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Associazione Malattie Rare
“Mauro Baschirotto” Onlus
LA MALATTIA DI
LESCH-NYHAN
INDICAZIONI PRATICHE
PER LA DIAGNOSI, IL TRATTAMENTO
E LA MIGLIORE GESTIONE DELLA MALATTIA
Con il contributo del CSV (Centro Servizi Volontariato) di Vicenza
Questo vademecum riporta informazioni e indicazioni che
derivano dall’esperienza diretta dell’ Istituto Malattie Rare
B.I.R.D. e dell‘Associazione “Mauro Baschirotto” Onlus, che
da ben 15 anni seguono pazienti italiani ed esteri, dalle
pubblicazioni
scientifiche
prodotte
dai
centri
clinici
internazionali di riferimento per la malattia, dalle testimonianze
dei genitori e delle persone che assistono i malati
quotidianamente.
Il documento è stato redatto con l’obiettivo di:
informare sulla malattia di Lesch - Nyhan descrivendo con
linguaggio semplice, ma rigoroso le caratteristiche cliniche
della malattia e le soluzioni terapeutiche ad oggi disponibili;
fornire uno strumento aggiornato a chi quotidianamente vive
con i malati o si occupa della loro assistenza;
fornire un documento di riferimento sulla malattia, sulla
diagnosi, sulla terapia e sulle prospettive di ricerca.
1. Che cos’ è la Malattia di Lesch – Nyhan
La malattia di Lesch-Nyhan (LND) è una malattia genetica
grave che colpisce pressoché esclusivamente i soggetti di sesso
maschile ed è caratterizzata nella sua forma classica da valori
elevati di acido urico nel sangue e nelle urine con gotta e
problemi renali, importanti disturbi del movimento e
atteggiamenti posturali del tutto involontari, che impediscono
la stazione eretta e la marcia, gravi difficoltà di espressione
verbale, difficoltà di deglutizione, vario grado di deficit
cognitivo e, in particolare, da una spinta incontrollabile a farsi
del male, che per le singolari caratteristiche, associate
unicamente a questa malattia, viene definita comportamento
Lesch-Nyhan. La malattia è data dalla marcata riduzione o
totale assenza di attività dell’enzima ipoxantina–guanina
fosforibosil-transferasi (hypoxanthine-guanine phosphoribosyltransferase, HPRT), normalmente presente e funzionante in
tutte le cellule del nostro organismo. Tale enzima è coinvolto
nel metabolismo delle basi puriniche, ipoxantina e guanina, che
altrimenti vengono degradate ad acido urico.
Nelle persone affette da LND l’enzima HPRT è assente o
alterato a causa di mutazioni che coinvolgono il gene HPRT1
che lo codifica. Quest’ultimo si trova sul braccio lungo del
cromosoma sessuale X in posizione Xq26-q27.2.
1.1 Scoperta della malattia
La malattia è stata descritta per la prima volta nel 1964 da due
ricercatori americani, Michael Lesch e William Leo Nyhan,
sulla base dei loro studi su due fratelli affetti e di precedenti
osservazioni effettuate da Werner Catel e da J. von Schmidt nel
1959 (che segnalavano encefalopatia, nefropatia e iperuricemia
in un bambino di 18 mesi) e da I.D. Riley nel 1960 (che
riferiva l’osservazione di un ragazzo con gotta e i tipici disturbi
neurologici e comportamentali della LND). Il difetto
enzimatico associato alla LND è stato scoperto da Jarvis E.
Seegmiller e collaboratori nel 1967, mentre la prova che la
LND è dovuta ad un cambiamento della struttura dell’enzima
HPRT è stata fornita da B. Bakay e lo stesso Nyhan nel
1972. Il gene HPRT1 è stato clonato e sequenziato da Theodore
Friedmann nel 1982.
1.2 Epidemiologia
La distribuzione della LND nel mondo non è del tutto nota ma
appare uniforme sia rispetto alle razze, sia alla localizzazione
geografica. Una stima effettuata in Canada suggerisce che la
malattia si manifesta con 1 caso ogni 380.000 nati (2 - 3 casi di
malattia ogni milione di persone). Il numero dei casi Italiani
conosciuti suggerisce una frequenza della malattia nella
popolazione nell’ordine di 1 ogni 1.000.000 di abitanti. A
questo proposito è d’obbligo menzionare che la LND non viene
sempre correttamente diagnosticata in quanto scambiata con
altri disordini neurologici o psichiatrici.
1.3 Dati disponibili in Italia, in Europa e nel mondo
In Italia, l’incidenza e la prevalenza della malattia non sono di
facile riscontro perché la diagnosi genetica non viene sempre
effettuata con precisione e non c’è un registro nazionale
aggiornato: se consideriamo l’ipotesi di Crawhall, si potrebbe
stimare che in Italia ci sono circa 150 soggetti affetti da LND.
Se invece consideriamo i dati registrati, possiamo dire che
presso il B.I.R.D. sono seguiti 42 pazienti, affetti da LND, con
una stima di circa 60-100 pazienti presenti sul territorio
Italiano.
Qualche informazione è disponibile anche per altri paesi: il
ministero della salute della Norvegia riferisce solo di 3 casi
diagnosticati in una popolazione di poco più di 4 milioni di
abitanti mentre per il network svedese ci sarebbero oggi in
Svezia soltanto 6 casi certi di LND e 10 in tutta la Scandinavia.
Ma non è escluso che ci siano casi di LND ancora non
diagnosticati.
Negli Stati Uniti si considera applicabile la stima di Crawhall e
si suppone che ci siano quindi diverse centinaia di persone
malate di LND. Soltanto 7 casi sono stati però riscontrati a
New York City, in una popolazione di poco superiore a 8
milioni di abitanti.
2. Classificazione
Una classificazione accreditata della malattia di Lesch-Nyhan
prevede tre forme:
1.
Forma classica (Lesch-Nyhan disease, LND): I pazienti
evidenziano le tipiche caratteristiche della LND con
sintomatologia legata all’iperuricemia e all’iperuricuria. Sono
presenti disturbi motori con incapacità di mantenere la stazione
eretta e di camminare. Il deficit cognitivo va da borderline a
grave. E’ presente il comportamento “autoaggressivo” LeschNyhan che può insorgere a diverse età ed in alcuni casi
attenuarsi nel corso della vita fino alla quasi totale scomparsa. I
malati sono completamente dipendenti per la cura personale e
le attività quotidiane.
2.
