il mediterraneo

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IL MEDITERRANEO: UN MARE DA SALVARE
Per area del Mediterraneo, secondo la Convenzione di Barcellona del 1976, s’intendono le acque
marine, compresi i golfi, limitate ad occidente dallo Stretto di Gibilterra e ad Oriente da quello
dei Dardanelli; ne risulta una superficie di 2,5 milioni di km2, con una profondità media di 1,5
km.
Il bacino è circondato da 18 paesi con una popolazione complessiva di 190 milioni di unità, distribuite lungo 46000 km di coste, con oltre 100 milioni di visitatori l’anno.
Il Mediterraneo è quasi interamente circondato da coste montuose con poche ampie pianure e
pochi fiumi di una certa importanza: Ebro, Rodano, Po e Nilo, che apportano un consistente volume di sedimenti (oltre 50 milioni di t/annue).
Il sistema di corrente mostra una migrazione di acque superficiali atlantiche attraverso lo stretto
di Gibilterra e un ritorno in oceano di acque mediterranee degli strati intermedi e profondi particolarmente ricchi di sostanze nutritive.
Per questo motivo il ricambio è assai lento (circa 80 anni per un ricambio complessivo) e la tendenza del sistema sarebbe all’oligotrofia, tranne che in prossimità degli sbocchi fluviali.
L’equilibrio idrico è negativo, cioè le perdite per evaporazione sono maggiori degli apporti e sono
compensate dall’afflusso di acque atlantiche ed in minor misura dal Mar Nero.
Le acque oligotrofe e salate hanno una produttività piuttosto bassa, maggiore negli anni più freddi ed in inverno grazie alle forti correnti verticali che favoriscono il rimescolamento con ossigenazione degli strati profondi e riciclo di sostanze nutritive; deboli sono invece le maree e le correnti orizzontali.
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La fauna è caratterizzata da specie endemiche ed è più ricca rispetto a quella atlantica, soprattutto per le specie sessili e i Crostacei: tale ricchezza potrebbe avvalorare l’ipotesi che questo
mare sia stato un centro primario per l’evoluzione e l’irraggiamento della fauna dell’Atlantico orientale.
Per tutta questa serie di caratteristiche naturali ed antropiche ne risulta che il Mediterraneo è
estremamente vulnerabile nei confronti dell’inquinamento, dato che le sue acque hanno poca
possibilità di ricambio con l’Atlantico. La densità della popolazione che gravita sulle regioni costiere e il continuo aumento del turismo, specie nei mesi estivi, causano un inquinamento da liquami umani non trattati o con trattamenti insufficienti. I Paesi della costa nord sono poi responsabili dei tre quarti dell’intero inquinamento di origine industriale veicolato da fiumi come il Po e
il Reno.
Le zone più inquinate sono quelle nei pressi di città industriali: nell’Adriatico vicino a Spalato e
Fiume, nell’Egeo vicino ad Atene e Salonicco, nel Mediterraneo vicino a Genova, Marsiglia e Barcellona.
Le cause dei principali problemi ecologici
1. Inquinamento da idrocarburi: il Mediterraneo, pur occupando solo lo 0,7% della superficie totale delle acque del pianeta, accoglie ben il 23% del traffico mondiale marittimo dei prodotti petroliferi!
Uno studio condotto nell’ambito del Mediterranean Action Plan dell’UNEP indica in 635 000 le
tonnellate annue immesse nel mare soprattutto a causa del trasporto marittimo. Nel corso del
periodo ’92-’96 sono stati segnalati ben 216 casi di inquinamento o pericolo d’inquinamento solo
nelle acque territoriali nazionali.
2. Inquinamento radioattivo: il Mediterraneo è un crocevia anche per i traffici dei rifiuti radioattivi, tossici e nocivi. Il sospetto inquietante è che alcune di queste navi, forse una ventina, cariche di veleni siano state affondate al largo delle nostre coste. Com’è noto, i bidoni affondati si
trasformeranno in una specie di bomba a tempo: con la rottura degli stessi, l’acqua sarà contaminata e il deleterio effetto delle scorie radioattive si manterrà anche per migliaia di anni.
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3. Inquinamento da sostanze chimiche di varia natura: le stime parlano ogni anno di 358 000 t
di fosforo, 1 042 000 t di azoto, 60 000 t di detergenti, 130 t di mercurio, 4 820 t di piombo, 2
760 t di cromo, 25 700 t di zinco, 90 t di pesticidi ecc.
Questo fa sì che le tracce di pesticidi come il DDT e di composti tossici del cloro (Pcb) presenti
nei nostri pesci siano superiori di centinaia di volte ai valori presenti nelle popolazioni ittiche
dell’Oceano Atlantico.
