EMANUELE BETTINI1 LE MEDAGLIE AL VALOR MILITARE NELL’IDENTITA’ NAZIONALE CREMONESE NOTA PER IL LETTORE Con questo libro s’intende ricordare tutti i combattenti decorati al Valor Militare cremonesi, o che hanno interessato in qualche modo il territorio dalle guerre per l’Indipendenza alla lotta di Liberazione. La pubblicazione non ha pretesa alcuna, è solo un punto di riferimento per la conservazione della memoria storica fondamentale per capire le origini e l’evoluzione di un Paese. Lo studio qui riportato si è valso dei dati pubblicati nel 1939 e 1974 ai quali si sono aggiunti alcuni nominativi rimasti esclusi in precedenza. Le citazioni sono suddivise per periodo storico ed eventi significativi per la storia italiana. I dati citati sono quelli emersi dalla ricerca 1 Commissario Straordinario Istituto del Nastro Azzurro tra decorati al Valor Militare – Cremona (2012-2013) 1 condotta nell’intento di dare corpo e concretezza ai personaggi eroici protagonisti dei fatti. A differenza di quanto pubblicato in precedenza, abbiamo scelto di far precedere gli elenchi da un ampio percorso di carattere storico al fine di meglio comprendere il contesto socio politico e militare entro cui si sono sviluppati gli avvenimenti. Tale tracciato è rivolto soprattutto alle giovani generazioni affinché possano immergersi in una approfondita analisi della nostra storia nazionale e rivisitare gli atti di eroismo per mezzo dei quali ci troviamo a vivere in un Paese libero e democratico. E.B. 2 (Roma, 27 dicembre 1947 - Palazzo Giustiniani - Enrico De Nicola firma l'atto di promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana) 3 CREMONA E I SUOI DECORATI NEL CONTESTO STORICO DELL’ITALIA UNITA Il territorio della provincia di Cremona è certamente uno dei più fertili sotto il profilo storico per la sua collocazione geografica, per le dominazioni che ha subito e, soprattutto, per i passaggi storici di cui è stato protagonista. La città, nata romana (218 a.C.), baluardo bizantino, signoria del marchese Cavalcabò (1276), territorio della Repubblica di Venezia, divenne dominazione spagnola sotto Filippo II. Dopo un breve periodo di governo francese (1701-1707) fu conquistata dall’Austria nel 1707. L’avvento di Napoleone Bonaparte portò il territorio a far parte della Repubblica Cisalpina prima e della Repubblica Italiana (quella di Napoleone del 1802) dopo. Tolta la breve parentesi dell’occupazione francese, Cremona ritornò all’Austria e vi rimase fino alla II Guerra d’Indipendenza, quando l’imperatore Francesco Giuseppe fu sconfitto nella battaglia di Solferino-San Martino (24 giugno 1859). Ceduta la Lombardia al Piemonte e proclamato il Regno d’Italia (1861), Cremona entrò a far parte definitivamente del nuovo Stato creato dai Savoia. Gli anni successivi videro la nascita del Socialismo con Leonida Bissolati, le Leghe Bianche di Guido Miglioli e lo strapotere di Roberto Farinacci esponente dell’ala 4 fascista intransigente e segretario del partito dal 1925 al 1926. Volendo tracciare un percorso storico contemporaneo, possiamo quindi indicare la seguente via: repubblica napoleonica, massiccia partecipazione alle guerre risorgimentali, nascita del Socialismo, nascita delle cooperative “bianche”, nascita del Fascismo con la fondazione dei Fasci di Combattimento ad opera dello stesso Farinacci nel 1919. La concentrazione di tali momenti storici e gli eventi che li hanno caratterizzati nel territorio hanno evidenziato molti personaggi, che sono divenuti protagonisti della Storia ufficiale, vedi il maggiore dei bersaglieri Giacomo Pagliari, che guidò l’ingresso delle truppe sabaude a Porta Pia (20 settembre 1870) rimanendo ucciso nell’azione e per questo decorato con la medaglia d’oro al valor militare. Nella I e II Guerra d’Indipendenza e nella Spedizione di Garibaldi in Sicilia, pur avendo visto la partecipazione di molti volontari cremonesi (tra cui Pietro Ripari medico personale del “Generale”, il col. Giovanni Cadolini, il marchese Gaspare Trecchi) non ci furono grandi riconoscimenti ad eccezione del generale Boni Annibale, che ebbe un percorso militare completo e di grande prestigio, dedicatosi infine alla politica come senatore del Regno e di Binda Carlo (promosso ufficiale sul campo per essersi distinto a Maccaracca, Santa 5 Giustina e Santa Lucia), che si guadagnò la medaglia d’argento combattendo a Novara.2 Ci furono, invece, atti di valore riconosciuti a cominciare dalla III Guerra d’Indipendenza, per poi continuare negli anni successivi (saltando la parentesi della colonizzazione di fine Ottocento e primi Novecento, che non vide grandi atti di valore se non una medaglia di bronzo assegnata “sul campo” al fante Comelini Roberto – Misurata 1912). La Prima Guerra Mondiale, il secondo periodo coloniale, la Seconda Guerra Mondiale e la lotta partigiana hanno lasciato, infine, testimonianze più significative. Ciò non significa che non furono compiuti atti di valore nel 1800, ma i grossi conflitti coinvolsero un numero tale di uomini che, inevitabilmente, hanno lasciato molte più tracce degli anni precedenti. Aprendo una piccola parentesi sugli atti di eroismo, è doveroso citare anche alcuni cremonesi che, pur non essendo stati decorati, trovano una collocazione che li ricorda sui campi di battaglia. Basti pensare a Ernesto Chiappari morto in combattimento sul colle di Solferino. La lapide, unica dedicata a un cremonese, è collocata vicino all’ossario e lo ricorda con queste parole: “A ERNESTO CHIAPPARI di Cremona – appena 2 A proposito di Binda Carlo, si ricorda che la famiglia Binda ha dato alla causa dell’unità d’Italia ben quattro eroici combattenti: Binda Antonio (1813-1877), Binda Carlo (1822-1912), Binda Enrico (1830-1883), Binda Luigi (1821-1871). Pur avendo partecipato tutti alle campagne risorgimentali, solo Carlo fu decorato con la medaglia d’argento meritata per il suo comportamento nel corso della battaglia di Novara del 1849. Tutta la famiglia subì la persecuzione e la via dell’esilio (Antonio in Svizzera, Enrico in Piemonte, Luigi in Svizzera). 6 ventenne – volontario nel 17 Reg. Brigata Acqui – combattendo – per l’Indipendenza d’Italia – nella memorabile battaglia – 24 giugno 1859 – sopra questo colle morì”. Un’altra parentesi da aprire riguarda gli eroi nazionali che hanno avuto in qualche modo un percorso cremonese. È il caso di Cesare Battisti sposato con Ernesta Bittanti (la cui nascita nel 1871 è contesa da Cremona e Brescia) figlia del professor Luigi Bittanti preside dell’istituto tecnico di Cremona e insegnante di matematica. Fervente antifascista, è nota la sua posizione critica a seguito delle leggi razziali del 1938. Il quotidiano locale “La Provincia” il 30 ottobre 1916 dedicherà ampio spazio alla commemorazione della morte di Cesare Battisti (amico di Arcangelo Ghisleri), cerimonia avvenuta nel teatro Politeama Verdi alla presenza delle massime autorità tra cui Ettore Sacchi e Filippo Turati. Ernesta Bittanti è definita “l’ultima donna del Risorgimento italiano”. Quando nel 1928 fu istituzionalizzato il Nastro Azzurro tra combattenti decorati al Valor Militare (fondato nel 1923), il Paese, uscito dal disastro militare di Caporetto, ma alla fine vittorioso, sentì la necessità di recuperare la memoria storica di coloro che avevano dato la vita per la nuova Patria nata dall’Unità d’Italia. E questo amore verso la Nazione accompagnò la nostra Storia nazionale negli anni successivi, anche durante lo Stato forte, perché molti valorosi compirono atti degni di menzione. È il caso del Comandante Luigi Valcarenghi (medaglia 7 d’oro al Valor Militare), che aveva aderito al Fascismo, ma che aveva dato la propria vita per l’Italia. La Resistenza, alla fine del Ventennio, vide quindi altri personaggi, altre decorazioni, altre storie degne di essere ricordate. Questo libro tenta di dare una traccia organica, un percorso storico unitario attraverso la ricostruzione dei fatti e la riflessione sulla vita di uomini che hanno avuto il senso della Nazione e si sono riconosciuti sotto un’unica bandiera. Ovviamente la ricerca, come tutte quelle di questo genere, può avere delle lacune e delle inevitabili omissioni. Nel lavoro proposto si è cercato di dare un target storico didattico, che possa essere una traccia significativa per chi a distanza di tempo voglia approfondire il ricordo di coloro che hanno creduto nei valori portanti della Società alla quale ogni cittadino deve guardare in nome della Costituzione repubblicana, frutto della collaborazione di tutte le forze democratiche uscite dalla guerra di Liberazione. 8 (Cesare Battisti – Ernesta Bittanti) 9 GLI SCENARI BELLICI Pur essendo stati compiuti innumerevoli atti di valore durante la I e la II Guerra d’Indipendenza e nel corso della Campagna di Sicilia del 1860, i primi veri riconoscimenti avvennero solo a cominciare dalla III, chiamata anche “Guerra austro-prussiana” (1866). Prima di procedere all’elencazione dei decorati al valor militare (oltre 350 su tutto il territorio) è bene dedicare uno spazio ai fatti nei quali sono stati compiuti eroismi e che hanno visto la partecipazione di concittadini alcuni illustri altri sconosciuti. I GUERRA D’INDIPENDENZA (1848- 1849) La Prima Guerra d’Indipendenza ruota essenzialmente attorno a due momenti cruciali e drammatici: le Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo 1848) alle quali seguì l’armistizio di Vigevano (meglio noto come l’armistizio di Salasco dal nome del generale Carlo Canera di Salasco che lo firmò il 9 agosto 1848) e la disfatta di Novara il 23 marzo 1849 a seguito della quale re Carlo Alberto di Savoia abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II. Il 1848 non vide atti di valore da parte cremonese degni di essere riconosciuti con la medaglia d’oro al Valor Militare, se non l’intervento dei volontari guidati da Gaetano Tibaldi e trucidati a colpi di baionetta a Sclemo (Achille Digiuni medico della Colonna Tibaldi, Cesare Verdelli, Domenico Ferrari, Annibale Gabbioneta, 10 Berengario Gabbioneta, Anacleto Merli, Ferdinando Pizzola e Vincenzo Poglia). Volendo riconoscere il martirio di questi coraggiosi, forse Vincenzo Poglia, volontario morto in combattimento a soli sedici anni, avrebbe potuto essere decorato con una medaglia al Valor Militare, ma i tempi non erano ancora maturi per riconoscimenti del genere. L’occasione si presentò, invece, nel 1849 con la battaglia di Mortara e Novara. Dal 20 al 23 di marzo le forze piemontesi furono impegnate in un teatro di guerra abbastanza ampio: Pavia, la Cava, Mortara, Casatisma, Stradella, Voghera. Dovevano affrontare circa 70.000 soldati austriaci che scendevano da Milano vero il fiume Po per oltrepassarlo e entrare in Piemonte. Al comando della V Divisione Volontari era il generale Gerolamo Ramorino al quale era stato dato l’ordine di fronteggiare l’esercito austriaco abbattendo il ponte che collegava Casatisma, dove egli aveva stabilito il suo Stato Maggiore, e Stradella. Ramorino, ignorando l’ordine ricevuto, fece passare il grosso delle truppe sull’altra sponda abbattendo solo in un secondo momento il ponte sul Po. Con questa manovra pose una variante al piano operativo e salvò l’intera Divisione dal massacro. Ma la sua condotta fu censurata. Accusato di alto tradimento, fu processato, degradato e fucilato (22 maggio 1849). Questi tre giorni di combattimenti vengono indicati come la battaglia di Novara, la cui disfatta fu imputata al generale Ramorino. Di questo chiacchierato comandante bisogna ricordare che fu ufficiale 11 napoleonico. Convinto repubblicano, non era benvisto negli ambienti militari piemontesi, che vedevano una soluzione monarchica del conflitto. Per questo motivo alcuni storici sostengono che egli fu intenzionalmente mandato allo sbaraglio con l’intenzione di renderlo vittima sacrificale delle idee monarchiche. È in questo contesto che troviamo due ufficiali cremonesi che si sono guadagnati la medaglia d’argento al Valor Militare: Annibale Boni (militare di carriera) e Carlo Binda (maresciallo d’alloggiamento del Genova Cavalleria)3. II GUERRA D’INDIPENDENZA (1859 – 1861) Dopo la disastrosa Campagna del 1848-49, che aveva visto il fallimento delle Cinque Giornate di Milano, la disfatta di Novara, il processo al generale Gerolamo Ramorino e la morte di Carlo Alberto di Savoia, Vittorio Emanuele II, succeduto alla guida del Piemonte, cercò l’alleanza con la Francia di Napoleone III. I tempi erano maturi per iniziare un nuovo conflitto e così avvenne nella primavera del 1859. Le armate franco-sarde si trovarono ad affrontare l’esercito imperiale austriaco nella battaglia di Solferino – San Martino (24 giugno 1859). Fu una carneficina (perdite alleate tra morti, feriti, catturati o dispersi 17.242 – 3 Il riconoscimento della medaglia d’argento al Valor Militare al maresciallo Carlo Binda è citata nel libro “IL VALORE ITALIANO – Storia dei fatti d’armi e atti di valore compiuti dal 1848 al 1870 per l’Indipendenza d’Italia”, Volume Primo, pag. 186; Ghione e Lovesio Editori – Roma, 1883) 12 perdite imperiali 21.738) nella quale emersero figure di personaggi sconosciuti tra cui il cremonese prima ricordato Ernesto Chiappari. Ma per la prima volta nella nostra Storia nazionale, a un mese esatto dalla vittoria sull’Impero Asburgico, il 24 luglio 1859 il re di Piemonte-Sardegna decorava con la medaglia d’oro al valor militare la bandiera di un reggimento straniero, il 3 Reggimento Zuavi Francesi. La motivazione fu la seguente: “Per essersi maggiormente distinti nei fatti d'armi di Palestro addì 31 maggio 1859”. Questa decorazione ha un significato molto importante perché nel cimitero monumentale di Cremona fu eretto un ossario dedicato ai soldati francesi feriti nel corso della battaglia di Solferino e morti in città nelle settimane successive. L’ossario è stato recentemente restaurato e consegnato alla cittadinanza il 24 giugno 2011 (in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia) alla presenza del Console Generale di Francia a Milano. Il progetto del restauro si è realizzato grazie al contributo dell’Ambasciata di Francia e del Comune di Cremona e grazie all’interessamento dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano della provincia di Cremona. La presenza di volontari cremonesi, già nota nel 1848 per aver partecipato ai combattimenti di Sclemo e Castel Toblino sotto il comando di Gaetano Tibaldi, si consolidò nel 1859 per poi rafforzarsi con la Spedizione dei Mille nel 1860. Sono da ricordare i diari di Angelo Enrico Crema (1859) e Guido Acerbi (1860-1861). 