Forma con iperuricemia e disturbi neurologici (HPRTralated neurological disease, HRND): Sono presenti sintomi
legati all’iperuricemia e
all’iperuricuria e
sintomi
neurologici da lievi a gravi. Il deficit cognitivo è borderline o
lieve. I pazienti riescono a nutrirsi da soli e ad occuparsi
delle necessità personali, ma il disturbo motorio rende talvolta
necessario l’utilizzo della sedia a rotelle.
Non manifestano comportamento “autoaggressivo” della
Lesch-Nyhan.
3.
Iperuricemia da deficit HPRT (malattia di KelleySeegmiller; HPRT-related hyperuricaemia, HRH): Sono
assenti sintomi neurologici significativi. In questi pazienti il
deficit dell’enzima HPRT si manifesta con i sintomi legati
all’ iperuricemia e all’iperuricuria. Questi pazienti sono
totalmente indipendenti nello svolgimento delle attività
quotidiane e conducono una vita normale.
La classificazione proposta è divisa principalmente in base alla
sintomatologia nefrologica, neurologica e comportamentale. In
realtà il deficit di HPRT presenta uno spettro continuo che va
dalla forma classica alla forma iperuricemica in base
principalmente all’attività residua dell’enzima. Oltre a questo
vi sono altri fattori che influenzano la gravità del quadro
clinico come si evince dalle segnalazioni di marcate differenze
della sintomatologia tra gli affetti della stessa famiglia.
Rosa Torres-Jiménez e Juan Garcia Puig del Laboratorio di
Biochimica Clinica dell’Ospedale La Paz - Università
Autonoma di Madrid, hanno recentemente proposto una
classificazione della malattia basata sull’entità dei sintomi
neurologici e sulla necessità del pazienti a ricorrere ad altri
per le cure personali. Tale classificazione deriva
dall’osservazione clinica di 22 pazienti di 18 differenti famiglie
spagnole e considera 4 livelli di gravità:
• Gruppo 1: sviluppo normale senza sintomi neurologici
(malattia di Kelley – Seegmiller).In questi pazienti il deficit
dell’enzima HPRT si manifesta con iperuricemia
asintomatica ed elevata escrezione di acido urico, calcolosi
renale e/o gotta. Questi pazienti sono totalmente
indipendenti nell’effettuazione delle attività quotidiane e
conducono una vita autonoma.
• Gruppo 2: sintomi neurologici lievi. I pazienti presentano
sintomi neurologici lievi, che rendono distonica l’andatura
e un certo grado di spasticità e di ritardo mentale. Sebbene
la sintomatologia neurologica sia di ostacolo, sono
indipendenti per la maggior parte delle attività e possono
condurre una vita autonoma.
• Gruppo 3: sintomi neurologici gravi. I pazienti non
presentano ritardo mentale, riescono a nutrirsi da soli e ad
occuparsi delle necessità personali, ma il grave disturbo
motorio rende necessario l’utilizzo della sedia a rotelle.
Non manifestano comportamento “autoaggressivo”.
• Gruppo 4: malattia di Lesch - Nyhan classica. I pazienti
evidenziano le tipiche caratteristiche della LND inclusa
coreoatetosi, spasticità, incapacità di rimanere in piedi e
di camminare. Sono completamente dipendenti per la cura
personale e le attività quotidiane. Alcuni di questi soggetti
non manifestano comportamento “autoaggressivo” o
ritardo mentale, presenti nella maggior parte dei casi.
3. Manifestazione ed evoluzione
Le caratteristiche cliniche della LND classica sono così
raggruppabili:
•segni e sintomi che derivano direttamente dall’alterato
metabolismo delle purine e dal conseguente accumulo di acido
urico (iperuricemia, calcoli renali, artrite gottosa e depositi
sottocutanei solidi denominati tofi);
•disturbi del movimento che si manifestano costantemente con
atteggiamenti posturali involontari, e contrazioni che
interessano il volto e gli arti ed interferiscono con i movimenti
volontari (distonia), difficoltà nell'articolare le parole
(disartria) e nella deglutizione (disfagia); a questi si possono
associare rigidità muscolare (spasticità), movimenti del tutto
dissociati con quelli volontari, sia lenti che rapidi
(coreoatetosi), o più raramente movimenti involontari ampi e
rapidi degli arti, in tutte le direzioni (ballismo); infine,
frequentissime sono le brevi crisi di inarcamento del corpo in
estensione (opistotono);
•deficit cognitivo di grado variabile;
•problemi di comportamento, caratterizzati da atteggiamenti
involontari impulsivi e aggressivi, quali l’irrefrenabile spinta
all’autolesionismo (che può portare all’automutilazione) e
l’eteroaggressività verbale (ingiurie, oscenità, blasfemie) e
fisica (movimenti improvvisi e violenti, morsi, graffi, ect.);
•oltre a questi, ci sono altri sintomi caratteristici della malattia,
come l’anemia megaloblastica normocromica, l’atrofia
testicolare, la pubertà ritardata o assente e un generale ritardo
nel raggiungimento delle tappe dello sviluppo.
3.1 Evoluzione della forma classica della malattia
•Gravidanza e parto.I bambini LND vengono di norma gestati
senza particolari complicanze. Alla nascita, i bambini affetti
non presentano anomalie di rilievo ad eccezione di un grado
variabile di ipotonia evidenziabile dalla difficoltà alla suzione e
alla deglutizione, accompagnata da episodi di vomito fin dai
primi mesi di vita. In un’età compresa tra i 3 e i 6 mesi
compaiono i primi segni della malattia con la presenza di
iperuricemia, evidenziabile dal riscontro di cristalli di colore
arancione nei pannolini dei bambini affetti. Dal punto di vista
neurologico può iniziare a manifestarsi già precocemente lo
scarso controllo del capo, che sarà più evidente in seguito. La
sovrapproduzione e l’accumulo di acido urico possono
provocare precocemente ematuria e lesioni renali (nefriti
tubulo-interstiziali e depositi di urati di sodio) associate a
problemi digestivi, disidratazione acuta e ritardo nella crescita.
L’artrite gottosa e la calcolosi renale di norma compaiono
attorno ai dieci anni, soprattutto se la terapia con allopurinolo
(vedi capitolo 5) non è stata ben gestita sin dalla nascita. Nei
casi più gravi si può arrivare precocemente all’insufficienza
renale, con ipertensione arteriosa associata, e alla necessità di
dialisi.
