1 - Premessa Secondo alcuni economisti la teoria

LA VALUTAZIONE MONETARIA DELLE RISORSE NATURALI
GIANNI CICIA§
1 - Premessa
Secondo alcuni economisti la teoria del valore non è semplicemente una parte
della scienza economica, ma è il principio stesso da cui essa deriva (Napoleoni,
1976). D’altro canto è innegabile che, a partire dalle opere degli economisti
classici, la teoria del valore ha rivestito un ruolo chiave nelle analisi
economiche, e lo scontro tra il concetto di valore-lavoro e quello di valorescarsità è stato sicuramente tra i più accesi e proficui nella storia
dell’Economia.
Con l'avvento del pensiero neoclassico la teoria del valore diventerà addirittura
una delle travi di volta per legittimare l’efficienza dell’economia di mercato, il
valore di un bene, infatti, dipende, secondo la nota argomentazione di
Marshall, dall’incrocio tra la domanda che riflette l'utilità marginale e l’offerta
che riflette i costi marginali di produzione.
La nuova economia del benessere che si affermerà negli anni ‘30 farà sua
questa visione del valore, e con le misure di variazione del benessere
marshalliane ed hicksiane fornirà degli strumenti molto potenti per poter
classificare le diverse configurazioni del sistema economico sulla base delle
preferenze monetizzate del consumatore.
Tale teoria del valore è ancora oggi dominante nella ricerca economica anche
se negli anni ha subito attacchi molto duri. Il dibattito su questo argomento è
molto vasto ed è stato trattato approfonditamente sia nella letteratura italiana
che in quella internazionale1, per cui non riteniamo utile riprendere gli aspetti
più noti di questa discussione; focalizzeremo l'attenzione, invece, su un
aspetto poco esplorato in letteratura e cioè la duplice necessità da cui è
derivata l'esigenza di una stima monetaria delle risorse naturali: supporto
§
Gianni Cicia è Professore Associato di Economia delle Risorse Naturali presso l’Università di Napoli
Federico II.
1
Il lettore interessato può consultare, tra i tanti lavori, Sagoff (1988); Goodin (1992); Cicia (1993);
Zanoli, (1995).
Gianni Cicia
all'allocazione ex-ante e stima del danno ex-post. Queste due motivazioni
benché possano essere fatte discendere da un'unica matrice andrebbero tenute
ben distinte, poiché le implicazioni morali che derivano dall'uso delle metriche
monetarie delle risorse naturali, nei due casi, sono profondamente diverse, e
questo, come vedremo, ha forti implicazioni nella stima del valore di una
risorsa naturale. Affronteremo questo argomento partendo da una breve
sintesi storica sull'origine delle misure monetarie delle risorse naturali, sintesi
che ben mette in evidenza le due diverse necessità da cui sorge. Nella parte
finale, invece, vedremo come le implicazioni etiche nei due casi siano
profondamente diverse.
2 - Un valore monetario per le risorse naturali: una storia americana
Anche se il concetto di valutazione monetaria di un bene in base alle
preferenze monetizzate degli individui sia di ampia portata e permetta di
affrontare, in linea teorica, anche i beni ambientali, questi ultimi per lungo
tempo ne sono rimasti esclusi. Essendo le risorse naturali in nessun modo
scambiate sui mercati, sono state ritenute per lungo tempo non
commensurabili. Difatti solamente alla fine degli anni ‘40 viene proposto il
primo metodo per valutare i benefici derivanti dal "consumo" di una risorsa
naturale: il metodo del costo di viaggio (MCV). L’origine dell'MCV, ricordata
in un bel lavoro di sintesi storica da Hanemann (1992), è utile per capire come
negli Stati Uniti il legame tra Politica Ambientale e ricerca sui metodi di
valutazione monetaria delle risorse naturali sia stato strettissimo fin dalle
origini.
Tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900, il Servizio dei Parchi Nazionali
statunitense (SPN) aveva protetto una parte molto ampia del territorio nord
americano; tale cosa appare particolarmente evidente se si opera un confronto
con la politica dei parchi naturali portata avanti in quegli stessi anni dai paesi
europei, che centellinavano nel proteggere parti del territorio. Questa politica,
però, era anche onerosa, per cui non pochi si chiedevano se non fosse il caso
di ridimensionare l’azione di conservazione del territorio tramite parchi. Nel
1947 la direzione dell’SPN decise di studiare la possibilità di valutare in
termini monetari i benefici derivanti dall’istituzione dei parchi, in modo da
contrapporre dei benefici monetizzati ai costi. Poiché la questione si
presentava alquanto controversa la direzione dell’SPN decise di inviare una
lettera a 10 emeriti economisti chiedendo suggerimento. Nove di questi
risposero in accordo con l’opinione dominante in quel periodo: le risorse
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La valutazione monetaria delle risorse naturali
ambientali sono impossibili da valutate in termini monetari e qualsiasi
tentativo è destinato al fallimento. Da questa visione si discostò solamente
Harold Hotelling il quale vide una chiara similitudine tra il problema
sottopostogli e quello che già aveva dovuto affrontare Jules Dupuit quasi un
secolo prima. Quest’ultimo, un ingegnere del Genio Civile francese, nella
prima metà dell’800 si era trovato a dover valutare i benefici derivanti dalla
costruzione di ponti, e per primo suggerì di utilizzare l’area al disotto della
curva di domanda per stimare i benefici derivanti dall’offerta di un bene
pubblico, cosa però non facile, visto che non esiste un mercato per questo
tipo di beni. Hotelling suggerì che si poteva giungere comunque ad una stima
della domanda utilizzando le informazioni relative alle spese di viaggio dei
singoli visitatori. Se un consumatore sostiene una determinata spesa per poter
visitare un’area ricreativa, la disponibilità a pagare per fruire di quella
esperienza deve essere al meno uguale al costo sostenuto. Era nato il Metodo
del Costo di Viaggio (MCV).
L’SPN, però, di fronte ad una netta maggioranza a favore dell’impossibilità
della stima fece sua l’opinione allora dominante e concluse che qualsiasi
tentativo sarebbe risultato infruttuoso, per cui l’istituzione ed il mantenimento
dei parchi andava giustificata in altro modo.
Come è noto l’idea di Hotelling rimase quiescente per un decennio prima che il
MCV diventasse lo strumento per eccellenza di valutazione dei benefici
ricreativi.
Ritornando alla questione dell’SPN, bisogna sottolineare che le conclusioni cui
giunse non erano del tutto scorrette. Infatti, il MCV permette di giungere ad
una stima accettabile dei benefici monetari che derivano dall’attività ricreativa
collegata ad una risorsa naturale quale un Parco Nazionale, ma può la decisone
collegata all’istituzione e al mantenimento di un parco essere collegata
solamente ai benefici ricreativi?
Si deve innanzitutto sottolineare che l’idea di Hotelling derivava dal fatto che
negli Stati Uniti, molto più che in qualsiasi parte del mondo, i parchi erano e
sono in primis un luogo di attività ricreativa. L’idea che l’istituzione di un parco
possa essere definita su base ricreativa può lasciare perplesso un ambientalista
europeo. In Europa, ed in special modo in Italia, l’istituzione dei parchi è nata
da un’esigenza del tutto diversa: proteggere parti residue del territorio
dall’assalto delle attività umane. Solamente di recente si è visto nei parchi una
possibilità di sviluppo economico-ricreativa, mentre fino al recente passato
erano visti come veri e propri santuari della natura in cui l’uomo doveva
introdursi con rispetto “quasi religioso”, un’idea del tutto estranea alla cultura
americana dei parchi.
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Gianni Cicia
Comunque sia, è innegabile che i benefici ricreativi sono solamente una quota,
più o meno rilevante a seconda dei contesti considerati, dei benefici che i
“consumatori” derivavano dall’istituzione di un parco. Esiste tutta un’ampia
gamma di benefici intangibili che derivano dalla preservazione di una risorsa
naturale che non sono catturati dal MCV.
Il termine “consumo” nel caso di un bene ambientale risulta alquanto
articolato. Un consumatore potrebbe essere disposto a pagare per poterne
fruire nel presente (valore d'uso); ma allo stesso tempo, potrebbe essere
disposto a pagare anche se ora non è in grado di fruirne per lasciarsi aperta la
possibilità di farlo in futuro (valore d'opzione); oppure è disposto a pagare
perché la sua discendenza possa godere di quel bene (valore di lascito), o ha
semplicemente piacere che altri possano goderne (valore vicario); potrebbe
essere disposto a pagare perché gli fa piacere sapere che quel bene esista (valore
di esistenza); o, infine, perché vuole rimandare la possibilità che una risorsa
naturale venga danneggiata ad un futuro in cui si abbiano maggiori
informazioni sulle conseguenze che questo danno potrebbe arrecare (valore di
quasi-opzione).
