LE MEDAGLIE AL VALOR MILITARE NELL`IDENTITA` NAZIONALE

EMANUELE BETTINI1
LE MEDAGLIE AL VALOR MILITARE
NELL’IDENTITA’ NAZIONALE CREMONESE
NOTA PER IL LETTORE
Con questo libro s’intende ricordare tutti i combattenti
decorati al Valor Militare cremonesi, o che hanno
interessato in qualche modo il territorio dalle guerre per
l’Indipendenza alla lotta di Liberazione.
La pubblicazione non ha pretesa alcuna, è solo un punto di
riferimento per la conservazione della memoria storica
fondamentale per capire le origini e l’evoluzione di un
Paese.
Lo studio qui riportato si è valso dei dati pubblicati nel
1939 e 1974 ai quali si sono aggiunti alcuni nominativi
rimasti esclusi in precedenza. Le citazioni sono suddivise
per periodo storico ed eventi significativi per la storia
italiana. I dati citati sono quelli emersi dalla ricerca
1
Commissario Straordinario Istituto del Nastro Azzurro tra decorati al Valor
Militare – Cremona (2012-2013)
1
condotta nell’intento di dare corpo e concretezza ai
personaggi eroici protagonisti dei fatti.
A differenza di quanto pubblicato in precedenza, abbiamo
scelto di far precedere gli elenchi da un ampio percorso di
carattere storico al fine di meglio comprendere il contesto
socio politico e militare entro cui si sono sviluppati gli
avvenimenti. Tale tracciato è rivolto soprattutto alle giovani
generazioni affinché possano immergersi in una
approfondita analisi della nostra storia nazionale e
rivisitare gli atti di eroismo per mezzo dei quali ci troviamo
a vivere in un Paese libero e democratico.
E.B.
2
(Roma, 27 dicembre 1947 - Palazzo Giustiniani - Enrico De Nicola
firma l'atto di promulgazione della Costituzione della Repubblica
Italiana)
3
CREMONA E I SUOI DECORATI NEL CONTESTO
STORICO DELL’ITALIA UNITA
Il territorio della provincia di Cremona è certamente uno
dei più fertili sotto il profilo storico per la sua
collocazione geografica, per le dominazioni che ha subito
e, soprattutto, per i passaggi storici di cui è stato
protagonista.
La città, nata romana (218 a.C.), baluardo bizantino,
signoria del marchese Cavalcabò (1276), territorio della
Repubblica di Venezia, divenne dominazione spagnola
sotto Filippo II. Dopo un breve periodo di governo
francese (1701-1707) fu conquistata dall’Austria nel
1707. L’avvento di Napoleone Bonaparte portò il
territorio a far parte della Repubblica Cisalpina prima e
della Repubblica Italiana (quella di Napoleone del 1802)
dopo. Tolta la breve parentesi dell’occupazione francese,
Cremona ritornò all’Austria e vi rimase fino alla II
Guerra d’Indipendenza, quando l’imperatore Francesco
Giuseppe fu sconfitto nella battaglia di Solferino-San
Martino (24 giugno 1859). Ceduta la Lombardia al
Piemonte e proclamato il Regno d’Italia (1861),
Cremona entrò a far parte definitivamente del nuovo
Stato creato dai Savoia.
Gli anni successivi videro la nascita del Socialismo con
Leonida Bissolati, le Leghe Bianche di Guido Miglioli e
lo strapotere di Roberto Farinacci esponente dell’ala
4
fascista intransigente e segretario del partito dal 1925 al
1926.
Volendo tracciare un percorso storico contemporaneo,
possiamo quindi indicare la seguente via: repubblica
napoleonica, massiccia partecipazione alle guerre
risorgimentali, nascita del Socialismo, nascita delle
cooperative “bianche”, nascita del Fascismo con la
fondazione dei Fasci di Combattimento ad opera dello
stesso Farinacci nel 1919.
La concentrazione di tali momenti storici e gli eventi che
li hanno caratterizzati nel territorio hanno evidenziato
molti personaggi, che sono divenuti protagonisti della
Storia ufficiale, vedi il maggiore dei bersaglieri Giacomo
Pagliari, che guidò l’ingresso delle truppe sabaude a
Porta Pia (20 settembre 1870) rimanendo ucciso
nell’azione e per questo decorato con la medaglia d’oro al
valor militare.
Nella I e II Guerra d’Indipendenza e nella Spedizione di
Garibaldi in Sicilia, pur avendo visto la partecipazione
di molti volontari cremonesi (tra cui Pietro Ripari
medico personale del “Generale”, il col. Giovanni
Cadolini, il marchese Gaspare Trecchi) non ci furono
grandi riconoscimenti ad eccezione del generale Boni
Annibale, che ebbe un percorso militare completo e di
grande prestigio, dedicatosi infine alla politica come
senatore del Regno e di Binda Carlo (promosso ufficiale
sul campo per essersi distinto a Maccaracca, Santa
5
Giustina e Santa Lucia), che si guadagnò la medaglia
d’argento combattendo a Novara.2
Ci furono, invece, atti di valore riconosciuti a cominciare
dalla III Guerra d’Indipendenza, per poi continuare
negli anni successivi (saltando la parentesi della
colonizzazione di fine Ottocento e primi Novecento, che
non vide grandi atti di valore se non una medaglia di
bronzo assegnata “sul campo” al fante Comelini Roberto
– Misurata 1912). La Prima Guerra Mondiale, il secondo
periodo coloniale, la Seconda Guerra Mondiale e la lotta
partigiana hanno lasciato, infine, testimonianze più
significative. Ciò non significa che non furono compiuti
atti di valore nel 1800, ma i grossi conflitti coinvolsero
un numero tale di uomini che, inevitabilmente, hanno
lasciato molte più tracce degli anni precedenti.
Aprendo una piccola parentesi sugli atti di eroismo, è
doveroso citare anche alcuni cremonesi che, pur non
essendo stati decorati, trovano una collocazione che li
ricorda sui campi di battaglia. Basti pensare a Ernesto
Chiappari morto in combattimento sul colle di Solferino.
La lapide, unica dedicata a un cremonese, è collocata
vicino all’ossario e lo ricorda con queste parole: “A
ERNESTO CHIAPPARI di Cremona – appena
2
A proposito di Binda Carlo, si ricorda che la famiglia Binda ha dato alla causa
dell’unità d’Italia ben quattro eroici combattenti: Binda Antonio (1813-1877),
Binda Carlo (1822-1912), Binda Enrico (1830-1883), Binda Luigi (1821-1871). Pur
avendo partecipato tutti alle campagne risorgimentali, solo Carlo fu decorato con
la medaglia d’argento meritata per il suo comportamento nel corso della
battaglia di Novara del 1849. Tutta la famiglia subì la persecuzione e la via
dell’esilio (Antonio in Svizzera, Enrico in Piemonte, Luigi in Svizzera).
6
ventenne – volontario nel 17 Reg. Brigata Acqui –
combattendo – per l’Indipendenza d’Italia – nella
memorabile battaglia – 24 giugno 1859 – sopra questo
colle morì”.
Un’altra parentesi da aprire riguarda gli eroi nazionali
che hanno avuto in qualche modo un percorso
cremonese. È il caso di Cesare Battisti sposato con
Ernesta Bittanti (la cui nascita nel 1871 è contesa da
Cremona e Brescia) figlia del professor Luigi Bittanti
preside dell’istituto tecnico di Cremona e insegnante di
matematica. Fervente antifascista, è nota la sua
posizione critica a seguito delle leggi razziali del 1938. Il
quotidiano locale “La Provincia” il 30 ottobre 1916
dedicherà ampio spazio alla commemorazione della
morte di Cesare Battisti (amico di Arcangelo Ghisleri),
cerimonia avvenuta nel teatro Politeama Verdi alla
presenza delle massime autorità tra cui Ettore Sacchi e
Filippo Turati. Ernesta Bittanti è definita “l’ultima
donna del Risorgimento italiano”.
Quando nel 1928 fu istituzionalizzato il Nastro Azzurro
tra combattenti decorati al Valor Militare (fondato nel
1923), il Paese, uscito dal disastro militare di Caporetto,
ma alla fine vittorioso, sentì la necessità di recuperare la
memoria storica di coloro che avevano dato la vita per la
nuova Patria nata dall’Unità d’Italia. E questo amore
verso la Nazione accompagnò la nostra Storia nazionale
negli anni successivi, anche durante lo Stato forte,
perché molti valorosi compirono atti degni di menzione.
È il caso del Comandante Luigi Valcarenghi (medaglia
7
d’oro al Valor Militare), che aveva aderito al Fascismo,
ma che aveva dato la propria vita per l’Italia.
La Resistenza, alla fine del Ventennio, vide quindi altri
personaggi, altre decorazioni, altre storie degne di essere
ricordate.
Questo libro tenta di dare una traccia organica, un
percorso storico unitario attraverso la ricostruzione dei
fatti e la riflessione sulla vita di uomini che hanno avuto
il senso della Nazione e si sono riconosciuti sotto
un’unica bandiera. Ovviamente la ricerca, come tutte
quelle di questo genere, può avere delle lacune e delle
inevitabili omissioni. Nel lavoro proposto si è cercato di
dare un target storico didattico, che possa essere una
traccia significativa per chi a distanza di tempo voglia
approfondire il ricordo di coloro che hanno creduto nei
valori portanti della Società alla quale ogni cittadino
deve guardare in nome della Costituzione repubblicana,
frutto della collaborazione di tutte le forze democratiche
uscite dalla guerra di Liberazione.
8
(Cesare Battisti – Ernesta Bittanti)
9
GLI SCENARI BELLICI
Pur essendo stati compiuti innumerevoli atti di valore
durante la I e la II Guerra d’Indipendenza e nel corso
della Campagna di Sicilia del 1860, i primi veri
riconoscimenti avvennero solo a cominciare dalla III,
chiamata anche “Guerra austro-prussiana” (1866).
Prima di procedere all’elencazione dei decorati al valor
militare (oltre 350 su tutto il territorio) è bene dedicare
uno spazio ai fatti nei quali sono stati compiuti eroismi e
che hanno visto la partecipazione di concittadini alcuni
illustri altri sconosciuti.
I GUERRA D’INDIPENDENZA (1848- 1849)
La Prima Guerra d’Indipendenza ruota essenzialmente
attorno a due momenti cruciali e drammatici: le Cinque
Giornate di Milano (18-22 marzo 1848) alle quali seguì
l’armistizio di Vigevano (meglio noto come l’armistizio
di Salasco dal nome del generale Carlo Canera di Salasco
che lo firmò il 9 agosto 1848) e la disfatta di Novara il 23
marzo 1849 a seguito della quale re Carlo Alberto di
Savoia abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Il 1848 non vide atti di valore da parte cremonese degni
di essere riconosciuti con la medaglia d’oro al Valor
Militare, se non l’intervento dei volontari guidati da
Gaetano Tibaldi e trucidati a colpi di baionetta a Sclemo
(Achille Digiuni medico della Colonna Tibaldi, Cesare
Verdelli, Domenico Ferrari, Annibale Gabbioneta,
10
Berengario Gabbioneta, Anacleto Merli, Ferdinando
Pizzola e Vincenzo Poglia). Volendo riconoscere il
martirio di questi coraggiosi, forse Vincenzo Poglia,
volontario morto in combattimento a soli sedici anni,
avrebbe potuto essere decorato con una medaglia al
Valor Militare, ma i tempi non erano ancora maturi per
riconoscimenti del genere.
L’occasione si presentò, invece, nel 1849 con la battaglia
di Mortara e Novara. Dal 20 al 23 di marzo le forze
piemontesi furono impegnate in un teatro di guerra
abbastanza ampio: Pavia, la Cava, Mortara, Casatisma,
Stradella, Voghera. Dovevano affrontare circa 70.000
soldati austriaci che scendevano da Milano vero il fiume
Po per oltrepassarlo e entrare in Piemonte. Al comando
della V Divisione Volontari era il generale Gerolamo
Ramorino al quale era stato dato l’ordine di fronteggiare
l’esercito austriaco abbattendo il ponte che collegava
Casatisma, dove egli aveva stabilito il suo Stato
Maggiore, e Stradella. Ramorino, ignorando l’ordine
ricevuto, fece passare il grosso delle truppe sull’altra
sponda abbattendo solo in un secondo momento il ponte
sul Po. Con questa manovra pose una variante al piano
operativo e salvò l’intera Divisione dal massacro. Ma la
sua condotta fu censurata. Accusato di alto tradimento,
fu processato, degradato e fucilato (22 maggio 1849).
Questi tre giorni di combattimenti vengono indicati
come la battaglia di Novara, la cui disfatta fu imputata
al generale Ramorino. Di questo chiacchierato
comandante bisogna ricordare che fu ufficiale
11
napoleonico. Convinto repubblicano, non era benvisto
negli ambienti militari piemontesi, che vedevano una
soluzione monarchica del conflitto. Per questo motivo
alcuni storici sostengono che egli fu intenzionalmente
mandato allo sbaraglio con l’intenzione di renderlo
vittima sacrificale delle idee monarchiche.
È in questo contesto che troviamo due ufficiali
cremonesi che si sono guadagnati la medaglia d’argento
al Valor Militare: Annibale Boni (militare di carriera) e
Carlo Binda (maresciallo d’alloggiamento del Genova
Cavalleria)3.
II GUERRA D’INDIPENDENZA (1859 – 1861)
Dopo la disastrosa Campagna del 1848-49, che aveva
visto il fallimento delle Cinque Giornate di Milano, la
disfatta di Novara, il processo al generale Gerolamo
Ramorino e la morte di Carlo Alberto di Savoia, Vittorio
Emanuele II, succeduto alla guida del Piemonte, cercò
l’alleanza con la Francia di Napoleone III.
I tempi erano maturi per iniziare un nuovo conflitto e
così avvenne nella primavera del 1859. Le armate
franco-sarde si trovarono ad affrontare l’esercito
imperiale austriaco nella battaglia di Solferino – San
Martino (24 giugno 1859). Fu una carneficina (perdite
alleate tra morti, feriti, catturati o dispersi 17.242 –
3
Il riconoscimento della medaglia d’argento al Valor Militare al maresciallo Carlo
Binda è citata nel libro “IL VALORE ITALIANO – Storia dei fatti d’armi e atti di
valore compiuti dal 1848 al 1870 per l’Indipendenza d’Italia”, Volume Primo, pag.
186; Ghione e Lovesio Editori – Roma, 1883)
12
perdite imperiali 21.738) nella quale emersero figure di
personaggi sconosciuti tra cui il cremonese prima
ricordato Ernesto Chiappari. Ma per la prima volta nella
nostra Storia nazionale, a un mese esatto dalla vittoria
sull’Impero Asburgico, il 24 luglio 1859 il re di
Piemonte-Sardegna decorava con la medaglia d’oro al
valor militare la bandiera di un reggimento straniero, il
3 Reggimento Zuavi Francesi. La motivazione fu la
seguente: “Per essersi maggiormente distinti nei fatti
d'armi di Palestro addì 31 maggio 1859”.
Questa decorazione ha un significato molto importante
perché nel cimitero monumentale di Cremona fu eretto
un ossario dedicato ai soldati francesi feriti nel corso
della battaglia di Solferino e morti in città nelle
settimane successive. L’ossario è stato recentemente
restaurato e consegnato alla cittadinanza il 24 giugno
2011 (in occasione delle celebrazioni per i 150 anni
dell’Unità d’Italia) alla presenza del Console Generale di
Francia a Milano. Il progetto del restauro si è realizzato
grazie al contributo dell’Ambasciata di Francia e del
Comune di Cremona e grazie all’interessamento
dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano della
provincia di Cremona.