•Disturbo del movimento. Dopo un esordio sfumato sin dai
primi mesi di vita, nella forma classica questo è
prevalentemente caratterizzato da contrazioni che costringono a
posture anomale o che si sovrappongono a movimenti
volontari, disturbandoli e rendendoli imprecisi (distonia
d’azione). Molto frequenti sono le crisi di contrazione in
estensione di tutto il corpo (opistotono), accentuate da
qualunque stress emotivo. Sovente si riscontra la
contemporanea presenza di movimenti involontari lenti e
disorganizzati (atetosici), e insieme a movimenti bruschi
(coreici), che nel loro insieme vengono detti coreoatetosi.
Anche la rigidità muscolare (spasticità) può essere talora
presente, con i riflessi osteotendinei caratteristici. Più rara
invece è la presenza di movimenti involontari ampi, rapidi e
violenti degli arti in tutte le direzioni (ballismo).
Anche i muscoli che controllano la voce e la deglutizione sono
compromessi (disartria e disfagia, rispettivamente): nella
forma classica le parole possono divenire scarsamente
intelligibili e la deglutizione viene attuata con grande difficoltà.
Nei primi mesi di vita lo sviluppo neurologico e motorio
appaiono normali, anche se la distonia torsionale e
l’opistotono possono presentarsi molto presto. Tra i 9 e i 12
mesi di vita i segni e il disturbo del movimento è spesso già
manifesto ed impedisce il controllo del capo e degli arti: i
bambini cadono all’indietro se si siedono senza supporto e, se
tale traguardo era stato raggiunto, ne perdono l’abilità. Nella
forma classica, con il passare dei mesi, i sintomi
extrapiramidali (distonia, coreoatetosi, opistotono) sono tali da
non consentire ai bambini di stare seduti o in piedi senza
assistenza e quindi di imparare a camminare.
•Dopo i tre anni di età, può insorgere epilessia, anche grave.
•I disturbi cognitivi si palesano a circa 3 - 4 anni di età: il
ritardo mentale sembra essere di grado moderato, sebbene sia
difficile valutarlo a causa della disartria e del disturbo
motorio.
•Disturbo comportamentale. Per la sua assoluta peculiarità
(patognomonicità, cioè la sua presenza consente di per sè la
diagnosi) viene definito comportamento Lesch-Nyhan. Si
manifesta come un’incontrollabile tendenza a farsi del male.
Può presentarsi con modalità ed intensità variabili per periodo
di insorgenza, persistenza, durata, e il suo esordio avviene tra
1 e 16 anni di età. Questo tipo di comportamento
frequentemente insorge con morsicature delle dita, delle mani,
delle labbra, delle parti interne delle guance e della lingua (che
possono portare a infezioni o provocare vere e proprie
mutilazioni), persistenti sfregamenti degli occhi (che possono
determinare problemi alla vista) o traumi multipli in altre parti
del corpo con conseguenti escoriazioni, contusioni e
lacerazioni. I pazienti descrivono questo comportamento come
del tutto estraneo ed indipendente dalla loro volontà e dal loro
umore. Con l’aumentare dell’età l’impulso a farsi male può
manifestarsi in maniera più decisa ed importante, poiché il
bambino diventa consapevole e capace di trovare nuove e più
pericolose opportunità per ferirsi. Questo implica che il
comportamento Lesch-Nyhan spesso diventi più elaborato,
spaziando da forme di autolesionismo diretto, come può essere
picchiare la testa contro oggetti appuntiti o sbattere indietro la
testa, a comportamenti molto più raffinati, come mettere la
mano nella chiusura della porta. Parallelamente si manifestano
anche gli episodi di “eteroaggressività”, rivolti verso oggetti,
che i pazienti gettano a terra, oppure verso le persone che li
accudiscono. Questi atti possono essere variamente limitati
dagli handicap motori. L’aggressività verbale, invece rimane
sempre presente e si manifesta in modo particolare in situazioni
emotive di ansia o stress.
Le persone affette dalla LND nel corso della vita manifestano
diversi problemi legati all’iperuricemia, il più importante dei
quali rappresentato dai calcoli renali. Oltre a questo è spesso
presente artrite gottosa e la presenza di tofi gottosi.
Nella quasi totalità dei casi nel corso della vita tende a
comparire un anemia macrocitica normocromica. Malgrado la
terapia con B12 e folati venga quasi sempre attuata, rimane
incerto se sia di qualche efficacia. In una situazione ottimale di
approccio e trattamento, le persone con LND possono vivere
fino oltre la quinta decade di vita. La causa del decesso, nella
maggioranza dei casi, è rappresentata da polmoniti o da
complicazioni dovute alla calcolosi cronica e all’insufficienza
renale; tuttavia, per una significativa porzione dei pazienti il
decesso è improvviso ed inaspettato, dovuto a cause non
conosciute.
Tabella 1
Segni precoci della malattia e loro progressione
(da H.A. Jinnah e W. Nyhan)
Segnali di allarme
-raccolta di “renella” o sostanza simile nel pannolino nella
prima settimana di vita;
-sangue nelle urine;
-ridotto controllo del capo oltre i tre mesi;
-arcuarsi della schiena e del collo;
-scarso tono muscolare (“bambini flaccidi”);
-incapacità di sedersi senza supporti a 9-12 mesi o perdita
di questa capacità;
Problemi di sviluppo
- dai 3 mesi, incapacità di sollevare la testa partendo dalla
posizione prona (“bambini flaccidi”);
-dai 6 mesi, arcuarsi della schiena;
-dai 9 mesi, incapacità di mettersi in piedi o strisciare o
arrampicarsi;
- dai 12 mesi, incapacità di camminare;
dai 18 mesi, movimenti involontari distonici o strane
posture di braccia, gambe o corpo.
In seguito allo sviluppo dei denti
-morsi in varie parti del corpo;
-sangue sulle lenzuola;
-pianti inconsolabili durante la notte.
4. Diagnosi della Malattia di Lesch-Nyhan
La diagnosi precoce della malattia è molto importante per una
corretta terapia e per chiarire i rischi di ricorrenza nella
famiglia.
4.1 Diagnosi clinica
Un attenta anamnesi e una attenta valutazione clinica spesso
sono sufficienti per sospettare la diagnosi di LND.
-Segni clinici
• distonia;
• disartria e disfagia;
• movimenti coreoatetosici;
• cristalli di urato nelle urine, nefrolitiasi;
• comportamento autolesivo di tipo Lesch-Nyhan (segno
patognomonico, la cui presenza è diagnostica).
