PROGRAMA ANALITICĂ Disciplina: LIMBA ITALIANĂ (Morfosintaxă) Specializarea: Română – Italiană Anul I ID, Semestrul I Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PÎRVU Programa analitică Denumirea disciplinei Limba Italiană (Morfosintaxă), Anul I Semestrul Codul disciplinei Facultatea Litere Domeniul de licenţă Filologie Programul de studii de licenţă (specializarea) Română - Italiană I Numărul de credite Numărul orelor pe an / activităţi Total SI TC AT Categoria formativă a disciplinei: DF - fundamentală, DG - generală, DS - de specialitate, DE - economică/managerială, DU - umanistă Categoria de opţionalitate a disciplinei: DI - impusă, DO - opţională, DL - liber aleasă (facultativă) Discipline anterioare Obiective Conţinut (descriptori) Obligatorii (condiţionate) Recomandate AA DF DI - - însuşirea de către studenţi a caracteristicilor fiecărei părţi de vorbire; - însuşirea de către studenţi a deprinderilor de a se exprima corect în limba italiană. 1. L’articolo 1.1. L’articolo determinativo 1.2. L’articolo indeterminativo 1.3. Usi particolari dell’articolo 1.3.1. L’articolo con i nomi di persona 1.3.2. L’articolo con i cognomi dei personaggi famosi 1.3.3. L’articolo con i nomi geografici 1.3.4. L’articolo con i nomi dei giorni e dei mesi 1.3.5. L’articolo con i nomi di parentela 1.4. Omissione dell’articolo 1.5. La posizione dell’articolo 1.6. L’articolo partitivo 1.7. Le preposizioni articolate 2. Il nome 2.1.Classificazione dei nomi 2.2. Il genere del nome 2.2.1. Falsi cambiamenti di genere 2.3. La formazione del femminile 2.3.1. I nomi mobili 2.3.2. I nomi indipendenti 2.3.3. I nomi di genere comune 2.3.4. I nomi di genere promiscuo 2.4. Formazione del plurale 2.4.1. Nomi in -a 2.4.2. Nomi in -o 2.4.3. Nomi in -e 2.4.4. Nomi invariabili 2.4.5. Nomi difettivi 2.4.6. Nomi sovrabbondanti 2.4.7. Plurale dei nomi composti 3. L’aggettivo 3.1. Funzioni dell’aggettivo 3.2. Categorie dell’aggettivo 3.3. L’aggettivo qualificativo 3.3.1. Genere e numero dell’aggettivo qualificativo 3.3.2. Aggettivi qualificativi invariabili 3.3.3. Posizione dell’aggettivo qualificativo 3.3.4. Concordanza dell’aggettivo qualificativo 3.3.5. Nominalizzazione dell’aggettivo qualificativo 3.3.6. L’aggettivo con valore avverbiale 3.3.7. La struttura degli aggettivi qualificativi 3.3.8. Gradi dell’aggettivo qualificativo 3.3.8.1. Il grado comparativo 3.3.8.2. Il grado superlativo 3.3.8.3. Comparativi e superlativi organici 3.3.8.4. Comparativi e superlativi privi di grado positivo 3.3.8.5. Aggettivi che non hanno il comparativo e il superlativo 3.3.8.6. Superlativi sostantivati e nomi al superlativo 3.4. Gli aggettivi determinativi o indicativi 3.4.1. Gli aggettivi possessivi 3.4.2. Gli aggettivi dimostrativi 3.4.3. Gli aggettivi indefiniti 3.4.4. Gli aggettivi interrogativi 3.4.5. Gli aggettivi esclamativi 3.4.6. Gli aggettivi numerali 3.4.6.1. Aggettivi numerali cardinali 3.4.6.2. Aggettivi numerali ordinali 3.4.6.3. Aggettivi numerali moltiplicativi 3.4.6.4. Numerali distributivi, collettivi e frazionari 4. Il pronome 4.1. Classificazione 4.2. I pronomi personali 4.2.1. I pronomi personali soggetto 4.2.2. I pronomi personali complemento 4.2.3. I pronomi allocutivi 4.2.4. I pronomi personali riflessivi 4.2.4.1. “Si” impersonale e “si” passivante 4.2.5. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne 4.3. I pronomi possessivi 4.4. I pronomi dimostrativi 4.5. I pronomi indefiniti 4.6. I pronomi relativi 4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi Forma de evaluare (E - examen, C - colocviu / test final, LP - lucrări de control) E Stalibirea - răspunsurile la examen / colocviu / lucrări practice 50% notei - activităţi aplicative atestate / laborator / lucrări practice/ proiect etc. finale - teste pe parcursul semestrului 25% (procentaje) - teme de control 25% Bibliografia Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995. Laura Lepschy; Giulio Lepschy, La lingua italiana. Storia, varietà dell’uso, grammatica, Milano, Bompiani, 1993. Marcello Marinucci, La lingua italiana, Milano, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1996. Elena Pîrvu, La lingua italiana. Corso di morfologia, Craiova, Editura AIUS, 1999. Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, R.A, 2003. Lista materialelor didactice necesare Giampaolo Salvi; Laura Vanelli, Grammatica essenziale di riferimento della lingua italiana, Firenze, Istituto Geografico De Agostini Le Monnier, 1992. Marcello Sensini, La lingua italiana. Moduli di educazione linguistica e testuale, Milano, Arnoldo Mondadori Scuola, 1998. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989. Suport de curs ID Coordonator de disciplină Gradul didactic, titlul Elena Pîrvu Conferenţiar univ. dr. Semnătura Legenda: SI - studiu individual, TC - teme de control, AT - activităţi tutoriale, AA - activităţi aplicative aplicate SUPORT DE CURS Disciplina: LIMBA ITALIANĂ (Morfologie) Anul I ID, Semestrul I Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PÎRVU INDICE 1. L’articolo 1.1. L’articolo determinativo 1.2. L’articolo indeterminativo 1.3. L’articolo partitivo 1.4. Le preposizioni articolate 2. Il nome 2.1. La formazione del femminile 2.1.1. I nomi mobili 2.1.2. I nomi indipendenti 2.1.3. I nomi di genere comune 2.1.4. I nomi di genere promiscuo 2.2. Formazione del plurale 3. L’aggettivo 3.1. L’aggettivo qualificativo 3.1.1. Genere e numero dell’aggettivo qualificativo 3.1.2. Gradi dell’aggettivo qualificativo 3.2. Gli aggettivi determinativi o indicativi 3.2.1. Gli aggettivi possessivi 3.2.2. Gli aggettivi dimostrativi 3.2.3. Gli aggettivi interrogativi 3.2.4. Gli aggettivi esclamativi 4. Il pronome 4.1. I pronomi personali 4.1.1. I pronomi personali complemento 4.1.2. I pronomi allocutivi 4.1.3. I pronomi personali riflessivi 4.1.3.1. “Si” impersonale e “si” passivante 4.1.4. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne 4.2. I pronomi possessivi 4.3. I pronomi dimostrativi 4.4. I pronomi relativi 4.5. I pronomi interrogativi ed esclamativi 1. L’articolo La lingua italiana presenta tre tipi di articolo: determinativo, indeterminativo e partitivo. 1.1. L’articolo determinativo L’articolo determinativo indica una cosa ben definita, che si presuppone già nota. In italiano, l’articolo determinativo si accorda in genere e in numero con il nome cui si riferisce e presenta forme diverse a seconda di come inizia la parola che segue (che non è necessariamente il nome a cui l’articolo è sintatticamente collegato). In particolare, si usano: - gli articoli il e i, con i nomi maschili, davanti a parole che cominciano per consonante (eccetto x, y, z, s impura e i gruppi consonantici gn, pn, ps, sc): il bambino - i bambini, il bravo scolaro - i bravi scolari; - gli articoli lo e gli, con i nomi maschili, davanti a parole inizianti per s impura, x, y, z, gn, pn, ps, sc, e davanti alle semivocali i e j: lo sbaglio - gli sbagli, lo psicologo - gli psicologi, lo zio - gli zii, lo iato - gli iati, lo gnomo - gli gnomi, lo jugoslavo - gli jugoslavi. Davanti a parole inizianti per vocale, l’articolo lo si elide in l’: l’ospite - gli ospiti. - gli articoli la e le, con tutti i nomi femminili: la casa - le case, la iena - le iene. Davanti a parole inizianti per vocale, la forma la si elide in l’: l’amica - le amiche. 