Uroboros

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Uroboros
Il simbolo dell'Uroboros raffigura un serpente che si morde la coda e rappresenta la natura ciclica delle
cose, la teoria dell'eterno ritorno e tutto quello che è riconducibile ad un ciclo che ricomincia dall'inizio
una volta che ha raggiunto la propria fine; illustra inoltre la natura dualistica di tutte le cose ed il
concetto che gli opposti non sono in conflitto tra loro, bensì si congiungono e scaturiscono gli uni dagli
altri.
L’Uroboros nacque, pare, presso gli Egizi per indicare la ciclicità naturale delle stagioni e degli astri; fu il
suo arrivo in Grecia e poi a Roma ad arricchirlo di significati nuovi che spesso si discostano da quello
originario.
Il mio percorso si pone come obiettivo [meglio che obbiettivo] di analizzare l’evoluzione del simbolo
stesso nel corso dei secoli e chiarire quando e perché esso ha assunto significato positivo e quando
invece negativo. Per fare maggiore chiarezza è utile evidenziare le due principali sfumature di
significato ad esso collegabili: la ciclicità e la rinascita.
Una prima visione "consolatoria" della ciclicità è quella legata al concetto di completezza e perfezione
da sempre connesso con la figura geometrica del cerchio: in questo senso tutti coloro che vollero
attribuire alle proprie opere un carattere di perfetta completezza fecero ricorso, fin dalla più remota
antichità, al "ciclo". Gli esempi sono innumerevoli: basterà citare quello dei "poemi ciclici" nell'antica
Grecia, ripreso in epoca alessandrina da Apollonio Rodio, oppure, in tempi più recenti, il grande
progetto del "ciclo dei vinti" di Giovanni Verga, o ancora la predilezione di molti artisti per la
cosiddetta ring composition, rintracciabile in numerose opere letterarie.
Tuttavia la concezione ottimistica e rasserenante della ciclicità non sembra essere quella prevalente:
infatti l'idea della ripetitività, intimamente connessa con il ciclo, genera una sensazione di tedio
esistenziale e non è quasi mai valutata in chiave positiva, com'è evidente nella concezione del tempo
ad esso connessa.
Il concetto di tempo ciclico, uno dei cardini della filosofia indiana, arriva in Grecia attraverso la
probabile mediazione delle filosofie orfica e pitagorica; di rinascita ciclica parlò Pitagora nella teoria
della metempsicosi (anch'essa di derivazione indiana), ovvero la trasmigrazione dell’anima che
ciclicamente si reincarna in un altro essere vivente. Forse di ascendenza pitagorica è l'anakyklosis di
Polibio, originale rivisitazione della ripetizione ciclica in chiave politica.
Ciclica è pure la visione del tempo tipica dello stoicismo, come quella del filosofo Nietzsche in epoca
moderna: proprio la capacità di accettare l'"eterno ritorno", e nello stesso tempo quella di "staccare la
testa al serpente" proiettandosi verso il costante divenire, sono le ambigue caratteristiche del suo
"superuomo".
Tuttavia, come dicevo, il concetto di ciclicità del tempo e di eterna ripetizione delle cose è tipico delle
religioni orientali: dalla filosofia indiana esso passa nel buddhismo dando luogo al Samsāra, ovvero il
ciclo di vita, morte e rinascita in cui l’uomo si trova bloccato, poiché non ne comprende il senso ed è
spinto ad agire in una vita che non è altro che illusione.
Schopenhauer si rifà a queste teorie con il suo «velo di Maya», il velo delle illusioni che separa gli
esseri individuali dalla percezione della realtà vera e, permettendo agli uomini una visione solo sfocata
della realtà, impedisce loro la liberazione spirituale: li imprigiona cioè nel Samsāra. L'Uroboros ha
quindi in questa concezione un significato del tutto negativo, simboleggiando appunto la prigione
della materia e delle illusioni da cui l'uomo deve cercare di emanciparsi.
Questo processo di ‘emancipazione’ si avvicina agli obiettivi che si posero gli alchimisti, che non a caso
assunsero l'Uroboros fra i loro simboli più caratteristici. L’alchimia è una scienza (o pseudoscienza)
molto complessa, di cui non è facile, specie per noi moderni, capire a fondo le finalità. È però certo che
uno dei suoi obiettivi primari fosse quello di annullare il decadimento organico della materia tramite le
tre fasi del processo della Grande Opera Alchemica: in poche parole bloccare il ciclo di vita morte e
rinascita ottenendo l’immortalità (la "pietra filosofale" dovrebbe alludere proprio a questo).
L’Uroboros, come simbolo esoterico, è tipico anche della dottrina gnostica, per la quale ha un
significato ambiguo: esso infatti rappresenta con ogni probabilità gli opposti complementari, il
maschile e il femminile, che hanno fondamentale rilevanza nell’operatività esoterica. Infatti il cerchio
rappresenta in genere il femminile, l’utero cosmico in cui la sostanza caotica prende forma, mentre il
serpente, il drago, è simbolo fallico e maschile per eccellenza.
Esso dunque simboleggia la coincidentia oppositorum, la totalità dell'Essere, l'Uno che include il
Molteplice: il motto che spesso accompagna l’Uroboros è infatti Hèn tò Pàn: "il Tutto (è) Uno" (o
"nell'Uno il Tutto"). Il ciclo ampio, esterno, "maschile" dell'Uroboros è l’eterno ritorno delle stagioni,
degli astri, della vita e della morte, mentre il ciclo interno (l'utero) è il preservamento, la conservazione
della materia e la sua dinamizzazione, attraverso la creazione di un qualcosa che in precedenza non
c’era.
Tuttavia, poiché per gli gnostici la materia è integralmente negativa, in quanto creata dal malvagio
Demiurgo, l'Uroboros, in quanto simbolo della materia stessa, non si può considerare in sé positivo, in
quanto rappresenta uno degli ostacoli che impedirebbero all’uomo di ricongiungersi al vero Dio,
totalmente trascendente.
Emerge quindi con evidenza la concezione prettamente negativa della ciclicità, soprattutto quando
essa è legata al ciclo vitale. Da tempo immemorabile filosofi, pensatori e scienziati affermano la
necessità di affrancarsi da tale processo, di rompere il cerchio, liberandosi dall’illusione di perfezione
che questa forma suggerisce. Esso non è altro che la natura, il Wille di Schopenhauer, che spinge i
viventi a moltiplicarsi e in questo modo si autoalimenta.
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