogò il suo malumore non esitando a
destituire vari ufficiali che, avendo fatto le loro prime prove con gli Ironsides, «lo avevano servito come lamentò uno di loro - per quattordici anni, fin da quando era capitano di uno squadrone di
cavalleria». Il fatto che rimorso e bisogno di punire chi lo aveva provocato potessero coesistere era
cosa strana, ma non certo impossibile nella psicologia di un vittorioso come Cromwell.
XIII. Le origini dell'impero inglese
Eppure quest'uomo, nel quale la «santità», diventata ormai una sorta di stanca routine, era
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soverchiata da altri sentimenti, piú umani ma spesso anche più meschini, come l'ambizione e la vanità
del potere, aveva continuato a dare prove alte sul terreno della tolleranza religiosa e su quello della
politica estera. Parleremo della tolleranza nel prossimo capitolo. Qui tratteremo della nascita
dell'impero inglese. Benché, a stretto rigore, la politica estera e il perseguimento della potenza
nazionale non facciano parte di un libro che tratta della rivoluzione, è necessario dedicare a questi temi
un capitolo.
È stato osservato piú volte e da diversi storici che nella figura di Cromwell si sommano quella di
Robespierre e quella di Napoleone, quella del rivoluzionario intransigente che decapita il re e quella del
creatore di un grande impero. Il nesso tra rivoluzione inglese e politica estera è piú stretto che nella
Francia del 1789-1815. Lo dimostra, se non altro, il fatto che in Inghilterra i due momenti ebbero per
protagonista la stessa persona. Del resto, già Christopher Hill nella sua ricerca sulle origini intellettuali
della rivoluzione inglese aveva dedicato varie pagine alla attività di navigatore di Walter Raleigh poeta,
favorito della regina Elisabetta (vedi capitolo VI). In questa attività, avvenuta fra il 1579 e il 1616, lo
storico Hill aveva visto un'anticipazione dell'imperialismo di Cromwell, considerato parte integrante
della rivoluzione.
Nell'età di Cromwell l'Inghilterra fu animata da una carica di energia particolarmente intensa, che
venne indirizzata in un primo tempo, grosso modo fino al 1649-53, in direzione della rivoluzione e
delle trasformazioni di carattere interno, e in un secondo tempo in direzione della costituzione delle
basi della potenza commerciale e imperiale. Tutto cambiò rispetto al ventennio anteriore alla
rivoluzione, rispetto al 1620-40, durante il quale una politica estera inglese di fatto non era esistita.
Basti pensare che, sebbene paese sostanzialmente protestante, l'Inghilterra non aveva in pratica partecipato a quel grande conflitto tra mondo protestante e mondo cattolico che era stato la Guerra dei
Trent'anni (1618-1648). Invece nel 1650-58 Cromwell proiettò - quasi, vien fatto di dire, con violenza il paese verso il mondo, verso il dominio del mare. Si valse in questo della collaborazione
dell'ammiraglio Robert Blake, un repubblicano e un grande marinaio che la tradizione vuole secondo
solo a Nelson. Le direzioni di questo dominio erano molte e diverse: verso le Indie orientali e quelle
occidentali: con mire di preminenza sul Portogallo, il cui impero coloniale venne aperto ai mercanti
inglesi grazie ad un trattato del 1654; nel Mediterraneo, dove fu progettato l'acquisto, che verrà fatto
piú tardi, di Gibilterra e di Minorca; nel Mare del Nord e nelle Fiandre spagnole con il progettato
acquisto di Brema e con l'acquisto di Dunkerque. Per la prima volta l'Inghilterra ebbe allora una
strategia mondiale, cessò al essere un'isola dedita principalmente all'agricoltura e diventò una potenza
la cui attività commerciale abbracciava il mondo intero.
Per questi motivi il Seicento, e in particolare il ventennio dominato dalla figura di Cromwell, è
l'epoca nella quale l'Inghilterra diventa un paese compiutamente moderno, una potenza mondiale i cui
governi cominciarono a dare importanza decisiva agli interessi commerciali. Tanto preminenti diventarono allora questi interessi da incidere direttamente sul governo, derogando da una norma, quasi
costantemente osservata nei due secoli successivi. Secondo questa norma i politíci non erano uomini
del commercio e dell'industria ma proprietari terrieri che, godendo di un agiato tenore di vita, non
erano obbligati a dedicare la loro attività al guadagno e potevano invece dedicarla a quell'otium che era
la politica.
Invece nel tempo di Cromwell gli interessi del commercio furono presenti nel governo in forma
diretta, tramite alcuni mercanti o tramite persone legate a quegli interessi.
Accanto al commercio c'era la religione. Personalità diverse nutrivano la speranza di una rivoluzione
internazionale, repubblicana e protestante, guidata dall'Inghilterra. Tali erano il comandante
dell'esercito scozzese, Alexander Leslie, che aveva combattuto nella Guerra dei Trent'anni, lo stesso
poeta John Milton, che era anche politico e polemista votato alla causa puritana, il reverendo Hugh
Peter, l'ammiraglio Blake. Sembra, secondo alcune testimonianze dell'epoca, che in un primo tempo,
fra il 1649 e il 1653, lo stesso Cromwell accarezzasse il progetto di «esportare la rivoluzione», di fare
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dell'Inghilterra il bastione di una riscossa protestante in Europa o, quanto meno, di togliere all'Olanda
l'egemonia nella difesa della causa protestante. È vero che i motivi di realismo politico, la difesa degli
interessi nazionali e commerciali ebbero sempre la prevalenza sui motivi ideologici, soprattutto dopo il
1653. Ma è anche vero che, pur rinunciando a esportare la rivoluzione, Cromwell amò considerare la
politica estera come una occasione per promuovere la gloria di Dio e allargare i confini del regno di
Cristo. Chi píú dell'inglese, che i calvinisti consideravano il popolo eletto da Dio, poteva essere adatto a
questo scopo?
