Leggi l`articolo - Dott.ssa Cristina d`Agostino

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L'APPROCCIO TERAPEUTICO E RIABILITATIVO
a cura di Stefano Respizzi*, Maria Cristina D'Agostino*, Lucio Genesio*, Pietro
Romeo*, Valerio Sansone**
* Dipartimento di Riabilitazione e Rieducazione Funzionale IRCCS Istituto Clinico Humanitas,
Rozzano (MI)
** Clinica Ortopedica, Università degli Studi di Milano
Per gentile concessione degli autori e della Rivista il medico SPORTIVO
(Articolo pubblicato nel Numero 3 - Anno 10 - 2010)
TRATTAMENTO E RIABILITAZIONE DELLE TENDINOPATIE
I tendini sono una struttura di connessione tra i muscoli (il motore) e
l'impalcatura di sostegno (le ossa), durante il gesto motorio, e allo stesso
tempo costituiscono uno snodo di trasmissione delle forze e degli attriti che le
attività muscolari esercitano sull'apparato scheletrico. Si configurano quindi
come un tessuto fibroso robusto, costituito da un tessuto connettivo
estremamente resistente, fatto principalmente di collagene e da una sostanza
più elastica, l'elastina, che consente di assorbire, trasmettere e graduare le
sollecitazioni che su di esso vengono ad agire durante il movimento. La guaina
sinoviale che riveste i tendini ha il compito di ridurre gli attriti.
CLASSIFICAZIONE DELLE TENDINOPATIE
La conoscenza del comportamento meccanico dei tendini è l'elemento
essenziale per capirne il meccanismo alla base della patologia. Da un punto di
vista delle modalità con cui si possono presentare, le lesioni tendinee possono
essere classificate in:
dirette, in cui il tendine è sottoposto in maniera acuta e diretta a un
trauma esterno
indirette, cioè dovute a un sovraccarico funzionale (per l'eccessivo
utilizzo)
Le lesioni indirette possono a loro volte essere distinte in:
acute: prodotte dallo stiramento eccessivo durante la contrazione
muscolare o in risposta a sollecitazioni intense e improvvise (una brusca
rottura di alcune fibre o di tutto il tendine, come può avvenire ad
esempio in una partenza dei 100 metri)
croniche (per un sovraccarico ripetuto nel tempo) fino all'incapacità del
tessuto di sopportare ulteriori tensioni e con la produzione di microlesioni
acute su pre-esistenti lesioni croniche (come nel caso di una rottura in un
tendine degenerato).
L'evenienza più tipica è quella legata all'uso eccessivo (lesioni indirette
croniche).I tendini sono, infatti, particolarmente soggetti a usura,
indebolimento, insufficienza funzionale e rottura (o lacerazione) per via delle
importanti energie e dei carichi che devono sopportare sia nella vita di tutti i
giorni, sia durante la pratica sportiva, soprattutto in chi svolge attività motorie
ripetitive (Fig. 1).
In tale situazione il tendine è sottoposto a costanti e considerevoli "stress" (ad
esempio il tendine che sfrega ripetutamente contro una prominenza ossea),
che può innescare un processo infiammatorio reattivo. Tuttavia
l'eziopatogenesi delle tendinopatie rimane ancora incerta e non è possibile
stabilire una relazione tra il tipo e l'intensità del sovraccarico funzionale e
l'insorgenza della patologia. Quello che sappiamo è che la struttura tendinea
sottoposta al lavoro muscolare va incontro a un continuo rimodellamento, sia a
livello cellulare sia a livello della matrice extracellulare. Attraverso questo
progressivo rimodellamento, il tessuto si adatta alle tensioni cui è sottoposto:
se tale adattamento si realizza adeguatamente e velocemente, il tendine è
pronto a ricevere quel carico e non subisce danni a livello della propria
struttura. Viceversa se il tempo di recupero e di adattamento sono insufficienti,
il tendine si espone ad una situazione di temporanea debolezza: in caso di
improvvise sollecitazioni può andare incontro a una lesione.
Per quanto riguarda i diversi fattori e le cause che concorrono all'insorgenza di
una tendinopatia, distinguiamo:
fattori legati a caratteristiche fisiche individuali quali l'età (i maschi sono
più colpiti), i difetti posturali o di malallineamento dell'arto inferiore
(ginocchio valgo-varo, tibia vara, rotula alta-bassa, ...), difetti
dell'appoggio plantare (piede piatto o cavo, ...), differente lunghezza
degli arti inferiori, deficit del tono muscolare, ridotta flessibilità,
eccessiva lassità articolare, sovrappeso corporeo, malattie internistiche
predisponenti (ad esempio reumatiche o metaboliche)
fattori esterni e non dipendenti dalle caratteristiche del soggetto, quali
un carico eccessivo sull'organismo per sport o lavoro (in base al tipo di
movimento, di velocità, al numero delle ripetizioni di un esercizio o di un
gesto motorio), all'uso di particolari calzature o equipaggiamenti, al tipo
di superficie di appoggio, per errori di allenamento, infine per condizioni
ambientali svantaggiose (caldo-freddo, elevata umidità).
La classificazione delle tendinopatie deve dunque tenere conto anche del tipo di
fattori che ne sono alla base: la tendinopatia rotulea è ad esempio una forma
morbosa di frequente riscontro in alcune gestualità sportive ed espressione del
sovraccarico funzionale di chi in particolare sollecita continuamente l'apparato
estensore. Insieme alla tendinopatia del tendine quadricipitale configura il
quadro del "ginocchio del saltatore", caratterizzato per dolore e limitazione in
sport quali il calcio, il basketball o la pallavolo. Allo stesso tempo, un'altra
manifestazione che riguarda il rotuleo riconosce una patogenesi diversa e
legata all'età: una delle forme più diffuse di patologia ortopedica della fase
dell'adolescenza è senz'altro quella che coinvolge l'inserzione sulla tibia del
tendine rotuleo e che è denominata malattia di Osgood-Schlatter. Un altro dei
casi più tipici di sofferenza tendinea riguarda invece il Tendine d'Achille:
l'incidenza di questa tendinopatia varia in letteratura scientifica dal 6,5% al
12%.
Lanzetta (in uno studio del 1993) riporta come la rottura del tendine d'Achille
accade di solito nei maschi tra i 25 e i 50 anni che praticano attività ludicosportiva a vari livelli. Ma le lesioni del tendine d'Achille sono note alla scienza
medica già da moltissimo tempo (basti pensare che una delle prime citazioni
risale al 1575 ad opera di Ambroise Parè, chirurgo personale di Carlo IX di
Francia). La comprensione della sua importanza funzionale è immediata,
considerando l'enorme lavoro che deve svolgere nel sollevare tutto il peso del
corpo durante la deambulazione; si calcola che durante una corsa il tendine sia
caricato di valori pari almeno otto volte il peso corporeo. È proprio questo
notevole sforzo che rende tale tendine, pur robusto e potente, una struttura a
rischio, specialmente in soggetti sportivi che lo sottopongono a sollecitazioni
particolari.
TENDINOPATIA E SPORT
Le patologie acute a carico dei tendini costituiscono uno dei problemi principali
che affligge chi pratica attività sportiva e sono normalmente diagnosticate
come tendinite, cioè un'infiammazione aspecifica a carico di un distretto
tendineo. In realtà la diagnosi che dovrebbe essere meglio espressa nella
maggioranza dei casi è però di tenosinovite cioè di un'infiammazione che
riguarda principalmente la guaina sinoviale che riveste i tendini, con
produzione di mediatori "collosi" che aumentano gli attriti tra il tendine e le
strutture dello spazio in cui scorre. In chi pratica sport, le strutture tendinee
più frequentemente colpite e dolenti sono il tendine rotuleo (per quel che
riguarda l'articolazione del ginocchio) e il tendine d'Achille (per quel che
riguarda l'articolazione della caviglia) (Fig. 2).
Nelle ultime tre decadi è notevolmente aumentata soprattutto l'incidenza delle
patologie da "overuse" e questo non solo per l'aumento della popolazione
sportiva a livello amatoriale, ma anche per una maggiore durata e intensità
degli allenamenti tra i professionisti. Nella maggior parte dei casi riguardano i
tendini maggiormente sollecitati e quindi secondo lo sport:
il tendine di Achille nei podisti e negli sport di corsa
i tendini della cuffia dei rotatori di spalla, prevalentemente in quegli atleti
la cui disciplina sportiva implica l'uso intenso e ripetuto dell'arto
superiore, in particolare per movimenti frequenti di lancio (giavellotto,
baseball, nuoto, canottaggio, tennis, ecc...)
il tendine rotuleo in chi sollecita, con calci e balzi, l'apparato estensore di
ginocchio.
Ma ovviamente possono interessare qualsiasi tendine sottoposto a tensioni e
movimenti ripetuti. Per quanto riguarda il tendine rotuleo, la frequenza
maggiore di patologia si ha nel calcio, nella pallacanestro, nella pallavolo, tanto
da configurare il quadro tipico definito "ginocchio del saltatore", forma
infiammatoria cronica dell'inserzione rotulea del tendine rotuleo che interessa
un'alta percentuale di atleti che svolgono attività sportive caratterizzate dal
salto come gesto tecnico prevalente. Anche negli sportivi, le cause di
tendinopatia possono essere multiple e in particolare da ricercare nella ridotta
elasticità muscolare, in fattori endocrini e metabolici, infine anche per fattori
genetici ed ereditari. L'evento scatenante è rappresentato però sempre da un
eccessivo carico di lavoro per il tendine, che risponde agli insulti meccanici
deteriorandosi. Nella maggior parte dei casi questo è rappresentato dai
microtraumi ripetuti che accadono negli sportivi, cioè sollecitazioni incostanti,
non uniformi, alle volte improvvise che stimolano una risposta adattativa,
metabolica e strutturale, anormale e disordinata.
Per quanto riguarda la loro classificazione, l'esperienza clinica porta a
considerare la necessità di associare al quadro di presentazione dei sintomi una
graduazione circa lo stato evolutivo, e quindi prognostico, della tendinopatia.
Una delle classificazioni più pratiche e utilizzate nello sportivo è quella che si
attiene al tempo di insorgenza della sintomatologia dolorosa, riconoscendo
come primi stadi (e quindi a prognosi migliore) la presenza di dolore solo dopo
l'allenamento o la gara, alleviato dal riposo; nelle fasi successive, invece, il
dolore si presenta sin dall'inizio dell'attività e rimane continuo, durante e dopo
l'attività o magari si attenua man mano che il muscolo si riscalda, ma
determina comunque una limitazione dell'attività sportiva. Come vedremo
dopo, i sintomi clinici si manifestano prevalentemente durante la fase
eccentrica del movimento (ad esempio nella decelerazione dopo uno scatto,
nell'atterraggio dopo un balzo). è opportuno rilevare la necessità di ricorrere a
lunghi stop e, alle volte, a interventi terapeutici "impegnativi" che derivano
spesso dalla sottostima del problema da parte dell'atleta e degli allenatori che,
stimolati dagli impegni agonistici, scelgono di non sospendere l'attività, magari
ricorrendo a strade che appaiono più semplici come il controllo del dolore con i
farmaci, ma ostacolando così i fisiologici processi riparativi del tendine e non
risolvendo il problema che ne sta all'origine. Si ipotizza, infatti, che le
sollecitazioni ripetute sulla giunzione miotendinea siano alla base di fenomeni
di microlesioni e successiva degenerazione alla quale il tendine, per inefficiente
tempo di recupero e riposo e per la sua stessa scarsa vascolarizzazione, non è
in grado di rispondere con un adeguato processo di riparazione.
QUADRI CLINICI IN ETÀ EVOLUTIVA
Come in precedenza accennato, una tra le più frequenti forme di tendinopatia
rotulea, che colpisce tipicamente i giovani sportivi tra i 12 e i 15 anni, è
costituita dalla malattia di Osgood-Schlatter, una infiammazione all'inserzione
del tendine sulla tuberosità tibiale anteriore, determinata dallo squilibrio tra la
forza del muscolo quadricipite e il grado di resistenza alle trazioni di un osso
ancora immaturo. Spesso si osservano vere e proprie avulsioni ossee che
presuppongono uno stop della attività per diversi mesi, nonostante la tendenza
a sottostimare il problema da parte di questi atleti adolescenti, desiderosi di
riprendere a giocare in tempi rapidi. Altra forma clinica che colpisce
frequentemente i soggetti nell'età evolutiva è la tendinopatia inserzionale
achillea che si caratterizza per la presenza di una tumefazione incostante e
dolente in corrispondenza del calcagno, con frequente ispessimento del tendine
e dolore che può essere evocato dal semplice sfregamento della tomaia della
scarpa sportiva (tanto da richiedere spesso una calzatura su misura). Con il
riscaldamento generalmente il dolore tende ad attenuarsi per ripresentarsi in
forma acuta al termine dell'attività. Ancora una volta è necessario rilevare
come le forme sottovalutate sfocino inevitabilmente in tendinopatie croniche di
difficile gestione.
CLINICA E DIAGNOSI
Le tendinopatie sono quindi patologie molto invalidanti la performance sportiva
e le attività della vita di tutti i giorni.
Dal punto di vista sintomatologico, le tendiniti si manifestano inizialmente per
la comparsa di dolore che insorge gradualmente e limita il movimento, dal
momento che lo spazio di scorrimento è ridotto. Obiettivamente, si può
apprezzare un caratteristico crepitio nel movimento articolare. Nel caso in cui
occorra la cronicizzazione del processo infiammatorio, avvengono dei danni
anatomici che configurano il quadro di tendinosi; alla risposta cellulare
infiammatoria dei leucociti si sostituiscono i macrofagi e la plasmacellule, con il
compito di eliminare il tessuto sofferente: per tale motivo il tendine va incontro
a significative trasformazioni di carattere degenerativo per perdita della
normale organizzazione dei fasci di fibre collagene, e molte volte ciò determina
una riduzione della sintomatologia dolorosa. Anche nel caso di cronicizzazione,
i sintomi sono rappresentati dal dolore al movimento e a riposo e da
insufficienza funzionale, anche se normalmente meno intensi che nella fase
acuta, mentre è di frequente riscontro una riduzione del tono muscolare che
predispone ulteriormente il tendine a un sovraccarico funzionale. Il sistema di
distribuzione del carico, infatti, non può prescindere da un efficiente tono del
muscolo corrispondente: se questo è debole o affaticato la capacità di
assorbimento dell'energia dell'intera unità muscolo-tendinea è ridotta e il
muscolo non protegge più il tendine dalle sollecitazioni in allungamento.
All'esame obiettivo vi può essere una tumefazione a livello della zona di
inserzione del tendine sull'osso (giunzione miotendinea) che risulta dolente alla
pressione. La diagnosi, comunque, è posta sulla base delle caratteristiche del
dolore che, nelle fasi iniziali, tende a scomparire con il riscaldamento, per
divenire a volte persistente e invalidante. L'evoluzione del dolore è
generalmente in funzione dei carichi a cui si sottopone il tendine (opportuno
consigliare il riposo funzionale), dell'efficacia delle terapie messe in atto e delle
condizioni generali del paziente (tono muscolare, estensibilità muscolare, livello
di allenamento se sportivo). è difficile, clinicamente, determinare quando
avviene il passaggio tra la risposta infiammatoria e l'inizio della fase cronica
degenerativa, ma tale necessità diventa ovviamente fondamentale per una
valutazione prognostica e terapeutica. In fase cronica, le capacità di guarigione
e riparative delle cellule tendinee sono, infatti, ridotte, impedite o a volte rese
inefficaci dai microtraumi ripetuti. Pertanto il trattamento più efficace in una
prima fase è sicuramente il riposo: se non si ripete più il movimento che causa
l'irritazione, vi sono buone possibilità che la reazione infiammatoria si spenga.
