I TRAUMI EMOTIVI NELL`OPERATORE, di Giuseppe Filatondi

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I TRAUMI EMOTIVI NELL'OPERATORE
di Giuseppe Filatondi
INTRODUZIONE
Comunemente si usa definire in modo restrittivo il trauma come un fattore traumatico estremo che
implica l'esperienza personale diretta di un evento che causa o può comportare morte o lesioni
gravi, o altre minacce all'integrità fisica.
Un concetto di trauma causa-effetto, che tende ad identificare come traumatici solo gli eventi di tipo
fisico, facilmente collocabili nel tempo e nello spazio, trascurando l'aspetto sicuramente traumatico
che possono avere situazioni di stress costanti come, ad esempio anni di contrasti, angherie o nel
nostro caso di contatti con sofferenza e morte.
Si tratta quindi di una interpretazione discutibile perché non considera la valutazione emotiva degli
eventi che ci accadono.
Coniugando l’aspetto fisico con quello psichico possiamo definire genericamente il trauma come:
“un'esperienza di particolare gravità che compromette il senso di stabilità e continuità fisica o
psichica di una persona”.
Entrando nel merito della discussione è indubbio che in ogni genere di relazione entrino in gioco, in
base ai vissuti, gli stati emotivi ed affettivi dei singoli individui che si relazionano tra loro; in alcuni
casi questi stati d’animo possono trasformarsi in “traumi emotivi”[1].
Nella relazione d’aiuto le implicazioni emozionali, difficilmente controllabili e non sempre
positive, possono compromettere l’equilibrio psichico dell’aiutante generando in esso una
sintomatologia psicosomatica con disturbi comportamentali quali depressione, stanchezza,
irritabilità, insonnia, ansia, affaticamento eccessivo, isolamento, variabilità dell’umore, ecc….che
possono durare nel tempo e sfociare in un vero e proprio stato di malattia.[2]
Una reazione emozionale creata dal contatto continuo con altri esseri umani, in particolare quando
essi hanno problemi o motivi di sofferenza.
L’infermiere nel suo contesto lavorativo è continuamente sottoposto a questo tipo di sollecitazioni
che talvolta vanno a determinare l’insorgenza di stati emotivi, semplici o complessi, responsabili
della diminuzione o addirittura della perdita di un equilibrio interiore indispensabile nella
performance lavorativa.
Venendo al nostro ambito professionale in genere si usa intendere come relazione d’aiuto un
rapporto a senso unico, operatore-paziente, contando sul fatto che il bisogno da soddisfare sia solo
in chi sta nella condizione di svantaggio, in questo caso di malattia, trascurando quelle che sono le
implicazioni emozionali di chi assiste e tutte le sue sequele psicologiche.
In altre parole è questo un tipo di approccio, unidirezionale/professionale/razionale, ove il
professionista, investito del proprio ruolo, tende a “dissociarsi”[3] dai propri vissuti, esigenze,
emozioni e paure senza accorgersi che queste, inevitabilmente ed inconsciamente, vanno ad
intrecciarsi con la malattia stessa del proprio assistito.
Da tale “distacco emotivo” (che può avere carattere volontario o involontario per sottrarsi
nell'immediatezza della situazione o successivamente a situazioni stressanti) si possono sviluppare,
come meccanismo di difesa, atteggiamenti negativi quali l’indifferenza, il distacco, il cinismo,
l’ostilità nei confronti delle persone con cui si lavora o che si assiste. Così facendo si ha l’illusione
di costruirsi una sorta di “immunità” dalle malattie e dalla morte.
La possibilità che ognuno di noi durante la giornata lavorativa viva questo genere di “trauma
emotivo”, è elevata ed il rischio è direttamente proporzionale al tipo di coinvolgimento che si ha
con la persona che si sta assistendo.
Effetto collaterale delle professioni d’aiuto che se non gestito può a lungo andare produrre sequele
psicologiche di forte disagio in grado di interferire non solo sulla sfera personale ma anche su quella
professionale incidendo drasticamente sulla qualità del loro operato.