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4. Inquinamento organico e microbiologico: l’impatto delle popolazioni è pesante e lo sarà
sempre più in futuro. Purtroppo più dell’80% dei rifiuti organici prodotti (500 milioni di t/annue)
finiscono in mare senza nessun trattamento mettendo a dura prova le capacità auto depurative
delle acque! Decine di spiagge italiane e francesi non raggiungono gli standard di pulizia fissati
dalle direttive UE sulle acque di balneazione. È possibile che i rischi di infezioni all’orecchio, al
naso, alla gola, di epatiti, enteriti, dissenteria e colera siano tanto più gravi, in quanto la temperatura mite delle acque favorisce le proliferazioni e incoraggia i bagnanti a restarvi più a lungo.
Anche gli alimenti ricavati dal mare spesso risultano contaminati.
5. Pesca esagerata: attualmente dal Mediterraneo si ricavano ogni anno circa 2 milioni di tonnellate di pesce, mentre il gettito sostenibile sarebbe di 1,1-1,4 milioni. I popolamenti ittici delle
aree costiere sono caratterizzati da elevata diversità e dalla presenza di numerose specie sensibili all’inquinamento e/o a una corretta gestione delle risorse. In quest’ultimo caso si tratta prevalentemente di individui bentonici a lungo accrescimento con aumento della fecondità in proporzione alla taglia, caratteristica che li rende vulnerabili al sovrasfruttamento e che non è sanata
dal fermo biologico. A questo si aggiungono le tecniche illegali come i turbosoffianti, utilizzati
per la pesca illegale dei Molluschi (anche nella laguna di Venezia).
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Vi sono reti come le spadare lunghe fino a 8 km (anche se il limite imposto dalla UE è di 2,5 km),
altre, come il tipo Gloria, da 18700 m2, potrebbero pescare fino a 12 Jumbo contemporaneamente. Permane anche la pesca a strascico, che danneggia le praterie a Poseidonia e il Corallo rosso.
Alla fine poi grandi quantità di pesce vengono ributtate a mare perché non soddisfano esteticamente il mercato!
6. Introduzione di specie estranee (inquinamento genetico): l’inquinamento di varia natura ha
indebolito a tale punto l’ecosistema costiero che più di 300 specie estranee (due terzi delle quali
scoperte dopo il 1970) hanno soppiantato o stanno competendo con quelle indigene. Ricordiamo
l’alga Caulerpa taxifolia, originaria dei Tropici, forse finita in mare dal lavaggio di una vasca del
Museo Oceanografico di Montecarlo, che si sta diffondendo rapidamente anche grazie alla caulerpicina, una tossina che uccide le altre alghe e le praterie di Poseidonia.
Ricordiamo anche, fra i Molluschi bivalvi, la Scarfaca e la Vongola verace di origine asiatica Tapes
Philippinarum, localizzata e allevata nell’alto Adriatico, che ha soppiantato l’indigena T. decussatus per il suo accrescimento più veloce e la resistenza alle condizioni d’ipossia.
Nel 1975, nell’ambito del programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), è stato approvato un Piano d’Azione per il Risanamento del Mediterraneo. Esso contempla anche la messa in opera degli impegni contratti da 17 Paesi mediterranei con la Convenzione di Barcellona (1976) con
lo scopo comune di risanare il Mediterraneo. Nonostante ciò le condizioni di questo mare non sono migliorate in modo significativo, anche se si sono intensificati i controlli sullo stato delle acque ed è aumentata la consapevolezza del rischio ambientale.
Le soluzioni possibili
In ambito comunitario vengono individuate le seguenti priorità:
– immediata applicazione dei regolamenti e convenzioni approvate con l’individuazione degli
strumenti coercitivi appropriati (tasse, sanzioni ecc.);
– progressiva eliminazione delle navi vecchie e al di sotto degli standard di sicurezza mediante
l’attribuzione delle responsabilità degli Stati bandiera;
– determinazione delle responsabilità degli Stati costieri nella realizzazione delle infrastrutture al
servizio della navigazione;
– impegno della UE a promuovere presso l’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale)
l’adozione di nuove norme di sicurezza.
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In ambito italiano
Il territorio mare è stato amministrato fino al 1993 dal soppresso Ministero della Marina
Mercantile. Da allora le funzioni di tutela e difesa sono state trasferite al Ministero
dell’Ambiente.
L’Ispettorato centrale per la difesa del mare ha funzioni ispettive e d’intervento, oltre che di
governo dell’emergenza nei casi d’inquinamento. Per evitare i gravi incidenti del passato (Haven,
1991) occorre adottare al più presto le Direttive UE e installare sistemi di vigilanza del traffico
(UTS). È compito poi delle varie Regioni, Province e Comuni vigilare e tutelare la qualità delle
acque immesse nel mare.
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