Ciò vuol dire che potrebbe essere necessario fermare un individuo dalla sua
usuale attività lavorativa o chiedere a un atleta di restare fermo per un tempo
anche di parecchie settimane! Ovviamente questo riposo è di difficile
concessione sia in chi svolge un'attività lavorativa necessaria per mantenersi,
sia per lo sportivo a cui è necessario comunque proporre una attività
alternativa che non coinvolga il distretto anatomico interessato: si parla
pertanto di riposo "funzionale". Il quadro clinico, se valutato attentamente da
un medico esperto, non pone generalmente dubbi diagnostici. Quando
necessari, gli approfondimenti diagnostici presuppongono l'utilizzo di
metodiche che consentano di esaminare i tessuti molli (tendini, muscoli,
legamenti, ...) e le regioni inserzionali come l'ecografia e la Risonanza
Magnetica Nucleare (RMN). Il quadro ecografico (che va valutato sempre in
confronto con l'arto controlaterale) nelle forme acute è caratterizzato dal
rilevamento di un ispessimento della guaina che riveste il tendine. Nelle forme
croniche, l'esame strumentale evidenzia normalmente un'irregolarità del profilo
osseo al margine dell'inserzione tendinea, un aspetto ipoecogeno da ridotta o
disomogenea densità del tessuto, con micro lacune lungo il decorso del tendine
stesso. Talvolta possono essere presenti calcificazioni isolate e distensioni delle
borse sinoviali sia superficiali che profonde. Per quel che riguarda il tendine
d'Achille, può essere utile, oltre all'ecografia, fare una radiografia che permetta
di evidenziare eventuali irregolarità del profilo calcaneare (Malattia di
Haglund). Ricapitolando, diverse sono le classificazioni proposte per definire i
disordini tendinei. Se ci riferiamo alle lesioni da overuse (eccesso di
sollecitazione funzionale) degli anglosassoni si possono distinguere 4 diversi
stadi di patologia:
peritendinite (infiammazione del "paratenonio" ossia della guaina che
riveste il tendine con mantenimento delle caratteristiche strutturali)
tendinosi (ciò comporta cambiamenti degenerativi dentro il tendine e può
coesistere o meno con la peritendinite)
tendinopatie inserzionali (sofferenza del tendine alla giunzione tendineosso con irregolarità del profilo osseo e lacerazione parziale di alcune
fibre)
rottura completa del tendine.
Questa suddivisione, apparentemente accademica, ha invece un suo preciso
valore per individuare l'evoluzione della tendinopatia. Spesso la progressione
della degenerazione tendinea e delle anomalie strutturali associate (cavità
pseudocistiche, calcificazioni, ...) comporta una riduzione della capacità
prestativa, tanto da obbligare l'atleta a tentare soluzioni terapeutiche difficili o
cruente (chirurgia), se non addirittura ad abbandonare l'attività agonistica. Per
fortuna, solo raramente si assiste alla rottura a tutto spessore del tendine,
evenienza che di solito è conseguente a trattamenti terapeutici non idonei, (es.
infiltrazione con corticosteroidi). Oltre alla ricerca delle sovracitate condizioni
predisponenti (costituzionali o acquisite) che sono rilevabili all'esame clinico
(asimmetrie, difetti posturali, instabilità articolari) e che vanno regolarizzate
per ottenere un risultato terapeutico, fondamentale è la ricerca e l'eliminazione
di eventuali elementi esterni che favoriscono la cronicizzazione della
sintomatologia.
METODICHE DI TRATTAMENTO NON CONVENZIONALI BASATE SULLA
ESPERIENZA CLINICA
Come è stato descritto nei capitoli precedenti, il trattamento delle patologie
tendinee si basa essenzialmente sulla classificazione diagnostica. Ne consegue
che, in tutte le tendinopatie di stadio I-III, il trattamento è di tipo
conservativo, mentre in quelle di stadio IV, quando possibile, viene attuato il
trattamento chirurgico per via artroscopica o "a cielo aperto". Il primo segno di
una compromissione tendinea (o tendinite) è la sensazione di fastidio, seguita
da dolore che si accentua nello svolgimento dell'attività fisica; è probabile che
il dolore si manifesti anche al riposo, soprattutto al mattino o che si accentui
particolarmente sotto la pressione delle dita. Se si dovessero trascurare questi
sintomi, il danno tendineo potrebbe aggravarsi, la guaina e/o la borsa tendinee
si potrebbero infiammare (peritendinite e/o borsite) con conseguente
aggravamento della situazione e aumento dei tempi di recupero funzionale. In
questi casi è d'obbligo interrompere l'attività fisica.
Ricordando che le tendinopatie dello sportivo sono quasi sempre dovute a
sovraccarichi funzionali, tali patologie si possono tuttavia ricondurre a varie
cause che, associate tra loro, possono contribuire all'aumento della gravità
della tendinite: scarsa o eccessiva preparazione atletica, eccessivo o intenso
allenamento, squilibrio o ipotonia muscolare, sovrappeso, problemi posturali e
dismetrie degli arti inferiori, gestualità atletica scomposta, mancanza di
elasticità muscolare, ecc. Il trattamento delle patologie tendinee si basa
essenzialmente sulla classificazione diagnostica della patologia che avviene con
l'esame obiettivo e l'ecografia. Tra le varie classificazioni utilizzate si ricorda
quella basata sull'evoluzione clinica del problema, che prevede una
suddivisione della gravità della patologia in quattro stadi (Tabella). Di
conseguenza, in tutte le tendinopatie di stadio I-III il trattamento è di tipo
farmacologico o conservativo,mentre in quelle di stadio IV, cioè in presenza di
rottura del tendine, quando possibile, viene attuato il trattamento chirurgico
per via artroscopica o "a cielo aperto".
TRATTAMENTO CONSERVATIVO
I trattamenti conservativi variano in maniera considerevole tra i vari specialisti
e spesso si fondano esclusivamente su basi empiriche e sulla esperienza clinica
di ognuno, piuttosto che su basi scientifiche. Alcuni medici prescrivono farmaci,
altri preferiscono mettere l'atleta a riposo e aspettare semplicemente di vedere
gli effetti del riposo forzato. A volte, invece, si preferisce intervenire
attivamente mediante fisioterapia, con esercizi specifici di rieducazione o con
una combinazione tra le due modalità. Qualunque siano le metodiche utilizzate,
il trattamento conservativo si prefigge di:
eliminare il dolore
ridurre l'infiammazione
promuovere la guarigione del tendine
ripristinare il prima possibile la funzionalità articolare e quindi l'attività
sportiva.
Nelle attività sportive, gli infortuni sono suddivisi in due categorie: infortuni
acuti e infortuni da abuso. L'infiammazione è il sintomo più evidente di
entrambe le categorie ed è una parte naturale del processo di guarigione di
qualsiasi infortunio. In ogni caso, l'infiammazione cronica può causare una
maggiore disgregazione del tessuto e ostacolare il processo di riparazione.
Spesso, per eliminare o alleviare i sintomi che accompagnano l'infiammazione
del tessuto connettivo, sono usati farmaci quali i FANS, infiltrazioni di acido
ialuronico o di cortisonici nei casi più gravi, micronutrienti favorenti il processo
di riparazione tendinea. Alcune di queste sostanze possono tuttavia modificare
il processo di riparazione e di guarigione. Anche le condizioni metaboliche,
come l'invecchiamento e il diabete, possono influenzare la salute del tessuto
connettivo. Spesso l'invecchiamento è accompagnato da un declino del
funzionamento articolare o da una rigidità generale delle articolazioni e
influenza la natura e la portata del processo di riparazione nel tessuto
infortunato. Infatti, quando il tessuto connettivo invecchia, la presenza di
collagene e di proteoglicani cambia e ciò, a sua volta, modifica le proprietà
meccaniche e la fisiologia del tessuto. Di conseguenza, le cellule del tessuto
perdono la loro capacità di dividersi, specialmente nella cartilagine articolare
dove i condrociti sono malnutriti. Inoltre, è bene ricordare che i proteoglicani
prodotti dai condrociti vecchi sono molto diversi da quelli prodotti dalle cellule
più giovani e ciò modifica le proprietà dell'articolazione. Alcuni Autori hanno
dimostrato, inoltre, che l'immobilità dovuta a traumi o infortuni, può ostacolare
il normale metabolismo e rimodellamento del tessuto connettivo tendineo.
Infatti, quando un'articolazione è immobilizzata, il minore carico e scarico
meccanico della cartilagine e dei tessuti circostanti interferisce con il normale
ricambio delle cellule e degli elementi della matrice. Il minore stimolo delle
cellule si traduce in minore sintesi di proteoglicani. Di conseguenza, la perdita
di matrice aumenta la vulnerabilità del tessuto all'infortunio quando si riprende
l'attività normale. Gli studi su modelli animali hanno evidenziato che l'attività
fisica è utile per il metabolismo normale del tessuto connettivo. È stato
dimostrato che i livelli di idrossiprolina, idrossilisina e piridinolina, aminoacidi
essenziali, possono essere considerati come indici indiretti della disgregazione
del tessuto connettivo, tanto da suggerire che la compromissione o la
disgregazione del tessuto connettivo possano essere dovute alla risposta
infiammatoria locale al trauma muscolo-tendineo indotto dall'attività fisica. I
mediatori dell'infiammazione nell'unità muscolo-tendinea possono favorire la
disgregazione del collagene e la susseguente sintesi nei tessuti connettivi
circostanti. Dal punto di vista terapeutico, nei casi di compromissione tendinea
in fase di stadio I o II, in cui è presente anche un processo infiammatorio
caratterizzato da dolore e limitazione funzionale, la terapia di tipo conservativo
rappresenta una valida scelta e dovrebbe essere attuata unitamente a riposo
funzionale, antinfiammatori, fisiokinesiterapia ed eventuali ortesi. Tuttavia,
occorre considerare due aspetti che, di recente, hanno assunto un ruolo nella
determinazione della terapia: il ridotto apporto di micronutrienti, essenziali al
benessere del tessuto connettivo tendineo, e l'importanza del liquido sinoviale
tendineo (TSF, tendon synovial fluid). Infatti, soprattutto quando si instaura
una lesione di grado lieve-moderato al tendine, il processo fisiologico di
riparazione tendinea è molto lento, poiché, come affermato in precedenza, i
tendini, pur essendo vascolarizzati, lo sono in misura minore rispetto ai
muscoli. Inoltre, il livello di vascolarizzazione dipende dalla struttura e dalla
sede tendinea; il nutrimento, o meglio l'apporto dei micronutrienti necessari al
mantenimento delle caratteristiche fisiologiche del tessuto tendineo, diventa
quindi un fattore importante di cui tener conto, in particolare in caso di
compromissione e lesione tendinea. Fisiologicamente, l'apporto dei
micronutrienti è assicurato dal movimento che ne favorisce la diffusione
"capillare" fino ai tendini, diffusione che viene invece ostacolata
dall'immobilizzazione. L'altro aspetto importante è rappresentato dal fluido
sinoviale tendineo che, insieme ai vasi ematici e linfatici, fornisce una quantità
significativa di nutrienti per molti tendini. Infatti, così come a livello articolare il
liquido sinoviale svolge un'importante azione nutrizionale e visco-lubrificante,
in modo analogo,a livello tendineo, il TSF prodotto dai sinoviociti interviene
attivamente nella nutrizione del tendine. Una volta prodotto, il TSF si stratifica,
come un film protettivo, consentendo quindi al tendine di poter scorrere
agevolmente. Ne consegue che, in situazioni caratterizzate da immobilità da
trauma, infiammazione o lesioni muscolo-tendinee, l'apporto dei micronutrienti
essenziali per il buon funzionamento e la conservazione del tendine si riduce o
viene comunque, in qualche modo, ostacolato. Su questo processo, recenti
studi sperimentali e clinici sembrano evidenziare come la supplementazione
esogena con integratori a base di micronutrienti e l'utilizzo di acido ialuronico
infiltrato nei tendini possano prevenire, mitigare e favorire la guarigione dei
danni tendinei provocati dall'attività muscolare. Tali evidenze hanno consentito
di identificare i micronutrienti essenziali per il tendine, rappresentati dal metilsulfonil-metano, uno dei principali donatori di solfati naturali organici,
indispensabili per l'omeostasi tendinea, dall'alfa-chetoglutarato di ornitina,
sostanza che blocca la fase catabolica indotta dalla lesione tendinea e
antagonizza i processi flogistici, dalla lisina, un aminoacido essenziale
necessario per la crescita e per la sintesi di alcune proteine essenziali per il
tendine, dalla glucosamina e dal condrotin solfato, glicosaminoglicani essenziali
per la fase riparativa tendinea, dalla vitamina C, che influenza il metabolismo
del tessuto connettivo tendineo, dalla biotina, che svolge un ruolo centrale
nella formazione del coenzima A, e dalla vitamina E, la cui attività
antiossidante aiuta a mantenere l'integrità del tendine. Quest'ultima vitamina è
un potente antiossidante, fondamentale nella lotta ai radicali liberi e per i
processi vitali e cellulari: protegge la vitamina A dalla scomposizione, la
vitamina C e quelle del gruppo B dall'ossidazione e migliora la trasportabilità
dell'ossigeno da parte dei globuli rossi. Inoltre, studi su animali da esperimento
hanno dimostrato che il deficit di vitamina E induce aumento di collagene
insolubile per inefficace protezione verso la formazione di perossidi. Pertanto,
la vitamina E rallenterebbe il danno ossidativo attraverso protezione del
collagene. Nuove acquisizioni hanno anche permesso di chiarire che tali
microelementi essenziali, quando somministrati insieme, agiscono in sinergia e
sono efficaci nel mantenere la funzionalità dei tendini, in particolare in soggetti
con carenze nutrizionali o sotto sforzo fisico, o in presenza di una patologia
tendinea.
Sulla base di queste evidenze, è stato condotto uno studio nel trattamento
della tendinite dei peronieri e del tibiale posteriore, una affezione dolorosa
frequentemente dovuta a microtraumi o traumi acuti, in atleti non
professionisti di pattinaggio su rotelle, confrontando un gruppo di pazienti
trattati con terapia fisica, riabilitativa e ortesica, e un gruppo di soggetti
trattati con un nuovo integratore di micronuitrienti, a base di metil-sulfonilmetano, ornitina-alfachetoglutarato, lisina, condroitin-solfato, glucosamina,
vitamina C, vitamina E e biotina, i cui componenti sono stati appositamente
studiati e selezionati per via della loro spiccata attività sinergica che assicura il
corretto apporto all'organismo dei micronutrienti essenziali, così da integrare e
aumentare le difese naturali tendinee. Sono stati arruolati 30 soggetti
pattinatori non professionisti di entrambi i sessi (età 22-36 anni, media 29)
affetti da tendinite del peroniero e del tibiale posteriore, con RMN negativa per
lesioni con soluzione di continuo del tendine, sottoposti precedentemente a
trattamento medico senza risultati apprezzabili. I pazienti arruolati sono stati
suddivisi in due gruppi e trattati secondo il seguente schema:
Gruppo A (15 pazienti): trattamento conservativo consistente in un ciclo
di 10 sedute di elettroterapia analgesica e tre sedute di onde d'urto per
un totale di 40 giorni
Gruppo B (15 pazienti): lo stesso trattamento conservativo del Gruppo A,
+ trattamento con il nuovo integratore di micronutrienti essenziali alla
posologia di 1 bustina da 3,5 grammi al giorno.
Per la valutazione dei risultati sono state utilizzate la scala VAS per la
valutazione della riduzione del dolore (0-100 mm), con misurazioni condotte
all'arruolamento e ogni 10 giorni fino al termine dello studio, e un questionario
per la valutazione del tempo necessario al ritorno all'attività sportiva, con
punteggio da 1 a 10 (1=nessun beneficio e assenza di ripresa sportiva 10=risoluzione sintomatologica e ripresa sportiva completa), con misurazione
basale e finale. A tutti i pazienti è stato permessa l'assunzione di paracetamolo
1000 mg, quale terapia antalgica suppletiva. Oltre alla valutazione dei
parametri di efficacia, rappresentati dalla riduzione della sintomatologia
dolorosa e dalla valutazione del tempo necessario alla ripresa dell'attività
sportiva, al termine dello studio è stato chiesto ai pazienti di riferire se
avessero assunto paracetamolo quale terapia antalgica suppletiva. Sebbene nei
pazienti selezionati per lo studio la gravità della tendinite ai peronieri e al
tibiale posteriore fosse di grado 1 secondo Myerson, occorre tuttavia
evidenziare che, come in tutte le patologie coinvolgenti i tendini, anche in
tendiniti di modesta gravità, il trattamento spesso necessita di tempi lunghi per
poter condurre il paziente alla guarigione clinica. In questo
studio,l'associazione di un integratore contenente i micronutrienti essenziali
per attenuare il danno tendineo ha il razionale di accelerare la riduzione della
sintomatologia della tendinite, così da ridurre i tempi di recupero della
funzionalità articolare, consentendo un precoce ritorno all'attività sportiva.
