Università di Pisa
Museo di Storia Naturale e del Territorio
Presentazione del
percorso espositivo
RITORNO AL PASSATO
un viaggio di 500
milioni di anni
sui Monti Pisani
Giovanni Bianucci, Marco Tongiorgi,
Chiara Sorbini e Carla Nocchi
per informazioni:
Museo di Storia Naturale e del Territorio
via Roma, 79 -56011 Calci (Pisa)
tel. 050 2212970
http://storianaturale.museo.unipi.it
Le foreste permo-carbonifere
Circa 300 milioni di anni fa le zolle continentali dell’emisfero settentrionale erano unite e si trovavano
intorno all’Equatore: questo favoriva lo sviluppo di estese foreste pluviali. Il clima era caldo ed umido e le
valli erano occupate da estese paludi e ricoperte da una lussureggiante vegetazione. Gli abbondanti resti di
piante fossili trovati negli Scisti di San Lorenzo, le rocce permo-carbonifere dei Monti Pisani, sono una delle
testimonianze di queste foreste equatoriali.
A parte le felci arboree, molto diffuse sia nelle foreste permo-carbonifere sia in quelle attuali, gli altri gruppi
di piante delle foreste paleozoiche sono oggi completamente scomparsi (es.: cordaitali e felci con semi) o
drasticamente ridotti (es.: licopodi ed equiseti), in gran parte sostituite dalle piante con fiore (angiosperme).
L’enorme diffusione delle foreste e il conseguente accumulo di resti vegetali nei terreni palustri durante
questo periodo hanno portato alla formazione di gran parte dei giacimenti di carbone di tutto il mondo che
sono stati intensamente sfruttati come fonte di energia agli albori della civiltà industriale.
Tronco di Lepidodendro
Scisti di San Lorenzo
M.ti Pisani
Lepidodendro e Sigillaria
Lepidodendron e Sigillaria
Questi licopodi arborescenti potevano raggiungere 40 metri di altezza e 2 metri di diametro alla base del
tronco.
Il fusto dei Lepidodendri era ricoperto di incisioni di forma romboidale dovute al distacco delle foglie e che gli
conferiscono un aspetto squamoso. Il nome Lepidodendro, infatti, significa “albero a squame”, mentre una
volta indicava solo i resti del tronco con le tipiche incisioni ora, invece, identifica l’intero albero.
Elemento caratteristico del fusto della Sigillaria (al centro) sono le tracce esagonali (oppure ellittiche) lasciate
dalle basi delle foglie. Il nome Sigillaria deriva proprio da queste impronte che ricordano i sigilli impressi
nella ceralacca
I licopodi arborescenti sono la vegetazione dominante del panorama carbonifero e il carbone è in gran parte
formato dai loro resti (d’altra parte è proprio l’estrazione del carbone che ha permesso il ritrovamento e lo
studio di molti esemplari).
Psaronius
Scisti di San Lorenzo
M.ti Pisani
Psaronio
Psaronius
Questa felce arborea tipica egli ambienti umidi del Carbonifero poteva
raggiungere 8 - 10 metri di altezza e aveva una chioma composta di fronde
disposte spiralmente o in file verticali. La sua forma generale era molto simile
a quella delle attuali felci arboree mentre le fronde se ne differenziavano nel
profilo e disposizione di pinne e pinnule. Inizialmente il termine Psaronius
era usato per i resti del fusto, mentre le fronde venivano indicate con il termine
Pecopteris; in seguito “Psaronius” è diventato il nome dell’intera pianta.
Medullosa
Medullosa
Medullosa
Questa pianta appartiene al gruppo delle “felci con semi”, infatti pur
Scisti di San
avendo foglie simili a quelle delle felci non si riproduce tramite spore,
Lorenzo, M.ti Pisani
come queste ultime, ma produce polline e ovuli, e quindi semi.
Poteva essere alta fino a 3-4 metri e le sue fronde, grandi e bipartite, crescono nella parte sommitale del
tronco distaccandosi dalla parte bassa durante la crescita e lasciando resti della base delle foglie disposti a
spirale lungo il tronco. La base del tronco è ricoperta da radici avventizie lunghe e sottili che si immergono
nel terreno.
Cordaite
Cordaites, Scisti di
San Lorenzo, M.ti Pisani
Cordaites
Le ricostruzioni più antiche dipingevano questa gimnosperma come una albero alto fino a 30 metri, tuttavia
successivamente questa pianta è stata descritta come alta non oltre 5 metri e fornita di un sistema di radici
aeree simili a quelle delle attuali mangrovie. Simile a quello delle mangrovie doveva essere anche il loro
habitat, ai bordi degli specchi d’acqua palustre, degli estuari e delle coste marine. Recenti studi ipotizzano
che almeno una specie di Cordaite fosse di aspetto cespuglioso e strisciante.
