Nota: Riforma Ceciliana: Con il nome di “Riforma Ceciliana” si identifica, in Italia, quel vasto movimento che, a volte in modo traumatico, portò l'organo italiano dall'antichità alla modernità, ponendo le basi dell'attuale organaria. Fino al 1880, l'organo italiano ricalcava l'organo classico, il Positivo del 1700, che era stato la più alta espressione dell'arte italiana ma che aveva ormai perso lungo la strada le sue caratteristiche. Gli organari italiani, infatti, di fronte alle nuove tecnologie ed ai nuovi registri che provenivano dagli organari stranieri (soprattutto francesi ed inglesi), avevano assunto un atteggiamento di chiusura pressoché assoluta, limitandosi ad introdurre solamente quei pochi registri che ritenevano necessari. D'altra parte, in Italia furoreggiava ancora la musica operistica, mentre in tutta l'Europa si erano già aperti altri orizzonti. In questa situazione, in cui le arie e le sinfonie delle opere venivano riproposte anche nelle chiese durante le funzioni religiose su organi ridondanti di tamburi, campanelli, cimbali ed altre cose che in Francia erano già state abbandonate da alcuni decenni. Che l'aria stesse cambiando in Europa lo testimonia il fatto che Camille Saint Saens, grande compositore francese ed organista presso la chiesa della “Madeleine” di Parigi, nel 1879, giunto a Milano per un concerto e trovatosi di fronte un organo ridicolo, si era nettamente rifiutato di esibirsi. Uno dei motivi tecnici che spinsero l'arte organaria europea a compiere il gran salto fu l'invenzione, in Inghilterra, della “Leva Barker”, un dispositivo che sfruttava l'azione dell'aria compressa per fare muovere senza alcuno sforzo, meccanismi di molto complessi. Se prima di allora gli organi erano solo “meccanici”, cioè premendo i tasti delle tastiere si faceva muovere tutta una serie di leve e tiranti, con uno sforzo fisico immaginabile, con l'applicazione della Leva Barker alle tastiere degli organi si potevano porre in movimento meccanismi anche mastodontici e lo sforzo per l'organista era sempre e comunque quello di premere un tasto. In Francia fu Aristide Cavaillé-Coll che applicò subito questa novità ai suoi organi, arrivando a costruire strumenti colossali di quattro e cinque tastiere, mai visti prima di allora. In Inghilterra fu George William Trice l'organaro che applicò queste novità ai suoi strumenti e fu anche il primo che cercò di portare in Italia le novità. Si trasferì infatti a Genova, dove impiantò una fabbrica da cui uscì il primo strumento veramente moderno: l'organo della chiesa dell'Immacolata Concezione. Alcuni anni prima di lui, altri organari stranieri cercarono di piazzare in Italia i loro strumenti di tipo moderno; Merklin, organaro francese di origine tedesca e trasferitosi poi in Belgio, nel 1881 costruì l'organo della chiesa di S. Luigi dei Francesi (organo tuttora esistente e che viene utilizzato regolarmente per concerti); Nel 1894 Walcker realizzò lo strumento dell' Accademia di S. Cecilia, sempre di Roma e, nel 1895, un'altro strumento per la Basilica di S. Pietro in Vaticano. In questo panorama, gli organari italiani rimanevano assenti, incapaci di fronteggiare quest'egemonia straniera nel nostro paese. L'unico che trovò l'ispirazione per accettare le nuove teorie organarie fu Carlo Vegezzi Bossi, che nell' aprile del 1890 assistette ai grandi concerti di inaugurazione dell' organo Trice dell'Immacolata di Genova, rimanendone impressionato. Fu lui che, abbracciando in toto le nuove teorie, diede inizio ad un movimento profondo e radicale di cambiamento nell'arte organaria italiana, tanto profondo e radicale da assumere le caratteristiche di una vera e propria rivoluzione e da prendere il nome di “Riforma Ceciliana”. Dopo di lui altri organari seguirono il suo esempio, ma alcuni di essi esagerarono decisamente il carattere “estero” del movimento, perdendo di vista quell' ideale proprio dell' organo italiano che Carlo Vegezzi Bossi era riuscito perfettamente a mantenere vivo nei suoi strumenti. In tale modo si arrivò, dopo alcuni decenni, ad una tale esasperazione del movimento che si ebbero non solo costruzioni di organi assolutamente estranei alla tradizione italiana ma anche la manomissione di antichi e preziosi strumenti, che vennero irrimediabilmente rovinati con l'asportazione di intere famiglie di registri. A questa grave situazione si dovette porre rimedio, dapprima con alcune blande determinazioni e, infine, con un'apposita riunione di tutti gli organari italiani. Questa riunione, detta “Adunanza Organistica di Trento”, e che si svolse il 29 e 30 giugno del 1930, dettò le regole base dell'organo italiano moderno, ribadendo le caratteristiche tradizionali organarie italiane, basate sui registri del Ripieno, e stabilendo tutti quei principi che accompagneranno l'organaria italiana fino ai nostri giorni.