Associazione Malattie Rare “Mauro Baschirotto” Onlus LA MALATTIA DI LESCH-NYHAN INDICAZIONI PRATICHE PER LA DIAGNOSI, IL TRATTAMENTO E LA MIGLIORE GESTIONE DELLA MALATTIA Con il contributo del CSV (Centro Servizi Volontariato) di Vicenza Questo vademecum riporta informazioni e indicazioni che derivano dall’esperienza diretta dell’ Istituto Malattie Rare B.I.R.D. e dell‘Associazione “Mauro Baschirotto” Onlus, che da ben 15 anni seguono pazienti italiani ed esteri, dalle pubblicazioni scientifiche prodotte dai centri clinici internazionali di riferimento per la malattia, dalle testimonianze dei genitori e delle persone che assistono i malati quotidianamente. Il documento è stato redatto con l’obiettivo di: informare sulla malattia di Lesch - Nyhan descrivendo con linguaggio semplice, ma rigoroso le caratteristiche cliniche della malattia e le soluzioni terapeutiche ad oggi disponibili; fornire uno strumento aggiornato a chi quotidianamente vive con i malati o si occupa della loro assistenza; fornire un documento di riferimento sulla malattia, sulla diagnosi, sulla terapia e sulle prospettive di ricerca. 1. Che cos’ è la Malattia di Lesch – Nyhan La malattia di Lesch-Nyhan (LND) è una malattia genetica grave che colpisce pressoché esclusivamente i soggetti di sesso maschile ed è caratterizzata nella sua forma classica da valori elevati di acido urico nel sangue e nelle urine con gotta e problemi renali, importanti disturbi del movimento e atteggiamenti posturali del tutto involontari, che impediscono la stazione eretta e la marcia, gravi difficoltà di espressione verbale, difficoltà di deglutizione, vario grado di deficit cognitivo e, in particolare, da una spinta incontrollabile a farsi del male, che per le singolari caratteristiche, associate unicamente a questa malattia, viene definita comportamento Lesch-Nyhan. La malattia è data dalla marcata riduzione o totale assenza di attività dell’enzima ipoxantina–guanina fosforibosil-transferasi (hypoxanthine-guanine phosphoribosyltransferase, HPRT), normalmente presente e funzionante in tutte le cellule del nostro organismo. Tale enzima è coinvolto nel metabolismo delle basi puriniche, ipoxantina e guanina, che altrimenti vengono degradate ad acido urico. Nelle persone affette da LND l’enzima HPRT è assente o alterato a causa di mutazioni che coinvolgono il gene HPRT1 che lo codifica. Quest’ultimo si trova sul braccio lungo del cromosoma sessuale X in posizione Xq26-q27.2. 1.1 Scoperta della malattia La malattia è stata descritta per la prima volta nel 1964 da due ricercatori americani, Michael Lesch e William Leo Nyhan, sulla base dei loro studi su due fratelli affetti e di precedenti osservazioni effettuate da Werner Catel e da J. von Schmidt nel 1959 (che segnalavano encefalopatia, nefropatia e iperuricemia in un bambino di 18 mesi) e da I.D. Riley nel 1960 (che riferiva l’osservazione di un ragazzo con gotta e i tipici disturbi neurologici e comportamentali della LND). Il difetto enzimatico associato alla LND è stato scoperto da Jarvis E. Seegmiller e collaboratori nel 1967, mentre la prova che la LND è dovuta ad un cambiamento della struttura dell’enzima HPRT è stata fornita da B. Bakay e lo stesso Nyhan nel 1972. Il gene HPRT1 è stato clonato e sequenziato da Theodore Friedmann nel 1982. 1.2 Epidemiologia La distribuzione della LND nel mondo non è del tutto nota ma appare uniforme sia rispetto alle razze, sia alla localizzazione geografica. Una stima effettuata in Canada suggerisce che la malattia si manifesta con 1 caso ogni 380.000 nati (2 - 3 casi di malattia ogni milione di persone). Il numero dei casi Italiani conosciuti suggerisce una frequenza della malattia nella popolazione nell’ordine di 1 ogni 1.000.000 di abitanti. A questo proposito è d’obbligo menzionare che la LND non viene sempre correttamente diagnosticata in quanto scambiata con altri disordini neurologici o psichiatrici. 1.3 Dati disponibili in Italia, in Europa e nel mondo In Italia, l’incidenza e la prevalenza della malattia non sono di facile riscontro perché la diagnosi genetica non viene sempre effettuata con precisione e non c’è un registro nazionale aggiornato: se consideriamo l’ipotesi di Crawhall, si potrebbe stimare che in Italia ci sono circa 150 soggetti affetti da LND. Se invece consideriamo i dati registrati, possiamo dire che presso il B.I.R.D. sono seguiti 42 pazienti, affetti da LND, con una stima di circa 60-100 pazienti presenti sul territorio Italiano. Qualche informazione è disponibile anche per altri paesi: il ministero della salute della Norvegia riferisce solo di 3 casi diagnosticati in una popolazione di poco più di 4 milioni di abitanti mentre per il network svedese ci sarebbero oggi in Svezia soltanto 6 casi certi di LND e 10 in tutta la Scandinavia. Ma non è escluso che ci siano casi di LND ancora non diagnosticati. Negli Stati Uniti si considera applicabile la stima di Crawhall e si suppone che ci siano quindi diverse centinaia di persone malate di LND. Soltanto 7 casi sono stati però riscontrati a New York City, in una popolazione di poco superiore a 8 milioni di abitanti. 2. Classificazione Una classificazione accreditata della malattia di Lesch-Nyhan prevede tre forme: 1. Forma classica (Lesch-Nyhan disease, LND): I pazienti evidenziano le tipiche caratteristiche della LND con sintomatologia legata all’iperuricemia e all’iperuricuria. Sono presenti disturbi motori con incapacità di mantenere la stazione eretta e di camminare. Il deficit cognitivo va da borderline a grave. E’ presente il comportamento “autoaggressivo” LeschNyhan che può insorgere a diverse età ed in alcuni casi attenuarsi nel corso della vita fino alla quasi totale scomparsa. I malati sono completamente dipendenti per la cura personale e le attività quotidiane. 2. Forma con iperuricemia e disturbi neurologici (HPRTralated neurological disease, HRND): Sono presenti sintomi legati all’iperuricemia e all’iperuricuria e sintomi neurologici da lievi a gravi. Il deficit cognitivo è borderline o lieve. I pazienti riescono a nutrirsi da soli e ad occuparsi delle necessità personali, ma il disturbo motorio rende talvolta necessario l’utilizzo della sedia a rotelle. Non manifestano comportamento “autoaggressivo” della Lesch-Nyhan. 