LA PRODUZIONE DEL DIRITTO E GIURISPRUDENZA NEL PRINCIPATO Gli interventi normativi del principe. La cancelleria imperiale. Sin dagli inizi del principato i giuristi sostenevano che la volontà del principe dichiarata in forma normativa dovesse applicarsi con forza di legge. Il percorso che port le pronunce normative del principe ad avere forza di legge fu molto lungo e si realizz poco prima del principato degli Antonini. Questo fenomeno si affianca alla nascita della cancelleria imperiale che nacque nel periodo di Augusto e Tiberio che fu ripreso da Tiberio e strutturato da Adriano il quale istituì la praefecturae urbi e il vigilum. Le prefetture furono assegnate a membri ed esponenti del rango equestre mentre per quanto riguarda la flotta e la prefettura urbana esse furono assegnate a membri del ordo senatorius che per rispondevano al principe. I vari tipi di costituzioni imperiali. Oggi noi possediamo il manuale d’insegnamento del diritto privato scritto nel II secolo da un certo Gaio, che esemplifica fra i provvedimenti del principe gli editti, i decreti, le epistole cioè i rescritti e i mandati. Essi formano la costituzione imperiale simbolo dell’attività normativa del principe. Gli edicta: L’attività normativa del principe ebbe inizio nella forma degli edicta che sono quegli atti che normalmente promulgava il proconsole ai popoli da lui gestiti. Il primo editto di fonte imperiale lo abbiamo con Augusto che vestendo i panni del proconsole stabilisce l’esenzione tributaria per un popolo della Spagna, in tale editto ritroviamo il praescriptum nel quale sono inserite le informazioni riguardante l’autorità promulgante, in questo caso il principe, poi il testo della pronuncia e poi infine il luogo e la data di realizzazione del documento. Altri 5 editti di Augusto furono rinvenuti a Cirene ai cui abitanti erano indirizzati. Il primo dei 5 riguardava un processo che coinvolgeva cives romani che risiedevano li, il secondo e il terzo ribadiscono principi dell’ordinamento giudiziario in quanto spesso erano stati trasgrediti , il quarto riguarda la pubblicazione del senatusconsultum de pecunis repetundis, e il quinto stabiliva importanti riforme sulla composizione delle giurie criminali a carico di imputati greci, corti formate con un numero pari di greci e romani. I mandata I mandata erano invece rivolti ai funzionari imperiali del fiscus, ai legati del principe ed anche ai proconsoli che rappresentavano l’imperium proconsulare maius et infinitum del princeps. I mandata consistevano in istruzioni e disposizioni di diverso tipo , come ad esempio il divieto di sposare donne della provincia governata, oppure il divieto di esercitare attività commerciali anche tramite altre persone. I mandati valevano per chi li riceveva solo per il periodo in cui l’imperatore viveva , anche se il successore poteva riprendere il mandato del vecchio principe e farlo rispettare come prima. I rescripta I rescripta erano le risposte che il principe dava ai magistrati o ai giudici in un processo. Bisogna sottolineare che il principe non entrava nel merito e non verificava l’attendibilità delle informazioni contenuta in tali richieste egli si limitava solamente a un consiglio , a un parere personale. Quando le domande erano poste da un giudice o magistrato esse son dette relationes, suggestiones e consultationes e le risposte erano contenute in lettere scritte su fogli di papiro. Le domande potevano anche essere poste dall’attore o dal convenuto di un processo privato o da un denunciante oppure anche da un imputato di un processo penale, in questo caso le domande erano dette libelli, preces o supplicariones e le risposte imperiali venivano scritte in un apposito spazio lasciato bianco in fondo al papiro nella quale era stata scritta la domanda stessa. I decreta I decreta erano gli interventi veri e propri del principe all’interno di un processo , essi potevano essere richiesti durante il processo stesso e avevano un valore di sentenza o decisione a tutti