Il mito del popolo eletto era nato nel Cinquecento ad opera della chiesa anglicana, che
naturalmente vi aveva associato anche la Corona. Successivamente l'odio contro i due primi Stuart,
Giacomo e Carlo I, aveva però eliminato la Corona dal mito. Inutilmente l'arcivescovo Laud aveva
tentato di rimediare, contrapponendo al popolo eletto la chiesa anglicana da lui riformata, intesa come
chiesa eletta. No, solo il popolo, inteso come la nazione inglese, era l'eletto. Si trattava di un mito
fortemente sentito da Cromwell, che nel 1654 dichiarava: «I decreti della Provvidenza del Signore
sono stati come se egli avesse detto: Inghilterra, sei la mia primogenita, la prediletta tra le nazioni,
nell'intero universo il Signore non ha trattato cosí nessun altro popolo a noi d'intorno».
Ma torniamo al commercio. Come abbiamo accennato nella conclusione del capitolo X, la
sottomissione dell'Irlanda e l'unione con la Scozia possono essere considerate il primo atto della
politica imperiale di Cromwell. Erano infatti presenti fra gli esponenti degli interessi commerciali due
linee diverse di espansione: una prima che, attraverso l'unione con la Scozia e il predominio nel Mare
del Nord, puntava a ereditare, con l'accordo o con la guerra, l'impero commerciale olandese e a
potenziare il dominio nelle Indie orientali; e una seconda linea che considerava la sottomissione
dell'Irlanda la prima tappa per conseguire il dominio delle Indie occidentali. La prima linea era
sostenuta dalla maggioranza dei mercanti della City, da una parte del parlamento Rump e dai radicali
del parlamento Barebone; la seconda linea, vista con favore soprattutto dalla gentry presbiteriana,
aveva un carattere piú spiccatamente ostile alla cattolica Spagna, che mirava a estromettere dalle Indie
occidentali e dall'America. La prima linea fu seguita da Cromwell nel 1651-53, la seconda nel 165458. Tuttavia fra le due linee esisteva un certa complementarità. L'Atto di navigazione del 1651, che,
come vedremo subito piú avanti, fu lo strumento principale della espansione navale e commerciale a
danno dall'Olanda, riguardava e proteggeva non solo l'Inghilterra e la Scozia ma anche l'Irlanda, tappa
per il dominio delle Indie occidentali. (In Irlanda però l'Atto riguardava solo i coloni inglesi, che ne
esclusero gli abitanti cattolici). Un altro aspetto della complementarità fra la politica rivolta alle Indie
orientali e quella rivolta alle Indie occidentali, è l'emigrazione nelle Indie occidentali, dopo la
conquista di Giamaica nel 1655, non solo di irlandesi ma anche di scozzesi e di altri.
Nel 1651, dopo la vittoria sulla Scozia, cosí scriveva il colonnello John Jones, un radicale, forse
vicino ai levellers, di cui abbiamo già menzionato le opinioni sull'Irlanda: « È nell'interesse della
repubblica d'Inghilterra spezzare gli interessi degli uomini potenti di Scozia e fondere gli interessi della
gente comune su altre basi che non sugli interessi dei suoi signori e padroni [...]. Gli uomini potenti non
vi saranno mai fedeli se proporrete la libertà al popolo a sollievo contro la loro tirannide». Cromwell
non era insensibile a idee di questo tipo, come dimostra la sua intenzione di creare in Scozia una
solidarietà di interessi fra i ceti produttori, in particolare fra i fittavoli agiati, in grado di vendere, e i
mercanti sulla base della libertà di commercio con l'Inghilterra.
Il 9 ottobre 1651, poco più di un mese dopo la battaglia di Worcester che aveva segnato la vittoria
decisiva sulla Scozia, venne emanato l'Atto di navigazione, evento di fondamentale importanza nel
determinare lo sviluppo del commercio e della marina inglesi. L'Atto, che faceva seguito al Consiglio
del commercio istituito nell'agosto precedente, vietava l'ingresso in Inghilterra alle merci trasportate
con navi non inglesi o non del paese di provenienza. Si trattava di un provvedimento diretto a stroncare
il predominio navale e commerciale che l'Olanda, specializzatasi nel commercio per conto di terzi,
aveva conquistato a partire grosso modo dal 1620. Contemporaneamente il parlamento offri all'Olanda
l'unione con l'Inghilterra a condizioni analoghe a quelle fatte alla Scozia. L'intenzione era di
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incorporare, insieme alla Scozia, anche l'Olanda con le sue colonie nel sistema commerciale inglese.
