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società
CELEBRATA IL 22 APRILE LA GIORNATA MONDIALE DELLA TERRA
L a mia mano affonda nella terra
bagnata dalla pioggia del giorno
prima: e, mentre il sole splende in
tutto il suo fulgore primaverile,
sento una grande armonia tra quel
mio semplice gesto, per piantare
qualche piccola pianta di pomodori, e la natura circostante la mia
nuova abitazione, in campagna, in
cui mi sono da poco trasferita abbandonando la città. Quando,
penso, riusciremo a creare un orto
capace di approvvigionarci e
avremo dotato la nuova casa di impianti di riscaldamento totalmente
dipendenti da energie rinnovabili,
quel senso di armonia sarà ancora
più forte, e il sogno di poter vivere
con un’impronta ecologica si sarà
avverato.
Nel frattempo, con quel semplice gesto, ho contribuito, a mia
insaputa, a far del bene al nostro
pianeta: me lo dicono i siti Internet che, al tramonto, quando fuori
non è più possibile lavorare, consulto perché un altro lavoro, quello
giornalistico, mi aspetta. Mi era
sfuggito, infatti, che proprio quel
giorno, domenica 22 aprile, fosse
la Giornata mondiale della terra, e
che per celebrarla in tutto il
mondo un miliardo di persone
avrebbero fatto – e dato conto nei
social network approntati per
l’evento – un’azione personale per
aiutare la terra. Perché l’obiettivo
è proprio questo: rendere consapevoli i cittadini di tutto il mondo
che la salvaguardia del pianeta
passa anche dai grandi summit internazionali, come la Conferenza
mondiale sulla sostenibilità ambientale indetta dall’ONU che si
svolgerà tra due mesi, a vent’anni
esatti dalla prima (Rio de Janeiro
1992), ma si alimenta e diviene
azione concreta solo attraverso il
coinvolgimento personale, capace
di diventare stile di vita, non isolato, ma condiviso.
In una crisi economica gravissima – che in Italia si unisce a
quella politica e morale –, che evidenzia tutti i limiti di uno sviluppo
fondato esclusivamente sulla glo-
balizzazione liberista, dove l’obiettivo
è far soldi senza
creare nulla, la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia, incurante
delle persone e dell’ambiente, con la
conseguenza di crescenti
diseguaglianze, povertà e
insostenibilità ambientale, la questione ecologica si interseca inevitabilmente con quella sociale e diviene punto di partenza per ripensare la società nelle sue molteplici
sfaccettature.
Le “8R” di Latouche
Da qui nascono numerosi filoni
di pensiero dove ambientalismo e
lotta alla povertà si incontrano. La
decrescita felice, il cui network italiano è stato tra i promotori dell’Earth day, è uno di questi. Il suo
più insigne rappresentante, l’economista francese Sergio Latouche,
ha riassunto in 8 R le azioni che
dovrebbero muovere alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo e di stile di vita: rivalutare,
cioè rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita; ricontestualizzare, cioè modificare il contesto
concettuale di una situazione o il
punto di vista secondo cui essa è
vissuta, così da mutarne completamente il senso; ristrutturare,
adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di
consumo, i rapporti sociali, gli stili
di vita; rilocalizzare, consumare
prodotti locali di aziende del territorio con la conseguenza che ogni
decisione di natura economica va
presa su scala locale; ridistribuire,
garantendo a tutti gli abitanti del
pianeta l’accesso alle risorse naturali, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti; ridurre, sia l’impatto
sulla biosfera dei nostri modi di
produrre e di consumare che gli
orari di lavoro; riutilizzare, riparando i beni d’uso anziché gettarli
in discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società
dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti; riciclare, recuperando
tutti gli scarti non decomponibili.
Simile – ma che parte da una
consapevolezza diversa, quella per
cui si è già superato il pik oil, cioè
quel punto dello sfruttamento petrolifero le cui riserve iniziano a
scarseggiare con conseguente aumento di costi per l’estrazione e
aumento del prezzo sul mercato –
è il “Movimento per la transizione”, per procedere al passaggio
da uno sviluppo fondato sulle
energie fossili a un nuovo ordine
fondato su energie rinnovabili.