gli effetti quindi con la decisione del principe il processo non riprendeva più ma si concludeva. Nella maggior parte dei casi pero i decreta erano utilizzati come grado di appello per i condannati o per chi avesse perso nel processo privato e tali decreta si sostituivano alle sentenze già emanate dai governatori. Spesso tali governatori torturavano la parte vinta del processo, abusando dei propri poteri, per far in modo che non chiedesse il decreta del principe. Il consiulium principis e l’attività normativa: nel caso dei pareri come giudizi , il principe si faceva assistere da un consiglio di giuristi che garantivano la tecnicità delle sue decisioni e risposte. Il principe benchè ricorresse a tale ausilio raramente si estraniava dalle questioni nelle quali era chiamato in causa e spesso dimostrava una buona conoscenza della materia. Dopo Adriano i rescripta furono applicati da magistrati e giudici ai casi analoghi nel senso che un rescripta poteva valere per tanti processi di natura analoga. Per ritornare alla definizione di mandata ed edicta essi non furono un esclusiva del principe ma rimasero un mezzo utilizzato anche dai proconsoli e dai propretori solo che quelli emessi dal principe avevano la priorità e un valore superiore. ! VI.2 Concezioni del diritto e giurisprudenza. Relativismo e giusnaturalismo : ius naturale e ius civile. Il giusnaturalismo (dal latino ius naturale, "diritto di natura") è il termine generale che racchiude quelle dottrine filosofico-giuridiche che affermano l'esistenza di un diritto naturale, cioè di un insieme di norme di comportamento dedotte dalla "natura" e conoscibili dall'essere umano. Il giurista romano Ulpiano asseriva che il diritto naturale ha a che vedere con l’istinto di autoconservazione di uomini e animali. E’ del tutto diversa e ben più sensata la concezione del diritto espressa da Protagora il quale disse che in natura nulla esiste di giusto o di santo , e che l’opinione che comunemente si ha del giusto e dell’ingiusto continua ad essere vera solo per il tempo in cui si continua ad avere tale opinione. Anche Epicuro sosteneva che non esiste alcun diritto naturale preesistente all’accordo e al patto sociale fra gli uomini. Cicerone invece sostiene che il diritto ha come fine la ricerca della verità ed il diritto lo descrive come universale dovere di giustizia. ! VI.2.2 I “Generi” della letteratura giuridica Nell’età del principato i giuristi forniti dello ius publice respondendi ex auctoritate principis (autorizzazione del principe di rispondere) pubblicarono opere chiamate responsa nelle quali raccoglievano i vari pareri e comprendono un corpus di decisioni scritte e direttive date da studiosi giuristi in risposta a domande poste loro. La raccolta di responsa e di quaestiones costituiva il genere dei digesta. Vi erano anche opere più sistematiche come i commentarii rivolti sia allo ius civile in sé e sia alle opere degli antichi giuristi. Infine vi erano anche opere didattiche chiamate institutiones, regulae, sententiae, manuali o enchiridia alle quali si dedicarono molti giuristi. Vicende e caratteri della produzione giurisprudenziale. Giuristi e “scuole” in età classica. Oggi a noi ci sono pervenute pochissime opere dei giuristi , per da queste possiamo dedurre il metodo linguistico che essi adottavano. La lingua. La lingua dei giuristi al contrario di quella dei letterati , dei filosofi o degli oratori, è molto semplice ed è strutturata per fornire una facile comprensione della soluzione enunciata. I giuristi non aspiravano ne allo stile ne tantomeno a paragonarsi ai predecessori anzi essi traevano esempio dalle opere dei predecessori per trarne esempio. Vi erano anche scuole per imparare il modo di scrivere di ragionare di fare dei giuristi , tali scuole produssero veri e propri generi della letteratura giurisprudenziale. Nel principato i giuristi non esercitavano più gratuitamente come prima la propria attività infatti a partire dall’età tiberiana ne trassero provento