Poiché, per ragioni ben comprensibili, l'Olanda rifiutò di cedere il suo predominio, Cromwell, pur
dispiaciuto di combattere contro una potenza protestante, fece guerra all'Olanda per ottenere lo stesso
scopo che aveva sperato di conseguire con l'unione pacifica. Fu una guerra navale che durò due anni e
si concluse nel 1654 con la sconfitta dell'Olanda. Questa iniziò allora a perdere la sua egemonia navale
e commerciale.
La politica imperiale di Cromwell ebbe, nella sua prima fase, contenuti commerciali profondamente
antimonopolistici e liberistici che, con l'eccezione non certo secondaria della potente Compagnia delle
Indie orientali, emarginavano alcune grandi compagnie monopolistiche fino allora dominatrici del
mercato, come quella dei Merchant Adventurers. L'Atto di navigazione, pur usando metodi
mercantilistici e protezionistici, aveva questo carattere liberista. Come abbiamo detto, comprendeva
non solo l'Inghilterra ma anche la Scozia e l'Irlanda, mirava a creare un'area protetta dalla concorrenza
altrui nel cui ambito poteva esplicarsi il commercio di imprenditori non protetti da alcun monopolio e
che traevano reciproco vantaggio dalla libertà accordata a tutti: commercianti, manufatturieri di panni,
proprietari terrieri, affittuari. C'era indubbiamente una contraddizione fra la politica liberista e la difesa
dei monopoli locali che, si ricorderà, Ireton aveva svolto a Putney. Il liberismo non era conseguente
fino a colpire le posizioni elettorali dei monopoli locali.
La politica commerciale liberista fu seguita negli anni durante i quali la politica interna di Cromwell
continuò a caratterizzarsi per i tentativi di realizzare incisive riforme, fino al dicembre del 1653. Negli
anni successivi le cose cambiarono, i mercanti monopolisti ripresero autorità.
Come sappiamo, cambiò anche la direttrice dell'espansione, rivolta non piú alle Indie orientali ma a
quelle occidentali, dove la potenza dominante era la Spagna. Con la fine del parlamento Barebone e
con l'istituzione del protettorato di Cromwell la gentry presbiteriana tornò a costituire la maggioranza
parlamentare e, grazie anche al fatto che l'Olanda non era piú il principale avversario commerciale, fece
prevalere la politica estera che piú le era cara, una politica ostile alla potenza cattolica per eccellenza,
alla Spagna, dominatrice delle Indie occidentali, alle quali aspiravano da tempo interessi mercantili di
notevole consistenza. Le elezioni municipali di Londra nel dicembre del 1641 erano state vinte
dall'opposizione antirealista grazie anche all'appoggio di mercanti interessati all'America e ostili alla
posizione dominante e monopolistica che aveva la Compagnia delle Indie orientali. Un gruppo di
mercanti di forte fede puritana aveva tolto per qualche tempo alla Spagna l'isola di Providencia nelle
Indie occidentali e aveva dato vita alla Providence Island Company che ebbe un ruolo importante nello
stimolare la politica inglese di espansione in quelle regioni.
Combattere la Spagna era una politica che trovava in tutto consenziente lo stesso Cromwell. Nel
1646, vincitore di Carlo I, aveva dichiarato in parlamento:
Io dico che il vostro pericolo viene dal comune nemico esterno, che è il centro degli interessi papali, il centro degli
interessi anticristiani, descritto nelle Scritture cosí ampiamente e noto sotto quel caratteristico nome di Anticristo datogli
dall'Apostolo nella epistola ai Tessalonicesi ed egualmente cosí definito nell'Apocalisse; le quali cose sono sicure e chiare!
A meno che voi non vogliate negare la verità delle Scritture, dovete necessariamente vedere che questo Stato è descritto
nella Scrittura come papale e anticristiano. Dico, con questo nemico, e dopo queste spiegazioni voi avete da combattere con
lo spagnolo.
Ancora nel 1651-54, mentre combatteva contro l'Olanda protestante, Cromwell si era preoccupato di
imprimere alla sua politica estera un carattere di difesa degli interessi protestanti in Europa. Era stato
ostile al governo francese che perseguitava gli ugonotti e aveva concluso trattati con i cantoni svizzeri
protestanti e con la luterana Danimarca.
L'espansione nelle Indie occidentali si concretizzò nel 1655 con un grosso successo: la conquista
della Giamaica, tolta alla Spagna e destinata a restare nei secoli futuri il punto di forza inglese in quella
regione. Nello stesso anno Cromwell concluse col re di Francia il trattato di Westminster, in forza del
quale Luigi XIV si impegnava a espellere dal suo paese i realisti inglesi, e poi, nel 1657, il trattato di
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Parigi, col quale otteneva la cessione di Dunkerque e di un'altra città. Il progetto era di usare queste due
località per attaccare la Spagna nelle Fiandre, ma non poté realizzarsi per il malcontento, di cui si fece
portavoce il parlamento, presente in vari ambienti, fra i quali quelli mercantili che rimpiangevano la
fine del commercio con la Spagna.
Nel frattempo si era esaurita la spinta in senso liberista che aveva caratterizzato lo slancio del
commercio nel 1651-54. Molto indicativo in questo senso fu il consolidamento nel 1657 del monopolio
della Compagnia delle Indie orientali, completato nello stesso anno da un secondo Atto di navigazione.
La potenza commerciale continuava a crescere, pur nel contesto di un ritorno al predominio degli
interessi consolidati, a danno di quelli nuovi ed emergenti.
