LA CONVERSIONE DI JOHN HENRY NEWMAN Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Inghilterra per la beatificazione di John Henry Newman, avvenuta il 19 settembre 2010, potremmo considerarlo come una specie di viaggio a ritroso rispetto a quello compiuto a suo tempo dal grande intellettuale inglese che iniziò la sua conversione alla Chiesa cattolica, a partire da un viaggio giovanile in Italia, in particolare a Roma e in Sicilia, nel 1832. Possiamo assumere questo viaggio a simbolo della sua conversione alla Chiesa di Roma, una specie di ritorno alle origini di quella fede che egli sperimentò inizialmente in grembo alla Chiesa anglicana: un faticosissimo percorso intellettivo e spirituale insieme. In lui, ricerca della verità, elaborazione del pensiero e lavorio dell’anima, santità, coincidono. Definire questo percorso ricorrendo alla categoria della “conversione”, chiede una spiegazione Quando pensiamo alla conversione, in genere le attribuiamo una connotazione morale. Intendiamo il passaggio da una vita disordinata ad una vita più o meno cristiana, più o meno evangelica, rispettosa dei comandamenti. Non è immediatamente in questo senso che il termine “conversione” può essere speso per delineare il percorso di Newman. Infatti, dal punto di vista religioso Neuwman era stato educato secondo la più classica tradizione anglicana fondata sul “Prayer Book” e sulla Bibbia Pertanto, non si può parlare della sua conversione alla maniera di Agostino ( figura affine a Newman), per il quale la conversione era il superamento del passato di peccato ed un progressivo avvicinamento a Dio, ma se ne deve parlare come di un cammino faticoso verso la pienezza della verità. Forse il termine che più gli si addice è il termine “sviluppo”, cioè maturazione dell’anima verso la pienezza della Verità, di quella Verità che è “più intima di quanto noi lo siamo a noi stessi” Non è casuale che una delle sue opere più impegnative e più significative, e che oltretutto, costituisce il preludio alla conversione cattolica, sia proprio: “Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana”, scritto nel 1845. L’iter di John Henry Newman Quando si parla della conversione di Newman, solitamente si fa riferimento alla notte tra l’8 e il 9 di ottobre del 1845, a quella notte in cui padre Dominic Barberi ( prete passionista beatificato da Paolo VI nel 1963), dopo aver viaggiato per cinque ore sotto la pioggia, arrivò a Littlemore, il paesino in cui Newman era andato a vivere dopo essersi dimesso da vicario della Chiesa St Mary’s dell’Università di Oxford (il 7 settembre 1845) accolse Newman in seno alla chiesa cattolica dopo decenni di ricerca teologica, filosofica, spirituale. P. Barberi cominciò a sentire la confessione di Newman quella sera stessa e continuò il giorno successivo, il 9 ottobre, giorno in cui fu accolto definitivamente nella Chiesa cattolica romana. Ebbene questa conversione non fu improvvisa, ma era il frutto di un lungo cammino, segnato da alcune tappe significative, per cui potremmo parlare di almeno quattro conversione o meglio di quattro tappe tra loro strettamente connesse. Prima conversione Newman era cresciuto “nella religione nazionale inglese” – la “religione della Bibbia”, che non consiste in riti o “credo”, ma più che altro nella lettura della Bibbia in chiesa, in famiglia e in privato - , da anglicano devoto. Lggeva la Bibbia e ne traeva “grande diletto”. Nel 1816, tuttavia, all’età di quindici anni, quando andava ancora a scuola, si ammalò (malato e depresso per la bancarotta del padre, socio di una banca cittadina -; sarà la prima di tre malattie significative in quella fase della sua vita. Nella convalescenza lesse diversi libri di orientamento calvinista ed ebbe là una prima esperienza di conversione. Credette di essere “prescelto per l’eterna gloria». Dice nella “Apologia pro vita sua”: “Uno dei primi libri che lessi fu un’opera di William Romaine (esponente evangelico di tendenza calvinista); non ricordo né il titolo, né il contenuto