Una vita da «testimone della verità» Copyright © 2013 Stefano Martini La biografia Copyright © 2009 Stefano Martini 2 Søren Kierkegaard nacque a Copenaghen il 5 maggio 1813, “figlio della vecchiaia”, da un agiato commerciante di 56 anni, Michael Pedersen, che dalla domestica di casa, Anne Sørensdatter Lund, sposata in seconde nozze, aveva avuto sette figli, quasi tutti destinati a morire in giovane età. Copyright © 2009 Stefano Martini 3 Søren, l’ultimo nato, venne educato dal padre, ormai anziano, appartenente alla setta dei Fratelli Moravi, ad una severa religiosità, che avrebbe segnato profondamente l’animo del fanciullo e del giovane, destinandolo a una malinconia, che si sarebbe andata accentuando nel tempo. Copyright © 2009 Stefano Martini 4 Per accondiscendere la volontà paterna, Søren si iscrisse alla facoltà di teologia all’università di Copenaghen, dove fra i giovani teologi dominava l’ispirazione hegeliana. Tuttavia, egli seguì con scarso entusiasmo tali studi, attratto dalla poesia, dalla filosofia e dagli ambienti mondani della città, che frequentò con l’atteggiamento dissipato del giovane dandy, amante dell’eleganza e dei raffinati piaceri della vita. Copyright © 2009 Stefano Martini 5 Solo dopo la morte del padre sentì il bisogno di riprendere gli studi, che concluse con la discussione, nel 1840, di una tesi Sul concetto di ironia con particolare riferimento a Socrate, che sarebbe stata pubblicata l’anno successivo. Copyright © 2009 Stefano Martini 6 Non intraprese, però, la carriera di pastore, alla quale la sua laurea lo abilitava. Nel 1841-1842 fu a Berlino e ascoltò le lezioni di Friedrich W.J. Schelling, che vi insegnava la sua filosofia positiva. Dapprima entusiasta, Kierkegaard ne rimase presto deluso. Copyright © 2009 Stefano Martini 7 Dopo di allora, egli visse a Copenaghen, assorto nella composizione dei suoi libri, con un capitale lasciatogli dal padre. Copyright © 2009 Stefano Martini 8 Il rapporto con il padre e il fidanzamento con Regina Olsen, e la sua drammatica rottura, furono le principali vicende della sua vita privata. Copyright © 2009 Stefano Martini 9 L’attacco del giornale satirico-umoristico, “Il Corsaro” («Corsaren», diretto da Meïr Aron Goldschmidt), di cui si dolse e crucciò come di una persecuzione, Copyright © 2009 Stefano Martini 10 e la polemica, che occupò gli ultimi anni della sua vita, 1) contro l’opportunismo religioso, impersonato nel teologo e vescovo luterano, Jacob Peter Mynster, autorevole esponente della chiesa danese, e 2) contro l’ambiente teologico hegeliano di Copenaghen, specialmente nella figura del docente e vescovo Hans Lassen Martensen, successore di Mynster, Copyright © 2009 Stefano Martini 11 che raggiunse l’espressione più acuta nei violenti articoli da Kierkegaard pubblicati sulla propria rivista “Il Momento” («Øieblikket») nel 1855 (con essi egli si staccò definitivamente dalla Chiesa ufficiale), furono, invece, gli avvenimenti principali della sua vita pubblica. Copyright © 2009 Stefano Martini 12 Il senso di colpa e il rimorso, che alimentavano la religiosità del padre, trovarono la spiegazione nella drammatica scoperta che il figlio fece di un misterioso peccato paterno, di cui egli parla nel suo Diario come di un “gran terremoto” che sconvolse per sempre il suo animo, al punto da costringerlo a mutare il suo atteggiamento di fronte al mondo. Copyright © 2009 Stefano Martini 13 Egli accenna soltanto vagamente alla causa di questo rivolgimento: «Qualche colpa doveva gravare sulla famiglia intera, un castigo di Dio vi pendeva sopra: essa doveva scomparire, rasa al suolo dalla divina onnipotenza, cancellata come un tentativo fallito». Copyright © 2009 Stefano Martini 14 Per quanto i biografi si siano affaticati inutilmente