3. Iperuricemia da deficit HPRT (malattia di KelleySeegmiller; HPRT-related hyperuricaemia, HRH): Sono assenti sintomi neurologici significativi. In questi pazienti il deficit dell’enzima HPRT si manifesta con i sintomi legati all’ iperuricemia e all’iperuricuria. Questi pazienti sono totalmente indipendenti nello svolgimento delle attività quotidiane e conducono una vita normale. La classificazione proposta è divisa principalmente in base alla sintomatologia nefrologica, neurologica e comportamentale. In realtà il deficit di HPRT presenta uno spettro continuo che va dalla forma classica alla forma iperuricemica in base principalmente all’attività residua dell’enzima. Oltre a questo vi sono altri fattori che influenzano la gravità del quadro clinico come si evince dalle segnalazioni di marcate differenze della sintomatologia tra gli affetti della stessa famiglia. Rosa Torres-Jiménez e Juan Garcia Puig del Laboratorio di Biochimica Clinica dell’Ospedale La Paz - Università Autonoma di Madrid, hanno recentemente proposto una classificazione della malattia basata sull’entità dei sintomi neurologici e sulla necessità del pazienti a ricorrere ad altri per le cure personali. Tale classificazione deriva dall’osservazione clinica di 22 pazienti di 18 differenti famiglie spagnole e considera 4 livelli di gravità: • Gruppo 1: sviluppo normale senza sintomi neurologici (malattia di Kelley – Seegmiller).In questi pazienti il deficit dell’enzima HPRT si manifesta con iperuricemia asintomatica ed elevata escrezione di acido urico, calcolosi renale e/o gotta. Questi pazienti sono totalmente indipendenti nell’effettuazione delle attività quotidiane e conducono una vita autonoma. • Gruppo 2: sintomi neurologici lievi. I pazienti presentano sintomi neurologici lievi, che rendono distonica l’andatura e un certo grado di spasticità e di ritardo mentale. Sebbene la sintomatologia neurologica sia di ostacolo, sono indipendenti per la maggior parte delle attività e possono condurre una vita autonoma. • Gruppo 3: sintomi neurologici gravi. I pazienti non presentano ritardo mentale, riescono a nutrirsi da soli e ad occuparsi delle necessità personali, ma il grave disturbo motorio rende necessario l’utilizzo della sedia a rotelle. Non manifestano comportamento “autoaggressivo”. • Gruppo 4: malattia di Lesch - Nyhan classica. I pazienti evidenziano le tipiche caratteristiche della LND inclusa coreoatetosi, spasticità, incapacità di rimanere in piedi e di camminare. Sono completamente dipendenti per la cura personale e le attività quotidiane. Alcuni di questi soggetti non manifestano comportamento “autoaggressivo” o ritardo mentale, presenti nella maggior parte dei casi. 3. Manifestazione ed evoluzione Le caratteristiche cliniche della LND classica sono così raggruppabili: •segni e sintomi che derivano direttamente dall’alterato metabolismo delle purine e dal conseguente accumulo di acido urico (iperuricemia, calcoli renali, artrite gottosa e depositi sottocutanei solidi denominati tofi); •disturbi del movimento che si manifestano costantemente con atteggiamenti posturali involontari, e contrazioni che interessano il volto e gli arti ed interferiscono con i movimenti volontari (distonia), difficoltà nell'articolare le parole (disartria) e nella deglutizione (disfagia); a questi si possono associare rigidità muscolare (spasticità), movimenti del tutto dissociati con quelli volontari, sia lenti che rapidi (coreoatetosi), o più raramente movimenti involontari ampi e rapidi degli arti, in tutte le direzioni (ballismo); infine, frequentissime sono le brevi crisi di inarcamento del corpo in estensione (opistotono); •deficit cognitivo di grado variabile; •problemi di comportamento, caratterizzati da atteggiamenti involontari impulsivi e aggressivi, quali l’irrefrenabile spinta all’autolesionismo (che può portare all’automutilazione) e l’eteroaggressività verbale (ingiurie, oscenità, blasfemie) e fisica (movimenti improvvisi e violenti, morsi, graffi, ect.); •oltre a questi, ci sono altri sintomi caratteristici della malattia, come l’anemia megaloblastica normocromica, l’atrofia testicolare, la pubertà ritardata o assente e un generale ritardo nel raggiungimento delle tappe dello sviluppo. 3.1 Evoluzione della forma classica della malattia •Gravidanza e parto.I bambini LND vengono di norma gestati senza particolari complicanze. Alla nascita, i bambini affetti non presentano anomalie di rilievo ad eccezione di un grado variabile di ipotonia evidenziabile dalla difficoltà alla suzione e alla deglutizione, accompagnata da episodi di vomito fin dai primi mesi di vita. In un’età compresa tra i 3 e i 6 mesi compaiono i primi segni della malattia con la presenza di iperuricemia, evidenziabile dal riscontro di cristalli di colore arancione nei pannolini dei bambini affetti. Dal punto di vista neurologico può iniziare a manifestarsi già precocemente lo scarso controllo del capo, che sarà più evidente in seguito. La sovrapproduzione e l’accumulo di acido urico possono provocare precocemente ematuria e lesioni renali (nefriti tubulo-interstiziali e depositi di urati di sodio) associate a problemi digestivi, disidratazione acuta e ritardo nella crescita. L’artrite gottosa e la calcolosi renale di norma compaiono attorno ai dieci anni, soprattutto se la terapia con allopurinolo (vedi capitolo 5) non è stata ben gestita sin dalla nascita. Nei casi più gravi si può arrivare precocemente all’insufficienza renale, con ipertensione arteriosa associata, e alla necessità di dialisi. •Disturbo del movimento. Dopo un esordio sfumato sin dai primi mesi di vita, nella forma classica questo è prevalentemente caratterizzato da contrazioni che costringono a posture anomale o che si sovrappongono a movimenti volontari, disturbandoli e rendendoli imprecisi (distonia