tranne una dottrina: la dottrina della perseveranza finale. L’accettai immediatamente, e credetti che la conversione interiore della quale ero conscio ( e della quale sono ancora più sicuro che del fatto di 1 avere mani e piedi) sarebbe durata fin nella vita futura e che ero prescelto per la gloria eterna…La conservai fino all’età di ventun anni, quando gradualmente svanì”. Si discute se questa conversione sia una conversione alla fede “evangelica” di stampo calvinista . Tenendo conto però del desiderio di perfezione morale che animava il giovane Newman in quegli anni e del fascino esercitato su di lui dal pastore Walter Mayers, quella che lui chiama “conversione” non fu altro che l’incontro di un adolescente solitario con il Dio personale e vivo di cui ha cominciato a percepire la presenza nel cuore stesso della sua esistenza Sta di fatto che il giovane adolescente, all’indomani di questa “conversione”, non è più lo stesso. La sua tendenza al moralismo, ereditato dalla sua infanzia, non si smentisce, anzi viene accentuato da un certo puritanesimo tipico della visione “evangelical”. Oltretutto è stimolato ormai dalla convinzione interiore di una chiamata, di una vocazione da parte di Dio. Dio è decisamente entrato nella vita di Newman e ne riceve un definitivo orientamento. E’ l’epoca in cui si conferma nella sfiducia nei confronti della realtà dei fenomeni materiali e riposa nel pensiero ”di due, e solo due, esseri assoluti, di un’intrinseca e luminosa evidenza: me stesso e il mio Creatore” (Apo., p. 137). Infatti, “considerando me stesso come predestinato alla salvezza, la mia mente non si occupava degli altri, immaginandoli non tanto come predestinati alla morte eterna, ma semplicemente dimenticati. Pensavo soltanto alla misericordia mostrata verso di me” (p.138). Questa affermazione segna in modo indelebile la spiritualità di Newman, ma segnala anche il suo carattere introverso e per alcuni versi solitario. Di qui però, anche la sua capacità di introspezione e di rara lealtà con se stesso e con gli altri, dovuta all’educazione “evangelical” ricevuta nell’infanzia. . Se si volesse analizzare la natura di questa conversione, dovremmo dire che il nucleo profondo consiste nel passaggio, da una fede nozionale ad una fede “reale” come vissuta consapevolezza Apparentemente non avvenne nulla di particolare; non accadde nulla di incontrollato ed entusiasta che potesse esser paragonato al battesimo nello Spirito o alla glossolalia (il parlare in lingue); gli effetti immediati di quell’esperienza rimasero per un po’ per poi scomparire nel corso di cinque anni. Lo resero tuttavia un fervido evangelico (evangelical). Proprio in questo periodo, autunno del 1816, Newman parla di un’altra “profonda sensazione” che si impossessò di lui:”l’idea, cioè, che era volontà di Dio che io rimanessi celibe” (Apol. p. 141). Si tratta di un presentimento che lo accompagnò costantemente, quasi senza interruzione, salvo qualche breve periodo, e che poi continuò senza alcuna interruzione. Il celibato era da lui percepito anche nella sua dimensione di sacrificio, cioè di rinuncia, connesso però con una attrazione per il lavoro missionario tra i pagani che lo accompagnò per alcuni anni. Sappiamo come nell’anglicanesimo, come nel protestantesimo, il celibato non è molto stimato, anche se è possibile assumerlo in relazione al ministero pastorale, come farà Newman. Il presentimento del celibato a quest’età è un segnale, ancora flebile di quella futura vocazione che già ora riesce timidamente a scorgere. Ad Oxford Nel giugno 1817 inizia a frequentare il Trinity College di Oxford avvertendo immediatamente il fascino e l’atmosfera della cittadella universitaria. Qui entra in contatto con la colta aristocrazia inglese che non tralascia hobbies e svaghi, aspetti che però non trovano corrispondenza con i suoi gusti, anzi non fecero altro che “aumentare quel senso di separazione dal mondo visibile “ che aveva fortemente avvertito nella sua cosiddetta “conversione” da quindicenne. In questi anni la sua famiglia dimostra di apprezzare i successi che ottiene negli studi ma di essere poco sensibile e accondiscendente al suo cammino religioso. Così all’inizio del 1819, assecondando la volontà paterna, si iscrive al Lincoln Inn, rinomata facoltà di diritto, ma nel frattempo segue anche varie lezioni universitarie non finalizzate al suo corso di laurea. 