13 Un percorso tutto particolare è, infine, quello del tenente generale Annibale Boni. Dopo aver frequentato l’accademia militare di Wiener Neustadt e militato nell’esercito imperiale austriaco, passò con tra le fila piemontesi guadagnandosi la medaglia d’oro nella battaglia di Custoza del 1866, successiva a quella d’argento conseguita per un atto di eroismo sul campo di Mortara nel 1849. Nel periodo tra le due medaglie Boni si distinse nella battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860), che vide la disfatta dell’esercito pontificio comandato dal generale Lamoricière e la morte del generale Georges de Pimodan. Per il suo comportamento nel corso dei combattimenti, il generale comandante Enrico Cialdini gli fece ottenere la croce dell’Ordine Militare di Savoia. Nei mesi successivi partecipò all’assedio di Gaeta, conseguendo nel 1861 il titolo di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. LA CAMPAGNA DI SICILIA DEL 1860 Se andiamo a leggere il famoso elenco dei Mille, troviamo i nomi di alcuni Cremonesi che parteciparono alla Spedizione garibaldina (Arcari Sante Luigi, Balboni Antonio Davide, Bozzetti Romeo, Crema Angelo Enrico, Donelli Andrea, Fiorini Edoardo, Giulini Luigi, Gramignola Innocente, Guida Carlo, Maestroni Ferdinando, Maliverni Carlo, Mina Alessandro, Pasini Giovanni, Peroni Giuseppe, Ripari Pietro, Tassani Giacomo, Torchiana Pompeo, Vajani Giovanni, Valcarenghi Carlo, Valenti Carlo). Considerando 14 l’elevato numero di bergamaschi, i cremonesi che partirono con Garibaldi costituivano un bel gruppo affiatato. Una volta sbarcati a Marsala, i volontari si diressero alla volta di Calatafimi dove avvenne uno dei più cruenti scontri dell’intera Campagna di Sicilia (15 maggio 1860). La battaglia, nota per la famosa frase rivolta da Garibaldi a Nino Bixio “Qui si fa l’Italia, o si muore”, ci regala la prima medaglia d’argento al valor militare il tenente generale Bozzetti Romeo. Il Bozzetti nel 1866 fu insignito di una Menzione Onorevole mutata in medaglia di bronzo al Valor Militare per essersi distinto nel fatto d’arme di Borgoforte il 5 e 7 luglio con la seguente motivazione: “Per spiegata attività, coraggiosa condotta durante l’azione e valoroso contegno onde essere di esempio ai suoi subordinati”. III GUERRA D’INDIPENDENZA (1866) Il quadro della partecipazione cremonese alle prime tre guerre per l’indipendenza d’Italia (considerando la Prima Guerra Mondiale come IV Guerra d’Indipendenza) va praticamente delineandosi. Ma il 1866 (anno della cessione di Venezia a Napoleone III, che a sua volta la consegnava all’Italia con il riconoscimento del Regno di Vittorio Emanuele II) fu anche l’anno che regalò a Cremona ben due medaglie d’oro al Valor Militare. Oltre a quella del generale Annibale Boni (già medaglia d’argento a Magenta nel 1849), fu assegnata anche al capitano di cavalleria del 15 reggimento cavalleggeri di Alessandria Marchesi de Taddei Malachia per il suo comportamento eroico nel corso del combattimento di Villafranca (24 giugno 1866). La data è importante perché in quella località Umberto I stava per cadere prigioniero nelle mani degli austriaci. L’eroica resistenza delle forze italiane (il Regno d’Italia era stato proclamato il 17 marzo 1861) è ricordata da un obelisco con la scritta: QUI NEL MATTINO DEL 24 giugno 1866 il 49° Reggimento Fanteria disposto in quadrato per improvviso assalto degli Austriaci salvò UMBERTO DI SAVOIA _____________________ Al valore dell' Esercito alla virtù del Principe primo nella battaglia gli abitanti di Villafranca 8 Dicembre 1880 16 La narrazione del combattimento in cui Malachia Marchesi de Taddei si guadagnò la decorazione viene così riportata in una cronaca dell’epoca: “… Verso le 7,15, mentre il principe Umberto si appresta a far retrocedere alcuni battaglioni per appoggiarsi meglio a Villafranca, si ode il cannone verso Ganfardine e si vede da quella parte un immenso polverone: poco dopo con una furiosa carica il 13° “Ulani di Trani” si precipita sulla sinistra. Umberto dati gli ordini opportuni per respingere l’attacco, lo aspetta con il suo stato maggiore nel quadrato del IV battaglione del 49° Fanteria. Gli ulani a frotte penetrano fra i quadrati; si gettano sull’artiglieria; molti giungono alla strada maestra, ne saltano i fossi, galoppano all’impazzata fino alla ferrovia; qualche quadrato è sgominato, parte dei serventi rimangono uccisi. Il capitano Marchesi de’ Taddei, visto che la cavalleria avversaria ha preso di mira il quadrato del 49°, con rara abilità e colpo d’occhio, converge di galoppo con il suo 3° squadrone e al grido di Viva il re! caricat! Si lancia sul fianco degli ulani che, disordinati dalla corsa vertiginosa, subiscono gravissime perdite e deviano dal loro obiettivo, dando di cozzo in altri quadrati. Al capitano Marchesi viene ucciso il cavallo ed egli stesso è ferito da un colpo di lancia, ma balza su un cavallo vagante di un ulano e ritorna nella mischia…” 17 (Ossario di Solferino – lapide di Ernesto Chiappari) 18 (Ossario soldati francesi – Cimitero Monumentale di Cremona 19 (Guido Acerbi in divisa da Cacciatore dell’Etna – archivio storico E. Bettini) 20 (telegramma che annuncia l’inizio delle ostilità nel 1866 – archivio storico E. Bettini) 21 PRESA DI ROMA (20 settembre 1870) Il fatto d’arme che segnò una svolta storica nel panorama politico-militare italiano fu senza dubbio la resa dello Stato Pontificio. Il 20 settembre 1870, dopo un breve cannoneggiamento, le forze italiane si aprirono un varco nelle mura all’altezza di Porta Pia e entrarono in Roma. I primi a varcare la breccia furono i bersaglieri guidati dal maggiore Giacomo Pagliari, nativo di Persichello e anch’egli educato alla scuola militare di Wiener Neustadt come il generale Annibale Boni. Colpito da una pallottola vagante, rimase ucciso mentre incitava i suoi uomini. Gli venne riconosciuta la medaglia d’oro al Valor Militare. Lo scrittore Edmondo De Amicis, che partecipò come volontario alla conquista di Roma, così raccontò il momento e la morte di Pagliari: “Non ricordo bene che ora fosse quando ci fu annunziato che una larga breccia era stata aperta vicino a Porta Pia e che i cannoni dei pontifici appostati là erano stati smontati. Quando la Porta Pia fu affatto libera, e la breccia vicina aperta sino a terra, due colone di fanteria furono lanciate all'assalto. Non vi posso dar particolari. Vidi passare il 40° (fanteria) a passo di carica; vidi tutti i soldati, presso alla porta, gettarsi a terra in ginocchio, per aspettare il momento d'entrare. Udii un fuoco di moschetteria assai vivo; poi un lungo grido "Savoia!" poi uno strepitio confuso; poi una voce lontana che gridò: "Sono entrati!". Arrivarono allora a passi concitati i sei 22 battaglioni dei bersaglieri della riserva; sopraggiunsero altre batterie di artiglieria; s'avanzarono altri reggimenti: vennero oltre, in mezzo alle colonne, le lettighe per i feriti. Corsi con gli altri verso la Porta. I soldati erano tutti accalcati intorno alla barricata; non si sentiva più rumore di colpi; le colonne a mano a mano entravano. Da una parte della strada si prestavano i primi soccorsi a due ufficiali di fanteria feriti; uno dei quali, seduto in terra, pallidissimo, si premeva una mano sul fianco; gli altri erano stati portati via. Ci fu detto che era morto valorosamente sulla breccia il maggiore dei bersaglieri Pagliari, comandante del 35°. Vedemmo parecchi ufficiali dei bersaglieri con le mani fasciate. Sapemmo che il generale Angolino s'era slanciato innanzi ai primi con la sciabola nel pugno come un soldato. Entrammo in città. Le prime strade erano già piene di soldati. È impossibile esprimere la commozione che provammo in quel momento; vedevamo tutto in confuso, come dietro una nebbia. Alcune case arse la mattina fumavano, parecchi zuavi prigionieri passavano in mezzo alle file dei nostri, il popolo romano ci correva incontro. Salutammo, passando, il colonnello dei bersaglieri Pinelli; il popolo gli si serrò intorno gridando. A misura che procediamo nuove carrozze, con entro ministri ed altri personaggi di Stato, sopraggiungono. Il popolo ingrossa. Giungiamo in piazza di Termini; è piena di zuavi e di soldati indigeni che aspettano l'ordine d ritirarsi. Giungiamo in piazza del Quirinale (allora residenza del Papa). Arrivano di 23 corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo. Passano drappelli di cittadini con le armi tolte agli zuavi. I sei battaglioni dei bersaglieri della riserva, preceduti dalla folla, si dirigono rapidamente, al suono della fanfara, verso piazza Colonna. Il Campidoglio è ancora occupato dagli squadriglieri e dagli zuavi. Una folla di popolo accorsa per invaderlo è stata ricevuta a fucilate. Parecchi feriti furono ricoverati nella case; fra gli altri, un giovanetto che marciò quindici giorni coi soldati. Il popolo è furente. Si corre allora a chiamare i bersaglieri. Due battaglioni arrivano sulla piazza, ai piedi della scala. I pontifici, al primo vederli, cessano di tirare; ma restano in atto di resistere. Una specie di barricata di materassi è stata costrutta in alto. L'assalirla di viva forza potrebbe costar molte vittime; s'indugia, forse gli zuavi s'arrenderanno, si dice che hanno paura dell'ira popolare. Tutte le strade che circondano il Campidoglio sono piene di gente armata che sventola bandiere tricolori e canta inni patriottici. Intanto ai bersaglieri che attendono sulla piazza son portati in gran copia vini, liquori, sigari, biscotti. La moltitudine va crescendo, cresce lo strepito. I conventi vicini, dove si crede che siansi rifugiati gli zuavi e gli squadriglieri, sono circondati dai bersaglieri e dalla fanteria… Si ritorna in fretta verso il Corso. Tutte le strade sono percorse da grandi turbe di popolo che agitano armi e 24 bandiere. I soldati pontifici che s'avventurano imprudentemente a passare per la città a due, a tre, o soli, sono circondati, disarmati e inseguiti. Giungiamo in piazza Colonna. In mezzo alla piazza ci sono circa duecento zuavi disarmati, seduti sugli zaini, col capo basso, abbattuti e tristi. Intorno stanno schierati tre battaglioni di bersaglieri. Il colonnello Pinelli e molti ufficiali guardano giù dalla loggia del palazzo che chiude il lato destro della piazza. Popolani, signori, signore, donne del popolo, vecchi, bambini, tutti fregiati di coccarde tricolori, si stringono intorno ai soldati, li pigliano per le mani, li abbracciano, li festeggiano. Nel Corso non possono più passare le carrozze. I caffè di piazza Colonna sono tutti stipati di gente; ad ogni tavolino si vedono signore, cittadini e bersaglieri alla rinfusa. Una parte dei bersaglieri accompagna via gli zuavi in mezzo ai fischi del popolo; tutti gli altri sono lasciati in libertà. Allora il popolo si precipita in mezzo alle loro file. Ogni cittadino ne vuole uno, se lo pigia a braccetto e lo conduce con sé. Molti si lamentano che non ce n'è abbastanza, famiglie intere li circondano, se li disputano, li tirano di qua e di là, affollandoli di preghiere e d'istanze. I soldati prendono in collo i bambini vestiti da guardie nazionali. Le signore domandano in regalo le penne”. 25 (archivio storico E. Bettini) 26 LA GRANDE GUERRA 27 ovvero LA IV GUERRA D’INDIPENDENZA Il processo risorgimentale tende a chiudersi di fatto con la Prima Guerra Mondiale chiamata dagli italiani anche IV Guerra d’Indipendenza. Tra le centinaia di migliaia di uomini mandati allo sbaraglio alcuni cremonesi si distinsero per atti di valore nei luoghi più significativi della nostra Storia nazionale: Piave, Gorizia, Vittorio Veneto, Cividale, Montello, Sabotino, col d’Asiago, Carso, monte Grappa, Tagliamento. Questi nomi di località, che ricorrono frequenti nelle citazioni delle battaglie nel corso delle quali furono meritate le decorazioni al Valor Militare, ci danno delle indicazioni precise dove cercare riferimenti e storie personali. A differenza delle guerre precedenti, il primo conflitto mondiale fu caratterizzato dalla famigerata “guerra delle trincee e delle mine”. Iniziò di fatto una guerra di posizione fatta di uomini immersi nel fango, uccisi come topi dai gas nervini, mentre altri minavano le montagne, facendole esplodere e schiacciando nelle gallerie scavate nella roccia i soldati nemici che vi avevano trovato rifugio o costruito postazioni. Ora diamo comunque un senso cronologico allo svolgimento della guerra da parte italiana con lo sguardo rivolto al Nord-Est, dove sono avvenuti i combattimenti 28 più significativi nel corso dei quali diversi cremonesi meritarono la decorazione al Valor Militare: 24 maggio 1915 – Entrata in guerra dell’Italia La prima cannonata viene sparata dal forte Verena (Asiago), anche se il grosso dell’esercito italiano si trova schierato sul fronte del Carso. Maggio/giugno 1915 – Guerra dei forti negli altopiani La guerra di cannonate tra le fortezze degli altopiani veneti e trentini è breve ma intensa. In poche settimane le fortezze di entrambe le parti vengono demolite. Il numero dei morti è irrilevanti. Le perdite sono dovute principalmente ad azioni offensive improvvise della fanteria italiana nel settore del Verena e di Rovereto. 