Le dimensioni delle foglie variano da pochi centimetri a 1 metro con una larghezza massima di 15 cm. Pur
essendo tutte di forma allungata, il loro profilo varia da lanceolato a spatolato con punte aguzze o
arrotondate. Le venature sono ben evidenti e parallele. Gli organi riproduttivi (strobili) possono essere
indicati anche con il nome di Cordaitanthus.
Calamite
Annularia
Scisti di San Lorenzo
M.ti Pisani
Calamites
La Calamite appartiene alle equisetali, gruppo presente dal Devoniano ad oggi e distinto in due famiglie: le
Calamitaceae e le Equisetaceae. Abbondantemente presenti nel Carbonifero, oggi sono limitate agli
Equiseti. Il nome Calamite, inizialmente riservato alle impronte dei tronchi, oggi indica l’intera pianta.
Il fusto è caratterizzato dalla presenza di nodi, internodi e solchi internodali longitudinali.
Le foglie della Calamite sono piccole (al massimo 8 cm) e riunite in verticilli (da 4 a 40 per giro). Non hanno
venature e la loro forma è lanceolata o spatolata; possono o meno sovrapporsi alle foglie del verticillo
successivo. I diversi tipi di foglie sono chiamati anche Annularia e Asterophyllites.
Le rive triassiche dei Monti Pisani
Le rocce del Periodo Triassico rappresentano le pagine meglio conservate e forse più significative del libro
sulla lunga storia dei Monti Pisani. Affiorano estesamente sulle pendici del Monte Serra, il rilievo maggiore
dei Monti Pisani e sono in gran parte formate dall’accumulo di detriti dovuti allo smantellamento della
Catena Ercinica. Le rocce più antiche, formate in ambiente continentale alluvionale, sono costituite da
detriti più grossolani mentre quelle relativamente più giovani, formate in ambiente da costiero a marino,
sono rappresentate da materiale più fine.
V1
V2
S1
V3
S2
S4
S3
1
3
2
S4 Quarziti viola
S3 Quarziti bianco-rosa
S2 Quarziti verdi
S1 Scisti verdi
V3 Anageniti
FOSSILI
V2 Scisti viola
Orme
V1 Anageniti grossolane
1
Rocce di Buti
paleozoiche
Bivalvi
2
3
Queste illustrazioni mostrano tre momenti della storia triassica del territorio pisano. Via via che il mare
avanza e la terra si ritira, la foce del fiume si sposta verso l’interno fino a raggiungere il territorio dove
sorgeranno i Monti Pisani. Pertanto, nel corso del Triassico, l’ambiente del territorio pisano evolve nella
maniera seguente:
1. Area pedemontana dove i fiumi depositano detriti grossolani (V1)
2. Pianura alluvionale dove si accumulano sedimenti fini (V2) o ciottolosi nei meandri dei fiumi (V3)
3. Foce del fiume dove si depositano sedimenti fini nelle lagune (S1),barre sabbiose (S2), sabbie e detriti
più grossolani nel mare in prossimità dello sbocco del fiume (S3) e sabbie fini nelle piane deltizie inondate
da un velo d’acqua e periodicamente disseccate (S4).
I diversi sedimenti triassici si sono accumulati l’uno sull’altro e le rocce che ne derivano si ritrovano oggi
nei Monti Pisani nella sequenza riportata qui sopra nelle colonne stratigrafiche. Le orme e i molluschi
bivalvi fossili si trovano concentrati nei livelli indicati.
Le orme
Un airone che cammina sulla riva di un fiume o una lucertola che
corre sulla sabbia del deserto lasciano delle impronte
caratteristiche che ne testimonieranno il passaggio. Purtroppo la
vita delle orme è spesso molto effimera: una pioggia o una raffica
di vento possono cancellarle rapidamente. Solo in casi
eccezionali, come quelli che si sono verificati oltre 200 milioni di
anni fa sui Monti Pisani, esse si conservano per lungo tempo,
addirittura come tracce fossili all’interno degli strati rocciosi.
Zone favorevoli per la loro formazione sono quelle vicino alla
riva soggette ai movimenti delle maree o delle piene dei fiumi: le
impronte vengono lasciate sulla superficie ancora umida al ritiro
delle acque, si solidificano mano a mano che il sedimento si
asciuga, per venire poi ricoperte dal sedimento portato dalla
successiva marea o piena. Questo sedimento riempie l’orma cava
e, una volta litificato, formerà un calco naturale dell’impronta
(chiamato controimpronta).
controimpronta
impronta
Macrocnemo
Rhynchosauroides sp.
Quarziti viola
M.ti Pisani
Macrocnemus
Macrocnemo era un rettile
apparentemente
simile a un varano.