2 Dopo questa parentesi di studio piacevole, svincolato da ogni schema scolastico, nel novembre del 1820 consegue la laurea con il minimo dei voti. A questo punto si apre il problema della scelta sulla sua vita futura: seguire le indicazioni del padre che lo vuole dedito alla carriera forense, oppure assecondare l’inclinazione religiosa intravista al momento della conversione del 1816 e l’aspirazione a compiere un’opera intellettuale e pastorale, possibilmente a Oxford. L’11 gennaio 1821, in una nota dei suoi Memorandum, scrive: «Mio padre, questa sera, mi ha detto. che devo decidere sul mio avvenire. Io ho dunque scelto e ho deciso per la Chiesa. Grazie a Dio è questo ciò per cui avevo pregato ». Newman sceglie quindi di concorrere all’esame per l’ammissione a “Fellow” (è il titolo più prestigioso dell’Università” che unifica il ruolo dell’insegnante e quello dell’uomo di Chiesa) nel prestigioso Oriel College, anche se il parziale insuccesso ottenuto con la laurea, gli aveva fatto perdere credibilità e ora più nessuno pensava a un suo brillante futuro. Tuttavia, il suo coraggio e la sua volontà vengono premiate il 12 aprile 1822 quando si verificò quello che egli stesso considera l’avvenimento più gioioso della sua vita: è nominato “fellow” dell’Oriel College di Oxford. Una seconda conversione: l’influenza del “Liberalesimo” Qui ad Oriel College si respira un’aria piuttosto aristocratica e intellettuale molto lontana dalla precedente esperienza “evangelical”. Un suo amico gli aveva detto che “la sala delle riunioni, a Orel, puzza di logica”, volendo indicare con ciò quell’orientamento culturale che va sotto il nome di “Liberalismo”, tendenza che, con il pretesto della liberazione del pensiero, rifiuta ogni autorità che non sia quella della ragione. Newman nei suoi primi scritti parla dell’atteggiamento culturale che ne è alla base utilizzando il termine “razionalismo”: di fatto il “Liberalismo” in sostanza non è altro che lo sviluppo del razionalismo filosofico seicentesco, che ha come premessa la ragione in quanto misura assoluta del reale. Già a quattordici anni Newman, a seguito di alcune letture, aveva subito il fascino di quel pensiero. Ad Oriel, frequentando gli intellettuali suoi colleghi (I noetici, per il loro vigore intellettuale e il loro culto della logica), imbevuti dello spirito scettico e liberale, subisce il fascino di quel “mal du siècle”, il razionalismo liberale, che stava invadendo molti spiriti e stava entrando anche nella chiesa d’Inghilterra. Di passaggio, potremmo evidenziare come la visione di Newman sul liberalesimo religioso coincide con la posizione adottata da papa Benedetto XVI, il quale probabilmente subì l’influenza del punto di vista di Newman. Anche per papa Benedetto XVI il relativismo – dittatura del relativismo – rappresenta una minaccia perché quando si abbandona la verità oggettiva l’uomo non riconosce più nulla di definitivo e come ultima misura non ha che se stesso e le proprie voglie. In questo periodo, Newman dice di sé “ cominciavo a preferire una perfezione intellettuale a una perfezione morale, ero entrato nella scia del “liberalesimo” del tempo”. E’ tentato dal pensiero che è preferibile conoscere la verità piuttosto che viverla. Bisogna dire però, che ad un livello più profondo, l’influenza dei “noetici” fu stimolante per il pensiero religioso di Newman. Legato agli schemi un po’ semplicisti della dottrina “evangelical” che riduceva il Credo alla fede in Cristo salvatore, e la Chiesa all’invisibile comunione delle anime predestinate, sotto l’influenza di uomini come Hawkins e Whately, conobbe una dottrina della rigenerazione battesimale, della visibilità organica della chiesa, dell’autorità del suo insegnamento, dell’efficacia dei sacramenti, fino al punto di giungere a rivendicare l’“indipendenza” della Chiesa inglese dalla Corona. L’influenza dei noetici però non durò a lungo. Due gravi avvenimenti gli impongono una riflessione che lo spinge ad abbandonare l’esperienza “razionalista”: la malattia depressiva che lo colpisce nel 1827 e la morte della amatissima sorella Mary, nel gennaio 1828. 