a determinarla, è chiaro che essa rimane, dinanzi agli occhi di Kierkegaard, come una minaccia vaga e terribile insieme. Quel che importa è il sentimento di sgomento e di morte vissuto dall’autore, un tormento che viene però anche interpretato da lui come segno di “eccezionalità”, di un destino a una vita spirituale superiore. Copyright © 2009 Stefano Martini 15 Kierkegaard parla, poi, nel Diario, e ne parlò anche sul letto di morte, di una “scheggia nelle carni”, che è destinato a portare. Anche qui, di fronte alla mancanza di ogni dato preciso, sta il carattere grave e paralizzante della cosa. Forse, fu appunto questa ‘spina nella carne’ a impedirgli di condurre in porto il suo fidanzamento con Regina. Copyright © 2009 Stefano Martini 16 È una diversa “chiamata” a sbarrargli la strada del matrimonio: la consapevolezza dell’impossibilità di poter conciliare vocazione religiosa e vita nel mondo. Come Dio ha chiesto ad Abramo di sacrificargli il figlio, così ora a lui chiede di rinunciare a Regina e a una vita di felicità, e di “dargli la precedenza”. Copyright © 2009 Stefano Martini 17 Tuttavia, egli non intraprese neppure la carriera di pastore né nessun’altra; e di fronte alla sua stessa attività di scrittore dichiarò di porsi in un “rapporto poetico”, cioè in una relazione di distacco e di lontananza: distanza accentuata dal fatto che egli pubblicò i suoi libri sotto pseudonimi diversi, quasi a impedire ogni riferimento del loro contenuto alla sua persona. Copyright © 2009 Stefano Martini 18 Ecco alcuni degli pseudonimi utilizzati da Kierkegaard: Victor Heremita, Johannes de Silentio, Constantin Constantius, Inter et Inter, Anti-Climacus, Johannes Climacus, Vigilius Haufniensis, Hilarius il Rilegatore, H.H. Copyright © 2009 Stefano Martini 19 Come detto, la produzione letteraria assorbì l’intera vita di Kierkegaard. Grazie al patrimonio lasciatogli dal padre, egli poté vivere con una certa autonomia; ebbe di quando in quando delle serie preoccupazioni per l’avvenire, ma alcuni felici accorgimenti e la stessa pubblicazione delle opere lo soccorsero notevolmente. Copyright © 2009 Stefano Martini 20 Quando cadde svenuto sulla via e fu ricoverato al Friedriks Hospital, tornava dalla banca dove aveva ritirato l’ultimo resto del suo deposito, che sarebbe stato lo “stretto necessario” per la degenza all’ospedale e per la sepoltura, com’egli stesso confessò all’amico Emil Boesen (1812-1881) sul letto di morte. Copyright © 2009 Stefano Martini 21 Da una recente ricerca basata su documenti dell’ospedale in cui il filosofo visse i suoi ultimi 41 giorni, è stata avanzata l'idea che Kierkegaard soffrisse di paralisi spinale progressiva. Fu sepolto nella tomba di famiglia nella città di Copenaghen. Copyright © 2009 Stefano Martini 22 L’ultima malattia fu degno epilogo della vita, nel possesso di una pace dell’anima che invano cercò per tutta la vita: la fortezza del suo spirito ricorda un modello greco riportato in clima cristiano. Copyright © 2009 Stefano Martini 23 Morì il giorno 11 novembre 1855, di domenica. O, piuttosto, si lasciò morire, perché a detta dei medici (e di lui stesso), sarebbe bastato che avesse voluto e la vita l’avrebbe ancora sorretto. I funerali, avvenuti la domenica seguente, furono un trionfo tanto inatteso quanto spontaneo. Copyright © 2009 Stefano Martini 24 I pochi contrasti da parte di qualche pastore furono repressi dal fervore del popolo. Nel distacco della morte, spente le animosità dei mediocri e degli interessati, la sua opera cominciò la sua missione nel mondo. Copyright © 2009 Stefano Martini 25 Dopo la tesi Sul concetto di ironia, le opere più importanti sono: Aut-Aut (1843), Timore e tremore (1843), La ripresa (1843), Briciole di filosofia (1844), Il concetto