In altri termini quando si vuole valutare monetariamente un bene ambientale
gli economisti della mainstream utilitarista-neoclassica ricorrono al concetto di
Valore Economico Totale (VET) che è dato dalla somma di tutte le
componenti precedentemente enunciate (Pearce e Turner, 1991).
La complessità del VET di un bene ambientale comporta non pochi problemi
nel momento in cui si vuole portare a termine una stima monetaria dello
stesso. Infatti, tranne il valore d'uso, nessuno degli altri valori ha una chiara
relazione con il consumo di un qualche bene che ha mercato.
I primi tentativi di arrivare ad una stima del VET risalgono agli stessi anni in
cui Hotelling proponeva il MCV. Nel 1947, infatti, Cyriacy-Wantrup discutendo
delle politiche per contrastare la desertificazione delle Grandi Pianure
americane, concludeva che i benefici extra-mercato derivanti dalle pratiche di
conservazione del suolo potevano essere stimati chiedendo ad un campione
rappresentativo di “consumatori” quanto erano disposti a pagare per poter
fruire dei beni e servizi collegati a tali politiche. Nasceva, in tale contesto, la
Valutazione Contingente (VC)2.
Anche qui bisognerà aspettare 10 anni per arrivare alla prima applicazione di
questo metodo, ma la strada era stata aperta.
Il concetto di Valutazione Contingente non era in assoluto nuovo, basti pensare che
Hobbes nel Leviatano afferma che "il valore di un uomo è il prezzo che potrebbe essere pagato per
l'uso del suo potere". Paradossalmente l'affermazione sembra anticipare l'idea cardine della
valutazione contingente.
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La valutazione monetaria delle risorse naturali
Negli anni successivi verrà presentato anche un terzo metodo, quello del
Prezzo Edonico (HP), anch’esso, come l'MCV, è legato alle preferenze
rivelate, in questo caso, però, si assume che il bene ambientale sia una
caratteristica che definisce la qualità di un altro bene che ha mercato. Per cui
analizzando le variazioni di prezzo di questo secondo bene in relazione al
valore assunto dalle sue caratteristiche, tra cui quella ambientale, è possibile
risalire alla disponibilità a pagare per quest’ultima. Un esempio illustra al
meglio questo metodo. Due appartamenti collocati in un medesimo stabile
sono esattamente identici tranne che per l’esposizione. Uno di questi affaccia
su un paesaggio naturale di grande pregio, mentre l’altro no. Se si rileva, come
è probabile, una differenza nel prezzo di mercato dei due immobili, questa è
essenzialmente imputabile alla presenza\assenza della caratteristica
ambientale. Attraverso il metodo dell’HP è possibile risalire alla
monetizzazione di una risorsa naturale il cui valore è incorporato nel prezzo di
beni privati, quali sono gli immobili.
Questo approccio, le cui prime applicazioni risalgono agli inzi del ‘900
nell’ambito dell’estimo fondiario, viene sviluppato nella sua forma moderna a
cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Infatti, la concezione moderna dell’HP ha le sue
basi nella teoria delle transazioni dei beni eterogenei o differenziati elaborata
da Lancaster (1967), mentre Rosen (1974), nell’articolo considerato seminale
in questo campo di indagine, ne sviluppa le basi teoriche nel contesto dei beni
ambientali3.
Nei trent’anni successivi, l'interesse per questi tre metodi rimane
essenzialmente in ambito accademico; infatti, la loro utilizzazione al di fuori
della ricerca universitaria è del tutto marginale. Purtroppo non si può negare
che i tre metodi, in special modo il Prezzo Edonico e la Valutazione
Contingente, si presentavano ancora fragili e non molto affidabili. L’opinione
dominante, in particolar modo nei paesi europei, era che i beni ambientali non
fossero valutabili monetariamente, e che i tentativi in questo senso erano il
frutto di “una tipica tendenza americana a voler quantificare ciò che è meglio lasciare non
quantificato” (Hanemann, 1992). Ed infatti, proprio in risposta a questa
incapacità della mainstream di offrire strumenti affidabili per la stima del valore
monetario delle risorse naturali, si afferma a cavallo tra gli anni ‘70 ed ‘80 la
Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che a differenza dell’Analisi CostiBenefici, che è monocriteriale (la metrica comune è la moneta), utilizza un
approccio multicriteriale, pur rimanendo in un ambito strettamente utilitarista.