d’azione). Molto frequenti sono le crisi di contrazione in estensione di tutto il corpo (opistotono), accentuate da qualunque stress emotivo. Sovente si riscontra la contemporanea presenza di movimenti involontari lenti e disorganizzati (atetosici), e insieme a movimenti bruschi (coreici), che nel loro insieme vengono detti coreoatetosi. Anche la rigidità muscolare (spasticità) può essere talora presente, con i riflessi osteotendinei caratteristici. Più rara invece è la presenza di movimenti involontari ampi, rapidi e violenti degli arti in tutte le direzioni (ballismo). Anche i muscoli che controllano la voce e la deglutizione sono compromessi (disartria e disfagia, rispettivamente): nella forma classica le parole possono divenire scarsamente intelligibili e la deglutizione viene attuata con grande difficoltà. Nei primi mesi di vita lo sviluppo neurologico e motorio appaiono normali, anche se la distonia torsionale e l’opistotono possono presentarsi molto presto. Tra i 9 e i 12 mesi di vita i segni e il disturbo del movimento è spesso già manifesto ed impedisce il controllo del capo e degli arti: i bambini cadono all’indietro se si siedono senza supporto e, se tale traguardo era stato raggiunto, ne perdono l’abilità. Nella forma classica, con il passare dei mesi, i sintomi extrapiramidali (distonia, coreoatetosi, opistotono) sono tali da non consentire ai bambini di stare seduti o in piedi senza assistenza e quindi di imparare a camminare. •Dopo i tre anni di età, può insorgere epilessia, anche grave. •I disturbi cognitivi si palesano a circa 3 - 4 anni di età: il ritardo mentale sembra essere di grado moderato, sebbene sia difficile valutarlo a causa della disartria e del disturbo motorio. •Disturbo comportamentale. Per la sua assoluta peculiarità (patognomonicità, cioè la sua presenza consente di per sè la diagnosi) viene definito comportamento Lesch-Nyhan. Si manifesta come un’incontrollabile tendenza a farsi del male. Può presentarsi con modalità ed intensità variabili per periodo di insorgenza, persistenza, durata, e il suo esordio avviene tra 1 e 16 anni di età. Questo tipo di comportamento frequentemente insorge con morsicature delle dita, delle mani, delle labbra, delle parti interne delle guance e della lingua (che possono portare a infezioni o provocare vere e proprie mutilazioni), persistenti sfregamenti degli occhi (che possono determinare problemi alla vista) o traumi multipli in altre parti del corpo con conseguenti escoriazioni, contusioni e lacerazioni. I pazienti descrivono questo comportamento come del tutto estraneo ed indipendente dalla loro volontà e dal loro umore. Con l’aumentare dell’età l’impulso a farsi male può manifestarsi in maniera più decisa ed importante, poiché il bambino diventa consapevole e capace di trovare nuove e più pericolose opportunità per ferirsi. Questo implica che il comportamento Lesch-Nyhan spesso diventi più elaborato, spaziando da forme di autolesionismo diretto, come può essere picchiare la testa contro oggetti appuntiti o sbattere indietro la testa, a comportamenti molto più raffinati, come mettere la mano nella chiusura della porta. Parallelamente si manifestano anche gli episodi di “eteroaggressività”, rivolti verso oggetti, che i pazienti gettano a terra, oppure verso le persone che li accudiscono. Questi atti possono essere variamente limitati dagli handicap motori. L’aggressività verbale, invece rimane sempre presente e si manifesta in modo particolare in situazioni emotive di ansia o stress. Le persone affette dalla LND nel corso della vita manifestano diversi problemi legati all’iperuricemia, il più importante dei quali rappresentato dai calcoli renali. Oltre a questo è spesso presente artrite gottosa e la presenza di tofi gottosi. Nella quasi totalità dei casi nel corso della vita tende a comparire un anemia macrocitica normocromica. Malgrado la terapia con B12 e folati venga quasi sempre attuata, rimane incerto se sia di qualche efficacia. In una situazione ottimale di approccio e trattamento, le persone con LND possono vivere fino oltre la quinta decade di vita. La causa del decesso, nella maggioranza dei casi, è rappresentata da polmoniti o da complicazioni dovute alla calcolosi cronica e all’insufficienza renale; tuttavia, per una significativa porzione dei pazienti il decesso è improvviso ed inaspettato, dovuto a cause non conosciute. Tabella 1 Segni precoci della malattia e loro progressione (da H.A. Jinnah e W. Nyhan) Segnali di allarme -raccolta di “renella” o sostanza simile nel pannolino nella prima settimana di vita; -sangue nelle urine; -ridotto controllo del capo oltre i tre mesi; -arcuarsi della schiena e del collo; -scarso tono muscolare (“bambini flaccidi”); -incapacità di sedersi senza supporti a 9-12 mesi o perdita di questa capacità; Problemi di sviluppo - dai 3 mesi, incapacità di sollevare la testa partendo dalla posizione prona (“bambini flaccidi”); -dai 6 mesi, arcuarsi della schiena; -dai 9 mesi, incapacità di mettersi in piedi o strisciare o arrampicarsi; - dai 12 mesi, incapacità di camminare; dai 18 mesi, movimenti involontari distonici o strane posture di braccia, gambe o corpo. In seguito allo sviluppo dei denti -morsi in varie parti del corpo; -sangue sulle lenzuola; -pianti inconsolabili durante la notte. 4. Diagnosi della Malattia di Lesch-Nyhan La diagnosi precoce della malattia è molto importante per una corretta terapia e per chiarire i rischi di ricorrenza nella famiglia. 