Il nocciolo della filosofia

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Il nocciolo della filosofia
Scritto da Administrator
Domenica 12 Aprile 2009 23:20 -
Il nocciolo di tutta la questione nella quale siamo intricati e nella quale volere o no è intricata la
filosofia nella storicità della sua specifica presenza, certo la filosofia non c’è sempre stata nella
storia della cultura. La filosofia appartiene ad una epoca, per lo meno la filosofia intesa come
noi la intendiamo in base a quello che vale il termine filosofia. Cioè la filosofia da cui noi
prendiamo le mosse è la filosofia come è stata intesa dai greci e come poi si è svolta nella
storia di tutto il pensiero occidentale, greco, romano, medievale, moderno fino alle più recenti
evoluzioni. Quindi siamo all’interno di questo blocco storico. Questo blocco culturale entro il
quale noi ci muoviamo ed entro il quale noi parliamo di filosofia è un blocco che contiene in sé
alcuni punti fondamentali. Il primo punto fondamentale, il più semplice anche se appare
visibilmente più tardi, ma il più semplice, è che il pensiero è al tempo stesso una continuità ed
una rottura di continuità con l’essere, pensare ed essere sono una medesima cosa
(Parmenide). Che cosa vuol dire che pensare ed essere sono una medesima cosa, che in effetti
il pensare è nella sua matrice elementare un complicarsi dell’essere stesso. E qui appunto il
sapere, il sapere nel senso originario del sapore. Un complicarsi, che so…il frutto, la mela, non
sia soltanto la mela ma sia il sapore della mela, e il sapore della mela non sarebbe senza il mio
addentarla, e provarne gusto, questo significa che la cosa mela, la melità si è arricchita, quindi
l’essere si è dilatato, l’essere si è ispessito e diventa pensiero. Noein in greco non significa
pensiero in senso logico, significa il pensiero nel senso dell’avvertimento. Il passaggio dalla
cosa nella sua bruta esistenza alla cosa avvertita. Ma la filosofia si riconosce nel pensiero che
al tempo stesso è l’espansione, l’arricchimento della cosa in avvertimento, e si riconosce però
anche nella rottura della continuità tra la cosa e l’avvertimento. C’è questa polarità, perché certo
anche il cane, l’uccello gustano la cosa e quindi la cosa nel becco dell’uccello, nella bocca del
cane ha per così dire un suo dilatarsi dall’inavvertito all’avvertito, però tutto si ferma lì. Il
pensiero nel senso strettamente umano comporta sia che avvenga questo arricchimento che è
proprio del passaggio dalla cosa al suo essere animalmente avvertita, sia però comporta anche
un trauma, una rottura, una discontinuità che venga a separare questa cosa con il suo essere
avvertito e colui che avverte la cosa che viene per così dire respinto verso il suo essere un
avvertimento che può cessare, quindi verso la non più fattuale immediatezza dell’avvertimento
ma verso la crisi dell’avvertimento. E questo mi pare un punto di fondamentale importanza, un
punto che io stesso non credo di aver mai messo in rilievo esplicitamente e che andrebbe
messo in rilievo. Cioè il nocciolo del pensiero sta in questa complementare funzione, perciò il
pensiero è anima. Una è la funzione animale, cioè quella del passaggio dalla separazione
dell’inerte inavvertito all’avvertimento. L’altra però, la funzione apparentemente opposta, polare,
che è quella di rompere questa continuità. Quindi la prima funzione è una funzione di continuità,
dall’inerte all’avvertito, la seconda è invece una funzione di rottura della continuità da questo
continuo unico inerte-avvertito ad una opposizione duale tra l’avvertito e la possibilità di non
avvertire, perché il soggetto colui che avverte nasce a se stesso nel momento in cui avverte la
possibilità di non avvertire quello che lui vorrebbe avvertire…lo scacco. Ecco questo è un punto
fondamentale che bisogna tener presente per capire l’origine del concetto occidentale di
filosofia. Noein, quindi continuità, ma anche viceversa opposizione, polimia, guerra tra due
termini e poi alla fine logos che è appunto l’esigenza di raccogliere, di riunificare ciò che è stato
rotto, ma è chiaro che riunificandolo non è più continuità, la continuità una volta rotta non sì
restaura più. Questo è un altro punto essenziale. Il leghein è il mettere insieme cose diverse è
una specie di insieme appunto anche nel senso matematico della parola, non è riduzione
all’unità, è un insieme. Cioè non si dissolvono i singoli termini che io ho raccolto nel mio averli
raccolti. Mantengono la loro pluralità. E quindi il pensiero è un raccogliere che continuamente
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combatte contro il mantenersi separato delle cose raccolte, il mantenersi separato delle cose
raccolte senza il quale peraltro il pensiero stesso non penserebbe. Questo è il paradosso.