La prima applicazione dell’HP alla valutazione di una risorsa naturale viene ritenuta quella
di Ridker (1967) per stimare il valore monetario di una riduzione dell’inquinamento
atmosferico.
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Gianni Cicia
Nei primi anni ‘80, però, avviene una duplice svolta che avrà conseguenze di
grande portata nell’ambito della valutazione monetaria delle risorse naturali: in
campo ambientale viene approvato dal Congresso americano il CERCLA, in
campo metodologico si afferma la valutazione contingente dicotomica.
Nel dicembre del 1980, negli ultimi atti della presidenza Carter, viene
approvata una legge di fondamentale importanza in campo ambientale:
Comprehensive Environmental Response, Compensation and Liability Act, più
comunemente indicata con l’acronimo CERCLA. Con questa legge si afferma
che nel caso di danno ad una risorsa naturale, dove con questo termine si
intendeva terra, aria, acque superficiali e sotterranee, fauna selvatica, pesci e
biota in genere, la cui gestione o controllo ricadeva sotto il governo federale o
sotto uno di quelli statali, questi potevano citare in giudizio la parte
potenzialmente responsabile del danno, la quale avrebbe dovuto rispondere,
se colpevole, tramite una compensazione monetaria pari al danno commesso.
Il CERCLA prevedeva, entro 2 anni dall’approvazione, la stesura di una
vademecum per la stima monetaria del danno ambientale.
L’avvento della presidenza Regan rallentò in maniera sostanziale la messa a
regime del CERCLA. L’avversione dei principali gruppi industriali a questa
nuova legge, favoriti dall’amministrazione in carica, fece sì che si arrivasse ad
una pubblicazione del vademecum relativo alla stima solamente nel 1985, dopo
che diversi Stati avevano citato in giudizio per inadempienza il Dipartimento
degli Interni (DI), individuato dall’amministrazione Regan quale responsabile
della gestione del CERCLA. Il manuale del DI era fortemente restrittivo,
innanzitutto imponeva il principio del “minimo”, con il quale si obbligava la
corte giudicante a scegliere come valore del danno quello minore tra costo di
recupero ambientale e costo di perdita del valore d'uso. In secondo luogo si
elencavano i metodi da utilizzare per la stima in maniera gerarchica: 1) metodi
di mercato; 2) metodi non-di mercato basati sulle preferenze rivelate (MCV ed
HP); 3) metodi non-di mercato basati sulle preferenze espresse (VC).
Quindi, secondo le raccomandazioni del DI, i metodi di mercato precedevano
strumenti quali il metodo del costo di viaggio ed il prezzo edonico, ed infine
se non fosse stato possibile utilizzare alcun altro metodo si poteva ricorrere
alla valutazione contingente.
La figura 1 riporta la classificazione di Bateman (1994) dei tre differenti
approcci. Nel grafico sono anche specificati quali sono i principali metodi di
mercato: 1) il costo opportunità; 2) il costo dell’alternativa; 3) i progetti ombra;
4) la spesa pubblica; 5) il metodo della dose-risposta.
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La valutazione monetaria delle risorse naturali
Metodi di valutazione monetaria
Metodi basati sui prezzi di mercato
Metodi basati sulla curva di domanda
Metodi delle
Preferenze Espresse
Valutazione
Contingente
Metodi delle
Preferenze Rivelate
Costo di
Viaggio
Prezzo
Edonimetrico
Costo
Costo
Opportunità Alternativa
Prezzi
Ombra
Spesa
Governativa
Fig. 1: Metodi di valutazione monetaria (Bateman, 1994)
Con il primo approccio si valuta il valore dei beni e servizi di mercato che
vengono persi quando si preserva una risorsa naturale; con il secondo si valuta
il costo da sopportare per offrire un servizio simile a quello offerto dal bene
da valutare nel caso venga meno; con il terzo si valuta il bene come costo da
sopportare per offrire lo stesso in un luogo diverso; il quarto assume che lo
Stato sia un arbitro delle preferenze pubbliche per cui il valore di un bene può
essere assunto come l’ammontare di denaro che questo devolve per
proteggerlo; infine con l’ultimo approccio si stima la funzione (probabilistica)
di danno e si valuta la relazione tra inquinante e danno subito da beni che
hanno mercato. Nessuno di questi metodi è basato sulla moderna teoria del
benessere e, conseguentemente, nessuno di loro è in grado di giungere ad una
stima realistica del VET.