Lo scopo di questa presentazione è quindi quello di riconsiderare il concetto di relazione d’aiuto
non più unicamente con una visione “operatore verso paziente” ma intende focalizzare altresì
l’attenzione sull’importanza del sostegno psicologico nell’operatore sanitario stesso (medicoinfermiere-psicologo-fisioterapista-ecc…).
L’utilizzo strutturato di tecniche di sostegno psicologico avrebbe la finalità di rielaborare, in ambito
professionale, i vissuti emozionali dell’evento in modo da ridurre gli stress ed impedire che
l’accumulo di questi, associati ad altri fattori usuranti, diano luogo ad un disagio personale che,
trasferito in ambito lavorativo, ridurrebbe le capacità professionali, diminuirebbe il livello di
coinvolgimento ed aumenterebbe le difficoltà a relazionarsi con l’utente e con gli altri operatori
della stessa equipe.
E’ evidente, a questo punto, che il continuo accumularsi di questi eventi stressogeni, senza la
possibilità che vengano rielaborati successivamente, si trasformino in “angosce” interiori
difficilmente controllabili da soli inducano l’operatore a ricorrere a svariate forme di difesa quali
appunto “il distacco” fino ad arrivare, nei casi più gravi, all’assenteismo o alla necessità di
cambiare ambiente lavorativo.
Il dato di fatto è che un operatore “stressato” non è nelle condizioni migliori per fornire, in una
relazione d’aiuto, il giusto ed equilibrato apporto “umano” all’assistenza e potrebbe risultare
fortemente pericoloso per se stesso, per gli altri operatori e per gli utenti.; allo stesso modo
l’eccessivo coinvolgimento o il distacco impediscono di vivere serenamente la propria professione,
limitandola alla sola risposta tecnica dei bisogni fisici dell’ammalato, senza considerare la persona
con cui ci si relaziona e le sue richieste inespresse (di sicurezza, di fiducia, ecc….).
Un problema che dovrebbe interessare noi professionisti, in quanto un maggior equilibrio psicofisico sarebbe in grado di creare nuovi presupposti per migliorare qualitativamente il nostro apporto
professionale ed anche all’azienda stessa che, in questi casi, rischia di perdere o di non poter
valorizzare a pieno una capacità professionale maturata con anni di esperienza.
Nonostante la consapevolezza dell’esistenza del problema i programmi di sostegno all’operatore
procedono a rilento poiché culturalmente si è soliti pensare che chi esprime le proprie emozioni sia
un elemento debole, non capace di controllarsi e quindi inaffidabile.
In sintesi il sostegno psicologico nel professionista sia in antitesi con la figura stessa e non si è
abituati ad investire sulla crescita personale per incidere qualitativamente su quella professionale.
Restando in sanità si può asserire che ogni realtà produttiva (U.O.) ha caratteristiche proprie di
unicità ma che tra esse esiste un elemento chelante: il coinvolgimento emozionale ripetuto nel
tempo.
Una lunga serie di microtraumi che nella maggior parte dei casi, se isolati, non producono effetti
significativamente negativi sulla persona ma che divengono angoscianti e dolorosi se non gestiti.
Potenzialmente questo contatto costante con la sofferenza, prevedibile ma inevitabile, può
interiorizzarsi come un trauma e creare un senso d’impotenza e di disagio che può minare il proprio
equilibrio professionale e personale.
Ora, in quella che è la mia esperienza di Infermiere dell’emergenza, credo di poter affermare che è
luogo comune ritenere chi opera in Area Critica una sorta di “superuomo” in grado di controllare
ogni tipo di emozione dimenticando però che il contatto con questi eventi comporta un forte
dispendio di energie mentali con conseguente logoramento psichico dell’operatore stesso.
Quello dell’emergenza è generalmente considerato un settore altamente stressante ed ad alto rischio
di burnout[4] poiché l’impegno fisico e psichico di ogni intervento non è né quantificabile né
prevedibile e che spesso richiede forti responsabilità con decisioni e valutazioni immediate.