1.2. L’ articolo indeterminativo L’articolo indeterminativo introduce il nome cui si riferisce lasciandolo su un piano di genericità e di indeterminatezza: Quando vieni portami un giornale. (“un giornale qualsiasi”) In italiano, l’articolo indeterminativo ha soltanto il singolare, maschile e femminile. Si accorda quindi solo per genere con il nome cui si riferisce e, inoltre, presenta forme diverse a seconda di come inizia la parola che lo segue immediatamente. In particolare, si usano: - l’articolo un, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue inizia con una vocale o con una consonante diversa da x, y, z, s impura, e dai gruppi gn, pn, ps: un amico, un ottimo strumento, un ragazzo; - l’articolo uno, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue comincia per x, y, z, s impura, gn, pn, ps, oppure per le semivocali i o j: uno sbaglio, uno xilofono, uno zio, uno studente, uno gnomo, uno pneumatico, uno psicologo, uno iato, uno jugoslavo; - l’articolo una, con i nomi femminili singolari, quando la parola che segue comincia con una consonante o con le semivocali i e j: una ragazza, una iena, una jugoslava. Davanti a una vocale, l’articolo una si elide, ma sempre più raramente, in un’: un’amica, un’arma, un’attenta lettura. 1.3. L’articolo partitivo L’articolo partitivo indica una parte indeterminata, una certa quantità di un tutto divisibile. Indica cioè che la quantità designata dal nome che accompagna non è considerata nella sua totalità, ma solo in parte. Formato dall’unione fra l’articolo determinativo e la preposizione di, l’articolo partitivo presenta tutte le forme articolate della preposizione di: del, dello, della, dell’, dei, degli, delle. Al singolare, l’articolo partitivo equivale, per significato, alle espressioni: un po’ di, una certa quantità di, un certo numero di: Ho comprato del pane (= un po’ di pane). Al plurale, l’articolo partitivo equivale ad alcuni, alcune o qualche e sostituisce il plurale dell’articolo indeterminativo un, che non esiste: Ho trascorso il tempo leggendo dei giornali (= alcuni giornali). 1.4. Le preposizioni articolate Nell’ambito dei vari complementi che caratterizzano la frase, l’articolo determinativo è preceduto da una delle preposizioni di, a, da, in, su, con, e si unisce con esse dando luogo alle cosiddette preposizioni articolate. Naturalmente, a ogni forma dell’articolo determinativo corrisponde una forma di preposizione articolata, come appare anche dalla seguente tabella: di a da in su con il del al dal nel sul col lo dello allo dallo nello sullo collo la della alla dalla nella sulla colla l’ dell’ all’ dall’ nell’ sull’ coll’ i dei ai dai nei sui coi gli degli agli dagli negli sugli cogli le delle alle dalle nelle sulle colle Per quanto riguarda le preposizioni articolate formate da con, occorre distinguere tra l’uso scritto e l’uso parlato. Nella lingua scritta si preferiscono in genere le forme staccate con il, con la, con i ecc.; tra le forme unite si usa ancora col, mentre le altre hanno un carattere letterario. Nella lingua parlata, invece, prevalgono le preposizioni articolate col, colla, coi, cogli ecc., che sono più facili da pronunciare: Quella donna chiacchiera sempre con i passanti. Le forme articolate della preposizione per si trovano solo nel linguaggio letterario. Oggi si usano le forme staccate per il, per la ecc.: Il volo è stato rimandato per la fitta nebbia. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 7-18. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 149-161. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 161-189. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Indicare gli usi delle forme dell’articolo determinativo. 2. Indicare gli usi delle forme dell’articolo indeterminativo. 3. Definire l’articolo partitivo. 4. Indicare le forme delle preposizioni articolate. 2. Il nome 2.1. La formazione del femminile I nomi di cosa hanno un genere grammaticale fisso, determinato dall’uso linguistico: essi, perciò, sono sempre maschili o femminili, e non possono subire trasformazioni nel genere. Invece, i nomi che designano esseri animati possono avere i due generi, maschile e femminile, a seconda che indichino un essere di sesso maschile o un essere di sesso femminili. A seconda di come avviene il passaggio dalla forma maschile alla corrispondente forma femminile, i nomi che indicano esseri animati si suddividono in: - nomi mobili: il sarto / la sarta; lo spettatore / la spettatrice; - nomi indipendenti: il padre / la madre; - nomi di genere promiscuo: il leopardo maschio / il leopardo femmina; - nomi di genere comune: il preside / la preside. 2.1.1. I nomi mobili La maggior parte dei nomi di esseri animati sono mobili, cioè passano dal maschile al femminile mediante il cambiamento della desinenza o l’aggiunta di un suffisso, senza modificare la radice o con modifiche minime determinate dalla necessità di conservare, ad esempio, il suono velare di c o di g (duca duchessa). Così: - I nomi che al maschile terminano in -o passano al femminile prendendo la desinenza -a: il figlio - la figlia, il gatto - la gatta. - I nomi che al maschile terminano in -a formano di norma il femminile aggiungendo al tema il suffisso -essa: il poeta - la poetessa, il duca - la duchessa. - I nomi che al maschile terminano in -e formano il femminile in due modi diversi. Alcuni mutano la desinenza -e in -a: il signore - la signora, il padrone - la padrona. Altri, per lo più indicanti professioni, cariche o titoli nobiliari e nomi di animali, aggiungono al tema il suffisso -essa: lo studente - la studentessa, il principe - la principessa, il leone - la leonessa. Altri, infine, presentano la stessa forma per il maschile e per il femminile e sono, quindi, nomi di genere comune: il nipote - la nipote, il cantante - la cantante. - I nomi che al maschile terminano in -tore (i cosiddetti nomi di agente) formano il femminile, per lo più, in -trice: lo scrittore - la scrittrice, il pittore - la pittrice. Il nome dottore presenta al femminile la forma dottoressa. - I nomi che al maschile finiscono in -sore (anch’essi nomi d’agente) sono adoperati raramente al femminile, ottenuto aggiungendo la desinenza -itrice alla radice del verbo da cui derivano: il difensore - la difenditrice, il possessore - la posseditrice. Professore fa professoressa (questo è l’unico sostantivo in -sore che ha una forma femminile molto comune nell’uso). - Formano il femminile al di fuori degli schemi sopra registrati o modificando sostanzialmente la radice: il dio - la dea, il doge - la dogaressa, l’eroe - l’eroina, l’abate - la badessa, il re - la regina, il cane - la cagna, lo stregone - la strega, il gallo - la gallina ecc. 2.1.2. I nomi indipendenti Sono detti indipendenti i nomi che presentano la caratteristica di avere forme di maschile e di femminile derivanti da radici completamente diverse, come in: il padre - la madre, il toro - la vacca, il marito - la moglie, il fratello - la sorella, il montone - la pecora. In questa categoria rientrano anche gli aggettivi celibe (l’uomo non coniugato) e nubile (la donna non coniugata), che sono spesso usati come sostantivi. 