4.1 Diagnosi clinica Un attenta anamnesi e una attenta valutazione clinica spesso sono sufficienti per sospettare la diagnosi di LND. -Segni clinici • distonia; • disartria e disfagia; • movimenti coreoatetosici; • cristalli di urato nelle urine, nefrolitiasi; • comportamento autolesivo di tipo Lesch-Nyhan (segno patognomonico, la cui presenza è diagnostica). -Indagini di laboratorio • rapporto urati / creatinina > 2 (diagnostico nei bambini di età inferiore a 10 anni); • escrezione urinaria degli urati nelle 24 ore > 20mg/kg (indicativo ma non diagnostico); • uricemia > 8 mg / 100 ml. 4.2 Diagnosi Biochimica La diagnosi biochimica consiste nella misurazione dell’attività di HPRT confrontandola con quella di APRT. Per eseguire questo test si può utilizzare spot di sangue su carta, lisato cellulare, eritrociti vitali o colture di cellule. L’accuratezza di questo test è massima per i test eseguiti su colture di fibroblasti. Esiste inoltre un test specifico che consiste nella crescita linfocitaria in un terreno di selezione arricchito con un analogo delle purine (tioguanina) che permette la sopravvivenza esclusivamente delle cellule con carenza dell’enzima HPRT (Test di O’Neill). 4.3 Diagnosi genetica La diagnosi genetica viene effettuata mediante: - analisi diretta del gene HPRT1 su DNA gnomico (gDNA) attraverso il sequenziamento dei 9 esoni che costituiscono il gene e delle sequenze introniche limitrofe; sensibilità 95% - lo studio del gene HPRT1 a livello di mRNA retrotrascritto in cDNA; sensibilità 75% - determinazione dei punti di rottura nelle delezioni che coinvolgono il gene HPRT1 - test addizionali che permettono di identificare le portatrici di delezioni nel gene HPRT1, come le indagini quantitative La diagnosi genetica è molto importante non solo per la diagnosi nel paziente ma anche per l'identificazione di portatrici sane di mutazione nel gene HPRT1. Alle famigliari a rischio, quindi alla madre di un paziente e gli altri soggetti di sesso femminile per via matrilineare (come le zie materne o le sorelle dell’affetto), si consiglia di effettuare l’indagine del gene HPRT1 per escludere lo stato di portatrice sana. Tabella 2 Test genetici necessari per l’identificazione di mutazioni del gene HPRT1 - Il test genetico per la ricerca di difetto non noto nel gene HPRT1 in un soggetto affetto consiste in: • test genetico su DNA genomico per verificare la presenza di mutazioni del gene HPRT1; vengono viste mutazioni puntiformi, piccole e grandi delezioni, piccole duplicazioni, inserzioni, delezioni /inserzioni; • test genetico su mRNA per individuare modificazioni che consentono la formazione di mRNA con le porzioni terminali integre; questo test vede la maggior parte delle mutazioni evidenziabili su gDNA ad eccezione di quelle che non permettono la formazione di un mRNA che comprenda sia la parte iniziale (5’UTR) sia la parte terminale (3’ UTR) - Il test genetico per la ricerca di portatrici sane di difetto non noto nel gene HPRT1 consiste in: • test genetico su DNA genomico per verificare la presenza di mutazioni del gene HPRT1; vengono viste mutazioni puntiformi, piccole e grandi delezioni, piccole duplicazioni, inserzioni, delezioni /inserzioni; • analisi mediante qPCR su DNA per individuare grandi delezioni che coinvolgono intere porzioni del gene; • nel caso di delezioni si procede con la determinazione dei punti di rottura e conseguentemente è possibile effettuare un test su DNA genomico individuando il frammento di giunzione (mediante il quale si può identificare la presenza di DNA con una porzione mancante), A conferma dei risultati genetici si può effettuare anche nelle portatrici sane il test biochimico per verificare la funzionalità dell’enzima HPRT. 4.4 Diagnosi prenatale Per le portatrici di mutazione nota nel gene HPRT1 è disponibile il test prenatale per determinare se il feto della gravidanza in corso è affetto da LND o sano. Questo test si può eseguire su gDNA o mRNA ottenuto mediante amniocentesi o villocentesi in corso di gravidanza. 4.5 Modalità di trasmissione, rischi di ricorrenza ed esami consigliati ai famigliari del malato Il gene HPRT1, associato alla malattia, è situato sul cromosoma X. Quest’ultimo è uno dei due cromosomi sessuali assieme al cromosoma Y. I soggetti di sesso femminile possiedono due copie del cromosoma X, una ereditata dalla madre ed una ereditata dal padre. I soggetti di sesso maschile invece possiedono un’unica copia del cromosoma X, ereditata dalla madre, e un cromosoma Y ereditato dal padre. Nei soggetti di sesso maschile la presenza di un cromosoma X contenente un diffetto del gene HPRT1, tale da compromettere la funzionalità enzimatica, porta a malattia. Nei soggetti di sesso femminile tale condizione invece non porta a malattia in quanto la funzione di HPRT può essere vicariata dal secondo cromosoma X. Questa condizione si definisce come portatrice sana di difetto nel gene HPRT1. Alcuni casi isolati di malattia sono documentati in soggetti di sesso femminile nei quali erano presenti particolari anomalie che hanno permesso il manifestarsi della malattia (l’ipotesi è che in questi rari casi uno dei cromosomi X porti un difetto nel gene HPRT1 e che il secondo cromosoma X contenga delle anomalie tali da non permettergli di sopperire a questo difetto). Una portatrice sana di difetto nel gene HPRT1 ha per ogni gravidanza una probabilità pari al 25% che il feto sia affetto dalla LND e una probabilità pari al 75% che il feto sia sano. Più precisamente: ha una probabilità pari al 25% che il feto sia di sesso maschile malato, una probabilità pari al 25% che il feto sia di sesso femminile portatore sano, una probabilità pari al 25% che il feto sia di sesso maschile sano e una probabilità pari al 25% che il feto sia di sesso femminile sano e non portatore. (vedi schema 1). In generale, si stima che circa 2/3 dei casi di malattia siano ereditati da donne portatrici sane mentre 1/3 dei casi è attribuito a nuove mutazioni. Schema 1: Trasmissione di una malattia a trasmissione recessiva legata al cromosoma X 4.6 Genetica Molecolare Come già detto, mutazioni del gene HPRT1, che codifica l'enzima HPRT, sono alla base della malattia di Lesch-Nyhan. Il gene HPRT1 si trova sul braccio lungo del cromosoma X in posizione Xq26-q27.2 ed è composto da 9 esoni che spaziano in 43 kb di DNA. Non sono noti polimorfismi (variazioni di sequenza che non compromettono la funzione del gene e quindi non collegati alla malattia) nella regione codificante. Il gene codifica per un enzima che catalizza la conversione di ipoxantina in inosina 5’-monofosfato (IMP) e guanina in guanosina 5’-monofosfato (GMP) in presenza di fosforibosilpirofosfato. In questo modo, ricicla le purine derivanti dalla degradazione del DNA e dell’RNA che altrimenti verrebbero degradate a xantina e in ultima istanza ad acido urico. HPRT rappresenta lo 0.05% delle proteine solubili nel cervello. Le mutazioni collegate alla malattia di Lesch–Nyhan si trovano lungo tutto il gene HPRT1 e spesso le mutazioni sono proprie delle singole famiglie LND. Ad oggi si conoscono più di 300 mutazioni diverse del gene HPRT1.Il prodotto genico alterato risulta essere un enzima non funzionante o con una funzionalità residua estremamente ridotta. 