-Indagini di laboratorio
• rapporto urati / creatinina > 2 (diagnostico nei bambini
di età inferiore a 10 anni);
• escrezione urinaria degli urati nelle 24 ore > 20mg/kg
(indicativo ma non diagnostico);
• uricemia > 8 mg / 100 ml.
4.2 Diagnosi Biochimica
La diagnosi biochimica consiste nella misurazione dell’attività
di HPRT confrontandola con quella di APRT. Per eseguire
questo test si può utilizzare spot di sangue su carta, lisato
cellulare, eritrociti vitali o colture di cellule. L’accuratezza di
questo test è massima per i test eseguiti su colture di fibroblasti.
Esiste inoltre un test specifico che consiste nella crescita
linfocitaria in un terreno di selezione arricchito con un analogo
delle purine (tioguanina) che permette la sopravvivenza
esclusivamente delle cellule con carenza dell’enzima HPRT
(Test di O’Neill).
4.3 Diagnosi genetica
La diagnosi genetica viene effettuata mediante:
- analisi diretta del gene HPRT1 su DNA gnomico (gDNA)
attraverso il sequenziamento dei 9 esoni che costituiscono il
gene e delle sequenze introniche limitrofe; sensibilità 95%
- lo studio del gene HPRT1 a livello di mRNA retrotrascritto
in cDNA; sensibilità 75%
- determinazione dei punti di rottura nelle delezioni che
coinvolgono il gene HPRT1
- test addizionali che permettono di identificare le portatrici di
delezioni nel gene HPRT1, come le indagini quantitative
La diagnosi genetica è molto importante non solo per la
diagnosi nel paziente ma anche per l'identificazione di
portatrici sane di mutazione nel gene HPRT1. Alle famigliari a
rischio, quindi alla madre di un paziente e gli altri soggetti di
sesso femminile per via matrilineare (come le zie materne o le
sorelle dell’affetto), si consiglia di effettuare l’indagine del
gene HPRT1 per escludere lo stato di portatrice sana.
Tabella 2
Test genetici necessari per l’identificazione di mutazioni
del gene HPRT1
- Il test genetico per la ricerca di difetto non noto nel gene
HPRT1 in un soggetto affetto consiste in:
• test genetico su DNA genomico per verificare la presenza di
mutazioni del gene HPRT1; vengono viste
mutazioni
puntiformi, piccole e grandi delezioni, piccole
duplicazioni, inserzioni, delezioni /inserzioni;
• test genetico su mRNA per individuare modificazioni che
consentono la formazione di mRNA con le porzioni terminali
integre; questo test vede la maggior parte delle mutazioni
evidenziabili su gDNA ad eccezione di quelle che non
permettono la formazione di un mRNA che comprenda sia la
parte iniziale (5’UTR) sia la parte terminale (3’ UTR)
- Il test genetico per la ricerca di portatrici sane di difetto non
noto nel gene HPRT1 consiste in:
• test genetico su DNA genomico per verificare la presenza di
mutazioni del gene HPRT1; vengono viste mutazioni
puntiformi, piccole e grandi delezioni, piccole duplicazioni,
inserzioni, delezioni /inserzioni;
• analisi mediante qPCR su DNA per individuare grandi
delezioni che coinvolgono intere porzioni del gene;
• nel caso di delezioni si procede con la determinazione dei
punti di rottura e conseguentemente è possibile effettuare un
test su DNA genomico individuando il frammento di
giunzione (mediante il quale si può identificare la presenza
di DNA con una porzione mancante),
A conferma dei risultati genetici si può effettuare anche nelle
portatrici sane il test biochimico per verificare la funzionalità
dell’enzima HPRT.
4.4 Diagnosi prenatale
Per le portatrici di mutazione nota nel gene HPRT1 è
disponibile il test prenatale per determinare se il feto della
gravidanza in corso è affetto da LND o sano. Questo test si può
eseguire su gDNA o mRNA ottenuto mediante amniocentesi o
villocentesi in corso di gravidanza.
4.5 Modalità di trasmissione, rischi di ricorrenza ed esami
consigliati ai famigliari del malato
Il gene HPRT1, associato alla malattia, è situato sul
cromosoma X. Quest’ultimo è uno dei due cromosomi sessuali
assieme al cromosoma Y. I soggetti di sesso femminile
possiedono due copie del cromosoma X, una ereditata dalla
madre ed una ereditata dal padre. I soggetti di sesso maschile
invece possiedono un’unica copia del cromosoma X, ereditata
dalla madre, e un cromosoma Y ereditato dal padre.
Nei soggetti di sesso maschile la presenza di un cromosoma X
contenente un diffetto del gene HPRT1, tale da compromettere
la funzionalità enzimatica, porta a malattia. Nei soggetti di
sesso femminile tale condizione invece non porta a malattia in
quanto la funzione di HPRT può essere vicariata dal secondo
cromosoma X. Questa condizione si definisce come portatrice
sana di difetto nel gene HPRT1. Alcuni casi isolati di malattia
sono documentati in soggetti di sesso femminile nei quali erano
presenti particolari anomalie che hanno permesso il
manifestarsi della malattia (l’ipotesi è che in questi rari casi
uno dei cromosomi X porti un difetto nel gene HPRT1 e che il
secondo cromosoma X contenga delle anomalie tali da non
permettergli di sopperire a questo difetto).
Una portatrice sana di difetto nel gene HPRT1 ha per ogni
gravidanza una probabilità pari al 25% che il feto sia affetto
dalla LND e una probabilità pari al 75% che il feto sia sano.
Più precisamente: ha una probabilità pari al 25% che il feto sia
di sesso maschile malato, una probabilità pari al 25% che il feto
sia di sesso femminile portatore sano, una probabilità pari al
25% che il feto sia di sesso maschile sano e una probabilità pari
al 25% che il feto sia di sesso femminile sano e non portatore.
(vedi schema 1).
In generale, si stima che circa 2/3 dei casi di malattia siano
ereditati da donne portatrici sane mentre 1/3 dei casi è attribuito
a nuove mutazioni.
