Omelia in occasione del Funerale di don Giovanni Cuccarollo San Giorgio della Richinvelda, 20 aprile 2011 (Is 50,4-9 – Mt 26,14-25) Abbiamo posto sopra la bara di don Giovanni il libro della Parola di Dio. Con questo libro egli nella sua vita ha preso confidenza, ne ha letto e meditato le pagine, per comprenderle e gustarle. Dalle pagine di questo libro si è lasciato educare come cristiano. E questo libro, come prete, l’ha ricevuto dal Vescovo nel giorno della sua ordinazione diaconale, con il mandato di diventarne l’annunciatore convinto e credibile. Quante volte anche da questo posto lo ha letto, spiegato e commentato a voi invitandovi a prestarvi ascolto attento e docile. Ora faremmo torto a don Giovanni se non cercassimo, anche noi, di vivere il doloroso distacco da lui, l’evento della sua morte, imprevista, lasciandoci illuminare e confortare dalle verità contenute in queste pagine. Sono quelle che la Chiesa ci offre – oggi, mercoledì delle settimana santa – nella imminenza della celebrazione della passione, morte e risurrezione di Gesù. La prima pagina è tratta dal libro del profeta Isaia. Ci pone davanti agli occhi il “servo di Dio”: figura misteriosa con la quale viene indicato Gesù. Egli è paziente e tutto accetta con abbandono obbediente. “Non mi sono tirato indietro, non ho opposto resistenza”, dice questo servo. Egli sa di essere con Dio e che Dio, il Padre, è con lui. “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso”. Con questa certezza non si perde di coraggio e scommette sulla vittoria finale. Anche nelle esperienze difficili, che deve affrontare, per portare a compimento la sua missione, guarda in avanti, sicuro di camminare verso la completa vittoria. Gesù conosceva bene queste parole del profeta, sapeva che facevano parte della sua carta di identità. Anche lui “ha reso dura la sua faccia”; ha vissuto la sua vita “in salita”, con fermezza, e ha invitato i suoi discepoli ad andargli dietro per questa stessa strada, con fiducia, imitandolo nella fedeltà fino in fondo. Don Giovanni è uno che ha accettato di seguire Gesù, di rispondere generosamente alla sua chiamata e di far proprio il suo stile di vita di obbedienza e di servizio. In tutto questo è stato facilitato dalla fede solida respirata nella sua famiglia: (famiglia numerosa dalla quale sono nate anche la vocazione di padre Mario e di suor Clara) e dall’educazione ricevuta in seminario. C’è una nota che ritorna ribadita nel giudizio dei Superiori: “Ottimo giovane per pietà e per criterio… ha carattere sempre sereno, umile ed obbediente”. Diventato sacerdote il giorno 01 luglio 1962, ha esercitato il ministero a San Giorgio in Pordenone, come Vicario parrocchiale, e poi come Parroco a Clauzetto (1970-1972), a Meduno-Navarons (1972-1991), a San Nicolò di Portogruaro (19912003), e poi qui tra voi nella cura pastorale delle cinque comunità di San Giorgio della Richinvelda, Aurava-Pozzo, Provesano-Cosa, dando concretezza alla realizzazione di un progetto nuovo di pastorale. Nel giugno 2003 gli chiesi di lasciare San Nicolò ed egli mi scrisse: “Le confermo la mia disponibilità, anche se mi dispiace lasciare la comunità di San Nicolò. So che il Signore mi accompagna”. Dice il salmo 123 che “gli occhi del servo sono sempre fissi ai cenni del suo signore, del suo padrone”. Don Giovanni non ha staccato gli occhi da Cristo mai. Scrive in un suo appunto: “Gesù svuotò se stesso…Quindi non opere mie (non proporre la tua originalità), non preoccupazione di affermare me stesso… non protagonismo: sono qui “in persona Christi”. Ha cercato di essere immagine e presenza di Lui. E lo è stato soprattutto in questi ultimi mesi, nei quali ha portato a compimento il suo sacerdozio. Con una faticosa via crucis il Signore lo ha fortemente stretto a sé, nell’esperienza della malattia. Gli ha chiesto questa “obbedienza”: diventare partecipe della sua passione. E giorno dopo giorno, con il passare delle settimane, don Giovanni gli ha detto ancora il proprio “eccomi”. “Non si è sottratto-non ha opposto resistenza”. Ritengo di poter sollevare il velo della riservatezza nel confidarvi che don Giovanni ha accettato la malattia con fede, ha accettato di essere prete per voi, per la Chiesa, anche con il patire, in silenzio, attento a non voler far pesare su nessuno la sua sofferenza. Anche per questa testimonianza gli diciamo grazie. Gesù – è la pagina del vangelo di Matteo che ce lo spiega, pagina che contiene un contrasto impressionante – mentre Giuda lo tradisce, dà disposizione per la cena pasquale. Gesù, cioè, capovolge la situazione. È consegnato alla morte da uno dei suoi discepoli, e proprio in questa drammatica circostanza Egli consegna se stesso come fermento di vita. Il tradimento, nella Cena, diventa occasione di dono volontario totale: il suo amore vince la morte e la trasforma in vita per il mondo. Un prete impara, proprio celebrando ogni giorno la Cena del Signore, l’Eucaristia, a cambiare in dono di amore anche le difficoltà, le eventuali incomprensioni – che non mancano mai – la malattia e la morte: impara“a consegnarsi”. Noi, la nostra Chiesa di Concordia-Pordenone, abbiamo accolto come dono la vita di don Giovanni e accogliamo come dono di amore – amore fino alla fine – la sua morte. Vita e morte di don Giovanni non possono non portar frutto: frutti di speranza e di grazia. Questi frutti don Giovanni li chiama “germogli”. Scrive: “Ci sono tanti motivi per lamentarci, per mormorare, per accartocciarsi in noi stessi, per vivere prevalentemente di ricordi. Le tracce di speranza sono presenti ovunque, ci sono già, ce le portiamo dentro, chiedono solo di essere riscoperte e rivalutate, sono come i fiori di bucaneve: attendono un raggio di sole, attendono un po’ di calore e subito attraversano il gelo e sbocciano. Vorrei dire di più: i germogli di speranza attendono che proprio attorno ad essi ci si organizzi, a livello personale e familiare, a livello di gruppo e di comunità”. È il germoglio dello “stile comunione” nelle e fra le comunità. Comunione insostituibile. È questo il testamento di don Giovanni da onorare. In uno schema di riflessione per i consigli pastorali parrocchiali del 02 dicembre 2007 fra l’altro scrive: “Ognuno deve capire bene qual è la sua funzione all’interno della comunità…Se non si collega con Cristo e con gli altri… fa solo danno. Dobbiamo essere costruttori di ponti, attenti al collegamento delle Persone e della Parola, e dobbiamo passare dalla parrocchia centrata sulla presenza nostra a quella centrata sulla presenza del Risorto”. Fratelli e sorelle: il nostro sguardo è centrato sulla bara di don Giovanni. Ma lui ci ripete: non su di me ma su Cristo Risorto si aprano i vostri occhi. Signore Gesù, noi ti invochiamo: donaci in questa Pasqua – per intercessione di questo nostro amato fratello che sappiamo già essere con Te – di sperimentare la tua presenza consolatrice. Abbiamo bisogno di essere da Te liberati dal peso del nostro turbamento e di avare in cuore la tua pace. Amen + Ovidio Poletto Vescovo