Si possono poi associare, all’imprevedibilità degli eventi esterni, particolari stati d’animo
dell’operatore che fanno sì che quest’ultimo viva l’evento in cui si trova ad operare in modo
traumatico rivivendo scene di vita vissuta in prima persona o che hanno coinvolto colleghi, amici o
parenti.
Ora anche se gli studi confermano che l'esposizione ad esperienze potenzialmente stressanti o
traumatiche possono dare origine, nel corso della vita, a molti tipi di problemi e disturbi psicologici
vi è da sottolineare che solo una percentuale relativa di queste persone, coinvolte in casi
particolarmente gravi, andrà incontro a conseguenze psicologiche durature e croniche.
Con ciò si vuol ribadire che non tutto il personale dell’emergenza viva patologicamente la propria
attività professionale e che questi debba essere per forza “sostenuto” ognuno poi reagisce in modo
proprio in base al proprio vissuto ed all’indole caratteriale; è importante però non sottovalutare un
problema che innegabilmente esiste.
E’ importante quindi non sottovalutare gli eventi ed un intervento di sostegno rapido ed efficace
unito ad una attività di prevenzione attraverso percorsi formativi di sostegno psicologico potrebbe
evitare nei soccorritori l’instaurarsi di forti disturbi psichici e del Burnout.
Questo rischio non è presente solo in chi lavora nell’emergenza (VVFF. Forze dell’ordine, ecc…)[5]
chiunque può incappare in un evento stressante e riportare uno stress acuto (pensiamo ad esempio ai
macchinisti dei treni quando si imbattono sui suicidi) e lo si può trasferire anche a qualsiasi
operatore di altre U.O. diverse dall’area critica: ovunque ci sia contatto quotidiano con morte,
disabilità e sofferenza.
CONCLUSIONI
Pur nella consapevolezza di non aver esaurito il tema del sostegno psicologico mi preme richiamare
l’attenzione di noi operatori sanitari e dell’azienda in cui operiamo sulla necessità di formare il
personale non solo per poter far fronte alle esigenze dell’utenza ma anche per contenere il disagio
dell’operatore stesso; partendo, obbligatoriamente, dal costruire una struttura di sostegno
psicologico per tutti gli operatori, non solo quelli del soccorso, che non si attivi solo nel posttraumatico, a giochi fatti, ma che faccia maturare una precisa coscienza in loro, riducendo
notevolmente le conseguenze di un eventuale stress acuto.
In tal modo si avrebbe un bagaglio di competenze utili nei casi in cui è chiamato a fronteggiare
situazioni di emergenza particolarmente critiche. L’intervento di sostegno psicologico è prima di
tutto un’attività di prevenzione, basata sull’insegnamento delle tecniche di gestione emotiva in un
ambiente stressante.
L’esigenza quindi è quella di tutelare l’operatore ricercando ed analizzando nuove strategie di
investimento delle risorse professionali in grado di garantire un maggior benessere psico-fisico che
porterebbe di conseguenza ad un miglioramento della qualità del suo operato.
La realizzazione del sostegno psicologico di cui finora si è largamente discusso richiederebbe
pertanto una diversa strategia aziendale maggiormente attenta alle esigenze degli operatori ed in
grado di aumentare il valore delle competenze professionali; un investimento che rivaluti le
attitudini, il lavoro d’equipe e gli incontri professionali come strumenti validi di gestione degli
eventi stressogeni.
Da parte nostra è importante saper riconoscere i rischi professionali, che non sono solo quelli del
contatto con liquidi organici o il sollevamento manuale dei pesi ma anche il saper prevenire e
affrontare le problematiche inerenti i traumi emotivi legati all’ambiente lavorativo richiedendo
percorsi formativi mirati senza il timore di veder sminuite le proprie competenze e capacità (previsti
dalla L.626/94, riferimento normativo che tutela lavoratore per quel che riguarda la sfera emotivosociale in tutela della nostra salute psico-fisica e che il nostro datore di lavoro ha l’obbligo di
garantire).
Tuttavia, al di là della forte ondata di sensibilizzazione su queste problematiche che il decreto ha
portato con sé, c’è ancora molto da fare.
Questo a causa soprattutto della natura del problema, difficilmente inquadrabile e monitorabile.