16 giugno 1915 – fronte Carsico Gli italiani conquistano il monte Nero. 23 giugno 1915 / 18 agosto 1917 Le battaglie sul fronte del Carso sono 11. È un’inutile carneficina di 100.000 uomini. Si combatteva ancora con concezioni arretrate. I comandanti di entrambe le parti erano personaggi che agivano con criteri ottocenteschi senza considerare minimamente le nuove tecnologie motorizzate e la potenza di fuoco devastante dell’artiglieria. 1 gennaio 1916 – inizia la “guerra delle mine” 29 Mina austriaca sul Piccolo Lagazuoi. 6 aprile e 17 aprile 1916 – Col di Lana Mina austriaca e contromina italiana. Maggio/giugno 1916 – Strafexpedition Spedizione punitiva mirata a sfondare sugli altipiani trentini e veneti per girare alle spalle la grande sacca verso il bellunese e il Friuli. Fu una delle più grandi battaglie della storia, in cui si fronteggiarono un milione di uomini. Giugno 1916 – Arresto della strafexpedition Controffensiva italiana sull’altipiano di Asiago che costringe gli imperiali ad arroccarsi sulla linea Ortigara, Zebio, Interrotto, Val d’Assa, Tonezza, Pasubio. 11 luglio 1916 – la guerra sulle Dolomiti Mina italiana sul Castelletto (Tofane). 17-23 settembre 1916 – “guerra delle mine” Mine e contromine sul Cimon di Tonezza. Autunno 1916 – Guerra di posizione e delle mine Inutili e orrendi massacri tra l’Ortigara, il monte Zebio ed il Pasubio. 14 gennaio 1917 – anno nuovo nella ‘guerra delle mine’ 30 Mina austriaca sul Piccolo Lagazuoi, ne verranno fatte esplodere altre quattro nel corso dell’anno prima della ritirata di Caporetto. 10-29 giugno 1917 – tragedia sull’Ortigara La battaglia per il tentativo di conquistare l’Ortigara finisce con una carneficina di 36.000 morti. Luglio-ottobre 1917 “guerra delle mine” Ultimi atti della guerra sulle Dolomiti e Lagorai. Vengono usate mine sul Piccolo Lagazuoi, sulla Marmolada, sul Sief-Col di Lana e Colbricon. 29 settembre – 1 ottobre 1917 – apoteosi della ‘guerra delle mine’ Esplosione di dieci mine austriache in successione, con risposta di mina italiana. Ottobre 1917 – XII battaglia dell’Isonzo Gli austro-ungarici affiancati dai più valorosi reparti tedeschi, usando nuovissime tattiche e dinamismo affidato a reparti motorizzati, sfondano “in valle” la linea italiana. Tra i comandanti tedeschi si fa notare E. Rommel che poi diverrà famoso, anche grazie all’esperienza qui acquisita, come “la volpe del deserto”. 24 ottobre 1917 – Caporetto L’evento più disastroso della storia militare italiana. Un milione e mezzo di uomini allo sbando. 31 27/31 ottobre 1917 – Tagliamento Si abbozza una drammatica, ma totalmente inefficace, difesa sul Tagliamento. 9 novembre 1917 – Dimissioni di Cadorna Luigi Cadorna paga la sconfitta di Caporetto. È sostituito da Armando Diaz, che concepisce un nuovo tipo di tattica: la “difesa elastica”. Cadorna, ancorato ad una concezione risorgimentale di guerra di posizione e ad una rigorosissima strategia, lascia a favore di un comandante dinamico anche se piuttosto indeciso. Novembre 1917 – Ritirata sul Grappa Le truppe di montagna, che combattevano sul fronte dolomitico, scendono lungo il Piave e vengono dirette sul Grappa. Novembre 1917 – Arroccamento sul Grappa Perso l’attimo decisivo, da parte austro-ungarica, per attraversare il Piave si passa ad una guerra di posizione e assalti per la conquista del Grappa. Da parte italiana, nel frattempo, venne fortificata e rinforzata la cima e le dorsali laterali. Novembre/dicembre 1917 – battaglia d’arresto sul Grappa Quella che doveva essere una battaglia per rallentare l’avanzata imperiale si trasforma in una riscossa italiana. Fu una svolta epocale soprattutto “filosofica e 32 psicologica” dei soldati italiani che ora combattevano per un ideale di Patria. Novembre 1917 – Offensiva sull’altipiano di Asiago Franz Conrad von Hötzendorf (Capo di S.M. austriaco)4 non demorde dall’idea di sfondare il fronte sugli altipiani per dilagare in pianura. Attacchi e contrattacchi si susseguono ininterrottamente fino a gennaio 1918. Dicembre 1917 – Offensiva austro-ungarica sul Grappa Nonostante le avverse condizioni climatiche si tentarono gli assalti alle ben posizionate geograficamente, ma ancora incerte e fragilissime, postazioni italiane. Presa dell’Asolone e del Pertica. 24 dicembre 1917 – “guerra delle mine” Nuova, impressionante, mina austriaca devasta il “Dente” italiano del Pasubio. 21 gennaio 1918 – “guerra delle mine” Risposta italiana con mina sul “Dente” austriaco del Pasubio. 4 Franz Conrad von Hötzendorf, nominato Capo di S.M. nel 1906 e sollevato dall’incarico nel 1917, fu molto criticato dal generale tedesco Hans von Seeckt, che disse di lui: “… su Conrad ricadeva infatti la responsabilità di aver intrapreso una serie di irrazionali offensive, che avevano portato alla distruzione dell'esercito regolare fin dall'inizio del conflitto, con la conseguenza che il confronto dovette in breve essere sostentato dal potenziale umano della riserva - quindi male addestrato”. 33 2 febbraio 1918 – “guerra delle mine” Risposta austriaca con mina sul “Dente” italiano del Pasubio. Il botta e risposta prosegue ulteriormente con altri botti il 13 febbraio, il 24 febbraio, il 5 marzo fino al 13 marzo con l’esplosione di 500 quintali di polvere sul “Dente” italiano. 15-25 giugno 1918 – Battaglia del “solstizio” Grande offensiva austro-ungarica. Fu l’ultima ondata del grande esercito imperiale ridotto ormai alla fame. Nel frattempo gli Stati Uniti supportano con rifornimenti l’ esercito italiano. Settembre 1918 – Concezione della battaglia offensiva Con gli imperiali allo sfacelo e i sempre più evidenti motivi di conclusione della guerra, il governo italiano insiste sul Comando Supremo per una offensiva volta a riconquistare il Veneto e il Friuli in modo da non trovarsi in una situazione ambigua al tavolo delle trattative di pace. 24-29 ottobre 1918 – Battaglia decisiva Tra il Grappa ed il Piave l’esercito italiano sfonda e sbaraglia definitivamente quello che era il più grande esercito e il più grande impero del mondo. Le truppe italiane entrano a Vittorio (poi Vittorio Veneto – Treviso). Nonostante un’eroica difesa fino all’ultimo, crolla militarmente, politicamente ed economicamente un impero con 700 anni di storia. 34 3 novembre 1918 – La guerra è vinta I reparti italiani entrano vittoriosi a Trento e a Trieste. 3 novembre 1918 – Armistizio che entra in vigore, di fatto, il 4 novembre A Villa Giusti alla Mandria, periferia di Padova, viene firmato l’armistizio che sancisce la fine delle ostilità tra numerose polemiche, i soldati austro-ungarici sono lasciati allo sbando tra il Grappa e gli altopiani. L’AFFONDAMENTO DELLA CORAZZATA “LEONARDO DA VINCI” – LA TRAGICA FINE DEL CAPITANO DI VASCELLO GALEAZZO SOMMI PICENARDI DI CREMONA In questo enorme dispiegamento di truppe s’inserisce un episodio che non riguarda le forze di terra, ma la Regia Marina alla fonda nel Mare Piccolo di Taranto. La corazzata “Leonardo da Vinci” per motivi ignoti s’incendiò e fu distrutta. Il comandante era il cremonese capitano di vascello Conte Galeazzo Sommi Picenardi. Fu aperta un’inchiesta e ci furono 17-18 indagati. Furono sospettati degli elementi legati a gruppi filo tedeschi, ma il sabotaggio venne imputato ai fruttivendoli alcuni dei quali furono condannati. La dinamica del sabotaggio fu abbastanza semplice. I fruttivendoli a Taranto erano considerati come la feccia della popolazione, quindi corruttibili e disposti a tutto. 35 Per il loro commercio portavano a bordo delle navi le casse di frutta a verdura. Fu così che portarono sulla “Leonardo da Vinci” delle cassette miste a esplosivo. Da qui prese corpo la dinamica del sabotaggio. Il fatto è così descritto in un rapporto dell’epoca5: fasc.N°19 del 17 settembre 1916 La sera del 2 agosto sulla R .nave “LEONARDO da VINCI”, ancorata al sicuro da ogni possibile insidia guerresca del nemico, si manifestava un incendio nei locali attigui al deposito delle munizioni di poppa. Con lodevole prontezza di decisione, il Comando di bordo provvedeva all’immediato allagamento delle Sante Barbare, impedendo così la distruzione della nave. Però, in seguito a successiva esplosione, si determinava una lacerazione della carena, con conseguente via d’acqua, per effetto della quale la nave si appoggiava sul fondo (profondità del mare m.11,50).La rapida organizzazione dei soccorsi valse a trarre in salvo buona parte del personale. Sopra 34 ufficiali e 1156 uomini d’equipaggio scomparvero, vittime del loro dovere,21 ufficiali e 227 uomini d’equipaggio. Dalle conclusioni alle quali è ora pervenuta una prima diligente inchiesta tosto ordinata, secondo le vigenti prescrizioni e che fu necessario circondare di ogni maggior riserbo, son risultati esclusi qualunque 5 Le notizie sono riprese dal forum della BETASOM – XI Gruppo Sommergibili Atlantici (www.betasom.it) 36 intervento di offesa esterna e ogni difetto negli esplosivi impiegati sulle navi dell’armata. Tuttavia, mentre un’autorevole Commissione, della quale fanno parte anche eminenti personalità tecniche civili, avvisa ai mezzi per il ripristino della nave nelle sue condizioni di efficienza, il ministro della Marina, allo scopo di chiarire nel modo più assoluto ogni circostanza che possa avere attinenza con il sinistro, e anche se esso possa avere qualche legame con incidenti di carattere doloso di recente verificatisi nel paese, anche fuori della Marina, ha provocato la costituzione di una Commissione d’inchiesta composta dai signori :senatori viceammiraglio Canevaro, prof. Righi e Ciamician; deputati prof. Battelli, ing. Orlando Salvatore e Saint Just di Teulada; viceammiraglio Avallone, tenente generale del genio navale Valsecchi e sostituto procuratore generale di Cassazione De Notari Stefani. La Commissione, presieduta dal viceammiraglio Canevaro, sta per principiare i propri lavori. Essa potrà valersi di ogni mezzo d’indagine che ritenga opportuno, e ha amplissimo mandato, tanto per quanto riguarda il sinistro su esposto, quanto per estendere le ricerche anche a precedenti avvenimenti analoghi, essendo intendimento del ministro che l’opera di essa riesca assolutamente esauriente e rassicurante sotto ogni suo aspetto. L’esplosione avvenne alle ore 23,10,la città e il mare di Taranto furono improvvisamente illuminati da una colossale fiammata. Subito dopo numerose esplosioni 37 fecero tremare le case e andar molti vetri in frantumi. Il fuoco erasi sviluppato in un deposito al centro della nave, vicino alla torre corazzata di poppa, in cui erano i proiettili che dovevano servire il giorno dopo alle esercitazioni di tiro. Il comandante, capitano di vascello Sommi Picenardi, fatto dare l’allarme, accorse col comandante in seconda, capitano di fregata Ferrero. Dietro loro accorsero tutti gli ufficiali e marinai. Ogni speranza di domare il fuoco e salvare la bella nave apparve subito vana, tuttavia ogni mezzo più pronto fu tentato per circoscrivere l’incendio. Quando il pericolo che il fuoco si propagasse alla Santa Barbara e alle navi ancorate a poca distanza apparve imminente, i comandanti diedero l’ordine di aprire le paratie e la nave affondò. Fasc.N°20 del 24 settembre 1916PER SALVARE LA “LEONARDO DA VINCI” I mezzi escogitati per salvare completamente la “Leonardo da Vinci” saranno, scrive l’Idea Nazionale, i seguenti: a) aprire un foro nella chiglia, parte emersa, per avere la possibilità di chiudere i boccaporti e le valvole che volontariamente si erano aperte. Ciò avvenuto si turerebbe il foro e si procederebbe a rimettere la nave in posizione normale per poi aspirare l’acqua; b) impiantare un conveniente piano inclinato dall’estremità della nave verso terra fino alla sponda prossima e con potenti gru rimuovere la “Leonardo da 38 Vinci” dalla posizione attuale, facendola strisciare lungo il piano inclinato fino a portarla fuori dal limite dell’acqua; c) costruire una duna tutto intorno alla nave in modo da formare una specie di bacino, ciò che potrebbe ottenersi costruendo due ali frontali alla direzione della nave ed uno sbarramento oltre la nave stessa e parallelo ad esso. Tale provvedimento poi avrebbe un carattere sia provvisorio che definitivo nel senso che in quest’ultimo caso si potrà avere un bacino di carenaggio. Nell’uno e nell’altro caso si tratterebbe però di un lavoro lungo e difficile. “Le maggiori difficoltà da superare sono quelle che si incontreranno per rimettere la “Leonardo da Vinci”! nella posizione normale. Tutte le buone probabilità fanno prevedere che, con buona opera e con mezzi concordati ed occulti, si riuscirà certamente a salvare la poderosa nave nel senso di rimetterla a galla e affidarla ai galleggianti che la portino in bacino per le riparazioni. AI SUPERSTITI DELLA NAVE Ai marinai superstiti della “Leonardo da Vinci” il comandante del deposito di Napoli (12 settembre) rivolse le seguenti parole : “Avete vissuto un momento tremendo, ma nel ricordo doloroso, anzi che avvilimento per le anime vostre, dovete trovare nuovi motivi di forza e di amore. Per la memoria del vostro comandante, capitano di vascello Galeazzo Sommi-Picenardi, che con 39 le sue povere carni bruciate chiuse la sua vita operosa e gagliarda in un’ora di abnegazione suprema, per la memoria dei vostri ufficiali e dei vostri compagni, che giacciono morti vicino allo scafo reclinato della bella nave, io vi esorto, o marinai superstiti, di amare sopra ogni cosa la Patria. Fate un voto per questo miracoloso salvamento, pensate che sia per lei e non per voi che la sorte vi aiutò a superare la difficile prova. Fate un voto solenne di saldi propositi, di perenne amore per questa meravigliosa madre nostra ,che è madre di ognuno e di noi tutti. Mentre questa madre piangeva la perdita immane, altri soldati fratelli, superate le ingiuste frontiere, lanciati alla conquista di quello che Dio ci assegnò, unirono al