L'analisi dei risultati relativa ai due regimi di trattamento ha evidenziato
differenze rilevanti tra i due gruppi per quanto riguarda i parametri di efficacia
valutati.
Nei pazienti del Gruppo B è stata osservata una più rapida e significativa
risposta sintomatologica, confermata dalla maggiore riduzione dell'intensità del
dolore rispetto al gruppo A di confronto; tale migliore risultato è correlato alla
somministrazione dell'integratore di micronutrienti essenziali, in aggiunta al
trattamento conservativo (Fig. 4). Inoltre, la percentuale di soggetti che ha
assunto paracetamolo quale terapia antalgica suppletiva è risultata essere
molto più bassa nel gruppo di pazienti in trattamento con terapia conservativa
+ integratore di micronutrienti essenziali (Gruppo B), rispetto a quelli in
terapia con il solo trattamento conservativo (Gruppo A) (Fig. 5). La capacità
del trattamento con l'integratore di micronutrienti essenziali di influenzare
positivamente l'outcome clinico è stata osservata anche in seguito alla
valutazione dei minori tempi di ripresa dell'attività sportiva, riscontrata nei
pazienti del Gruppo B rispetto a quanto evidenziato in quelli appartenenti al
Gruppo A (Fig. 6).
La tendinite del peroniero e del tibiale posteriore è una patologia non solo di
pertinenza degli atleti professionisti, ma interessa anche molti soggetti che
praticano attività sportiva amatoriale, soprattutto quando l'attività viene
praticata saltuariamente e non con regolarità. In linea generale, questa
patologia ha una insorgenza subdola, facilmente legata all'atteggiamento
posturale del retropiede in iperpronazione, che determina sovraccarico
funzionale sui tendini peroniero e tibiale, che dapprima si manifesta con una
sinovite e, successivamente, con alterazioni strutturali in grado di condurre alla
rottura. Sulla base dei risultati ottenuti in questo studio, è possibile affermare
che nel trattamento della tendinite del peroniero e del tibiale posteriore di
grado 1 può essere razionalmente utile l'utilizzo dell'integratore alimentare a
base di metil-sulfonil-metano, ornitina-alfachetoglutarato, lisina, condroitinsolfato, glucosamina, vitamina C, vitamina E e biotina, in associazione al
trattamento conservativo, grazie alla sua dimostrata capacità nel contribuire a
ridurre la sintomatologia dolorosa e i tempi di recupero dell'attività sportiva. I
risultati di un altro studio, condotto in soggetti con compromissione del
comparto articolare della caviglia e del tendine di Achille, sembrano avvalorare
l'utilità sia della supplementazione di micronutrienti essenziali, sia della
viscosupplementazione con acido ialuronico nei pazienti in cui si riscontra una
alterazione di tutto il comparto articolare. Tale tipologia di lesione articolare è
tutt'altro che rara nei soggetti sportivi, siano essi amatoriali che professionisti;
infatti, il danno tendineo, quando interessa i tendini più strettamente limitrofi
alla articolazione, è frequentemente associato a una alterazione della
cartilagine articolare. Un esempio classico è rappresentato dalla articolazione
della caviglia, una delle articolazioni più complesse del nostro organismo e
sede di frequenti patologie che ne compromettono la funzionalità, come nei
casi di danno dovuto a traumi sportivi o a sovraccarico funzionale. La maggior
parte delle lesioni articolari alla caviglia sono frequentemente associate a
danneggiamento dei tendini e legamenti, tanto che le lesioni capsulo-tendinee
o capsulo-legamentose alla caviglia possono evolvere in una instabilità cronica
che nel tempo può favorire l'insorgenza dell'artrosi. La compromissione
articolare è spesso associata a una tendinopatia dell'achilleo e può essere
dovuta o al fisiologico invecchiamento articolare e tendineo oppure, molto più
di frequente, e soprattutto negli sportivi, in seguito a traumi e/o a sovraccarico
funzionale. Infatti, l'articolazione della caviglia è estremamente sollecitata
durante l'attività sportiva, in particolare negli sport di salto, come
pallacanestro, calcio, pallavolo, atletica leggera o ginnastica, durante i quali le
ricadute dall'alto, i contatti con gli avversari, gli arresti improvvisi su terreni
veloci o l'appoggio a terra scorretto durante la corsa, possono rappresentare
situazioni a forte rischio di infortunio. Oltre a ciò, è importante sottolineare
come la frequente mancanza di riscaldamento da parte degli atleti, soprattutto
amatoriali, prima di incominciare l'attività sportiva, costituisca una delle più
frequenti concause nell'insorgenza di traumi alla caviglia, sia muscolari che
tendinei. I danni articolari provocano dolore e gonfiore immediati e interessano
diverse componenti dell'articolazione, quali muscoli, tendini, legamenti, capsula
articolare, che, essendo coinvolte nel loro insieme sia nel movimento che nella
stabilizzazione e protezione dell'articolazione, in caso di trauma subiscono
lesioni che vanno dallo stiramento alla rottura. In situazioni di danno al
comparto articolare della caviglia la terapia può essere conservativa o
chirurgica, a seconda delle condizioni e dell'età del paziente, o farmacologica,
che può prevedere sia la terapia antinfiammatoria che la
viscosupplementazione con acido ialuronico iniettato per via intrarticolare.
Sulla base delle evidenze cliniche, i migliori risultati nel trattamento non
chirurgico di queste affezioni potrebbero essere ottenuti con una combinazione
di trattamento conservativo (consistente in un ciclo di 10 sedute di
elettroterapia analgesica e tre sedute di onde d'urto), combinato a terapia
infiltrativa intrarticolare e nutrizionale.
Proprio allo scopo di verificare tale ipotesi, è stato condotto uno studio per
verificare l'effetto del trattamento combinato (trattamento conservativo
associato a infiltrazioni intrarticolari di acido ialuronico e supplementazione con
micronutrienti essenziali), rispetto alla sola terapia conservativa o alla terapia
combinata ma senza supplementazione di micronutrienti. Per la
supplementazione è stato utilizzato un integratore alimentare specifico per le
patologie tendinee, in quanto a base di micronutrienti essenziali che la
letteratura internazionale indica come utili nel ripristino della funzionalità di
tendini e legamenti: Metil-sulfonil-metano (MSM), Ornitina-alfa-chetoglutarato
(OKG), Lisina, Condroitinsolfato, Glucosamina, Vitamina C, Vitamina E,
Biotina); per la terapia infiltrativa intrarticolare è stato impiegato un acido
ialuronico con PM compreso tra 800 e 1200 KDa (medio di 1000 KDa) e
concentrazione pari all'1,6% (siringhe preriempite monouso contenenti 32 mg
di acido ialuronico sale sodico in 2 ml). Lo studio è stato condotto su 42
soggetti sportivi amatoriali di sesso maschile (età media 35 anni), sottoposti a
diagnosi strumentale mediante ecografia e risonanza magnetica (RMN). Di
questi, 36 pazienti mostravano segni di infiammazione articolare alla caviglia e
parziale sofferenza al tendine achilleo, mentre 6 soggetti sono stati esclusi
dallo studio, poiché al controllo strumentale evidenziavano lacerazioni
strutturali del tendine e/o artrosi di grado 3-4 secondo Kellgren-Lawrence. I 36
pazienti arruolati dopo lo screening iniziale sono stati trattati per un periodo di
30 giorni e suddivisi in tre gruppi omogenei di trattamento: Gruppo A (n. 12
pazienti), messi in terapia conservativa + acido ialuronico (AI) 1,6% (1
infiltrazione i.a. alla settimana per 3 settimane) + 1 bustina da 3,5 g di
integratore di micronutrienti essenziali; Gruppo B (n. 12 pazienti) in terapia
conservativa + AI 1,6% (1 infiltrazione i.a. alla settimana per 3 settimane);
Gruppo C (n. 12 pazienti) trattati solo con la terapia conservativa. Per la
valutazione dei risultati è stata utilizzata la scala VAS (0-10 cm) per la
sintomatologia dolorosa; inoltre, alla visita finale, è stato chiesto ai pazienti di
rispondere a un questionario nel quale si domandava di specificare il tempo
trascorso prima di riprendere l'attività sportiva, utilizzando una scala di
valutazione che prevedeva il seguente punteggio: 1=ottimo; 2=buono;
3=mediocre; 4=pessimo, dove "ottimo" era la completa ripresa sportiva e
"pessimo" il mancato beneficio del trattamento.
Al termine dello studio, i risultati hanno evidenziato in tutti e tre i gruppi un
miglioramento sintomatologico; tuttavia, nei pazienti del Gruppo A (terapia
conservativa + infiltrazione i.a. con AI 1,6% + integratore di micronutrienti
essenziali) è stato osservato un più rapido e significativo sollievo dal dolore,
rispetto ai gruppi B e C (Fig. 7). Inoltre, al termine dello studio, la percentuale
di pazienti che ha ottenuto un punteggio ottimo + buono relativo alla ripresa
dell'attività sportiva è risultata significativamente maggiore per i pazienti del
Gruppo A rispetto a quelli dei Gruppi B e C, e per i pazienti del Gruppo B
rispetto a quelli del Gruppo C (Fig. 8).
I risultati dello studio sembrano confermare che tale approccio terapeutico sia
in grado di garantire un migliore sollievo dal dolore e un più precoce recupero
funzionale rispetto agli approcci tradizionali che non prevedono la
supplementazione con micronutrienti. L'evidente riduzione della sintomatologia
dolorosa e la maggiore percentuale di pazienti che ha ottenuto un ottimale
beneficio in termini di ripresa dell'attività sportiva riscontrata nei pazienti del
Gruppo A, conferma che nei soggetti con compromissione all'articolazione della
caviglia e tendinite dell'achilleo di grado lieve-moderato, il trattamento
costituito da terapia conservativa in combinazione ad AI 1,6%, al regime di 1
infiltrazione intrarticolare alla settimana per 3 settimane, e supplementazione
con un integratore di micronutrienti essenziali può rappresentare l'approccio
terapeutico di scelta per favorire una più rapida remissione del dolore e ripresa
dell'attività sportiva. Volendo trarre delle conclusioni su questo escursus delle
metodiche non convenzionali per il trattamento delle tendinopatie, anche
associate a compromissione di tutto il comparto articolare, è possibile
affermare che, sebbene tali approcci terapeutici non siano ancora validati dalle
linee guida, l'esperienza clinica può tuttavia fornire suggerimenti terapeutici
che, in molti casi, possono risultare utili nella risoluzioni di queste affezioni.
La medicina nutrizionale è in continua evoluzione, come dimostrano i numerosi
studi epidemiologici condotti nel mondo sul ruolo dei micronutrienti, sia nel
contribuire al benessere generale dell'organismo, sia nel contribuire, a volte in
modo sorprendente, a favorire i processi di guarigione - o quantomeno ad
accelerarli -, soprattutto in quelle patologie in cui l'aspetto nutrizionale è
riconosciuto come essenziale. Gli integratori di micronutrienti rappresentano
oggi un valido supporto di complemento alle terapie farmacologiche e
conservative tradizionali; il loro impiego, se attuato secondo i criteri corretti di
somministrazione, non presenta rischi per la salute degli individui e, al
contrario, contribuisce al successo terapeutico. Una considerazione a parte va
fatta per l'acido ialuronico, sostanza ampiamente utilizzata nel trattamento del
danno alla cartilagine articolare, ma meno frequentemente impiegata per
contribuire a risolvere le lesioni tendinee. L'acido ialuronico rappresenta una
componente essenziale del liquido sinoviale, presente sia a livello della
cartilagine articolare che a livello del tendine. Quest'ultimo aspetto è spesso
misconosciuto, per cui l'impiego dell'acido ialuronico nelle compromissioni
tendinee viene spesso ignorato. Benché non si possa negare l'efficacia delle
infiltrazioni di corticosteroidi, ampiamente utilizzate nella pratica clinica,
sarebbe tuttavia necessario che nella valutazione della strategia terapeutica
venisse effettuato un attento esame clinico e diagnostico, così da poter
valutare l'opportunità dell'impiego dell'acido ialuronico piuttosto che del
cortisonico, soprattutto in quei pazienti in cui il danno tendineo è in fase
iniziale, e tale da non compromettere ancora la completa funzionalità di tutto il
comparto articolare.
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LA RIABILITAZIONE DELLE TENDINOPATIE
L'obiettivo del trattamento è rimuovere il dolore e
recuperare la funzione (lavorativa o sportiva), evitare la
rottura del tendine e l'intervento chirurgico, prevenire le
recidive.
Una volta instauratasi la patologia tendinea è necessario porre una corretta
diagnosi e classificare lo stadio della patologia in base alla clinica e alla
diagnostica per immagini. Il trattamento delle tendinopatie è infatti
generalmente basato sulla gravità delle stesse: nei gradi più lievi (1°) viene
consigliato il riposo e viene, quasi sempre invariabilmente, prescritto un
trattamento farmacologico con FANS o analgesici per ridurre la sintomatologia
dolorosa; nelle forme più importanti (2°-3°) è utile associare alle terapie
farmacologiche e strumentali un trattamento riabilitativo e ortesico. è tuttavia
necessario sottolineare come le tendinopatie di 1° grado, pur potendole
considerare lesioni minime, necessitano comunque di grande attenzione da
parte del medico, perchè una loro sottostima può aggravarne la prognosi e i
tempi di guarigione. Nelle patologie tendinee di 4° grado (cioè in presenza di
completa rottura tendinea) l'approccio deve essere chirurgico. La maggior
parte degli autori è dunque concorde nel preferire, almeno come primo
tentativo, un approccio di tipo riabilitativo: le più recenti statistiche dimostrano
successi a breve e medio termine nel 90% dei casi; tuttavia le recidive
possono insorgere nel 26% dei pazienti, mentre fino al 40% lamenta disturbi
prolungati nel tempo. I più comuni metodi di trattamento conservativo
comprendono il riposo, i FANS e le terapie farmacologiche locali, le infiltrazioni,
le terapie fisiche strumentali e l'esercizio muscolare. Il riposo e
l'immobilizzazione da un lato favoriscono l'attenuazione del sintomo "dolore",
dall'altro hanno un effetto negativo sul metabolismo e sulle proprietà di forza e
resistenza dell'unità muscolo- tendine-osso. Un programma di rinforzo
muscolare eviterà l'instaurarsi di una ipotonotrofia da inattività che lascerebbe
ulteriormente l'articolazione in balia dei minimi stress. Vengono
arbitrariamente riconosciuti tre momenti nel processo di lesione/guarigione di
un tendine:
la fase infiammatoria
la fase della sintesi di collagene
la fase di rimodellamento biologico e biomeccanico.
La prima fase (di reazione infiammatoria) è caratterizzata dall'afflusso di
sostanze vasoattive, fattori chemiotattici ed enzimi. La seconda fase si
caratterizza per l'inizio del processo riparativo ad opera di cellule differenziate
in senso fibroblastico che originano dalla guaina tendinea e dalla matrice
extracellulare e che producono collagene: l'orientamento delle fibre collagene
viene però determinato in modo casuale, non garantendo alla struttura
neoformata caratteristiche appropriate di resistenza. Se il tessuto viene però
adeguatamente stimolato (terza fase, il rimodellamento), le fibre collagene
assumono verso in direzione della linea di forza muscolare e il tessuto si
irrobustisce e distribuisce in maniera ottimale le forze tensive che su esso
agiscono.
Fasi dell'approccio terapeutico
1° fase: il controllo del dolore e della flogosi
L'approccio terapeutico iniziale non deve dimenticare che il
meccanismo di innesco della lesione tissutale è legato a un
processo di infiammazione reattiva. L'associazione di riposo,
crioterapia, terapia farmacologica anti-infiammatoria e
terapia strumentale costituiscono un valido metodo per il
controllo del dolore e della flogosi. Esercizi di stretching sono
normalmente proposti in associazione a terapie fisiche quali
laser, Tecar, ultrasuoni ed elettroterapia antalgica.