Un obbligo che come professionisti dovremmo aver la forza di pretendere e l’umiltà di
accettare senza la paura di squalificarsi professionalmente.
BIBLIOGRAFIA
Psicotraumatologia e Psicologia dell'Emergenza
B. van der Kolk, F. Shapiro, R. M. Solomon, R. D. Macy, L. Maxfield, A. L. Boldorini,
M. Cusano, I. Fernandez, R. Guzzi, T. Lardo, A. Napoli, M. Petea, D. Viveri
Sgarro M. Atti del Convegno" Gravi stress, traumi e salute in ambiente ospedaliero", 2001, Edizioni
Kappa, Roma
Trombini G., “Come logora curare. Medici e psicologi sotto stress”, Ed. Zanichelli, Bologna, 1994
Cannavicci M."Trauma psichico: fattori di rischio e fattori protettivi.", Atti delle 1° Giornate di
Studio su Gravi Stress, Traumi e Salute, a cura di Maura Sgarro. 2000; Edizioni Kappa, Roma.
Del Rio G., “Stress e lavoro nei servizi. Sintomi, cause e rimedi del burnout”, NIS, Roma, 1990.
Pazzagli A., “Mutamenti critici nella realtà esterna e nella realtà interna:eventi e psicosi acute” in
De Martis (op. cit.), 1985.
Pellegrino F., Celani T., “Medici, burnout e formazione psicologica”, in Trombini G. (op. cit.),
1994.
Santaniello M., “La sindrome del burnout”, Ed. ERIP, Pordenone, 1990.
Sarchielli G., Riccibitti P.E., “Burnout e stress lavorativo nelle professioni di aiuto”, in Trombini G.
(op. cit.), 1994.
Quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV, 1994).
Dizionario di psicologia curato da Piéron (1951).
Il vocabolario della lingua italiana Zanichelli.
Dizionario Garzanti della lingua italiana
[1]
Il trauma emotivo o psichico è "un'emozione violenta capace di modificare in modo permanente la personalità di un
individuo sensibilizzandolo alle successive analoghe esperienze emotive". Dizionario di psicologia curato da Piéron
(1951)
Per il grande dizionario Garzanti della lingua italiana il trauma psichico "un'emozione che incide profondamente sulla
personalità del soggetto".
[2]
Esiste ormai una vasta e sufficientemente consolidata letteratura che conferma che in presenza di alcune situazioni
traumatiche e ripetute nel tempo che possono manifestare alterazioni neurologiche e biochimiche.
[3]
ogni esclusione a scopo difensivo di materiale disturbante (Berliner, Briere, 1999)
[4]
Il termine burn-out (dall'inglese letteralmente "esser bruciato") indica un "logoramento" emotivo derivante da stress
dovuto alle condizioni specifiche di lavoro, con conseguenze comportamentali e psicologiche negative.
Si manifesta con sintomi molteplici: sintomi fisici e disturbi psicosomatici, cognitivi, emozionali e stati ansiosi,
problemi relazionali e nella performance lavorativa.
[5]
il disegno di legge n. 3606,“Istituzione del servizio di assistenza psicologica per il personale delle strutture militari”
presentato in Senato il 29 ottobre del 1998, assegnato, ma non ancora esaminato. Detto disegno di legge si propone di
istituire la figura dello psicologo all’interno dei quadri di corpi militari e civili
In seno alla struttura organizzativa dei vigili del fuoco è prevista un’area dedicata alla “medicina del lavoro e
formazione sanitaria”, come stabilito
dall’articolo 2, comma 2, tabella 5 del decreto di organizzazione del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso
pubblico e della difesa civile. per l’emergenza ed il soccorso, le attività di supporto psicologico per il personale del
CNVVF negli interventi di soccorso e di pubblica calamità, nonché negli infortuni sul lavoro; elabora e valuta i requisiti
psico-fisici per l’accertamento dell’idoneità finalizzata all'ammissione in servizio e per la verifica della persistenza dei
requisiti psico-fisici per il personale in servizio; collabora alla selezione concorsuale del personale.
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