13 luglio 2012 http://franzmagazine.com/2012/07/13/filippo-andreatta-office-for-a-human-theatre-e-un-teatro-diprato-verde/ Intervista di Kunigunde Weissenegger Filippo Andreatta, Office For A Human Theatre e un teatro di prato verde Eine grüne Wiese in einem Theater? – Richtig gelesen. Zur Eröffnung von Tanz Bozen Bolzano Danza, also am kommenden Montag, 16. Juli, macht sich im Foyer es Stadttheaters Bozen The Green Street, flaches natürliches Wurzelwerk breit. Filippo Andreatta von Office For A Human Theatre OHT erzählt uns im Interview, was es mit dieser grünen Installation auf sich hat. Prima di tutto ti chiedo di spiegarci cosa è l’Office For A Human Theatre. Come riuscite a collegare il teatro all’architettura, l’installazione, la grafica, il video-making… ? Cosa volete trasmettere al pubblico? Con quali mezzi vi rivolgete al pubblico? OHT è una sorta di appropriazione indebita da un testo di Giorgio Strehler, Per un teatro umano. OHT è un nome che racchiude una dichiarazione d’intenti, che cela una relazione politica fra il nostro lavoro e l’interesse per le dinamiche produttive e distributive. Si tratta di non limitare il proprio lavoro ad un ambito artistico, ad una ricerca, ma di considerare il processo artistico sempre in relazione al contesto e alle istituzioni in cui si viene a creare. Per quello che riguarda i linguaggi artistici dipende dal tipo di progetto che si può realizzare e da chi lo realizza. Ogni progetto parte da un materiale proteiforme, quindi proveniente da molti generi diversi, e lavoriamo per creare un’assonanza fra tutte queste fonti. Ad esempio in arte contemporanea si parla spesso dell’assenza dell’artista che lascia allo spettatore la responsabilità dell’opera; ecco noi proviamo a vedere cosa significa quest’idea in teatro. Oppure partiamo da una frase di Peter Brook per realizzare un’installazione urbana. Riguardo a cosa vogliamo trasmettere non saprei con esattezza perché ogni lavoro non ha un senso compiuto ma delle assonanza o delle analogie che ogni spettatore può interpretare liberamente. Il nostro lavoro esiste in quel contesto o quel teatro ed è lo spettatore ad accenderlo. Forse si tratta di trasmettere al pubblico proprio questa possibilità d’accensione e null’altro. Il giorno dell’inaugurazione di Bolzano Danza trasformerai il foyer del Teatro Comunale di Bolzano in un unico grande prato verde – The Green Street. Cosa si dovrà aspettare il pubblico, e cosa invece ti aspetti tu dal pubblico? Hai presentato il tuo progetto l’anno scorso al MART – quali erano le reazioni delle persone? Al Mart abbiamo realizzato l’allestimento di notte coprendo tutta la strada d’ingresso del museo. Al mattino mi sono seduto all’angolo della strada d’accesso per vedere la reazione delle persone e quando giravano l’angolo, e si trovavano di fronte il prato, sgranavano gli occhi sbigottiti. Questo è ciò che mi aspetto dallo spettatore di The Green Street. Perché coprire d’erba una zona urbana destinata da sempre ad essere costruita è qualcosa di, letteralmente, favoloso. C’è un prato dove in realtà c’è una strada o un foyer. Poi se a Bolzano si togliessero le scarpe e decidessero di danzare scalzi sarebbe molto bello, un momento di assoluta libertà. Secondo te la nostra è una società “passiva” che per “svegliarsi” deve essere provocata con diversi strumenti e modalità? Con quali altri “strumenti” lavori tu per svegliarla? Quali temi sono importanti per te? Non credo che siamo una società “passiva”. Credo invece che venga trascurata la forza della semplicità da parte di molte istituzioni. Facendo leva sulla semplicità si possono coinvolgere molte persone e, di conseguenza, la loro progressiva comprensione di una problematica, ad esempio quella ambientale. Uno dei segreti della prima, vittoriosa, campagna presidenziale di Barack Obama è stato l’empowering people, far capire cioè che il proprio voto è importante per cambiare le cose. Questa dinamica è esattamente quella che Joseph Beuys definiva scultura sociale trent’anni fa. Proporre un lavoro d’arte contemporanea capace di creare bellezza e di suscitare delle riflessioni nelle persone è, a mio avviso, il principale obiettivo dell’artista, soprattutto quando collabora con le istituzioni, tanto da potersi definire una responsabilità etica. Green, bio, eco & co sono gli slogan del momento. Secondo te, non sono già un po’ consumati? Se si riducono a degli slogan sono assolutamente d’accordo. Infatti con Bolzano Danza abbiamo preparato una piccola serie di cartoline che identificano dei caratteri, dei tipi di persone che hanno a che fare con il green. Abbiamo tenuto un tono ironico ma tagliente proprio per giocare con questo lato inflazionato delle parole green, eco… Ne abbiamo realizzata una anche su “Il Politico”, uno dei maggiori utilizzatori di slogan. Cosa succederà dopo con il tuo prato? Il prato verrà ricollocato in alcuni parchi urbani della città di Bolzano perché l’installazione non vuole essere solo una metafora fine a se stessa ma dare un contributo tangibile alla città che la ospita. Dove vedi il teatro del futuro? Credo che artisticamente il teatro si aprirà sempre di più a generi e linguaggi diversi come la danza, le arti visive, la performance e la musica. Non solo in ambito di ricerca ma anche, e soprattutto, nel mainstream. C’è un grande bisogno di onde emotive per mantenere fresco il teatro e queste onde possono essere provocate solo da un confronto continuo con generi diversi. Credo che gli autori debbano trovarsi in mare aperto, uno spazio illimitato che costringe a fare delle scelte autonome, a confrontarsi con i propri limiti. Limiti che non sono un’impossibilità ma il punto da cui qualcosa di nuovo inizia. Poi sarebbe magnifico se con questi limiti si confrontassero quelle istituzioni gerontocratiche che da decenni propongono sempre lo stesso genere teatrale. Ma questo dipende molto dall’ingerenza della politica e da quei direttori artistici che non riescono a rigenerarsi, figuriamoci poi se hanno il coraggio di stare in mare aperto. I tuoi futuri progetti? Dove potremo vedere prossimamente te e l’Office For A Human Theatre? Attualmente stiamo lavorando al nostro primo spettacolo di immersive theatre. Il titolo è “un Ballo in Maschera” e lo presenteremo a Castel Thun il prossimo venerdì. L’idea è di immergere letteralmente lo spettatore nel castello facendolo diventare parte della scenografia e dell’atmosfera dello spettacolo dato che indosserà mantello e maschera per tutta la performance.