La presenza di volontari cremonesi, già nota nel 1848
per aver partecipato ai combattimenti di Sclemo e Castel
Toblino sotto il comando di Gaetano Tibaldi, si
consolidò nel 1859 per poi rafforzarsi con la Spedizione
dei Mille nel 1860. Sono da ricordare i diari di Angelo
Enrico Crema (1859) e Guido Acerbi (1860-1861).
13
Un percorso tutto particolare è, infine, quello del tenente
generale Annibale Boni. Dopo aver frequentato
l’accademia militare di Wiener Neustadt e militato
nell’esercito imperiale austriaco, passò con tra le fila
piemontesi guadagnandosi la medaglia d’oro nella
battaglia di Custoza del 1866, successiva a quella
d’argento conseguita per un atto di eroismo sul campo di
Mortara nel 1849. Nel periodo tra le due medaglie Boni
si distinse nella battaglia di Castelfidardo (18 settembre
1860), che vide la disfatta dell’esercito pontificio
comandato dal generale Lamoricière e la morte del
generale Georges de Pimodan.
Per il suo
comportamento nel corso dei combattimenti, il generale
comandante Enrico Cialdini gli fece ottenere la croce
dell’Ordine Militare di Savoia. Nei mesi successivi
partecipò all’assedio di Gaeta, conseguendo nel 1861 il
titolo di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro.
LA CAMPAGNA DI SICILIA DEL 1860
Se andiamo a leggere il famoso elenco dei Mille,
troviamo i nomi di alcuni Cremonesi che parteciparono
alla Spedizione garibaldina (Arcari Sante Luigi, Balboni
Antonio Davide, Bozzetti Romeo, Crema Angelo Enrico,
Donelli Andrea, Fiorini Edoardo, Giulini Luigi,
Gramignola Innocente, Guida Carlo, Maestroni
Ferdinando, Maliverni Carlo, Mina Alessandro, Pasini
Giovanni, Peroni Giuseppe, Ripari Pietro, Tassani
Giacomo, Torchiana Pompeo, Vajani Giovanni,
Valcarenghi Carlo, Valenti Carlo). Considerando
14
l’elevato numero di bergamaschi, i cremonesi che
partirono con Garibaldi costituivano un bel gruppo
affiatato. Una volta sbarcati a Marsala, i volontari si
diressero alla volta di Calatafimi dove avvenne uno dei
più cruenti scontri dell’intera Campagna di Sicilia (15
maggio 1860). La battaglia, nota per la famosa frase
rivolta da Garibaldi a Nino Bixio “Qui si fa l’Italia, o si
muore”, ci regala la prima medaglia d’argento al valor
militare il tenente generale Bozzetti Romeo. Il Bozzetti
nel 1866 fu insignito di una Menzione Onorevole mutata
in medaglia di bronzo al Valor Militare per essersi
distinto nel fatto d’arme di Borgoforte il 5 e 7 luglio con
la seguente motivazione: “Per spiegata attività, coraggiosa
condotta durante l’azione e valoroso contegno onde essere di
esempio ai suoi subordinati”.
III GUERRA D’INDIPENDENZA (1866)
Il quadro della partecipazione cremonese alle prime tre
guerre per l’indipendenza d’Italia (considerando la
Prima
Guerra
Mondiale
come
IV
Guerra
d’Indipendenza) va praticamente delineandosi. Ma il
1866 (anno della cessione di Venezia a Napoleone III,
che a sua volta la consegnava all’Italia con il
riconoscimento del Regno di Vittorio Emanuele II) fu
anche l’anno che regalò a Cremona ben due medaglie
d’oro al Valor Militare. Oltre a quella del generale
Annibale Boni (già medaglia d’argento a Magenta nel
1849), fu assegnata anche al capitano di cavalleria del
15
reggimento cavalleggeri di Alessandria Marchesi de
Taddei Malachia per il suo comportamento eroico nel
corso del combattimento di Villafranca (24 giugno 1866).
La data è importante perché in quella località Umberto
I stava per cadere prigioniero nelle mani degli austriaci.
L’eroica resistenza delle forze italiane (il Regno d’Italia
era stato proclamato il 17 marzo 1861) è ricordata da un
obelisco con la scritta:
QUI
NEL MATTINO DEL 24 giugno 1866
il 49° Reggimento Fanteria
disposto in quadrato
per improvviso assalto degli Austriaci
salvò
UMBERTO DI SAVOIA
_____________________
Al valore dell' Esercito
alla virtù del Principe
primo nella battaglia
gli abitanti di Villafranca
8 Dicembre 1880
16
La narrazione del combattimento in cui Malachia
Marchesi de Taddei si guadagnò la decorazione viene
così riportata in una cronaca dell’epoca:
“… Verso le 7,15, mentre il principe Umberto si
appresta a far retrocedere alcuni battaglioni per
appoggiarsi meglio a Villafranca, si ode il cannone verso
Ganfardine e si vede da quella parte un immenso
polverone: poco dopo con una furiosa carica il 13°
“Ulani di Trani” si precipita sulla sinistra. Umberto dati
gli ordini opportuni per respingere l’attacco, lo aspetta
con il suo stato maggiore nel quadrato del IV
battaglione del 49° Fanteria. Gli ulani a frotte penetrano
fra i quadrati; si gettano sull’artiglieria; molti giungono
alla strada maestra, ne saltano i fossi, galoppano
all’impazzata fino alla ferrovia; qualche quadrato è
sgominato, parte dei serventi rimangono uccisi.
Il capitano Marchesi de’ Taddei, visto che la cavalleria
avversaria ha preso di mira il quadrato del 49°, con rara
abilità e colpo d’occhio, converge di galoppo con il suo 3°
squadrone e al grido di Viva il re! caricat! Si lancia sul
fianco degli ulani che, disordinati dalla corsa
vertiginosa, subiscono gravissime perdite e deviano dal
loro obiettivo, dando di cozzo in altri quadrati. Al
capitano Marchesi viene ucciso il cavallo ed egli stesso è
ferito da un colpo di lancia, ma balza su un cavallo
vagante di un ulano e ritorna nella mischia…”
17
(Ossario di Solferino – lapide di Ernesto Chiappari)
18
(Ossario soldati francesi – Cimitero Monumentale di Cremona
19
(Guido Acerbi in divisa da Cacciatore dell’Etna – archivio storico
E. Bettini)
20
(telegramma che annuncia l’inizio delle ostilità nel 1866 – archivio
storico E. Bettini)
21
PRESA DI ROMA
(20 settembre 1870)
Il fatto d’arme che segnò una svolta storica nel
panorama politico-militare italiano fu senza dubbio la
resa dello Stato Pontificio. Il 20 settembre 1870, dopo
un breve cannoneggiamento, le forze italiane si aprirono
un varco nelle mura all’altezza di Porta Pia e entrarono
in Roma. I primi a varcare la breccia furono i bersaglieri
guidati dal maggiore Giacomo Pagliari, nativo di
Persichello e anch’egli educato alla scuola militare di
Wiener Neustadt come il generale Annibale Boni.
Colpito da una pallottola vagante, rimase ucciso mentre
incitava i suoi uomini. Gli venne riconosciuta la
medaglia d’oro al Valor Militare.
Lo scrittore Edmondo De Amicis, che partecipò come
volontario alla conquista di Roma, così raccontò il
momento e la morte di Pagliari:
“Non ricordo bene che ora fosse quando ci fu annunziato
che una larga breccia era stata aperta vicino a Porta Pia
e che i cannoni dei pontifici appostati là erano stati
smontati. Quando la Porta Pia fu affatto libera, e la
breccia vicina aperta sino a terra, due colone di fanteria
furono lanciate all'assalto. Non vi posso dar particolari.
Vidi passare il 40° (fanteria) a passo di carica; vidi tutti i
soldati, presso alla porta, gettarsi a terra in ginocchio,
per aspettare il momento d'entrare. Udii un fuoco di
moschetteria assai vivo; poi un lungo grido "Savoia!" poi
uno strepitio confuso; poi una voce lontana che gridò:
"Sono entrati!". Arrivarono allora a passi concitati i sei
22
battaglioni dei bersaglieri della riserva; sopraggiunsero
altre batterie di artiglieria; s'avanzarono altri
reggimenti: vennero oltre, in mezzo alle colonne, le
lettighe per i feriti. Corsi con gli altri verso la Porta. I
soldati erano tutti accalcati intorno alla barricata; non si
sentiva più rumore di colpi; le colonne a mano a mano
entravano. Da una parte della strada si prestavano i
primi soccorsi a due ufficiali di fanteria feriti; uno dei
quali, seduto in terra, pallidissimo, si premeva una mano
sul fianco; gli altri erano stati portati via. Ci fu detto che
era morto valorosamente sulla breccia il maggiore dei
bersaglieri
Pagliari,
comandante
del
35°.
Vedemmo parecchi ufficiali dei bersaglieri con le mani
fasciate. Sapemmo che il generale Angolino s'era
slanciato innanzi ai primi con la sciabola nel pugno come
un soldato. Entrammo in città. Le prime strade erano
già piene di soldati. È impossibile esprimere la
commozione che provammo in quel momento;
vedevamo tutto in confuso, come dietro una nebbia.
Alcune case arse la mattina fumavano, parecchi zuavi
prigionieri passavano in mezzo alle file dei nostri, il
popolo romano ci correva incontro. Salutammo,
passando, il colonnello dei bersaglieri Pinelli; il popolo
gli si serrò intorno gridando. A misura che procediamo
nuove carrozze, con entro ministri ed altri personaggi di
Stato, sopraggiungono. Il popolo ingrossa. Giungiamo in
piazza di Termini; è piena di zuavi e di soldati indigeni
che aspettano l'ordine d ritirarsi. Giungiamo in piazza
del Quirinale (allora residenza del Papa). Arrivano di
23
corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le
case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati
gridando e plaudendo.
Passano drappelli di cittadini con le armi tolte agli
zuavi. I sei battaglioni dei bersaglieri della riserva,
preceduti dalla folla, si dirigono rapidamente, al suono
della fanfara, verso piazza Colonna. Il Campidoglio è
ancora occupato dagli squadriglieri e dagli zuavi. Una
folla di popolo accorsa per invaderlo è stata ricevuta a
fucilate. Parecchi feriti furono ricoverati nella case; fra
gli altri, un giovanetto che marciò quindici giorni coi
soldati. Il popolo è furente. Si corre allora a chiamare i
bersaglieri. Due battaglioni arrivano sulla piazza, ai
piedi della scala. I pontifici, al primo vederli, cessano di
tirare; ma restano in atto di resistere. Una specie di
barricata di materassi è stata costrutta in alto.
L'assalirla di viva forza potrebbe costar molte vittime;
s'indugia, forse gli zuavi s'arrenderanno, si dice che
hanno paura dell'ira popolare. Tutte le strade che
circondano il Campidoglio sono piene di gente armata
che sventola bandiere tricolori e canta inni patriottici.
Intanto ai bersaglieri che attendono sulla piazza son
portati in gran copia vini, liquori, sigari, biscotti. La
moltitudine va crescendo, cresce lo strepito. I conventi
vicini, dove si crede che siansi rifugiati gli zuavi e gli
squadriglieri, sono circondati dai bersaglieri e dalla
fanteria…
Si ritorna in fretta verso il Corso. Tutte le strade sono
percorse da grandi turbe di popolo che agitano armi e
24
bandiere. I soldati pontifici che s'avventurano
imprudentemente a passare per la città a due, a tre, o
soli, sono circondati, disarmati e inseguiti. Giungiamo in
piazza Colonna. In mezzo alla piazza ci sono circa
duecento zuavi disarmati, seduti sugli zaini, col capo
basso, abbattuti e tristi. Intorno stanno schierati tre
battaglioni di bersaglieri. Il colonnello Pinelli e molti
ufficiali guardano giù dalla loggia del palazzo che chiude
il lato destro della piazza. Popolani, signori, signore,
donne del popolo, vecchi, bambini, tutti fregiati di
coccarde tricolori, si stringono intorno ai soldati, li
pigliano per le mani, li abbracciano, li festeggiano. Nel
Corso non possono più passare le carrozze. I caffè di
piazza Colonna sono tutti stipati di gente; ad ogni
tavolino si vedono signore, cittadini e bersaglieri alla
rinfusa. Una parte dei bersaglieri accompagna via gli
zuavi in mezzo ai fischi del popolo; tutti gli altri sono
lasciati in libertà. Allora il popolo si precipita in mezzo
alle loro file. Ogni cittadino ne vuole uno, se lo pigia a
braccetto e lo conduce con sé. Molti si lamentano che
non ce n'è abbastanza, famiglie intere li circondano, se li
disputano, li tirano di qua e di là, affollandoli di
preghiere e d'istanze. I soldati prendono in collo i
bambini vestiti da guardie nazionali. Le signore
domandano in regalo le penne”.
25
(archivio storico E. Bettini)
26
LA GRANDE GUERRA
27
ovvero
LA IV GUERRA D’INDIPENDENZA
Il processo risorgimentale tende a chiudersi di fatto con
la Prima Guerra Mondiale chiamata dagli italiani anche
IV Guerra d’Indipendenza.
Tra le centinaia di migliaia di uomini mandati allo
sbaraglio alcuni cremonesi si distinsero per atti di valore
nei luoghi più significativi della nostra Storia nazionale:
Piave, Gorizia, Vittorio Veneto, Cividale, Montello,
Sabotino, col d’Asiago, Carso, monte Grappa,
Tagliamento. Questi nomi di località, che ricorrono
frequenti nelle citazioni delle battaglie nel corso delle
quali furono meritate le decorazioni al Valor Militare, ci
danno delle indicazioni precise dove cercare riferimenti e
storie personali.
A differenza delle guerre precedenti, il primo conflitto
mondiale fu caratterizzato dalla famigerata “guerra
delle trincee e delle mine”. Iniziò di fatto una guerra di
posizione fatta di uomini immersi nel fango, uccisi come
topi dai gas nervini, mentre altri minavano le montagne,
facendole esplodere e schiacciando nelle gallerie scavate
nella roccia i soldati nemici che vi avevano trovato
rifugio o costruito postazioni.
Ora diamo comunque un senso cronologico allo
svolgimento della guerra da parte italiana con lo sguardo
rivolto al Nord-Est, dove sono avvenuti i combattimenti
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più significativi nel corso dei quali diversi cremonesi
meritarono la decorazione al Valor Militare:
24 maggio 1915 – Entrata in guerra dell’Italia
La prima cannonata viene sparata dal forte Verena
(Asiago), anche se il grosso dell’esercito italiano si trova
schierato sul fronte del Carso.
Maggio/giugno 1915 – Guerra dei forti negli altopiani
La guerra di cannonate tra le fortezze degli altopiani
veneti e trentini è breve ma intensa. In poche settimane
le fortezze di entrambe le parti vengono demolite. Il
numero dei morti è irrilevanti. Le perdite sono dovute
principalmente ad azioni offensive improvvise della
fanteria italiana nel settore del Verena e di Rovereto.
16 giugno 1915 – fronte Carsico
Gli italiani conquistano il monte Nero.