Per arginare o per soffocare il malcontento, nel febbraio del 1658 Cromwell sciolse il parlamento
con le parole, che ormai suonavano sulla bocca come una routine: «Che Dio sia giudice tra me e voi».
Ma egli era un vecchio la cui fine si avvicinava.
XIV Cromwell e la libertà di coscienza
Ancor piú che per aver guidato con mano sicura la rivoluzione e aver gettato le basi della potenza
imperiale inglese, Cromwell va ricordato come un grande personaggio della storia per aver impiantato
nel suo paese e in Occidente i primi germi della libertà religiosa, della libertà di coscienza.
Coerentemente con la sua affermazione che le forme di governo erano «spazzatura e sterco in
confronto al Cristo», Cromwell non esitò piú di un volta a trattare con grande disinvoltura i diritti
politici dei suoi concittadini, quando furono estromessi con la forza dal parlamento in seguito alla
purga di Pride e privati delle libere elezioni per il parlamento Barebone. Nella sua veste di Lord
protettore osò imporre tasse non approvate dal parlamento, violando il sacrosanto principio che solo le
imposte approvate dal parlamento erano legittime. Invece egli fu corretto nei confronti della libertà di
coscienza. Certo, anche in questo caso il suo comportamento non fu privo di contraddizioni. Sappiamo
che il rispetto per le altre confessioni era sempre stato una caratteristica della fede religiosa di
Cromwell. Ma in lui c'era anche la certezza di compiere la volontà di Dio, di lottare contro il male,
contro l'Anticristo. Indubbiamente questa certezza mal si conciliava con il rispetto per le fedi altrui, dal
momento che la volontà di Dio era unica. Si trattava di una contraddizione che era presente non solo in
Cromwell ma anche in moltissimi altri protagonisti della rivoluzione, fautori della tolleranza (sia pure,
abbiamo visto, per motivi strumentali) e certi di compiere la volontà di Dio.
Ma quando Cromwell ebbe vinto la guerra contro il re e spinto alla opposizione, e magari anche in
galera, i levellers ed i settari, soprattutto quando, con la fine del parlamento Barebone, caddero le
ultime speranze di imporre ai conservatori le riforme volute dall'esercito e Cromwell accettò questo
stato di cose, la tolleranza si affermò nel suo spirito in modo piú univoco. La tolleranza e la libertà di
coscienza si affermarono pienamente quando fini la rivoluzione. Proprio gli argini posti contro il
radicalismo permisero a Cromwell di sconfiggere le tendenze intolleranti presenti nel parlamento, ad
opera soprattutto dei rappresentanti presbiteriani. Non mancarono gli elementi di conflitto. Ancora nel
1657 lo speaker (presidente) della Camera dei Comuni affermava che «il permesso di esercitare piú
d'una religione... io spero che non esisterà mai». Per questo motivo Cromwell aveva avuto cura che
l'Instrument of Government del dicembre 1653 contenesse clausole che gli consentissero, come disse in
un discorso al parlamento del 1654, di trattenere «í Parlamenti dall'imporre [...] quelle religioni da loro
preferite alle coscienze della gente». E aggiungeva, con allusione ai presbiteriani: «Quale ipocrisia piú
grande per coloro che furono in passato oppressi dai vescovi, del divenire a loro volta i piú grandi
oppressori, non appena quel giogo sia rimosso?».
A differenza di chi sosteneva la tradizionale concezione della chiesa Stato, unica depositaria della
verità religiosa, Cromwell, come sappiamo, sostenne la legittimità di una chiesa di Stato che
manifestasse la sua tolleranza consentendo di essere circondata da altre chiese e sétte considerate non
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conformiste. Questa è stata una delle eredità piú valide della rivoluzione. Per farla trionfare Cromwell
nei suoi discorsi parlamentari batté e ribatté sul tema della tolleranza. La guerra civile, disse nel 1654,
ha restituito al popolo «con la libertà della coscienza, la libertà di venerare [...]. Conosco una causa che
ancora non abbiamo perduto, ma piuttosto che perderla spero che ci farebbe piacere perdere le nostre
vite». Lamentava che «tutti desiderano conquistare la libertà, nessuno intende concederla». E ancora:
«Nulla li soddisfarrà, tranne riuscire a mettere il dito sulla coscienza del fratello, per coglierlo in fallo».
E ancora: «La libertà di coscienza è un diritto naturale, e chi la vuole avere deve anche darla. Ogni setta
dice: Oh, datemi la libertà. Ma se voi gliela date, e se ne ha il potere, essa non vorrà concederla a
nessun altro». Notiamo di passaggio che era proprio dai levellers e dai settari che Cromwell aveva
avuto una forte conferma di quel rispetto per il diritto naturale che stava alla base della libertà di
coscienza. La tolleranza e la libertà di coscienza, abbiamo detto, si affermarono pienamente quando fini
la rivoluzione. Ma non si sarebbero affermate se prima non ci fosse stata la rivoluzione.