2.1.3. I nomi di genere comune Alcuni nomi presentano un’unica forma per il maschile e per il femminile. Con essi solo il contesto (l’articolo, l’eventuale desinenza degli aggettivi e dei participi passati che li accompagnano o la presenza nella frase di un nome dal genere naturale ben definito) permette di capire se ci si riferisce a un essere di genere maschile o femminile: Mi ha scritto una lontana parente; L’omicida è stata condannata. Alla categoria dei nomi di genere comune appartengono: - alcuni nomi in -e: il nipote - la nipote, il custode - la custode; - i nomi che rappresentano la forma sostantivata di participi presenti: il cantante - la cantante, un insegnante - un’insegnante; - alcuni nomi in -a: un ipocrita - un’ipocrita, il collega - la collega; - i nomi in -ista e in -cida: un artista - un’artista, il giornalista - la giornalista, un omicida - un’omicida, il suicida - la suicida. I nomi dei primi due gruppi sono ambigeneri non solo al singolare, ma anche al plurale: il cantante / la cantante - i cantanti / le cantanti. Per gli altri nomi, invece, la comunanza del genere è limitata esclusivamente al singolare, giacché nel plurale essi presentano forme diverse per il maschile e per il femminile: il collega / la collega - i colleghi / le colleghe. 2.1.4. I nomi di genere promiscuo Tra i nomi di animali, alcuni si comportano come nomi mobili (orso / orsa; leone / leonessa) e altri come nomi indipendenti (fuco / ape; toro / vacca). La maggior parte dei nomi di animali, però, sono di genere promiscuo, hanno cioè un’unica forma, maschile o femminile, per indicare tanto il maschio quanto la femmina: la giraffa, la panterra, la volpe, la rondine ecc.; il corvo, il delfino, il leopardo, il serpente ecc. In questi casi, per distinguere il genere “naturale” si aggiunge maschio o femmina: il leopardo maschio / il leopardo femmina; la volpe maschio / la volpe femmina; oppure: il maschio del leopardo / la femmina del leopardo. Ci sono poi dei nomi zoologici che possono essere maschili e feminili, sempre nella medesima forma: il serpe - la serpe, il lepre - la lepre. Tuttavia il maschile non si usa solo per il maschio e il femminile solo per la femmina, ma entrambi si adoperano sia per l’uno sia per l’altra. Perciò anche qui, se si vuole distinguere, bisogna specificare il sesso e dire: il lepre maschio - il lepre femmina, la lepre maschio - la lepre femmina. 2.2. Formazione del plurale Dal punto di vista morfologico, la differenza tra i nomi singolari e i nomi plurali è marcata per lo più da una diversa desinenza. Ma ci sono anche nomi che hanno la medesima forma al singolare e al plurale (nomi invariabili), nomi privi di singolare o di plurale (nomi difettivi) e nomi con più forme di singolare o di plurale (nomi sovrabbondanti). Il plurale dei nomi si forma, nella maggior parte dei nomi, mutando la desinenza morfologica del singolare. Per comodità, a seconda della desinenza del singolare, in italiano i nomi si suddividono in tre classi: nomi in -a, nomi in -o e nomi in -e. Nomi in -a. I nomi che al singolare terminano in -a formano il plurale in -i, se sono maschili, in -e, se sono femminili: il problema - i problemi, la casa - le case. Osservazioni: 1. I nomi che terminano in -ca e -ga conservano al plurale il suono velare (duro) della c e della g. Perciò formano il plurale in -chi e -ghi se sono maschili, in -che e -ghe se sono femminili: il duca - i duchi, il collega - i colleghi, la basilica - le basiliche, la bottega - le botteghe. 2. I nomi femminili in -cìa e -gìa con i tonica, cioè accentata, formano il plurale regolarmente, in -cie e -gie, conservando la i: la farmacia - le farmacie, la bugia - le bugie. 3. I nomi femminili in -cia e -gia con i atona, cioè non accentata, formano il plurale in -cie e -gie, conservando la i, se le consonanti c e g sono precedute da vocale: la camicia - le camicie, la ciliegia - le ciliegie; e in -ce e -ge, perdendo la i, se le consonanti c e g sono precedute da consonante: la pronuncia - le pronunce, la pioggia - le piogge. Nomi in -o. I nomi che al singolare terminano in -o prendono al plurale la desinenza -i: il bambino - i bambini, la mano - le mani. Osservazioni: 1. I nomi in -co e -go non seguono un comportamento costante nella formazione del plurale. In linea di massima, se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba, conservano il suono velare (duro) delle consonanti c e g, ed escono in -chi e -ghi; se sono sdruccioli, cioè accentati sulla terzultima sillaba, formano il plurale in -ci e -gi, con la palatalizzazione: il banco - i banchi, il medico - i medici, l’albergo - gli alberghi, il teologo - i teologi. Fra i nomi piani fanno eccezione: l’amico - gli amici, il nemico - i nemici, il greco - i greci, il porco - i porci ecc. Fra gli sdruccioli, molto più numerosi: il dialogo - i dialoghi, l’incarico - gli incarichi, il catalogo - i cataloghi, l’obbligo - gli obblighi, il prologo - i prologhi ecc. Molto numerosi sono poi i nomi sdruccioli che presentano entrambe le forme: chirurgo - chirurgi, chirurghi; stomaco - stomaci, stomachi ecc. 2. Per i nomi uscenti in -logo, in linea di massima, vale la seguente regola pratica: i nomi in -logo hanno il plurale in -logi se si riferiscono a persone: il sociologo - i sociologi; e hanno, invece, il plurale in -loghi se si riferiscono a cose: il dialogo - i dialoghi. 3. I nomi uscenti in -ìo con la i tonica, cioè accentata, formano, senza eccezioni, il plurale regolarmente in -ìi: lo zìo - gli zìi, il rinvìo - i rinvìi. 4. I nomi uscenti in -io con la i atona, cioè non accentata, formano, invece, il plurale in -i. In taluni casi la -i- del tema si fonde con la -i della desinenza plurale: il cambio - i cambi, l’occhio - gli occhi. Invece nei nomi in cui la -i- del tema è solo un segno grafico con la funzione di rappresentare il suono palatale della consonante o del gruppo consonantico che precede la desinenza del singolare -o, tale -i- cade: il figlio - i figli, il bacio - i baci. 5. I nomi uomo, dio e tempio formano il plurale rispettivamente in uomini, dei, templi, per influenza delle corrispondenti forme latine (homines, dei, templa). 6. Alcuni nomi di genere maschile uscenti in -o diventano al plurale di genere femminile e assumono la desinenza -a: il paio - le paia, il miglio - le miglia, l’uovo - le uova, il migliaio - le migliaia, il riso (il ridere) - le risa, il centinaio - le centinaia ecc. 7. Quasi tutti i nomi femminili uscenti in -o sono invariabili, presentano cioè al plurale la stessa forma del singolare: la biro - le biro, la moto - le moto. Nomi in -e. I nomi che al singolare terminano in -e formano il plurale in -i, siano maschili o femminili: il padre - i padri, la madre - le madri. Osservazioni: 1. Il nome bue presenta il plurale irregolare buoi. 2. Nei multipli, mille assume una speciale forma di plurale: -mila: duemila, tremila. 