Non esiste tuttavia, allo stato attuale, una evidenza scientifica che dimostri un
criterio terapeutico univocamente efficace e in grado di modificare la storia
naturale delle tendinopatie. Allo stesso tempo non sono ancora riconosciute
linee guida universalmente accettate: i risultati dei diversi approcci, isolati o in
associazione, di tipo farmacologico o fisioterapico sono spesso contradditori o
poco significativi dal punto di vista statistico e la maggioranza dei mezzi fisici
non è stata studiata in maniera sempre accurata. A breve termine, i FANS
topici sembrano essere di utilità nell'alleviare il dolore anche se non tutti sono
d'accordo nel garantire una sufficiente penetrazione della molecola chimica,
mentre poco chiare sono ancora le conclusioni che riguardano la
somministrazione di tali farmaci per via orale. Anche le infiltrazioni con
cortisonici, se correttamente eseguite, sembrano significativamente superiori al
placebo e alle infiltrazione con anestetici in termini di analgesia e
miglioramento funzionale, ma solo nelle prime 6 settimane, mentre mancano
studi di confronto con FANS orali e topici. Il ruolo delle infiltrazioni locali con
cortisonici, pur garantendo a breve termine un efficace controllo del dolore e
dell'infiammazione, è comunque controverso poiché è stato dimostrato un loro
effetto deleterio nel lungo tempo sulla resistenza del tendine. Questa modalità
di trattamento dovrebbe quindi essere utilizzata in casi selezionati e con un
numero non superiore alle 2-3 infiltrazioni. La crioterapia viene utilizzata a
scopo analgesico e antiflogistico: nelle sue differenti modalità di applicazione il
freddo determina una riduzione dell'attività metabolica e dunque di rilascio di
mediatori infiammatori. Altre tecniche, come quelle di medicina manuale,
possono contribuire ad alleviare transitoriamente il dolore, mentre l'agopuntura
è una tecnica antalgica che si sta sempre più diffondendo, anche se la maggior
parte degli studi non è, ancora una volta, scientificamente validata.
2° fase: il recupero della funzione
Nonostante l'applicazione di tali innumerevoli presidi, la
patologia tendinea frequentemente cronicizza e diventa più
resistente ai trattamenti antidolorifici.
Le modalità fisiche strumentali che, da sole o in associazione,
vengono comunemente impiegate nel trattamento delle
tendinopatie croniche sono le stesse: i campi magnetici, gli
ultrasuoni, il laser, la TENS, la ionoforesi, l'ipertermia.
Riportiamo come un recente studio abbia valutato l'efficacia
dell'ipertermia nel trattamento di 40 atleti affetti da
tendinopatia degli arti inferiori riscontrando risultati
incoraggianti dall'impiego di questa metodica.
Ancora una volta, però, per molte di queste tecniche non esiste un giudizio
univoco in letteratura e il loro impiego è quindi dettato più dall'esperienza
personale del riabilitatore piuttosto che da una evidenza scientifica della loro
efficacia. Tutte queste metodiche, a medio e lungo termine, non mostrano
infatti benefici significativi o clinicamente rilevanti, né prevengono le recidive.
Ciò d'altronde è facilmente comprensibile se si ragiona sulla base
fisiopatologica della tendinopatia cronica, cioè una degenerazione e non più
solo una infiammazione. In questa fase l'unico trattamento dimostratosi
efficace è rappresentato dalla ginnastica riabilitativa. L'impiego di farmaci o di
mezzi fisici è ancora ragionevole ma limitatamente al transitorio alleviamento
della sintomatologia dolorosa (ciò può consentire al paziente di svolgere al
meglio la rieducazione motoria), mentre risulta avere benefici inconsistenti se
non integrato in un progetto riabilitativo più ampio, con interventi "attivi" di
ricondizionamento funzionale. Il trattamento conservativo rappresenta ancora
la scelta terapeutica più opportuna: naturalmente risulta tanto più efficace
quanto più precocemente è messo in atto. Uno dei cardini essenziali per il
raggiungimento dell'obiettivo terapeutico è la riduzione dei carichi più o meno
radicale, a seconda delle entità e della fase della patologia. È controindicata
comunque una completa immobilizzazione, essendo le stesse forze di tensione
un efficace stimolo alla rigenerazione delle fibre collagene e del loro
orientamento. Certamente, quale sia la giusta tempistica per passare dalla
prima fase alla seconda è ancora da definire, ma numerosi studi hanno
dimostrato come un eccessivo riposo o tempo di immobilizzazione possano
avere risultati deleteri, causando atrofia muscolare e perdita di forza della
unità muscolo-tendine-osso. Per questo motivo anche l'impiego dei tutori è
controverso: certamente sono in grado di ridurre il sovraccarico funzionale ma
non di favorire il processo di guarigione, se non in associazione alla
rieducazione funzionale. Così la guarigione di un tendine prevede innanzitutto
di spegnere il processo infiammatorio ma anche di intervenire velocemente per
rimuovere l'irritazione che lo ha causato. Per tale motivo è necessario proporre
il riposo "funzionale" ma attivo. L'arto interessato può essere posto in scarico e
intanto si può iniziare un lavoro aerobico con l'arto controlaterale o gli arti
superiori (all'ercolina, ad esempio) per favorire l'ossigenazione dei tessuti e
prevenire una ipotonia muscolare. Non appena possibile è opportuno iniziare
con tecniche di mobilizzazione e rinforzo muscolare. Prima di iniziare il lavoro
muscolare controresistenza è opportuno recuperare la completa escursione
articolare. Esercizi per il ripristino della escursione articolare vengono eseguiti
dal paziente sotto il controllo del terapista, che al bisogno si avvale di tecniche
manuali (stretching statico, stretching dinamico).
Nel corso degli ultimi anni sono state sviluppate anche numerose metodiche di
massaggio per il trattamento delle tendinopatie: la più comune fra questa è
rappresentata dal Massaggio Traverso Profondo (MTP), con l'intento,
sostanzialmente, di ridurre le aderenze fibrotiche e di promuovere un aumento
locale della vascolarizzazione, in modo da favorire il processo di guarigione. Per
tale scopo anche la fibrolisi percutanea, proposta da Kurt Eckman più di 20
anni fa, trova un razionale di impiego in numerose sindromi muscolo-tendinee
per "rompere" attraverso la cute (e ovviamente senza procurare lesione alla
stessa), mediante uno strumento dedicato detto "gancio fibrolisore", le
aderenze fibrotico-cicatriziali tipiche delle forme ormai cronicizzate. Per gestire
il "sovraccarico" riabilitativo ci si avvale della crioterapia; l'utilizzo del ghiaccio
come terapia è ormai accettata e convalidata da numerosi studi scientifici che
pongono tuttavia l'attenzione sulla dose con cui tale "farmaco" deve essere
somministrato: un trattamento locale deve avere una durata di circa 20-30
minuti, con pause di sospensione tra una applicazione e l'altra, più volte nel
corso della giornata. Tale metodica viene invece spesso sottovalutata e
sostituita dall'impiego di "pompieri" chimici, quali i farmaci antiinfiammatori,
che però si dimostrano di bassa efficacia, se non in termini di analgesia, a
causa dello scarso apporto ematico del tessuto tendineo, ma soprattutto di
scarsa efficacia nei quadri di tendinosi franca, in cui il processo infiammatorio è
poco prevalente. Fra tutti i comuni presidi terapeutici che generalmente sono
adottati nelle forme infiammatorie tendinee croniche, vale la pena segnalare
l'applicazione di ESWT (Estracorporeal Shock Wave Therapy, altrimenti nota
come Terapia con onde d'urto) che rappresenta una nuova e interessante
opportunità.
È compito del riabilitatore ricercare e correggere anche le anomalie anatomiche
e le alterazioni funzionali che influenzano in modo determinante la
biomeccanica dei gesti motori, e non focalizzare l'attenzione solo sul sito di
lesione. Ai sintomi clinici locali (dolore, tumefazione, impotenza funzionale) si
accompagnano spesso deficit quali debolezza muscolare dei muscoli sinergici,
contratture e perdita di elasticità. Oltre all'esame clinico della struttura
coinvolta, è fondamentale dunque eseguire una valutazione posturale globale
poiché una patologia dolorosa tendinea è spesso causata, oltre che dai ripetuti
microtraumi che agiscono sul tendine, anche dai fenomeni di adattamento che
una articolazione attua nel tempo per compensare e far fronte a problemi nati
a volte altrove. Ad esempio il tendine rotuleo è al centro di un sistema
funzionale che è fondamentale per tutto l'arto inferiore: dal suo corretto
allineamento dipende l'estensione della gamba e nel corso del tempo esso può
trovarsi a compensare difetti che provengono dal basso (es. problemi di
appoggio del piede) oppure adattarsi a problematiche discendenti che
provengono dal bacino o dalla colonna o dalle anche. Ancora, il tendine rotuleo
e achilleo possono andare incontro a progressiva degenerazione per cause
indipendenti dalla loro struttura o dai carichi cui sono sottoposti, ma per effetto
di erronee sollecitazioni che provengono da sistemi biomeccanici inefficaci:
tipico è il caso della instabilità articolare della caviglia e dell'anca. Dopo la
correzione di eventuali squilibri biomeccanici, il passo successivo è quello di
cercare di ridare elasticità al sistema con un programma di stretching
muscolare associato a un graduale potenziamento della muscolatura coinvolta.
L'esercizio terapeutico
Come detto, una volta regredita o migliorata la sintomatologia dolorosa, si
deve passare alla seconda fase del processo riabilitativo che consiste nella
rieducazione motoria vera e propria, troppo spesso trascurata o fatta male
dopo la risoluzione dei sintomi e che rappresenta invece la vera chiave di
successo per la guarigione del processo e per la prevenzione della recidiva.
Vanno incoraggiati esercizi di contrazione muscolare isometrica e
successivamente isotonica, entro ambiti articolari inizialmente protetti e poi
liberi, a carico libero e via via crescente (con elastici e pesi). Viene
sostanzialmente esplicata una graduale sollecitazione sul tessuto in via di
guarigione, avendo cura di non esagerare, lungo l'asse principale del tendine,
con il fine di stimolare un corretto orientamento delle fibre collagene
neoformate e incrementare la resistenza ai carichi dell'unità muscolo-tendinea.
A lungo termine, la rieducazione funzionale garantisce una riduzione della
disabilità superiore alla strategia attendista "aspettiamo e vediamo", e studi
epidemiologici riportano che gli esercizi terapeutici sono giudicati utili in una
percentuale dal 48 al 99% dei pazienti. La rieducazione delle tendinopatie con
esercizio eccentrico in particolare ha evidenziato buoni risultati clinici, in
associazione con tecniche di stretching, tipo facilitazioni neuromotorie
progressive, e a terapie per il controllo della reazione infiammatoria (ghiaccio a
fine seduta). Attraverso la pratica assidua e regolare dello stretching, il punto
critico al quale si innescherebbe il riflesso da stiramento potrebbe essere
"resettato" ad un livello superiore (fenomeno della stretch-tollerance).
Il trattamento riabilitativo consiste quindi nella elasticizzazione della struttura
muscolo-tendinea coinvolta e nel ripristino di una corretta risposta
propriocettiva. Questo approccio appare incoraggiante e i risultati positivi sono
probabilmente da attribuire ad alcuni fattori quali l'aumento della resistenza
tensile e della forza muscolare, la correzione dei disturbi neuromuscolari, la
modulazione della collagenasi tendinea con miglioramento e acceleramento del
processo di guarigione. I benefici delle diverse esercitazioni kinesiterapiche
hanno inoltre una solida base scientifica. Il movimento e il carico sul tendine ne
migliorano le proprietà fisiche e strutturali, aumentando il metabolismo e la
densità delle fibre collagene, garantendo così gradualmente una maggiore
resistenza al tendine e favorendo l'elasticizzazione dei processi fibrotici
cicatriziali della guarigione. Ricordiamo che esistono due tipi di contrazione
muscolo-tendinea: la contrazione statica o isometrica e la contrazione
dinamica. Durante la contrazione isometrica il muscolo sviluppa tensione senza
che i suoi estremi si avvicinino. Nella contrazione dinamica c'è spostamento (e
quindi lavoro) e il muscolo varia la sua lunghezza: si accorcia se resiste a una
resistenza (lavoro concentrico) o si allunga se, nonostante la resistenza che
offre, la forza applicata la supera. Poiché la contrazione eccentrica genera la
maggior tensione a carico dell'unità muscolo-tendinea, normalmente è
opportuno iniziare con delle esercitazioni isometriche e, alla scomparsa del
dolore, inserire modalità di rinforzo isotonico, inizialmente contro resistenza e
poi mediante l'impiego di elastici a tensione via via crescente. In questa fase è
possibile alternare, al programma di lavoro in palestra, alcune sedute di
idrochinesiterapia, assistita o autoassistita, per sfruttare gli effetti positivi
dell'ambiente acquatico (meglio se in acqua a 27-28° di una vasca
riabilitativa). L'effetto dell'acqua infatti permette un più rapido e sicuro
recupero dell'escursione articolare e una maggiore stimolazione propriocettiva,
inoltre costituisce spesso un ambiente di lavoro estremamente piacevole per il
paziente. Vengono efficacemente proposti esercizi di posizionamento e
riposizionamento articolare per migliorare la percezione del movimento ed
esercizi per il recupero dell'equilibrio, in carico bipodalico e successivamente
monopodalico, ad occhi aperti e poi chiusi.
3° fase: il recupero della attività fisica precedente
Un programma riabilitativo deve tenere in considerazione
sempre 3 aspetti fondamentali:
• la specificità dell'allenamento
• il carico massimale
• la progressione del lavoro.
Per specificità di allenamento si intende la necessità di allenare il tendine
proprio nel gesto sportivo che l'ha messo in difficoltà: l'unità muscolo-tendinea
deve essere sottoposta alle stesse sollecitazioni in cui viene normalmente a
confrontarsi durante il gesto motorio (ad esempio allenamento nei balzi per
sport quali pallavolo o basket). Dal momento che la massima tensione a carico
dell'unità miotendinea si verifica durante la fase eccentrica della contrazione,
esercizi specifici eseguiti in modalità eccentrica rappresentano la chiave per un
ottimale recupero funzionale e un corretto rimodellamento della struttura
alterata dai processi degenerativi. L'efficacia del potenziamento eccentrico è
stata ormai dimostrata in numerosi studi per il trattamento delle tendinosi
achillea, rotulea e del tendine epicondiloideo dell'omero. Per le sue stesse
caratteristiche, tale tipo di rinforzo prevede la necessità di un adeguato tempo
di recupero tra le serie e tra le sedute, ma riproduce moltissimi movimenti che
effettuiamo durante la vita quotidiana e l'attività sportiva(Fig. 9). Come
possibile spiegazione degli effetti benefici di tale modalità di potenziamento è
stato ipotizzato, innanzitutto, proprio il concetto dell'allenamento gestospecifico, un effetto di elasticizzazione (oltre che di rinforzo) dell'unità
muscolo-tendinea e lo sviluppo di un certo grado di ipertrofia del tessuto
tendineo come reazione biologica diretta a questo tipo di lavoro. Ovviamente
questo tipo di allenamento deve avvenire in progressione, consentendo al
tendine un adattamento nel tempo a una maggiore capacità di resistenza.