nostro grido di dolore un grido di vittoria,e sulla sacra tomba brillò ancora la stella del nostro fato luminoso. Benedetti i vivi e i morti che oprarono per la Patria ! Ogni nostra gioia e ogni nostro dolore finisce per le più alte fortune d’Italia. Viva l'Italia !” Fasc.N°25 del 29 0ttobre 1916 Per il disastro della “LEONARDO da VINCI”. Una taglia Alle Prefetture del Regno è stato dato incarico di far conoscere al pubblico il seguente comunicato in data 16 ottobre: “Il Governo promette un premio di £ 100.000 a chiunque, entro il 28 febbraio 1917,fornisca indicazioni 40 sicure per stabilire eventuale intervento o azione delittuosa nel sinistro della regia nave “LEONARDO da VINCI”, verificatosi il 3 agosto scorso, procurando nel contempo la scoperta e l'arresto degli autori e dei complici. Al conferimento del premio si procederà al termine del relativo procedimento giudiziario.” La Commissione chiamata ad inquisire sulle cause del disastro era composta dai seguenti membri: sen. prof. Righi, sen. Ciamician, deputato prof. Battelli, ing. Salvatore Orlando, ing. Sainjust di Teulada, viceammiraglio Avellone, tenente generale del genio navale Valsecchi, sostituto procuratore generale di Cassazione De Notari Stefani. Per questo episodio il capitano di vascello Sommi Picenardi venne decorato con la medaglia d’oro al Valor Militare e alla sua memoria venne dedicata una batteria antinave da 152/45 della zona MM Elba Piombino. Il sabotaggio della “Leonardo da Vinci” è stato, comunque, frutto di un’intensa attività di Intelligence da parte tedesca. Per concludere le operazioni di sabotaggio (oltre alla “Leonardo da Vinci”, sabotata il 2.8.1916, l’anno precedente nel porto di Brindisi fu sabotata la nave ammiraglia “Benedetto Brin”, 27.9.1915) vennero corrisposte delle somme di denaro. Le Autorità austriache, a parte un piccolo anticipo ed un mensile di 1.000 (poi 1.300) corone, non dettero subito al sabotatore le 300.000 corone pattuite per l'affondamento 41 della LDV. Come misura precauzionale i soldi furono vincolati nella Osterreichische Landersbank fino alla fine della guerra. Durante il conflitto la cospicua somma fu investita in buoni del tesoro austriaci per finanziare lo sforzo bellico. Tra le medaglie d’oro al V.M. va infine ricordato don Annibale Carletti di Motta Baluffi, che incitò i suoi uomini alla resistenza contro il nemico a Costa Violina e Passo del Buole (maggio, 1916). (corazzata “Leonardo da Vinci affondata) 42 (oper azioni nel Nord-Est, 1915-1918) (tri ncea italiana, 1915-1918) 43 (trincea tedesca in località Markirch, 1915 – archivio storico E. Bettini) 44 (corazzata “Leonardo da Vinci” comandata dal cap. di vascello Galeazzo Sommi Picenardi M.O.V.M.) 45 (lapide in memoria dei caduti della “Leonardo da Vinci - 2.8.1916) 46 (batteria Galeazzo Sommi Picenardi) (piazzola n.3 – batteria Galeazzo Sommi Picenardi) LA GUERRA NEI CIELI 47 nel corso del Prima Guerra Mondiale nasce ufficialmente l’aviazione militare italiana, già sperimentata agli albori durante la guerra itali-turca (1911 – 1912). Il colonnello del Genio Militare Giovanni Battista Marieni, inviato in Libia per creare le strutture dopo l’occupazione del territorio (fortificazioni, trincee, ferrovia, ospedali, comunicazioni stradali e telefoniche, pozzi artesiani, acquedotti, potabilizzatori e primi insediamenti per militari e civili) nel 1914 viene richiamato in Italia e il 23 dicembre 1915 viene nominato Direttore Generale dell’Aeronautica. In poco tempo i dati dimostreranno l’efficienza dell’Aviazione italiana, che diventerà la prima in Europa superando quella imperiale: 48 49 L’impulso dato alla creazione di questa nuova macchina bellica si rivelò vincente negli anni successivi. Oltre al mitico aviatore Francesco Baracca, asso dell’aviazione italiana e medaglia d’oro al Valor Militare, e il leggendario volo su Vienna compiuto da Gabriele D’Annunzio (9 agosto 1918), alcuni cremonesi si distinsero per atti di valore compiuti a bordo di aerei e dirigibili. L’aviazione non disponeva, infatti, di soli aerei, ma aveva un parco dirigibili molto avanzato per compiere bombardamenti sulle postazioni nemiche. Ricordiamo così la medaglia d’argento Silvio Alessi, maresciallo motorista che partecipò a ben 14 bombardamenti. 50 51 LA FIGURA DI LEONIBA BISSOLATI NEL CONTESTO STORICO E POLITICO DEL PRIMO NOVECENTO Tra gli alpini che parteciparono alla prima guerra mondiale va ricordato Leonida Bissolati, decorato con medaglia d’argento al Valor Militare. Dal volume 10 del “Dizionario biografico degli Italiani” di Angelo Ara: “BISSOLATI Leonida. - Nacque a Cremona il 20 febbraio 1857 dal canonico Stefano Bissolati e da Paolina Caccialupi, moglie di Demetrio Bergamaschi. Nel 1861 S. Bissolati svestiva l’abito talare e nel 1865, morto il Bergamaschi, già da molti anni malato, sposava la Caccialupi, adottando il figlio. … Allo scoppio della guerra si arruolò volontario nel 4º reggimento alpini, col grado di sergente. Partecipò ai combattimenti per la conquista del Monte Nero; nel luglio venne ferito due volte e fu decorato di medaglia d’argento. Nel primo anno di guerra alternò la permanenza al fronte con soggiorni a Roma per i lavori parlamentari. Al fronte si incominciò a utilizzarlo quale tramite tra esercito e mondo politico. Nel giugno 1916 entrò come ministro senza portafogli nel gabinetto Boselli; in tale veste richiese una più energica condotta militare della guerra e un più stretto collegamento politico con le altre nazioni dell’Intesa; soprattutto sosteneva la necessità di dichiarare guerra 52 anche alla Germania, la cui struttura autoritaria e le cui mire imperialistiche gli sembravano il più grave ostacolo alla democratizzazione europea. Come ministro, il suo compito era essenzialmente quello di collegare il governo al fronte, il potere politico al comando supremo. I rapporti con Cadorna, difficili all’inizio, divennero in seguito quanto mai cordiali. Il 29 ottobre 1916, nel più importante dei suoi discorsi del periodo di guerra, il B. commemorò a Cremona Cesare Battisti. Rievocando il sacrificio dell’amico socialista, egli polemizzò contro il socialismo italiano, che aveva rifiutato quella che per lui era guerra di liberazione europea, e contro l’atteggiamento dei partiti socialisti degli Imperi centrali, sul conto dei quali egli dimostrava però di non possedere dati sempre circostanziati e precisi. Il fulcro del discorso era la richiesta esplicita, prima manifestazione in tal senso da parte di un uomo di governo dell’Intesa, dell’inclusione tra i fini politici della guerra della dissoluzione dell’Austria-Ungheria, al cui posto dovevano sorgere Stati nazionali indipendenti. La sistemazione democratica dell’Europa danubiana e balcanica, che già durante le guerre balcaniche era stata uno dei motivi della tematica politica del B., trovava qui la sua prima chiara teorizzazione. La crisi politica dell'autunno 1917, concomitante con la sconfitta di Caporetto, portò Orlando alla presidenza del Consiglio e il B. assunse nel nuovo gabinetto il portafoglio dell’Assistenza militare e delle Pensioni di 53 guerra. La sua posizione all’interno del ministero risultò però indebolita: l’enormità della sconfitta militare fece sì infatti che la sostituzione di Sonnino, già decisa, non venisse più effettuata, su proposta dello stesso B., nel timore di rafforzare le correnti neutraliste, e la permanenza di quello risultò fatale alla linea di politica estera perseguita dal Bissolati. Il dramma di Caporetto, che il B. visse al fronte, rappresentò per lui un momento di crisi e di prostrazione. Anche la valutazione della situazione gli sfuggì completamente: si avvicinò agli apprezzamenti di Cadorna sui soldati italiani, parlò di sciopero militare e di deficiente resistenza delle truppe, ma senza portare alcun elemento preciso, come gli rimproverò Orlando. Superata la crisi morale, psicologica e politica determinata dalla disfatta e allentati i legami con il comando supremo, l’attività del B. si orientò in altre direzioni. In politica interna tentò di accrescere il peso dell’interventismo democratico stimolandone una maggior coesione; nel maggio 1918 varie forze della democrazia e del socialismo interventista confluirono nell'Unione socialista italiana, ma il nuovo movimento si rivelò una formazione priva di un preciso programma politico, resa eterogenea dall'adesione di gruppi ideologicamente diversi. Fu tra i fautori dell'impiego nella guerra contro l’Austria dei prigionieri cechi e slavi meridionali; cominciò a porsi in maniera concreta il problema dei nuovi confini orientali dell’Italia, e incoraggiò a tal fine un accordo con gli Slavi meridionali. 54 Il congresso di Roma dei popoli soggetti all'AustriaUngheria della primavera rappresentò indubbiamente una tappa fondamentale nel processo di dissoluzione della monarchia danubiana. Il successo conseguito dal B. a Roma non va però sopravalutato: la dichiarazione interalleata di Versailles del giugno 1918, che distingueva tra le aspirazioni dei Polacchi e quelle dei Cechi e degli Iugoslavi; il contrasto tra il B. e il Sonnino per quanto riguardava l’impiego dei prigionieri slavi nella guerra contro l'Austria; l’ipersensibilità alla questione nazionale anche nei più democratici tra gli Slavi, dimostravano come fosse ancora lontana la realizzazione di molti obiettivi politici del Bissolati. … Dopo gli incidenti della Scala il B. subì un periodo di profonda depressione. La sua partecipazione alla vita pubblica era ormai soltanto episodica: intervenne al congresso dell'Unione socialista; pronunciò un discorso elettorale a Cremona; sul Secolo polemizzò col nazionalismo iugoslavo. Nel novembre 1919 il suo vecchio collegio di Pescarolo lo rielesse deputato. Il 10 marzo 1920, ormai gravemente ammalato, decise di sottoporsi a un intervento chirurgico: subentrò un’infezione, e il 6 maggio 1920 morì a Roma”. 55 ENNIO ZELIOLI LANZINI DA DECORATO SUL MONTELLO A PRESIDENTE DEL SENATO E MINISTRO DELLA REPUBBLICA Una delle figure di spicco che hanno attraversato la storia italiana dalla Prima Guerra Mondiale alla Repubblica è certamente l’avvocato Ennio Zelioli Lanzini. Nato a San Giovanni in Croce nel 1899 (appartenne alla classe dei famosi e gloriosi “ragazzi del “99”) venne a contatto giovanissimo con la gioventù cattolica. Per diversi anni il suo punto di riferimento fu Mons. Giovanni Cazzani vescovo di Cremona. Dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale della Lombardia e fu tra gli organizzatori, a Cremona, del movimento di resistenza antifascista. Per questa sua attività nel 1944 fu arrestato dalla polizia fascista. Nel 1945, nelle convulse giornate che seguirono il 25 aprile, il figlio Bernardino fu ucciso in combattimento dalle forze armate tedesche in ritirata. Nel 1948 fu eletto senatore, per la Democrazia Cristiana, nel II collegio di Crema. Fu rieletto senatore, sempre nel collegio di Crema, per altre 4 legislature. Dal 1955 al 1957 fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel Governo Segni I e nel 1960 fu eletto vicepresidente del Senato. Dal 10 agosto al 29 dicembre 1964 supplì il presidente del Senato Cesare Merzagora (impossibilitato a svolgere il suo compito in quanto supplente del Capo dello Stato) e nel 1967 fu eletto alla seconda carica dello 56 Stato dopo le dimissioni di Merzagora. Come presidente del Senato dimostrò equilibrio e capacità di governare un'assemblea spesso rissosa e difficile. Nel 1968 fu chiamato dal Presidente del Consiglio dell’epoca Giovanni Leone, a ricoprire la carica di ministro della sanità. Dopo la sua morte, il 25 febbraio 1976 il presidente del Senato Spagnolli lo ricorderà con queste parole: “Uomo di profonda sensibilità morale, di grande coerenza e di specchiata onestà, egli apparteneva a quella generazione di uomini liberi che, estromessi ma non umiliati dal fascismo, seppero preparare e realizzare con paziente coraggio la rinascita della vita democratica del paese. Combattente e decorato al valore nella prima guerra mondiale, dirigente delle associazioni cattoliche e militante nelle coraggiose battaglie di Guido Miglioli per il progresso del mondo contadino, Zeli oli Lanzini fu strenuo e tenace avversario dello squadrismo. L'avvento della dittatura lo costrinse ad abbandonare la vita politica ed egli, mentre svolgeva la professione di avvocato, intensificò allora - con entusiasmo e rigore di princìpi - la sua presenza nelle file del laicato cattolico. La Resistenza lo vide attivamente impegnato insieme al figlio Bernardino, che aveva educato ai supremi valori della libertà e che i tedeschi gli uccisero nelle vie di Cremona il 26 aprile 1945 mentre egli trattava – in rappresentanza del Comitato di liberazione Nazionale - la resa dei nazifascisti. 