3 Una terza conversione. All’interno della Chiesa d’Inghilterra A fronte di queste due esperienze, Newman si chiede: Che cosa sia veramente importante. L’impegno intellettuale non poteva certo essere paragonato alla morte della sorella, né poteva essere più importante della sua salute. Ecco allora quella che potremmo considerare una “nuova conversione: non era più affascinato dal solo intelletto e se aveva flirtato con il razionalismo, ora quel flirt cessò del tutto. E’ in questo contesto che va ricordata l’influenza esercitata su Newman da alcuni suoi amici ad Oxford. Si tratta di John Keble, Richard Hurrell Froude, Edouard Pusey che formeranno con lui il primo gruppo di uomini, responsabili del rinnovamento della Chiesa anglicana, che passerà alla storia sotto il nome di “Movimento di Oxford”. Sono uomini religiosi, ferventi, lontani da ogni virtuosismo intellettuale, animati dall’unica ambizione di servire la loro chiesa. Essi difendono l’idea di una chiesa che non può testimoniare la sua missione senza ritrovare le fonti della propria fede nella tradizione storica che l’ha da sempre protetta e alimentata. Il fascino che ognuno esercitava non poteva non esercitare un influsso anche su un uomo come Newman, sempre ansioso di perfezione morale. Nella Apologia pro vita sua dirà di aver imparato dai suoi amici a ”guardare con ammirazione la Chiesa di Roma e di conseguenza staccarsi dalla Riforma. A radicare profondamente in lui l’idea della devozione alla Vergine e a credere alla presenza reale”. Nel frattempo, contro il parere del padre, si decide di abbracciare lo stato ecclesiastico. Nel maggio del 1824 viene ordinato diacono e accetta l’incarico di “vicario” nella parrocchia di S. Clemente. In questo stesso periodo si rende conto dell’inconsistenza dell’Evangelismo. Viene ordinato diacono e inizia per lui il ministero attivo, soprattutto il ministero della predicazione. Nel maggio del 1825 è ordinato pastore anglicano e diventa parroco di St. Mary, la chiesa dell’università, dove i suoi Sermoni avranno una influenza straordinaria. Riflettendo sulla sua missione e sulla missione della Chiesa si rende conto che essa non è altro che il prolungamento della tradizione antica. Questo lo spinge ad uno studio appassionato dei Padri dell’antichità cristiana. Dirà: “Via via che mi allontanavo dall’ombra di quel liberalismo che aveva gravato sul mio cammino, risorgeva la mia antica devozione verso i Padri”. E’ proprio a partire da questi studi che nasce anche il teologo-Newman. Stabilendo delle analogie tra la situazione dei primi secoli e quella attuale, Newman afferma che anche i Padri dovettero difendere la fede dai tentativi di una ragione che già all’epoca delle eresie si preoccupava solo di sostenere unicamente l’evidenza della realtà visibile contro la concezione più platonica che le realtà invisibili sono più reali di quelle visibili. Attraverso i Padri dunque, Newman riscopre la realtà del Mistero nella sua dimensione più profonda che è il Cristo presente nella Chiesa. Ripercorrendo la sua vicenda, fino a questo punto, la vediamo segnata da alcune preoccupazioni ricorrenti che conferiscono unità alla sua vita di anglicano prima e di cattolico poi, nonché al suo modo di pensare: Tre in particolare: * La preoccupazione o meglio la sua devozione nei confronti della causa della religione rivelata. Per lui, la Rivelazione è l’evento iniziale e fondamentale del cristianesimo. Fu l’interesse fondamentale della sua vita; * La seconda preoccupazione per la realtà della