Soprattutto in una prima fase, allorquando l'esercizio provoca ancora dolore
(se non addirittura lo esacerba) è necessario che tempi e carichi vadano
"dosati" in maniera appropriata, rispettando i sintomi e le sensazioni del
paziente. In questa fase di riparazione, infatti, la resistenza del tendine
potrebbe non essere ancora in grado di sopportare grandi sollecitazioni e una
forte contrazione muscolare potrebbe causarne anche la rottura. Il punto
strategico di un appropriato recupero funzionale risiede dunque nella capacità
da parte del riabilitatore di non eccedere i fisiologici limiti di adattamento e di
proporre carichi crescenti, nel rispetto della capacità di sopportazione del
tendine in quel momento; il sintomo dolore agisce da feedback per la
progressione dei carichi (Fig. 10). È opportuno sottolineare come i tempi di
reazione e adattamento biomeccanico a questo tipo di lavoro siano comunque
lunghi, ed è necessario spiegare al paziente (in particolare agli atleti e ai loro
allenatori!) che, molto spesso, i "frutti di tanta sofferenza" si renderanno
realmente effettivi solo a distanza di mesi, sconsigliando quindi di interrompere
prima di 12 settimane il programma di riabilitazione, anche quando sia
scomparsa la sintomatologia. Inutile sottolineare come un recupero affrettato o
inadeguato sia il principale fattore di rischio per una recidiva. Nelle fasi finali
dell'iter riabilitativo, è opportuno completare il recupero muscolare con
l'impiego di un dinamometro isocinetico (vedi Approfondimento); tale metodica
è in grado di offrire almeno 2 diversi vantaggi:
fornire una sollecitazione massimale ma "controllata" sul tendine (la
velocità del movimento rimane infatti costante)
possibilità di quantificare il deficit di forza e monitorare i guadagni
ottenuti mediante l'esecuzione del test e l'allenamento isocinetico.
Approfondimento: Il test isocinetico
La forza dei gruppi muscolari che agiscono su di una articolazione può essere
misurata direttamente, mediante un test con dinamometro isocinetico.
L'esercizio isocinetico può essere descritto come un movimento che avviene a
una velocità angolare costante contro una resistenza accomodante poiché, una
volta raggiunta la velocità angolare pre-impostata, l'apparecchio inserisce una
resistenza che si mantiene e si adatta alla tensione muscolare prodotta nei vari
punti dell'escursione articolare. Il test può essere proposto a livello di diverse
articolazioni (ginocchio, caviglia, spalla, gomito), con lo scopo di valutare i
livelli di forza dei muscoli antagonisti e antagonisti, confrontandoli con quelli
dell'arto contro-laterale. L'interpretazione del test viene effettuata
considerando i valori di picco di momento di forza, il rapporto tra i gruppi
muscolari e la presenza di eventuali deficit di forza (nel confronto con l'arto
sano), condizione che predispone allo sviluppo di lesioni muscolo-tendinee. I
dati raccolti possono inoltre fungere per un confronto con i valori di riferimento
e allo stesso tempo non devono essere considerati un momento isolato nella
valutazione di un atleta/paziente poiché assumono particolare significato
quando vengono ricontrollati nel tempo, permettendo di monitorare gli effetti
dell'allenamento muscolare. Parallelamente al recupero delle qualità organiche
e biomeccaniche, il progetto rieducativo non deve dimenticare il recupero delle
qualità neuromuscolari mediante esercizi progressivi di ginnastica
propriocettiva: un tendine non va infatti considerato come una struttura inerte
avente una funzione esclusivamente meccanica (trasferire cioè energia dai
muscoli alle leve ossee), ma possiede anche una importante funzione
sensoriale. Inoltre, rimarchiamo l'importanza di un programma di
ricondizionamento dell'organismo in toto, alle volte fermo da settimane.
L'attività aerobica deve costituire il substrato di tutto l'iter riabilitativo:
indispensabile, negli atleti, per un più rapido rientro all'agonismo e necessario
nell'ottica di mantenere (se non addirittura migliorare!) il metabolismo e la
funzione del sistema cardiocircolatorio. Inizialmente l'attività aerobica potrà
essere fatta in acqua, oppure con ergometri a braccia o su cyclette (principio
del lavoro aerobico alternativo); per quanto riguarda il rotuleo o l'achilleo,
l'attività di corsa verrà concessa solo se non produce dolore (al massimo un
lieve disagio). Per chi pratica attività sportiva, l'allenamento tecnico di base
sport-specifico seguirà la fase di recupero neuromuscolare e di
ricondizionamento, mentre il ritorno allo sport agonistico prevede il
raggiungimento di tutti gli obiettivi riabilitativi: completo ripristino delle qualità
muscolari di forza, resistenza ed elasticità, corretta esecuzione del gestotecnico atletico fuori dal dolore.
La guarigione metabolica
Come detto, il tendine, pur poco vascolarizzato, è un tessuto metabolicamente
attivo costituito da fibre di collagene (per l'85%) e di elastina che ne
garantiscono le proprietà elastiche e meccaniche e gli permettono di reagire
agli stimoli esterni, adattandosi ai carichi di lavoro e modificando le proprie
caratteristiche, mediante un lento ma costante processo di rinnovamento
cellulare. Tuttavia, la resistenza del tendine può essere compromessa in caso
di overuse e di stress ripetuti (la cui frequenza superi la velocità di riparazione
cellulare del tessuto tendineo); ciò avviene più facilmente in tendini logori per
età o usurati da stressanti attività sportive o lavorative. In tali condizioni
diventano strutture facilmente vulnerabili agli insulti traumatici o
microtraumatici, soprattutto quando l'organismo è carente dei microelementi
nutrizionali essenziali per il buon funzionamento e la conservazione del tendine
stesso. Il processo di riparazione o di adattamento che si attiva in queste
circostanze è normalmente molto lento, ma può essere favorito dalla
supplementazione di aminoacidi, vitamine e antiossidanti, mentre un ridotto
apporto di micronutrienti sembra possa favorire il rallentamento della loro
riparazione intrinseca. Tale evenienza è particolarmente vera in chi pratica
sport come il calcio, il basket, lo sci, la pallavolo, che comportano insieme a
una forte sollecitazione delle articolazione e dei tendini, anche un più rapido
consumo dei micronutrienti necessari al benessere del tendine stesso. Tra i
micronutrienti necessari al buon funzionamento del tessuto tendineo e
fondamentali nelle sue fasi riparative, sono stati identificati quelli ritenuti
essenziali: metilsulfonilmetano (MSM), ornitina alfa-chetoglutarato, lisina,
condroitin solfato, glucosamina, vitamine C ed E, biotina. Il MSM è uno dei
principali donatori di solfati naturali organici presente in natura ed è
indispensabile nell'omeostasi del tendine, contrastandone i processi di
invecchiamento. L'ornitina è un aminoacido che blocca la fase catabolica
indotta nelle lesioni tendinee, antagonizza i processi flogistici e promuove
l'anabolismo del tessuto, accelerando la sintesi di collagene. Anche la lisina è
un aminoacido, necessario per la crescita del tessuto tendineo, promuovendo
la sintesi di alcune proteine essenziali. Il condroitin solfato e la glucosamina
agiscono in sinergia durante i processi riparativi: il primo interviene all'inizio
dei processi riparativi, mentre la seconda regola le fasi finali e la stabilizzazione
della componente fibrillare. La vitamina C (acido ascorbico) influenza il
metabolismo del tessuto connettivo e svolge una azione antinfiammatoria e
antiossidante, in sinergia con la Vitamina E, antiossidante e sostanza
fondamentale per il mantenimento della integrità delle membrane cellulari. La
biotina, infine, svolge un ruolo nell'omeostasi metabolica del tendine.
Recentemente è stato osservato che l'apporto di micronutrienti ad azione
antiossidante ed antinfiammatoria possa agire sul tessuto connettivo,
favorendo e accelerando la riparazione, con benefici in termini di minor tempo
di recupero e sollievo del dolore. Poiché il tendine è di per sé scarsamente
vascolarizzato, sostanze quali aminoacidi, vitamine e antiossidanti dovrebbero
essere assunti costantemente, soprattutto in chi pratica attività fisica. Inoltre,
serve una adeguata quantità di collagene poiché la guarigione necessita della
riparazione del tessuto danneggiato tramite la neoformazione di tessuto
cicatriziale, conservando però le qualità elastiche e di flessibilità del tessuto
originario.
Allo stesso tempo, una sintesi eccessiva potrebbe rivelarsi controproducente
qualora fosse di "impiccio" alla scorrimento del tendine. Per tale motivo,
l'apporto di tali aminoacidi, vitamine e antiossidanti è fondamentale per
prevenire, mitigare e migliorare il processo di guarigione dei danni tendinei e la
loro supplementazione può giocare un ruolo importante nel trattamento di
lesioni di lieve entità, soprattutto nella fase cronica.
La scelta chirurgica
Come già detto, l'indicazione al trattamento chirurgico viene posta in prima
istanza esclusivamente in presenza di completa rottura tendinea. Per le
tendinopatie di grado minore, tramite l'impiego di tecniche non invasive
sempre più sofisticate ed efficaci, si tenta di ridurre a pochissimi casi
selezionati, particolarmente recidivanti, la scelta chirurgica. Certamente se la
terapia conservativa, dopo 6-8 mesi, non è ancora in grado di offrire risultati
positivi, è ragionevole ricorrere al trattamento chirurgico. Tuttavia anche i
risultati di tale soluzione sono variabili, con pochi studi attendibili in letteratura
e risultati comunque spesso non univoci, con atleti mai tornati al precedente
livello di attività sportiva. Per tale motivo la terapia chirurgica è da considerarsi
"l'ultima spiaggia": risultati tra eccellenti e buoni, raccolti dalle varie casistiche,
oscillano tra il 46 e il 100% ma, anche per i casi con evoluzione positiva, il
ritorno all'attività agonistica dopo l'intervento è compreso tra i 3 e i 9 mesi.
Nelle tendinopatie inserzionali la tecnica più impiegata è di solito la
scarificazione del tendine; recentemente alcuni Autori hanno proposto la
rimozione di una losanga di tessuto sofferente, con un curretage della restante
superficie. Un'altra metodica che sembra offrire risultati incoraggianti è
denominata "tenotomia multipla longitudinale", che viene praticata in anestesia
locale e sotto guida ecografica e in particolare con approccio artroscopico: tale
chirurgia garantisce risultati sovrapponibili alle altre tecniche chirurgiche ma
allo stesso tempo un ritorno più rapido alle attività sportive.
Prevenire è meglio
Come abbiamo visto, nonostante negli ultimi anni le metodiche riabilitative e
chirurgiche si stiano rapidamente evolvendo, le sofferenze tendinee
rappresentano a tutt'oggi un problema importante e spesso irrisolto, mentre la
riabilitazione può essere lunga e difficoltosa. Negli ultimi anni si è studiato
come le lesioni a carico dei tendini avvengano nelle fasi di lavoro eccentrico del
gesto motorio (è noto che in tale condizione si verifichi una maggiore tensione
a carico dell'unità muscolo-tendinea) e ciò ha posto le basi per un corretto
trattamento e prevenzione delle tendinopatie croniche. In considerazione del
grado di incidenza, soprattutto in certe attività sportive, e delle difficoltà di
trattamento, la chiave del trattamento delle tendinopatie dovrebbe in realtà
essere la prevenzione. Oltre alla identificazione e alla correzione delle anomalie
anatomiche e funzionali che ne costituiscono elemento predisponente, è
necessaria l'identificazione di fattori di rischio esterni, quali l'impiego di
calzature errate, la pratica su terreni non idonei, e, soprattutto un programma
di allenamento con graduale progressione dei carichi di lavoro, che
costituiscono gli elementi di fondamentale importanza per la prevenzione delle
tendinopatie nell'atleta ad ogni livello. Un adeguato programma di prevenzione
non può inoltre non tenere in conto gli aspetti "educativi" che riguardano
principalmente:
l'educazione degli atleti ad eseguire un programma di riscaldamento e
allungamento muscolare prima dell'inizio dell'allenamento o della
competizione
l'educazione dell'allenatore o del preparatore a correggere eventuali
errori di tecnica e programmazione e del fisioterapista ad agire su
squilibri muscolari o vizi posturali
l'educazione dei dirigenti a moderare gli impegni sportivi (soprattutto per
i bambini e gli atleti amatoriali) e garantire adeguate strutture e
materiali di gioco.
Prospettive future
La necessità di un precoce recupero e di un reinserimento nell'attività
lavorativa o sportiva degli atleti induce alla ricerca di metodologie sempre più
efficaci nel trattamento delle tendinopatie da overuse. Riscontri istologici nei
casi sottoposti a intervento chirurgico hanno dimostrato che la "comune"
tendinite è in realtà, nella maggioranza dei casi, una reazione degenerativa
(tendinosi), più che di tipo infiammatorio. L'esordio è normalmente
caratterizzato da una fase acuta in cui si ha precocemente e transitoriamente
infiammazione del tessuto, con microlesioni secondarie, e successivamente
degenerazione del tendine, con tentativi di riparazione inadeguata, ed esiti
cicatriziali, aderenziali e/o calcifici. I tessuti patologici si distinguono da quelli
normali per l'aspetto grigio, opaco ed edematoso, mentre, a livello
microscopico, il normale ordine strutturale è sostituito da una invasione di
fibroblasti immaturi che inibiscono il normale processo riparativo. Un campo di
applicazione terapeutica nell'immediato futuro sembra potere agire a questo
livello tramite fattori di crescita e citochine locali, andando a invertire il
meccanismo di degenerazione del tessuto e a modulare la proliferazione dei
fibroblasti nell'area affetta, la promozione dell'angiogenesi e l'apposizione di
collagene, da cui deriva l'organizzazione di tessuto tendineo maturo. Inoltre le
piastrine attivate dalla trombina rilasciano ulteriori citochine, in grado di
promuovere la proliferazione di cellule tendinee umane in coltura. Questa
evidenza suggerisce la necessità di ulteriori indagini sullo sviluppo di tale
trattamento.
IL TRATTAMENTO DELLE PATOLOGIE TENDINEE CON ONDE
D'URTO
Introduzione
Caratterizzate, dal punto di vista fisico, da una precisa forma d'onda (che le
contraddistingue, per esempio, da ultrasuoni e altre forme di energia fisica
utilizzata in campo terapeutico), le onde d'urto extracorporee (Extracorporeal
Shock Waves Therapy o ESWT) sono in grado di produrre effetti
profondamente diversi, in funzione del tipo di struttura o tessuto investito dal
loro campo d'azione. Le prime applicazioni con onde d'urto in campo medico
risalgono all'ambito urologico: è noto che i calcoli renali, concrezioni calcifiche
di materiale non vitale, investiti dal fronte di onde d'urto (ad alta energia), si
sgretolano progressivamente, per un effetto di tipo meccanico (litico) e grazie
alla loro consistenza. Si tratta, pertanto, di un effetto che sottostà
esclusivamente alle leggi della fisica. Fu solo dopo la metà degli anni novanta,
a seguito di osservazioni cliniche e riscontri di natura occasionale in ambito
ortopedico-traumatologico, che si cominciò a sfruttarne anche l'effetto
propriamente "biologico". Dapprima per stimolare la rigenerazione ossea nelle
pseudoartrosi e nei ritardi di consolidazione e poi anche per la terapia di
patologie tendinee di origine flogistica e/o degenerativa. Gli studi clinici e
sperimentali che seguirono alle prime osservazioni occasionali, e che hanno
visto un recentissimo e rapido sviluppo, hanno chiarito l'importante potenziale
biologico derivante dall'applicazione di tale terapia. In altri termini: a differenza
di quanto osservato sulle concrezioni litiasiche, nei tessuti viventi l'energia
meccanica trasferita alle cellule e alle strutture correlate (principalmente
matrice extracellulare e fluidi extracellulari), opportunamente dosata e
applicata secondo standard terapeutici codificati, non produce effetti né litici né
lesivi, bensì positive risposte biologiche con proprietà terapeutiche. La chiave
di comprensione con cui spiegare come sia possibile ottenere effetti biologici da
una stimolazione di tipo fisico (energia meccanica) è stata recentemente
individuata, come peraltro già per altre funzioni biologiche, nel fenomeno noto
come "meccanotrasduzione".
Principi di fisica delle onde d'urto
L'onda d'urto può essere definita come un impulso acustico, caratterizzato da:
elevato picco pressorio (> 500 bar)
breve durata (< 10 µs)
rapido innalzamento pressorio (< 10 ns)
spettro di frequenza assai variabile (16 Hz – 20 MHz).