Lo storico William Lamont ha ricostruito il processo mentale che avvenne in Cromwell, in forza del
quale si attenuò la necessità prioritaria di combattere contro il male, contro l'Anticristo, e di
conseguenza si attenuò anche la certezza di compiere la volontà di Dio e al suo posto si affermò una visione laica della politica. Il primo atto di quel processo, di questa lenta conversione, avvenne durante i
dibattiti di Putney, quando Cromwell fu costretto a constatare che molti dei suoi amati soldati, molti dei
«santi», sostenevano un programma sociale che metteva in pericolo la proprietà, un programma sociale
da cui egli rifuggiva, ed erano tuttavia mossi dalla stessa sua certezza di compiere la volontà di Dio. Allora Cromwell disse: non basta che il fine perseguito sia buono (come forse buono era quello dei soldati
inteso a difendere i poveri e i deboli), bisogna anche considerare i mezzi necessari per conseguirli e le
sue conseguenze (l'attentato portato al principio di proprietà, cosa certamente non buona). Poiché tutti
coloro che si dicevano certi di compiere la volontà di Dio la identificavano con il fine che volevano
conseguire, l'affermazione di Cromwell era un colpo portato a quella certezza. Ciò che animava il
dubbio era la divisione, manifestatasi pubblicamente per la prima volta a Putney, in seno ai radicali piú
conseguenti nella lotta al re, in seno all'esercito. Dove era andata a nascondersi la volontà di Dio?
Cromwell espresse un dubbio: «Noi siamo portati, tutti noi, a chiamar fede ciò che forse non è altro se
non immaginazione carnale e carnale raziocinio». La prova che si stava facendo la volontà di Dio era
l'unanimità delle decisioni. Una volta rotta l'unanimità, iniziarono ad affermarsi la laicità, la tolleranza
e anche, implicitamente, il principio che la vita politica era regolata dalla divisione fra una
maggioranza e una minoranza.
Dopo il 1649 e soprattutto dopo il 1653 Cromwell giunse a dubitare di compiere la volontà di Dio
(un dubbio peraltro che in lui continuò sempre ad alternarsi col suo opposto, con la certezza di
compiere la volontà di Dio) non già attenuando bensí esaltando gli aspetti píú profondi della sua
religiosità calvinista. La volontà eterna di Dio che predestina i suoi eletti, misteriosa e inconoscibile per
le anime calviniste piú autenticamente religiose, tendeva, come abbiamo detto nel capitolo VI, a
materializzarsi secondo il calvinismo corrente nella certezza di conoscere quella volontà. Cromwell
condivise molto spesso questo modo di intendere la volontà di Dio. Alla volontà di Dio aveva attribuito
le vittorie di Marston Moore e di Naseby. A questa volontà si era richiamato nel discorso di investitura
del parlamento Barebone. A questa volontà continuò ad attribuire, anche dopo il 1653, talune grandi
scelte di politica estera, soprattutto quando si trattava di combattere la potenza cattolica per eccellenza,
la Spagna.
Ma ormai negli affari interni inglesi egli aveva vinto. La certezza di conoscere la volontà di Dio, di
conoscere se e quando il male, l'Anticristo sarebbe venuto, era diventata meno importante, aveva
perduto il carattere di necessità cogente, di condizione primaria. Alla necessità di conoscere nella
pratica quella volontà per poter vincere le battaglie subentrava un atteggiamento piú distaccato, piú
attento al mistero religioso di Dio. Non la certezza, dunque, ma il mistero. Ma se la volontà di Dio era
il mistero, se era inconoscibile, erano anche inconoscibili i modi con cui egli voleva essere adorato. Ne
derivava uno stimolo potente a considerare lecite tutte le confessioni cristiane. Cosí, con paradosso solo
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apparente, il presupposto culturale della tolleranza di Cromwell era la sua rigorosa concezione del
calvinismo, che per le anime meno religiose, meno pensose dei fini ultimi, spingeva invece alla piú
dura intolleranza. Sembra che anche un grande scrittore politico contemporaneo alla rivoluzione, il
filosofo Thomas Hobbes (1588-1676), autore del Leviatano, giungesse a una concezione analoga della
tolleranza e a una concezione laica della sovranità meditando calvinisticamente sulla non conoscibilità
della volontà di Dio. Per quasi tutti i settari invece, come sappiamo, il presupposto culturale della tolleranza fu un'attenuazione o un rifiuto del calvinismo, di cui non veniva accettata la dottrina della
predestinazione.
La libertà religiosa perdeva per Cromwell il carattere strumentale che invece aveva avuto per quasi
tutti. Nel 1655 disse che egli riteneva il suo più grande successo quello «di non essere stato contrario ad
impedire a una religione di imporsi su un'altra». La modestia di fronte agli altri succedeva all'orgoglio
di possedere la verità e di volerla imporre. Già nel 1652 un cappellano dell'esercito, ricordando gli anni
passati, aveva giudicato presuntuoso il sogno, che aveva animato i puritani, di creare in terra il regno di
Cristo. Ciò che Cromwell, e con lui un numero crescente di inglesi, adesso volevano non era più la lotta
contro l'Anticristo e l'instaurazione della «vera chiesa» che, con metodi diversi ma tutti variamente
illiberali, avevano voluto Laud, i presbiteriani e gli indipendenti. Cromwell, simile in questo a Roger
Williams, il fondatore della colonia del Rhode Island nella Nuova Inghilterra, riteneva che il governo
doveva limitarsi negli affari religiosi a vigilare sulla purezza dei costumi, come un buon poliziotto
preposto a mantenere la pace nelle singole parrocchie, «la cosa più benedetta - disse - che è stata fatta
da questo governo». Lottare contro l'Anticristo, instaurare «la vera chiesa di Dio» era sentito adesso,
dopo l'esperienza dei levellers e dei settari, come sinonimo di attentato all'ordine sociale e di pericolo di
instabilità politica.