23 giugno 1915 / 18 agosto 1917
Le battaglie sul fronte del Carso sono 11. È un’inutile
carneficina di 100.000 uomini. Si combatteva ancora con
concezioni arretrate. I comandanti di entrambe le parti
erano personaggi che agivano con criteri ottocenteschi
senza considerare minimamente le nuove tecnologie
motorizzate e la potenza di fuoco devastante
dell’artiglieria.
1 gennaio 1916 – inizia la “guerra delle mine”
29
Mina austriaca sul Piccolo Lagazuoi.
6 aprile e 17 aprile 1916 – Col di Lana
Mina austriaca e contromina italiana.
Maggio/giugno 1916 – Strafexpedition
Spedizione punitiva mirata a sfondare sugli altipiani
trentini e veneti per girare alle spalle la grande sacca
verso il bellunese e il Friuli. Fu una delle più grandi
battaglie della storia, in cui si fronteggiarono un milione
di uomini.
Giugno 1916 – Arresto della strafexpedition
Controffensiva italiana sull’altipiano di Asiago che
costringe gli imperiali ad arroccarsi sulla linea Ortigara,
Zebio, Interrotto, Val d’Assa, Tonezza, Pasubio.
11 luglio 1916 – la guerra sulle Dolomiti
Mina italiana sul Castelletto (Tofane).
17-23 settembre 1916 – “guerra delle mine”
Mine e contromine sul Cimon di Tonezza.
Autunno 1916 – Guerra di posizione e delle mine
Inutili e orrendi massacri tra l’Ortigara, il monte Zebio
ed il Pasubio.
14 gennaio 1917 – anno nuovo nella ‘guerra delle mine’
30
Mina austriaca sul Piccolo Lagazuoi, ne verranno fatte
esplodere altre quattro nel corso dell’anno prima della
ritirata di Caporetto.
10-29 giugno 1917 – tragedia sull’Ortigara
La battaglia per il tentativo di conquistare l’Ortigara
finisce con una carneficina di 36.000 morti.
Luglio-ottobre 1917 “guerra delle mine”
Ultimi atti della guerra sulle Dolomiti e Lagorai.
Vengono usate mine sul Piccolo Lagazuoi, sulla
Marmolada, sul Sief-Col di Lana e Colbricon.
29 settembre – 1 ottobre 1917 – apoteosi della ‘guerra
delle mine’
Esplosione di dieci mine austriache in successione, con
risposta di mina italiana.
Ottobre 1917 – XII battaglia dell’Isonzo
Gli austro-ungarici affiancati dai più valorosi reparti
tedeschi, usando nuovissime tattiche e dinamismo
affidato a reparti motorizzati, sfondano “in valle” la
linea italiana. Tra i comandanti tedeschi si fa notare E.
Rommel che poi diverrà famoso, anche grazie
all’esperienza qui acquisita, come “la volpe del deserto”.
24 ottobre 1917 – Caporetto
L’evento più disastroso della storia militare italiana. Un
milione e mezzo di uomini allo sbando.
31
27/31 ottobre 1917 – Tagliamento
Si abbozza una drammatica, ma totalmente inefficace,
difesa sul Tagliamento.
9 novembre 1917 – Dimissioni di Cadorna
Luigi Cadorna paga la sconfitta di Caporetto. È
sostituito da Armando Diaz, che concepisce un nuovo
tipo di tattica: la “difesa elastica”. Cadorna, ancorato ad
una concezione risorgimentale di guerra di posizione e ad
una rigorosissima strategia, lascia a favore di un
comandante dinamico anche se piuttosto indeciso.
Novembre 1917 – Ritirata sul Grappa
Le truppe di montagna, che combattevano sul fronte
dolomitico, scendono lungo il Piave e vengono dirette sul
Grappa.
Novembre 1917 – Arroccamento sul Grappa
Perso l’attimo decisivo, da parte austro-ungarica, per
attraversare il Piave si passa ad una guerra di posizione
e assalti per la conquista del Grappa. Da parte italiana,
nel frattempo, venne fortificata e rinforzata la cima e le
dorsali laterali.
Novembre/dicembre 1917 – battaglia d’arresto sul Grappa
Quella che doveva essere una battaglia per rallentare
l’avanzata imperiale si trasforma in una riscossa
italiana. Fu una svolta epocale soprattutto “filosofica e
32
psicologica” dei soldati italiani che ora combattevano
per un ideale di Patria.
Novembre 1917 – Offensiva sull’altipiano di Asiago
Franz Conrad von Hötzendorf (Capo di S.M. austriaco)4
non demorde dall’idea di sfondare il fronte sugli altipiani
per dilagare in pianura. Attacchi e contrattacchi si
susseguono ininterrottamente fino a gennaio 1918.
Dicembre 1917 – Offensiva austro-ungarica sul Grappa
Nonostante le avverse condizioni climatiche si tentarono
gli assalti alle ben posizionate geograficamente, ma
ancora incerte e fragilissime, postazioni italiane. Presa
dell’Asolone e del Pertica.
24 dicembre 1917 – “guerra delle mine”
Nuova, impressionante, mina austriaca devasta il
“Dente” italiano del Pasubio.
21 gennaio 1918 – “guerra delle mine”
Risposta italiana con mina sul “Dente” austriaco del
Pasubio.
4
Franz Conrad von Hötzendorf, nominato Capo di S.M. nel 1906 e sollevato
dall’incarico nel 1917, fu molto criticato dal generale tedesco Hans von Seeckt,
che disse di lui: “… su Conrad ricadeva infatti la responsabilità di aver intrapreso
una serie di irrazionali offensive, che avevano portato alla distruzione dell'esercito
regolare fin dall'inizio del conflitto, con la conseguenza che il confronto dovette in
breve essere sostentato dal potenziale umano della riserva - quindi male
addestrato”.
33
2 febbraio 1918 – “guerra delle mine”
Risposta austriaca con mina sul “Dente” italiano del
Pasubio. Il botta e risposta prosegue ulteriormente con
altri botti il 13 febbraio, il 24 febbraio, il 5 marzo fino al
13 marzo con l’esplosione di 500 quintali di polvere sul
“Dente” italiano.
15-25 giugno 1918 – Battaglia del “solstizio”
Grande offensiva austro-ungarica. Fu l’ultima ondata
del grande esercito imperiale ridotto ormai alla fame.
Nel frattempo gli Stati Uniti supportano con
rifornimenti l’ esercito italiano.
Settembre 1918 – Concezione della battaglia offensiva
Con gli imperiali allo sfacelo e i sempre più evidenti
motivi di conclusione della guerra, il governo italiano
insiste sul Comando Supremo per una offensiva volta a
riconquistare il Veneto e il Friuli in modo da non
trovarsi in una situazione ambigua al tavolo delle
trattative di pace.
24-29 ottobre 1918 – Battaglia decisiva
Tra il Grappa ed il Piave l’esercito italiano sfonda e
sbaraglia definitivamente quello che era il più grande
esercito e il più grande impero del mondo. Le truppe
italiane entrano a Vittorio (poi Vittorio Veneto –
Treviso). Nonostante un’eroica difesa fino all’ultimo,
crolla militarmente, politicamente ed economicamente
un impero con 700 anni di storia.
34
3 novembre 1918 – La guerra è vinta
I reparti italiani entrano vittoriosi a Trento e a Trieste.
3 novembre 1918 – Armistizio che entra in vigore, di
fatto, il 4 novembre
A Villa Giusti alla Mandria, periferia di Padova, viene
firmato l’armistizio che sancisce la fine delle ostilità tra
numerose polemiche, i soldati austro-ungarici sono
lasciati allo sbando tra il Grappa e gli altopiani.
L’AFFONDAMENTO
DELLA
CORAZZATA
“LEONARDO DA VINCI” – LA TRAGICA FINE
DEL CAPITANO DI VASCELLO GALEAZZO
SOMMI PICENARDI DI CREMONA
In questo enorme dispiegamento di truppe s’inserisce un
episodio che non riguarda le forze di terra, ma la Regia
Marina alla fonda nel Mare Piccolo di Taranto. La
corazzata “Leonardo da Vinci” per motivi ignoti
s’incendiò e fu distrutta. Il comandante era il cremonese
capitano di vascello Conte Galeazzo Sommi Picenardi.
Fu aperta un’inchiesta e ci furono 17-18 indagati.
Furono sospettati degli elementi legati a gruppi filo
tedeschi, ma il sabotaggio venne imputato ai
fruttivendoli alcuni dei quali furono condannati. La
dinamica del sabotaggio fu abbastanza semplice. I
fruttivendoli a Taranto erano considerati come la feccia
della popolazione, quindi corruttibili e disposti a tutto.
35
Per il loro commercio portavano a bordo delle navi le
casse di frutta a verdura. Fu così che portarono sulla
“Leonardo da Vinci” delle cassette miste a esplosivo. Da
qui prese corpo la dinamica del sabotaggio. Il fatto è così
descritto in un rapporto dell’epoca5:
fasc.N°19 del 17 settembre 1916
La sera del 2 agosto sulla R .nave “LEONARDO da
VINCI”, ancorata al sicuro da ogni possibile insidia
guerresca del nemico, si manifestava un incendio nei
locali attigui al deposito delle munizioni di poppa.
Con lodevole prontezza di decisione, il Comando di bordo
provvedeva
all’immediato
allagamento
delle
Sante Barbare, impedendo così la distruzione della nave.
Però, in seguito a successiva esplosione, si determinava
una lacerazione della carena, con conseguente via
d’acqua, per effetto della quale la nave si appoggiava sul
fondo (profondità del mare m.11,50).La rapida
organizzazione dei soccorsi valse a trarre in salvo buona
parte del personale. Sopra 34 ufficiali e 1156 uomini
d’equipaggio scomparvero, vittime del loro dovere,21
ufficiali e 227 uomini d’equipaggio.
Dalle conclusioni alle quali è ora pervenuta una prima
diligente inchiesta tosto ordinata, secondo le vigenti
prescrizioni e che fu necessario circondare di ogni
maggior riserbo, son risultati esclusi qualunque
5
Le notizie sono riprese dal forum della BETASOM – XI Gruppo Sommergibili
Atlantici (www.betasom.it)
36
intervento di offesa esterna e ogni difetto negli esplosivi
impiegati sulle navi dell’armata.
Tuttavia, mentre un’autorevole Commissione, della
quale fanno parte anche eminenti personalità tecniche
civili, avvisa ai mezzi per il ripristino della nave nelle sue
condizioni di efficienza, il ministro della Marina, allo
scopo di chiarire nel modo più assoluto ogni circostanza
che possa avere attinenza con il sinistro, e anche se esso
possa avere qualche legame con incidenti di carattere
doloso di recente verificatisi nel paese, anche fuori della
Marina, ha provocato la costituzione di una
Commissione d’inchiesta composta dai signori :senatori
viceammiraglio Canevaro, prof. Righi e Ciamician;
deputati prof. Battelli, ing. Orlando Salvatore e Saint
Just di Teulada; viceammiraglio Avallone, tenente
generale del genio navale Valsecchi e sostituto
procuratore generale di Cassazione De Notari Stefani. La
Commissione, presieduta dal viceammiraglio Canevaro,
sta per principiare i propri lavori. Essa potrà valersi di
ogni mezzo d’indagine che ritenga opportuno, e ha
amplissimo mandato, tanto per quanto riguarda il
sinistro su esposto, quanto per estendere le ricerche
anche a precedenti avvenimenti analoghi, essendo
intendimento del ministro che l’opera di essa riesca
assolutamente esauriente e rassicurante sotto ogni suo
aspetto.
L’esplosione avvenne alle ore 23,10,la città e il mare di
Taranto furono improvvisamente illuminati da una
colossale fiammata. Subito dopo numerose esplosioni
37
fecero tremare le case e andar molti vetri in frantumi. Il
fuoco erasi sviluppato in un deposito al centro della
nave, vicino alla torre corazzata di poppa, in cui erano i
proiettili che dovevano servire il giorno dopo alle
esercitazioni di tiro.
Il comandante, capitano di vascello Sommi Picenardi,
fatto dare l’allarme, accorse col comandante in seconda,
capitano di fregata Ferrero. Dietro loro accorsero tutti
gli ufficiali e marinai. Ogni speranza di domare il fuoco e
salvare la bella nave apparve subito vana, tuttavia ogni
mezzo più pronto fu tentato per circoscrivere l’incendio.
Quando il pericolo che il fuoco si propagasse alla Santa
Barbara e alle navi ancorate a poca distanza apparve
imminente, i comandanti diedero l’ordine di aprire le
paratie e la nave affondò.
Fasc.N°20 del 24 settembre 1916PER SALVARE LA “LEONARDO DA VINCI”
I mezzi escogitati per salvare completamente la
“Leonardo da Vinci” saranno, scrive l’Idea Nazionale, i
seguenti: a) aprire un foro nella chiglia, parte emersa,
per avere la possibilità di chiudere i boccaporti e le
valvole che volontariamente si erano aperte. Ciò
avvenuto si turerebbe il foro e si procederebbe a
rimettere la nave in posizione normale per poi aspirare
l’acqua; b) impiantare un conveniente piano inclinato
dall’estremità della nave verso terra fino alla sponda
prossima e con potenti gru rimuovere la “Leonardo da
38
Vinci” dalla posizione attuale, facendola strisciare lungo
il piano inclinato fino a portarla fuori dal limite
dell’acqua; c) costruire una duna tutto intorno alla nave
in modo da formare una specie di bacino, ciò che
potrebbe ottenersi costruendo due ali frontali alla
direzione della nave ed uno sbarramento oltre la nave
stessa e parallelo ad esso. Tale provvedimento poi
avrebbe un carattere sia provvisorio che definitivo nel
senso che in quest’ultimo caso si potrà avere un bacino
di carenaggio. Nell’uno e nell’altro caso si tratterebbe
però di un lavoro lungo e difficile.
“Le maggiori difficoltà da superare sono quelle che si
incontreranno per rimettere la “Leonardo da Vinci”!
nella posizione normale. Tutte le buone probabilità
fanno prevedere che, con buona opera e con mezzi
concordati ed occulti, si riuscirà certamente a salvare la
poderosa nave nel senso di rimetterla a galla e affidarla
ai galleggianti che la portino in bacino per le riparazioni.
AI SUPERSTITI DELLA NAVE
Ai marinai superstiti della “Leonardo da Vinci” il
comandante del deposito di Napoli (12 settembre)
rivolse le seguenti parole : “Avete vissuto un momento
tremendo, ma nel ricordo doloroso, anzi che avvilimento
per le anime vostre, dovete trovare nuovi motivi di forza
e di amore. Per la memoria del vostro comandante,
capitano di vascello Galeazzo Sommi-Picenardi, che con
39
le sue povere carni bruciate chiuse la sua vita operosa e
gagliarda in un’ora di abnegazione suprema, per la
memoria dei vostri ufficiali e dei vostri compagni, che
giacciono morti vicino allo scafo reclinato della bella
nave, io vi esorto, o marinai superstiti, di amare sopra
ogni cosa la Patria. Fate un voto per questo miracoloso
salvamento, pensate che sia per lei e non per voi che la
sorte vi aiutò a superare la difficile prova.
Fate un voto solenne di saldi propositi, di perenne amore
per questa meravigliosa madre nostra ,che è madre di
ognuno e di noi tutti. Mentre questa madre piangeva la
perdita immane, altri soldati fratelli, superate le ingiuste
frontiere, lanciati alla conquista di quello che Dio ci
assegnò, unirono al nostro grido di dolore un grido di
vittoria,e sulla sacra tomba brillò ancora la stella del
nostro fato luminoso.