3. I nomi uscenti in -ie sono, di solito, invariabili. Fanno eccezione i seguenti nomi, che formano il plurale in -i: l’effigie - le effigi, la superficie - le superfici, la moglie - le mogli. Esistono anche le forme invariate le superficie e le effigie, ma sono meno comuni. BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 19-38. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 170-208. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 103-159. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Come formano il femminile i nomi maschili in -o? 2. Come formano il femminile i nomi maschili in -a? 3. Cosa sono i nomi indipendenti? 4. Cosa sono i nomi di genere comune? 5. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a? 6. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o? 3. L’aggettivo In base al tipo di informazione che aggiungono al nome, gli aggettivi vengono tradizionalmente distinti in aggettivi qualificativi e aggettivi determinativi (o indicativi). Gli aggettivi qualificativi sono quelli che si aggiungono al nome per segnalarne una particolare qualità: bello, brutto, grande, piccolo, ricco, povero ecc. Gli aggettivi determinativi o indicativi sono quelli che si aggiungono a un nome per meglio specificarlo, attraverso una determinazione possessiva, dimostrativa, indefinita, numerica, interrogativa o esclamativa. 3.1. L’aggettivo qualificativo 3.1.1. Genere e numero dell’aggettivo qualificativo Per quanto riguarda il genere e il numero, l’aggettivo qualificativo si comporta in maniera del tutto analoga al nome. Possiamo distinguere quattro classi di aggettivi qualificativi: - alla prima classe appartengono gli aggettivi che presentano quattro desinenze, cioè gli aggettivi che cambiano la forma a seconda del genere e del numero, e presentano le desinenze: -o, per il maschile singolare; -i, per il maschile plurale; -a, per il femminile singolare; -e, per il femminile plurale: un ragazzo alto - dei ragazzi alti; una ragazza alta delle ragazze alte. - alla seconda classe appartengono gli aggettivi che cambiano la forma solo a seconda del numero, e presentano due desinenze: -e, per il maschile e il femminile singolare, rispettivamente -i, per il maschile e il femminile plurale: un uomo intelligente - degli uomini intelligenti; una donna intelligente - delle donne intelligenti. - alla terza classe appartengono gli aggettivi che al singolare escono in -a, sia al maschile sia al femminile, e al plurale distinguono il maschile (in -i) dal femminile (in -e): un uomo egoista - degli uomini egoisti; una donna egoista - delle donne egoiste. A questa classe appartengono gli aggettivi in: -ista (pessimista), -asta (entusiasta), -ita (ipocrita), -cida (omicida) e -ota (idiota). - la quarta classe è formata dagli aggettivi invariabili. Appartengono a questa classe: 1. gli aggettivi in -i, cioè l’aggettivo pari e i suoi derivati, impari e dispari: un numero pari, due cifre pari. 2. gli aggettivi indicanti colore che derivano da sostantivi: viola, rosa, marrone ecc.: Indossava una camicetta viola; I suoi pantaloni erano viola. 3. gli aggettivi usati in coppia per indicare gradazione di colore: verde pastello, rosso scuro, rosa pallido: una blusa verde pastello, due vestiti verde pastello. 4. gli aggettivi di origine straniera e gli aggettivi terminanti in consonante o in vocale accentata: blu, zulù ecc.: il cielo blu, le acque blu. 5. le locuzioni avverbiali usate come aggettivi: dabbene, perbene, dappoco: un uomo dappoco, una donna dappoco. 6. alcuni aggettivi di recente formazione composti da anti- e un sostantivo: antiruggine, antinebbia, antifurto, antiurto ecc.: strato antiruggine, fari antinebbia. 7. l’infinito attributivo avvenire: negli anni avvenire. 8. l’aggettivo arrosto: pollo arrosto, galline arrosto. Osservazioni: 1. Gli aggettivi in -co (con il femminile in -ca) formano il plurale: - in -chi (femm. -che) se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba: bianco – bianchi, bianca – bianche. - in -ci (femm. -che) se sono sdruccioli, cioè accentati sulla terzultima sillaba: acustico – acustici, acustica – acustiche. Fanno eccezione: a) Fra gli aggettivi piani: amico - amici, greco - greci, nemico - nemici ecc. b) Fra gli aggettivi sdruccioli: carico – carichi, dimentico – dimentichi, intrinseco intrinsechi (o, anche, intrinseci). 2. Gli aggettivi in -go (femm. -ga) formano il plurale in -ghi (femm. -ghe): analogo – analoghi, analoga – analoghe. Fanno eccezione gli aggettivi in -logo e in -fago, che al maschile plurale finiscono in logi e -fagi (il femm. plurale è regolare, in -loghe e -faghe): antropofago – antropofagi, antropofaga – antropofaghe. 3. Gli aggettivi in -io formano il plurale maschile: - con una sola -i, se la -i- del gruppo -io è atona: serio – seri; - con la doppia -i, se la -i- del gruppo -io è tonica: natio – natii. 4. Gli aggettivi in –cio, -gio fanno il plurale in -ci, -gi: riccio – ricci, saggio – saggi. 5. Gli aggettivi femminili in -cia e in -gia formano il plurale femminile: - in -cie e in -gie se la c e la g sono precedute da vocale: fradicia – fradicie; - in -ce e in -ge se c, g sono precedute da consonante: riccia - ricce, saggia - sagge. 6. Gli aggettivi composti, nati cioè dall’unione di due aggettivi, formano il femminile e il plurale solo nel secondo aggettivo: sordomuto – sordomuti, sordomuta – sordomute. 7. Gli aggettivi bello, grande, santo, buono presentano più forme di singolare e di plurale, a seconda della lettera iniziale del sostantivo cui tali aggettivi sono anteposti. L’aggettivo bello quando è posto prima del sostantivo cui si riferisce si comporta come l’articolo determinativo: bel ragazzo - bei ragazzi, bello studente - begli studenti, bell’amico - begli amici, bella ragazza - belle ragazze, bella o bell’amica - belle amiche. Il plurale maschile “regolare” belli si usa soltanto quando l’aggettivo è postposto al sostantivo o non lo precede direttamente: libri belli; Belli i libri che mi hai regalato! Grande si può troncare in gran, davanti a consonante: grande o gran signore, grande o gran casa; ed anche davanti a z e s impura, quando si vogliono ottenere particolari effetti espressivi, specialmente se l’aggettivo è preceduto dall’articolo indeterminativo: un grande stupido o un gran stupido. Davanti a vocale, può essere eliso in grand’: un grande uomo o un grand’uomo. Il plurale è sempre grandi, sia al maschile che al femminile. L’aggettivo santo si tronca in san davanti a nomi maschili inizianti per consonante diversa da s impura: San Francesco. Davanti a nomi inizianti per s impura si usa santo: Santo Stefano. Davanti ai sostantivi inizianti per vocale, sia maschili che femminili, santo e santa subiscono l’elisione in sant’: Sant’Antonio, Sant’Orsola. L’aggettivo buono si tronca in buon davanti a un nome maschile che comincia per consonante (eccetto z, ps, gn, x e s impura) o per vocale: buon ragazzo, buon amico, buono studente. Davanti ai nomi femminili che cominciano per vocale si può elidere in buon’: buona o buon’amica. 