Consideriamo uno dei casi di danno ambientale più clamorosi verificatosi in
questi ultimi anni: il naufragio della nave Exxon Valdez nella Baia del Principe
William in Alaska. Nel 1989 la petroliera Exxon Valdez naufragava sulle coste
di uno degli angoli più belli e selvaggi dell’America del Nord. Il disastro
ambientale fu di proporzioni gigantesche, migliaia di uccelli, pesci ed altri
animali morirono, la linea di costa fu terribilmente deturpata.
7
Dose
Risposta
Gianni Cicia
Il recupero ambientale della Baia venne a costare circa 2 miliardi di dollari. È
possibile affermare che questa cifra, valutata via mercato, equivalesse al valore
del danno ambientale? La cosa anche ad un non-utilitarista appare poco
corretta, infatti, il danno correlato alla morte degli animali e dei vegetali non è
incluso, la riduzione del valore scenico e ricreativo che perdurerà per diversi
anni non è inclusa, la sofferenza causata a milioni di individui dall’assistere
impotenti ad un dramma ambientale di enormi proporzioni non è compresa.
In altri termini, i 2 miliardi di dollari appaiono chiaramente una sottostima. Ed
infatti, il tribunale aggiunse a questi 2 miliardi un ulteriore 1,125 miliardi di
dollari di cui una piccola parte erano multe, e la restante parte derivava da una
stima del danno provocato alla Baia fino al completo recupero, operata
tramite valutazione contingente (Bockstael e Strand, 1994).
È interessante notare che il percorso dalle regole restrittive imposte dal DI
fino alla causa legale per la Exxon Valdez fu irto e contrasto. Numerosi Stati si
opposero alla classificazione gerarchica presentata dal DI, in particolare
rispetto alla VC4, e tali conflitti sfociarono in una causa legale che vide opposti
il DI e lo Stato dell’Ohio, con quest’ultimo alla fine vincente. La corte, infatti,
rigettò completamente l’approccio gerarchico alla stima imposto dal DI;
inoltre, affermò la possibilità di utilizzare contemporaneamente più strumenti,
purché non ci fosse duplicazione di valori, ed infine sostenne che la VC,
correttamente utilizzata, dava luogo a stime attendibili. Il DI cercò
successivamente di smontare le argomentazioni della Corte, ma il tentativo fu
talmente maldestro che il Congresso decise di delegare la stesura di un nuovo
manuale di valutazione dei danni ambientali ad un Dipartimento diverso, la
scelta cadde sul NOAA (Department of Commerce’s National Oceanic & Atmospheric
Administration).
Il NOAA, seguendo un approccio già tracciato cinquat’anni prima dall’SPN,
decise di commissionare ad un panel di super esperti un giudizio sulla VC
(noto anche come blue ribbon panel). Il panel, al quale partecipavano ben tre
premi Nobel, espresse un giudizio favorevole alla VC, purché utilizzata in
maniera appropriata, e a tal proposito suggeriva anche dieci regole d’oro per la
corretta esecuzione della stima.
Contemporaneamente ai lavori del blue ribbon panel, la Exxon organizzò un
convegno scientifico invitando tutti i maggiori economisti che si erano
espressi in maniera critica nei confronti della VC. I lavori di questo convegno
4
Si deve notare che una forte insoddisfazione venne espressa anche dai gruppi industriali nei confronti
dello stesso regolamento, ma per ragioni esattamente opposte. Questi ultimi si opponevano a qualsiasi
ricorso alla VC.
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La valutazione monetaria delle risorse naturali
diedero luogo ad un vero e proprio contro-panel5 che però non incise sul
giudizio favorevole che si stava ormai consolidando intorno alla VC.