P.F. : Perché se fosse ancora vigente la continuità non ci sarebbe pensiero.
A.M. : Qui potremmo usare l’analogia dell’amore che formula Sartre in Il diavolo e il buon Dio
laddove la donna dice al suo amante, dice amami nella maniera più forte possibile, e lui dice sì
però stai attenta che se ci amassimo nel senso pieno, totale, assoluto della parola non
saremmo più due ma saremmo uno, e se fossimo uno non ci potremmo amare. Questo è
proprio il simbolo del pensiero il quale porta, raccoglie la molteplicità e tende quindi a
dissolverla nella unità ma nel momento stesso in cui tende a dissolverla nella unità sa di non
poterla dissolvere fino in fondo anzi è fiducioso di non poterla dissolvere fino in fondo perché in
questo caso se ciò avvenisse cesserebbe il pensiero stesso.
P.F. : Però qui c’è appunto il valore formativo del pensiero che nella immediatezza di
rincorrere o il proprio desiderio o la propria paura o di lasciarsi all’inerzia tende a rincorrere
questa unità al di là delle differenze e quindi tende ad andare oltre il mondo propriamente
umano che è fatto di differenze, invece il valore formativo della filosofia è mostrare che andare
oltre quelle differenze è impossibile ma l’unica via della vita umana è quella di amplificare la
rete delle relazioni in cui tutte queste differenze possono essere legate fra di loro, e quindi che
quel negativo che ha prodotto il pensiero, quel negativo, quello scacco, quella scissione che ha
prodotto il pensiero deve essere trasformato in un valore positivo ma non ricomposto, non
ridotto.
A.M. : E qui facciamo un altro passo avanti. Che cosa ci consente di pensare il pensiero come
questa singolare tensione tra la ricomprensione delle singole cose per condurle all’unità e al
tempo stesso l’impossibilità di ricomprenderle, impossibilità fortunata perché se questa
ricomprensione fosse possibile fino in fondo il pensiero stesso cesserebbe? Che cosa ci
consente di mantenerci per così dire a questa livello dialettico, opposizionale mai irriducibile
all’unità del pensiero? Perché tutti gli idealismi dichiarati come tali o non dichiarati come tali di
fronte a questo problema annaspano e finiscono per crollare? Perché se è possibile riconoscere
questa interna tensione di cui è fatto il pensiero a ricondurre l’unità e al tempo stesso a evitare
che ciò avvenga fino a rendere impossibile il pensiero stesso è perché il pensiero non è un
soggetto, è perché il pensiero non pensa, perché chi pensa è un soggetto non ideale ma reale
che è l’uomo. Cioè la paticità poi significa questo. Lei prima diceva il bisogno di pensare, ma
perché il pensiero dovrebbe avere il bisogno? Il pensiero o è unico o è multiplo, o è identico o è
contraddittorio, formalmente messo lì davanti a noi. Il bisogno è una connotazione dinamica, il
bisogno è un’aspirazione, un desiderio, il pensiero come tale non desidera niente, è atto puro
diceva Aristotele, cioè voleva dire che non desidera niente. Quindi il linguaggio della filosofia
occidentale diciamo da Platone in poi è stato reo di aver sostituito il soggetto reale con il
soggetto ideale. E allora non è possibile…se noi ci fermiamo soltanto al soggetto reale noi
siamo nella posizione empiristica o addirittura al limite volgarmente materialistica cioè alla
entificazione del frammento come tale, se viceversa ci poniamo in una posizione idealistica ci
poniamo nella posizione dell’accecamento di fronte alla evidente molteplicità e frammentarietà.
Quindi il problema è riconoscere la frammentarietà senza essere frammentisti. Riconoscere la
frammentarietà senza essere frammentisti comporta una concezione del pensiero come di una
funzione, anzi della funzione fondamentale dell’uomo, della funzione radicata nella paticità
dell’uomo, nell’essere l’uomo esposto al rischio, al dolore, al desiderio e nell’essere sotto la
pressione di queste forze l’uomo portato a accettare sì quella continuità di cosa e avvertimento
che rientra perfettamente nella paticità, al tempo stesso però introducendo in questa
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accettazione un elemento di rottura, un elemento di messa in mora. Quindi c’è una dialettica
reale che è quella tra il momento noetico e il momento viceversa rigorosamente logico. Il
momento noetico è quello che soltanto riconoscendo la paticità noi possiamo riconoscere, il
momento rigorosamente logico viceversa è quello che appartiene al pensiero considerato nella
purezza, puramente astratta, della sua formulazione come oggetto del pensiero veramente tale
che è quello che di volta in volta scaturisce dalla vita e sempre continuamente pensa.
(conversazione del 15/4/2002)
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