«La “transizione” non si schiera
ideologicamente, vuole produrre
risultati, fornisce un metodo e
strumenti operativi che vengono
continuamente migliorati grazie
all’apporto di tutte le esperienze in
corso – spiega Cristiano Bottone,
tra i primi attivisti del movimento
in Italia che, proprio in un comune
della collina bolognese, ha trovato
il suo inizio –. È un movimento governato dal basso, costruisce reti e
relazioni, non ha nemici, ma solo
compagni di viaggio. E, soprattutto, la “transizione” pianta alberi,
coltiva orti, installa pannelli solari,
ricostruisce le relazioni sociali, sostiene l’economia locale, modifica
le strade, stende piste ciclabili,
rende le piazze ospitali». Il comune di Monteveglio (BO), nel
quale ha avuto inizio, è stato il
primo a fregiarsi del titolo di comune no carbon, eliminando il ricorso a fonti energetiche non rinnovabili nella sua pianificazione.
A ciò si unisce una fitta rete di
famiglie e associazioni impegnate
sul territorio in gruppi di acquisto
solidale, esperienze di baratto e
riuso, di consumi da produzione
locale, di agricoltura biologica
senza uso di prodotti chimici. «In
Italia abbiamo una situazione politica abbastanza disperata – evidenzia Bottone –, una grave crisi
di fiducia delle persone nelle istituzioni e una preoccupante deriva
culturale che sta producendo l’annullamento del senso critico. Ma
sul piano del potenziale, se c’è un
paese in cui si potrebbe fare una
“transizione” efficace, è proprio
l’Italia. Abbiamo tutto quello che
serve: potremmo abbastanza facilmente raggiungere l’autonomia
energetica e alimentare, far rinascere le foreste e sviluppare sistemi agricoli che preservino il territorio invece che distruggerlo, importanti tradizioni manifatturiere
e un tessuto artigianale da recuperare e di sviluppare. I tempi sono
maturi perché le persone «si mettano in viaggio».
Educare alla sobrietà
Non mancano filoni di pensiero
ispirati direttamente dall’esperienza cristiana. Come quello della
sobrietà, le cui radici si trovano
nell’idea francescana di povertà e
di armonia con il creato. «La sobrietà è più un modo di essere che
di avere – scrive Francesco Gesualdi, allievo di don Milani e fondatore del Centro nuovo modello di
sviluppo –. È uno stile di vita che
sa distinguere tra i bisogni reali e
quelli imposti. È la capacità di dare
alle esigenze del corpo il giusto
peso senza dimenticare quelle spirituali, affettive, intellettuali, sociali. È un modo di organizzare la
società affinché sia garantita a
tutti la possibilità di soddisfare i
bisogni fondamentali con il minor
dispendio di risorse e produzione
di rifiuti. In ambito personale, la
sobrietà si può riassumere in dieci
parole d’ordine: pensare, consumare critico, rallentare, ridurre,
condividere, recuperare, riparare,
riciclare, consumare locale, consumare prodotti di stagione. Naturalmente non dobbiamo limitarci
a rivedere i nostri consumi privati,
ma anche quelli collettivi. Dovremo eliminare gli armamenti,
ma anche sprecare meno energia
per l’illuminazione delle città, accontentarci di treni meno veloci,
costruire meno strade. Perfino in
ambito sanitario dovremo diventare più sobri affrontando la malattia non solo con la scienza, ma
anche con una diversa concezione
della vita e della morte, così da evitare l’accanimento terapeutico e
l’eccessiva medicalizzazione di
eventi naturali come la vecchiaia».
E c’è anche chi ha elaborato un
Manifesto della custodia del creato:
lo hanno fatto i partecipanti alla
Scuola di pace di Roma che, domenica 22 aprile, si sono trovati
presso la Cooperativa Sociale Frate
Jacopa. «C’è molta poca consapevolezza dell’incidenza dei nostri
atti quotidiani nella tutela del
creato – ha spiegato Argìa Passoni,
tra le promotrici, a Radio Vaticana
–, tanto che l’educare alla custodia
del creato sembra porsi in termini
di servizio all’umanità del nostro
tempo. La custodia richiama a una
permanente cura di ciò che ci è affidato come dono da far fiorire a favore di tutti. La consapevolezza che
il creato sia affidato ad ogni uomo
è davvero da recuperare, anche se a
livello globale si sta levando un’attenzione forte verso un ripensamento dello stile di vita e del modello di sviluppo».
Sabrina Magnani
settimana 6 maggio 2012 | n° 18
Un miliardo di eco-azioni
per salvare il pianeta
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