dell’angoscia (1844), Stadi sul cammino della vita (1845), Postilla conclusiva non scientifica (1846), La malattia mortale (1849), Esercizio del Cristianesimo (1850). Oltre ai Discorsi edificanti (pubblicati con il suo nome), di fondamentale valore psicologico e speculativo è il Diario (postumo), che va dal 1843 sino all’anno della morte. Copyright © 2009 Stefano Martini 26 Copyright © 2009 Stefano Martini 27 Il pensiero Copyright © 2009 Stefano Martini 28 La filosofia di Kierkegaard si segnala per l’attenzione rivolta all’esistenza, al Singolo: in una netta contrapposizione allo spirito di sistema dello hegelismo, il filosofo danese intende sottolineare la irriducibilità dell’esistenza del Singolo a un Assoluto che si presume spieghi tutto e risolva ogni contraddizione. Copyright © 2009 Stefano Martini 29 Per il Singolo, nell’orizzonte dell’esistenza concreta che ha sempre di fronte la morte, le contraddizioni restano insolute e si impongono spesso come scelte drammatiche. Copyright © 2009 Stefano Martini 30 Alla categoria della necessità si sostituisce quella della possibilità, alla totalità il singolo, alla sintesi rassicurante l’aut-aut impegnativo. Copyright © 2009 Stefano Martini 31 Dal punto di vista del Singolo, l’esistenza diviene un insieme di possibilità, senza il punto di riferimento della verità costituita dal sistema; quella è caratterizzata da scelte ognuna delle quali la determina in modo irreversibile e deve venir compiuta, senza poter essere fondata razionalmente, da una libertà che produce angoscia, perché l’uomo deve scegliere, ma non può conoscere le conseguenze delle proprie scelte, né fondarle su criteri di qualsiasi tipo. Copyright © 2009 Stefano Martini 32 distinto Categorie di Kierkegaard: SINGOLO originale irriducibile irripetibile dimensione: futuro POSSIBILITÀ SCELTA unico solo LIBERTÀ ANGOSCIA Copyright © 2009 Stefano Martini 33 L’Angoscia. L’angoscia, che è la categoria per eccellenza (è anche la più gravosa) e in sé compendia tutte le altre, è tematizzata in particolare nell’opera Il concetto dell’angoscia. Essa è la condizione generata nell’uomo dal possibile che lo costituisce ed è strettamente connessa con il peccato, anzi è a fondamento dello stesso peccato originale. Copyright © 2009 Stefano Martini 34 L’Angoscia. L’innocenza di Adamo è ignoranza; ma è ignoranza che contiene un elemento che determinerà la caduta. Questo elemento non è che un niente, ma proprio tale niente genera l’angoscia. Il concetto dell’angoscia «è completamente diverso da quello della paura e da simili concetti che si riferiscono a qualcosa di determinato, mentre invece l’angoscia è la realtà della libertà, come possibilità per la libertà». Copyright © 2009 Stefano Martini 35 L’Angoscia. «Il divieto divino rende inquieto Adamo, perché sveglia in lui la possibilità della libertà. Ciò che si offriva all’innocenza come il niente dell’angoscia è ora entrato in lui, e qui ancora resta un niente: l’angosciante possibilità di potere. Quanto a ciò che può, egli non ne ha nessuna idea, altrimenti sarebbe presupposto ciò che ne segue, cioè la differenza tra il bene e il male». Copyright © 2009 Stefano Martini 36 L’Angoscia. L’individuo si scopre persona solo nel peccato, il quale, mentre fonda la pienezza della sua singolarità, lo pone, per virtù dialettica, di fronte a Dio, all’infinitamente Santo. Di qui nasce l’angoscia. Copyright © 2009 Stefano Martini 37 L’Angoscia. Poiché il Singolo è libertà e possibilità, esposto ad ogni istante al rischio della scelta, di fronte all’alternativa di essere solo con se stesso o solo con Dio, l’angoscia è la “possibilità della libertà”, la “vertigine della libertà”, la “infinità autonoma della possibilità”, il “senso di disorientamento totale”, un’“indefinita