Schema 1: Trasmissione di una malattia a trasmissione
recessiva legata al cromosoma X
4.6 Genetica Molecolare
Come già detto, mutazioni del gene HPRT1, che codifica
l'enzima HPRT, sono alla base della malattia di Lesch-Nyhan. Il
gene HPRT1 si trova sul braccio lungo del cromosoma X in
posizione Xq26-q27.2 ed è composto da 9 esoni che spaziano
in 43 kb di DNA. Non sono noti polimorfismi (variazioni di
sequenza che non compromettono la funzione del gene e quindi
non collegati alla malattia) nella regione codificante. Il gene
codifica per un enzima che catalizza la conversione di
ipoxantina in inosina 5’-monofosfato (IMP) e guanina in
guanosina 5’-monofosfato (GMP) in presenza di
fosforibosilpirofosfato. In questo modo, ricicla le purine
derivanti dalla degradazione del DNA e dell’RNA che
altrimenti verrebbero degradate a xantina e in ultima istanza ad
acido urico. HPRT rappresenta lo 0.05% delle proteine solubili
nel cervello.
Le mutazioni collegate alla malattia di Lesch–Nyhan si trovano
lungo tutto il gene HPRT1 e spesso le mutazioni sono proprie
delle singole famiglie LND. Ad oggi si conoscono più di 300
mutazioni diverse del gene HPRT1.Il prodotto genico alterato
risulta essere un enzima non funzionante o con una funzionalità
residua estremamente ridotta.
4.7 La consulenza genetica
Normalmente vi sono almeno due incontri con il Medico
genetista:
- Prima di eseguire il test genetico: per discutere l’importanza
di quest’ ultimo, valutare l’ipotesi clinica di malattia di
Lesch-Nyhan e le conseguenze della diagnosi molecolare per
il malato e la famiglia; in questa occasione si raccolgono
inoltre dati della famiglia per individuare ulteriori soggetti di
sesso femminile per via matrilineare a rischio di essere
portatrici sane di difetto nel gene HPRT1; il test genetico
viene svolto nell’affetto e nel caso risultasse positivo sulla
madre per identificare l’eventuale stato di portatrice sana.
- Una volta confermata la diagnosi molecolare nel paziente
affetto: al momento della consegna degli esiti viene spiegata e
discussa la malattia e vengono pianificati la terapia ed i
controlli necessari; inoltre se la madre risulta portatrice
vengono discussi i rischi di ricorrenza della condizione nelle
future gravidanze e si invitano i consultandi a consigliare a
tutte le persone di sesso femminile della famiglia, per via
matrilineare, quindi a rischio di essere portatrici sane di
difetto nel gene HPRT1, a prendere contatti con il medico
genetista.
- Incontri con le persone di sesso femminile della famiglia
informandole circa la patologia ed il rischio specifico per
ciascuna di loro di essere portatrice sana di difetto nel gene
HPRT1 e si propone loro il test molecolare per la ricerca della
mutazione presente nel famigliare affetto.
- Consulenze specifiche per portatrici sane di difetto nel gene
HPRT1: ad ogni test molecolare eseguito seguono incontri nei
quali vengono consegnati gli esiti e discusso circa il loro
significato per la persona testata e per la futura prole.
Ogni incontro può essere seguito da ulteriori incontri, anche
con specialisti diversi dal genetista, per permettere alle persone
di comprendere la complessa natura della condizione.
5. La terapia farmacologica
La conoscenza della malattia e l’esperienza consigliano di
seguire, dopo che è stata posta una diagnosi corretta, una serie
di controlli specialistici ad intervalli regolari: visita neurologica
e nefrologica, con ecografia renale e delle vie urinarie, e
valutazione della funzionalità renale. Questo aiuterà a
modulare la terapia in rapporto all’evoluzione clinica del
paziente.
Gli obiettivi della farmacoterapia nella LND sono il controllo
dell’iperuricemia,
la
riduzione
delle
manifestazioni
neurologiche e comportamentali, la prevenzione delle
complicanze cliniche.
5.1 Terapia delle alterazioni metaboliche
Ha l’obiettivo di tenere sotto controllo l’iperuricemia in modo
da prevenire lo sviluppo di complicanze.
Tale terapia si basa su due componenti:
• l’allopurinolo, un analogo dell’ipoxantina, che inibisce il
metabolismo dell’ipoxantina e della xantina ad acido urico da
parte della xantina ossidasi. Il farmaco è risultato efficace nel
ridurre e mantenere i livelli di urati nel siero e nelle urine
all’interno degli intervalli di normalità. La dose terapeutica,
che deve essere individuata per ciascun paziente in modo da
evitare sovradosaggi, soprattutto quando è presente
insufficienza renale, è solitamente di 5-10 mg/Kg in 2-3
somministrazioni al giorno. La dose ottimale è quella che
riesce a bilanciare il rapporto tra xantina ed acido urico a
livello ematico. Il livello ottimale dell’uricemia nei pazienti
affetti dalla malattia di Lesch-Nyhan è ai livelli inferiori dei
valori di riferimento nei maschi sani, quindi attorno a 3,0 mg/dl
(valori di riferimento 3,2-8,1 per gli uomini e 2,2-7,1 mg/dl
nelle donne). Particolare attenzione nella gestione della terapia
con allopurinolo deve essere posta alla possibile comparsa di
effetti indesiderati come la formazione di calcoli di xantina. La
terapia con l’allopurinolo attualmente non ha riscontrato
effetti sui sintomi neurologici e comportamentali.
• Per la prevenzione ed il trattamento dei calcoli renali di acido
urico così come di xantina, sono stati consigliati farmaci
alcalinizzanti urinari controllando, con le apposite striscioline
Tornasole spesso annesse alla confezione, che il valore del pH
delle urine sia compreso tra 6,4 e 7.
• L’abbondante idratazione, che deve essere particolarmente
aumentata in caso di febbre, vomito o diarrea, come anche
durante la stagione calda o in seguito ad esposizione
prolungata al sole.
• L’anemia megaloblastica normocromica è caratteristica
della malattia. Gli integratori a base di folati, vit B12 e ferro
che vengono abitualmente somministrati, non sono sufficienti a
normalizzare il quadro ematologico. Tuttavia il loro utilizzo
previene l’insorgere di pericolose carenze che potrebbero far
peggiorare l’anemia. E’ stata utilizzata anche l’eritropoietina,
che in un caso da noi osservato ha dato buoni risultati a basso
dosaggio, aggiungendo agli integratori sopracitati anche il
SAMe.