Aveva una testa piccola e affusolata, un collo piuttosto lungo, zampe posteriori
più sviluppate di quelle anteriori e coda lunga.
Probabilmente quando correva poteva assumere un’andatura bipede come il
basilisco attuale. Si nutriva di insetti e piccoli vertebrati.
Resti scheletrici di Macrocnemo sono stati trovati nei sedimenti triassici di
Monte San Giorgio al confine tra l’Italia e la Svizzera. Le orme fossili attribuite a
Rhynchosauroides (un tempo chiamate anche “Rhyncocephalichnius”)
potrebbero essere state lasciate da questo rettile.
Ticinosuco
Ticinosuchus
Questo tecodonte viveva in Europa durante il Triassico.
Il corpo, allungato e ricoperto dorsalmente da piccole piastre ossee,
ricorda quello dei coccodrilli. Ticinosuco differiva però dai coccodrilli
per la disposizione delle zampe, poste non obliquamente ma quasi
verticalmente al di sotto del corpo. Le orme fossili di questo rettile,
conosciute a partire dalla metà del 1800, sono state descritte con il nome
Chirotherium.
Chirotherium angustum
Quarziti viola, M.ti Pisani
Errerasauro
Herrerasaurus
Lo scheletro fossile di questo primitivo dinosauro è stato scoperto in Argentina in
rocce antiche 228 milioni di anni. Si tratta di uno dei più antichi dinosauri noti
fino ad oggi. Errerasuro era bipede, con robusti arti posteriori per correre e coda
lunga per bilanciarsi. Era carnivoro e usava i robusti artigli delle mani per
afferrare le prede e i denti lunghi e affilati per lacerarne le carni. Un’orma fossile
dei Monti Pisani compatibile con le zampe di questo dinosauro è stata riferita al
genere Grallator.
Grallator toscanus
Quarziti viola
M.ti Pisani
Euparkeria
Euparkeria
Euparkeria era un piccolo tecodonte carnivoro già in grado di sollevarsi sulle zampe
posteriori per correre. Gli arti anteriori erano infatti molto più piccoli rispetto a
quelli posteriori. Il corpo era snello con coda lunga ed era ricoperto dorsalmente da
piastre ossee. Lo scheletro fossile di questo rettile è stato rinvenuto in Sud Africa in
rocce triassiche. Le impronte dei Monti Pisani riferite a Thecodontichnus verrucae
potrebbero essere state lasciate da questo animale.
Thecodontichnus
verrucae
M.ti Pisani
Lagosuco
Rotodactylus sp.
M.ti Pisani
Lagosuchus
Lagosuco era un tecodonte in grado di correre su due zampe molto simile ai primi
dinosauri. Il corpo era piccolo e snello, gli arti allungati con le tibie lunghe quasi il
doppio dei femori. La coda era lunga e flessibile.
Lo scheletro fossile di lagosuco è stato trovato in Argentina in rocce del Triassico.
Le orme fossili dei Monti Pisani attribuite a Rotodactylus potrebbero essere state
lasciate da questo rettile.
Il mare pliocenico
Nel Pliocene i Monti Pisani, oramai emersi da diversi milioni di anni, formavano
un promontorio esteso verso il mare che ricopriva gran parte della Toscana.
Scrutando l’orizzonte del mare verso sud avreste potuto vedere alcune isole. Le più vicine sono quelle che
formeranno poi i Monti Livornesi e i Monti di Casciana.
Ancora oggi, le particolari forme di erosione delle rocce del “Verrucano”, detti “Tafoni”, testimoniano
l'influsso di venti marini carichi di sale lungo il margine dei Monti Pisani: sono dunque la prova che in un
passato non troppo lontano i Monti Pisani erano circondati dal mare su tre lati.
Una conferma che il mare lambiva i Monti Pisani durante il Pliocene l’abbiamo dal ritrovamento di
conchiglie di molluschi e coralli pliocenici in numerose caverne e fessure poste sul loro margine occidentale.
Questi fossili sono mescolati insieme ad altri di Epoca più recente (pleistocenica) e quindi, è probabile che
siano stati trasportati nelle grotte in seguito al dilavamento di sedimenti marini, oggi completamente erosi,
depositati sui rilievi più bassi dei Monti Pisani durante il Pliocene.
Ma la testimonianza più diretta di questo antico mare l’abbiamo dalle argille e dalle sabbie che ricoprono gran
parte delle Colline Pisane. Si tratta di sedimenti che si sono accumulati sul fondo e che conservano ancora,
fossili, molti degli organismi che vivevano in questo mare.
Il tipo di sedimento e i fossili che vi si ritrovano forniscono indicazioni sull’ambiente in cui si sono deposti: le
sabbie grossolane con resti di vertebrati terrestri che affiorano nelle colline di Montopoli e San Miniato, in
prossimità della foce di un fiume; in acque più profonde le argille con numerosi resti di pesci e di cetacei che si
ritrovano ad Orciano Pisano e nei pressi di Volterra.