inquietudine”. Copyright © 2009 Stefano Martini 38 L’Angoscia. «Con l’angoscia il peccato venne al mondo, ma il peccato, da parte sua, generò l’angoscia». «Imparare a sentire l’angoscia è un’avventura, attraverso la quale deve passare ogni uomo, affinché non vada in perdizione». Copyright © 2009 Stefano Martini 39 La Disperazione. Se l’angoscia è la condizione in cui l’uomo è posto dal possibile che si riferisce al mondo, la disperazione è la condizione in cui l’uomo è posto dal possibile che si riferisce alla sua stessa interiorità, al suo io. Essa è tematizzata in particolare nell’opera La malattia mortale. Copyright © 2009 Stefano Martini 40 La Disperazione. Essa è malattia mortale, non perché conduca alla morte dell’io, ma perché è il vivere la morte dell’io: è “un eterno morire senza tuttavia morire”, è “un’autodistruzione impotente”. Essa è il tentativo impossibile di negare la possibilità dell’io o rendendolo autosufficiente o distruggendolo nella sua natura concreta. Copyright © 2009 Stefano Martini 41 La Disperazione. Le due forme di disperazione si richiamano a vicenda e si identificano: disperare di sé nel senso di volersi disfare di sé significa voler essere l’io che non si è veramente; voler essere se stesso ad ogni costo significa ancora voler essere l’io che non si è veramente, un io autosufficiente e compiuto. Nell’uno e nell’altro caso la disperazione è l’impossibilità del tentativo. Copyright © 2009 Stefano Martini 42 La Disperazione. La scaturigine della disperazione sta nel non volersi accettare dalle mani di Dio; ma negando Dio, si annienta se stessi; e separarsi da Dio equivale ad allontanarsi da «quell’unico pozzo da cui si può attingere acqua». Pertanto, se la radice della disperazione è questa, è chiaro che l’esistenza autentica è quella di colui che non crede più a se stesso ma solo a Dio. Copyright © 2009 Stefano Martini 43 La Fede. La fede è l’antidoto contro la disperazione, in quanto ne è la eliminazione: essa è la condizione in cui l’uomo, pur orientandosi verso se stesso e volendo esser se stesso, non si illude sulla sua autosufficienza, ma riconosce la sua dipendenza da Dio. La fede sostituisce alla disperazione la speranza in Dio. Tuttavia, essa è assurdità, paradosso e scandalo. Copyright © 2009 Stefano Martini 44 Ciò che caratterizza l’esistenza, nella sua singolarità accidentale e irripetibile, è l’assenza di ogni necessità: per l’uomo l’esistenza è il campo del possibile e della scelta. Nulla è garantito in essa da ragioni necessarie: l’uomo, decaduto dall’Eden dell’innocenza, porta su di sé il peso della responsabilità e della scelta. Non più dialettica astratta dell’et-et (che non riesce a dar ragione del Singolo, la cui esistenza non è riconducibile a una serie di conciliazioni), ma dialettica concreta dell’aut-aut (in cui l’esistenza è espressa da contraddizioni reali). Il Singolo nel sistema hegeliano è un accidentalità irrilevante, ma questa è la concreta dimensione della vita reale di ogni singolo uomo. Copyright © 2009 Stefano Martini 45 Per Kierkegaard la verità non è oggettiva (come nella speculazione hegeliana), ma soggettiva nel senso che in essa ne va del soggetto, in quanto è decisiva per lui e per la sua salvezza. Copyright © 2009 Stefano Martini 46 Caratteri della oggettività: Astrattezza (la verità è un oggetto tra gli altri) Disinteresse (la verità non tocca il soggetto) Indifferenza (una verità oggettiva vale l’altra) Certezza (la verità oggettiva è inconfutabile, ma vuota) Linearità (una dialettica conciliativa del tipo: et … et) Copyright © 2009 Stefano Martini 47 Caratteri della soggettività: Concretezza (non abbandona il terreno dell’esistenza) Interesse (la verità è per il soggetto) Passione (ne va dell’esistenza del