UN NUOVO INTERESSANTE LIBRO DI MICHELE CONGIAS
È una domenica di giugno. Finalmente il caldo è arrivato dopo un inverno lungo e piovoso ed una
primavera incerta. Arrivo a Desulo nel pomeriggio. Il paese è addobbato a festa per la processione del
Corpus Domini. Lungo la strada principale ci sono gli altarini arricchiti con fiori e tappeti. Passano le
donne, austere nel loro sgargiante e inconfondibile costume di orbace arancione. Fra poco ci sarà la
processione, come sempre molto sentita e partecipata. Qualche goccia di una pioggerellina leggera
bagna l’asfalto ma non pare preoccupare i passanti. Lascio la strada principale e mi immetto nelle
strette vie del centro storico fino a Sa Praccia Manna. Michele Congias abita li vicino. Infatti lo trovo
seduto sulla soglia di casa (in su leminargiu). Sa che sono qui per intervistarlo dopo la sua ultima e
recente fatica letteraria: “Su Santu vagnelu de Marcu”. IL Santo vangelo di Marco che lui ha tradotto
dal greco nella parlata del suo paese. Il libro, poco più di 150 pagine, è stato pubblicato dalla casa
editrice Domus de Janas. Michele Congias è una vecchia conoscenza dell’Arborense. Avevamo parlato
di lui riferendo della statua dedicata a Giovanni Paolo Secondo che era stata sistemata sulla mitica
altura di Norcià: era lui l’animatore di quel progetto. Michele è un insegnante di lettere in pensione, che
vive ed opera a Desulo. Prima di Su Vagnelu aveva pubblicato alcuni romanzi: “La luna sulla valle”;
“Un trenino sull’altipiano”; ”La montagna della luce”. Poi aveva curato la pubblicazione di Amsicora,
un poema epico in logudorese del prete poeta desulese Don Salvatore Lay Deidda. Ed aveva anche
scritto “Testimone di Cristo”, biografia di Don Livio Urru.
“Perché hai deciso di scrivere questo libro”, gli chiedo.
“Perché era mia intenzione quella di riabilitare Marco che fino al secolo diciannovesimo, quando si cominciò a
rivalutare il suo linguaggio schietto e diretto, veniva in qualche modo ritenuto uno scrittore non di primo piano.
In questo giudizio storico ha sicuramente pesato il parere negativo espresso da Papia di Gerapoli e dallo stesso
Sant’Agostino. Io invece credo che a Marco dobbiamo quantomeno riconoscere il merito di aver cominciato a
scrivere l’Evangelo, che è un’opera fondamentale della letteratura mondiale, non solo cristiana. Ma poi di Marco
mi piace il suo modo di rivelare il Cristo perché lo fa disvelandolo poco per volta e spiegandolo in una maniera
semplice che tocca il cuore della gente. Per esempio che Gesù era il figlio di Dio lo fa dire ad un pagano e non lo
dice lui direttamente. Una sorta di testimonianza indiretta che rende tutto molto più vero”.
“Ma perché per raccontare queste cose hai scelto di farlo in sardo, e per giunta in desulese”
“Perché volevo dare il mio contributo alla valorizzazione della nostra lingua e perché volevo documentare il suo
stato di conservazione in questi anni. Infatti le note di linguistica, a cura dello studioso Massimo Mele, sono state
scritte dopo che la traduzione era già stata fatta”
“Vorrei che spiegassi come è materialmente avvenuta la traduzione”
“Io ho tradotto il Vangelo di Marco direttamente dal greco; ho utilizzato un testo classico: il Novum testamentum
Graece et Latino a cura del Sumptibus Pontificii Iistituti Biblici, che reca sia la versione in greco che quella latina.
Mi sono anche avvalso di un vocabolario greco, quello di Franco Montanari, editore Loescher. Ho fatto questa
scelta perché la versione latina è meno letterale ed invece i verbi del greco hanno delle sfumature che cambiano
quasi i tempi dell’azione. E tutto ciò in sardo può essere reso molto bene”
Il libro di Michele Congias si avvale dell’ottima presentazione della figura di Marco scritta dal Parroco
di Desulo Don Giovanni Pippia e tradotta in sardo desulese dallo stesso Autore. Spiccano poi le
preziose illustrazioni dell’artista algherese Mario Nieddu che ha anche scritto una breve nota
introduttiva per spiegare perché ha deciso di collocare molte immagini in un contesto che è assai vicino
a quello desulese. Ma questa contestualizzazione l’ha fatta anche Michele con le sue note, molto curate,
poste a margine del testo. Giusto per fare un esempio di questa contestualizzazione a pag. 26, laddove
Michele da qualche informazione sul Giordano scrive: “Giordanu. Erriu de Palestina longu tres bortas de su
Tirsu…”. E poi ancora a pag. 31 dove spiega: “Galilea. Terra de pranos artigeddos e de montigos, inube
cressede s’erba, su trigu , is arbores de olia e de donnia fruttu… Su monte prus artu est che a Norcià (Monte
Meron 1208 m.)”. Sul piano linguistico è anche interessante lo sforzo sotteso a rendere con delle
locuzioni sarde alcune espressioni di difficile traduzione. Ad esempio per tradurre il termine “Aldilà”
Michele ricorre a delle frasi bellissime e poetiche scrivendo che: “est su logu inue faere familia cun Deus
e iscurtare sa legge sua..”. Ormai l’intervista si è trasformata in una tranquilla chiacchierata ed allora
ricordandomi dell’antica rivalità tra Tonara e Desulo gli dico che da noi per dire “L’Aldilà” si usa
l’espressione “Su Munnu de sa Beridade”, cioè “Il mondo della verità”. Gli piace molto questa locuzione
che non conosceva. Ma devo anche riferire che il sardo usato da Congias è davvero molto bello e non
scade mai in costruzioni artefatte o in italianismi che, nel caso di altri scrittori, lo rendono a volte
illeggibile se non ridicolo. Chiedo a Michele se il suo lavoro sui Vangeli si fermerà qui. “No – mi dice –
credo che tra qualche tempo comincerò la traduzione del Vangelo di Luca perché in Luca c’è anche la natività di
Cristo che è un tema straordinariamente affascinante che, d’altro canto, Marco non ha trattato”. Ma so che
Michele sta lavorando anche ad un nuovo romanzo; è ambientato nel Medioevo e le vicende si
svolgono in un villaggio abbandonato, nei pressi di Desulo, che peraltro esiste realmente. Ormai la
chiacchierata volge al termine anche perché la processione del Corpus Domini non può attendere.
Saluto Michele con un in bocca a lupo per le sue nuove fatiche letterarie.