5.2 Terapia farmacologica del disturbo comportamentale
Oltre al controllo dell’iperuricemia, i pazienti che manifestano
la forma classica di LND, cioè accompagnata da
comportamento Lesch-Nyhan, hanno l’ulteriore priorità di
contenerne la violenza. Dato che ad oggi non è ancora
conosciuta l’origine del disturbo, non sono disponibili farmaci
specifici. E’ quindi necessario intervenire sui fattori che è noto
aggravino questo aspetto della malattia: lo stress emotivo e
l’eccitazione innanzitutto. Qui di seguito riportiamo i principali
farmaci utilizzati, a cui è indispensabile associare opportuni
contenimenti fisici. Inoltre, è necessario che i famigliari e
chiunque abbia stretto contatto con i pazienti adotti le strategie
comportamentali illustrate nei capitoli successivi.
La correzione dell’iperuricemia e delle sue varie gravi
complicanze segue alcune linee guida precise, per quanto negli
ultimi anni in rapida evoluzione. I disturbi neurologici sono
invece ancora scarsamente compresi, e impongono una
continua interazione tra le figure di riferimento che ruotano
attorno al paziente LND: genitori, educatori, specialisti e
personale sanitario.
• Benzodiazepine. Quasi tutti i pazienti affetti da LND classica
traggono beneficio da tranquillanti benzodiazepinici ad
emivita medio-lunga (es: clonazepam, diazepam). Peraltro un
eccesso d’ansia assai frequentemente si riscontra anche nei
pazienti affetti da forme più blande di LND. In alcuni casi però
questi farmaci possono sortire effetto opposto a quello
desiderato (cioè inducono agitazione: codsiddetto ‘effetto
paradosso’). In questi casi le benzodiazepine non possono
essere utilizzate.
• Ipnoinducenti. Spesso i pazienti ‘approfittano’ (contro la
propria volontà) della parziale libertà notturna dai mezzi di
contenimento (che però spesso loro stessi richiedono). La
necessaria lontananza dei genitori e la vicinanza con
strumenti di offesa assenti durante il giorno, offre loro
durante il riposo a letto l’occasione per provocarsi lesioni (es,
sfregando l’occhio sul cuscino). L’individuazione da parte del
malato della possibilità di farsi del male rappresenta di per se
stessa un richiamo irresistibile.
Una volta prevista la
protezione da questi ‘richiami’ all’autolesionismo, il sonno
viene quindi favorito con ipnoinducenti blandi, quali
benzodiazepine (se efficaci), melatonina - più efficace sembra
quella a lento rilascio , o con antistaminici sedativi
frequentemente viene preferita niaprazina.
• Antiepilettici. Come accennato in precedenza, è frequente il
riscontro di epilessia generalizzata, che viene trattata con i
comuni rimedi farmacologici. Tra questi, però, attualmente
troviamo preferiti gli antiepilettici a cui vengono associati
effetti secondari considerati favorevoli per questi pazienti.
Così, estremamente diffuso è l’uso di gabapentin o pregabalin,
che sembrano ridurre l’impulso autolesivo. Anche il
levetiracetam viene molto utilizzato, soprattutto per la buona
tollerabilità, ma anche per le proprietà antidistoniche che gli
vengono attribuite. Anche a chi non soffre di epilessia accertata
molto spesso viene somministrato un antiepilettico, sia che
manifesti la forma clinica classica, con autolesionismo
compulsivo, sia che manifesti una forma meno severa. In
questi casi si cerca di sfruttare il generico effetto sedativo di
questi farmaci, e gli altri effetti secondari sopra citati.
E’ importante ricordare che la loro interruzione, qualora sia
ritenuta opportuna, deve essere praticata come prescritto dallo
specialista, con gradualità, onde evitare fenomeni di astinenza
che possono includere crisi convulsive anche in pazienti non
epilettici.
• Neurolettici. Alcuni pazienti vengono trattati con neurolettici
(aloperidolo, risperidone, olanzapina), con effetti, terapeutici, o
collaterali extrapiramidali, difficilmente valutabili. Tra questi,
più spesso riscontriamo effetto paradosso dei neurolettici di
prima generazione.
• Antidepressivi. Alcuni vengono trattati con antidepressivi,
ma ricordiamo che la compulsione autolesiva non è in alcun
modo causata dall’abbassamento del tono dell’umore,
comprensibilmente provocandolo, semmai.
• L’S-Adenosyl-Metionina (SAMe). E’ generalmente utilizzato
come epatoprotettore e come blando antidepressivo. In una
sperimentazione condotta dal nostro istituto su 14 pazienti – i
cui risultati verranno pubblicati a breve -, questo farmaco ha
dimostrato di essere spesso in grado di migliorare
notevolmente la compulsione autolesiva (nel 30% dei casi
circa), contrariamente a quanto osservato da N. Glick nel
2006. Purtroppo però, nella restante maggioranza dei casi ciò
non si realizza. Poichè un effetto paradosso solo iniziale e
transitorio è stato in un caso osservato, nella nostra esperienza
i primi 2 mesi di terapia sono sempre sufficienti a chiarire a
quale categoria il paziente appartenga. Un effetto non
soddisfacente nella nostra esperienza è sempre del tutto
reversibile nell’arco di 3-4 giorni. L’entità dell’effetto benefico
è progressivo negli anni ed è tale, quando si verifica, che
secondo la nostra opinione valga sempre la pena tentarne
l’assunzione per 1-2 mesi, se la situazione ambientale lo
consente: non è certo un trattamento da intraprendere in
situazioni critiche quali le emergenze esposte al punto 5.4.
5.3 Terapia farmacologica del disturbo del movimento
Come più diffusamente descritto nel capitolo 3, questo è
caratterizzato con netta prevalenza da distonia, la quale
disturba il movimento volontario (distonia d’azione), ma può
variare ampiamente da paziente a paziente. Viene spesso
trattato con miorilassanti ad azione centrale. Tra questi
preferito è baclofen, mentre molto più raramente giungono alla
nostra osservazione pazienti in trattamento con tizanidina.
Abbiamo già citato nel paragrafo precedente (‘Antiepilettici’)
l’uso di levetiracetam con effetto anche antidistonico.
Alcuni pazienti traggono invece beneficio dall’uso di farmaci
antiparkinsoniani, come triesilfenidile. Questi possono
migliorare alcune manifestazioni extrapiramidali, come
l’eccessiva salivazione. In un caso di LND attenuata
(iperuricemia con disturbi neurologici, HRND), la marcia è
nettamente migliorata dall’assunzione di L-DOPA.
Per quanto riguarda il trattamento farmacologico della
spasticità rimandiamo al capitolo 8.