Chiesa. Quanto è stato rivelato, per quanto carico di significato, è inutile se non viene ricevuto. La fede riceve la rivelazione, ma la fede non è mai disincarnata. Cioè é la Chiesa, in quanto comunità di fede che riceve e cerca di vivere e trasmettere la rivelazione; * La sua terza preoccupazione fu il dogma, cioè lo sforzo di interpretare e distillare ciò che è stato rivelato per poterlo comunicare: 4 E’ difficile fare un bilancio di quanto in tutto ciò Newman sia debitore dei Padri della Chiesa. Certamente gli hanno dato quelle certezze e quelle garanzie di cui aveva bisogno per inoltrarsi nel campo complesso dei dibattiti dottrinali. La quarta conversione alla Chiesa cattolica Bisogna dire che l’approdo alla chiesa di Roma, passa attraverso la preoccupazione di salvaguardare l’integrità della Chiesa d’Inghilterra, che vedeva minacciata dagli evangelici da una parte e dai liberali dall’altra e anche da alcune personalità della Chiesa stessa che avevano perso il senso del suo ricco patrimonio. La Chiesa inglese è infatti caratterizzata, nel primo scorcio del XIX secolo da forti tensioni interne, poiché essa, a causa della sua complessa storia, si trova ad essere il risultato di un compromesso religioso: Lutero, Calvino, Zwingli, tutti nemici di Roma ma nemici tra loro. Non è esagerato affermare che, per Newman la Chiesa di Stato anglicana consiste nella fusione di tutte queste tendenze protestanti, con l’aggiunta di una notevole dose di cattolicesimo. Infatti ha mantenuto i riti, le preghiere e i simboli della Chiesa antica, mentre gli articoli di fede li prende da fonti luterane e zwingliane e la sua traduzione della Bibbia ha un sapore calvinista. Newman vuole ridare all’anglicanesimo il suo statuto originario, lontano dalla corruzione del cattolicesimo romano e dalle negazioni protestanti e pensa all’anglicanesimo come alla”via media” tra protestantesimo e cattolicesimo. Di tanto in tanto però gli appare il fantasma che la chiesa di Roma abbia ragione, al di là dei suoi eccessi dogmatici, e che la continuità apostolica sia salvaguardata dalla Chiesa di Roma. Il viaggio in Italia Decisivo fu il viaggio in Italia, a Roma e in Sicilia. Nel 1832 - all’età di trentun anni - Newman intraprese un lungo viaggio nell’Europa mediterranea, che prevedeva diverse tappe: Gibilterra, la Grecia, Malta, la Sicilia e infine Roma, In questo viaggio ebbe modo di incontrare per la prima volta un uomo che avrebbe giocato in seguito un ruolo importante nella sua vita: il Rettore del Collegio Inglese di Roma ( un’istituzione formativa per i candidati inglesi al sacerdozio), Nicholas Patrick Wiseman, che diventerà Arcivescovo cattolico di Westminster, il primo arcivescovo cattolico dopo la ricostituzione della gerarchia in Inghilterra. Era la prima volta che Newman visitava Roma, la sede del papa, colui che i più intransigenti tra i protestanti ritenevano essere l’anticristo. Di fronte al centro del Cattolicesimo mondiale, Newman ebbe una reazione curiosa: da una parte rimase sinceramente ammirato della devozione della gente semplice, quello che mancava alla sua chiesa anglicana”. Dall’altra parte fu colpito dalla poca educazione del clero, mentre il papato - che ebbe modo di vedere solo da lontano, nelle fastose celebrazioni pontificie - non ebbe su di lui alcun effetto: per lui restava qualcosa di incomprensibile, qualcosa che lo allontanava piuttosto che avvicinarlo alla Chiesa cattolica. In sostanza, ‘Newman si sentì confermato in una delle sue convinzioni più importanti, quella dell’Anglicanesimo come via media. Per lui, l’anglicanesimo rappresentava il giusto mezzo, tra i cattolici e i protestanti. Newman vedeva da una parte i cattolici con la loro rigidità istituzionale, dall’altra parte i protestanti con il loro individualismo. I pregiudizi verso il cattolicesimo facevano parte di una sorta di retaggio storico-culturale, ma quello che gli sembrò importante - fin dal viaggio a Roma - fu la realtà del dogma, come strumento fondamentale che permette di evitare