3.1.2. Gradi dell’aggettivo qualificativo Poiché una persona o una cosa possono avere una certa qualità in misura uguale, maggiore, minore o massima rispetto a un’altra persona o cosa, l’aggettivo qualificativo ha tre gradi: positivo, comparativo e superlativo. Il grado positivo si ha quando l’aggettivo esprime solo l’esistenza della qualità senza indicarne la misura: Leggo un libro interessante. Il grado comparativo stabilisce un paragone fra due termini rispetto a una medesima qualità o un confronto fra due qualità riferite allo stesso termine. Può essere di tre tipi: di uguaglianza, di maggioranza e di minoranza. Il comparativo di uguaglianza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è presente in misura uguale nei due termini di paragone e si forma con l’aiuto delle particelle correlative (così)... come, (tanto)... quanto: Lucia è simpatica come sua sorella; Luigi è così onesto come buono; Carlo è tanto ricco quanto avaro. Quando la comparazione fatta tra due sostantivi si riferisce a quantità si usa la formula tanto... quanto, però in questo caso tanto e quanto concordano con i sostantivi ai quali si accompagnano: Luisa compra tanti cappelli quante sciarpe. Il comparativo di maggioranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è presente in misura maggiore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma con l’aiuto delle particelle correlative più... di, più... che: Mario è più alto di Luigi; Anna è più simpatica che bella. La formula più... di si usa quando il paragone si realizza fra due termini, rispetto a una stessa qualità. La preposizione di si usa anche davanti all’avverbio quanto: Gino è più veloce di Aldo; Questo ristorante è più costoso di quanto pensassi. La formula più... che si usa quando il paragone si riferisce allo stesso termine e si realizza fra due sostantivi, due aggettivi, due verbi al modo infinito o due avverbi, o due pronomi retti da preposizione: Ho avuto più gioie che dispiaceri; Ha dato più ragione a Luisa che a Marco; Questo allievo è più astuto che intelligente; Mi piace più ascoltare che parlare. Il comparativo di minoranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è presente in misura minore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma con l’aiuto delle particelle correlative meno... di, meno... che: La rosa è meno profumata del gelsomino; È meno facile salire che scendere. Le particelle correlative meno... di, meno...che si usano nelle stesse condizioni come più... di, più... che. Il grado superlativo dell’aggettivo indica che una determinata qualità è posseduta al massimo grado o comunque in misura molto elevata e può essere relativo o assoluto. Il superlativo relativo indica che una qualità è posseduta al massimo (superlativo relativo di maggioranza) o al minimo grado (superlativo relativo di minoranza) relativamente a un determinato gruppo di persone o cose. Si differenzia formalmente dal comparativo di maggioranza o di minoranza per la presenza dell’articolo determinativo davanti all’avverbio più (o meno) quando l’aggettivo precede il nome, o al nome cui l’aggettivo si riferisce se l’aggettivo è posposto: Leopardi è il più grande poeta italiano dell’Ottocento; Luisa è la persona meno adatta per questo lavoro. Se il termine di confronto collettivo plurale è espresso esplicitamente, questo è introdotto dalla preposizione di o, meno spesso, tra, fra: Carlo è il più fortunato di tutti. Il superlativo assoluto indica che una qualità è posseduta al massimo grado, indipendentemente da ogni confronto e da ogni termine di riferimento. Si può formare: a) aggiungendo il suffisso -issimo all’aggettivo di grado positivo privato della vocale finale: alt(o) - altissimo, felic(e) - felicissimo, malevolo - malevolentissimo b) premettendo all’aggettivo di grado positivo un avverbio, che ne rafforza il significato, come molto, assai, decisamente, incredibilmente, estremamente, oltremodo: I miei amici ti hanno trovato molto simpatico. c) ripetendo l’aggettivo di grado positivo: La mia città è grande grande grande. d) premettendo all’aggettivo di grado positivo prefissi come arci-, ultra-, extra-, stra-, super-, sopra-, sovra-, iper- ecc.: contento – arcicontento, rapido – ultrarapido ecc. e) rafforzando l’aggettivo positivo con un altro aggettivo o con un sostantivo di significato analogo; in questo caso, però, è necessario utilizzare certe “formule” che fanno parte delle espressioni idiomatiche della lingua italiana: stanco morto = stanchissimo, buio pesto = molto buio, ricco sfondato = ricchissimo, pieno zeppo = pienissimo ecc. 3.2. Gli aggettivi determinativi o indicativi A seconda del tipo di determinazione che esprimono, gli aggettivi determinativi o indicativi si distinguono in: possessivi, se esprimono una determinazione di possesso; dimostrativi, se indicano una posizione nello spazio; indefiniti, se indicano una quantità generica; interrogativi, se esprimono una determinazione interrogativa; esclamativi, se esprimono una determinazione esclamativa; numerali, se indicano una quantità precisa o un ordine in una serie numerica. 3.2.1. Gli aggettivi possessivi L’aggettivo possessivo ha le seguenti forme: Maschile femminile I persona singolare mio miei mia mie II persona singolare tuo tuoi tua tue III persona singolare suo suoi sua sue I persona plurale nostro nostri nostra nostre II persona plurale vostro vostri vostra vostre III persona plurale loro loro La lingua italiana possiede anche gli aggettivi possessivi proprio e altrui. Proprio (propria, propri, proprie), che è anche aggettivo qualificativo e può avere funzione di avverbio, esprime l’idea di possesso in modo molto netto e preciso e si usa: - in sostituzione degli aggettivi possessivi suo e loro, con riferimento al soggetto, specialmente quando questi potrebbero creare equivoci non indicando chiaramente il possessore: Luigi si è intrattenuto con Luca nel proprio ufficio (= nell’ufficio di Luigi stesso). - per rafforzare l’aggettivo possessivo, quando si sottolinea il senso di proprietà o il valore affettivo del possesso: Ho dipinto la casa con le mie proprie mani. - obbligatoriamente, nelle costruzioni impersonali: Si deve fare il proprio dovere. - preferibilmente, nelle frasi che hanno come soggetto un pronome indefinito: Tutti possono esprimere il proprio pensiero. Altrui è un aggettivo possessivo indefinito che si usa soltanto in riferimento a persona. È invariabile e solitamente viene posto dopo il nome: Dobbiamo rispettare le opinioni altrui. 