La rapida propagazione, in sequenza, di onde caratterizzate da questa precisa
forma fisica, è in grado di indurre elevate forze di sollecitazione sulle interfacce
fra i tessuti, caratterizzati da diversa densità, così come di generare forze di
trazione, con possibilità di dare origine al fenomeno della cavitazione. Per
essere utilizzata a scopo terapeutico, l'energia dell'impulso acustico deve
essere concentrata (ovvero "focalizzata") sull'area da trattare. La produzione di
apparecchiature che generano onde d'urto focalizzate è differente, in funzione
di tre diversi tipi di generatore che possono essere impiegati, e che rispondono
a tre diversi principi o metodi fisici:
il principio elettroidraulico
il principio elettromagnetico
il principio piezoelettrico
In altri termini: l'onda d'urto viene generata nell'acqua (rapidissimo aumento
di pressione), contenuta in una speciale camera della fonte terapeutica, con
modalità diverse in funzione del tipo di apparecchiatura, comunque dotata di
una superficie interna riflettente, avente lo scopo di concentrare l'energia
dell'onda d'urto in un definito Volume Focale terapeutico, a una precisa
Profondità Focale. Le diverse apparecchiature disponibili in commercio per la
terapia con onde d'urto focalizzate differiscono per le modalità con cui l'onda
d'urto viene generata. Si distinguono pertanto:
il principio elettroidraulico: l'evento iniziale origina a seguito di una
forte scarica di alta tensione tra le punte di un elettrodo situato nel Fuoco
F1 di una camera, avente la superficie riflettente interna a forma
geometrica di semi-ellissoide. L'energia dell'onda d'urto, così prodotta,
viene quindi focalizzata in un'area (o volume focale) avente come centro
il Fuoco F2 dell'ellissoide di sviluppo della camera riflettente
il principio elettromagnetico: l'evento iniziale viene prodotto da una
forte e rapida repulsione e attrazione a livello di una membrana di
materiale ferromagnetico, generate a loro volta da un campo magnetico.
Tale campo magnetico viene prodotto da una forte corrente, che
attraversa l'avvolgimento di una bobina elettromagnetica, a sua volta di
forma piatta o cilindrica. In particolare, nel caso di sorgente di tipo
cilindrico, l'energia viene focalizzata dalla superficie interna riflettente
della testa, dotata di forma geometrica paraboloide
il principio piezoelettrico: l'onda d'urto viene prodotta per la rapida e
simultanea dilatazione di volume di molti cristalli piezoelettrici, disposti
sulla superficie di una sorgente sferica, sottoposti a un forte differenziale
di alta tensione. A sua volta, la superficie sferica, sulla quale sono
distribuiti i cristalli di cui sopra, concentra tutti i contributi di pressione
esercitata sull'acqua dai singoli cristalli, nel centro focale corrispondente
al centro della sfera.
Onde d'Urto Radiali (Radial Shock Wave Therapy)
In campo ortopedico-fisiatrico, vengono impiegate, già da diversi anni, anche
onde d'urto radiali (o balistiche). Il principio con cui sono prodotte onde d'urto
radiali è quello newtoniano, della trasformazione di energia cinetica in energia
meccanica. Esse sono prodotte, infatti, da generatori di tipo pneumatico,
collegati a un manipolo, al cui interno, a seguito di un impulso generato da aria
compressa, viene accelerato un "proiettile"; l'impatto del proiettile
sull'applicatore genera l'onda d'urto, e questa viene trasmessa a sua volta
attraverso il tessuto, espandendosi radialmente. Le loro caratteristiche fisiche
differiscono da quelle delle onde d'urto cosiddette focalizzate, poiché l'energia
prodotta dall'onda di pressione raggiunge il suo massimo già in prossimità della
zona di applicazione, che è poi la superficie cutanea, quindi diverge
radialmente e si attenua in profondità. Per tale motivo, le onde radiali efficaci,
dal punto di vista terapeutico, per processi patologici più di superficie,
potrebbero risultare meno efficaci per patologie di strutture site in profondità
(es. pseudoartrosi di grandi segmenti), e laddove siano richiesti livelli
energetici più elevati. Oltre che nelle patologie infiammatorie tendinee, trovano
interessante applicazione anche a scopo antalgico e decontratturante sulla
muscolatura, così come nel trattamento dei cosiddetti "trigger points", oltre
che in campo veterinario. I fenomeni fisici che sottendono alla produzione,
propagazione ed effetti delle onde d'urto focalizzate sono noti grazie agli studi
per le applicazioni in urologia (dsintegrazione dei calcoli renali). In questo
campo, la determinazione della potenza disintegrante, che agisce sul calcolo
artificiale nelle prove di laboratorio, è calcolabile con formula matematica, che,
per quanto possa essere valida ed applicabile in urologia, non consente di
calcolare adeguatamente gli effetti terapeutici sui tessuti vitali, anche perché
gli effetti e l'obiettivo della terapia in urologia e nel campo delle patologie
muscolo-scheletriche sembrano essere assolutamente differenti. Attualmente,
si conoscono, infatti, due principali azioni delle onde d'urto:
un effetto "diretto" e immediato, da attribuire al rapido picco di pressione
positiva iniziale (< 10 ns)
un altro effetto, per così dire, "indiretto", legato alle forze di trazione
(fase negativa), cui si correla il fenomeno della cavitazione.
L'attraversamento, da parte del fronte d'onda, di differenti materiali con
diverse caratteristiche di impedenza acustica, genera, a livello delle diverse
interfacce, fenomeni di riflessione, refrazione e penetrazione nel materiale
stesso, con perdita di parte dell'energia iniziale. L'effetto di rottura di un
materiale investito dall'onda d'urto (il cui rapido aumento pressorio crea
tensioni molto alte alle interfacce), se è sufficiente per disintegrare un calcolo
renale, può non avere alcun effetto rilevante su un osso intatto, e questo
fenomeno, solo apparentemente paradosso, è legato alla plasticità del
materiale stesso. La seconda fase dell'onda d'urto corrisponde a un
abbassamento della pressione, in grado di indurre il fenomeno della
cavitazione: durante la fase di pressione negativa, le forze di trazione possono
generare la formazione di piccolissime bolle di gas (o microbubbles) nel mezzo
liquido. Le microbubbles, al contatto con l'interfaccia, possono collassare in
maniera asimmetrica, dando origine a microgetti d'acqua (i cosiddetti jet
streams), con elevato potere lesivo per le superfici che ne vengono investite,
potenzialmente in grado di forare la superficie stessa (vedi, per esempio, i
fenomeni di erosione delle eliche delle navi). è noto che la disintegrazione di un
calcolo renale derivi dalla combinazione di effetti fisici diretti e indiretti, mentre
per le azioni studiate e descritte sui tessuti viventi, non è ancora chiaro, al
momento, quale sia l'effetto dominante: è comunque probabile che possa
essere la combinazione delle due azioni fisiche, variabile anche in relazione al
livello di energia applicata. I calcoli renali (costituiti da concrezioni calcifiche,
materiale inerte, non vitale), investiti dal fronte di onde d'urto (ad alta
energia), per semplice azione meccanica (impatto, urto), progressivamente si
sgretolano, a causa della loro dura consistenza (si tratta pertanto, di un effetto
di tipo puramente fisico). Sui tessuti vitali, i meccanismi biologici che vengono
stimolati dall‘azione delle onde d‘urto non sono ancora del tutto chiariti. In
questo campo, per valutare il livello di successo della terapia, non può essere
utilizzata la misurazione della capacità di disintegrazione del calcolo, impiegata
invece in Litotripsia Urologica. Non è stata ancora trovata, purtroppo, una
precisa correlazione fra le proprietà del campo acustico e l'impatto biologico
delle onde d'urto. A livello dei tessuti corporei, che sono vitali, con
caratteristiche strutturali e proprietà fisiche diverse (in funzione della sede
anatomica, del tipo/grado di lesione, dell'età e dello stato di imbibizione
acquosa), gli effetti fisici, da cui si originano le reazioni biologiche, sfruttate ai
fini terapeutici, sono assolutamente variabili e non sempre prevedibili (almeno
fino ad oggi). Essi derivano dalla complessa combinazione di fenomeni di
riflessione, trasmissione e assorbimento, percepiti dalle cellule come una
stimolazione meccanica, che viene tradotta in reazioni biologiche. Sebbene
molti progressi siano stati fatti, soprattutto nel corso degli ultimi anni,
relativamente ai meccanismi d'azione, l'effetto terapeutico delle onde d'urto,
nelle applicazioni muscolo-scheletriche, non è stato ancora chiarito
completamente. Questo anche per la difficoltà di valutare scientificamente e
matematicamente i parametri fisici dell'energia utilizzata, nonché per la
difficoltà di uniformare, per singole patologie e diversi litotritori utilizzati, i
diversi protocolli terapeutici.
La meccanotrasduzione
La rilevazione e la risposta a stimoli di tipo fisico è essenziale per tutte le
cellule, ma risulta di particolare importanza per quelle cellule che giocano un
ruolo meccanico fondamentale. La natura per così dire "primordiale" di tale
interazione suggerisce che il controllo di tali processi dovrebbe avere un
elevato livello di regolazione, così come le risposte dovrebbero integrare diversi
aspetti della fisiologia cellulare. è noto, per esempio, che forze di natura
meccanica partecipano al processo di morfogenesi, dal livello di singola cellula
fino a quello dell'intero organismo. Studi molto recenti avrebbero individuato
un ruolo specifico delle stimolazioni di tipo meccanico in eventi-chiave dello
sviluppo. A sua volta, il movimento dei fluidi corporei risulterebbe importante
per la vasculogenesi (forze tangenziali, o "shear stresses", piuttosto che il
trasporto di fluidi, sarebbero lo stimolo primario per il rimodellamento dei vasi
neoformati). Secondo un'acquisizione ancor più recente, l'actina del
citoscheletro e il microambiente meccanico avrebbero un ruolo critico nel
determinare la differenziazione delle cellule staminali stesse. La comprensione
dei meccanismi e della sequenza di eventi, che correlano le forze di tipo
meccanico alla differenziazione di cellule e tessuti, potrà condurci, in un futuro
prossimo, alla comprensione di molte malattie congenite ed alla messa a punto
di nuove strategie nell'ambito della medicina rigenerativa. Il meccanismo per
cui le cellule riescono a convertire stimoli di natura meccanica/fisica in risposte
di tipo biochimico è noto come meccanotrasduzione. La meccanotrasduzione
cellulare è stata obiettivo di intensa ricerca scientifica nel corso degli ultimi
decenni, sì da portarci alla comprensione di molte funzioni fisiologiche degli
organismi viventi (es. il tatto, l'equilibrio, l'udito, ecc.); tuttavia, i dettagli di
come le cellule rispondano agli stimoli esterni risultano ancora in parte
sconosciuti. In corso di meccanotrasduzione, forze fisiche esterne, di natura
macroscopica, possono trasformarsi a un livello d'ampiezza decisamente
inferiore, di natura microscopica, tale da influenzare il comportamento
meccanico di biomolecole e dei loro eventuali conglomerati. La comprensione
dei meccanismi tramite i quali un evento esterno agisce sulla cellula si è
evoluta nel corso degli anni. Superato ormai il vecchio concetto del
"trasportatore rotante transmembrana" degli anni settanta, sappiamo ora che
nel fenomeno della meccanotrasduzione intervengono ben più complesse
strutture molecolari (canali ionici stretch-attivati, caveole, integrine, caderine,
recettori dei fattori di crescita, miosin-motors, filamenti del citoscheletro,
nucleo e matrice extracellulare). Conosciamo tuttavia ancora poco, sia di come
queste strutture funzionino all'interno della singola cellula, di tessuti e di
organi, che di come questi "comportamenti" siano orchestrati, nella vita adulta
così come durante l'embriogenesi. I lavori di letteratura più recenti
sottolineano l'uguale importanza dei vari costituenti la via della
meccanotrasduzione e di come questi funzionino come tasselli di un unico
sistema. Si parla, infatti, di "gerarchie strutturali" all'interno del nostro corpo,
ovvero una struttura dentro un'altra struttura, tutte unite da connessioni che
vanno da dimensioni macroscopiche a quelle nanometriche, e tutte coinvolte
nel percorso concertato e simultaneo, che parte dallo stimolo e arriva alla
risposta. Sono stati descritti alcuni concetti generali relativi alla
meccanotrasduzione:
le molecole specializzate (o meccanotrasduttrici) sono in grado di
cambiare la loro attività chimica in seguito a distorsioni morfologiche,
convertendo così l'energia meccanica in energia biochimica
tali modificazioni morfologiche sono anche il fattore limitante l'attività
chimica (trasduzione)
durante la normale attività biochimica, queste molecole possono venire
stimolate da stress meccanici di varia natura, in ragione del loro stato
morfo-strutturale
le forze fisiche (es. temperatura e stress) determinano una specificità di
risposta, in ragione dell'applicazione dello stimolo, dell'intensità e della
durata dello stesso
le forze fisiche influenzano l'equilibrio chimico e la polimerizzazione
molecolare
virtualmente, tutti gli organi e i tessuti sono organizzati come gerarchie
strutturali "preattivate", mostrano cioè un'immediata responsività agli
stimoli meccanici e modificano le loro caratteristiche fisiche
proporzionalmente all'entità dello stimolo applicato
le cellule si avvalgono di precisi recettori transmembrana, che
accoppiano il loro citoscheletro alla matrice extracellulare (Extra Cellular
Matrix, o ECM); in questo modo, non solo le singole cellule sono
"accoppiate" alle viciniori, ma ciascuna di esse entra a far parte di una
vera e propria rete molto più estesa (proprio come il ragno è in grado di
percepire gli stimoli provenienti da ogni singolo filo della sua tela).
