Cultura è Cura della RELIGIOSITA’ UMANA RELAZIONE Dr.ssa ANNA FERRARI DIVERSI APPROCCI ALLA NATURA La storia dell’umanità insegna che l’uomo ha conosciuto approcci diversi nei confronti della natura: il mito, la filosofia, il sapere scientifico. Il mondo del mito si è sviluppato in tutte le grandi culture dell’antichità. Nel paleolitico (da 2,5 milioni fino a 10.000 anni fa), ad esempio, l’uomo ha vissuto atteggiamenti parassiti: la cultura della caccia e della raccolta, ancora separata dalla semina, esprimeva un prendere dalla natura senza nulla dare. La terra era semplicemente capace di offrire nutrimento. L’epoca neolitica (circa 9.500 aC), invece, ha conosciuto il passaggio dalla passività alla collaborazione. L’uomo lavora la terra, la coltiva e se ne serve per l’allevamento. Il ciclo delle stagioni costituisce un quadro di riferimento fondamentale. C’è un tempo per seminare e uno per raccogliere, uno per l’accoppiamento degli animali e uno per usarne i prodotti (latte, lana, uova, carne). Ora la terra da semplice suolo diventa madre. E’ riconosciuta come l’origine della vita. In simili contesti nascono i miti, ossia quei racconti che narrano le origini ed esprimono una vera e propria visione del mondo. Nel mito la natura è il luogo in cui incontrare una Presenza da cui si sente di dipendere per sopravvivere e che si vuole alleata, dalla propria parte. Perciò i miti testimoniano insieme due modi di accostarsi al divino: la dipendenza e la partecipazione. La dipendenza è relazione con una presenza trascendente e provvidente. La partecipazione fa vivere l’uomo nella gratitudine per quello che ha e di conseguenza il suo lavoro esprime un doveroso contributo perché il dono provvidente continui a sussistere. Il passaggio alla filosofia rappresenta un altro momento significativo della storia umana. Si tratta di uno sguardo diverso sulla realtà. Lo inaugura il mondo greco. La filosofia greca ricerca il senso della natura, il valore delle cose che esistono. La filosofia è la ricerca della verità attraverso la ragione. 1 Vi è una ragione che spiega ogni cosa e la filosofia si mette al servizio di questa domanda di senso propria dell’uomo. Che cos’è la natura? Questo interrogativo si è tramandato all’interno di tutta la tradizione occidentale. Un approccio ancora diverso si è rivelato quello scientifico. “Sapere è potere”, affermava Bacone (1561-1626). Il sapere scientifico suppone la domanda: com’è fatta la natura? Come funziona? Conoscere la natura dà poi la possibilità di trasformare il mondo. L’uomo ha preso coscienza di poter manipolare, modificare, intervenire e migliorare. Il sapere scientifico ha contribuito in modo straordinario al miglioramento della vita umana. Il VI sec. aC rappresenta una tappa decisiva. Cosa avviene? In maniera curiosa troviamo che, a distanza, narrazione biblica e ricerca filosofica greca sono animate dagli stessi interrogativi. I due mondi si salutano, sembrano condividere l’oggetto della ricerca. Questo accade in ambienti culturali molto diversi tra loro e che non necessariamente si sono influenzati. Nello stesso secolo, filosofia greca e fede biblica si fanno le stesse domande: che cosa o chi sostiene nell’esistenza ciò che esiste? Da dove proveniamo? Chi siamo? Quali sono i fondamenti del mondo? La domanda caratteristica della ricerca filosofica di questo periodo è: al di là dei continui cambiamenti della natura, quale legge regola il suo divenire? I filosofi parlano di un principio ordinatore che spiega l’origine del mondo e che spiega soprattutto la molteplicità con cui le cose si presentano agli occhi dell’uomo. La domanda sull’origine e sul senso del mondo porta alla consapevolezza di un ruolo particolare dell’uomo rispetto al mondo. E’ interessante notare che la prima operazione che la filosofia occidentale fa è desacralizzare la natura: se il mondo trova una sua spiegazione, significa che l’uomo è in grado di comprenderla. Su questa stessa lunghezza d’onda si muove l’ambiente biblico. Gen 1 si apre con la distinzione tra Dio e il mondo: In principio Dio creò il cielo e la terra. Ciò significa che le realtà create assumono il loro senso in relazione a Dio e che mondo del Creatore e mondo del creato non si equivalgono. 2 Vi è dipendenza e partecipazione, ma non identità. Il mondo non è Dio e Dio non è il mondo. Ne è l’origine e lo trascende. A differenza di altre tradizioni religiose, Israele rifiuta la possibilità di considerare le realtà create come delle divinità: sarebbe idolatria. Dio è uno solo, come ricorda il primo comandamento del decalogo. Il mondo è suo dono, proviene da lui e vive del legame con lui. Tuttavia non è una divinità. Tutto questo accade nel VI sec. a.C. Sembra una strana coincidenza della storia: attraverso percorsi autonomi si trovano punti di raccordo tra la filosofia greca e il racconto biblico di Gen che gli studiosi fanno risalire appunto al VI secolo. E’ il periodo drammatico dell’esilio a Babilonia tra il 587 e il 538 a.C.. E’ il momento in cui Israele si trova con le tasche vuote, senza monarchia e senza tempio: mancano i punti di riferimento che hanno fatto la storia del popolo. Le domande in questo tempo di crisi si fanno pressanti: dov’è Dio? Ci ha forse abbandonato? Esiste una speranza? Il popolo trova le risposte tornando alle origini. Il Dio d’Israele è il creatore dell’universo. Egli è all’inizio e ciò rassicura la fede israelita. Dio è il