3.2.2. Gli aggettivi dimostrativi Gli aggettivi dimostrativi precisano la posizione dell’oggetto e della persona cui si riferiscono rispetto a chi parla o a chi ascolta. Sono sempre anteposti al nome o all’aggettivo che eventualmente lo precede. Non sono mai preceduti dall’articolo. In italiano, gli aggettivi dimostrativi sono questo, quello e codesto: concordano con il nome cui si riferiscono e presentano forme variabili nel genere e nel numero: singolare maschile femminile questo questa codesto codesta quello, quel quella plurale maschile femminile questi queste codesti codeste quegli, quei quelle a) Questo è usato per indicare ciò che sta vicino a chi parla. Al maschile e femminile singolare questo si può elidere davanti a vocale, ma al plurale non si elide mai: quest’anno / questo anno - questi anni, quest’amica / questa amica - queste amiche. In alcuni composti la forma femminile questa diventa sta: stamattina, stasera, stavolta. b) Codesto (meno comune cotesto) è usato per indicare ciò che è vicino a chi ascolta; il suo uso è limitato alla Toscana e al linguaggio letterario e burocratico. Nella lingua comune viene sostituito da questo: Portami codesto foglio che hai in mano; In codesta occasione non ti sei comportato bene; Codesto discorso non è da te. c) Quello è usato per indicare ciò che è lontano sia da chi parla sia da chi ascolta: Conosci quel signore?; Quell’anno al mare siamo stati proprio bene. Al maschile, sia singolare sia plurale, quello presenta forme diverse a seconda di come inizia il sostantivo cui è legato, comportandosi in modo del tutto analogo all’articolo determinativo: il silenzio - quel silenzio, lo studente - quello studente, l’amico - quell’amico, i cavalli - quei cavalli, gli scolari - quegli scolari, gli abiti - quegli abiti. L’elisione della forma femminile quella davanti a vocale è facoltativa: quell’amica / quella amica - quelle amiche. Altri aggettivi dimostrativi a) Stesso e medesimo. Sono chiamati dimostrativi di identità o identificativi, perché indicano identità più o meno completa fra due elementi. Fra stesso e medesimo, il secondo è meno comune e di tono più letterario. Variabili nel genere e nel numero, hanno il significato di “uguale, identico”, stanno sempre prima del nome e, diversamente dai dimostrativi, possono essere preceduti dall’articolo: Ho lo stesso posto dell’anno scorso; Mario dice sempre le medesime cose. Stesso e medesimo possono avere anche valore rafforzativo; in questo caso si pospongono generalmente al termine cui si riferiscono e significano “perfino, proprio lui, lui in persona”: Il suo valore è riconosciuto dagli avversari stessi; Il presidente medesimo si congratulò con loro. b) L’aggettivo indefinito tale e gli aggettivi simile e siffatto sono aggettivi dimostrativi identificativi quando significano “questo”, “quello”, “di questo tipo”, “di questa natura”: Non dire più tali sciocchezze; Un simile comportamento è indegno di te; Non posso rispondere a siffatte domande. 3.2.3. Gli aggettivi interrogativi L’italiano ha tre aggettivi interrogativi: quale, che e quanto. a) Quale, variabile nel numero, serve per formulare una domanda sulla qualità o sull’identità del sostantivo cui si riferisce: Quale libro preferisci? Al singolare, quale può subire il troncamento in qual davanti a vocale e, talvolta, anche davanti a consonante diversa da z, x, gn, pn o s impura: Qual è la tua opinione?; Qual senso, qual errore esiste? b) Che è invariabile ed equivale a “quale”, rispetto a cui è di uso più comune nella lingua parlata: Che fumetti leggi di solito?; Dimmi in che mese sei nato. c) Quanto, variabile in genere e numero, serve per chiedere informazioni relative alla quantità del sostantivo cui si riferisce: Quanto denaro hai speso?; Quante persone verranno a cena?; Dimmi quanto zucchero vuoi nel caffè. 3.2.4. Gli aggettivi esclamativi Gli aggettivi quale, che e quanto sono aggettivi esclamativi quando si usano nelle esclamazioni per mettere in risalto la qualità, l’identità o la quantità del nome cui si riferiscono: Che giornata stupenda!; Quali maltrattamenti subimmo!; Qanta bontà ha dimostrato quell’uomo! BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 39-75. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 209-257. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 191-235 e 267-326. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili? 2. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi? 3. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi? 4. Definire gli aggettivi possessivi. 5. Definire gli aggettivi dimostrativi. 6. Definire cosa sono gli aggettivi interrogativi. 4. Il pronome In base al loro significato e alla loro funzione, in italiano i pronomi si distinguono in: personali, possessivi, dimostrativi, indefiniti, relativi, interrogativi ed esclamativi. 4.1. I pronomi personali 4.1.1. I pronomi personali complemento In italiano, come in romeno, i pronomi personali complemento hanno due forme, ben distinte tra loro: una forma tonica o forte, fortemente accentata, che dà al pronome un particolare rilievo (pronomi tonici), e una forma atona o debole, non accentata, che nel discorso si appoggia al verbo (pronomi atoni). a) Le forme toniche dei pronomi personali complemento sono: persona I persona II persona III persona singolare me te lui, lei esso, essa plurale noi voi loro essi, esse Nella funzione di complemento oggetto le forme toniche dei pronomi personali complemento si collegano direttamente al verbo. In quella di complemento di termine (che in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo) sono introdotte dalla preposizione a, mentre in quella di complemento indiretto sono introdotte da qualsiasi preposizione o locuzione preposizionale: Il dottore cura noi; Devi dirlo a me. b) Le forme atone dei pronomi personali complemento sono: I pers. sg. II pers. sg. III pers. sg. complemento oggetto mi ti lo, la complemento di termine mi ti gli, le I pers. pl. II pers. pl. III pers. pl. ci vi li, le ci vi loro Quando si incontrano, le forme atone dei pronomi personali danno origine a forme composte, le cosiddette coppie di pronomi. Le particelle mi, ti, gli, le, ci, vi (con funzione di complemento di termine) possono essere seguite da lo, la, li, le (con funzione di complemento oggetto) o da ne (con funzione di complemento indiretto o di avverbio di luogo). In questo caso mi, ti, ci, vi diventano me, te, ce, ve e le forme gli e le diventano glie-, e si scrivono sempre attaccate al pronome seguente: mi ti gli / le ci vi lo me lo te lo glielo ce lo ve lo la me la te la gliela ce la ve la li me li te li glieli ce li ve li le me le te le gliele ce le ve le ne me ne te ne gliene ce ne ve ne 4.1.2. I pronomi allocutivi I pronomi allocutivi sono i pronomi con cui ci si rivolge a una persona. a) I primi allocutivi sono ovviamente i pronomi personali: il tu (con tutti i suoi derivati) se ci si rivolge ad un solo interlocutore, il voi (con tutti i suoi derivati) se ci si rivolge a più interlocutori. Si usano nel rivolgersi a persone con cui si è in rapporto di amicizia, di familiarità o di confidenza. b) Nel rivolgersi a qualcuno che non si conosce o con cui non si è in confidenza o che appartiene a un livello sociale o professionale più elevato, si usano i pronomi allocutivi di cortesia: al singolare si usano i pronomi Lei, che è più comune, ed Ella, che suona prezioso e ricercato, mentre al plurale si usa il pronome Loro. Nella funzione di soggetto, i pronomi di cortesia Lei, Ella e Loro, essendo pronomi di terza persona, richiedono il verbo alla terza persona, singolare o plurale: Lei che cosa desidera?; Vengono anche Loro con noi?. Alle forme soggettive Lei, Ella, Loro corrispondono in funzione di complemento le forme toniche di Lei, di Loro, a Lei, a Loro ecc.; e le forme atone: La, Le (per Lei ed Ella); Li, Le, Loro (per Loro). 