5.4 Emergenze comportamentali
L’impulso a farsi del male può raggiungere un’eccezionale
gravità. Ad esempio, in concomitanza con importanti
cambiamenti esistenziali, lutti, o malattie intercorrenti. Nei
periodi post-operatori è fondamentale inibire il ‘richiamo’
all’autolesionismo rappresentato dai punti di sutura, dolenti o
fragili. E’ necessario proteggerli, ma anche tranquillizzare
farmacologicamente il paziente. In questi casi talora sembra
non vi sia altra scelta che la temporanea e parziale sedazione.
Questa, spesso attuata con sedativi antistaminici in fase acuta,
che lasciano poi gradualmente il passo ai sopracitati
neurolettici, deve essere eseguita in ambiente ospedaliero,
tenendo sempre presente che la risposta ai farmaci può non
essere quella osservata nella generalità dei pazienti, giungendo
fino all’effetto paradosso (già descritto a proposito di
benzodiazepine e SAMe). L’aumento graduale e controllato del
dosaggio, un monitoraggio attento e pronto a cogliere i primi
segni di questo effetto, e a farvi fronte, richiede quindi
ospedalizzazione.
5.5 In sintesi
Dal punto di vista farmacologico è indispensabile e
universalmente accettato il fatto che tutti i pazienti debbano
mantenere costantemente sotto controllo l’uricemia, ed è
decisamente preferibile che ostacolino la formazione di calcoli
mediante idratazione abbondante e l’utilizzo di alcalinizzanti
urinari. Inoltre è prassi comune che assumano integratori
vitaminici (B12 e folati) per tamponare l’anemia
megaloblastica (che comunque non recede). Dal punto di vista
più strettamente neurofarmacologico, invece, le linee guida
sono molto più incerte, perchè non è disponibile un farmaco
specifico, perché sono assai pochi gli studi effettuati su un
numero statisticamente significativo di pazienti, e perché
raramente la risposta ai farmaci risulta univoca. Possiamo dire
che quasi tutti i pazienti durante il giorno trovano beneficio
dall’assunzione di un tranquillante minore (benzodiazepina,
barbiturico, o neurolettico di nuova generazione a basse dosi),
di un antiepilettico (gabapentin/pregabalin, o levetiracetam), e
favoriscono il sonno con un ipnoinducente (benzodiazepina,
melatonina, o un antistaminico ipnoinducente). Alcuni trovano
notevole giovamento con S-AdenosilMetionina. Alcuni
assumono farmaci antiparkinsoniani o miorilassanti centrali.
Ad ogni modo la terapia adeguata va ricercata, monitorata, e
con pazienza continuamente adattata alle esigenze contingenti.
5.6 Altri approcci
Tra gli approcci sperimentali, la stimolazione cerebrale
profonda, tramite elettrodi posizionati profondamente nel
cervello, ha dato nella LND risultati interessanti, che però
necessitano di ulteriori conferme. Il trapianto di midollo osseo,
eseguito in passato in diversi centri clinici, non ha dato alcuna
modificazione dei sintomi neurologici e psichiatrici, a fronte di
rischi notevoli, ed il trattamento è stato quindi abbandonato.
È da segnalare la sperimentazione in corso presso la Clinica
Pediatrica dell’IRCCS Burlo Garofalo di Trieste, con cellule
staminali mesenchimali iniettate per via lombare. Sembra che
tale studio stia evidenziando l’efficacia del trattamento, in
particolare per quanto riguarda l’autoaggressività. I dati sono in
corso di pubblicazione.
6. Altri interventi medico-sanitari
6.1 Apparato dentale
L’autolesionismo orale non è un sintomo prevedibile nel
tempo; non si sa quando comincia e può essere intervallato da
periodi di totale remissione per poi ripresentarsi
successivamente. È altresì difficile riuscire a contenere tale
comportamento: mentre per altri tipi di autolesionismo si
possono immobilizzare braccia e gambe, contrastare
l’autolesionismo orale risulta assai più complesso.
Esistono e vengono utilizzati, però, alcuni metodi di
prevenzione che possono essere sintetizzati nei seguenti punti:
• appositi paradenti (“byte” simili a quelli usati per curare il
bruxismo) da applicare sia all’arcata superiore che inferiore. Il
problema di questi ultimi è che bisogna essere sempre attenti al
loro posizionamento e in generale richiedono un notevole
impegno per la loro preparazione e successivi adattamenti. Il
vantaggio è che viene mantenuta la dentatura.
• estrazione di tutti i denti che comportano le lesioni: ritenuta
in passato la soluzione più soddisfacente, nei pazienti più
piccoli. Il problema si ripresenta però con l’eruzione dei denti
permanenti la cui estrazione diventa di per sé sorgente di nuovi
problemi come la difficoltà nel nutrirsi e la difficoltà nei
rapporti sociali per l’influenza a livello estetico. Si può
verificare inoltre un graduale riassorbimento dell’osso
alveolare; problema superabile attraverso la decoronazione dei
denti in modo da preservarne la radice;
• limare i denti che determinano le lesioni: rimedio non
pienamente soddisfacente, in quanto i pazienti riescono
comunque a schiacciare tra le due arcate la mucosa,
traumatizzandola.
• utilizzo di garze, fazzoletti, oggetti di gomma o altro da
interporre tra le due arcate dentarie: l’utilizzo di questi
accorgimenti è risultato abbastanza efficace ma solo per periodi
limitati, giusto il tempo necessario alla rimarginazione delle
ferite;
• un rimedio non terapeutico, ma sintomatico, è quello
dell’utilizzo del blu di metilene che, applicato sulla lesione,
consente una più rapida guarigione. Questo risulta molto
importante in quanto una lesione può indurre tensione emotiva,
determinando un riflesso incondizionato che porta il paziente a
ledersi nella stessa zona.
6.2 Apparto osteoarticolare
La lussazione d’anca è una frequente complicanza della
distonia, favorita dal comportamento autolesivo e dalla
eventuale concomitanza dall’artrite gottosa.
Talvolta sono richiesti interventi ortopedici per il rilascio delle
contratture, la riduzione di altre articolazioni sublussate o la
stabilizzazione di deformità della colonna vertebrale.
6.3 Apparato urinario
Condizioni frequenti sono rappresentate dalla calcolosi renale,
che può richiedere l’estrazione dei calcoli o la risoluzione
dell’ostruzione urogenitale, dall’insufficienza renale (fino allo
scompenso e alla necessità della dialisi) e dall’ipertensione
arteriosa. E’ consigliato un monitoraggio nefrologico mediante
ecografia dei reni e delle vie urinarie nonché la valutazione
della funzionalità renale.