4.7 La consulenza genetica Normalmente vi sono almeno due incontri con il Medico genetista: - Prima di eseguire il test genetico: per discutere l’importanza di quest’ ultimo, valutare l’ipotesi clinica di malattia di Lesch-Nyhan e le conseguenze della diagnosi molecolare per il malato e la famiglia; in questa occasione si raccolgono inoltre dati della famiglia per individuare ulteriori soggetti di sesso femminile per via matrilineare a rischio di essere portatrici sane di difetto nel gene HPRT1; il test genetico viene svolto nell’affetto e nel caso risultasse positivo sulla madre per identificare l’eventuale stato di portatrice sana. - Una volta confermata la diagnosi molecolare nel paziente affetto: al momento della consegna degli esiti viene spiegata e discussa la malattia e vengono pianificati la terapia ed i controlli necessari; inoltre se la madre risulta portatrice vengono discussi i rischi di ricorrenza della condizione nelle future gravidanze e si invitano i consultandi a consigliare a tutte le persone di sesso femminile della famiglia, per via matrilineare, quindi a rischio di essere portatrici sane di difetto nel gene HPRT1, a prendere contatti con il medico genetista. - Incontri con le persone di sesso femminile della famiglia informandole circa la patologia ed il rischio specifico per ciascuna di loro di essere portatrice sana di difetto nel gene HPRT1 e si propone loro il test molecolare per la ricerca della mutazione presente nel famigliare affetto. - Consulenze specifiche per portatrici sane di difetto nel gene HPRT1: ad ogni test molecolare eseguito seguono incontri nei quali vengono consegnati gli esiti e discusso circa il loro significato per la persona testata e per la futura prole. Ogni incontro può essere seguito da ulteriori incontri, anche con specialisti diversi dal genetista, per permettere alle persone di comprendere la complessa natura della condizione. 5. La terapia farmacologica La conoscenza della malattia e l’esperienza consigliano di seguire, dopo che è stata posta una diagnosi corretta, una serie di controlli specialistici ad intervalli regolari: visita neurologica e nefrologica, con ecografia renale e delle vie urinarie, e valutazione della funzionalità renale. Questo aiuterà a modulare la terapia in rapporto all’evoluzione clinica del paziente. Gli obiettivi della farmacoterapia nella LND sono il controllo dell’iperuricemia, la riduzione delle manifestazioni neurologiche e comportamentali, la prevenzione delle complicanze cliniche. 5.1 Terapia delle alterazioni metaboliche Ha l’obiettivo di tenere sotto controllo l’iperuricemia in modo da prevenire lo sviluppo di complicanze. Tale terapia si basa su due componenti: • l’allopurinolo, un analogo dell’ipoxantina, che inibisce il metabolismo dell’ipoxantina e della xantina ad acido urico da parte della xantina ossidasi. Il farmaco è risultato efficace nel ridurre e mantenere i livelli di urati nel siero e nelle urine all’interno degli intervalli di normalità. La dose terapeutica, che deve essere individuata per ciascun paziente in modo da evitare sovradosaggi, soprattutto quando è presente insufficienza renale, è solitamente di 5-10 mg/Kg in 2-3 somministrazioni al giorno. La dose ottimale è quella che riesce a bilanciare il rapporto tra xantina ed acido urico a livello ematico. Il livello ottimale dell’uricemia nei pazienti affetti dalla malattia di Lesch-Nyhan è ai livelli inferiori dei valori di riferimento nei maschi sani, quindi attorno a 3,0 mg/dl (valori di riferimento 3,2-8,1 per gli uomini e 2,2-7,1 mg/dl nelle donne). Particolare attenzione nella gestione della terapia con allopurinolo deve essere posta alla possibile comparsa di effetti indesiderati come la formazione di calcoli di xantina. La terapia con l’allopurinolo attualmente non ha riscontrato effetti sui sintomi neurologici e comportamentali. • Per la prevenzione ed il trattamento dei calcoli renali di acido urico così come di xantina, sono stati consigliati farmaci alcalinizzanti urinari controllando, con le apposite striscioline Tornasole spesso annesse alla confezione, che il valore del pH delle urine sia compreso tra 6,4 e 7. • L’abbondante idratazione, che deve essere particolarmente aumentata in caso di febbre, vomito o diarrea, come anche durante la stagione calda o in seguito ad esposizione prolungata al sole. • L’anemia megaloblastica normocromica è caratteristica della malattia. Gli integratori a base di folati, vit B12 e ferro che vengono abitualmente somministrati, non sono sufficienti a normalizzare il quadro ematologico. Tuttavia il loro utilizzo previene l’insorgere di pericolose carenze che potrebbero far peggiorare l’anemia. E’ stata utilizzata anche l’eritropoietina, che in un caso da noi osservato ha dato buoni risultati a basso dosaggio, aggiungendo agli integratori sopracitati anche il SAMe. 5.2 Terapia farmacologica del disturbo comportamentale Oltre al controllo dell’iperuricemia, i pazienti che manifestano la forma classica di LND, cioè accompagnata da comportamento Lesch-Nyhan, hanno l’ulteriore priorità di contenerne la violenza. Dato che ad oggi non è ancora conosciuta l’origine del disturbo, non sono disponibili farmaci specifici. E’ quindi necessario intervenire sui fattori che è noto aggravino questo aspetto della malattia: lo stress emotivo e l’eccitazione innanzitutto. Qui di seguito riportiamo i principali