Benedetti i vivi e i morti che oprarono per la Patria !
Ogni nostra gioia e ogni nostro dolore finisce per le più
alte fortune d’Italia. Viva l'Italia !”
Fasc.N°25 del 29 0ttobre 1916
Per il disastro della “LEONARDO da VINCI”.
Una taglia Alle Prefetture del Regno è stato dato
incarico di far conoscere al pubblico il seguente
comunicato in data 16 ottobre:
“Il Governo promette un premio di £ 100.000 a
chiunque, entro il 28 febbraio 1917,fornisca indicazioni
40
sicure per stabilire eventuale intervento o azione
delittuosa
nel
sinistro
della
regia
nave
“LEONARDO da VINCI”, verificatosi il 3 agosto
scorso, procurando nel contempo la scoperta e l'arresto
degli autori e dei complici. Al conferimento del premio si
procederà al termine del relativo procedimento
giudiziario.”
La Commissione chiamata ad inquisire sulle cause del
disastro era composta dai seguenti membri:
sen. prof. Righi, sen. Ciamician, deputato prof. Battelli,
ing. Salvatore Orlando, ing. Sainjust di Teulada,
viceammiraglio Avellone, tenente generale del genio
navale Valsecchi, sostituto procuratore generale di
Cassazione De Notari Stefani.
Per questo episodio il capitano di vascello Sommi
Picenardi venne decorato con la medaglia d’oro al Valor
Militare e alla sua memoria venne dedicata una batteria
antinave da 152/45 della zona MM Elba Piombino.
Il sabotaggio della “Leonardo da Vinci” è stato,
comunque, frutto di un’intensa attività di Intelligence
da parte tedesca. Per concludere le operazioni di
sabotaggio (oltre alla “Leonardo da Vinci”, sabotata il
2.8.1916, l’anno precedente nel porto di Brindisi fu
sabotata la nave ammiraglia “Benedetto Brin”,
27.9.1915) vennero corrisposte delle somme di denaro.
Le Autorità austriache, a parte un piccolo anticipo ed un
mensile di 1.000 (poi 1.300) corone, non dettero subito al
sabotatore le 300.000 corone pattuite per l'affondamento
41
della LDV. Come misura precauzionale i soldi furono
vincolati nella Osterreichische Landersbank fino alla
fine della guerra. Durante il conflitto la cospicua somma
fu investita in buoni del tesoro austriaci per finanziare lo
sforzo bellico.
Tra le medaglie d’oro al V.M. va infine ricordato don
Annibale Carletti di Motta Baluffi, che incitò i suoi
uomini alla resistenza contro il nemico a Costa Violina e
Passo del Buole (maggio, 1916).
(corazzata “Leonardo da Vinci affondata)
42
(oper
azioni nel Nord-Est, 1915-1918)
(tri
ncea italiana, 1915-1918)
43
(trincea tedesca in località Markirch, 1915 – archivio storico E.
Bettini)
44
(corazzata “Leonardo da Vinci” comandata dal cap. di vascello
Galeazzo Sommi Picenardi M.O.V.M.)
45
(lapide in memoria dei caduti della “Leonardo da Vinci - 2.8.1916)
46
(batteria Galeazzo Sommi Picenardi)
(piazzola n.3 – batteria Galeazzo Sommi Picenardi)
LA GUERRA NEI CIELI
47
nel corso del Prima Guerra Mondiale nasce ufficialmente
l’aviazione militare italiana, già sperimentata agli albori
durante la guerra itali-turca (1911 – 1912).
Il colonnello del Genio Militare Giovanni Battista
Marieni, inviato in Libia per creare le strutture dopo
l’occupazione del territorio (fortificazioni, trincee,
ferrovia, ospedali, comunicazioni stradali e telefoniche,
pozzi artesiani, acquedotti, potabilizzatori e primi
insediamenti per militari e civili) nel 1914 viene
richiamato in Italia e il 23 dicembre 1915 viene
nominato Direttore Generale dell’Aeronautica.
In poco tempo i dati dimostreranno l’efficienza
dell’Aviazione italiana, che diventerà la prima in
Europa superando quella imperiale:
48
49
L’impulso dato alla creazione di questa nuova macchina
bellica si rivelò vincente negli anni successivi. Oltre al
mitico aviatore Francesco Baracca, asso dell’aviazione
italiana e medaglia d’oro al Valor Militare, e il
leggendario volo su Vienna compiuto da Gabriele
D’Annunzio (9 agosto 1918), alcuni cremonesi si
distinsero per atti di valore compiuti a bordo di aerei e
dirigibili. L’aviazione non disponeva, infatti, di soli
aerei, ma aveva un parco dirigibili molto avanzato per
compiere bombardamenti sulle postazioni nemiche.
Ricordiamo così la medaglia d’argento Silvio Alessi,
maresciallo motorista che partecipò a ben 14
bombardamenti.
50
51
LA FIGURA DI LEONIBA BISSOLATI NEL
CONTESTO STORICO E POLITICO DEL PRIMO
NOVECENTO
Tra gli alpini che parteciparono alla prima guerra
mondiale va ricordato Leonida Bissolati, decorato con
medaglia d’argento al Valor Militare. Dal volume 10 del
“Dizionario biografico degli Italiani” di Angelo Ara:
“BISSOLATI Leonida. - Nacque a Cremona il 20
febbraio 1857 dal canonico Stefano Bissolati e da
Paolina Caccialupi, moglie di Demetrio Bergamaschi.
Nel 1861 S. Bissolati svestiva l’abito talare e nel 1865,
morto il Bergamaschi, già da molti anni malato, sposava
la Caccialupi, adottando il figlio.
…
Allo scoppio della guerra si arruolò volontario nel 4º
reggimento alpini, col grado di sergente. Partecipò ai
combattimenti per la conquista del Monte Nero; nel
luglio venne ferito due volte e fu decorato di medaglia
d’argento. Nel primo anno di guerra alternò la
permanenza al fronte con soggiorni a Roma per i lavori
parlamentari. Al fronte si incominciò a utilizzarlo quale
tramite tra esercito e mondo politico.
Nel giugno 1916 entrò come ministro senza portafogli
nel gabinetto Boselli; in tale veste richiese una più
energica condotta militare della guerra e un più stretto
collegamento politico con le altre nazioni dell’Intesa;
soprattutto sosteneva la necessità di dichiarare guerra
52
anche alla Germania, la cui struttura autoritaria e le cui
mire imperialistiche gli sembravano il più grave ostacolo
alla democratizzazione europea.
Come ministro, il suo compito era essenzialmente quello
di collegare il governo al fronte, il potere politico al
comando supremo. I rapporti con Cadorna, difficili
all’inizio, divennero in seguito quanto mai cordiali.
Il 29 ottobre 1916, nel più importante dei suoi discorsi
del periodo di guerra, il B. commemorò a Cremona
Cesare Battisti. Rievocando il sacrificio dell’amico
socialista, egli polemizzò contro il socialismo italiano,
che aveva rifiutato quella che per lui era guerra di
liberazione europea, e contro l’atteggiamento dei partiti
socialisti degli Imperi centrali, sul conto dei quali egli
dimostrava però di non possedere dati sempre
circostanziati e precisi. Il fulcro del discorso era la
richiesta esplicita, prima manifestazione in tal senso da
parte di un uomo di governo dell’Intesa, dell’inclusione
tra i fini politici della guerra della dissoluzione
dell’Austria-Ungheria, al cui posto dovevano sorgere
Stati nazionali indipendenti. La sistemazione
democratica dell’Europa danubiana e balcanica, che già
durante le guerre balcaniche era stata uno dei motivi
della tematica politica del B., trovava qui la sua prima
chiara teorizzazione.
La crisi politica dell'autunno 1917, concomitante con la
sconfitta di Caporetto, portò Orlando alla presidenza del
Consiglio e il B. assunse nel nuovo gabinetto il
portafoglio dell’Assistenza militare e delle Pensioni di
53
guerra. La sua posizione all’interno del ministero risultò
però indebolita: l’enormità della sconfitta militare fece sì
infatti che la sostituzione di Sonnino, già decisa, non
venisse più effettuata, su proposta dello stesso B., nel
timore di rafforzare le correnti neutraliste, e la
permanenza di quello risultò fatale alla linea di politica
estera perseguita dal Bissolati.
Il dramma di Caporetto, che il B. visse al fronte,
rappresentò per lui un momento di crisi e di
prostrazione. Anche la valutazione della situazione gli
sfuggì completamente: si avvicinò agli apprezzamenti di
Cadorna sui soldati italiani, parlò di sciopero militare e
di deficiente resistenza delle truppe, ma senza portare
alcun elemento preciso, come gli rimproverò Orlando.
Superata la crisi morale, psicologica e politica
determinata dalla disfatta e allentati i legami con il
comando supremo, l’attività del B. si orientò in altre
direzioni. In politica interna tentò di accrescere il peso
dell’interventismo democratico stimolandone una
maggior coesione; nel maggio 1918 varie forze della
democrazia e del socialismo interventista confluirono
nell'Unione socialista italiana, ma il nuovo movimento si
rivelò una formazione priva di un preciso programma
politico, resa eterogenea dall'adesione di gruppi
ideologicamente diversi. Fu tra i fautori dell'impiego
nella guerra contro l’Austria dei prigionieri cechi e slavi
meridionali; cominciò a porsi in maniera concreta il
problema dei nuovi confini orientali dell’Italia, e
incoraggiò a tal fine un accordo con gli Slavi meridionali.
54
Il congresso di Roma dei popoli soggetti all'AustriaUngheria della primavera rappresentò indubbiamente
una tappa fondamentale nel processo di dissoluzione
della monarchia danubiana. Il successo conseguito dal
B. a Roma non va però sopravalutato: la dichiarazione
interalleata di Versailles del giugno 1918, che
distingueva tra le aspirazioni dei Polacchi e quelle dei
Cechi e degli Iugoslavi; il contrasto tra il B. e il Sonnino
per quanto riguardava l’impiego dei prigionieri slavi
nella guerra contro l'Austria; l’ipersensibilità alla
questione nazionale anche nei più democratici tra gli
Slavi, dimostravano come fosse ancora lontana la
realizzazione di molti obiettivi politici del Bissolati.
…
Dopo gli incidenti della Scala il B. subì un periodo di
profonda depressione. La sua partecipazione alla vita
pubblica era ormai soltanto episodica: intervenne al
congresso dell'Unione socialista; pronunciò un discorso
elettorale a Cremona; sul Secolo polemizzò col
nazionalismo iugoslavo. Nel novembre 1919 il suo
vecchio collegio di Pescarolo lo rielesse deputato. Il 10
marzo 1920, ormai gravemente ammalato, decise di
sottoporsi a un intervento chirurgico: subentrò
un’infezione, e il 6 maggio 1920 morì a Roma”.
55
ENNIO ZELIOLI LANZINI DA DECORATO SUL
MONTELLO A PRESIDENTE DEL SENATO E
MINISTRO DELLA REPUBBLICA
Una delle figure di spicco che hanno attraversato la
storia italiana dalla Prima Guerra Mondiale alla
Repubblica è certamente l’avvocato Ennio Zelioli
Lanzini. Nato a San Giovanni in Croce nel 1899
(appartenne alla classe dei famosi e gloriosi “ragazzi del
“99”) venne a contatto giovanissimo con la gioventù
cattolica. Per diversi anni il suo punto di riferimento fu
Mons. Giovanni Cazzani vescovo di Cremona.
Dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte del Comitato
di Liberazione Nazionale della Lombardia e fu tra gli
organizzatori, a Cremona, del movimento di resistenza
antifascista. Per questa sua attività nel 1944 fu arrestato
dalla polizia fascista. Nel 1945, nelle convulse giornate
che seguirono il 25 aprile, il figlio Bernardino fu ucciso in
combattimento dalle forze armate tedesche in ritirata.
Nel 1948 fu eletto senatore, per la Democrazia Cristiana,
nel II collegio di Crema. Fu rieletto senatore, sempre nel
collegio di Crema, per altre 4 legislature. Dal 1955 al
1957 fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel
Governo Segni I e nel 1960 fu eletto vicepresidente del
Senato. Dal 10 agosto al 29 dicembre 1964 supplì il
presidente del Senato Cesare Merzagora (impossibilitato
a svolgere il suo compito in quanto supplente del Capo
dello Stato) e nel 1967 fu eletto alla seconda carica dello
56
Stato dopo le dimissioni di Merzagora. Come presidente
del Senato dimostrò equilibrio e capacità di governare
un'assemblea spesso rissosa e difficile.
Nel 1968 fu chiamato dal Presidente del Consiglio
dell’epoca Giovanni Leone, a ricoprire la carica di
ministro della sanità.
Dopo la sua morte, il 25 febbraio 1976 il presidente del
Senato Spagnolli lo ricorderà con queste parole:
“Uomo di profonda sensibilità morale, di grande coerenza e
di specchiata onestà, egli apparteneva a quella generazione
di uomini liberi che, estromessi ma non umiliati dal
fascismo, seppero preparare e realizzare con paziente
coraggio la rinascita della vita democratica del paese.
Combattente e decorato al valore nella prima guerra
mondiale, dirigente delle associazioni cattoliche e militante
nelle coraggiose battaglie di Guido Miglioli per il progresso
del mondo contadino, Zeli oli Lanzini fu strenuo e tenace
avversario dello squadrismo.
L'avvento della dittatura lo costrinse ad abbandonare la vita
politica ed egli, mentre svolgeva la professione di avvocato,
intensificò allora - con entusiasmo e rigore di princìpi - la
sua presenza nelle file del laicato cattolico.
La Resistenza lo vide attivamente impegnato insieme al
figlio Bernardino, che aveva educato ai supremi valori della
libertà e che i tedeschi gli uccisero nelle vie di Cremona il 26
aprile 1945 mentre egli trattava – in rappresentanza del
Comitato di liberazione Nazionale - la resa dei nazifascisti.
57
Questo grandissimo dolore, mai sopito nel suo cuore di
padre, lo rafforzò nei princìpi cristiani di carità e di amore
del prossimo, princìpi che praticò nella vita privata e in
quella pubblica e che sono nobilmente testimoniati nelle
accorate parole che pronunciò in Senato, il 3 dicembre 1954,
intervenendo in favore della legge che estendeva pensioni e
sussidi ai mutilati e ai congiunti dei caduti che
appartennero alle Forze armate della sedicente Repubblica
Sociale.
Presidente delle ACLI e dell'Amministrazione provinciale
di Cremona nel 1946, due anni dopo Zelioli Lanzini fu
eletto al Senato e alla nostra Assemblea, di cui fece
ininterrottamente parte fino al 1972, recò il contributo delle
sue altissime qualità di equilibrio e di esperienza. Di tali
qualità egli diede ampia prova 1m tutte le cariche alle quali
fu chiamato dalla fiducia dei colleghi e soprattutto quando,
nel novembre 1967, l'Assemblea gli affidò l'onerosa
responsabilità della presidenza.
Era un momento tormentato e difficile, ma Ennio Zelioli
Lanzini seppe far fronte al compito con fermezza e
competenza, confermandosi la stima che si era guadagnato
in lunghi anni di vice-presidenza- del Senato. La sua
personalità schiva e riservata non gli impedì di essere guida
severa e sicura nel dirigere i lavori dell'Assemblea sino alla
fine della legislatura, convinto com’era - sono parole tratte
dal suo discorso di insediamento - che « Una Nazione è
democraticamente viva e civile nella misura in cui ha un
Parlamento efficiente e valido, sollecito sì nell’interpretare e
58
mediare le esigenze molteplici e contrapposte di tutti, ma
altresì capace di tradurre tali esigenze in concrete norme di
legge con la riflessione e la tempestività dovute».