57 Questo grandissimo dolore, mai sopito nel suo cuore di padre, lo rafforzò nei princìpi cristiani di carità e di amore del prossimo, princìpi che praticò nella vita privata e in quella pubblica e che sono nobilmente testimoniati nelle accorate parole che pronunciò in Senato, il 3 dicembre 1954, intervenendo in favore della legge che estendeva pensioni e sussidi ai mutilati e ai congiunti dei caduti che appartennero alle Forze armate della sedicente Repubblica Sociale. Presidente delle ACLI e dell'Amministrazione provinciale di Cremona nel 1946, due anni dopo Zelioli Lanzini fu eletto al Senato e alla nostra Assemblea, di cui fece ininterrottamente parte fino al 1972, recò il contributo delle sue altissime qualità di equilibrio e di esperienza. Di tali qualità egli diede ampia prova 1m tutte le cariche alle quali fu chiamato dalla fiducia dei colleghi e soprattutto quando, nel novembre 1967, l'Assemblea gli affidò l'onerosa responsabilità della presidenza. Era un momento tormentato e difficile, ma Ennio Zelioli Lanzini seppe far fronte al compito con fermezza e competenza, confermandosi la stima che si era guadagnato in lunghi anni di vice-presidenza- del Senato. La sua personalità schiva e riservata non gli impedì di essere guida severa e sicura nel dirigere i lavori dell'Assemblea sino alla fine della legislatura, convinto com’era - sono parole tratte dal suo discorso di insediamento - che « Una Nazione è democraticamente viva e civile nella misura in cui ha un Parlamento efficiente e valido, sollecito sì nell’interpretare e 58 mediare le esigenze molteplici e contrapposte di tutti, ma altresì capace di tradurre tali esigenze in concrete norme di legge con la riflessione e la tempestività dovute». In quello stesso discorso Zelioli Lanzini sottolineava quale era il suo ideale di libertà vera, «quella che rispetta l’opinione altrui, quella che avvince gli avversari alla colleganza cordiale che alle volte si tramuta in amicizia»; e questi concetti riprendeva nel toccante discorso col quale avendo deciso di non ripresentare la sua candidatura alle elezioni del 1972 - prendeva commiato dal Senato: “Abbiamo seminato - egli affermava - abbiamo salvato le istituzioni ,abbiamo ribadito i concetti, che per noi sono fondamentali, della libertà, della democrazia, del rispetto di tutte, le opinioni ». 59 DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AL VENTENNIO Lo straordinario percorso patriottico del generale Valentino Stajano Nella storia del territorio cremonese ci sono stati ufficiali che hanno contribuito con il loro senso del dovere a scrivere significativamente una pagina di valore e sacrificio. Tra questi ne abbiamo scelto uno che ha percorso mezzo secolo di vita dedicata alla Patria, guadagnandosi la medaglia d’argento al V.M., la medaglia di bronzo al V.M. e la Croce di Guerra al Merito di Guerra.: è il generale di Brigata Valentino Stajano. Abbiamo rintracciato il figlio, lo scrittore Corrado Stajano, già senatore della Repubblica, il quale ci ha trasmesso una breve nota biografica del padre: “Mio padre nacque il 20 agosto 1893 a Noto, in provincia di Siracusa. Allievo dell’Accademia militare di Modena, sottotenente di Fanteria il 30 maggio 1915, viene inviato al fronte nel 65° Reggimento Fanteria. Il 14 agosto prende parte a un conflitto a fuoco, è la sua prima medaglia di bronzo. Sei giorni dopo, a Santa Maria di Tolmino partecipa ad un’altra sanguinosa battaglia dove viene gravemente ferito. Gli viene conferita una medaglia d’argento. Poi una Croce al Merito di Guerra. Il 27 ottobre 1922, capitano del 50° Reggimento Fanteria comanda a Cremona la Compagnia che protegge il palazzo del Governo. Respinge l’attacco degli squadristi di 60 Farinacci, il ras fascista che con la sua azione si propone di mettere Mussolini di fronte al fatto compiuto, una spinta alla marcia su Roma del 28 ottobre. Lo scontro è cruento, cinque morti tra gli squadristi e numerosi feriti. Mio padre ha fatto rispettare la legge e lo Statuto del Regno. Nella seconda guerra mondiale, colonnello, partecipa alle operazioni alla frontiera alpina e nell’ex Jugoslavia nel Reparto Comando del Corpo d’Armata Autotrasportabile che ha la sua sede a Cremona, nel Palazzo Trecchi. Poi con il corpo di spedizione in Russia, lo CSIR, al comando del generale Messe, partecipa come comandante del Quartier Generale del Corpo d’Armata alla campagna in Unione Sovietica. Torna in Italia alla fine del 1942, ricoverato all’ospedale militare di Imola per congelamento alle gambe. L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo coglie a Bolzano dove il 35° Corpo d’Armata sta cercando di ricostituirsi dopo la ritirata di Russia. Catturato dai tedeschi viene internato in vari lager in Germania. Non aderisce alla Repubblica di Salò, nonostante le sollecitazioni fasciste. Liberato a Berlino dalle truppe sovietiche, torna in Italia nel settembre del 1945. Generale di Brigata, muore, dopo alcuni anni in cui resta in servizio, il 29 dicembre 1969. Riceve due Croci al Merito di Guerra per la Campagna 1940-1943 e un encomio solenne del generale Giovanni Messe per il suo comportamento durante la Campagna di Russia. È cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro”. 61 LA GUERRA DI SPAGNA E LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE Prima di buttarsi nella folle avventura a fianco della Germania nazista l’Italia visse un periodo di conflitti intermedi, che videro protagonisti molti volontari (guerra di Spagna, Campagna d’Etiopia) e gli eserciti formati dalle CC.NN. e dal Regio Esercito di Vittorio Emanuele III. Al di là dell’ideologia, furono compiuti atti di valore riconosciuti con decorazioni al Valor Militare. La metà degli anni Trenta fu il banco di prova per le generazioni uscite dalla Grande Guerra. Si respirava un clima di onnipotenza, che porterà inevitabilmente verso il baratro. Possiamo comunque dire che la fine del regime fascista incominciò proprio con l’entrata in guerra dell’Italia. In tre mesi di belligeranza l’Impero del Duce aveva già perso la Libia e nel 1941 praticamente tutta l’Africa Orientale. GUERRA DI SPAGNA (1936 – 1939) Furono tre anni di sanguinosi combattimenti con migliaia di morti da entrambi le parti. Nulla venne risparmiato in uno scenario terrificante, la prova generale di quella che si trasformò nella Seconda Guerra Mondiale. 62 Durante i tragici avvenimenti che la contraddistinsero, emersero figure di grande rilievo storico e letterario: intellettuali come Federigo Garcia Lorca, Ernest Hemingway, Pablo Neruda, Ezra Pound, George Orwell, politici e militari come Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e Annibale Bergonzoli (generale M.O.V.M. guadagnata a Santander nel 1937). E fu proprio dalla Guerra di Spagna che partì l’organizzazione del complotto internazionale per assassinare Lev Trotsky (pseudonimo di Lev Davidovič Bronštejn) a Coyoacán in Messico per mano di Ramón Mercader. Per fare un quadro esaustivo dell’intervento italiano nella penisola Iberica consideriamo il dispiegamento di forze inviate a sostegno di Francisco Franco: circa 60.000 uomini del Corpo Truppe Volontarie supportati da una potente aviazione. Nel 1938 le forze italiane consistevano in 75.000 volontari, 6.000 aviatori, 764 aerei, 157 carri armati e 1.800 cannoni. Molti italiani si arruolarono nelle Brigate Internazionali a sostegno della Repubblica contro i nazionalisti di Franco. Ricordiamo il Battaglione Garibaldi comandato da Randolfo Pacciardi e la presenza di altre voci importanti nella storia italiana quali Carlo Rosselli e Luigi Longo. Altri ancora combatterono direttamente nell’esercito repubblicano (Francesco Fausto Nitti fondatore del movimento Giustizia e Libertà). In tutto gli italiani andati a combattere con i repubblicani furono circa 4.050. In questo contesto ci furono alcune battaglie importanti nelle quali troviamo la presenza di volontari 63 cremonesi, che si guadagnarono la decorazione al Valor Militare. Gli episodi di riferimento sono la battaglia di Guadalajara (8 – 23 marzo 1937) e lo scontro di Puerto de León nelle vicinanze di Malaga. La battaglia di Guadalajara fu uno dei combattimenti chiave di tutta la Guerra di Spagna. Fu combattuta tra l’esercito della seconda repubblica e le brigate internazionali da una parte e i nazionalisti franchisti affiancati dalle unità del Corpo Truppe Volontarie Italiane. Lo scontro si concluse con la vittoria del repubblicani6. Nel corso degli scontri si distinse il cremonese Giovanni Serventi, I° capitano de Genio, che meritò la medaglia di bronzo al V.M. nel 1937 e la medaglia d’argento al V.M. “sul campo” nel 1938 per atti di eroismo nel corso della battaglia dell’Ebro. Altro combattimento al quale partecipò un cremonese decorato con medaglia d’argento al V.M. e Croce di Guerra al V.M. fu lo scontro di Puerto de León nel 1937. Il caporal maggiore Egidio Scaravonati7 (questo è il nome del decorato) si distinse per il suo ardimento nella conquista di una postazione di mitragliatrici e per aver 6 Nella battaglia di Guadalajara le forze in campo furono: a) per la parte repubblicana: 20.000 uomini, 45 cannoni, 70 carri armati leggeri, 80 aerei; b) per la parte nazionalista: 45.000 uomini, 270 cannoni, 140 carri armati leggeri, 62 aerei. Perdite: a) repubblicani: 6.000 uomini tra morti e feriti; b) nazionalisti: 2.000 morti, 4.000 feriti, 300 prigionieri. 7 Egidio Scaravonati apparteneva alla 19 ^ Legione ordinaria “Fedelissima” di Casalmaggiore. 64 prestato soccorso, benché fosse ferito, al suo comandante di “Bandera”8. (cortile interno dell’Alcázar di Toledo distrutto, 1936) CAMPAGNA D’ETIOPIA (1935 – 1936) 8 Col nome “Bandera” nella Guerra di Spagna era indicata un’unità militare falangista. 65 Un’altra esperienza bellica di grande rilevanza storica fu la Campagna d’Etiopia. In questo conflitto, durato circa 7 mesi (2 ottobre 1935 – 5 maggio 1936), vennero profuse le massime energie di cui l’Italia mussoliniana disponeva. Ben 330.000 uomini furono inviati a ondate nel Corno d’Africa9. La guerra, se pur di breve durata, fu molto cruenta e si concluse con la proclamazione dell’Impero (9 maggio 1936)10. 9 Una indicazione della forza bellica italiana è contenuta (se pur approssimativa) nella relazione del Capo di S.M. gen. Federico Baistrocchi: Fucili e moschetti: 420.000; Fucili mitragliatori e mitragliatori: 10.000; Pezzi d'artiglieria: 1.123; Carri L/3: 234; Stazioni Radio: 1.600; Quadrupedi: 90.700; Automezzi: 16.000 (da aggiungere i 2.100 autocarri e i quasi 200 trattori cingolati acquistati negli Stati Uniti per le esigenze di Graziani in Somalia); Ospedali da campo: 144; Gavette: . 532.000; Teli da tenda: 1.174.000; Scarpe: 4.650.000 10 Discorso della proclamazione dell’Impero: “Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia ! Camicie nere della rivoluzione ! Italiani e italiane in patria e nel mondo ! Ascoltate ! Con le decisioni che fra pochi istanti conoscerete e che furono acclamate dal Gran Consiglio del fascismo, un grande evento si compie: viene suggellato il destino dell'Etiopia, oggi, 9 maggio, quattordicesimo anno dell'era fascista. Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria, integra e pura, come i legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L'Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l'Italia vuole la pace per sé e per tutti e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose, incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell'Etiopia. 66 La partecipazione cremonese fu abbastanza nutrita in ogni arma. A parte una molto discussa medaglia d’argento al gerarca di Cremona, possiamo certamente annoverare la medaglia d’oro riconosciuta al comandante Luigi Valcarenghi e la medaglia d’argento al generale dell’aviazione militare Costante Lazzarini, che ebbe anche tre medaglie di bronzo sempre nella Campagna d’Etiopia. Lazzarini, insignito con l’argento nel 1940 per un’azione sul Mediterraneo, fu certamente il maggior decorato cremonese in quella guerra per i suoi coraggiosi voli su Tembien, Cudertà, Scirè, Scioa e Korandadda. Il combattimento più significativo, che vide protagonista il Valcarenghi fu la battaglia di Tembien Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino. Ecco la legge, o italiani, che chiude un periodo della nostra storia e ne apre un altro come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro: 1. I territori e le genti che appartenevano all'impero di Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d'Italia. 2. Il titolo di imperatore d'Etiopia viene assunto per sé e per i suoi successori dal re d'Italia. Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere! Italiani e italiane! Il popolo italiano ha creato col suo sangue l'impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell'impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni? Questo grido è come un giuramento sacro, che vi impegna dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, per la vita e per la morte! Camicie nere! Legionari! Saluto al re! 67 (14 dicembre 1935 – 24 gennaio 1936) durante la quale le truppe abissine di Ras Cassa avevano tentato lo sfondamento del fronte italiano. Nella notte tra il 14 e il 15 dicembre 1935 le prime avanguardie di Ras Immirù, attraversato il fiume Tacazzè, impegnarono un Gruppo Bande, al comando del maggiore Luigi Criniti. Il reparto italiano fu costretto alla ritirata verso Dembeguinà, dove si trovavano le linee amiche ma, giunto presso Dembeguinà, fu circondato dalle preponderanti forze abissine. Negli scontri che seguirono, nel tentativo di rompere l'accerchiamento, il gruppo carri veloci Esploratori del Nilo del capitano Ettore Crippa fu annientato. I superstiti, a prezzo di ingenti perdite, riuscirono nella notte a raggiungere le linee italiane ad Endà Selassiè presidiate dal comandante Carlo Emanuele Basile. Da questo punto gli italiani incominciarono a ripiegare verso Selaclacà difesa dalla XXIV Divisione Gran Sasso per proseguire poi la ritirata fino ad Axum. Ras Immirù, nonostante i violenti bombardamenti aerei, riuscì a far attraversare il Tacazzè ad altri reparti abissini, portando le proprie truppe ad oltre ventimila combattenti e forte di questi uomini continuò l'offensiva rioccupando lo Scirè. Nel frattempo le forze di Ras Sejum e di Ras Cassa attaccarono nel Tembien, presidiato da soli due battaglioni del generale Diamanti. Per salvare almeno Abbi Addi il generale Badoglio inviò in appoggio la 2ª divisione eritrea di 68 Vaccarisi e la Legione 28 ottobre di Somma. Il 18 dicembre l’armata abissina assedia Abbi Addi. Il tentativo italiano di spezzare lo schieramento abissino presso Amba Tzellerè fallisce. Il 25 dicembre, Abbi Addi ormai indifendibile, è abbandonata e gli italiani ripiegano sulle posizioni fortificate di passo Uarieu. (Passo Uarieu, foto attuale) Il comandante Luigi Valcarenghi, già distintosi ad Abbi Addi, trovava la morte il 21 gennaio 1936 nel corso dell’assedio di Mai Bales. Il 24 gennaio la battaglia era 69 finita con l’arrivo dei rinforzi, che rompevano l’accerchiamento. Il gerarca Giuseppe Bottai scriverà parlando della battaglia: “L'azione è finita. O meglio; mancata. L'eroico contegno della “28 ottobre”, del Gruppo Diamanti, la nostra avanzata decisa su queste posizioni e il rastrellamento, da noi compiuto, della confluenza Calaminò-Ghevà, le maggiori perdite del nemico (oltre 5000 morti) non bastano a convertire un'azione mancata in una vittoria. Non ha vinto il nemico; non abbiamo vinto noi. Ci esauriamo nello status quo". Nel contesto della guerra d’Etiopia va ricordata una decorazione al V.M. riconosciuta al ras di Cremona Roberto Farinacci (1892 – 1945). Partito al seguito dei “bombardieri” di Galeazzo Ciano, raggiunse il grado di generale. Nel 1936 in un incidente sul lago Tana perse la mano destra. Per tale mutilazione considerata bellica gli fu riconosciuto un vitalizio (devoluto in beneficenza) e la medaglia d’argento V.M., che tuttavia fu messa in discussione dagli storici e da alcuni gerarchi (vedi Ettore Muti). 