farmaci utilizzati, a cui è indispensabile associare opportuni contenimenti fisici. Inoltre, è necessario che i famigliari e chiunque abbia stretto contatto con i pazienti adotti le strategie comportamentali illustrate nei capitoli successivi. La correzione dell’iperuricemia e delle sue varie gravi complicanze segue alcune linee guida precise, per quanto negli ultimi anni in rapida evoluzione. I disturbi neurologici sono invece ancora scarsamente compresi, e impongono una continua interazione tra le figure di riferimento che ruotano attorno al paziente LND: genitori, educatori, specialisti e personale sanitario. • Benzodiazepine. Quasi tutti i pazienti affetti da LND classica traggono beneficio da tranquillanti benzodiazepinici ad emivita medio-lunga (es: clonazepam, diazepam). Peraltro un eccesso d’ansia assai frequentemente si riscontra anche nei pazienti affetti da forme più blande di LND. In alcuni casi però questi farmaci possono sortire effetto opposto a quello desiderato (cioè inducono agitazione: codsiddetto ‘effetto paradosso’). In questi casi le benzodiazepine non possono essere utilizzate. • Ipnoinducenti. Spesso i pazienti ‘approfittano’ (contro la propria volontà) della parziale libertà notturna dai mezzi di contenimento (che però spesso loro stessi richiedono). La necessaria lontananza dei genitori e la vicinanza con strumenti di offesa assenti durante il giorno, offre loro durante il riposo a letto l’occasione per provocarsi lesioni (es, sfregando l’occhio sul cuscino). L’individuazione da parte del malato della possibilità di farsi del male rappresenta di per se stessa un richiamo irresistibile. Una volta prevista la protezione da questi ‘richiami’ all’autolesionismo, il sonno viene quindi favorito con ipnoinducenti blandi, quali benzodiazepine (se efficaci), melatonina - più efficace sembra quella a lento rilascio , o con antistaminici sedativi frequentemente viene preferita niaprazina. • Antiepilettici. Come accennato in precedenza, è frequente il riscontro di epilessia generalizzata, che viene trattata con i comuni rimedi farmacologici. Tra questi, però, attualmente troviamo preferiti gli antiepilettici a cui vengono associati effetti secondari considerati favorevoli per questi pazienti. Così, estremamente diffuso è l’uso di gabapentin o pregabalin, che sembrano ridurre l’impulso autolesivo. Anche il levetiracetam viene molto utilizzato, soprattutto per la buona tollerabilità, ma anche per le proprietà antidistoniche che gli vengono attribuite. Anche a chi non soffre di epilessia accertata molto spesso viene somministrato un antiepilettico, sia che manifesti la forma clinica classica, con autolesionismo compulsivo, sia che manifesti una forma meno severa. In questi casi si cerca di sfruttare il generico effetto sedativo di questi farmaci, e gli altri effetti secondari sopra citati. E’ importante ricordare che la loro interruzione, qualora sia ritenuta opportuna, deve essere praticata come prescritto dallo specialista, con gradualità, onde evitare fenomeni di astinenza che possono includere crisi convulsive anche in pazienti non epilettici. • Neurolettici. Alcuni pazienti vengono trattati con neurolettici (aloperidolo, risperidone, olanzapina), con effetti, terapeutici, o collaterali extrapiramidali, difficilmente valutabili. Tra questi, più spesso riscontriamo effetto paradosso dei neurolettici di prima generazione. • Antidepressivi. Alcuni vengono trattati con antidepressivi, ma ricordiamo che la compulsione autolesiva non è in alcun modo causata dall’abbassamento del tono dell’umore, comprensibilmente provocandolo, semmai. • L’S-Adenosyl-Metionina (SAMe). E’ generalmente utilizzato come epatoprotettore e come blando antidepressivo. In una sperimentazione condotta dal nostro istituto su 14 pazienti – i cui risultati verranno pubblicati a breve -, questo farmaco ha dimostrato di essere spesso in grado di migliorare notevolmente la compulsione autolesiva (nel 30% dei casi circa), contrariamente a quanto osservato da N. Glick nel 2006. Purtroppo però, nella restante maggioranza dei casi ciò non si realizza. Poichè un effetto paradosso solo iniziale e transitorio è stato in un caso osservato, nella nostra esperienza i primi 2 mesi di terapia sono sempre sufficienti a chiarire a quale categoria il paziente appartenga. Un effetto non soddisfacente nella nostra esperienza è sempre del tutto reversibile nell’arco di 3-4 giorni. L’entità dell’effetto benefico è progressivo negli anni ed è tale, quando si verifica, che secondo la nostra opinione valga sempre la pena tentarne l’assunzione per 1-2 mesi, se la situazione ambientale lo consente: non è certo un trattamento da intraprendere in situazioni critiche quali le emergenze esposte al punto 5.4. 5.3 Terapia farmacologica del disturbo del movimento Come più diffusamente descritto nel capitolo 3, questo è caratterizzato con netta prevalenza da distonia, la quale disturba il movimento volontario (distonia d’azione), ma può variare ampiamente da paziente a paziente. Viene spesso trattato con miorilassanti ad azione centrale. Tra questi preferito è baclofen, mentre molto più raramente giungono alla nostra osservazione pazienti in trattamento con tizanidina. Abbiamo già citato nel paragrafo precedente (‘Antiepilettici’) l’uso di levetiracetam con effetto anche antidistonico. Alcuni pazienti traggono invece beneficio dall’uso di farmaci antiparkinsoniani, come triesilfenidile. Questi possono migliorare alcune manifestazioni extrapiramidali, come l’eccessiva salivazione. In un caso di LND attenuata (iperuricemia con disturbi neurologici, HRND), la marcia è nettamente migliorata dall’assunzione di L-DOPA. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico della spasticità rimandiamo al capitolo 8. 