Nonostante alcuni eventi cellulari a lungo termine (come ad esempio il
rimodellamento tissutale) coinvolgano necessariamente una modifica
dell'espressione genica, molte delle risposte cellulari agli stimoli di natura
meccanica sarebbero legati alla stimolazione di canali cosiddetti MeccanoSensibili (MS), di cui esistono alcune famiglie, con diverse funzioni e diversi
sistemi di controllo apertura/chiusura (gating). Per esempio, a parte alcuni
recettori di tipo tattile, correlati a variazioni di potenziale di membrana, ne
esistono molti altri, accoppiati alle Proteine G (protein G-coupled receptors o
GPCR), che funzionano come meccanosensori e che vengono attivati da forze
di taglio (o shear stresses), a seguito del movimento di fluidi; essi
giocherebbero un ruolo importante, per esempio nei meccanismi di riparazione
tissutale, così come nella guarigione delle ferite. Nonostante il ruolo chiave dei
canali MS nelle cellule eucariote, poco si conosce ancora sul loro meccanismo
di funzionamento. Le modificazioni conformazionali dei canali MS, a seguito di
perturbazioni esterne applicate sulla membrana stessa, sottostanno a principi
di tipo meccanico, gli stessi che governerebbero le reazioni biochimiche indotte
dalle stimolazioni di tipo fisico. La meccanotrasduzione è dunque un importante
meccanismo biologico, per il quale stimolazioni di tipo meccanico agiscono su
una cellula e attivano un sistema di segnali intracellulari. Questi, a loro volta,
promuoverebbero i processi di crescita e sopravvivenza, governando la
morfologia e l'architettura in molti tipi cellulari, così come influenzando le
risposte metaboliche. Differenti tipi di cellule possono rispondere diversamente
a modificazioni del microambiente meccanico, e le basi molecolari della
meccanotrasduzione, soprattutto per quel che riguarda i fenomeni a livello
della membrana cellulare, sono tuttora oggetto di studio. è noto che le
stimolazioni di natura meccanica fungono da importanti regolatori
dell'omeostasi del tessuto connettivo. Evidenze sperimentali confermerebbero
il dato secondo cui, forze meccaniche, applicate esternamente, possono indurre
una rapida e sequenziale produzione di ECM, in maniera selettiva, da parte dei
fibroblasti, piuttosto che una riposta ipertrofica di tipo generalizzato. L'ECM è
un agglomerato di sostanze le cui proprietà biochimiche e biofisiche
consentono la costruzione di una rete flessibile (network), che integra le
informazioni provenienti dalle diverse stimolazioni meccaniche, e le trasforma
in competenze di tipo meccanico. Funziona come substrato di adesione per le
cellule, grazie alla presenza di integrine, destroglicani e proteoglicani a livello
di superficie cellulare, così come di recettori tirosin-kinasi correlati. L'ECM del
tessuto connettivo consente il legame con altri tessuti e gioca un ruolo
fondamentale nella trasmissione delle forze, così come nel mantenimento
dell'integrità strutturale di tendini, legamenti, ossa e muscoli. Il
rimodellamento della matrice extracellulare è influenzato dall'attività fisica: la
stimolazione meccanica è, infatti, in grado di implementare la sintesi sia del
collageno che delle metalloproteinasi. In generale, le modificazioni dell'ECM
sono strettamente correlate al pattern di stimolazione meccanica e lo stress di
tipo meccanico può regolare la produzione di proteine dell'ECM indirettamente,
attraverso il rilascio di fattori di crescita di tipo paracrino, o direttamente,
innescando l'attivazione di specifici sistemi enzimatici, che si traducono
nell'attivazione genica. Esiste evidenza sperimentale secondo cui la tenascinaC, un costituente dell'ECM, è regolata in via diretta dalla stimolazione di tipo
meccanico: l'induzione, infatti, di mRNA, in fibroblasti sottoposti a forze di
trazione, è rapida, sia in vivo che in vitro, non dipende dalla sintesi di proteine
preesistenti, e non è mediata dal rilascio di fattori di crescita nel mezzo. I
fibroblasti sarebbero in grado di percepire le deformazioni strutturali indotte a
livello dell'ECM dalle stimolazioni di tipo meccanico. Studi sperimentali
evidenziano come lo stato di tensione (cioè il "pre-stress") del citoscheletro
rappresenti un fattore importante nei meccanismi di meccanotrasduzione: il
rilassamento del citoscheletro (da inibizione della Rho-Kinasi-dipendente)
sopprime l'induzione dell'attivazione del gene della tenascina-C che si avrebbe
dopo stiramento, e perciò desensibilizza i fibroblasti ai segnali di tipo
meccanico. Relativamente all'ECM, a livello genico sembra ormai chiaro il
meccanismo secondo cui differenti stimoli-segnale possano regolare
l'attivazione di sequenze geniche diverse, con modalità complesse. È noto
ormai il dato secondo cui il tessuto connettivo adatta la sua ECM alle mutate
condizioni di carico meccanico, così come si osserva, ad esempio, nel
rimodellamento osseo e nei processi di cicatrizzazione. è stata ipotizzata
l'esistenza di un meccanismo di feedback, grazie al quale le cellule, che
percepiscono le stimolazioni (stress) attraverso il loro substrato,
risponderebbro modificando il pattern di sintesi proteica e rimodellando l'ECM,
per far fronte alle mutate esigenze biomeccaniche. Questi segnali sono
innescati nelle cellule del tessuto connettivo a seguito di una stimolazione
meccanica, ed esistono evidenze sperimentali secondo cui integrine, proteine di
adesione transmembrana e recettori segnale (che collegano l'ECM al
citoscheletro) giocherebbero un ruolo chiave nella trasduzione dei segnali di
tipo meccanico, probabilmente attraverso la via enzimatica della MAP-kinasi e
dell'NF-kappaB; in ogni caso, la via di regolazione ultima sarebbe a livello della
trascrizione nucleare. Da un punto di vista generale, sembra ormai chiaro che,
per quel che riguarda l'ECM di tendini e muscoli, qualsiasi stimolo meccanico
può dare origine a un fenomeno di adattamento, per rendere il tessuto più
resistente al danno, sì da garantire la miglior trasmissione meccanica a seguito
della contrazione muscolare. L'interazione fra ECM e molecole di adesione
comporta l'attivazione di sistemi di segnali intracellulari precostituiti, oltre a un
riarrangiamento del citoscheletro. Inoltre, le ProstaGlandine (PG), con le loro
catene laterali di glicosaminoglicani, possono legare e presentare ai rispettivi
recettori alcuni fattori di crescita: in tal modo, l'ECM, dopo stimolazione di tipo
meccanico, può rilasciare fattori di crescita. L'esatta sequenza di attivazione
dei sistemi di segnalazione intracellulare, in corso di meccanotrasduzione, non
è ancora stata descritta: tuttavia, molti candidati sono stati indicati sia nei
fibroblasti del derma, che in quelli dei vasi o nel muscolo cardiaco. Le molecole
di integrine rappresentano il maggior componente strutturale a livello dei siti
adesione fra membrana cellulare e citoscheletro. Esse rappresenterebbero un
sistema strutturale di comunicazione, per cui forze di tipo meccanico
verrebbero trasmesse dall'esterno della cellula all'interno e viceversa. Inoltre,
le integrine sarebbero i sensori in grado di rilevare forze di trazione a livello
della superficie cellulare. Secondo alcuni autori, il sistema integrine-
citoscheletro rappresenterebbe un vero e proprio organello sensitivo per le
stimolazioni meccaniche. Oltre alle integrine, anche il complesso distrofineglicoproteine giocherebbe un ruolo importante nella meccanotrasduzione, a
livello muscolo-tendineo. Ligandi extracellulari per le integrine sarebbero
rappresentati dai collageni, fibronectina, tenascina e laminina. Molti studi
avrebbero dimostrato come l'espressione di molte altre componenti dell'ECM
siano legate al livello di stimolazione meccanica. è altresì dimostrato che, dopo
esercizio fisico, a livello tendineo, aumenta la produzione di IGF-1, TGF-beta e
IL-6, così come la risposta metabolica, quella circolatoria, e il turnover del
collageno. La stimolazione meccanica di tipo cronico, sotto forma di
allenamento fisico, comporta un aumentato turnover del collageno, così come
anche una sua netta aumentata sintesi. Questi cambiamenti modificano le
proprietà meccaniche e viscoelastiche del tessuto, diminuiscono la suscettibilità
allo stress, e, forse, lo rendono più resistente alle sollecitazioni di tipo
meccanico. La distribuzione microanatomica dei fascicoli collagenici a livello dei
tendini varia in funzione del tipo stesso di tendine e addirittura del sesso, così
come il grado di attivazione stessa della sintesi del collagene dopo esercizio.
Queste recenti acquisizioni nel campo della biologia dei tendini potrebbero
contribuire a una migliore comprensione dei danni tissutali da sovraccarico
(overuse).
L'ECM, e soprattutto il tessuto connettivo con le sue fibre collagene,
connette fra loro i tessuti dell'organismo e gioca un ruolo fondamentale nella
trasmissione delle forze, così come nel mantenimento della struttura tissutale
di tendini, legamenti, osso e muscolo. Si sa ormai che la trasmissione di forze
meccaniche a livello del complesso teno-muscolare dipende dall'integrità
strutturale fra le singole fibre muscolari, così come dalla disposizione fibrillare
dei tendini, che consentono l'assorbimento e la trasmissione dei carichi sotto
sforzo. Inoltre, è stato descritto come la capacità di resistenza della matrice si
basi su legami crociati fra le fibrille e le fibre collagene, e sulla loro densità e
lunghezza. Tuttavia, il segnale di innesco delle cellule connettivali in risposta a
uno stimolo di natura meccanica, così come la successiva espressione e sintesi
di specifiche proteine dell'ECM e il meccanismo di accoppiamento alla funzione
meccanica propriamente detta, sono ancora oggetto di studio. Si sa che l'ECM,
e soprattutto il collagene, giocano un ruolo fondamentale nell'adattamento del
sistema teno-muscolare ai diversi pattern di stimolazione meccanica. L'ECM
non è una struttura statica e/o inerte: i tendini ed il tessuto connettivo di cui
sono costituiti sono delle strutture alquanto dinamiche, in grado di adattarsi,
sia dal punto di vista strutturale che funzionale, a diversi schemi di carico. In
altre parole, il tessuto connettivo di muscoli e tendini è una struttura vivente,
con modificazioni continue (turnover) delle strutture proteiche e cellulari che lo
compongono, in grado di adattarsi a modificazioni anche rilevanti dell'ambiente
esterno, sia in condizioni di carico, che in condizioni di inattività o disuso. La
comprensione dei fenomeni e delle risposte cellulari dei tenociti alle
stimolazioni meccaniche (in condizioni normali e di sovraccarico), così come
degli specifici patterns implicati nella sintesi e degradazione della matrice
extracellulare, potrebbe avere sicure implicazioni in campo clinico nell'uomo.
Meccanismi d'azione delle onde d'urto
Le primissime sperimentazioni condotte in vitro, a metà degli anni novanta, per
comprendere i meccanismi d'azione delle onde d'urto sui tessuti vitali,
sembravano suggerire un potenziale effetto lesivo sulle cellule e i loro
costituenti. In realtà, la risposta cellulare sembrerebbe essere variabile, in
funzione di diversi parametri: da un semplice aumento della permeabilità
cellulare (per le potenze più basse), fino a lesioni del reticolo endoplasmatico e
della parete nucleare, oppure a quelle del citoscheletro, con possibilità di
rottura cellulare completa, per livelli di potenza ancor più elevati. Alla luce
anche delle più recenti acquisizioni, sembrerebbe pertanto più corretto parlare
di una correlazione dose/effetto del microdanno cellulare, ove per dose si
intenderebbe non solo la potenza delle onde d'urto applicate, ma anche il
numero totale di colpi applicati. Gli studi più recenti, infatti, avrebbero
evidenziato come, seppure in un modello sperimentale, le forze di taglio (shear
stresses) prodotte dalla stimolazione con onde d'urto e trasmesse al
citoscheletro, indurrebbero sì delle modificazioni di quest'ultimo, ma solo
temporanee, cioè completamente reversibili nel giro di qualche ora. In altri
termini, si perturberebbe solo momentaneamente la struttura tridimensionale
della cellula stessa e dei suoi organuli, il tutto finalizzato alla trasmissione di un
segnale in grado di tradursi in reazioni biochimiche, e, in ultima analisi, in una
risposta tissutale che, come vedremo, si prefigura come tessuto-specifica, e
sottosta ai principi ben noti della meccanotrasduzione. Se ne deduce che, nella
pratica clinica quotidiana, ai fini di un trattamento ESWT efficace, la scelta del
protocollo da applicare non sia casuale, ma funzione dell'azione biologica che si
vorrà evocare; se, infatti, basse-medie energie possono essere sufficienti per
sortire un effetto antiflogistico ed antalgico, per le patologie ossee (specie se
pseudoartrosi e ritardi di consolidazione di grossi segmenti) sarà invece
indicato applicare potenze più elevate. Nel dettaglio, si possono così
riassumere i principali meccanismi d'azione delle onde d'urto:
effetto antiflogistico e antiedemigeno
effetto angiogenetico (neoformazione di vasi sanguigni)
riattivazione dei processi riparativi tessuto-specifici (osso, cute, ecc.)
effetto analgesico.
Come già menzionato, tali effetti, a differenza di quanto succede per le
applicazioni in campo urologico (distruzione meccanica di aggregati inorganici),
sono solo in minima parte legati a un meccanismo d'azione diretto o di impatto
pressorio sulle strutture biologiche, ma sono piuttosto mediati da alcuni
fenomeni fisici, conseguenti al passaggio dell'onda nel tessuto colpito, con
possibili fenomeni di cavitazione. In altri termini, durante la fase negativa
dell'onda d'urto, si generano forze di trazione che modificano ulteriormente la
struttura del tessuto bersaglio e muovono la transizione gassosa delle molecole
d'acqua in bolle di cavitazione, la cui implosione, al ripristino dei valori di
pressione positiva, genera onde d'urto sferiche e libera, all'interfaccia con i
tessuti, microgetti di vapore detti jet streams, amplificando, di fatto, l'effetto
iniziale dell'onda d'urto. I jet streams, caratterizzati da notevole accelerazione
(velocità di molte centinaia di metri/secondo), colpendo i tessuti viciniori
possono determinare microlesioni la cui entità è in funzione del numero degli
impulsi e della loro energia. La struttura più sensibile a tali perturbazioni
sembrerebbe essere la membrana cellulare (sarebbero sufficienti livelli
d'energia pari a 0,2 mJ/mm2 per alterarne la permeabilità). Più resistenti
invece sembrerebbero essere citoscheletro, mitocondri e membrana nucleare,
per i quali le alterazioni si registrerebbero per valori di energia più elevati.
Trattasi ovviamente di studi sperimentali su sistemi cellulari, isolati dal
contesto tissutale; in vivo l'effetto biologico delle onde d'urto è sicuramente da
spiegarsi nell'ambito di una risposta articolata e complessa, multicellulare e
multifattoriale. Anche ai livelli energetici sopra menzionati, dovrebbero essere
attribuiti un valore e un significato "relativi", per le motivazioni su esposte.
Interessanti studi condotti da ricercatori italiani avrebbero individuato nella
molecola di monossido d'azoto (Nitric Oxide o NO), assai instabile e
fisiologicamente prodotta in condizioni di stress dalle cosiddette NO-sintetasi, il
punto d'innesco principale per molte delle reazioni biologiche ad oggi note. è
stato anche dimostrato, in laboratorio, che l'energia sprigionata dai jet streams
sarebbe in grado di indurre la produzione di NO, non per via enzimatica, bensì
con un meccanismo diretto, per rottura cioè dei legami molecolari. è noto,
peraltro, come il monossido d'azoto rappresenti la molecola starter della
neoangiogenesi, così come della risposta antinfiammatoria, neuromodulante,
citotossica (per le più alte concentrazioni), nonché, probabilmente, di quella
immunitaria. è verosimile pertanto arguire che il monossido d'azoto possa
rappresentare il primum movens o, per lo meno, uno dei principali mediatori
biochimici dell'azione delle onde d'urto. Secondo quanto proposto da Wang e
coll., il meccanismo d'azione delle onde d'urto, a livello dei diversi tessuti,
potrebbe essere così schematizzato:
l'applicazione della stimolazione di tipo fisico (ESWT in tal caso), darebbe
origine ad alcune risposte biologiche
tali risposte biologiche si tradurrebbero in generale e principalmente
nell'attivazione della NO-sintetasi endoteliale (eNOS), con produzione di
Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF); a loro volta, si attiverebbero
fattori di trascrizione nucleare, per dare origine, in ultima analisi, a
fenomeni di neovascolarizzazione
la neovascolarizzazione, a livello osseo, tendineo e cutaneo, consentendo
un miglior apporto sanguigno, sarebbe alla base di tutti i processi di
"riparazione e rigenerazione" tissutale, da intendersi nell'accezione più
ampia del termine.
Ma non è tutto: oltre a un'azione di tipo "trofico" generale, che sarebbe valida
per molti dei tessuti responsivi a tale terapia, è possibile anche ipotizzare
un'azione tessuto-specifica, per effetto diretto su ciascun fenotipo cellulare, o,
meglio, sui singoli e specifici loro precursori, siano essi osteoblasti (stimolo
della risposta osteogenetica in pseudoartrosi e ritardi di consolidazione) o
cellule di altra derivazione (vedi per esempio le recenti applicazioni, ancora
sperimentali, sulle cellule del miocardio in caso di patologie di tipo ischemico).
