SETTIMANA 18-2012 v88:Layout 1 30/04/2012 17.27 Pagina 7 società CELEBRATA IL 22 APRILE LA GIORNATA MONDIALE DELLA TERRA L a mia mano affonda nella terra bagnata dalla pioggia del giorno prima: e, mentre il sole splende in tutto il suo fulgore primaverile, sento una grande armonia tra quel mio semplice gesto, per piantare qualche piccola pianta di pomodori, e la natura circostante la mia nuova abitazione, in campagna, in cui mi sono da poco trasferita abbandonando la città. Quando, penso, riusciremo a creare un orto capace di approvvigionarci e avremo dotato la nuova casa di impianti di riscaldamento totalmente dipendenti da energie rinnovabili, quel senso di armonia sarà ancora più forte, e il sogno di poter vivere con un’impronta ecologica si sarà avverato. Nel frattempo, con quel semplice gesto, ho contribuito, a mia insaputa, a far del bene al nostro pianeta: me lo dicono i siti Internet che, al tramonto, quando fuori non è più possibile lavorare, consulto perché un altro lavoro, quello giornalistico, mi aspetta. Mi era sfuggito, infatti, che proprio quel giorno, domenica 22 aprile, fosse la Giornata mondiale della terra, e che per celebrarla in tutto il mondo un miliardo di persone avrebbero fatto – e dato conto nei social network approntati per l’evento – un’azione personale per aiutare la terra. Perché l’obiettivo è proprio questo: rendere consapevoli i cittadini di tutto il mondo che la salvaguardia del pianeta passa anche dai grandi summit internazionali, come la Conferenza mondiale sulla sostenibilità ambientale indetta dall’ONU che si svolgerà tra due mesi, a vent’anni esatti dalla prima (Rio de Janeiro 1992), ma si alimenta e diviene azione concreta solo attraverso il coinvolgimento personale, capace di diventare stile di vita, non isolato, ma condiviso. In una crisi economica gravissima – che in Italia si unisce a quella politica e morale –, che evidenzia tutti i limiti di uno sviluppo fondato esclusivamente sulla glo- balizzazione liberista, dove l’obiettivo è far soldi senza creare nulla, la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia, incurante delle persone e dell’ambiente, con la conseguenza di crescenti diseguaglianze, povertà e insostenibilità ambientale, la questione ecologica si interseca inevitabilmente con quella sociale e diviene punto di partenza per ripensare la società nelle sue molteplici sfaccettature. Le “8R” di Latouche Da qui nascono numerosi filoni di pensiero dove ambientalismo e lotta alla povertà si incontrano. La decrescita felice, il cui network italiano è stato tra i promotori dell’Earth day, è uno di questi. Il suo più insigne rappresentante, l’economista francese Sergio Latouche, ha riassunto in 8 R le azioni che dovrebbero muovere alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo e di stile di vita: rivalutare, cioè rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita; ricontestualizzare, cioè modificare il contesto concettuale di una situazione o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso; ristrutturare, adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita; rilocalizzare, consumare prodotti locali di aziende del territorio con la conseguenza che ogni decisione di natura economica va presa su scala locale; ridistribuire, garantendo a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti; ridurre, sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e di consumare che gli orari di lavoro; riutilizzare, riparando i beni d’uso anziché gettarli in discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti; riciclare, recuperando tutti gli scarti non decomponibili. Simile – ma che parte da una consapevolezza diversa, quella per cui si è già superato il pik oil, cioè quel punto dello sfruttamento petrolifero le cui riserve iniziano a scarseggiare con conseguente aumento di costi per l’estrazione e aumento del prezzo sul mercato – è il “Movimento per la transizione”, per procedere al passaggio da uno sviluppo fondato sulle energie fossili a un nuovo ordine fondato su energie rinnovabili. «La “transizione” non si schiera ideologicamente, vuole produrre risultati, fornisce un metodo e strumenti operativi che vengono