5.4 Emergenze comportamentali L’impulso a farsi del male può raggiungere un’eccezionale gravità. Ad esempio, in concomitanza con importanti cambiamenti esistenziali, lutti, o malattie intercorrenti. Nei periodi post-operatori è fondamentale inibire il ‘richiamo’ all’autolesionismo rappresentato dai punti di sutura, dolenti o fragili. E’ necessario proteggerli, ma anche tranquillizzare farmacologicamente il paziente. In questi casi talora sembra non vi sia altra scelta che la temporanea e parziale sedazione. Questa, spesso attuata con sedativi antistaminici in fase acuta, che lasciano poi gradualmente il passo ai sopracitati neurolettici, deve essere eseguita in ambiente ospedaliero, tenendo sempre presente che la risposta ai farmaci può non essere quella osservata nella generalità dei pazienti, giungendo fino all’effetto paradosso (già descritto a proposito di benzodiazepine e SAMe). L’aumento graduale e controllato del dosaggio, un monitoraggio attento e pronto a cogliere i primi segni di questo effetto, e a farvi fronte, richiede quindi ospedalizzazione. 5.5 In sintesi Dal punto di vista farmacologico è indispensabile e universalmente accettato il fatto che tutti i pazienti debbano mantenere costantemente sotto controllo l’uricemia, ed è decisamente preferibile che ostacolino la formazione di calcoli mediante idratazione abbondante e l’utilizzo di alcalinizzanti urinari. Inoltre è prassi comune che assumano integratori vitaminici (B12 e folati) per tamponare l’anemia megaloblastica (che comunque non recede). Dal punto di vista più strettamente neurofarmacologico, invece, le linee guida sono molto più incerte, perchè non è disponibile un farmaco specifico, perché sono assai pochi gli studi effettuati su un numero statisticamente significativo di pazienti, e perché raramente la risposta ai farmaci risulta univoca. Possiamo dire che quasi tutti i pazienti durante il giorno trovano beneficio dall’assunzione di un tranquillante minore (benzodiazepina, barbiturico, o neurolettico di nuova generazione a basse dosi), di un antiepilettico (gabapentin/pregabalin, o levetiracetam), e favoriscono il sonno con un ipnoinducente (benzodiazepina, melatonina, o un antistaminico ipnoinducente). Alcuni trovano notevole giovamento con S-AdenosilMetionina. Alcuni assumono farmaci antiparkinsoniani o miorilassanti centrali. Ad ogni modo la terapia adeguata va ricercata, monitorata, e con pazienza continuamente adattata alle esigenze contingenti. 5.6 Altri approcci Tra gli approcci sperimentali, la stimolazione cerebrale profonda, tramite elettrodi posizionati profondamente nel cervello, ha dato nella LND risultati interessanti, che però necessitano di ulteriori conferme. Il trapianto di midollo osseo, eseguito in passato in diversi centri clinici, non ha dato alcuna modificazione dei sintomi neurologici e psichiatrici, a fronte di rischi notevoli, ed il trattamento è stato quindi abbandonato. È da segnalare la sperimentazione in corso presso la Clinica Pediatrica dell’IRCCS Burlo Garofalo di Trieste, con cellule staminali mesenchimali iniettate per via lombare. Sembra che tale studio stia evidenziando l’efficacia del trattamento, in particolare per quanto riguarda l’autoaggressività. I dati sono in corso di pubblicazione. 6. Altri interventi medico-sanitari 6.1 Apparato dentale L’autolesionismo orale non è un sintomo prevedibile nel tempo; non si sa quando comincia e può essere intervallato da periodi di totale remissione per poi ripresentarsi successivamente. È altresì difficile riuscire a contenere tale comportamento: mentre per altri tipi di autolesionismo si possono immobilizzare braccia e gambe, contrastare l’autolesionismo orale risulta assai più complesso. Esistono e vengono utilizzati, però, alcuni metodi di prevenzione che possono essere sintetizzati nei seguenti punti: • appositi paradenti (“byte” simili a quelli usati per curare il bruxismo) da applicare sia all’arcata superiore che inferiore. Il problema di questi ultimi è che bisogna essere sempre attenti al loro posizionamento e in generale richiedono un notevole impegno per la loro preparazione e successivi adattamenti. Il vantaggio è che viene mantenuta la dentatura. • estrazione di tutti i denti che comportano le lesioni: ritenuta in passato la soluzione più soddisfacente, nei pazienti più piccoli. Il problema si ripresenta però con l’eruzione dei denti permanenti la cui estrazione diventa di per sé sorgente di nuovi problemi come la difficoltà nel nutrirsi e la difficoltà nei rapporti sociali per l’influenza a livello estetico. Si può verificare inoltre un graduale riassorbimento dell’osso alveolare; problema superabile attraverso la decoronazione dei denti in modo da preservarne la radice; • limare i denti che determinano le lesioni: rimedio non pienamente soddisfacente, in quanto i pazienti riescono comunque a schiacciare tra le due arcate la mucosa, traumatizzandola. • utilizzo di garze, fazzoletti, oggetti di gomma o altro da interporre tra le due arcate dentarie: l’utilizzo di questi accorgimenti è risultato abbastanza efficace ma solo per periodi limitati, giusto il tempo necessario alla rimarginazione delle ferite; • un rimedio non terapeutico, ma sintomatico, è quello dell’utilizzo del blu di metilene che, applicato sulla lesione, consente una più rapida guarigione. Questo risulta molto importante in quanto una lesione può indurre tensione emotiva, determinando un riflesso incondizionato che porta il paziente a ledersi nella stessa zona. 6.2 Apparto osteoarticolare La lussazione d’anca è una frequente complicanza della distonia, favorita dal comportamento autolesivo e dalla eventuale concomitanza dall’artrite gottosa. Talvolta sono richiesti interventi ortopedici per il rilascio delle contratture, la riduzione di altre articolazioni sublussate o la stabilizzazione di deformità della colonna vertebrale. 6.3 Apparato urinario Condizioni frequenti sono rappresentate dalla calcolosi renale, che può richiedere l’estrazione dei calcoli o la risoluzione dell’ostruzione urogenitale, dall’insufficienza renale (fino allo scompenso e alla necessità della dialisi) e dall’ipertensione arteriosa. E’ consigliato un monitoraggio nefrologico mediante ecografia dei reni e delle vie urinarie nonché la valutazione della funzionalità renale. 