Relativamente al trattamento delle patologie tendinee, sia di natura
infiammatoria, che cronico-degenerativa, i dati più recenti apparsi in
letteratura farebbero intravvedere nuove ed interessanti prospettive
terapeutiche, non solo per la risoluzione dei processi di natura flogistica, ma
anche per il miglioramento del trofismo cellulare, con possibilità di risposta
diretta dei tenociti stessi. Nel 2004, da Hsu RW. e coll. è stato condotto uno
studio per valutare gli effetti della ESWT in una forma sperimentale di
tendinopatia del rotuleo (nel coniglio), indotta tramite inoculazione di
collagenasi. Le valutazioni sull'efficacia (o meno) del trattamento, a distanza di
4 e 16 settimane rispettivamente, sono state condotte mediante esami
istologici, oltre che con test di tipo meccanico e biochimico. I dati riportati dagli
autori sembrerebbero confermare l'efficacia del trattamento eseguito, stante
l'aumento di precursori dei tenociti a 4 settimane, e di tenociti a un più
avanzato grado di maturazione dopo 16 settimane; il tutto associato a
fenomeni di neovascolarizzazione. Inoltre, gli autori ipotizzano la possibilità a
seguito di trattamento con onde d'urto, di aumentata sintesi di collageno e
produzione di crosslinks, almeno nelle fasi iniziali dei processi riparativi. Come
sopra già ricordato, la ESWT è impiegata nella pratica clinica quotidiana per la
risoluzione di molte patologie tendinee di natura cronico-degenerativainfiammatoria, nonostante i meccanismi di "guarigione" tissutale non siano
ancora noti nei dettagli. A tale proposito, in un altro studio, proposto da Chen
YJ e coll. (2004) viene riportato il dato, secondo cui un regime ottimale di
stimolazione ESWT favorirebbe la riparazione tissutale in forme sperimentali di
"tendinite" dell'Achilleo, indotte nel ratto. In particolare, a livello istologico, si
osserverebbe, a seguito del trattamento ESWT, una riduzione dell'edema,
tumefazione e infiltrato infiammatorio nei tendini interessati dal processo
patologico sperimentalmente indotto. Inoltre, nei siti di lesione tendinea,
vengono descritti fenomeni di intensa proliferazione cellulare,
neovascolarizzazione, così come progressiva rigenerazione e riparazione
tissutale. I tenociti del tessuto ipertrofico e il tessuto tendineo neoformato
esprimono elevati livelli di PCNA (antigeni nucleari cellulari) dopo trattamento
ESWT, suggerendo l'ipotesi che questo tipo di stimolazione fisica possa
incrementare la risposta mitogenica dei tendini. Inoltre, la proliferazione dei
tenociti, associata al tessuto ipetrofico e al tessuto tendineo prodotto ex novo,
corrisponderebbero alle aree tissutali di marcata positività per il TGF-beta1 ed
IGF-I. L'aumentata espressione del TGF-beta1 coinciderebbe, in condizioni
fisiologiche, con le fasi precoci della riparazione tendinea, così come l'elevata
espressione dell'IGF-I persisterebbe per tutta la fase del processo riparativo. In
ultima analisi, la terapia con onde d'urto, in tal caso applicata a regimi di bassa
energia, sarebbe in grado di favorire la riparazione tissutale tendinea; a loro
volta, nella proliferazione cellulare e nella rigenerazione tissutale così indotte,
giocherebbero un importante ruolo di mediazione fattori quali il TGF-beta1 e
l'IGF-I. Infine, studi ancor più recenti, condotti a livello cellulare, avrebbero
rilevato, da parte dei tenociti, dopo stimolazione con ESWT:
un effetto transitorio di stimolo sul metabolismo delle strutture tendinee
uno stimolo alla proliferazione dei tenociti e la sintesi di collageno.
Tali fenomeni sarebbero correlati ad un aumento precoce dell'espressione
genica di PCNA e TGF-beta1, così come al rilascio e sintesi di NO endogeno e di
proteine collageniche. Altri autori riportano il dato secondo cui l'effetto trofico
sarebbe precoce e a breve termine, ipotizzando così che il trattamento ESWT
possa costituire semplicemente da "starter" per innescare i processi fisiologici
di riparazione a livello dei tendini patologici; l'effetto a lungo termine, per lo
meno in questo studio, sembrerebbe di minor rilevanza. Studi ulteriori
sarebbero pertanto richiesti per poter determinare il reale significato e
potenzialità d'impiego clinico di questa metodica, ai fini della qualità finale
tendinea. Nell'uomo, interessanti osservazioni, condotte di recente da M.
Branes e coll., su sezioni istologiche di campioni bioptici prelevati da cuffie dei
rotatori precedentemente sottoposte a trattamento ESWT, riportano di
abbondanti fenomeni di neovascolarizzazione e ipercellularità di tipo
connettivale-riparativo, con disposizione casuale, sia in aree tendinosiche che
di tessuto sano, e comunque non in relazione a vasi sanguigni preesistenti.
L'ipercellularità associata alla neovascolarizzazione sembrerebbe di origine
ematopoietica, in particolare mastcellule e plasmacellule. Da qui l'interessante
ipotesi secondo cui, su un tessuto "cronicamente" infiammato, l'effetto delle
onde d'urto possa essere quello di indurre una sorta di "flogosi acuta", in grado
di risolvere l'anomala condizione, utilizzando i fisiologici processi ontogenetici
di riparazione. La stessa "scomparsa" di eventuali calcificazioni intratendinee o
paratendinee, quale si può talora osservare dopo trattamento ESWT, non
sarebbe da imputarsi ad un fenomeno fisico di "rottura" (come succede invece
per le concrezioni litiasiche), bensì biochimico, probabilmente legato allo stesso
tipo di reazione flogistica acuta, in grado di modificare l'equilibrio acido-base
locale. Per descrivere l'effetto analgesico delle onde d'urto, sono state
avanzate diverse ipotesi:
esse sarebbero in grado di modificare l'eccitabilità della membrana
cellulare; i nocicettori, non più in grado di generare un potenziale
d'azione, ridurrebbero la possibilità di percezione del dolore
stimolerebbero i nocicettori a generare un'alta quantità di impulsi
nervosi, sì da bloccare la trasmissione del segnale ai centri corticali
superiori, innalzando la soglia di percezione del dolore (teoria del Gate
Control)
aumenterebbero il livello dei radicali liberi presenti nell'ambiente cellulare
e questi genererebbero sostanze inibitorie del dolore.
Sempre nell'ambito dello studio dei meccanismi d'azione, a livello
sperimentale, evidenze preliminari in vitro, sembrano suggerire ulteriori
interessanti future applicazioni per questa terapia: la possibilità di un effetto
sinergico nell'aumentare la citotossicità di chemioterapici su alcune linee di
cellule tumorali, così come la possibilità di modificare la produzione di citochine
e fattori correlati, da parte di condrociti da osteoartrosi. Nella pratica clinica
quotidiana, le onde d'urto sono generate da apparecchiature dedicate,
denominate litotritori, progettati in modo tale per cui l'energia è prodotta da
una sorgente (per cui esistono diversi tipi di generatore), e le onde d'urto
vengono poi concentrate in un punto, detto "fuoco", ove l'azione terapeutica è
massima. Ai fini terapeutici, il fuoco deve corrispondere all'area bersaglio, sede
della patologia. È così possibile intervenire con una precisione quasi
"chirurgica" sulle zone da trattare, lasciando inalterate le strutture sane
circostanti. In corrispondenza del punto focale, il fronte d'onde d'urto può
produrre effetti variabili, in funzione dell'intensità di stimolazione, ovvero
dell'energia erogata: da semplici "vibrazioni", a repentine variazioni di
pressione nei liquidi biologici di cui ciascun tessuto è composto. In ogni caso,
alle intensità utilizzate a scopo terapeutico (basse, medie o alte energie, in
funzione della patologia e del tessuto da trattare), l'effetto delle onde d'urto
non è in alcun modo paragonabile, né assimilabile, a quanto succede sui calcoli
renali, sia per tipologia sia per intensità di reazione. In virtù di tali acquisizioni
scientifiche, da circa un decennio le onde d'urto extacorporee sono utilizzate
con successo in campo ortopedico e fisiatrico. Oltre che per stimolare
l'osteogenesi riparativa nelle pseudoartrosi e nei ritardi di consolidazione, sono
impiegate anche e soprattutto per la cura di patologie tendinee di diversa
origine e gravità (tendinopatie cronico–degenerative, peritendiniti ed
entesopatie), specie se refrattarie ai comuni trattamenti farmacologici e/o
fisioterapici e/o infiltrativi locali. Talora assumono il ruolo di "ultima ratio",
prima di lasciare il campo all'intervento chirurgico. Peraltro, nella pratica
medica quotidiana, è sempre più frequente l'utilizzo delle onde d'urto anche
quale terapia di supporto alla chirurgia, come nei casi di flogosi e/o dolore
residuo persistente. Il razionale di quanto sopra esposto è da ricercarsi, oltre
che nell'ormai ben nota e comprovata azione antinfiammatoria e
antiedemigena delle onde d'urto, anche in un effetto trofico tissutale di più
recente acquisizione, sia generale (stimolo dell'angiogenesi alla giunzione
osteo–tendinea), sia specifico (per un effetto diretto di stimolo metabolicoproliferativo sulle cellule tendinee stesse). Sulla base di questi dati scientifici, a
buon diritto sembrerebbe potersi attribuire alle onde d'urto anche nel settore
delle patologie tendinee, non un semplice effetto palliativo-antalgico, bensì una
vera e propria azione terapeutica. In altri termini, l'applicazione delle onde
d'urto, per i relativamente pochi minuti di trattamento (tempo variabile in
funzione del tipo di apparecchiatura utilizzata e del protocollo terapeutico),
serve fondamentalmente per innescare una serie di reazioni biologiche
tissutali, che porteranno alla risoluzione dei fenomeni flogistici locali e ad un
auspicabile effetto trofico nelle settimane a seguire. Sulla scorta delle ricerche
cliniche e di base, è stato anche introdotto il termine di "biosurgery", in altre
parole la possibilità di ottenere, in alcuni casi, un effetto biologico positivo
(trofico), simile a quello che si potrebbe conseguire con un intervento
chirurgico, ma con l'indubbio vantaggio di poter contare su una metodica non
invasiva e pressoché priva di complicanze e di effetti collaterali rilevanti e
duraturi.
Caratteristiche del trattamento
I protocolli standard di terapia per le patologie dei cosiddetti "tessuti molli"
(tendini, legamenti e strutture correlate) prevedono mediamente un numero
variabile di applicazioni. In genere sono 3 o 4 in totale, a bassa-media energia,
preferibilmente con cadenza settimanale. Al termine di ciascun ciclo di ESWT
(ripetibile, se necessario) è consigliabile attendere ancora alcune settimane,
per poter correttamente valutare i risultati della terapia. Il trattamento con
onde d'urto è generalmente ben tollerato. Eventuali riscontri discordanti nella
pratica clinica quotidiana potrebbero essere attribuiti a una fisiologica
variabilità della soglia del dolore nei diversi pazienti in trattamento, al tipo di
protocollo terapeutico richiesto, al diverso tipo di apparecchiatura utilizzata ed
alla diversa esperienza dell'operatore. Talvolta, per i trattamenti a maggiore
energia (in genere per le patologie dell'osso) può essere indicato eseguire
un'anestesia locale o una blanda sedazione. Le probabilità di successo del
trattamento ESWT in corso di patologie tendinee, proprio come per tutte le
altre terapie e per gli interventi chirurgici, sono direttamente correlate a una
precisa indicazione diagnostica. I pazienti vanno pertanto selezionati e
candidati al trattamento in funzione della patologia, delle eventuali
controindicazioni e dell'effettiva necessità del trattamento. Da non trascurarsi,
ovviamente, la possibilità di un effetto sinergico, in combinazione con altre
terapie (di tipo fisioterapico-riabilitativo), specie se necessario il recupero
dell'escursione articolare. La letteratura è ormai ricca di pubblicazioni
sull'argomento, a volte però con risultati discordanti tra loro. I motivi di una
certa disparità di risultati possono essere attribuiti a svariate cause: la
diversità dei parametri della fonte energetica e dei protocolli terapeutici, la
difficoltà talora ad obiettivare i risultati, e la possibile eterogenicità dei casi
clinici esaminati. In generale, il risultato della ESWT può essere influenzato
positivamente:
dall'esperienza del medico
dall'impiego di un'apparecchiatura adeguata
dal corretto inserimento delle onde d'urto nel contesto di un adeguato
"iter" terapeutico.
Il risultato può essere influenzato invece negativamente:
quando i criteri di esclusione su cui esiste un generale consenso non
sono applicat
da concomitanti patologie ortopediche
da concomitanti patologie non ortopediche
dal grado di cronicità della patologia.
Nelle Linee Guida promulgate dalla Società Italiana Terapia Onde d'urto
(SITOD) (per i cui dettagli si rimanda alla consultazione del sito web:
www.sitod.it), viene data indicazione a questa terapia nelle seguenti patologie:
Pseudoartrosi/mancato consolidamento di frattura
Tendinopatia calcifica di spalla
Tendinopatie inserzionali croniche
Fascite plantare (con/senza sperone osseo)
Osteonecrosi
Distrofie ossee simpatico-riflesse
In un recente documento promulgato dall'International Society of Medical
Shockwave Treatment (ISMST) (consultabile sul sito web: www.ismst.com), le
indicazioni terapeutiche al trattamento ESWT per le patologie tendinee già
approvate sulla base di studi clinici, sono considerate le seguenti:
Fascite plantare con/senza sperone osseo
Tendinopatie Achilleo
Epicondilite ("gomito del tennista")
Tendinopatia cuffia rotatori (con/senza calcificazione/i)
Tendinopatia rotulea
Entesopatia trocanterica (Sindrome del Grande Trocantere)
Gli effetti collaterali, se il trattamento ESWT è correttamente applicato secondo
i criteri delle linee guida e delle specifiche tecniche (diverse per ciascun tipo di
apparecchiatura utilizzata), sono da considerarsi di lieve entità, non frequenti e
comunque transitori. Sono comunemente descritti:
edema ed arrossamento nella zona di trattamento
ecchimosi e rotture capillari
dolore locale durante la terapia
riacutizzazione temporanea della sintomatologia dolorosa nelle ore/giorni
successivi al trattamento.
Controindicazioni
Classicamente, sono da considerarsi controindicazioni alla terapia con onde
d'urto le seguenti condizioni:
Presenza di cartilagini di accrescimento ancora fertili in prossimità
dell'area anatomica da trattare
Emofilia
Gravidanza
Presenza di apparecchi di stimolazione cardiaca e midollare
Neoplasie in corrispondenza della sede anatomica da trattare
Infezioni acute
Vicinanza di strutture anatomiche a rischio di lesione (polmone, organi
cavi, encefalo, grossi vasi e tronchi nervosi)
Terapia anticoagulante
Conclusioni
Le onde d'urto extracorporee rappresentano oggi una valida risorsa terapeutica
nel trattamento di numerose patologie dell'apparato muscolo scheletrico. La
ricerca di base evidenzia la complessità dei loro meccanismi d'azione che,
sebbene ancora in parte da chiarire, sembrerebbe comportare l'attivazione dei
processi metabolici regolatori dell'espressione genica, delle sintesi proteiche e
dei fattori di crescita cellulari, impegnando i meccanismi della trasmissione e
decodificazione dell'impulso esogeno (meccanotrasduzione). L'attivazione della
neoangiogenesi e i molteplici effetti indotti dalla produzione del monossido
d'azoto (NO) rappresenterebbero uno dei meccanismi chiave dell'effetto
terapeutico delle onde d'urto nei differenti tessuti dell'organismo. Pur ancora in
via di diffusione in Italia, tale metodica è sempre più utilizzata, non solo ai fini
della riduzione della flogosi e del dolore, ma anche per stimolare i fisiologici
processi trofici di "riparazione" tissutale, nell'accezione più ampia del termine.
In generale quindi, le onde d'urto, pur non potendo essere considerate una
miracolosa panacea, adatta a chiunque ed applicabile in qualsiasi patologia,
possono veramente rappresentare una valida soluzione per molte patologie
tendinee, acute e croniche. Il loro impiego va comunque sempre valutato caso
per caso, sulla base di una diagnosi appropriata e affidato a uno specialista
della materia. In mani esperte e in presenza di una corretta indicazione
terapeutica, possono rappresentare in alcuni casi una valida alternativa
all'intervento chirurgico. Ad oggi, non sono stati riportati in letteratura effetti
iatrogeni o lesivi, legati all'applicazione di onde d'urto nelle patologie tendinee.
Alla non-invasività della metodica (in quanto tale, considerata "biologica"), si
aggiunga anche l'indubbio vantaggio rappresentato dal numero relativamente
limitato di sedute richiesto per ottenere l'effetto terapeutico. Nell'ambito
specifico delle patologie tendinee, studi futuri potranno precisare l'esatto ruolo
di tale risorsa terapeutica, a indicare la possibilità di indurre delle modificazioni
tissutali in senso curativo, simili a quelle ottenibili con un intervento chirurgico,
ma con modalità biologica e non invasiva (biosurgery), stante la possibilità di
modificare in senso positivo il metabolismo tissutale, con azione diretta sulle
cellule stesse.
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