In quello stesso discorso Zelioli Lanzini sottolineava quale
era il suo ideale di libertà vera, «quella che rispetta
l’opinione altrui, quella che avvince gli avversari alla
colleganza cordiale che alle volte si tramuta in amicizia»; e
questi concetti riprendeva nel toccante discorso col quale avendo deciso di non ripresentare la sua candidatura alle
elezioni del 1972 - prendeva commiato dal Senato:
“Abbiamo seminato - egli affermava - abbiamo salvato le
istituzioni ,abbiamo ribadito i concetti, che per noi sono
fondamentali, della libertà, della democrazia, del rispetto di
tutte, le opinioni ».
59
DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AL
VENTENNIO
Lo straordinario percorso patriottico del generale
Valentino Stajano
Nella storia del territorio cremonese ci sono stati ufficiali
che hanno contribuito con il loro senso del dovere a
scrivere significativamente una pagina di valore e
sacrificio. Tra questi ne abbiamo scelto uno che ha
percorso mezzo secolo di vita dedicata alla Patria,
guadagnandosi la medaglia d’argento al V.M., la
medaglia di bronzo al V.M. e la Croce di Guerra al
Merito di Guerra.: è il generale di Brigata Valentino
Stajano. Abbiamo rintracciato il figlio, lo scrittore
Corrado Stajano, già senatore della Repubblica, il quale
ci ha trasmesso una breve nota biografica del padre:
“Mio padre nacque il 20 agosto 1893 a Noto, in provincia
di Siracusa. Allievo dell’Accademia militare di Modena,
sottotenente di Fanteria il 30 maggio 1915, viene inviato al
fronte nel 65° Reggimento Fanteria. Il 14 agosto prende
parte a un conflitto a fuoco, è la sua prima medaglia di
bronzo. Sei giorni dopo, a Santa Maria di Tolmino
partecipa ad un’altra sanguinosa battaglia dove viene
gravemente ferito. Gli viene conferita una medaglia
d’argento. Poi una Croce al Merito di Guerra.
Il 27 ottobre 1922, capitano del 50° Reggimento Fanteria
comanda a Cremona la Compagnia che protegge il palazzo
del Governo. Respinge l’attacco degli squadristi di
60
Farinacci, il ras fascista che con la sua azione si propone
di mettere Mussolini di fronte al fatto compiuto, una spinta
alla marcia su Roma del 28 ottobre. Lo scontro è cruento,
cinque morti tra gli squadristi e numerosi feriti. Mio padre
ha fatto rispettare la legge e lo Statuto del Regno.
Nella seconda guerra mondiale, colonnello, partecipa alle
operazioni alla frontiera alpina e nell’ex Jugoslavia nel
Reparto Comando del Corpo d’Armata Autotrasportabile
che ha la sua sede a Cremona, nel Palazzo Trecchi. Poi
con il corpo di spedizione in Russia, lo CSIR, al comando
del generale Messe, partecipa come comandante del Quartier
Generale del Corpo d’Armata alla campagna in Unione
Sovietica. Torna in Italia alla fine del 1942, ricoverato
all’ospedale militare di Imola per congelamento alle gambe.
L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo coglie a Bolzano dove
il 35° Corpo d’Armata sta cercando di ricostituirsi dopo la
ritirata di Russia. Catturato dai tedeschi viene internato in
vari lager in Germania. Non aderisce alla Repubblica di
Salò, nonostante le sollecitazioni fasciste. Liberato a
Berlino dalle truppe sovietiche, torna in Italia nel settembre
del 1945. Generale di Brigata, muore, dopo alcuni anni in
cui resta in servizio, il 29 dicembre 1969. Riceve due Croci
al Merito di Guerra per la Campagna 1940-1943 e un
encomio solenne del generale Giovanni Messe per il suo
comportamento durante la Campagna di Russia. È
cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro”.
61
LA GUERRA DI SPAGNA E LE OPERAZIONI IN
AFRICA ORIENTALE
Prima di buttarsi nella folle avventura a fianco della
Germania nazista l’Italia visse un periodo di conflitti
intermedi, che videro protagonisti molti volontari
(guerra di Spagna, Campagna d’Etiopia) e gli eserciti
formati dalle CC.NN. e dal Regio Esercito di Vittorio
Emanuele III. Al di là dell’ideologia, furono compiuti
atti di valore riconosciuti con decorazioni al Valor
Militare. La metà degli anni Trenta fu il banco di prova
per le generazioni uscite dalla Grande Guerra. Si
respirava un clima di onnipotenza, che porterà
inevitabilmente verso il baratro. Possiamo comunque
dire che la fine del regime fascista incominciò proprio
con l’entrata in guerra dell’Italia. In tre mesi di
belligeranza l’Impero del Duce aveva già perso la Libia e
nel 1941 praticamente tutta l’Africa Orientale.
GUERRA DI SPAGNA (1936 – 1939)
Furono tre anni di sanguinosi combattimenti con
migliaia di morti da entrambi le parti. Nulla venne
risparmiato in uno scenario terrificante, la prova
generale di quella che si trasformò nella Seconda Guerra
Mondiale.
62
Durante i tragici avvenimenti che la contraddistinsero,
emersero figure di grande rilievo storico e letterario:
intellettuali come Federigo Garcia Lorca, Ernest
Hemingway, Pablo Neruda, Ezra Pound, George Orwell,
politici e militari come Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e
Annibale Bergonzoli (generale M.O.V.M. guadagnata a
Santander nel 1937). E fu proprio dalla Guerra di
Spagna che partì l’organizzazione del complotto
internazionale per assassinare Lev Trotsky (pseudonimo
di Lev Davidovič Bronštejn) a Coyoacán in Messico per
mano di Ramón Mercader.
Per fare un quadro esaustivo dell’intervento italiano
nella penisola Iberica consideriamo il dispiegamento di
forze inviate a sostegno di Francisco Franco: circa
60.000 uomini del Corpo Truppe Volontarie supportati
da una potente aviazione. Nel 1938 le forze italiane
consistevano in 75.000 volontari, 6.000 aviatori, 764
aerei, 157 carri armati e 1.800 cannoni.
Molti italiani si arruolarono nelle Brigate Internazionali
a sostegno della Repubblica contro i nazionalisti di
Franco. Ricordiamo il Battaglione Garibaldi comandato
da Randolfo Pacciardi e la presenza di altre voci
importanti nella storia italiana quali Carlo Rosselli e
Luigi Longo. Altri ancora combatterono direttamente
nell’esercito repubblicano (Francesco Fausto Nitti
fondatore del movimento Giustizia e Libertà). In tutto
gli italiani andati a combattere con i repubblicani furono
circa 4.050. In questo contesto ci furono alcune battaglie
importanti nelle quali troviamo la presenza di volontari
63
cremonesi, che si guadagnarono la decorazione al Valor
Militare. Gli episodi di riferimento sono la battaglia di
Guadalajara (8 – 23 marzo 1937) e lo scontro di Puerto
de León nelle vicinanze di Malaga.
La battaglia di Guadalajara fu uno dei combattimenti
chiave di tutta la Guerra di Spagna. Fu combattuta tra
l’esercito della seconda repubblica e le brigate
internazionali da una parte e i nazionalisti franchisti
affiancati dalle unità del Corpo Truppe Volontarie
Italiane. Lo scontro si concluse con la vittoria del
repubblicani6. Nel corso degli scontri si distinse il
cremonese Giovanni Serventi, I° capitano de Genio, che
meritò la medaglia di bronzo al V.M. nel 1937 e la
medaglia d’argento al V.M. “sul campo” nel 1938 per
atti di eroismo nel corso della battaglia dell’Ebro.
Altro combattimento al quale partecipò un cremonese
decorato con medaglia d’argento al V.M. e Croce di
Guerra al V.M. fu lo scontro di Puerto de León nel 1937.
Il caporal maggiore Egidio Scaravonati7 (questo è il
nome del decorato) si distinse per il suo ardimento nella
conquista di una postazione di mitragliatrici e per aver
6
Nella battaglia di Guadalajara le forze in campo furono: a) per la parte
repubblicana: 20.000 uomini, 45 cannoni, 70 carri armati leggeri, 80 aerei; b) per
la parte nazionalista: 45.000 uomini, 270 cannoni, 140 carri armati leggeri, 62
aerei. Perdite: a) repubblicani: 6.000 uomini tra morti e feriti; b) nazionalisti:
2.000 morti, 4.000 feriti, 300 prigionieri.
7
Egidio Scaravonati apparteneva alla 19 ^ Legione ordinaria “Fedelissima” di
Casalmaggiore.
64
prestato soccorso, benché fosse ferito, al suo comandante
di “Bandera”8.
(cortile interno dell’Alcázar di Toledo distrutto, 1936)
CAMPAGNA D’ETIOPIA (1935 – 1936)
8
Col nome “Bandera” nella Guerra di Spagna era indicata un’unità militare
falangista.
65
Un’altra esperienza bellica di grande rilevanza storica fu
la Campagna d’Etiopia. In questo conflitto, durato circa
7 mesi (2 ottobre 1935 – 5 maggio 1936), vennero profuse
le massime energie di cui l’Italia mussoliniana
disponeva. Ben 330.000 uomini furono inviati a ondate
nel Corno d’Africa9. La guerra, se pur di breve durata, fu
molto cruenta e si concluse con la proclamazione
dell’Impero (9 maggio 1936)10.
9
Una indicazione della forza bellica italiana è contenuta (se pur approssimativa)
nella relazione del Capo di S.M. gen. Federico Baistrocchi: Fucili e moschetti:
420.000; Fucili mitragliatori e mitragliatori: 10.000; Pezzi d'artiglieria: 1.123; Carri
L/3: 234; Stazioni Radio: 1.600; Quadrupedi: 90.700; Automezzi: 16.000 (da
aggiungere i 2.100 autocarri e i quasi 200 trattori cingolati acquistati negli Stati
Uniti per le esigenze di Graziani in Somalia); Ospedali da campo: 144; Gavette:
.
532.000; Teli da tenda: 1.174.000; Scarpe: 4.650.000
10
Discorso della proclamazione dell’Impero:
“Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in
Italia ! Camicie nere della rivoluzione ! Italiani e italiane in patria e nel mondo !
Ascoltate !
Con le decisioni che fra pochi istanti conoscerete e che furono acclamate
dal Gran Consiglio del fascismo, un grande evento si compie: viene suggellato il
destino dell'Etiopia, oggi, 9 maggio, quattordicesimo anno dell'era fascista.
Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana
resta nella storia della patria, integra e pura, come i legionari caduti e superstiti la
sognavano e la volevano. L'Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista,
perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio
romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono
sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde
generazioni italiane. Impero di pace, perché l'Italia vuole la pace per sé e per tutti
e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose, incoercibili
necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni
dell'Etiopia.
66
La partecipazione cremonese fu abbastanza nutrita in
ogni arma. A parte una molto discussa medaglia
d’argento al gerarca di Cremona, possiamo certamente
annoverare la medaglia d’oro riconosciuta al
comandante Luigi Valcarenghi e la medaglia d’argento
al generale dell’aviazione militare Costante Lazzarini,
che ebbe anche tre medaglie di bronzo sempre nella
Campagna d’Etiopia. Lazzarini, insignito con l’argento
nel 1940 per un’azione sul Mediterraneo, fu certamente il
maggior decorato cremonese in quella guerra per i suoi
coraggiosi voli su Tembien, Cudertà, Scirè, Scioa e
Korandadda.
Il combattimento più significativo, che vide
protagonista il Valcarenghi fu la battaglia di Tembien
Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli
al suo destino. Ecco la legge, o italiani, che chiude un periodo della nostra storia e
ne apre un altro come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro:
1. I territori e le genti che appartenevano all'impero di Etiopia sono
posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d'Italia.
2. Il titolo di imperatore d'Etiopia viene assunto per sé e per i suoi
successori dal re d'Italia.
Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le forze Armate dello Stato, in Africa e
in Italia! Camicie nere! Italiani e italiane!
Il popolo italiano ha creato col suo sangue l'impero. Lo feconderà col suo
lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi.
In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i
cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell'impero sui colli fatali
di Roma.
Ne sarete voi degni?
Questo grido è come un giuramento sacro, che vi impegna dinanzi a Dio e
dinanzi agli uomini, per la vita e per la morte!
Camicie nere! Legionari! Saluto al re!
67
(14 dicembre 1935 – 24 gennaio 1936) durante la quale le
truppe abissine di Ras Cassa avevano tentato lo
sfondamento del fronte italiano. Nella notte tra il 14 e
il 15 dicembre 1935 le prime avanguardie di Ras
Immirù, attraversato il fiume Tacazzè, impegnarono un
Gruppo Bande, al comando del maggiore Luigi Criniti. Il
reparto
italiano
fu
costretto
alla
ritirata
verso Dembeguinà, dove si trovavano le linee amiche
ma, giunto presso Dembeguinà, fu circondato dalle
preponderanti forze abissine. Negli scontri che
seguirono, nel tentativo di rompere l'accerchiamento, il
gruppo carri veloci Esploratori del Nilo del capitano
Ettore Crippa fu annientato. I superstiti, a prezzo di
ingenti perdite, riuscirono nella notte a raggiungere le
linee italiane ad Endà Selassiè presidiate dal
comandante Carlo Emanuele Basile. Da questo punto gli
italiani incominciarono a ripiegare verso Selaclacà difesa
dalla XXIV Divisione Gran Sasso per proseguire poi la
ritirata fino ad Axum. Ras Immirù, nonostante i
violenti bombardamenti aerei, riuscì a far attraversare il
Tacazzè ad altri reparti abissini, portando le proprie
truppe ad oltre ventimila combattenti e forte di questi
uomini continuò l'offensiva rioccupando lo Scirè. Nel
frattempo le
forze di Ras Sejum e di Ras Cassa attaccarono nel
Tembien, presidiato da soli due battaglioni del generale
Diamanti. Per salvare almeno Abbi Addi il generale
Badoglio inviò in appoggio la 2ª divisione eritrea di
68
Vaccarisi e la Legione 28 ottobre di Somma. Il 18
dicembre l’armata abissina assedia Abbi Addi. Il
tentativo italiano di spezzare lo schieramento abissino
presso Amba Tzellerè fallisce. Il 25 dicembre, Abbi Addi
ormai indifendibile, è abbandonata e gli italiani
ripiegano sulle posizioni fortificate di passo Uarieu.
(Passo Uarieu, foto attuale)
Il comandante Luigi Valcarenghi, già distintosi ad Abbi
Addi, trovava la morte il 21 gennaio 1936 nel corso
dell’assedio di Mai Bales. Il 24 gennaio la battaglia era
69
finita con l’arrivo dei rinforzi, che rompevano
l’accerchiamento. Il gerarca Giuseppe Bottai scriverà
parlando della battaglia: “L'azione è finita. O meglio;
mancata. L'eroico contegno della “28 ottobre”, del
Gruppo Diamanti, la nostra avanzata decisa su queste
posizioni e il rastrellamento, da noi compiuto, della
confluenza Calaminò-Ghevà, le maggiori perdite del
nemico (oltre 5000 morti) non bastano a convertire
un'azione mancata in una vittoria. Non ha vinto il
nemico; non abbiamo vinto noi. Ci esauriamo nello status
quo".