degli sbandamenti: l’uomo lasciato da solo facilmente sbaglia, perde la strada, mentre il dogma gli indica l’ortodossia, la dottrina giusta. La teoria dell’anglicanesimo come Via Media, una volta rientrato, costituirà l’oggetto della sua ricerca e diventerà la spina dorsale del Movimento di Oxford, al quale avrebbe dato vita, con i suoi amici, di lì a poco. Esso si proponeva di rilanciare l’Anglicanesimo con l’intento di salvare il 5 patrimonio di fede e la continuità rituale e dogmatica della Chiesa anglicana con la Chiesa antica, sottolineando perciò le affinità, piuttosto che le divergenze, con il Cattolicesimo”. Lasciatasi alle spalle Roma, Newman decise prima di rientrare in patria di tornare a visitare la Sicilia. Era la terra che maggiormente lo aveva colpito incantato con la sua arcana bellezza in quel lungo tour, e così decise di trascorrervi ancora dei giorni, da solo. “La percorse per diversi giorni, quando agli inizi di maggio, mentre faceva tappa a Leonforte, un centro della provincia di Enna, situato nell’interno dell’isola, Newman si ammalò gravemente, per una forma di febbre tifoidea. L’esperienza vissuta durante questa malattia fu tale che Newman ricorderà quei giorni del maggio 1833 come una delle tappe più significative per la sua comprensione del Mistero divino. Fu proprio a Leonforte che Newman fu assalito da mille dubbi sul suo credo religioso, e proprio in quei giorni, mentre lottava tra la vita e la morte, una limpida luce di maggio lo illuminò e gli diede il senso della verità che poco tempo dopo gli fece affrontare il passo decisivo per entrare nella Chiesa Cattolica. Durante i giorni di malattia, mentre la febbre lo divorava, ripeteva spesso queste parole: ‘Io non ho peccato contro la Luce. Fu un’esperienza quasi mistica, che Newman, una volta rimessosi in salute e salpato dalle coste siciliane, tradusse in una poesia che è anche una struggente preghiera, dove esprime la sua fiducia nella Provvidenza che lo avrebbe guidato nella realizzazione di una particolare missione. Guidami, Luce gentile Guidami tu, luce gentile conducimi nel buio che mi stringe; la notte è scura la casa è lontana, guidami tu, luce gentile “Quel viaggio, quella malattia con la lucidità interiore che ne era seguita, fu provvidenziale. In quelle settimane Newman ebbe l”intuizione” e il presentimento di una sua missione che lo attendeva, insieme alla persuasione di non aver mai peccato contro la Luce ma di avere assolutamente bisogno di Luce. John Henry Newman fece ritorno a casa, con nel cuore il ricordo vivido di questa particolare, impressionante esperienza, di questa sorta di estasi mistica che l’aveva restituito poi al mondo con l’anima ancora più assetata di verità”.(Gulisano) * Convinto che le verità rivelate da Dio non possono venire meno, ritiene indispensabile ritrovare la medesima fede, da lui professata, prima nella Chiesa calvinista e poi nella Chiesa bassa d’Inghilterra, di ritrovarla nei Padri della Chiesa, cioè nei primi teorizzatori del Cristianesimo. Riflettendo infatti, (il Trattato n. 90) sui 39 Articoli del Credo, la Magna Charta dell’anglicanesimo, rivendicati come difesa contro il cattolicesimo romano, contro il papismo e la superstizione, si rende conto che essi sono suscettibili di essere interpretati nel senso dei dogmi cattolici, definiti dal Concilio di Trento. Il credo elaborato a Trento, a sua volta, rinvia alla dottrina dei Padri, fedele a sua volta al Credo apostolico. Risulta dunque esserci, proprio nella Chiesa di Roma la continuità della successione apostolica e la conservazione della tradizione primitiva. Pertanto “le corruzioni” di cui la si accusa non sono altro che legittimi sviluppi di una fede viva che è rimasta la stessa degli Apostoli. E’ lo scandalo! Sospettato di “romanità”, Newman è costretto a lasciare Saint Mary’s (18 settembre 1843) e si ritira nella solitudine del piccolo villaggio vicino ad Oxford, Littlemore, dove aveva acquistato un terreno con l’intenzione di costruire un monastero