Nell'atmosfera di restaurazione che segui, la severità del costume morale puritano si attenuò. Le
donne cominciarono a rimettersi il trucco, i teatri riaprirono i battenti e, per la prima volta, le donne
comparvero sul palcoscenico nel ruolo di attrici. Ci fu insomma un inizio di emancipazione femminile,
confermato da altri sintomi: apparvero le prime pittrici di professione, le prime musiciste e le prime
poetesse di qualche pregio.
Alla lotta contro l'Anticristo subentrò la lotta contro il male che ciascuno doveva fare nell'intimo
della propria coscienza. La ricerca della virtú individuale sostituí il mito, perseguito dalle diverse
chiese, di trovare la virtú imponendo la propria disciplina. La virtú divenne un bene in sé, non fu piú
un mezzo per affermare quella che le diverse chiese ritenevano la vera religione. Mentre nei decenni
precedenti il compito principale delle anime religiose era stato di natura politica, adesso dovevano
evitare la politica. Ci fu una ritirata generale dal «pubblico» nel «privato», come si dice oggi. In molti
la ritirata nel privato fu provocata dalla delusione per il fallimento degli ideali coltivati. In questo
senso sembra debbano interpretarsi le parole di William Prynne, un rigoroso presbiteriano: «Abbiamo
visto tali straordinari cambiamenti e tanta perfidia in ogni tipo di uomo da quando sono nati i nostri
guai che non possiamo avere fiducia né nel re, né nel principe, né nella città, né nella campagna, né in
questo né in quel generale, né in questo esercito né in quelli prima di questo, e neanche in noi stessi,
che siamo gelosi uno dell'altro, traditori l'uno dell'altro, privi di ogni affidabilità». Il senso di delusione
fu molto forte in John Milton. Ma, per il grande artista che egli era, la rinuncia alle aspirazioni di totale
rinnovamento religioso, sociale, politico, la ritirata nel privato furono l'occasione per cercare rifugio,
verità e impegno nella poesia e creare i suoi capolavori letterari. Viene spontaneo il paragone con il
nostro Dante Alighieri, nonostante la diversità di epoca e di ideali.
La pacifica convivenza di idee diverse corrispondeva a una tendenza che forse affondava le radici
in una generale attitudine ad una relativa tolleranza, tipica della chiesa anglicana prima di Laud.
L'ultimò rogo per eresia sia era avuto nel 1612 al tempo di Giacomo I. I roghi di streghe, che proprio
la rivoluzione aveva contribuito ad accentuare, erano stati ancora numerosi, ma non a Londra, dove
ormai la gente non credeva piú all'esistenza delle streghe. Anche nella società regnava una mentalità
incline ad attenuare i contrasti ideali. E alla luce di questa mentalità che va forse vista la disinvoltura
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con cui numerosi levellers e radicali, delusi da Cromwell, passarono nelle file dei realisti.
Contribuí forse a determinare, per vie indirette, il clima di relativa tolleranza il fatto che, durante la
rivoluzione, la cultura non fosse prerogativa di un partito, ma fosse ripartita in egual misura o quasi,
tra i fautori del re e quelli del parlamento e poi della repubblica. Giacomo I occupa un posto, modesto
ma dignitoso, nella storia del pensiero politico inglese. Bacone, il grande filosofo, fu suo ministro.
Abbiamo accennato all'interesse di Carlo I per l'arte e per la scienza. Il suo protetto, il grande medico e
scienziato Harvey, gli rimase sempre fedele negli anni della rivoluzione, pur non lesinando, dopo la
decapitazione del re suo protettore, le manifestazioni di lealismo nei confronti del parlamento.
Sul versante politico opposto troviamo l'attenzione prestata da Cromwell alla cultura. Numerose
sono le manifestazíoní di questa attenzione. Qui basti ricordare che fu vicino a Cromwell John
Wilkins, partecipe del gruppo che piú tardi, nel 1660, avrebbe dato vita alla Royal Society. Figura
eminente in campo repubblicano fu Milton, fautore delle idee piú radicali, vicino a Cromwell fino al
1653, quando il Lord protettore abbracciò la politica conservatrice detestata dal grande poeta. Come da
noi ha scritto Giuliano Procacci, nacque in questo contesto, per iniziativa dello stesso Milton e dello
scrittore politico James Harrington, il mito del Machiavelli repubblicano che circolerà nella cultura
europea del Sei e del Settecento.
Nell'opera Oceana, del 1656, Harrington adombrò l'Inghilterra e sostenne la tesi che la situazione
interna di ogni Stato dipendeva direttamente dalla distribuzione della proprietà terriera. Harrington
riprese inoltre il giudizio di Bacone che il tratto caratteristico della società inglese era di avere un forte
ceto di contadini liberi proprietari (gli yeomen). Date queste premesse, Harrington giunse alla conclusione che la forma di governo piú adatta al suo paese era la repubblica, di cui gli yeomen sarebbero stati
la classe portante. Era un tentativo di dare dignità teorica al regime da poco nato, ed era una ipotesi
ingegnosa, anche se viziata da una forte componente di determinismo. In questa ottica la diffusione
delle enclosures [recinzioni] e, in prospettiva, il declino della proprietà contadina che si ebbe nel secolo
successivo avrebbero dovuto fare dell'Inghilterra non una repubblica ma una monarchia, espressione di
una società il cui tratto caratteristico non era il libero e prospero contadino ma il grande e medio
proprietario. Proprio questo avvenne: l'Inghilterra tornò ad essere una monarchia, anche se, con ogni
probabilità, non per il motivo ipotizzato da Harrington.