4.1.3. I pronomi personali riflessivi I pronomi personali riflessivi si usano quando l’azione compiuta dal soggetto “si riflette”, cioè ricade sul soggetto stesso, quindi quando il verbo è alla forma riflessiva. I pronomi riflessivi sono: I pers. sg. II pers. sg. III pers. sg. I pers. pl. II pers. pl. III pers. pl. pronomi tonici me te sé noi voi sé pronomi atoni mi ti si ci vi si Quando è seguito da uno dei pronomi lo, la, li, le il pronome riflessivo si diventa se, e risultano le coppie: se lo, se la, se li, se le: La barba, se la fa ogni due giorni. 4.1.3.1. “Si” impersonale e “si” passivante a) “Si” impersonale è la particella pronominale che equivale a soggetti come “uno”, “qualcuno”, “la gente”, “tutti”, “un tale”: In questo treno si viaggia più comodamente. Nel caso dei verbi riflessivi e dei verbi pronominali, nei quali è già presente la particella si, si ricorre alla particella ci: ci si lava, ci si sveglia, ci si scrive ecc.: Ci si lava con acqua e sapone; Nel mondo non ci si ama abbastanza. b) “Si” passivante è la particella pronominale che si premette alla terza persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice per renderlo passivo: Non si fa (= non viene fatto) credito; Qui si vendono (= sono venduti) libri usati. 4.1.4. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne Ci, e meno comunemente vi, possono avere le funzioni di: pronome dimostrativo e avverbio di luogo. Si usano poi con valore rafforzativo e in alcune locuzioni fisse. Si elidono obbligatoriamente davanti alle voci del verbo essere inizianti per -e e, facoltativamente, davanti a forme verbali inizianti per -i: Non c’era più nulla da fare; Non v’è dubbio che sia così; Non c’interessa nulla. Per quanto riguarda la collocazione di ci e vi, essa può essere sia proclitica che enclitica: Pensa alle mie parole. Pensaci bene!; Vado dal medico. Ci vado ogni settimana. Quando sono seguite da un pronome forma atona (lo, la, li, le, ne), ci e vi diventano ce, ve: - Tu hai messo il libro nella cartella? - Sì, io ce (ve) l’ho messo. Tra ci e vi non esiste nessuna differenza di significato. La particella ci, però, è oggi di uso molto più frequente e molto più comune di vi, che suona piuttosto libresca e di norma viene utilizzata solo in testi di registro letterario, per sottolineare l’idea di lontananza: Non sono ancora andato al supermercato, ma vi (= là) andrò fra poco. La particella ne può essere usata nelle funzioni di: pronome personale o dimostrativo e avverbio di luogo. Si usa poi con valore rafforzativo e in alcune locuzioni fisse. Per quanto riguarda la sua collocazione, ne, come le altre particelle pronominali, può essere tanto proclitica quanto enclitica: È una persona in gamba, tutti ne parlano bene; Se hai troppi libri, regalane qualcuno alla biblioteca. Con le forme di imperativo da’, sta’, fa’, di’, va’, anche ne subisce il raddoppiamento della consonante iniziale: Quanti pacchi! Danne qualcuno a me. 4.2. I pronomi possessivi I pronomi possessivi sono formalmente identici agli aggettivi possessivi e sono sempre preceduti dall’articolo determinativo: Il tuo cane è buono quanto il mio; I miei interessi contrastano con i loro. L’uso dei pronomi possessivi il proprio (la propria, i propri, le proprie) e l’altrui (la altrui, gli altrui, le altrui) segue le modalità già indicate a proposito dei corrispondenti aggettivi: Ritiro i compiti in classe: ciascuno consegni il proprio; È bene avere un proprio stile di vita e non imitare l’altrui. 4.3. I pronomi dimostrativi Tra i pronomi dimostrativi, alcuni hanno forme uguali a quelle degli aggettivi dimostrativi. Altri, invece, non possono mai avere funzione di aggettivi. a) I pronomi dimostrativi che hanno forme uguali a quelle degli aggettivi dimostrativi sono: maschile questo codesto quello stesso medesimo singolare femminile questa codesta quella stessa medesima maschile questi codesti quelli stessi medesimi plurale femminile queste codeste quelle stesse medesime - questo indica vicinanza a chi parla: La fotografia che volevo farti vedere È questa. - codesto (che appartiene all’uso toscano e letterario) indica vicinanza a chi ascolta: Codesto che stai sfogliando non È il libro che ti ho richiesto. - quello indica lontananza sia da chi parla sia da chi ascolta: Quella è più bella. - stesso (più comune) e medesimo indicano l’identità o l’uguaglianza tra le persone o le cose che sostituiscono: Gli insegnanti sono gli stessi (o i medesimi) dell’anno scorso. b) I pronomi dimostrativi che non possono mai avere funzione di aggettivi sono: singolare maschile femminile questi quegli costui costei colui colei ciò maschile plurale femminile costoro coloro costoro coloro Questi e quegli si adoperano solo al maschile singolare, solo in riferimento a persone e solo in funzione di soggetto (per i complementi si ricorre a questo e quello). Questi si riferisce a persona vicina, quegli a persona lontana: Mario e Luigi sono fratelli. Questi (Luigi) ha nove anni, quegli (Mario) ne ha sei. Il pronome dimostrativo ciò è invariabile e ha solo valore “neutro”. Equivale a “questa cosa, queste cose, quella cosa, quelle cose”: Ciò non mi piace affatto. Ciò è frequentemente sostituito da questo e quello, sempre con valore neutro: Quello che fai non è bello; Su questo non ho nulla da fare. 4.4. I pronomi relativi La lingua italiana possiede i seguenti pronomi relativi: il quale (la quale, i quali, le quali), che, cui, chi e quanto (quanta, quanti, quante). Il quale. Il pronome relativo il quale, variabile nel genere e nel numero, concorda con il nome cui si riferisce. Può sostituire tutti gli altri pronomi relativi e può essere usato sia come soggetto (conferisce alla frase un tono più sostenuto rispetto a che), sia come complemento oggetto (molto raro e letterario), sia come complemento indiretto preceduto dalla opportuna preposizione (di uso corrente, accanto a cui): Ho incontrato Luisa, la quale mi ha invitato alla sua festa; Il paese nel quale abito è molto bello. Nonostante la prevalenza di che e cui, che hanno il vantaggio di rendere più spedito il discorso, l’uso del pronome il quale è tuttavia preferibile o, addirittura, indispensabile: - quando la forma che, essendo invariabile, potrebbe creare ambiguità circa il nome cui si riferisce: Ho incontrato il cugino di Luisa, che ormai vive a Roma. … il quale ormai vive a Roma. / … la quale ormai vive a Roma. - quando il pronome relativo è lontano dal nome cui si riferisce: Molte storie mi ha raccontato il nonno quand’ero bambino, le quali erano non solo molto belle ma anche istruttive. - quando nel periodo si susseguono