soggetto) Incertezza (un rischio, nessuna garanzia per il soggetto) Biforcazione (una dialettica esclusiva del tipo: aut … aut) Copyright © 2009 Stefano Martini 48 Caratteri della verità: Paradosso e assurdo. La verità eterna è divenuta nel tempo, l’essere si è rapportato all’esistenza. Il paradosso assoluto è la verità del Cristianesimo: il Dio-uomo. Copyright © 2009 Stefano Martini 49 Gli Pseudonimi in Kierkegaard: da un lato, essi stanno ad indicare il suo rifiuto di presentarsi come “pensatore ufficiale”, il desiderio di non apparire “dottore”, ma semmai “testimone della verità”; dall’altro, il suo desiderio di esprimere le molteplici possibilità che egli percepiva compresenti nella sua personalità e l’adesione a un criterio di “comunicazione indiretta” della verità, attraverso la “testimonianza”, appunto, e non la “dimostrazione”. Copyright © 2009 Stefano Martini 50 Il Singolo si trova davanti a tre alternative principali, cioè a tre modelli esistenziali inconciliabili (potremmo dire: tre momenti della dialettica esistenziale): lo stadio estetico; lo stadio etico; lo stadio religioso. Copyright © 2009 Stefano Martini 51 Le tre sfere dell’esistenza sono esclusive l’una dell’altra, e perciò il passaggio dall’una all’altra impegna il Singolo con un atto libero di scelta, che può essere soltanto suo: più che un passaggio dialettico, è un salto, la cui origine prima si perde nel mistero della persona. Copyright © 2009 Stefano Martini 52 Lo stadio estetico è una vita di piacere e di gioia: è la vita del dilettante, che si rifiuta di impegnarsi in un compito definito e non vuole affrontare il rischio della scelta; dell’esteta, che si compiace delle belle parvenze e coltiva i piaceri raffinati dell’arte; del seduttore, che al celibato chiede la garanzia di una libertà irresponsabile. Copyright © 2009 Stefano Martini 53 Copyright © 2009 Stefano Martini 54 Il Don Giovanni di Mozart ne è la rappresentazione letteraria e musicale più perfetta. L’esteta vive in un presente che non si protende verso il futuro, ma si esaurisce in se stesso; gode dell’attimo; pertanto, si può dire che egli, in quanto non si sceglie e non si impegna, nemmeno esista. Copyright © 2009 Stefano Martini 55 Lo stadio etico è la vita dedicata al dovere. Qui l’individuo ha scelto il suo posto nella “generalità”, si è sposato, si è formato una famiglia, ha assunto delle responsabilità di marito, di cittadino, di professionista. La figura caratteristica di questo tipo di vita è l’assessore Guglielmo, il quale è essenzialmente un marito fedele, un professionista onesto e laborioso, un funzionario esemplare. Copyright © 2009 Stefano Martini 56 Assumendo come proprie le obbligazioni comuni, inserendosi nella società, l’uomo etico si sceglie ed esiste in modo autentico: nella rettitudine della sua condotta egli trova la ricompensa della pace interiore. Copyright © 2009 Stefano Martini 57 L’etica di Kant, che si fonda sull’oggettività di un imperativo categorico e pone l’universalità come criterio formale delle azioni buone, è, di codesta sfera, la teorizzazione filosofica più perfetta. Copyright © 2009 Stefano Martini 58 La sfera religiosa è lo stadio estremo, in cui il Singolo esiste nel suo grado più alto, poiché la fede lo pone, solo e peccatore, davanti a Dio. Egli ha rinunciato a qualsiasi scopo relativo e finito di cui riconosce la radicale contingenza, ha rotto ogni vincolo con le attrattive della bellezza e dell’arte, con i doveri della vita associata, per affrontare il rischio supremo in faccia all’Assoluto. Copyright © 2009 Stefano Martini 59 La figura di Abramo è l’incarnazione perfetta della sfera religiosa. Abramo ama il figlio Isacco con tutta l’anima sua, e appunto perché lo ama, egli vuole sacrificarlo a Dio, che glielo