La capacità della cultura di contribuire a creare un clima di reciproca comprensione è evidente nei
casi in cui fu la medesima persona ad oscillare fra le due parti in contesa, fra la causa del re e quella del
parlamento e poi della repubblica. Poco significativo è il caso di Harvey, legato a Carlo I ma attento a
non compromettersi contro il parlamento, perché dettato con ogni probabilità da motivi di
opportunismo pratico. Del resto Harvey non ebbe mai interesse per la politica. Significativo è invece il
caso di Harrington, il teorico della repubblica che però negli anni immediatamente precedenti il 1649
era stato legato al re. Un caso diverso ma parimente significativo è quello dei platonici di Cambridge
(cui abbiamo accennato nel capitolo VI), politicamente conservatori, che sostennero però idee religiose
vicine a quelle dei settari e dei radicali più colti.
Torniamo adesso a Cromwell. La sua rottura dopo il 1653 con i settari fu netta sul piano politico e
non mancò di produrre involontariamente qualche episodio di sanguinosa intolleranza. Famoso è quello
di cui fu vittima nel 1656 un quacchero, James Nayler, veterano dell'Esercito di nuovo modello.
Nayler, ci racconta Hill, era entrato a Bristol a cavallo di un asino, con donne che disponevano foglie di
palma sul suo cammino e lo onoravano in modo considerato blasfemo dagli astanti. Questo evento, in
sé privo di importanza, venne sfruttato dai nemici della tolleranza per dar vita in parlamento a una
grande dimostrazione contro le conseguenze, ritenute disastrose, della tolleranza religiosa di Cromwell.
Tutto ciò va visto sullo sfondo di una rapida diffusione del quaccherismo che appariva allora ai bigotti
poco meno che una rinascita del movimento livellatore. Fu l'isterismo di gente terrorizzata che
condannò Nayler alla fustigazione, alla berlina, al marchio di infamia, al taglio della lingua e alla detenzione in prigione. E si trattò tuttavia, conclude Hill, di una punizione piú blanda di quella auspicata
da molti membri del parlamento.
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Naturalmente Cromwell era contrario a tutto ciò ma non riuscí a impedire il barbaro episodio.
Tuttavia egli ebbe cura di mantenere buoni rapporti personali con alcuni quaccheri e seguaci della
Quinta monarchia, che invece vennero perseguitati nel 1659, subito dopo la sua morte. Grazie alla
protezione di Cromwell, gli ebrei tentarono di essere riammessi in Inghilterra da cui erano stati cacciati
secoli prima. Solo pochi trovarono asilo, ma il tentativo rimane indicativo delle idee di Cromwell in
materia di libertà religiosa e della sua tolleranza.
Conclusione
A partire dagli inizi del 1658 la salute di Cromwell andò declinando. Coloro che in quei mesi ebbero
occasione di vederlo lo descrissero «sempre ammalato e costretto a letto», «malandato nel corpo e nello
spirito», «ai limiti delle sue facoltà mentali» e addirittura «pazzo». Dio era lontano e la vitalità, che in
passato era stata la molla gioiosa dell'azione, scontrandosi adesso con la malattia produceva accessi
violenti di disperazione. Fu il triste, umiliante declino di un uomo che la natura aveva fatto per essere
un vittorioso. Alla fine sopraggiunse una polmonite che se lo portò via. Era il tre settembre,
l'anniversario di due giornate gloriose, delle battaglie di Dunbar e di Worcester.
Due citazioni, una brevissima e un'altra piú lunga, saranno sufficienti per congedarci da Cromwell.
Subito dopo la morte il suo cameriere scrive in una lettera: «Un'anima piú grande della sua, penso
raramente abitò una dimora d'argilla». Invece un quacchero, che un tempo lo aveva amato, prova
qualcosa di simile a un senso di orrore per la pompa, in tutto degna di un re, con cui si svolge il
funerale, con un sarcofago che supponiamo immenso sul quale troneggia il suo ritratto, portato poi in
processione come un'icona sacra. E pensa: «Cosí dovevano andare le cose, malgrado il suo zelo d'un
tempo contro il papato; perché troppo dimenticò quella buona causa, e troppo cercò la grandezza e
l'onore del mondo, ed amò la lode degli uomini e accettò titoli adulatori e vani rispetti da parte di
uomini falsi, e molte grosse in giustizie vennero attuate da lui, come la decima e le vecchie chiese e le
consacrazioni di ministri per volontà di uomini, e la falsa venerazione e l'aspersione degli infanti e
simile roba papista [...]. E allora cominciai a ricordare quale prode strumento del Signore egli fosse un
tempo; e quante gloriose e nobili vittorie Dio un tempo gli aveva concesso [...]. E allora dissi: Ahimé,
ahimé! Tutto è dunque finito in questo? Tutto il suo antico buon operare per Dio e le nazioni? ... Ed è
questa la fine e l'ultimo addio del già nobile Oliver? Come, solo la visione di un'immagine innalzata e
portata in giro?».