Nel contesto della guerra d’Etiopia va ricordata una
decorazione al V.M. riconosciuta al ras di Cremona
Roberto Farinacci (1892 – 1945). Partito al seguito dei
“bombardieri” di Galeazzo Ciano, raggiunse il grado di
generale. Nel 1936 in un incidente sul lago Tana perse la
mano destra. Per tale mutilazione considerata bellica gli
fu riconosciuto un vitalizio (devoluto in beneficenza) e la
medaglia d’argento V.M., che tuttavia fu messa in
discussione dagli storici e da alcuni gerarchi (vedi Ettore
Muti).
70
(foto d’epoca del Passo di Uarieu nelle cui vicinanze trovò la
morte Luigi Valcarenghi, 21 gennaio 1936)
IL GENERALE DI C.A. UMBERTO BORDONI
71
Una delle più belle figure d’ufficiale degna di menzione
particolare è quella del Generale di corpo d’Armata
Umberto Bordoni. Decorato con 3 medaglie d’argento al
Valor Militare e 1 medaglia di bronzo V.M., ha lasciato
innumerevoli tracce scritte della sua attività di
comando. Citiamo un pezzo significativo di un suo
diario africano:
RAPPORTO SULLA BATTAGLIA DI SIDI REZEGH
“…Il grosso del nemico era in marcia su più colonne su Sidi
Rezegh ( ... ) il 9° bersaglieri schierò i suoi battaglioni XXVIII
(rnagg. Togni) e XXX (ten. col. Chierico) rinforzati dalla
compagnia mortai (cap. Carella), dal marabutto di Sidi Rezegh
'alla Trigh Capuzzo, tenendo come riserva parte del XL
battaglione (rnagg, Moro). Il II gruppo del 21° artiglieria (rnagg.
Baglione) prese posizione a sud del marabutto vicino al comando
di reggimento. Sul posto passarono agli ordini del comando del 9°
due gruppi di artiglieria italiana e uno tedesco. Il gen. Bottcher,
comandante del gruppo misto italo-tedesco, impartì al col.
Bordoni l'ordine di resistere a oltranza sul posto, per dar modo
alla 15a divisione tedesca, in azione verso Sollum, di raggiungere
Sidi Rezegh. Alle ore 1,10 del 26 novembre ebbe luogo un attacco
di reparti arditi neozelandesi appoggiati da autoblindo contro il
fianco sinistro della 5a compagnia; attacco che dopo alterne
vicende venne sanguinosamente respinto. Durante la notte
attaccò l'intera divisione neozelandese, appoggiata da un massa
imponente di fuoco. Gli attacchi si susseguirono poi senza tregua,
sempre respinti dai nostri reparti che non esitarono a uscire dalla
linea per il contrattacco. L'oscurità e 1a scarsa conoscenza dei
luoghi resero in certi momenti la nostra situazione veramente
drammatica, perché i reparti, nell'ardore del contrattacco, si erano
72
portati oltre la linea nemica, mentre elementi nemici erano
penetrati nel nostro schieramento. Le prime luci dell'alba
permisero finalmente di chiarire la situazione. I concentramenti
di fuoco ordinati dal comando del 9° bersaglieri avevano
validamente sostenuto le azioni notturne di contrattacco dei
reparti, ma il nemico, malgrado le perdite, si preparava all'attacco
finale. Preceduta da un violentissimo fuoco di artiglieria, la 2a
divisione neozelandese avanzò con tutti i suoi mezzi corazzati. Il
9° bersaglieri, appoggiato da otto carri armati tedeschi e
dall'artiglieria, dimostrò in questa azione di possedere le più elette
virtù e il più alto grado di addestramento. Dopo cinque ore di
continui attacchi e contrattacchi il nemico venne definitivamente
fermato e respinto sulle posizioni di partenza. Alle ore 1l del 26 il
gen. Bottcher sistemò il suo comando vicino a quello del 9°
bersaglieri e con il gen. Piazzoni giunto in quel momento con il
XXXII battaglione motociclisti (rnagg. Pece), in considerazione
del successo ottenuto dal reggimento, iniziò lo studio di un'azione
offensiva per eliminare definitivamente la minaccia nemica in
direzione di Tobruk. Ma proprio mentre si svolgeva tale colloquio,
si verificò il cedimento di una parte del fronte di Tobruk e lo
schieramento del reggimento venne preso alle spalle dal fuoco di
artiglieria e di carri inglesi (usciti dalla piazzaforte ).
Il momento fu veramente tragico. Il comandante del 9° bersaglieri
ordinò ai due gruppi da 105 di rovesciare il fronte e sostenere
I'azione del XXXII battaglione lanciato immediatamente al
contrattacco. Il rombo dei motori si unì a quello delle artiglierie.
La massa ondeggiò un attimo e poi filò velocissima nel polverone
della piana. Il nemico, sottoposto al preciso tiro dei gruppi da 105
e sorpreso dall'improvviso nostro intervento, non resistette
all'urto del XXXII battaglione, sostenuto da quattro carri armati
tedeschi, e dopo breve combattimento si ritirò. La breccia fu
subito dopo tamponata dalle truppe italiane che assediavano
Tobruk ( ... ). La 2a divisione neozelandese intanto, ricevuti
rinforzi, intensificò le sue azioni con grande appoggio di
73
artiglieria, ma ogni velleità nemica venne infranta dalla reazione
dei bersaglieri, che appoggiati dal II gruppo del 21° artiglieria
contrattaccarono con grande impeto facendo numerosi prigionieri.
Larghi vuoti si vennero però a creare anche nelle nostre file e più
gravi nella 5a compagnia (cap. Longobardi) del XXX battaglione.
Data la situazione, il colonnello comandante impiegò allora la
riserva del reggimento (magg. Moro), che ristabilì prontamente !la
situazione sul fronte della 5a compagnia, facendo prigionieri i
reparti neozelandesi infiltratisi fra i capisaldi e che invano
avevano cercato di congiungersi con i reparti usciti da Tobruk.
«Davanti alle nostre linee centinaia di caduti avversari e alcune
decine di mezzi corazzati, fra i quali alcuni carri Mark II, nonché
camionette inutilizzate e bruciate, testimoniavano la tenace
resistenza opposta dai valorosi bersaglieri del 9° e dai magnifici
artiglieri del II gruppo del 21° artiglieria ( ... ).
Alle 22,30 circa (del 26) il nemico sferrò nuovamente l'attacco in
forze a cavallo della direzione già seguita all'inizio dell'azione e,
benché contrastato con accaniti corpo a corpo dai bersaglieri e
battuto efficacemente dall'artiglieria, riuscì ad aprirsi un varco in
corrispondenza della 5a compagnia, ormai decimata, e un nucleo
di arditi neozelandesi puntò sul comando di settore che si dispose
a caposaldo, con il plotone arditi di reggimento, una sezione
mitragliere da 20 mm e due pezzi da 47/32. La lotta si risolse
all'arma bianca e parecchi bersaglieri e artiglieri vennero
pugnalati. La breccia aperta nello schieramento della 5a
compagnia fu tamponata dallo spostamento della 2a compagnia
del :XXVIII battaglione. Il comandante di reggimento comunicò
ai comandanti di battaglione che nel caso di altri cedimenti, i
rispettivi reparti dovevano ripiegare sulla linea del marabutto e
continuare alla difesa a oltranza. Il gen. Bottcher, che seguiva da
vicino le vicende del 9° bersaglieri, alle ore 2 del 27, ritenendo
pienamente assolto dal reggimento il compito assegnatogli di
trattenere il nemico fino all'arrivo delle divisioni corazzate
tedesche, ordinò di ripiegare a cavallo della Trigh Capuzzo, sulla
74
linea compresa fra quota 151 di En Nsalat e quota 134 di Sghifet
el-Escat. Il difficile ripiegamento per scaglioni, iniziato alle ore 3,
venne eseguito ordinatamente e alle ore 9 il reggimento
raggiungeva la nuova zona di impiego. Ultimo a muovere dalle
posizioni cosi duramente contrastate fu il serg, magg. Masucci il
quale con la sua squadra mitraglieri tenne testa al nemico fino alle
prime ore del pomeriggio, riuscendo a portarsi dentro la nuova
linea con poche perdite.”
Il sacrificio di sangue dei combattimenti può essere
riassunto in queste cifre: 61 caduti (5 ufficiali), 127 feriti
(5 ufficiali), 80 dispersi.
75
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
(1939 – 1945)
L’evento storico in cui ogni nazione s’impegnò nel dare il
meglio di sé stessa è certamente la Seconda Guerra
Mondiale. Al di là delle ideologie contrapposte che
meriterebbero un’analisi politica approfondita, noi qui ci
proponiamo di esaminare gli scenari bellici nei quali
furono compiuti atti di valore meritevoli di medaglia al
Valor Militare. Possiamo quindi focalizzare i momenti
salienti in cui alcuni cremonesi hanno donato la vita per
la Patria: fronte francese, Guerra d’Africa, Campagna di
Russia, battaglie nei cieli, guerra in mare, lotta
partigiana. Nel percorso storico che segue non sono citati
tutti i decorati, che saranno elencati successivamente,
ma solo alcuni particolarmente significativi per il loro
coraggio.
In circa sette anni di guerra le varie tappe del conflitto si
possono così delineare:
1939



1 settembre, attacco tedesco alla Polonia
3 settembre, dichiarazione di guerra alla Germania
da parte di Francia e Gran Bretagna
30 novembre, attacco dell'URSS alla Finlandia
76
1940







aprile, la Germania invade Danimarca e Norvegia
maggio, dopo aver invaso Olanda e Belgio,
l'esercito tedesco inizia a penetrare in Francia
10 giugno, Mussolini annuncia l’entrata in guerra
dell’Italia
14 giugno, i tedeschi occupano Parigi
22-24 giugno, armistizio francese con Germania e
Italia
settembre, l'esercito italiano avanza in Egitto
28 ottobre, l'esercito italiano inizia una campagna
militare contro la Grecia, partendo dall'Albania
1941






gennaio-febbraio, dopo aver attaccato la Somalia
francese e britannica, l'esercito italiano viene
sconfitto dagli inglesi e perde il controllo
dell'Abissinia.
17 aprile, capitolazione della Jugoslavia, occupata
da tedeschi, italiani, ungheresi e bulgari.
27 aprile, Atene occupata dai tedeschi.
22 giugno, attacco tedesco all'URSS.
7 dicembre, attacco giapponese a Pearl Harbor,
Giappone e USA entrano nel conflitto. Il
Giappone è in guerra con la Cina dal 1937.
11 dicembre, Germania e Italia dichiarano guerra
agli Stati Uniti.
77
1942




6 maggio, i giapponesi conquistano le Filippine
giugno, gli americani sconfiggono la flotta
giapponese alle Isole Midway
23 ottobre, inizia la grande controffensiva
britannica ad El Alamein
dicembre, inizia la deportazione in massa di
prigionieri di guerra e civili verso la Germania
1943










13 maggio, capitolazione delle armate africane di
tedeschi e italiani
10 luglio, americani e inglesi sbarcano in Sicilia
19 luglio, bombardata Roma
24-25 luglio, nella seduta del Gran Consiglio del
Fascismo Mussolini viene messo in minoranza e
destituito. Il maresciallo Badoglio viene incaricato
di formare il nuovo governo.
26 luglio, sciolto il Partito Nazionale Fascista e
soppresso il Gran Consiglio.
3 settembre, firmato l’armistizio tra Italia e Angloamericani. Invasa la Calabria.
8 settembre, l’armistizio è reso noto agli italiani.
9 settembre, il re e il governo fuggono da Roma e si
rifugiano a Brindisi.
10 settembre, i tedeschi occupano Roma
12 settembre, i tedeschi liberano Mussolini
78


23 settembre, Mussolini annuncia la costituzione
della Repubblica Sociale Italiana nei territori
controllati dall'esercito tedesco
14 ottobre, annuncio di Badoglio: l’Italia "si
considera in guerra con la Germania". L'Italia è
divisa tra due governi, sotto la tutela di due
eserciti: al Nord quello tedesco, al Sud quello degli
alleati anglo-americani.
1944







8-10 gennaio, la Repubblica Sociale processa a
Verona i gerarchi fascisti che avevano messo in
minoranza Mussolini nel Gran Consiglio del 24-25
luglio ’43. Cinque verranno fucilati.
22 gennaio, sbarco degli anglo-americani a Anzio e
Nettuno.
4 giugno, gli alleati entrano in Roma
6 giugno, inizia lo sbarco in Normandia
4 agosto, liberata Firenze
25 agosto, liberazione di Parigi
ottobre, americani e australiani iniziano la
riconquista delle Filippine.
1945


19 febbraio, a Iwojma il primo sbarco americano
sul territorio giapponese.
21 aprile, liberata Bologna
79







25 aprile, insurrezione a Milano. Il CLNAI assume
pieni poteri.
28 aprile, giustiziato Mussolini, catturato mentre
tenta la fuga in Svizzera
30 aprile, Hitler si uccide nel suo bunker a Berlino
7 maggio, resa della Germania, ratificata il 9
maggio.
6 agosto, sganciata la Bomba atomica su
Hiroshima.
9 agosto, Nagasaki
14 agosto, resa del Giappone, firmata poi il 1-2
settembre
FRONTE FRANCESE
Una parte poco nota della II Guerra Mondiale è
certamente la battaglia delle Alpi Occidentali (10 – 25
giugno 1940). Lo scontro, che si concluse con una
vittoria tattica francese ma con la vittoria strategica
italiana, vide impegnato l’esercito regio forte di 300.000
uomini contro 170.000 effettivi francesi. Le perdite
italiane ammontarono a 631 morti, 616 dispersi e 2.631
tra feriti e congelati. Tra i 2.631 feriti si distinse il
soldato Vincenzo Capelli di San Bassano Cremonese
appartenente al 65° reggimento fanteria. Il 22 giugno
1940 veniva gravemente ferito agli occhi nel
combattimento di Traversette. Nel luglio dello stesso
80
anno subì l’enucleazione di entrambi gli occhi. Per
questo motivo gli fu conferita la medaglia d’oro al Valor
Militare. Capelli fu il primo decorato cremonese della II
Guerra mondiale.
(Forte di Tavernelle oggi)
81
LA
FIGURA
DI
VINCENZO
CAPELLI
ATTRAVERSO LE SUE PAROLE E QUANTO GLI
ALTRI HANNO SCRITTO SU DI LUI
Il caso di questo giovane milite poco più che ventenne
(1916 – data della perdita degli occhi 1940) ci viene
tramandato dalle sue parole, che non lasciano spazio
all’immaginazione. Sono frasi di grande impegno sociale
al servizio della Patria:
“ È stata una specie di spruzzata di lava… la pelle si
cicatrizzò immediatamente senza lasciare tracce. La
mattina già non riuscivo più a distinguere il disco del
sole…
Bisogna, oggi più di un tempo, che Milano sia a noi
vicina: ricordare le nostre sofferenze per insegnare e
consegnare ai giovani un mondo che desideri la pace e
l’amore. Vorrei che un giorno non ci fossero più mutilati
per cause belliche, perché non deve più esistere la guerra”.
Franco Tettamanti ha scritto di lui11: “il 2 agosto del
2001 si conclude il lugo e difficile viaggio del soldato
Capelli. Un viaggio al buio, con le cicatrici e le3 ferite
difficili da cancellare. Un viaggio nella solidarietà e nel
coraggio, senza congedarsi mai dall’impegno umano e
civile”.