in quanto erano pagati da auditores e richiedenti e da Adriano in poi ebbero anche funzioni imperiali. Durante l’età degli antonini il più grande giurista fu Cervidio Scevola egli si afferm come il più grande interprete del diritto e fu autore di molti responsa, quaestiones, e digesta difendendo la purezza dello ius civile dall’influenza greca. Il suo successore fu Emilio Papiniano il quale condivideva il pensiero del predecessore e sotto Settimio Severo divenne prefetto del pretorio. Quando alla morte dell’imperatore gli successero i due figli , Geta e Caracalla , Papiniano si rifiut di giustificare il fratricidio del primo da parte del secondo e pag con la vita la sua determinazione morale. Uno degli ultimi grandi giuristi dell’epoca fu Modestino ,discepolo di Papiniano, dopo di lui si pu dire che si estinse quel senso dello “Stato di diritto “ e della giurisprudenza romana. ! VI.2.4 La fine della giurisprudenza e l’età postclassica. I codices. Bisogna premettere che dopo Modestino non si estinse l’insegnamento del diritto nel mondo romano. La crisi dell’originalità creativa della giurisprudenza pu ravvisarsi già nella stessa età dei Severi. In quel periodo ormai si era esaurita la vitalità, la duttilità e il dinamismo di quel sistema sociale, che aveva portato alla nascita e allo sviluppo plurisecolare della giurisprudenza come forma di sapere continuamente esercitato nella pratica dei casi che le situazioni sociali proponevano. Ormai la consultatio dei giuristi e le opere giurisprudenziali non potevano sopravvivere agli anni dell’anarchia militare, all’avvento delle invasioni barbariche, alla crisi morale della civitas e alla diffusione del cristianesimo (la giurisprudenza non poteva dare risposta a questi casi ne poteva trovare una soluzione). Nel IV secolo inoltre, l’allargarsi della distinzione tra Honestiores e humiliores port alla scomparsa del ceto medio e alla diffusione dell’analfabetismo , e gli unici lettori rimasero gli aristocratici , la lettura divenne così monopolio dei nobili e sostituirono strumenti di lettura a basso costo come il papiro con una costosissima pergamena ricavata dalla pelle di vitello o d’altri animali. La considerazione del diritto come scienza pratica inferiore alla filosofia e alla storia fece si che con la crisi dell’impero del IV secolo la trasmissione delle opere giuridiche venisse meno , e le opere dei grandi giuristi vennero sempre meno tradotte e sempre meno consultate in quanto erano ritenute di difficile comprensione in un epoca di decadenza culturale e del sapere. L’unico giurista che fu ritenuto semplice nel suo modo di scrivere fu Gaio , le sue opere vennero tradotte e copiate dai papiri in numerosi codici su pergamena. La forma libraia mutata dal papiro alla pergamena favorì l’edizione non più in rotolo ma in quinterni cioè un foglio di pergamena ripiegato in modo che ne venissero fuori 5 pagine di scrittura il libretto che veniva fuori era detto codex, le raccolte imperiali furono dette codices. Le prime raccolte furono il Codex Gregorianus ed il Codex Hermogenianus , successivamente fu scritto il Codex Theodosianus che fu raccolto in 16 libri , in ordine cronologico, e raccoglieva le costituzioni imperiali promulgate dagli imperatori a partire da Costantino fino a Teodosio stesso. 52 VI.2.5 La compilazione giustinianea, la trasmissione del diritto romano e la ricostruzione del diritto classico. Giustiniano fu uno dei più importanti sovrani dell'epoca altomedievale; il suo governo coincise con un periodo d'oro per l'impero, dal punto di vista civile, economico e militare, con la riconquista di parte dei territori dell'Impero romano d'Occidente, per lo più grazie alle campagne di Belisario. Giustiniano port avanti un progetto di edilizia civile che ha lasciato opere architettoniche di notevole importanza come la chiesa di Hagia Sophia a Costantinopoli; il suo patronato diede inoltre nuova linfa alla cultura, producendo scrittori come Procopio di Cesarea e Agazia e