70 (foto d’epoca del Passo di Uarieu nelle cui vicinanze trovò la morte Luigi Valcarenghi, 21 gennaio 1936) IL GENERALE DI C.A. UMBERTO BORDONI 71 Una delle più belle figure d’ufficiale degna di menzione particolare è quella del Generale di corpo d’Armata Umberto Bordoni. Decorato con 3 medaglie d’argento al Valor Militare e 1 medaglia di bronzo V.M., ha lasciato innumerevoli tracce scritte della sua attività di comando. Citiamo un pezzo significativo di un suo diario africano: RAPPORTO SULLA BATTAGLIA DI SIDI REZEGH “…Il grosso del nemico era in marcia su più colonne su Sidi Rezegh ( ... ) il 9° bersaglieri schierò i suoi battaglioni XXVIII (rnagg. Togni) e XXX (ten. col. Chierico) rinforzati dalla compagnia mortai (cap. Carella), dal marabutto di Sidi Rezegh 'alla Trigh Capuzzo, tenendo come riserva parte del XL battaglione (rnagg, Moro). Il II gruppo del 21° artiglieria (rnagg. Baglione) prese posizione a sud del marabutto vicino al comando di reggimento. Sul posto passarono agli ordini del comando del 9° due gruppi di artiglieria italiana e uno tedesco. Il gen. Bottcher, comandante del gruppo misto italo-tedesco, impartì al col. Bordoni l'ordine di resistere a oltranza sul posto, per dar modo alla 15a divisione tedesca, in azione verso Sollum, di raggiungere Sidi Rezegh. Alle ore 1,10 del 26 novembre ebbe luogo un attacco di reparti arditi neozelandesi appoggiati da autoblindo contro il fianco sinistro della 5a compagnia; attacco che dopo alterne vicende venne sanguinosamente respinto. Durante la notte attaccò l'intera divisione neozelandese, appoggiata da un massa imponente di fuoco. Gli attacchi si susseguirono poi senza tregua, sempre respinti dai nostri reparti che non esitarono a uscire dalla linea per il contrattacco. L'oscurità e 1a scarsa conoscenza dei luoghi resero in certi momenti la nostra situazione veramente drammatica, perché i reparti, nell'ardore del contrattacco, si erano 72 portati oltre la linea nemica, mentre elementi nemici erano penetrati nel nostro schieramento. Le prime luci dell'alba permisero finalmente di chiarire la situazione. I concentramenti di fuoco ordinati dal comando del 9° bersaglieri avevano validamente sostenuto le azioni notturne di contrattacco dei reparti, ma il nemico, malgrado le perdite, si preparava all'attacco finale. Preceduta da un violentissimo fuoco di artiglieria, la 2a divisione neozelandese avanzò con tutti i suoi mezzi corazzati. Il 9° bersaglieri, appoggiato da otto carri armati tedeschi e dall'artiglieria, dimostrò in questa azione di possedere le più elette virtù e il più alto grado di addestramento. Dopo cinque ore di continui attacchi e contrattacchi il nemico venne definitivamente fermato e respinto sulle posizioni di partenza. Alle ore 1l del 26 il gen. Bottcher sistemò il suo comando vicino a quello del 9° bersaglieri e con il gen. Piazzoni giunto in quel momento con il XXXII battaglione motociclisti (rnagg. Pece), in considerazione del successo ottenuto dal reggimento, iniziò lo studio di un'azione offensiva per eliminare definitivamente la minaccia nemica in direzione di Tobruk. Ma proprio mentre si svolgeva tale colloquio, si verificò il cedimento di una parte del fronte di Tobruk e lo schieramento del reggimento venne preso alle spalle dal fuoco di artiglieria e di carri inglesi (usciti dalla piazzaforte ). Il momento fu veramente tragico. Il comandante del 9° bersaglieri ordinò ai due gruppi da 105 di rovesciare il fronte e sostenere I'azione del XXXII battaglione lanciato immediatamente al contrattacco. Il rombo dei motori si unì a quello delle artiglierie. La massa ondeggiò un attimo e poi filò velocissima nel polverone della piana. Il nemico, sottoposto al preciso tiro dei gruppi da 105 e sorpreso dall'improvviso nostro intervento, non resistette all'urto del XXXII battaglione, sostenuto da quattro carri armati tedeschi, e dopo breve combattimento si ritirò. La breccia fu subito dopo tamponata dalle truppe italiane che assediavano Tobruk ( ... ). La 2a divisione neozelandese intanto, ricevuti rinforzi, intensificò le sue azioni con grande appoggio di 73 artiglieria, ma ogni velleità nemica venne infranta dalla reazione dei bersaglieri, che appoggiati dal II gruppo del 21° artiglieria contrattaccarono con grande impeto facendo numerosi prigionieri. Larghi vuoti si vennero però a creare anche nelle nostre file e più gravi nella 5a compagnia (cap. Longobardi) del XXX battaglione. Data la situazione, il colonnello comandante impiegò allora la riserva del reggimento (magg. Moro), che ristabilì prontamente !la situazione sul fronte della 5a compagnia, facendo prigionieri i reparti neozelandesi infiltratisi fra i capisaldi e che invano avevano cercato di congiungersi con i reparti usciti da Tobruk. «Davanti alle nostre linee centinaia di caduti avversari e alcune decine di mezzi corazzati, fra i quali alcuni carri Mark II, nonché camionette inutilizzate e bruciate, testimoniavano la tenace resistenza opposta dai valorosi bersaglieri del 9° e dai magnifici artiglieri del II gruppo del 21° artiglieria ( ... ). Alle 22,30 circa (del 26) il nemico sferrò nuovamente l'attacco in forze a cavallo della direzione già seguita all'inizio dell'azione e, benché contrastato con accaniti corpo a corpo dai bersaglieri e battuto efficacemente dall'artiglieria, riuscì ad aprirsi un varco in corrispondenza della 5a compagnia, ormai decimata, e un nucleo di arditi neozelandesi puntò sul comando di settore che si dispose a caposaldo, con il plotone arditi di reggimento, una sezione mitragliere da 20 mm e due pezzi da 47/32. La lotta si risolse all'arma bianca e parecchi bersaglieri e artiglieri vennero pugnalati. La breccia aperta nello schieramento della 5a compagnia fu tamponata dallo spostamento della 2a compagnia del :XXVIII battaglione. Il comandante di reggimento comunicò ai comandanti di battaglione che nel caso di altri cedimenti, i rispettivi reparti dovevano ripiegare sulla linea del marabutto e continuare alla difesa a oltranza. Il gen. Bottcher, che seguiva da vicino le vicende del 9° bersaglieri, alle ore 2 del 27, ritenendo pienamente assolto dal reggimento il compito assegnatogli di trattenere il nemico fino all'arrivo delle divisioni corazzate tedesche, ordinò di ripiegare a cavallo della Trigh Capuzzo, sulla 74 linea compresa fra quota 151 di En Nsalat e quota 134 di Sghifet el-Escat. Il difficile ripiegamento per scaglioni, iniziato alle ore 3, venne eseguito ordinatamente e alle ore 9 il reggimento raggiungeva la nuova zona di impiego. Ultimo a muovere dalle posizioni cosi duramente contrastate fu il serg, magg. Masucci il quale con la sua squadra mitraglieri tenne testa al nemico fino alle prime ore del pomeriggio, riuscendo a portarsi dentro la nuova linea con poche perdite.” Il sacrificio di sangue dei combattimenti può essere riassunto in queste cifre: 61 caduti (5 ufficiali), 127 feriti (5 ufficiali), 80 dispersi. 75 LA SECONDA GUERRA MONDIALE (1939 – 1945) L’evento storico in cui ogni nazione s’impegnò nel dare il meglio di sé stessa è certamente la Seconda Guerra Mondiale. Al di là delle ideologie contrapposte che meriterebbero un’analisi politica approfondita, noi qui ci proponiamo di esaminare gli scenari bellici nei quali furono compiuti atti di valore meritevoli di medaglia al Valor Militare. Possiamo quindi focalizzare i momenti salienti in cui alcuni cremonesi hanno donato la vita per la Patria: fronte francese, Guerra d’Africa, Campagna di Russia, battaglie nei cieli, guerra in mare, lotta partigiana. Nel percorso storico che segue non sono citati tutti i decorati, che saranno elencati successivamente, ma solo alcuni particolarmente significativi per il loro coraggio. In circa sette anni di guerra le varie tappe del conflitto si possono così delineare: 1939 1 settembre, attacco tedesco alla Polonia 3 settembre, dichiarazione di guerra alla Germania da parte di Francia e Gran Bretagna 30 novembre, attacco dell'URSS alla Finlandia 76 1940 aprile, la Germania invade Danimarca e Norvegia maggio, dopo aver invaso Olanda e Belgio, l'esercito tedesco inizia a penetrare in Francia 10 giugno, Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia 14 giugno, i tedeschi occupano Parigi 22-24 giugno, armistizio francese con Germania e Italia settembre, l'esercito italiano avanza in Egitto 28 ottobre, l'esercito italiano inizia una campagna militare contro la Grecia, partendo dall'Albania 1941 gennaio-febbraio, dopo aver attaccato la Somalia francese e britannica, l'esercito italiano viene sconfitto dagli inglesi e perde il controllo dell'Abissinia. 17 aprile, capitolazione della Jugoslavia, occupata da tedeschi, italiani, ungheresi e bulgari. 27 aprile, Atene occupata dai tedeschi. 22 giugno, attacco tedesco all'URSS. 7 dicembre, attacco giapponese a Pearl Harbor, Giappone e USA entrano nel conflitto. Il Giappone è in guerra con la Cina dal 1937. 11 dicembre, Germania e Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti. 77 1942 6 maggio, i giapponesi conquistano le Filippine giugno, gli americani sconfiggono la flotta giapponese alle Isole Midway 23 ottobre, inizia la grande controffensiva britannica ad El Alamein dicembre, inizia la deportazione in massa di prigionieri di guerra e civili verso la Germania 1943 13 maggio, capitolazione delle armate africane di tedeschi e italiani 10 luglio, americani e inglesi sbarcano in Sicilia 19 luglio, bombardata Roma 24-25 luglio, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo Mussolini viene messo in minoranza e destituito. Il maresciallo Badoglio viene incaricato di formare il nuovo governo. 26 luglio, sciolto il Partito Nazionale Fascista e soppresso il Gran Consiglio. 3 settembre, firmato l’armistizio tra Italia e Angloamericani. Invasa la Calabria. 8 settembre, l’armistizio è reso noto agli italiani. 9 settembre, il re e il governo fuggono da Roma e si rifugiano a Brindisi. 10 settembre, i tedeschi occupano Roma 12 settembre, i tedeschi liberano Mussolini 78 23 settembre, Mussolini annuncia la costituzione della Repubblica Sociale Italiana nei territori controllati dall'esercito tedesco 14 ottobre, annuncio di Badoglio: l’Italia "si considera in guerra con la Germania". L'Italia è divisa tra due governi, sotto la tutela di due eserciti: al Nord quello tedesco, al Sud quello degli alleati anglo-americani. 1944 8-10 gennaio, la Repubblica Sociale processa a Verona i gerarchi fascisti che avevano messo in minoranza Mussolini nel Gran Consiglio del 24-25 luglio ’43. Cinque verranno fucilati. 22 gennaio, sbarco degli anglo-americani a Anzio e Nettuno. 4 giugno, gli alleati entrano in Roma 6 giugno, inizia lo sbarco in Normandia 4 agosto, liberata Firenze 25 agosto, liberazione di Parigi ottobre, americani e australiani iniziano la riconquista delle Filippine. 1945 19 febbraio, a Iwojma il primo sbarco americano sul territorio giapponese. 21 aprile, liberata Bologna 79 25 aprile, insurrezione a Milano. Il CLNAI assume pieni poteri. 28 aprile, giustiziato Mussolini, catturato mentre tenta la fuga in Svizzera 30 aprile, Hitler si uccide nel suo bunker a Berlino 7 maggio, resa della Germania, ratificata il 9 maggio. 6 agosto, sganciata la Bomba atomica su Hiroshima. 9 agosto, Nagasaki 14 agosto, resa del Giappone, firmata poi il 1-2 settembre FRONTE FRANCESE Una parte poco nota della II Guerra Mondiale è certamente la battaglia delle Alpi Occidentali (10 – 25 giugno 1940). Lo scontro, che si concluse con una vittoria tattica francese ma con la vittoria strategica italiana, vide impegnato l’esercito regio forte di 300.000 uomini contro 170.000 effettivi francesi. Le perdite italiane ammontarono a 631 morti, 616 dispersi e 2.631 tra feriti e congelati. Tra i 2.631 feriti si distinse il soldato Vincenzo Capelli di San Bassano Cremonese appartenente al 65° reggimento fanteria. Il 22 giugno 1940 veniva gravemente ferito agli occhi nel combattimento di Traversette. Nel luglio dello stesso 80 anno subì l’enucleazione di entrambi gli occhi. Per questo motivo gli fu conferita la medaglia d’oro al Valor Militare. Capelli fu il primo decorato cremonese della II Guerra mondiale. (Forte di Tavernelle oggi) 81 LA FIGURA DI VINCENZO CAPELLI ATTRAVERSO LE SUE PAROLE E QUANTO GLI ALTRI HANNO SCRITTO SU DI LUI Il caso di questo giovane milite poco più che ventenne (1916 – data della perdita degli occhi 1940) ci viene tramandato dalle sue parole, che non lasciano spazio all’immaginazione. Sono frasi di grande impegno sociale al servizio della Patria: “ È stata una specie di spruzzata di lava… la pelle si cicatrizzò immediatamente senza lasciare tracce. La mattina già non riuscivo più a distinguere il disco del sole… Bisogna, oggi più di un tempo, che Milano sia a noi vicina: ricordare le nostre sofferenze per insegnare e consegnare ai giovani un mondo che desideri la pace e l’amore. Vorrei che un giorno non ci fossero più mutilati per cause belliche, perché non deve più esistere la guerra”. Franco Tettamanti ha scritto di lui11: “il 2 agosto del 2001 si conclude il lugo e difficile viaggio del soldato Capelli. Un viaggio al buio, con le cicatrici e le3 ferite difficili da cancellare. Un viaggio nella solidarietà e nel coraggio, senza congedarsi mai dall’impegno umano e civile”. 