11
Testo tratto dall’articolo apparso sul Corriere della Sera di mercoledì 23 giugno
2010.
82
GUERRA D’AFRICA
Il conflitto africano, dopo la Campagna di Russia, è
stato quello che ha visto coinvolto il maggior numero di
uomini. Date distanze tra le due parti dell’Impero (Libia
e Corno d’Africa) è necessario sdoppiare lo scenario
bellico nelle sue componenti, evidenziando obiettivi e
dinamiche dei combattimenti.
LA GUERRA NEL NORD AFRICA
Dopo pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia
l’Impero, così fortemente voluto da Mussolini, perdeva
già i suoi pezzi. Nel mese di ottobre 1940 venivano
evacuati tutti i civili, a Tripoli rimanevano solo militari
e coloro che coprivano posti di comando.
Tra le località interessate dagli scontri ci sono alcuni
nomi ricorrenti nella storia militare: Marsa Matruh, El
83
Alamein, Tobruk. Quest’ultima è nota per
l’abbattimento da parte di “fuoco amico” dell’aereo di
Italo Balbo Governatore della Libia (28 giugno 1940),
ma la località che ha dato una svolta decisiva alla guerra
nel Nord Africa è senza dubbio El Alamein. Qui sono
avvenute due battaglie: la prima dal 1° al 27 luglio 1942,
la seconda (quella più significativa) dal 23 ottobre al 3
novembre 1942 ed avrà uno strascico fino al maggio del
1943 con la resa delle forze dell’Asse in Tunisia. Al
momento della battaglia le forze italiane e tedesche
ammontavano a 116.000 effettivi e 547 carri armati
contro gli Alleati12 che disponevano di 195.000 uomini e
1.029 carri armati. I dati riguardanti le perdite italotedesche sono sconvolgenti: si parla di circa 30.543 tra
morti, feriti e dispersi, più 500 carri armati distrutti e 84
aerei abbattuti. Secondo altre fonti i morti risalirebbero
a 10.000, 15.000 feriti e 34.000 prigionieri. In questa
débâcle si fecero onore il capitano Amedeo Bordoni
M.O.V.M. e il generale di divisione Ugo Scirocco
(M.A.V.M. e 2 medaglie di bronzo). Questo ufficiale è
una delle figure di spicco della storia militare italiana,
basti ricordare le Campagne alle quali partecipò: guerra
di Libia 1911-1912, Albania 1913-1914, battaglia del
Piave 1915-1918 e guerra d’Africa 1940-1943 (Tobruk,
Marsa Matruh, El Alamein).
12
Lo schieramento alleato era composto da: Regno Unito, Australia, Nuova
Zelanda, India, Sud Africa, Francia Libera e Grecia.
84
Non dobbiamo infine dimenticare il sottotenente di
complemento Ernesto Vercesi, che si guadagnò 2
medaglie di bronzo V.M. (Marsa Matruh e Marmarica) e
1 croce di guerra V.M. a Muset el Ghebir. La figura di
Ernesto Vercesi divenne molto nota nel dopoguerra per
la sua intensa attività politica all’interno della
Democrazia Cristiana, divenendone senatore della
Repubblica nel 1987. Nella commemorazione presso il
Senato, il presidente Giovanni Spadolini disse di lui:
“La scomparsa di Ernesto Vercesi ha privato la regione
Lombardia di un altro suo rappresentante, di un altro
difensore dei diritti delle regioni.
Nato il 19 aprile 1920 nel pavese, la sua carriera politica
inizia nel dopoguerra, nelle file dell' Azione cattolica.
Alla guerra aveva partecipato come valoroso ufficiale
combattente, pluridecorato al valor militare.
Si iscrive alla Democrazia cristiana nel 1946 e ricopre
diversi incarichi a livello regionale e nazionale. Ma è
nelle file della Coldiretti che egli eserciterà per anni, con
passione, con assoluta dedizione, il suo impegno. Di
quella esperienza conserverà a lungo un ricordo che si
trasformerà in impegno concreto nelle diverse, successive
tappe che ne segneranno la vicenda politica.
Quando, infatti, venne eletto nel consiglio regionale
della Lombardia, assunse immediatamente la presidenza
della commissione agricoltura e, nel 1975, fu nominato
assessore regionale all'agricoltura, incarico che mantenne
nelle due successive legislature regionali.
85
Profondo sostenitore di un istituto regionale inteso come
strumento per avvicinare i cittadini alla gestione della
cosa pubblica, quasi specchio della terra di Carlo
Cattaneo, fu fra coloro che segnarono maggiormente il
sorgere e l'affermarsi di una cultura regionalistica non
chiusa in se stessa, ma intesa come raccordo con la più
ampia rappresentanza nazionale.
Eletto senatore il 15 giugno 1987, nel collegio di
Cremona, ha partecipato con impegno ai lavori della
Commissione agricoltura di Palazzo Madama, recando il
contributo di una passione e di una esperienza profonde.
E ne abbiamo tutti apprezzato, in questi anni, le grandi
doti di umanità, di esperienza, di riservatezza…”
LA GUERRA AEREA E NAVALE
LA GUERRA AEREA
Mentre sul fronte africano infuriavano i combattimenti,
una parte importante della guerra fu combattuta nei
cieli e nel Mare Mediterraneo.
La flotta aerea italiana, che era la più consistente in
Europa durante la Prima Guerra Mondiale, non riuscì a
competere con l’aviazione inglese e americana. Pure
essendo l’Italia alleata con la Germania, era divisa da
contrasti interni sull’utilizzo dell’aereo come mezzo
bellico. Alla fine prevalse il concetto che l’apparecchio
dovesse essere usato come velivolo offensivo d’attacco.
86
L’aereo, quindi, venne impiegato nei seguenti ruoli:
caccia, cacciabombardiere, bombardiere (tattico,
strategico o in
picchiata), mezzo
da
trasporto,
ricognitore,
collegamento, pattugliatore marittimo.
Dopo la fine della guerra d’Etiopia esisteva un piano per
portare la potenza aeronautica militare a 3.000 velivoli,
considerando 30 stormi da bombardamento, 10 da
caccia, 2 d’assalto più ricognizione, trasporto e
addestramento.
Nel contesto della guerra aerea emergono alcuni piloti
che vanno certamente ricordati per il loro coraggio: il
capitano Mario Anelli (M.O.V.M. abbattuto nel cielo del
Mediterraneo Orientale il 14 giugno 1941), il capitano
pilota Annibale Sterzi (M.O.V.M. abbattuto nel cielo del
Mediterraneo Centrale il 26 maggio 1942) e il maresciallo
pilota Antonio Arisi (M.B.V.M.) distintosi in varie azioni
belliche nel cielo del Mediterraneo. A proposito del
maresciallo Arisi troviamo che prestò servizio nel 32°
Stormo Bombardiere Terrestre Libia-Est, 8° Stormo
Bombardiere Terrestre e 50°Stormo Assalto. Il 50°
Stormo Assalto fu fondato nel 1936. Era composto dal
12°Gruppo (Squadriglie 159,160 e 165) e dal 16°Gruppo
(Squadriglie 167,178 e 169), giusto un mese dopo venne
costituita la 5a Brigata Aerea d’Assalto formata dal
50°Stormo e dal 5°Stormo. Con l’inizio delle attività
belliche pur perdendo delle Squadriglie lo Stormo venne
prima dislocato in Libia e successivamente in Egitto.
Nel 1940 partecipava alla sua prima azione bellica
87
contro mezzi corazzati, in questo periodo si
aggiungevano anche dei velivoli CR.32, il reparto si
distingueva negli interventi a “tuffo”, un particolare
modo di bombardare specifico della 2a Guerra Mondiale.
In riconoscimento del superbo comportamento tenuto
durante il ciclo operativo la Bandiera del 50°Stormo
viene decorata con la Medaglia d’Argento al Valor
Militare.
Va anche ricordato il sergente maggiore Alcide Leoni (2
medaglie d’argento V.M., 1 medaglia di bronzo V.M. e 1
croce di guerra V.M.). Leoni partecipò a diversi attacchi,
mitragliano 12 apparecchi al suolo, 50 mezzi
meccanizzati e partecipò all’abbattimento di 14 aerei
nemici.
LA GUERRA NAVALE
Anche le battaglie navali ebbero una parte rilevante
nella storia della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto
con l’entrata in azione dei sommergibili. Allo scoppio del
conflitto la Regia Marina era la quinta nel mondo dopo
gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Giappone e la
Francia. Me nell’insieme aveva carenze concettuali,
tecniche e costruttive, che la resero meno efficace delle
altre, soprattutto per la mancanza di una aviazione di
marina. Oltre a ciò era palese una carenza strutturale
nella linea di comando in quanto ogni decisione
importante era domandata al Comando Superiore della
Regia Marina con tutti i ritardi che ne derivavano. Un
88
altro problema da non sottovalutare era la mancanza di
carburante, per cui buona parte delle navi non
riuscirono ad operare sfruttando al massimo le loro
possibilità d’azione.
Nel 1940 l’Italia disponeva delle corazzate: Littorio,
Vittorio Veneto, Giulio Cesare, Conte di Cavour, Caio
Duilio e Andrea Doria. A queste vanno aggiunti: 7
incrociatori pesanti, l’incrociatore corazzato San
Giorgio, 12 incrociatori leggeri, 59 cacciatorpediniere, 50
MAS e oltre 100 sommergibili. Questa grande flotta
aveva però un lato debole: il ritardo nella produzione di
aereo siluranti e di portaerei, ciò dovuto alla
competizione tra aeronautica e marina. L’arma nuova,
comunque, fu il sommergibile che ebbe grande
importanza nell’intero conflitto.
Tra le battaglie più significative ricordiamo: Punta Stilo
(1940), Capo Spada (1940), Capo Teulada (1940), Capo
Matapan (1941), prima e seconda battaglia della Sirte
(1941-1942). La battaglia navale di Capo Matapan fu
certamente quella in cui la Marina italiana subì le
maggiori perdite e che vide atti di valore meritevoli della
medaglia d’oro tra cui l’ammiraglio Carlo Cattaneo.
Il contributo dato dai marinai cremonesi è stato meno
significativo rispetto all’aeronautica, ma ci ha
consegnato diversi decorati con la croce di guerra al
Valor Militare, medaglia d’argento e di bronzo.
Dobbiamo infatti ricordare: Giuseppe Amici (2 croci
89
V.M.), Adriano Anticoni (sommergibilista, croce V.M.),
Adelmo Bisaia (S. Capo silurista – sommergibilista, 2
croci al V.M.), Dario Bonelli (sergente silurista, croce
V.M.), Oreste Botti (sottotenente del Corpo Equipaggi
della Riserva navale, medaglia argento V.M. e medaglia
di bronzo V.M.), Alfredo Gatti (tenente di vascello,
medaglia d’argento V.M. e 2 croci di guerra V.M.).
Questi sono solo alcuni dei combattenti che furono
decorati, altri figureranno nell’elenco ufficiale dei
decorati.
Ricordando l’ampia estensione del conflitto, che vide la
guerra nei Balcani e in Grecia, con l’assegnazione della
medaglia d’oro V.M. al sottotenente Giulio Riboli,
colpito a morte in Montenegro (1.6.1942), la medaglia
d’argento ad Imerio Adorni ucciso sul fronte albanese
(23.4.1941) e la Croce V.M. al sergente maggiore
Agostino Domenico Francesco, dobbiamo considerare la
grande partecipazione dell’esercito italiano nella
Campagna di Russia.
LA CAMPAGNA DI RUSSIA
Il 22 giugno 1941 la Germania decideva di attaccare la
Russia, dando il via all’operazione “Barbarossa”. I
vertici militari tedeschi, sottovalutando l’Armata Rossa,
erano convinti di vincere la guerra in poco tempo. In
effetti le cose andarono ben diversamente. Come
90
avvenne durante le guerre napoleoniche, i sovietici
ripiegarono verso l’interno adottando la tecnica della
“terra bruciata”, mentre Stalin inneggiava al
nazionalismo spingendo la popolazione alla resistenza e
al sabotaggio. Le conseguenze per le forze del Reich
furono disastrose.
Benito Mussolini, ignorando la realtà dei fatti, decise
d’intervenire inviando un Corpo di spedizione forte di
60.000 uomini (Csir trasformato poi in Armir) composto
dalle divisioni Pasubio, Torino e Celere al comando del
generale Messe.
Nell’estate del 1941 il Corpo di spedizione italiano fu
incaricato di forzare le posizioni nemiche sul fiume
Dnestr, chiudendo i sovietici in una sacca tra il Dnestr e
il fiume Bug. La divisione Pasubio fu quella
maggiormente coinvolta negli scontri. Da subito si
manifestò l’impreparazione dell’esercito italiano.
L’artiglieria era in parte dell’ex esercito austro-ungarico,
i carri armati erano inadeguati alle caratteristiche
rotabili del territorio d’operazione, molti cannoni
risalivano alla guerra italo-turca e alla Prima Guerra
Mondiale.
Il 2 giugno 1942 il generale Messe espresse a Mussolini
tutte le sue perplessità sulla Campagna di Russia, ma il
duce ribadì: “Caro Mess, al tavolo della pace peseranno
assai più i 200 mila dell'Armata che i 60 .000 del Csir”.
Fu così che alle precedenti divisioni si aggiunsero la
91
(affondamento della nave “Birmania” nel porto di Tripoli)
(una strada di Tripoli dopo il bombardamento navale)
92
Cosseria, Ravenna e Sforzesca, la divisione
d'occupazione Vicenza e tre divisioni del Corpo d'Armata
Alpino, la Tridentina, la Julia e la Cuneense, che insieme
alle prime presero il nome di ARMIR, la 8a Armata
Italiana in Russia, al comando del generale Italo
Gariboldi. In totale 229 mila uomini male attrezzati e
quasi privi di mezzi.
All’Armir, stanziata alla destra del Don, fu assegnato il
compito di puntare su Stalingrado. Nella notte del 24
agosto 1942 avvenne il celebra assalto del Savoia
Cavalleria nella steppa di Isbuscenskij. Ben 650
cavalleggeri italiani si trovarono ad affrontare oltre
2.000 siberiani. Il 16 dicembre 1942le divisioni Ravenna
e Cosseria si trovarono ad affrontare l’imponente
offensiva sovietica. Il II Corpo d’Armata veniva
annientato. Nel gennaio 1943 l’Armir veniva
praticamente distrutta e incominciava la ritirata13.
La disfatta di Russia aprirà di fatto la strada alla caduta
del Fascismo (25 luglio 1943).
13
Tra il 5 agosto 1941 e il 30 luglio 1942, il CSIR ebbe 1.792 morti e dispersi, e
7.858 feriti e congelati. Tra il 30 luglio 1942 e il 10 dicembre 1942, l'ARMIR ebbe
3.216 morti e dispersi, e 5.734 feriti e congelati. Per quanto riguarda le perdite
durante la battaglia sul Don e la ritirata (11 dicembre 1942 - 20 marzo 1943), le
cifre ufficiali parlano di 84.830 militari che non rientrarono nelle linee tedesche, e
che furono indicati come dispersi, oltre a 29.690 feriti e congelati che riuscirono a
rientrare. Le perdite ammontarono quindi a 114 520 militari su 230 000
Andarono inoltre perduti il 97% dei cannoni, il 76% di mortai e mitragliatrici, il
66% delle armi individuali, l'87% degli automezzi e l'80% dei quadrupedi.