poeti come Paolo Silenziario. La maggiore eredità lasciata dall'Imperatore è la raccolta normativa del 535, poi conosciuta come Corpus iuris civilis, una compilazione omogenea della legge romana che è tutt'oggi alla base del diritto civile, l'ordinamento giuridico più diffuso al mondo. In occidente, il Corpus iuris venne preso come testo di riferimento solo a partire dal Basso Medioevo, dato che nell'Alto Medioevo i sovrani germanici che avevano abbattuto l'impero romano emanarono leggi proprie nei regni romano-germanici costituitisi. La peste che colpì l'impero durante il suo regno segnò la fine di un'epoca di splendore. Il suo regno ebbe un impatto mondiale, costituendo un'epoca distinta della storia dell'Impero bizantino e della Chiesa Ortodossa d'Oriente. Giustiniano fu un uomo di insolita abilità nel lavoro e possedeva un carattere moderato affabile e vitale, diventando privo di scrupoli e scaltro quando occorreva. Fu l'ultimo imperatore a tentare di restaurare l'Impero romano, riconquistando gran parte dei territori che facevano parte dell'Impero romano d'Occidente; a questo scopo diresse le sue grandi guerre e la sua colossale attività di costruzione. Partendo dalla premessa che l'esistenza del bene comune era affidata alle armi e alla legge, prestò particolare attenzione alla legislazione e scrisse quello che sarebbe diventato un monumento a sua perenne memoria, codificando il diritto romano nel Corpus iuris civilis. Nel 535, Giustiniano fond Giustiniana Prima, nei pressi della sua città natale. Procopio ci fornisce la fonte primaria per la storia del regno di Giustiniano, anche se le cronache di Giovanni da Efeso (che sopravvive come base per molte cronache successive) forniscono molti ulteriori dettagli. Entrambi gli storici divennero molto aspri nei confronti di Giustiniano e Teodora. A fianco della sua opera principale, Procopio scrisse anche una Storia Segreta, che relaziona dei molti scandali alla corte di Giustiniano. Teodora morì nel 548; Giustiniano le sopravvisse per quasi 20 anni e morì il 13 o il 14 novembre 565. Giustiniano apport alcune modifiche al sistema provinciale che si discostarono dai principi di Diocleziano e che, secondo J.B. Bury, anticiparono la riforma dei temi: queste riforme prevedevano infatti per determinate regioni dell'Impero l'accentramento del potere amministrativo e militare (che secondo Diocleziano dovevano rimanere separati) nelle mani di un'unica persona, la soppressione di alcuni vicari e l'accorpamento di province più piccole in province più grandi. Queste riforme risalgono agli anni 535 e 536 e sono motivate dal tentativo di porre fine ai conflitti tra autorità civile e autorità militare. Nel 541 Giustiniano abolì il consolato. Il motivo di tale provvedimento era il fatto che tale carica, oltre ad essere puramente onorifica, portava al dispendio di grandi somme di denaro. Infatti i consoli dovevano assumersi le spese per le celebrazioni all'inizio dell'anno, che ammontavano a 2.000 libbre d'oro, una cifra che non tutti potevano permettersi, per cui divenne sempre più difficile trovare persone disposte a spendere una tale quantità di denaro per assumere quella carica. In alcuni casi era l'Imperatore stesso a pagare le spese per il consolato al posto del console. Nel 538 Giustiniano promulg una legge che abbrevi la durata delle feste per festeggiare il console e rese facoltativo lo spargimento di soldi alla popolazione, stabilendo che nel caso ci fosse stato sarebbero state sparse non monete d'oro ma monete d'argento.