Ricostruzione della costa
toscana durante il Pliocene. Da
notare il promontorio dei Monti
Pisani e le isole dei Monti
Livornesi e di Casciana.
Colline plioceniche nei
dintorni di Volterra
La vita nel mare sotto i Monti Pisani
Le conchiglie di molluschi (prevalentemente bivalvi e gasteropodi) sono i fossili più
comuni nelle argille e sabbie plioceniche delle Colline Pisane. Non è infatti raro ritrovare,
anche nei campi coltivati lavorati da poco, conchiglie di ostriche, pettini, turritelle, e molte altre forme,
per lo più ancora frequenti nei nostri mari. Altri invertebrati fossili relativamente comuni sono i balanidi,
i brachiopodi, i coralli e i ricci di mare.
Ma i fossili più spettacolari, anche se relativamente più rari, sono i resti di vertebrati marini, tra i più
significativi a livello mondiale per quanto riguarda il Pliocene. I mammiferi marini sono presenti con resti di
cetacei (sia odontoceti che misticeti), pinnipedi e sirenii. Di notevole importanza è anche la fauna a pesci
rappresentata sia da denti di squali che da resti scheletrici di teleostei. Completano il quadro reperti
frammentari di tartarughe marine.
I mammiferi conquistano i mari
Ittiosauri, plesiosauri ed altri rettili marini, scomparsi alla fine del Mesozoico insieme ai dinosauri, furono
sostituiti nel corso del Cenozoico da alcuni gruppi di mammiferi che si adattarono alla vita acquatica.
Cetacei e sirenii ebbero origine circa 50 milioni di anni fa mentre i più antichi pinnipedi risalgono a circa 28
milioni di anni fa. I fossili documentano che nel corso dei milioni di anni questi vertebrati marini si sono
evoluti e che diverse forme, talvolta anche bizzarre, si sono succedute nel tempo. I cetacei e i sirenii sono
quelli che hanno subito maggiori trasformazioni e nel corso delle prime fasi della loro storia evolutiva si sono
progressivamente specializzati ad una vita completamente acquatica.
Nel Pliocene questi adattamenti si erano già realizzati da tempo e pertanto i mammiferi marini erano oramai
molto simili a quelli attuali. Tra gli odontoceti (cetacei con i denti) i delfinidi erano già molto comuni e tra i
misticeti (cetacei con fanoni) c’erano già balene e balenottere di dimensioni comparabili a quelle odierne.
Insieme a queste, tuttavia, convivevano forme relativamente piccole oggi scomparse, come la Balenula
ritrovata fossile ad Orciano che non superava i 5 metri di lunghezza.
Pliophoca etrusca
Cranio, Orciano
Pliofoca etrusca
Pliophoca etrusca
La Pliofoca etrusca era un pinnipede simile e imparentato con la Foca monaca, l’unico rappresentante attuale
(ormai ridotto a pochi esemplari) di questo gruppo di mammiferi marini nel Mediterraneo. Il reperto del
Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa proviene dai sedimenti pliocenici di Orciano e rappresenta
lo scheletro fossile più completo di pinnipede dell’emisfero settentrionale. Altri resti attribuiti a questa specie
provengono dalle colline di Volterra.
Emisintrachelo pisano
Hemisyntrachelus pisanus
Cranio e mandibola, Orciano
Hemisyntrachelus pisanus
L’Emisintrachelo era un grosso delfino che poteva superare i 5
metri di lunghezza. Differiva dal Tursiope attuale, oltre che per le
dimensioni maggiori, per il muso più corto e per i denti in numero
minore e più robusti. La sua dieta era abbastanza varia e poteva
comprendere pesci anche di grosse dimensioni e calamari.
Durante il Pliocene era molto diffuso nel Mediterraneo, anche se
la specie Hemisyntrachelus pisanus qui ricostruita è stata
rinvenuta solo nelle argille plioceniche di Orciano.
Mako gigante
Isurus hastalis
Il Mako gigante è stato uno dei più temibili predatori dei mari dall’Oligocene
al Pliocene. Simile al Mako attuale (Isurus oxyrinchus), era però di
dimensioni maggiori: probabilmente poteva superare i 6 metri di lunghezza.
La sua presenza nel mare pliocenico toscano è testimoniata dal ritrovamento
di numerosi denti fossili.
Probabilmente era in grado di attaccare prede anche di grosse dimensioni.
Ad esempio, nell’ulna della pinna di una giovane balenottera rinvenuta
ad Orciano si osserva la traccia lasciata dal morso di uno di questi squali.
Denti di Isurus hastalis
Peccioli (sinistra),
Orciano (destra)