6.4 Apparato ematico La LND è spesso accompagnata da un anemia macrocitica normocromica che può richiedere l’uso, oltre al acido folico, vitamina B12 e ferro, anche di eritropoietina. Si suggerisce attenzione circa i dosaggi alti di quest’ultima che potrebbero essere controproducenti. Tuttavia non ci sono sufficienti prove a conforto di questa ipotesi. 6.5 Anestesia Il difetto metabolico della LND non preclude una sicura applicazione delle procedure anestesiologiche e chirurgiche, qualora sia necessario. 7. L’alimentazione La maggioranza dei pazienti con LND può seguire una dieta ricca e libera, che sia equilibrata per tipologia di alimenti e contenuti di zuccheri, grassi e proteine. Una dieta povera di purine/proteine non sembra influenzare favorevolmente la malattia o il suo decorso. I bambini con LND sono iperattivi e l’introduzione di calorie deve essere incrementata, rispetto a soggetti della stessa età e peso. E’ pertanto sempre raccomandata una dieta ipercalorica, che in certi casi può o deve essere somministrata in forma liquida (ad esempio latte con aggiunta di uovo o gelato). Sempre abbondante deve essere l’idratazione mediante somministrazione di acqua o altre bevande, soprattutto in caso di febbre, episodi di vomito o diarrea, durante la stagione estiva o l’esposizione a temperature elevate. Con l’incremento dell’età possono esserci problemi di disfagia e alcuni pazienti possono trovare beneficio da cambiamenti nella consistenza del cibo: un’utile avvertenza può essere quella di sminuzzare o frullare i cibi più consistenti evitando il pericolo di soffocamento con pezzi di cibo semisolidi. Nei casi di grave distonia dei muscoli della deglutizione può essere richiesto un intervento di gastrostomia. 8. Interventi di riabilitazione Nonostante il grave handicap motorio, la maggior parte dei bambini/ragazzi con LND preferiscono essere attivamente coinvolti nelle normali attività dei soggetti sani della loro età e quindi devono essere spinti a interessarsi alle attività abituali dell’ambiente che frequentano. Le iniziative, le uscite, le interazioni sociali, l’accesso alla TV, i film, la radio, la musica, gli strumenti comunicativi e il computer sono modi importanti per rendere la vita quotidiana dei pazienti interessante e gradevole. Chi assiste deve peraltro sapere che talvolta un eccessivo coinvolgimento in situazioni ludiche può risultare stressante e quindi essere una potenziale fonte di pericolo per lo scatenamento di un attacco autolesivo. I pazienti con LND hanno necessità di fare riferimento ad un centro di educazione motoria già entro il primo anno di età per una presa in carico globale attraverso il lavoro d’equipe di: neuropsichiatra infantile, psicologo, neuropsicomotricista e logopedista. È inoltre importante avere un approccio globale al bambino/ragazzo con malattia di Lesch-Nyhan tenendo in considerazione tutte le diverse componenti trattate in questo vademecum. 1. Fase iniziale, ipotonica: Obiettivi dell’intervento neuromotorio: • sostenere i genitori, consigliandoli nella gestione quotidiana del bambino; • stimolare il bambino al movimento, creando situazioni in cui poter sperimentare i vari passaggi posturali ed il piacere che ne deriva; • aumentare il tono muscolare stimolando l’attività motoria principalmente attraverso il gioco; • favorire la comparsa delle reazioni di raddrizzamento e di equilibrio. • mantenere l’allineamento posturale capo-tronco-arti; • raggiungere e controllare le diverse posture anche attraverso l’uso di ausili (passeggino, seggiolone, girello…) con sistemi di postura appropriati; • favorire attività bimanuali, portando gli arti sulla linea mediana; • fornire input sensoriali (visivi, tattili, sonori…) che stimolino il bambino fornendogli esperienze diversificate. Già in questa fase è importante la collaborazione con una logopedista per la gestione delle problematiche legate all’alimentazione (difficoltà di suzione e deglutizione). 2. Comparsa dei movimenti coreoatetosici, distonici e della spasticità: tali movimenti patologici involontari, si inseriscono nel normale schema motorio del bambino fino a perdere le tappe motorie acquisite in precedenza. È quindi importante, seguendo l’evoluzione del quadro clinico del bambino, sostenere i genitori in questa nuova fase che li riporta nello sconforto, nella delusione, di fronte al “peggioramento” inaspettato. Obiettivi dell’intervento neuromotorio: • raggiungimento e controllo delle diverse posture anche attraverso l’uso di ausili (passeggino, seggiolone, girello…) con sistemi di postura appropriati; • proposta della carrozzina e addestramento all’uso (già a partire dai 4 anni); • mantenere l’allineamento posturale anche attraverso l’uso di sistemi di postura adatti; • ridurre il grado di spasticità attraverso esercizi di stretching passivo e attivo e di mobilizzazione (quando tali esercizi non riescono più a dare il risultato voluto, è utile intervenire con una terapia farmacologica antispastica, per ridurre il tono generalizzato, o l’uso di tossina botulinica, per ridurre il tono a livello di gruppi muscolari specifici); • prevenire fissità articolari e deformità ossee anche attraverso l’uso di ortesi e tutori; • affrontare tempestivamente il comportamento auto ed eteroaggressivo (quando presente) sia per quanto riguarda l’atteggiamento con cui prevenire e contenere tali manifestazioni, sia riguardo gli strumenti a disposizione. • intervento logopedico specifico per il trattamento della disartria e per identificare metodi e strategie adatte a potenziare le capacità residue del soggetto nei riguardi della comunicazione. A partire dai 6 anni, con l’inizio della scolarizzazione, le priorità riabilitative sono strettamente collegate con l’apprendimento, lo sviluppo delle competenze cognitive e neuropsicologiche. Diventa quindi opportuno effettuare una consulenza informatica, per individuare le soluzioni migliori a seconda del bambino/ragazzo (scelta di hardware e software) e successivo addestramento all’uso; • Counselling ai genitori.