[17] Nonostante ci , nel 541, dopo il consolato di Basilio, la carica di console venne abolita. Da ora in poi il titolo di console divenne una carica che veniva assunta dall'Imperatore nel primo anno di regno. Giustiniano viene accusato da Procopio di aver dilapidato le casse statali, lasciate piene da Anastasio, con le sue guerre di conquista e con la sua attività edilizia e, una volta svuotate, di aver oppresso i sudditi facendosi erede di ricchi senatori con falsi testamenti, confiscando con pretesti vari le ricchezze di vari senatori e tassando i poveri. Inoltre, a dire di Procopio, il denaro accumulato in tal modo veniva elargito, sotto forma di tributi, ai Barbari, rendendo così l'Impero loro tributario. Il "secondo periodo", dal 535 al 542, fu caratterizzato da un'intensa legislazione "corrente" (per mezzo delle Novellae constitutiones, che raccolsero i frutti dell'intensa stagione legislativa tra il 535 e il 542). Il "terzo periodo", infine, dal 543 al 565, anche per la minore, o diversa, qualità dei collaboratori, vide l'attività legislativa (sempre per mezzo di Novellae) farsi sempre più scarsa e scadente. Il Corpus Iuris Civilis fu formato da tali opere, nelle quali le nuove leggi si armonizzavano con quelle antiche. Nel primo periodo furono scritte in latino, lingua ufficiale dell'impero ma scarsamente conosciuto dai cittadini delle province orientali (anche se lo stesso Giustiniano era di lingua, cultura e mentalità latine e parlava con difficoltà il greco). Il latino infatti era sostanzialmente la lingua dell'amministrazione, della giustizia e dell'esercito, mentre le principali lingue d'uso nella parte orientale dell'impero erano il greco e, in minor misura, il copto, l'aramaico e l'armeno (rispettivamente in Egitto, Siria ed alcune regioni dell'Asia Minore). Se il dominio romano, repubblicano prima ed imperiale dopo, era riuscito ad imporre con successo il proprio diritto e le proprie istituzioni politiche e militari, il sostrato culturale delle province orientali dell'impero continu ad essere improntato in larga misura a forme e moduli di tipo tardo-ellenistico. Per ovviare a ci , le opere successive (dalle Novellae in poi) vennero redatte pragmaticamente in greco, lingua più utilizzata dal popolo e dalla pratica amministrativa quotidiana. Il Corpus forma la base della giurisprudenza latina (compreso il diritto canonico: ecclesia vivit lege romana) e, per gli storici, fornisce una preziosa visione dall'interno, delle preoccupazioni e delle attività dei resti dell'Impero Romano. Raccoglie assieme le molte fonti in cui le leges (leggi) e le altre regole erano espresse o pubblicate: leggi vere e proprie, senatoconsulti (senatusconsulta), decreti imperiali, rescritti, opinioni e interpretazioni dei giuristi (responsa prudentium). Il Corpus viene definito un "monumento alla sapienza giuridica di Roma" e fu alla base della rinascita degli studi giuridici e delle istituzioni politiche in Europa, tanto che ancora oggi costituisce il fondamento di molti sistemi giuridici nazionali nel mondo. La Litera florentina o Codice fiorentino è un prezioso manoscritto conservato presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze. Il manoscritto è considerato particolarmente importante in quanto riporta pressoché interamente (soltanto una pagina è mancante) la parte più rilevante del Digesto, compilazione delle opere dei principali giuristi romani voluta dall'Imperatore Giustiniano I di Bisanzio. Il manoscritto è datato attorno al VI secolo, anche se alcuni studiosi tendono a ritenerlo posteriore, comunque non oltre il VII secolo. L'esistenza del manoscritto, probabilmente proveniente da Amalfi, è documentata a Pisa nel XII secolo e giunse a Firenze portatovi come bottino di guerra nel 1406. La politica religiosa di Giustiniano rifletteva la convinzione imperiale che l'unità dell'impero presupponesse incondizionatamente l'unità della fede; e con lui sembra un dato di fatto che questa fede potesse essere solo l'ortodossia. Gli appartenenti ad un credo differente dovettero riconoscere che il processo iniziato a partire da Costantino II sarebbe continuato con vigore. Il Codice Giustiniano conteneva due statuti i quali decretavano la totale distruzione dell'Ellenismo, anche nella vita civile; queste disposizioni vennero attuate con zelo. Le fonti contemporanee (Giovanni Malala, Teofane Confessore, Giovanni di Efeso) ci parlano di gravi persecuzioni, anche di uomini altolocati.