6.4 Apparato ematico
La LND è spesso accompagnata da un anemia macrocitica
normocromica che può richiedere l’uso, oltre al acido folico,
vitamina B12 e ferro, anche di eritropoietina. Si suggerisce
attenzione circa i dosaggi alti di quest’ultima che potrebbero
essere controproducenti. Tuttavia non ci sono sufficienti prove
a conforto di questa ipotesi.
6.5 Anestesia
Il difetto metabolico della LND non preclude una sicura
applicazione delle procedure anestesiologiche e chirurgiche,
qualora sia necessario.
7. L’alimentazione
La maggioranza dei pazienti con LND può seguire una dieta
ricca e libera, che sia equilibrata per tipologia di alimenti e
contenuti di zuccheri, grassi e proteine. Una dieta povera di
purine/proteine non sembra influenzare favorevolmente la
malattia o il suo decorso.
I bambini con LND sono iperattivi e l’introduzione di calorie
deve essere incrementata, rispetto a soggetti della stessa età e
peso. E’ pertanto sempre raccomandata una dieta ipercalorica,
che in certi casi può o deve essere somministrata in forma
liquida (ad esempio latte con aggiunta di uovo o gelato).
Sempre abbondante deve essere l’idratazione mediante
somministrazione di acqua o altre bevande, soprattutto in caso
di febbre, episodi di vomito o diarrea, durante la stagione estiva
o l’esposizione a temperature elevate.
Con l’incremento dell’età possono esserci problemi di disfagia
e alcuni pazienti possono trovare beneficio da cambiamenti
nella consistenza del cibo: un’utile avvertenza può essere
quella di sminuzzare o frullare i cibi più consistenti evitando il
pericolo di soffocamento con pezzi di cibo semisolidi. Nei casi
di grave distonia dei muscoli della deglutizione può essere
richiesto un intervento di gastrostomia.
8. Interventi di riabilitazione
Nonostante il grave handicap motorio, la maggior parte dei
bambini/ragazzi con LND preferiscono essere attivamente
coinvolti nelle normali attività dei soggetti sani della loro età e
quindi devono essere spinti a interessarsi alle attività abituali
dell’ambiente che frequentano.
Le iniziative, le uscite, le interazioni sociali, l’accesso alla TV, i
film, la radio, la musica, gli strumenti comunicativi e il
computer sono modi importanti per rendere la vita quotidiana
dei pazienti interessante e gradevole. Chi assiste deve peraltro
sapere che talvolta un eccessivo coinvolgimento in situazioni
ludiche può risultare stressante e quindi essere una potenziale
fonte di pericolo per lo scatenamento di un attacco autolesivo.
I pazienti con LND hanno necessità di fare riferimento ad un
centro di educazione motoria già entro il primo anno di età per
una presa in carico globale attraverso il lavoro d’equipe di:
neuropsichiatra infantile, psicologo, neuropsicomotricista e
logopedista.
È inoltre importante avere un approccio globale al
bambino/ragazzo con malattia di Lesch-Nyhan tenendo in
considerazione tutte le diverse componenti trattate in questo
vademecum.
1.
Fase iniziale, ipotonica:
Obiettivi dell’intervento neuromotorio:
• sostenere i genitori, consigliandoli nella gestione
quotidiana del bambino;
• stimolare il bambino al movimento, creando situazioni in
cui poter sperimentare i vari passaggi posturali ed il
piacere che ne deriva;
• aumentare il tono muscolare stimolando l’attività motoria
principalmente attraverso il gioco;
• favorire la comparsa delle reazioni di raddrizzamento e di
equilibrio.
• mantenere l’allineamento posturale capo-tronco-arti;
• raggiungere e controllare le diverse posture anche
attraverso l’uso di ausili (passeggino, seggiolone,
girello…) con sistemi di postura appropriati;
• favorire attività bimanuali, portando gli arti sulla linea
mediana;
• fornire input sensoriali (visivi, tattili, sonori…) che
stimolino il bambino fornendogli
esperienze
diversificate.
Già in questa fase è importante la collaborazione con una
logopedista per la gestione delle problematiche legate
all’alimentazione (difficoltà di suzione e deglutizione).
2.
Comparsa dei movimenti coreoatetosici, distonici e
della spasticità: tali movimenti patologici involontari, si
inseriscono nel normale schema motorio del bambino fino a
perdere le tappe motorie acquisite in precedenza. È quindi
importante, seguendo l’evoluzione del quadro clinico del
bambino, sostenere i genitori in questa nuova fase che li
riporta nello sconforto, nella delusione, di fronte al
“peggioramento” inaspettato.
Obiettivi dell’intervento neuromotorio:
• raggiungimento e controllo delle diverse posture anche
attraverso l’uso di ausili (passeggino, seggiolone,
girello…) con sistemi di postura appropriati;
• proposta della carrozzina e addestramento all’uso (già a
partire dai 4 anni);
• mantenere l’allineamento posturale anche attraverso l’uso
di sistemi di postura adatti;
• ridurre il grado di spasticità attraverso esercizi di
stretching passivo e attivo e di mobilizzazione (quando
tali esercizi non riescono più a dare il risultato voluto, è
utile intervenire con una terapia farmacologica antispastica,
per ridurre il tono generalizzato, o l’uso di tossina
botulinica, per ridurre il tono a livello di gruppi muscolari
specifici);
• prevenire fissità articolari e deformità ossee anche
attraverso l’uso di ortesi e tutori;
• affrontare tempestivamente il comportamento auto ed
eteroaggressivo (quando presente) sia per quanto riguarda
l’atteggiamento con cui
prevenire e contenere tali
manifestazioni, sia riguardo gli strumenti a disposizione.
• intervento logopedico specifico per il trattamento della
disartria e per identificare metodi e strategie adatte a
potenziare le capacità residue del soggetto nei riguardi della
comunicazione. A partire dai 6 anni, con l’inizio della
scolarizzazione, le priorità riabilitative sono strettamente
collegate con l’apprendimento, lo sviluppo delle
competenze cognitive e neuropsicologiche. Diventa quindi
opportuno effettuare una consulenza informatica, per
individuare le soluzioni migliori a seconda del
bambino/ragazzo (scelta di hardware e software) e
successivo addestramento all’uso;
• Counselling ai genitori.