altri che, non necessariamente tutti relativi: La maestra mi ha detto che Gino, il quale è un bambino molto vivace, a scuola si comporta bene. Che. Il pronome relativo che è invariabile ed è usato esclusivamente come soggetto o complemento oggetto della subordinata relativa; le concordanze vengono effettuate con l’antecedente: La matematica è una materia che mi interessa molto; Ho gradito il regalo che mi hai fatto. Il pronome relativo che può sostituire anche un’intera frase. In questo caso È preceduto dall’articolo determinativo o dalla preposizione articolata e ha il significato di “la qual cosa”: Paolo è arrivato in anticipo, il che (= la qual cosa) ci ha stupiti. Cui. Il pronome relativo cui è invariabile e si adopera soltanto come complemento indiretto, preceduto da una preposizione semplice: L’uomo di cui parliamo è mio padre. Il relativo cui non è preceduto dalla preposizione semplice soltanto in due casi: a) nel complemento di termine, accanto alla forma con la preposizione a: Il ragazzo cui / a cui mi sono rivolto è mio amico. b) quando si trova fra l’articolo determinativo (o una preposizione articolata) e il nome, con il valore di complemento di specificazione e con il significato di “del quale, della quale, dei quali, delle quali”: È un uomo, il cui valore è immenso. … il valore del quale è immenso. Preceduto dalla preposizione per, cui può assumere anche valore neutro, nel significato di “per la qual cosa, perciò, per questo motivo”: Non mi intendo di motori, per cui è meglio che taccia. Chi. Il pronome chi, invariabile, vale solo per il singolare e si riferisce soltanto a esseri animati. Può essere usato in funzione di soggetto e di complemento. È un pronome “doppio”, in quanto unisce in sé la funzione di due pronomi diversi: uno dimostrativo (colui, quello, colei, quella) o indefinito (qualcuno, uno, qualcuna, una), l’altro relativo (che, il quale, la quale), e corrisponde per significato a colui il quale, colui che, qualcuno che, uno che: C’è sempre chi (= qualcuno che) si comporta male; È vile criticare chi (= quello che) non ascolta; Ho compassione per chi (= per quello che) soffre. Quanto. Il pronome quanto, variabile nel genere e nel numero. Al singolare è usato con valore neutro, nel significato di “tutto quello che”, “tutto ciò che”: Gli ho dato quanto gli spettava. Al plurale si riferisce sia a persone sia a cose ed equivale a “tutti quelli che”, “tutti coloro che”, “tutte coloro che”: La festa è riservata a quanti hanno ricevuto l’invito. 4.5. I pronomi interrogativi ed esclamativi a) I pronomi interrogativi introducono una domanda, diretta o indiretta, chiedendo informazioni o precisazioni circa l’identità, la qualità o la quantità di qualcuno o di qualcosa. I pronomi interrogativi dall’italiano sono: chi, che, quale e quanto. Chi, invariabile, si usa esclusivamente per indicare persone ed esseri animati: Chi ti accompagna?; Sai chi mi ha telefonato? Che, invariabile, si usa solo in riferimento a cose e corrisponde a quale. Chiede l’accordo al maschile singolare: Che ti devo dire?; Dimmi che ti passa per la mente. Quale è variabile solo in numero; serve a chiedere informazioni circa l’identità o la qualità di una persona o di una cosa: A quale delle due risposte devo credere?; Quali sono i maggiori fiumi dell’Italia?; Non sai quali scegliere? Al singolare, quale può subire il troncamento in qual davanti a vocale e, talvolta, anche davanti a consonante diversa da z, x, gn, pn o s impura: Qual è il libro che preferisci? Quanto, variabile nel genere e nel numero, serve a chiedere informazioni relative alla quantità e si usa in riferimento sia a persone sia a cose: Quanti hanno aderito alla nostra proposta?; Quanto costa quella valigia?; Ti chiedo in quanti verranno. b) Tutti i pronomi interrogativi possono essere usati anche in funzione esclamativa: Chi ho incontrato stamattina!; Che occasione!; Non so davvero quali scegliere!; Stanno arrivando gli spettatori, e quanti sono! BIBLIOGRAFIA DI BASE Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 77-105. Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 258-304. Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 237-326. TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI 1. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento. 2. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano. 3. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono. 4. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono. 5. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi. 6. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi. RICAPITOLAZIONE 1. Indicare le forme e gli usi dell’articolo determinativo. 2. Indicare le forme e gli usi dell’articolo indeterminativo. 3. Come si usa l’articolo con i nomi di persona? 4. Come si usa l’articolo con con i cognomi dei personaggi famosi? 5. Come si usa l’articolo con i nomi geografici? 6. Definire l’articolo partitivo. 7. Indicare le forme delle preposizioni articolate. 8. Come si classificano i nomi secondo la forma? 9. Come formano il femminile i nomi maschili in -o? 10. Come formano il femminile i nomi maschili in -a? 11. Cosa sono i nomi indipendenti? 12. Cosa sono i nomi di genere comune? 13. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a? 14. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o? 15. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -e? 16. Quali sono i nomi invariabili? 17. Illustrare il gruppo dei nomi con due forme di plurale. 18. Come si forma il plurale dei nomi composti? 19. Quale deve essere la posizione dell’aggettivo qualificativo? 20. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili? 21. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi? 22. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi? 23. Cosa sono i comparativi e i superlativi organici? 24. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi possessivi. 25. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi dimostrativi. 26. Indicare l’uso degli aggettivi indefiniti qualunque, nessuno e tutto. 27. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi interrogativi. 28. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali soggetto. 29. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento. 30. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano. 31. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali riflessivi. 32. Descrivere ed indicare l’uso delle particelle ci e vi. 33. Descrivere ed indicare l’uso della particella ne. 34. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono? 35. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono. 52. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti nessuno, niente e nulla. 36. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti uno, qualcuno, chiunque e qualcosa. 37. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi. 38. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi. * * * * * Gli esercizi dal volume Elena Pîrvu, Morfologia italiana, Bucureşti, Editura Didactică şi Pedagogică, 2003, pp. 219-240.