chiede: se non lo amasse, il suo atto non sarebbe un sacrificio; perciò il suo amore per Dio è tale veramente per la sua opposizione paradossale all’amore per il figlio. Copyright © 2009 Stefano Martini 60 Il suo gesto, visto dall’esterno, dentro la sfera etica del “generale”, appare come l’atto di un assassino; intuito dall’intimo, nella passione religiosa di Abramo, esso è il momento culminante della sua esistenza di Singolo. Ma Abramo non può farsi comprendere, parlando con parole umane, dalla “generalità”. Il suo gesto si consuma nell’interiorità e nel silenzio: con esso egli non è e non può essere un maestro, ma solo un testimone. Copyright © 2009 Stefano Martini 61 Come si è detto, tra le tre sfere non esiste continuità dialettica progressiva, non c’è mediazione logica: il passaggio dall’una all’altra si compie con un salto, che è opera della scelta, della conversione del cuore. Con esso il Singolo nega la sfera precedente e, con una iniziativa assoluta che è privilegio della sua libertà, rompe improvvisamente con il passato e s’impegna in un’esistenza nuova. La sua libertà è autotrascendimento, e l’atto che essa compie è imprevedibile e logicamente ingiustificabile. Copyright © 2009 Stefano Martini 62 E tuttavia, se non c’è mediazione fra le sfere esistenziali, sussiste nell’intimo di ciascuna di esse una preparazione, un presentimento della successiva, che però non dispensa il Singolo dall’atto libero della scelta. Copyright © 2009 Stefano Martini 63 Nella sfera estetica, che non è moralità, la sfera etica è in qualche modo presente in incognito sotto la forma dell’ironia. Per l’ironia, che si insinua nel mondo frivolo e dilettantistico dei suoi piaceri, l’esteta-seduttore avverte la vanità e la insufficienza dei suoi godimenti sino al punto da provarne disgusto. Copyright © 2009 Stefano Martini 64 La vita estetica rivela, così, la sua insufficienza e la sua miseria nella noia. Ma non è detto che la disperazione, alla quale l’ironia può condurre l’esteta, lo converta necessariamente a una vita migliore: egli può anche compiacersi della sua disperazione, e così si perde, perché non ha saputo e voluto comprendere, attraverso l’ironia, il richiamo della sfera superiore. Copyright © 2009 Stefano Martini 65 Nella sfera etica la sfera religiosa è presente in incognito sotto forma di umore (humor): per esso il Singolo intuisce che in certi casi la morale non può essere decisiva e che ci sono circostanze in cui il dovere non è precisabile, o non implica una forma “ragionevole”. L’umore finisce così per inquietare il Singolo e offuscare quel senso di sicurezza e di pace, che egli trova nel compimento dei suoi doveri quotidiani. Copyright © 2009 Stefano Martini 66 Anche in questo caso, il Singolo può non comprendere il senso della sua inquietudine e, invece di compiere il salto nell’assurdo, rinchiudersi ancor più nella sfera etica; e anche questa volta egli con la sua scelta si perde. Copyright © 2009 Stefano Martini 67 È il senso di una colpa irrimediabile, cioè di un peccato commesso contro Dio e perciò non emendabile con mezzi puramente umani, ciò che rivela a Kierkegaard l’insufficienza della vita etica. L’unica via per riscattarsi dal peccato è il pentimento, cioè il riconoscimento della propria miseria, della propria impotenza, e l’abbandono fiducioso a Dio come una possibile fonte di salvezza. Copyright © 2009 Stefano Martini 68 Il pentimento è, dunque, l’ultima parola della scelta etica, quella per cui questa scelta appare insufficiente e trapassa nel dominio religioso: «Il pentimento dell’individuo coinvolge se stesso, la famiglia, il genere umano, finché egli si ritrova in Dio. Solo a questa condizione egli può scegliere se stesso e questa è la sola condizione che egli vuole perché