Non si conosce se fu lo stesso Cromwell in punto di morte a far uso della prerogativa che gli
spettava in quanto Lord protettore, e nominare come successore il figlio Richard, o se invece la nomina
fu opera del consiglio di Stato. Comunque, poiché Richard si dimostrò ben presto un inetto, la classe
dirigente si orientò verso la restaurazione della monarchia. Erano la stessa gentry, la stessa nobiltà, le
stesse oligarchie cittadine che negli anni precedenti avevano offerto a Cromwell il titolo di re. Fra
costoro non tardò a emergere la figura del generale George Monck. Benché presbiteriano, egli era convinto della saggezza della politica religiosa di Cromwell, della opportunità di riprenderla e di rifiutare
le manifestazioni di intolleranza che stavano di nuovo affiorando dopo la morte del grande statista. Nel
febbraio del 1660 Monck avviò trattative con l'erede Stuart, Carlo II, che dopo Worcester era esule in
Francia. A Carlo, Monck consigliò di concedere la libertà di religione e un'amnistia generale.
Dopo l'ingresso trionfale di Carlo II in Londra, avvenuto il 29 maggio dello stesso anno, furono
puniti i responsabili della decapitazione di Carlo I che non erano riusciti a rifugiarsi all'estero. Non
mancarono gli episodi della giustizia feroce cui i tempi erano abituati. Il corpo di Cromwell, che era
stato sepolto a Westminster, venne macabramente appeso a una forca e poi decapitato. Tremenda fu la
sorte del reverendo Hugh Peter che, pur non avendo avuto responsabilità dirette nella decapitazione di
Carlo I, pagò la sua convinzione repubblicana con l'impiccagione. Sorte analoga toccò a diversi altri
repubblicani.
A parte questi episodi, Carlo II si attenne ai suggerimenti di Monck. Prima di rientrare in Inghilterra,
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il 14 aprile 1660, egli aveva fatto a Breda una dichiarazione nella quale aveva manifestato i suoi intenti
di governo. Fra questi c'era, oltre alla promessa di pagare finalmente tutti gli arretrati all'esercito, il
proposito di concedere la libertà di religione.
Cosí si legge nella dichiarazione di Breda:
E poiché la passione e la mancanza di carità dei tempi hanno prodotto diverse opinioni in materia di religione, a causa
delle quali gli uomini si sono divisi in fazioni e animosità l'uno contro l'altro; e poiché, quando queste saranno d'ora in poi
unite nel libero scambio delle opinioni, saranno pacificate e meglio comprese, noi dichiariamo libertà per le coscienze
oneste, dichiariamo che nessuno sarà arrestato o inquisito per differenze di opinione in materia di religione che non turbi la
pace del regno; e che saremo pronti a dare il nostro consenso a una legge del parlamento che dopo matura deliberazione ci
venga sottoposta per dare piena validità a questo permesso.
La chiesa anglicana tornò ad essere, subito dopo il 1660, la chiesa di Stato. Non mancarono i
tentativi di intolleranza, ma alla fine questi fallirono. I vescovi tornarono e recuperarono il loro potere,
ma non certo nella misura che Laud aveva loro conferito. Inoltre non furono ripristinati né i diritti
feudali aboliti né la tortura nella amministrazione della giustizia. Scomparve ovunque, anche in Scozia,
la caccia alle streghe. Né più tardi ebbero successo, dopo la morte di Carlo II (1685), i tentativi fatti dal
cattolico Giacomo II di rimettere in vigore alcuni aspetti di governo assoluto. Sono tentativi che oggi,
col senno del poi, a noi appaiono anacronistici perché sconfitti sul piano culturale dal pensiero liberale
del filosofo John Locke (1632-1704), dalla sua «volontà di esorcizzare il potere, limitandolo per mezzo
dei diritti» (Alberto Tenenti). La gentry confermò e accentuò le sue posizioni di forza nella
amministrazione sia dello Stato che della chiesa. Il giudice di pace ed il parroco o il suo vicario tornarono ad essere il notabile del luogo o a dipendere da questo, con poco o nessun controllo da parte del
governo centrale e del vescovo. Le sétte continuarono a prosperare ed ebbero riconosciuta
ufficialmente la tolleranza ad esistere con la gloriosa rivoluzione del 1688-89. Questa non fece che legalizzare in modo permanente la tolleranza introdotta da Cromwell nel ventennio rivoluzionario. Altri
aspetti e altre aspirazioni della rivoluzione sopravvissero dopo il 1660 e diventarono definitivi dopo il
1689, come la responsabilità del governo verso il parlamento, il controllo sugli atti della Corona e le
garanzie dei diritti civili fondamentali.
La rivoluzione aveva fallito negli obiettivi più radicali ma aveva vinto negli altri. In molti campi non
fece altro che consolidare alcune tendenze di fondo tradizionalmente presenti nel paese: l'autogoverno
locale, le garanzie giudiziarie, il controllo del parlamento. Ci fu però un campo, quello della libertà di
coscienza, che fu una conquista nuova di cui l'Occidente intero è debitore alla rivoluzione inglese.
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