93
In questo contesto molti cremonesi andarono a
combattere con l’Armir e tantissimi non tornarono più a
casa. Tra i combattenti più valorosi ricordiamo la
medaglia d’oro V.M. Luciano Bertolotti, capitano degli
alpini comandante della 264^ Compagnia del “Val
Cismon”, che rimase vittima in un corpo a corpo col
nemico14.
Un altro atto di coraggio, pagato con la fucilazione, vide
protagonista il sottotenente Arrigo Bertolotti del Rgt.
Lanceri “Novara”, decorato con la medaglia d’argento
V.M. Il Reggimento, coinvolto nell’Operazione Piccolo
Saturno (contesto della battaglia di Stalingrado), nel
14
Dal sito dell’Ass.ne Nazionale Alpini di Vicenza www.anavicenza.it
“Nell'agosto del 1942 il battaglione, articolato su C.do e cp. C.do, 264ª, 265ª,
277ª cp. alpini e la neo costituita 118ª cp. alpini d’arresto, unitamente ai
battaglioni alpini “Vicenza” e “L’Aquila”, del 9° rgt. alp. e il resto della 3ª divisione
Julia parte per il fronte russo ed in settembre è schierato sul fronte del Don. Il 23
dicembre, a seguito della massiccia controffensiva scatenata dai russi inizia il
ripiegamento di tutte le unità del Corpo d'Armata alpino. Il “Val Cismon” nei
giorni seguenti effettua lo sganciamento dal nemico e raggiunge per prima
Tarnowka, quindi Poposnka. Il battaglione, unitamente ai btg. alpini “Tolmezzo”,
“Cividale” e “L’Aquila” ormai ridotti a non più di 200 uomini ciascuno, compresi
feriti e congelati, con poche salmerie e qualche raro autocarro con pochissimo
carburante, sostengono il peso di tremendi combattimenti. Il 20 gennaio 1943 la
colonna del 9° rgt. alp., di cui fanno parte i resti del “Val Cismon” giunge a
Kopankij e trova l'abitato occupato da forti contingenti di truppe regolari
sovietiche. L'attacco viene condotto con quello che resta del btg. alp. “L’Aquila”,
seguito dal “Val Cismon” e dal “Vicenza”, appoggiati dal quel che rimane delle
batterie dei gruppi “Udine” e “Val Piave”. Alla sera del 21 gennaio dopo furiosi
combattimenti il “Val Cismon” non esiste più e i superstiti, sotto la neve, vengono
incolonnati verso i campi di prigionia. Per queste azioni merita unitamente ai
battaglioni “Vicenza” e “L’Aquila” il conferimento della medaglia d'oro al Valore
Militare alla bandiera del 9° reggimento alpini”.
94
gennaio del 1943 iniziava il ripiegamento verso ovest. La
marcia durò per oltre 1.000 chilometri, poi i superstiti
furono imbarcati sulle tradotte e riportati in Italia.
Arrigo Bertolotti fu catturato ferito. Durante la
perquisizione egli si ribellò e fu barbaramente ucciso.
Ricordiamo, infine, la medaglia di bronzo V.M. Giuseppe
Avigo, decorazione guadagnata nella battaglia del Don e
la Croce di guerra V.M. Giov-Batta Amoni dell’82°rgt.
Fanteria Divisione “Torino”.
Ovviamente questi non sono gli unici decorati, ve ne
sono altri che si trovano nell’elenco allegato.
ARMISTIZIO E LOTTA PARTIGIANA
Siamo così giunti al famoso 25 luglio 194315 seguito dal
ben più ricordato 8 settembre 194316, data in cui il
15
PROCLAMA DEL RE – Italiani, assumo da oggi il comando di tutte le forze
armate. Nell’ora solenne che incombe sui destini della Patria ognuno riprenda il
suo posto di dovere, di fede e di combattimento: nessuna deviazione deve essere
tollerata, nessuna recriminazione può essere consentita. Ogni italiano si inchini
dinanzi alle gravi ferite che hanno lacerato il sacro suolo della Patria. L’Italia, per
il valore delle sue Forze Armate, per la decisa volontà di tutti i cittadini, ritroverà,
nel rispetto delle istituzioni che ne hanno sempre confortata l’ascesa, la via della
riscossa. Italiani, sono oggi più che mai indissolubilmente unito a Voi
dall’incrollabile fede nell’immortalità della Patria.
25 luglio 1943 – Vittorio Emanuele III
16
PROCLAMA DI PIETRO BADOGLIO LETTO ALLA RADIO: « Il governo italiano,
riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante
potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla
95
generale Pietro Badoglio, posto a Capo del Governo da
Vittorio Emanuele III, firmò l’armistizio con le Forze
Alleate schierandosi al loro fianco per proseguire la
guerra contro la Germania nazista.
La poca chiarezza delle clausole armistiziali fece
interpretare il testo come la fine della guerra. Le forze
armate italiane si disgregarono e, senza ordini precisi, si
sbandarono. L’esercito tedesco catturò circa 600.000
prigionieri e li deportò nei lager in Germania. Il 50% dei
soldati gettò le armi e ritornò a casa in abiti civili.
Immediatamente l’esercito tedesco mise in atto
l’Operazione “Achse” (Asse), occupando militarmente
tutta la penisola italiana. Le ripercussioni immediate
furono l’affondamento della corazzata “Roma” e
l’annientamento della Divisione Acqui a Cefalonia17.
Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo
delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve
cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza »
17
La 33ª Divisione fanteria "Acqui" comandata dal generale Antonio Gandin fu
stanziata nelle isole, col grosso, composto dal 17º e 317º reggimento fanteria
(giunto a Cefalonia nel maggio 1942), dal 33º Reggimento artiglieria, dal
comando e dai servizi divisionali a Cefalonia e il 18º reggimento fanteria a
.
presidio di Corfù A Cefalonia oltre alla Acqui era presente la 2ª Compagnia del
VII Battaglione Carabinieri Mobilitato più la 27ª Sezione Mista Carabinieri, da
reparti del I° Battaglione Finanzieri Mobilitato, dai marinai che presidiavano le
batterie costiere (una da 152 mm ed una da 120 mm) ed il locale Comando
Marina, dal 110º Battaglione mitraglieri di corpo d'armata, tre ospedali da
96
Nel marasma che seguì l’8 settembre dobbiamo
distinguere due diversi comportamenti: la posizione
assunta dai militari che avevano deciso di intraprendere
la lotta armata a fianco degli Alleati anglo-americani e
l’adesione alle formazioni partigiane, che nel frattempo
avevano già incominciato ad operare nel Nord Italia.
Anche in questa convulsa situazione dobbiamo elencare
atti di valore compiuti da militari e civili cremonesi di
nascita o adozione, che meritarono la decorazione al
Valor Militare.
ATTI DI VALORE
SETTEMBRE 1943
COMPIUTI
DOPO
L’8
Dopo lo sbandamento dell’esercito, molti militari si
sentirono in dovere di dare la propria vita per difendere
la Patria occupata dall’esercito tedesco, che da alleato
era diventato nemico e considerava l’Esercito Regio
traditore ad eccezione di alcune frange che avevano
aderito alla neonata Repubblica Sociale Italiana fondata
da Benito Mussolini a Salò.
campo ed altre unità tra le quali il 188º Gruppo artiglieria di corpo d'armata (con
tre batterie da 155/14) ed il 3º Gruppo contraereo da 75/27, per un totale di
circa 12.000 uomini. Fino a fine agosto, organica alla divisione era anche la 27ª
Legione CC.NN. d'Assalto, che aveva sostituito la 18ª Legione già con la Acqui
durante la campagna di Grecia, ma la caduta del fascismo ne comportò il
richiamo in patria.
97
Fu così che il contributo dato da Cremona portò agli
onori militari il sottotenente Mario Flores (M.O.V.M.)18
colpito da una granata sparata da un carro armato
nemico il 9 settembre 1943 davanti alla caserma
“Manfredini” di via Bissolati. Con lui cadde anche
l’allievo ufficiale Dante Cesaretti (M.A.V.M.). nella
difesa di Cremona caddero 17 militari e 12 civili, i feriti
furono 37.
18
La morte di Mario Flores è così descritta dal suo comandante capitano
Giuseppe Gasparini, che lo propose per la medaglia d’oro V.M.:
“Quella mattina alle 7 eravamo usciti dalla caserma con la Topolino per vedere
che cosa succedeva dopo l'annuncio della sera prima. Al ponte sul Po, vidi che
stavano arrivando i tedeschi, fu così che tornai in caserma e diedi l'ordine di
resistere, ero il più alto in grado perché gli altri ufficiali erano andati via; feci
piazzare i cannoni ai due ingressi perché il messaggio del nuovo capo del
governo, Badoglio, era stato chiaro: «Risponderete alle provocazioni da qualsiasi
parte arrivino».
Sono circa le dieci della mattina quando si comincia a sparare. Gli. artiglieri
sparando ad alzo zero resistono fino all'esaurimento delle munizioni, poi devono
arrendersi. Due ore e mezza di combattimento.
Con me era rimasto Mario Flores, giovane sottotenente, figlio di un generale. Era
laureato in ingegneria, un bravissimo ragazzo. Morì durante i combattimenti di
quel giorno. Io stesso scrissi la richiesta di Medaglia d'Oro al Valor Militare, che
gli venne accordata. Lo prese una granata, in pieno petto. Morì quel giorno anche
uno dei miei artiglieri, Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Chiesi l'Onore delle Armi. I'ufficiale tedesco venuto a parlamentare me lo
promise, ma poi non mantenne. Intanto io feci ammainare la bandiera e ordinai
di portarla in infermeria e di stenderla sopra il corpo di Mario Flores.
Alle cinque di quel pomeriggio del 9 settembre venne un ufficiale della Wermacht
con un interprete, mi chiese perché avevo resistito. Io risposi che avevo obbedito
agli ordini del capo del mio governo. Se ne andò senza dire niente, ma verso le
otto di sera tornò quel signore l'interprete, mi disse: Capitano se ne vada, alla
svelta, vengono ad arrestarla". E così indossai il camice bianco e il distintivo della
Croce Rossa e uscii, mi recai da una famiglia di Cremona che conoscevo, mi
diedero dei vestiti. Poi tornai a Bergamo».
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Altra bella figura di valoroso combattente è quella del
capitano d’artiglieria Luigi Viviani, catturato dai
tedeschi e fucilato il 29 settembre 1943. Anche Viviani è
stato decorato con la medaglia d’oro V.M.
Tra le vittime di Cefalonia va infine ricordato il sergente
maggiore Angelo Boni falciato da una raffica di mitra
sparatagli a bruciapelo in un corpo a corpo con nemico.
Ad Angelo Boni fu conferita la medaglia d’argento V.M.
LA LOTTA PARTIGIANA
La storia della lotta partigiana meriterebbe uno studio a
parte per la complessità degli eventi e l’eterogeneità dei
personaggi coinvolti. Non potendo approfondire in
questa pubblicazione la tematica, ci limitiamo a citare i
fratelli Di Dio Emma Alfredo e Antonio, decorati
entrambi con la medaglia d’oro V.M. e combattenti
partigiani nella Repubblica dell’Ossola.
Alfredo Di Dio Emma19 - Nato a Palermo vive a
Cremona dove il padre, Brigadiere di P.S. si è
trasferito. Dopo gli studi liceali entra all'Accademia
militare di Modena. Ufficiale in servizio S.P.E. nel
maggio 1943 è tenente e comanda una compagnia di
carristi alla testa dei quali muove contro i tedeschi. Si
porta poi in Valstrona dove lo raggiunge il fratello
19
Le notizie sui fratelli Di Dio sono riportate come scritte dal partigiano Cesare
Bettini che combatté con loro.
99
Antonio e dove fonda la 1.a compagnia partigiana che
si fonde poi con quella del Cap. Beltrami.
Viene catturato a Milano dove si è recato per conferire
col C.L.N. Dopo qualche mese viene liberato e riprende
la lotta raggiungendo in Valstrona i Ten. Bettini e
Rutto.
Si sposta quasi subito ad Ornavasso col Ten. Bettini e
fonda la Valtoce che sarà la più forte divisione
partigiana per la liberazione e la difesa dell'Ossola.
Cattolico convinto e praticante, di una lealtà cristallina
dà ai suoi partigiani il motto "La vita per l'Italia". E
fedele a questo motto verrà ucciso in battaglia a Finero
il 12.10.1944. Medaglia d'oro al V.m.
Antonio Di Dio Emma - Nato a Palermo, vive e compie
gli studi a Cremona dove il padre, Brigadiere di P.S. è
stato trasferito. Cattolico convinto e praticante diventa
S. Ten. in S.P.E. Dopo l'8 settembre 1943 riesce a
sfuggire alla cattura dei tedeschi e raggiunge il fratello
Alfredo in Valstrona (No) che è a capo di un primo
gruppo di Partigiani, la compagnia “Massiola”.
I fratelli Di Dio Emma moriranno entrambi in
combattimento. Con loro ha combattuto un altro
ufficiale cremonese, il tenente dei bersaglieri Testori.
Non possiamo infine dimenticare il capitano dei
partigiani Giovanni Favagrossa (Brigata Garibaldi)
caduto in combattimento l’8 settembre 1943 e decorato
con medaglia d’argento V.M. “alla memoria”.
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Tra le medaglie d’argento va ricordata Pacifica Zaira
Meneghin (capitano formazioni partigiane – Brigata
Giovane Italia Div. Artigara) catturata dai tedeschi,
seviziata e condannata a morte. Verrà risparmiata per
l’incalzare degli eventi.
(monumento di Megolo di Mezzo dove morì Antonio Di Dio)
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ALBO MEDAGLIE AL VALOR MILITARE
DELLA PROVINCIA DI CREMONA
Per meglio facilitare l’elencazione dei decorati al Valor
Militare si è proceduto alla identificazione dei
combattenti analizzando i vari eventi e i fatti storici che
li compongono.
Gli elenchi qui di seguito riportati potrebbero presentare
lacune dovute alla perdita di alcuni dati frutto del
trascorrere del tempo. Sarà nostra cura aggiornarli per
quanto possibile.
Nel 1921 una speciale Commissione si recò sui luoghi di
battaglia contro l’Austria e raccolse i resti di 11
sconosciuti, che vennero portati nella basilica di
Aquileia. In questa località Maria Bergamas, madre di
un soldato morto in guerra il cui corpo non è mai stato
ritrovato, fu scelta in rappresentanza di tutte le madri
che avevano perso i figli in combattimento.
La donna fu posta davanti alle 11 bare, appoggiò lo
scialle sulla seconda, ma non riuscì a proseguire il suo
percorso. Colta da malore si accasciò davanti alla decima
bara, che venne quindi scelta come simbolo di tutti i
caduti.
La salma fu portata a Roma al Vittoriano, dove fu
tumulata il 4 novembre 1921 con la dicitura “IGNOTO
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MILITI”. Al Milite Ignoto fu con cessa la medaglia
d’oro al Valor Militare con la motivazione:
“Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria
civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese,
prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde
combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la
grandezza della patria”.
Maria Bergamas - La foto è parte dell’album: Ministero
delle Guerra, Ufficio Onoranze al Soldato Ignoto. Cerimonie. Il
Viaggio della Salma. La tumulazione sull’Altare della Patria. 28
ottobre - 4 novembre 1921. Roma, Museo Centrale del
Risorgimento, m,s. 998(37)
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