Creatore perché capace di porre ordine all’interno del caos primordiale. Se il paragone non suonasse irriverente, si potrebbe paragonare Dio a una persona che prepara l’albero di Natale. Nella scatola ci sono molti oggetti alla rinfusa: in base all’idea di bellezza e armonia, li prende e li colloca al posto giusto. Dio mette ordine nella confusione: così la creazione prende corpo. La terra emerge da un caos e trova senso. Questa logica è evidente nella separazione della terra ferma dalle acque. Il racconto biblico non è tanto preoccupato di chiedersi come il mondo sia stato creato, ma perché. Dio crea con atto libero e gratuito, per amore. L’uomo può divenire partecipe della vita stessa di Dio. Infatti, è creato a immagine e somiglianza di Dio, chiamato a dominare e soggiogare la terra. Secondo un’interpretazione teologica, “dominare” è l’azione di un re che regge il suo popolo guidandolo verso lo shalom, la pace piena. P30 E’ anche il verbo che 3 descrive il ruolo del pastore verso il proprio gregge: lo conduce ai migliori pascoli, lo guida con autorevolezza. Emerge così l’idea che l’uomo sia il pastore di tutte le realtà create. Da ciò non si può dire che l’uomo sia autorizzato a sfruttare la creazione. Piuttosto, il giusto atteggiamento dell’uomo è quello di servizio. Come Dio “domina” perché crea e offre opportunità di vita, così l’uomo “domina” sul creato perché si mette al servizio della vita di ogni creatura. Oggi ciò si esprime con il concetto di responsabilità. L’uomo, dunque, non è padrone assoluto. Non è saccheggiatore incontrastato. E’ invece servitore della vita. L’uomo “domina” in quanto conduce al pascolo, addomestica, migliora le condizioni di vita degli animali prendendosene cura. Anche il verbo soggiogare esprime l’atto di stare sopra la terra, di prendere dimora in un territorio. Tra gli altri significati, vuol dire abitare. Se ciò è vero, il mondo è una casa che ha bisogno di essere custodita e non lasciata a se stessa. Soggiogare non ha il senso violento di calpestare, ma quello amorevole di prendere possesso della terra. Intende affermare che tutta l’umanità ha diritto ad abitare la terra e che ogni popolo può risiedere in un territorio. Gen 2,15 si serve di altri 2 verbi per esprimere il compito che Dio affida all’uomo: il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Coltivare e custodire approfondiscono e completano “dominare” e “soggiogare”. Sono verbi che provengono dal lavoro umano, in particolare dall’agricoltura e dall’allevamento. Dio non crea l’uomo come collaboratore per portare a termine il creato, ma cerca un destinatario cui affidarlo come dono. Anche in questo caso è evidente come il creato non sia divinizzato. E’ piuttosto affidato al lavoro dell’uomo, il quale non si accontenta di mangiare i frutti della terra, ma prepara il pane. Non beve solo acqua, ma produce vino. Non solo raccoglie 4 le olive per metterle in tavola, ma è in grado di fare l’olio. L’arte e il lavoro producono beni per l’umanità intera. Ciò è possibile sia perché la creazione offre frutti in natura, sia perché l’intelligenza umana li trasforma in frutti ancora più pregiati. Nel racconto biblico di Gen 1-11 emerge anche che la creazione suscita relazioni. Quando Dio crea, genera un legame. Per questo non si equivalgono dal punto di vista linguistico i termini “creazione” e “natura”. Non sono sinonimi. Parole come cosmo, natura non riescono ad esprimere la relazione, appaiono neutri rispetto all’idea biblica di un patto di alleanza tra Dio e l’uomo attraverso la creazione. Ciò è evidente dal modo stesso in cui la narrazione procede. Per ben 6 volte in Gen 1 compare “Dio disse”: la creazione avviene attraverso la parola, cui fa seguito il riconoscimento della bontà di quel che è realizzato. Attraverso la parola, Dio ha posto il suo amore e la sua libertà come fondamento e sostegno del mondo. Dio crea con l’esperienza più elementare della comunicazione: la parola. Ne derivano due conseguenze: 1. Se Dio crea relazioni, il suo rapporto con il mondo continua a esistere. Non si può perciò pensare a un rapporto di estraneità tra Dio e il mondo, come se il Creatore fosse un orologiaio o un macchinista che costruisce l’oggetto, lo fa partire e se ne disinteressa. Dio continua ad abitare il mondo e il mondo vive dell’amore di Dio. 2. L’uomo comprende di dover custodire sia il rapporto con Dio sia il dono del creato. L’uomo, quindi, è in relazione con la realtà creata. Se ne serve per rispondere al proprio bisogno di vita: mangia, beve, respira, si muove; senza l’ambiente vitale del creato non potrebbe esistere. Riconosce così di avere una responsabilità. Allora L’affermazione che gli è più consona non è: “Il mondo è mio!”, ma: “E’ per me!”. 5 La responsabilità per il creato è legata alla solidarietà tra gli uomini, perché come siamo responsabili del creato, siamo anche responsabili dell’altro e del suo bisogno di vita. Del resto, non esiste modo di amare il prossimo se non attraverso le cose create. La parabola del samaritano lo ricorda: il vino, l’olio e il denaro servono a rimarginare le ferite sanguinanti del fratello. La solidarietà è ciò che dà sapore al vivere umano nel mondo. Il mondo creato da Dio e affidato alle mani dell’uomo non è qualcosa di statico. Il mondo è il luogo del confronto tragico tra un’umanità che riconosce il dono e lo valorizza e un’umanità che nega il legame e distrugge il creato. 6