11 Testo tratto dall’articolo apparso sul Corriere della Sera di mercoledì 23 giugno 2010. 82 GUERRA D’AFRICA Il conflitto africano, dopo la Campagna di Russia, è stato quello che ha visto coinvolto il maggior numero di uomini. Date distanze tra le due parti dell’Impero (Libia e Corno d’Africa) è necessario sdoppiare lo scenario bellico nelle sue componenti, evidenziando obiettivi e dinamiche dei combattimenti. LA GUERRA NEL NORD AFRICA Dopo pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia l’Impero, così fortemente voluto da Mussolini, perdeva già i suoi pezzi. Nel mese di ottobre 1940 venivano evacuati tutti i civili, a Tripoli rimanevano solo militari e coloro che coprivano posti di comando. Tra le località interessate dagli scontri ci sono alcuni nomi ricorrenti nella storia militare: Marsa Matruh, El 83 Alamein, Tobruk. Quest’ultima è nota per l’abbattimento da parte di “fuoco amico” dell’aereo di Italo Balbo Governatore della Libia (28 giugno 1940), ma la località che ha dato una svolta decisiva alla guerra nel Nord Africa è senza dubbio El Alamein. Qui sono avvenute due battaglie: la prima dal 1° al 27 luglio 1942, la seconda (quella più significativa) dal 23 ottobre al 3 novembre 1942 ed avrà uno strascico fino al maggio del 1943 con la resa delle forze dell’Asse in Tunisia. Al momento della battaglia le forze italiane e tedesche ammontavano a 116.000 effettivi e 547 carri armati contro gli Alleati12 che disponevano di 195.000 uomini e 1.029 carri armati. I dati riguardanti le perdite italotedesche sono sconvolgenti: si parla di circa 30.543 tra morti, feriti e dispersi, più 500 carri armati distrutti e 84 aerei abbattuti. Secondo altre fonti i morti risalirebbero a 10.000, 15.000 feriti e 34.000 prigionieri. In questa débâcle si fecero onore il capitano Amedeo Bordoni M.O.V.M. e il generale di divisione Ugo Scirocco (M.A.V.M. e 2 medaglie di bronzo). Questo ufficiale è una delle figure di spicco della storia militare italiana, basti ricordare le Campagne alle quali partecipò: guerra di Libia 1911-1912, Albania 1913-1914, battaglia del Piave 1915-1918 e guerra d’Africa 1940-1943 (Tobruk, Marsa Matruh, El Alamein). 12 Lo schieramento alleato era composto da: Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, India, Sud Africa, Francia Libera e Grecia. 84 Non dobbiamo infine dimenticare il sottotenente di complemento Ernesto Vercesi, che si guadagnò 2 medaglie di bronzo V.M. (Marsa Matruh e Marmarica) e 1 croce di guerra V.M. a Muset el Ghebir. La figura di Ernesto Vercesi divenne molto nota nel dopoguerra per la sua intensa attività politica all’interno della Democrazia Cristiana, divenendone senatore della Repubblica nel 1987. Nella commemorazione presso il Senato, il presidente Giovanni Spadolini disse di lui: “La scomparsa di Ernesto Vercesi ha privato la regione Lombardia di un altro suo rappresentante, di un altro difensore dei diritti delle regioni. Nato il 19 aprile 1920 nel pavese, la sua carriera politica inizia nel dopoguerra, nelle file dell' Azione cattolica. Alla guerra aveva partecipato come valoroso ufficiale combattente, pluridecorato al valor militare. Si iscrive alla Democrazia cristiana nel 1946 e ricopre diversi incarichi a livello regionale e nazionale. Ma è nelle file della Coldiretti che egli eserciterà per anni, con passione, con assoluta dedizione, il suo impegno. Di quella esperienza conserverà a lungo un ricordo che si trasformerà in impegno concreto nelle diverse, successive tappe che ne segneranno la vicenda politica. Quando, infatti, venne eletto nel consiglio regionale della Lombardia, assunse immediatamente la presidenza della commissione agricoltura e, nel 1975, fu nominato assessore regionale all'agricoltura, incarico che mantenne nelle due successive legislature regionali. 85 Profondo sostenitore di un istituto regionale inteso come strumento per avvicinare i cittadini alla gestione della cosa pubblica, quasi specchio della terra di Carlo Cattaneo, fu fra coloro che segnarono maggiormente il sorgere e l'affermarsi di una cultura regionalistica non chiusa in se stessa, ma intesa come raccordo con la più ampia rappresentanza nazionale. Eletto senatore il 15 giugno 1987, nel collegio di Cremona, ha partecipato con impegno ai lavori della Commissione agricoltura di Palazzo Madama, recando il contributo di una passione e di una esperienza profonde. E ne abbiamo tutti apprezzato, in questi anni, le grandi doti di umanità, di esperienza, di riservatezza…” LA GUERRA AEREA E NAVALE LA GUERRA AEREA Mentre sul fronte africano infuriavano i combattimenti, una parte importante della guerra fu combattuta nei cieli e nel Mare Mediterraneo. La flotta aerea italiana, che era la più consistente in Europa durante la Prima Guerra Mondiale, non riuscì a competere con l’aviazione inglese e americana. Pure essendo l’Italia alleata con la Germania, era divisa da contrasti interni sull’utilizzo dell’aereo come mezzo bellico. Alla fine prevalse il concetto che l’apparecchio dovesse essere usato come velivolo offensivo d’attacco. 86 L’aereo, quindi, venne impiegato nei seguenti ruoli: caccia, cacciabombardiere, bombardiere (tattico, strategico o in picchiata), mezzo da trasporto, ricognitore, collegamento, pattugliatore marittimo. Dopo la fine della guerra d’Etiopia esisteva un piano per portare la potenza aeronautica militare a 3.000 velivoli, considerando 30 stormi da bombardamento, 10 da caccia, 2 d’assalto più ricognizione, trasporto e addestramento. Nel contesto della guerra aerea emergono alcuni piloti che vanno certamente ricordati per il loro coraggio: il capitano Mario Anelli (M.O.V.M. abbattuto nel cielo del Mediterraneo Orientale il 14 giugno 1941), il capitano pilota Annibale Sterzi (M.O.V.M. abbattuto nel cielo del Mediterraneo Centrale il 26 maggio 1942) e il maresciallo pilota Antonio Arisi (M.B.V.M.) distintosi in varie azioni belliche nel cielo del Mediterraneo. A proposito del maresciallo Arisi troviamo che prestò servizio nel 32° Stormo Bombardiere Terrestre Libia-Est, 8° Stormo Bombardiere Terrestre e 50°Stormo Assalto. Il 50° Stormo Assalto fu fondato nel 1936. Era composto dal 12°Gruppo (Squadriglie 159,160 e 165) e dal 16°Gruppo (Squadriglie 167,178 e 169), giusto un mese dopo venne costituita la 5a Brigata Aerea d’Assalto formata dal 50°Stormo e dal 5°Stormo. Con l’inizio delle attività belliche pur perdendo delle Squadriglie lo Stormo venne prima dislocato in Libia e successivamente in Egitto. Nel 1940 partecipava alla sua prima azione bellica 87 contro mezzi corazzati, in questo periodo si aggiungevano anche dei velivoli CR.32, il reparto si distingueva negli interventi a “tuffo”, un particolare modo di bombardare specifico della 2a Guerra Mondiale. In riconoscimento del superbo comportamento tenuto durante il ciclo operativo la Bandiera del 50°Stormo viene decorata con la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Va anche ricordato il sergente maggiore Alcide Leoni (2 medaglie d’argento V.M., 1 medaglia di bronzo V.M. e 1 croce di guerra V.M.). Leoni partecipò a diversi attacchi, mitragliano 12 apparecchi al suolo, 50 mezzi meccanizzati e partecipò all’abbattimento di 14 aerei nemici. LA GUERRA NAVALE Anche le battaglie navali ebbero una parte rilevante nella storia della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto con l’entrata in azione dei sommergibili. Allo scoppio del conflitto la Regia Marina era la quinta nel mondo dopo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Giappone e la Francia. Me nell’insieme aveva carenze concettuali, tecniche e costruttive, che la resero meno efficace delle altre, soprattutto per la mancanza di una aviazione di marina. Oltre a ciò era palese una carenza strutturale nella linea di comando in quanto ogni decisione importante era domandata al Comando Superiore della Regia Marina con tutti i ritardi che ne derivavano. Un 88 altro problema da non sottovalutare era la mancanza di carburante, per cui buona parte delle navi non riuscirono ad operare sfruttando al massimo le loro possibilità d’azione. Nel 1940 l’Italia disponeva delle corazzate: Littorio, Vittorio Veneto, Giulio Cesare, Conte di Cavour, Caio Duilio e Andrea Doria. A queste vanno aggiunti: 7 incrociatori pesanti, l’incrociatore corazzato San Giorgio, 12 incrociatori leggeri, 59 cacciatorpediniere, 50 MAS e oltre 100 sommergibili. Questa grande flotta aveva però un lato debole: il ritardo nella produzione di aereo siluranti e di portaerei, ciò dovuto alla competizione tra aeronautica e marina. L’arma nuova, comunque, fu il sommergibile che ebbe grande importanza nell’intero conflitto. Tra le battaglie più significative ricordiamo: Punta Stilo (1940), Capo Spada (1940), Capo Teulada (1940), Capo Matapan (1941), prima e seconda battaglia della Sirte (1941-1942). La battaglia navale di Capo Matapan fu certamente quella in cui la Marina italiana subì le maggiori perdite e che vide atti di valore meritevoli della medaglia d’oro tra cui l’ammiraglio Carlo Cattaneo. Il contributo dato dai marinai cremonesi è stato meno significativo rispetto all’aeronautica, ma ci ha consegnato diversi decorati con la croce di guerra al Valor Militare, medaglia d’argento e di bronzo. Dobbiamo infatti ricordare: Giuseppe Amici (2 croci 89 V.M.), Adriano Anticoni (sommergibilista, croce V.M.), Adelmo Bisaia (S. Capo silurista – sommergibilista, 2 croci al V.M.), Dario Bonelli (sergente silurista, croce V.M.), Oreste Botti (sottotenente del Corpo Equipaggi della Riserva navale, medaglia argento V.M. e medaglia di bronzo V.M.), Alfredo Gatti (tenente di vascello, medaglia d’argento V.M. e 2 croci di guerra V.M.). Questi sono solo alcuni dei combattenti che furono decorati, altri figureranno nell’elenco ufficiale dei decorati. Ricordando l’ampia estensione del conflitto, che vide la guerra nei Balcani e in Grecia, con l’assegnazione della medaglia d’oro V.M. al sottotenente Giulio Riboli, colpito a morte in Montenegro (1.6.1942), la medaglia d’argento ad Imerio Adorni ucciso sul fronte albanese (23.4.1941) e la Croce V.M. al sergente maggiore Agostino Domenico Francesco, dobbiamo considerare la grande partecipazione dell’esercito italiano nella Campagna di Russia. LA CAMPAGNA DI RUSSIA Il 22 giugno 1941 la Germania decideva di attaccare la Russia, dando il via all’operazione “Barbarossa”. I vertici militari tedeschi, sottovalutando l’Armata Rossa, erano convinti di vincere la guerra in poco tempo. In effetti le cose andarono ben diversamente. Come 90 avvenne durante le guerre napoleoniche, i sovietici ripiegarono verso l’interno adottando la tecnica della “terra bruciata”, mentre Stalin inneggiava al nazionalismo spingendo la popolazione alla resistenza e al sabotaggio. Le conseguenze per le forze del Reich furono disastrose. Benito Mussolini, ignorando la realtà dei fatti, decise d’intervenire inviando un Corpo di spedizione forte di 60.000 uomini (Csir trasformato poi in Armir) composto dalle divisioni Pasubio, Torino e Celere al comando del generale Messe. Nell’estate del 1941 il Corpo di spedizione italiano fu incaricato di forzare le posizioni nemiche sul fiume Dnestr, chiudendo i sovietici in una sacca tra il Dnestr e il fiume Bug. La divisione Pasubio fu quella maggiormente coinvolta negli scontri. Da subito si manifestò l’impreparazione dell’esercito italiano. L’artiglieria era in parte dell’ex esercito austro-ungarico, i carri armati erano inadeguati alle caratteristiche rotabili del territorio d’operazione, molti cannoni risalivano alla guerra italo-turca e alla Prima Guerra Mondiale. Il 2 giugno 1942 il generale Messe espresse a Mussolini tutte le sue perplessità sulla Campagna di Russia, ma il duce ribadì: “Caro Mess, al tavolo della pace peseranno assai più i 200 mila dell'Armata che i 60 .000 del Csir”. Fu così che alle precedenti divisioni si aggiunsero la 91 (affondamento della nave “Birmania” nel porto di Tripoli) (una strada di Tripoli dopo il bombardamento navale) 92 Cosseria, Ravenna e Sforzesca, la divisione d'occupazione Vicenza e tre divisioni del Corpo d'Armata Alpino, la Tridentina, la Julia e la Cuneense, che insieme alle prime presero il nome di ARMIR, la 8a Armata Italiana in Russia, al comando del generale Italo Gariboldi. In totale 229 mila uomini male attrezzati e quasi privi di mezzi. All’Armir, stanziata alla destra del Don, fu assegnato il compito di puntare su Stalingrado. Nella notte del 24 agosto 1942 avvenne il celebra assalto del Savoia Cavalleria nella steppa di Isbuscenskij. Ben 650 cavalleggeri italiani si trovarono ad affrontare oltre 2.000 siberiani. Il 16 dicembre 1942le divisioni Ravenna e Cosseria si trovarono ad affrontare l’imponente offensiva sovietica. Il II Corpo d’Armata veniva annientato. Nel gennaio 1943 l’Armir veniva praticamente distrutta e incominciava la ritirata13. La disfatta di Russia aprirà di fatto la strada alla caduta del Fascismo (25 luglio 1943). 13 Tra il 5 agosto 1941 e il 30 luglio 1942, il CSIR ebbe 1.792 morti e dispersi, e 7.858 feriti e congelati. Tra il 30 luglio 1942 e il 10 dicembre 1942, l'ARMIR ebbe 3.216 morti e dispersi, e 5.734 feriti e congelati. Per quanto riguarda le perdite durante la battaglia sul Don e la ritirata (11 dicembre 1942 - 20 marzo 1943), le cifre ufficiali parlano di 84.830 militari che non rientrarono nelle linee tedesche, e che furono indicati come dispersi, oltre a 29.690 feriti e congelati che riuscirono a rientrare. Le perdite ammontarono quindi a 114 520 militari su 230 000 Andarono inoltre perduti il 97% dei cannoni, il 76% di mortai e mitragliatrici, il 66% delle armi individuali, l'87% degli automezzi e l'80% dei quadrupedi. 