solo così può scegliere se stesso in senso assoluto». Copyright © 2009 Stefano Martini 69 Ecco prospettarsi, allora, la possibilità di un terzo tipo di vita, la vita religiosa, che – se scelta liberamente – può diventare il terzo stadio nel cammino della vita. Copyright © 2009 Stefano Martini 70 Questa vita è descritta da Kierkegaard nell’opera Timore e tremore, che, come appare già dal titolo, descrive la religione non come una condizione di tranquillità e di ossequio alle istituzioni, quale era per lui la religione praticata dalla Chiesa luterana ufficiale (il vescovo Mynster), bensì come una situazione in cui l’uomo si trova solo di fronte a Dio e decide di abbandonarsi completamente a Lui, con un atto di fede che non è la conseguenza di un ragionamento, ma un “salto”, cioè una decisione pura, immotivata, totalmente libera. Copyright © 2009 Stefano Martini 71 La religione, nella quale soltanto si deve conchiudere la dialettica esistenziale, non è nemmeno la religione naturale e razionale (quella che Kierkegaard chiama “religiosità A”), teorizzata e celebrata da illuministi e deisti: questa non riesce a vincere la angoscia e il peccato, ma tutt’al più a suscitare il pentimento del peccato e l’aspirazione al Perfetto. Copyright © 2009 Stefano Martini 72 La salvezza si ottiene soltanto nella Fede cristiana (la “religiosità B”), il cui oggetto è il “paradosso essenziale”, cioè il Cristo, la Persona dell’UomoDio, che è “divenuto” nel tempo ed è apparso sotto la forma dell’“uomo comune”, per poter essere “modello” di ogni uomo. Copyright © 2009 Stefano Martini 73 Kierkegaard prende posizione nei confronti di Lessing, che contro il “paradosso” dell’Incarnazione aveva affermato che “verità storiche non possono mai diventare una prova per verità eterne e che il passaggio, con cui si vuol costruire una verità eterna sopra un fatto storico, è un salto”, che egli non si sentì di compiere. Copyright © 2009 Stefano Martini 74 Per Kierkegaard l’essenza del Cristianesimo è proprio nell’affermazione di questa situazione paradossale: Cristo è persona in quanto si è incarnato, per un atto di libera decisione divina, in un certo tempo e in un certo luogo, cioè nella storia; l’uomo è persona in quanto accetta nel tempo, con un atto libero di scelta, il Verbo incarnato come modello da imitare; Dio si è “impegnato” a salvare l’uomo; l’uomo, il Singolo, si deve impegnare a salvarsi credendo nel paradosso essenziale. Copyright © 2009 Stefano Martini 75 Così il Singolo, concepito come possibilità, si trova davanti a un bivio fondamentale: da un lato Dio, l’Infinito, il Verbo incarnato, il “paradosso”, l’Assurdo; dall’altro la famiglia, la società, il Popolo, lo Stato, l’eticità comune; da un lato la salvezza, dall’altro la perdizione. Aut-aut. C’è un Assoluto che non costringe ma invita e chiama, e non ha senso la sua accettazione se non è atto di una libera scelta: si può non sceglierlo (e anche questa è una scelta!), ma chi non vuole sceglierlo è perduto. Copyright © 2009 Stefano Martini 76 Copyright © 2009 Stefano Martini 77 Le caricature Copyright © 2009 Stefano Martini 78 Copyright © 2009 Stefano Martini 79 Copyright © 2009 Stefano Martini 80 Copyright © 2009 Stefano Martini 81 Copyright © 2009 Stefano Martini 82 Copyright © 2009 Stefano Martini 83 Copyright © 2009 Stefano Martini 84 Copyright © 2009 Stefano Martini 85 Le fonti Copyright © 2009 Stefano Martini 86 N. Abbagnano, G. Fornero, Protagonisti e Testi della Filosofia, volume C, Paravia, Torino 1999; E. Berti, F. Volpi, Storia della filosofia. Ottocento e Novecento, 3, Laterza, Roma- Bari 1991; Enciclopedia Garzanti di Filosofia e Logica, ecc., Garzanti, Milano 1993; C. Fabro, Introduzione a S. 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