continuamente migliorati grazie all’apporto di tutte le esperienze in corso – spiega Cristiano Bottone, tra i primi attivisti del movimento in Italia che, proprio in un comune della collina bolognese, ha trovato il suo inizio –. È un movimento governato dal basso, costruisce reti e relazioni, non ha nemici, ma solo compagni di viaggio. E, soprattutto, la “transizione” pianta alberi, coltiva orti, installa pannelli solari, ricostruisce le relazioni sociali, sostiene l’economia locale, modifica le strade, stende piste ciclabili, rende le piazze ospitali». Il comune di Monteveglio (BO), nel quale ha avuto inizio, è stato il primo a fregiarsi del titolo di comune no carbon, eliminando il ricorso a fonti energetiche non rinnovabili nella sua pianificazione. A ciò si unisce una fitta rete di famiglie e associazioni impegnate sul territorio in gruppi di acquisto solidale, esperienze di baratto e riuso, di consumi da produzione locale, di agricoltura biologica senza uso di prodotti chimici. «In Italia abbiamo una situazione politica abbastanza disperata – evidenzia Bottone –, una grave crisi di fiducia delle persone nelle istituzioni e una preoccupante deriva culturale che sta producendo l’annullamento del senso critico. Ma sul piano del potenziale, se c’è un paese in cui si potrebbe fare una “transizione” efficace, è proprio l’Italia. Abbiamo tutto quello che serve: potremmo abbastanza facilmente raggiungere l’autonomia energetica e alimentare, far rinascere le foreste e sviluppare sistemi agricoli che preservino il territorio invece che distruggerlo, importanti tradizioni manifatturiere e un tessuto artigianale da recuperare e di sviluppare. I tempi sono maturi perché le persone «si mettano in viaggio». Educare alla sobrietà Non mancano filoni di pensiero ispirati direttamente dall’esperienza cristiana. Come quello della sobrietà, le cui radici si trovano nell’idea francescana di povertà e di armonia con il creato. «La sobrietà è più un modo di essere che di avere – scrive Francesco Gesualdi, allievo di don Milani e fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo –. È uno stile di vita che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli imposti. È la capacità di dare alle esigenze del corpo il giusto peso senza dimenticare quelle spirituali, affettive, intellettuali, sociali. È un modo di organizzare la società affinché sia garantita a tutti la possibilità di soddisfare i bisogni fondamentali con il minor dispendio di risorse e produzione di rifiuti. In ambito personale, la sobrietà si può riassumere in dieci parole d’ordine: pensare, consumare critico, rallentare, ridurre, condividere, recuperare, riparare, riciclare, consumare locale, consumare prodotti di stagione. Naturalmente non dobbiamo limitarci a rivedere i nostri consumi privati, ma anche quelli collettivi. Dovremo eliminare gli armamenti, ma anche sprecare meno energia per l’illuminazione delle città, accontentarci di treni meno veloci, costruire meno strade. Perfino in ambito sanitario dovremo diventare più sobri affrontando la malattia non solo con la scienza, ma anche con una diversa concezione della vita e della morte, così da evitare l’accanimento terapeutico e l’eccessiva medicalizzazione di eventi naturali come la vecchiaia». E c’è anche chi ha elaborato un Manifesto della custodia del creato: lo hanno fatto i partecipanti alla Scuola di pace di Roma che, domenica 22 aprile, si sono trovati presso la Cooperativa Sociale Frate Jacopa. «C’è molta poca consapevolezza dell’incidenza dei nostri atti quotidiani nella tutela del creato – ha spiegato Argìa Passoni, tra le promotrici, a Radio Vaticana –, tanto che l’educare alla custodia del creato sembra porsi in termini di servizio all’umanità del nostro tempo. La custodia richiama a una permanente cura di ciò che ci è affidato come dono da far fiorire a favore di tutti. La consapevolezza che il creato sia affidato ad ogni uomo è davvero da recuperare, anche se a livello globale si sta levando un’attenzione forte verso un ripensamento dello stile di vita e del modello di sviluppo». Sabrina Magnani settimana 6 maggio 2012 | n° 18 Un miliardo di eco-azioni per salvare il pianeta 7