93 In questo contesto molti cremonesi andarono a combattere con l’Armir e tantissimi non tornarono più a casa. Tra i combattenti più valorosi ricordiamo la medaglia d’oro V.M. Luciano Bertolotti, capitano degli alpini comandante della 264^ Compagnia del “Val Cismon”, che rimase vittima in un corpo a corpo col nemico14. Un altro atto di coraggio, pagato con la fucilazione, vide protagonista il sottotenente Arrigo Bertolotti del Rgt. Lanceri “Novara”, decorato con la medaglia d’argento V.M. Il Reggimento, coinvolto nell’Operazione Piccolo Saturno (contesto della battaglia di Stalingrado), nel 14 Dal sito dell’Ass.ne Nazionale Alpini di Vicenza www.anavicenza.it “Nell'agosto del 1942 il battaglione, articolato su C.do e cp. C.do, 264ª, 265ª, 277ª cp. alpini e la neo costituita 118ª cp. alpini d’arresto, unitamente ai battaglioni alpini “Vicenza” e “L’Aquila”, del 9° rgt. alp. e il resto della 3ª divisione Julia parte per il fronte russo ed in settembre è schierato sul fronte del Don. Il 23 dicembre, a seguito della massiccia controffensiva scatenata dai russi inizia il ripiegamento di tutte le unità del Corpo d'Armata alpino. Il “Val Cismon” nei giorni seguenti effettua lo sganciamento dal nemico e raggiunge per prima Tarnowka, quindi Poposnka. Il battaglione, unitamente ai btg. alpini “Tolmezzo”, “Cividale” e “L’Aquila” ormai ridotti a non più di 200 uomini ciascuno, compresi feriti e congelati, con poche salmerie e qualche raro autocarro con pochissimo carburante, sostengono il peso di tremendi combattimenti. Il 20 gennaio 1943 la colonna del 9° rgt. alp., di cui fanno parte i resti del “Val Cismon” giunge a Kopankij e trova l'abitato occupato da forti contingenti di truppe regolari sovietiche. L'attacco viene condotto con quello che resta del btg. alp. “L’Aquila”, seguito dal “Val Cismon” e dal “Vicenza”, appoggiati dal quel che rimane delle batterie dei gruppi “Udine” e “Val Piave”. Alla sera del 21 gennaio dopo furiosi combattimenti il “Val Cismon” non esiste più e i superstiti, sotto la neve, vengono incolonnati verso i campi di prigionia. Per queste azioni merita unitamente ai battaglioni “Vicenza” e “L’Aquila” il conferimento della medaglia d'oro al Valore Militare alla bandiera del 9° reggimento alpini”. 94 gennaio del 1943 iniziava il ripiegamento verso ovest. La marcia durò per oltre 1.000 chilometri, poi i superstiti furono imbarcati sulle tradotte e riportati in Italia. Arrigo Bertolotti fu catturato ferito. Durante la perquisizione egli si ribellò e fu barbaramente ucciso. Ricordiamo, infine, la medaglia di bronzo V.M. Giuseppe Avigo, decorazione guadagnata nella battaglia del Don e la Croce di guerra V.M. Giov-Batta Amoni dell’82°rgt. Fanteria Divisione “Torino”. Ovviamente questi non sono gli unici decorati, ve ne sono altri che si trovano nell’elenco allegato. ARMISTIZIO E LOTTA PARTIGIANA Siamo così giunti al famoso 25 luglio 194315 seguito dal ben più ricordato 8 settembre 194316, data in cui il 15 PROCLAMA DEL RE – Italiani, assumo da oggi il comando di tutte le forze armate. Nell’ora solenne che incombe sui destini della Patria ognuno riprenda il suo posto di dovere, di fede e di combattimento: nessuna deviazione deve essere tollerata, nessuna recriminazione può essere consentita. Ogni italiano si inchini dinanzi alle gravi ferite che hanno lacerato il sacro suolo della Patria. L’Italia, per il valore delle sue Forze Armate, per la decisa volontà di tutti i cittadini, ritroverà, nel rispetto delle istituzioni che ne hanno sempre confortata l’ascesa, la via della riscossa. Italiani, sono oggi più che mai indissolubilmente unito a Voi dall’incrollabile fede nell’immortalità della Patria. 25 luglio 1943 – Vittorio Emanuele III 16 PROCLAMA DI PIETRO BADOGLIO LETTO ALLA RADIO: « Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla 95 generale Pietro Badoglio, posto a Capo del Governo da Vittorio Emanuele III, firmò l’armistizio con le Forze Alleate schierandosi al loro fianco per proseguire la guerra contro la Germania nazista. La poca chiarezza delle clausole armistiziali fece interpretare il testo come la fine della guerra. Le forze armate italiane si disgregarono e, senza ordini precisi, si sbandarono. L’esercito tedesco catturò circa 600.000 prigionieri e li deportò nei lager in Germania. Il 50% dei soldati gettò le armi e ritornò a casa in abiti civili. Immediatamente l’esercito tedesco mise in atto l’Operazione “Achse” (Asse), occupando militarmente tutta la penisola italiana. Le ripercussioni immediate furono l’affondamento della corazzata “Roma” e l’annientamento della Divisione Acqui a Cefalonia17. Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza » 17 La 33ª Divisione fanteria "Acqui" comandata dal generale Antonio Gandin fu stanziata nelle isole, col grosso, composto dal 17º e 317º reggimento fanteria (giunto a Cefalonia nel maggio 1942), dal 33º Reggimento artiglieria, dal comando e dai servizi divisionali a Cefalonia e il 18º reggimento fanteria a . presidio di Corfù A Cefalonia oltre alla Acqui era presente la 2ª Compagnia del VII Battaglione Carabinieri Mobilitato più la 27ª Sezione Mista Carabinieri, da reparti del I° Battaglione Finanzieri Mobilitato, dai marinai che presidiavano le batterie costiere (una da 152 mm ed una da 120 mm) ed il locale Comando Marina, dal 110º Battaglione mitraglieri di corpo d'armata, tre ospedali da 96 Nel marasma che seguì l’8 settembre dobbiamo distinguere due diversi comportamenti: la posizione assunta dai militari che avevano deciso di intraprendere la lotta armata a fianco degli Alleati anglo-americani e l’adesione alle formazioni partigiane, che nel frattempo avevano già incominciato ad operare nel Nord Italia. Anche in questa convulsa situazione dobbiamo elencare atti di valore compiuti da militari e civili cremonesi di nascita o adozione, che meritarono la decorazione al Valor Militare. ATTI DI VALORE SETTEMBRE 1943 COMPIUTI DOPO L’8 Dopo lo sbandamento dell’esercito, molti militari si sentirono in dovere di dare la propria vita per difendere la Patria occupata dall’esercito tedesco, che da alleato era diventato nemico e considerava l’Esercito Regio traditore ad eccezione di alcune frange che avevano aderito alla neonata Repubblica Sociale Italiana fondata da Benito Mussolini a Salò. campo ed altre unità tra le quali il 188º Gruppo artiglieria di corpo d'armata (con tre batterie da 155/14) ed il 3º Gruppo contraereo da 75/27, per un totale di circa 12.000 uomini. Fino a fine agosto, organica alla divisione era anche la 27ª Legione CC.NN. d'Assalto, che aveva sostituito la 18ª Legione già con la Acqui durante la campagna di Grecia, ma la caduta del fascismo ne comportò il richiamo in patria. 97 Fu così che il contributo dato da Cremona portò agli onori militari il sottotenente Mario Flores (M.O.V.M.)18 colpito da una granata sparata da un carro armato nemico il 9 settembre 1943 davanti alla caserma “Manfredini” di via Bissolati. Con lui cadde anche l’allievo ufficiale Dante Cesaretti (M.A.V.M.). nella difesa di Cremona caddero 17 militari e 12 civili, i feriti furono 37. 18 La morte di Mario Flores è così descritta dal suo comandante capitano Giuseppe Gasparini, che lo propose per la medaglia d’oro V.M.: “Quella mattina alle 7 eravamo usciti dalla caserma con la Topolino per vedere che cosa succedeva dopo l'annuncio della sera prima. Al ponte sul Po, vidi che stavano arrivando i tedeschi, fu così che tornai in caserma e diedi l'ordine di resistere, ero il più alto in grado perché gli altri ufficiali erano andati via; feci piazzare i cannoni ai due ingressi perché il messaggio del nuovo capo del governo, Badoglio, era stato chiaro: «Risponderete alle provocazioni da qualsiasi parte arrivino». Sono circa le dieci della mattina quando si comincia a sparare. Gli. artiglieri sparando ad alzo zero resistono fino all'esaurimento delle munizioni, poi devono arrendersi. Due ore e mezza di combattimento. Con me era rimasto Mario Flores, giovane sottotenente, figlio di un generale. Era laureato in ingegneria, un bravissimo ragazzo. Morì durante i combattimenti di quel giorno. Io stesso scrissi la richiesta di Medaglia d'Oro al Valor Militare, che gli venne accordata. Lo prese una granata, in pieno petto. Morì quel giorno anche uno dei miei artiglieri, Medaglia d'Argento al Valor Militare. Chiesi l'Onore delle Armi. I'ufficiale tedesco venuto a parlamentare me lo promise, ma poi non mantenne. Intanto io feci ammainare la bandiera e ordinai di portarla in infermeria e di stenderla sopra il corpo di Mario Flores. Alle cinque di quel pomeriggio del 9 settembre venne un ufficiale della Wermacht con un interprete, mi chiese perché avevo resistito. Io risposi che avevo obbedito agli ordini del capo del mio governo. Se ne andò senza dire niente, ma verso le otto di sera tornò quel signore l'interprete, mi disse: Capitano se ne vada, alla svelta, vengono ad arrestarla". E così indossai il camice bianco e il distintivo della Croce Rossa e uscii, mi recai da una famiglia di Cremona che conoscevo, mi diedero dei vestiti. Poi tornai a Bergamo». 98 Altra bella figura di valoroso combattente è quella del capitano d’artiglieria Luigi Viviani, catturato dai tedeschi e fucilato il 29 settembre 1943. Anche Viviani è stato decorato con la medaglia d’oro V.M. Tra le vittime di Cefalonia va infine ricordato il sergente maggiore Angelo Boni falciato da una raffica di mitra sparatagli a bruciapelo in un corpo a corpo con nemico. Ad Angelo Boni fu conferita la medaglia d’argento V.M. LA LOTTA PARTIGIANA La storia della lotta partigiana meriterebbe uno studio a parte per la complessità degli eventi e l’eterogeneità dei personaggi coinvolti. Non potendo approfondire in questa pubblicazione la tematica, ci limitiamo a citare i fratelli Di Dio Emma Alfredo e Antonio, decorati entrambi con la medaglia d’oro V.M. e combattenti partigiani nella Repubblica dell’Ossola. Alfredo Di Dio Emma19 - Nato a Palermo vive a Cremona dove il padre, Brigadiere di P.S. si è trasferito. Dopo gli studi liceali entra all'Accademia militare di Modena. Ufficiale in servizio S.P.E. nel maggio 1943 è tenente e comanda una compagnia di carristi alla testa dei quali muove contro i tedeschi. Si porta poi in Valstrona dove lo raggiunge il fratello 19 Le notizie sui fratelli Di Dio sono riportate come scritte dal partigiano Cesare Bettini che combatté con loro. 99 Antonio e dove fonda la 1.a compagnia partigiana che si fonde poi con quella del Cap. Beltrami. Viene catturato a Milano dove si è recato per conferire col C.L.N. Dopo qualche mese viene liberato e riprende la lotta raggiungendo in Valstrona i Ten. Bettini e Rutto. Si sposta quasi subito ad Ornavasso col Ten. Bettini e fonda la Valtoce che sarà la più forte divisione partigiana per la liberazione e la difesa dell'Ossola. Cattolico convinto e praticante, di una lealtà cristallina dà ai suoi partigiani il motto "La vita per l'Italia". E fedele a questo motto verrà ucciso in battaglia a Finero il 12.10.1944. Medaglia d'oro al V.m. Antonio Di Dio Emma - Nato a Palermo, vive e compie gli studi a Cremona dove il padre, Brigadiere di P.S. è stato trasferito. Cattolico convinto e praticante diventa S. Ten. in S.P.E. Dopo l'8 settembre 1943 riesce a sfuggire alla cattura dei tedeschi e raggiunge il fratello Alfredo in Valstrona (No) che è a capo di un primo gruppo di Partigiani, la compagnia “Massiola”. I fratelli Di Dio Emma moriranno entrambi in combattimento. Con loro ha combattuto un altro ufficiale cremonese, il tenente dei bersaglieri Testori. Non possiamo infine dimenticare il capitano dei partigiani Giovanni Favagrossa (Brigata Garibaldi) caduto in combattimento l’8 settembre 1943 e decorato con medaglia d’argento V.M. “alla memoria”. 100 Tra le medaglie d’argento va ricordata Pacifica Zaira Meneghin (capitano formazioni partigiane – Brigata Giovane Italia Div. Artigara) catturata dai tedeschi, seviziata e condannata a morte. Verrà risparmiata per l’incalzare degli eventi. (monumento di Megolo di Mezzo dove morì Antonio Di Dio) 101 ALBO MEDAGLIE AL VALOR MILITARE DELLA PROVINCIA DI CREMONA Per meglio facilitare l’elencazione dei decorati al Valor Militare si è proceduto alla identificazione dei combattenti analizzando i vari eventi e i fatti storici che li compongono. Gli elenchi qui di seguito riportati potrebbero presentare lacune dovute alla perdita di alcuni dati frutto del trascorrere del tempo. Sarà nostra cura aggiornarli per quanto possibile. Nel 1921 una speciale Commissione si recò sui luoghi di battaglia contro l’Austria e raccolse i resti di 11 sconosciuti, che vennero portati nella basilica di Aquileia. In questa località Maria Bergamas, madre di un soldato morto in guerra il cui corpo non è mai stato ritrovato, fu scelta in rappresentanza di tutte le madri che avevano perso i figli in combattimento. La donna fu posta davanti alle 11 bare, appoggiò lo scialle sulla seconda, ma non riuscì a proseguire il suo percorso. Colta da malore si accasciò davanti alla decima bara, che venne quindi scelta come simbolo di tutti i caduti. La salma fu portata a Roma al Vittoriano, dove fu tumulata il 4 novembre 1921 con la dicitura “IGNOTO 102 MILITI”. Al Milite Ignoto fu con cessa la medaglia d’oro al Valor Militare con la motivazione: “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria”. Maria Bergamas - La foto è parte dell’album: Ministero delle Guerra, Ufficio Onoranze al Soldato Ignoto. Cerimonie. Il Viaggio della Salma. La tumulazione sull’Altare della Patria. 28 ottobre - 4 novembre 1921. Roma, Museo Centrale del Risorgimento, m,s. 998(37) 103 104