anglicano. Rimane ancora per due anni nella Chiesa anglicana, sostanzialmente come laico. In una lettera a un amico confessa: « ... ho gli occhi pieni di lacrime, dovute alla natura di questo momento in cui sto per rinunziare a tante cose che amo... Come potevo restare a Saint Mary’s da ipocrita? Come potevo rispondere di altre anime (in una vita così incerta) con le convinzioni o almeno con le opinioni che avevo? Certo è 6 una grande responsabilità agire come agisco io; e sento gravare incessantemente su di me la mano di Colui che è tutto sapienza e amore, e cuore e anima sono sfiniti, come potrebbe esserlo il corpo se avessi un gran peso sulle spalle. Sento quella sorta di dolore sordo e continuo; ma la mia responsabilità attuale non è nulla in confronto a quella che avrei se dovessi rispondere di anime, anime fiduciose e piene d’amore, nella Chiesa inglese e con le mie convinzioni ». A Littlemore Newman torna a tuffarsi sempre di più nell’approfondimento della teoria dello sviluppo dottrinale e nella preghiera per la decisione che l’attende. Fraintendendo grossolanamente le vere intenzioni di Newman, che combatteva il liberalismo per difendere la sua chiesa, gli intellettuali lo accusano di avere da sempre lavorato occultamente per la Chiesa di Roma. Ebbene, se tale accusa è ingiusta, è però vero che, facendosi guidare dal suo amore per la verità dalla sua onestà teologica, egli stava inconsapevolemente indirizzando la sua riflessione verso la fede della Chiesa cattolica.: “ …da anni – egli dice – doveva esserci in me una sorta di sensazione continua…di non aver trovato un definitivo riposo alla mia mente e di essere, in qualche modo, sempre in cammino…Cosa dovevo fare? Qui stava il problema…Risolsi di farmi guidare non dall’immaginazione ma dalla ragione” Con l’inverno del 1841-1842 comincia un periodo tormentato pieno di dubbi laceranti e perplessità durante il quale si sentì certamente disorientato e in preda ad una sorta di malattia spirituale. Ormai si era convinto che le caratteristiche distintive della vera chiesa, nella Chiesa anglicana, si erano progressivamente confuse e che non era possibile tentare di rinnovarle, anche se non poteva essere che Dio avesse abbandonato la Chiesa anglicana. Non riusciva ancora a decidersi ad abbandonare la Chiesa d’Inghilterra. anche se per altro verso desiderava l’unione con Roma. Il 9 ottobre del 1845, all’ora del Vespro, una serata di pioggia e vento, il suo desiderio si realizza. Il padre passionista Dominic Barberi l’accoglie nella chiesa cattolica. La sua ricerca (conversione) era giunta al termine. Non ci sarebbero più stati cambiamenti come quelli che abbiamo ricordato, dalla conversione evangelica, all’apprezzamento dell’eccellenza intellettuale ad Oxford, all’anglo-cattolicesimo, fino all’approdo alla chiesa cattolica. Ecco come il teologo Louis Bouyer commenta questo evento: “L’avvenimento così tanto atteso dagli uni, temuto dagli altri si era verificato. La Chiesa d’Inghilterra perdeva per sempre colui che si era impegnato più di ogni altro per ridarle vita. La Chiesa cattolica accoglieva finalmente colui che da lungo tempo l’aveva onorata come madre, ma che solo dopo tante fatiche aveva potuto riconoscerla sotto una maschera per lui straniera”. Nei primi anni da cattolico, visse una sorta di luna di miele manifestando un entusiasmo da neofita. Andò a Roma per prepararsi all’ordinazione sacerdotale e fu ordinato nella congregazione dell’Oratorio fondata da S. Filippo Neri nel XVI secolo. Torna poi in Inghilterra e fonda l’Oratorio a Birmingham. La luna di miele però non durò a lungo. Presto dovette cominciare a sopportare difficoltà che lo tormentarono per anni. Nel suo diario, molto tempo dopo (1863), avrebbe osservato: “Da protestante sentivo la mia religione monotona, ma non la mia vita, da cattolico è la mia vita ad essere monotona, non la mia religione”. Nel 1879 Leone XIII lo nomina cardinale, quasi a ripagarlo delle molte mortificazioni subite. Morirà l’11 agosto del 1890 a 89 anni. 7