Il cambiamento di opinione, pubblica e scientifica, verificatosi nel corso degli
anni ‘80 a favore della valutazione monetaria delle risorse naturali, ed in
special modo della VC, non è però dovuto solamente al mutamento del clima
politico. Infatti, durante gli anni ‘80 ci fu una fondamentale svolta nella
metodologia della valutazione monetaria delle risorse naturali, che ha fatto sì
che la VC da strumento da utilizzare in casi estremi diventasse di fatto il
metodo principe per valutare un danno ambientale quando ci sia una
componente non d’uso.
Fino alla fine degli anni ‘70, negli studi in cui si ricorreva alla valutazione
contingente, la disponibilità a pagare veniva inferita ponendo una domanda
aperta, del tipo: “Lei quanto sarebbe disposto a pagare per.....?”. Questo approccio
presenta però una serie di limiti molto gravi che inficiavano seriamente la
validità della stima. Il più grande di questi, probabilmente, è che pone
l’intervistato di fronte ad un quesito del tutto estraneo ai normali meccanismi
di decisione sia di mercato che politici.
Sull’onda di queste critiche alla fine degli anni ‘70 venne proposto un nuovo
paradigma. Anticipato in un pionieristico lavoro di Mack e Myers (1965) ed
applicato per la prima volta da Bishop ed Heberlein (1979) si afferma il
metodo dicotomico di scelta. La principale differenza con l'approccio
precedente sta nel diverso modo di porre la domanda relativa alla disponibilità
a pagare; infatti, viene chiesto all’intervistato se è d’accordo o meno con il
pagamento di un certo ammontare di denaro, proposto dall’intervistatore, per
poter usufruire di una determinata risorsa naturale. In altri termini
l’intervistato viene posto di fronte ad un ipotetico referendum in cui il veicolo
di pagamento può essere l’istituzione di una tassa ex-novo. Lo scenario
prospettato assume, in questo modo, una forte carica di realismo, benché sia
solo ipotetico.
L’innovatività di questo approccio apparirà del tutto chiara nel 1984, quando
Michael Hanemann lo inquadrerà all’interno della teoria dell’utilità stocastica. È
la svolta decisiva: al realismo della struttura di indagine si aggiunge una solida
base teorica che lega lo strumento dalla teoria neoclassica del consumatore ed
all’economia del benessere. Nei 10 anni successivi verranno pubblicati migliaia
di articoli sulla VC. Questo metodo sarà sviscerato in ogni suo aspetto,
affinandosi sempre di più, fino a diventare, come afferma il NOAA panel nei
primi anni ‘90, un metodo del tutto affidabile per stimare la distribuzione della
5
I risultati di questo contro-panel sono stati pubblicati in Hausmann (1994).
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Gianni Cicia
disponibilità a pagare di una determinata popolazione per poter usufruire di
un determinato bene pubblico.
La principale caratteristica innovativa dell’approccio dicotomico, come
abbiamo già anticipato, è che esso simula un mercato referendario. Infatti,
nella forma in cui si è oggi affermato, si sottopone all’intervistato un vero e
proprio referendum relativo all’istituzione di una tassa, o di una qualche altra
forma di pagamento, per poter usufruire di una determinata risorsa naturale.
Benché il quesito referendario sia del tutto ipotetico esso viene strutturato in
maniera tale da essere del tutto credibile e realistico.
Posto il problema in questo modo è evidente che anche la lettura in termini di
monetizzazione del valore della risorsa naturale diventa più elastica. Volendo
utilizzare l'informazione ottenuta in una classica Analisi Costi-Benefici si
utilizzerà il valore medio della disponibilità a pagare moltiplicata per il numero
di unità che compongono la popolazione di riferimento; ma è anche possibile
utilizzare il valore mediano della distribuzione o un percentile differente. In tal
caso l’interpretazione è diversa; ad esempio, nel caso si utilizzi la mediana
moltiplicata per le unità della popolazione, il valore stimato non è altro che
l’ammontare di denaro che una collettività sarebbe disposta a pagare sotto
forma di tassazione (veicolo più frequentemente utilizzato in uno scenario
referendario), per preservare il bene stesso, ipotizzando che la decisione venga
presa ricorrendo ad un classico referendum dove con il 50% dei voti +1 si
ottiene la maggioranza qualificata.
3 - Commensurabilità delle risorse naturali
La breve analisi storica dello sviluppo teorico-politico dei metodi di
misurazione del valore monetario di una risorsa naturale ha posto in evidenza
che tale esigenza scaturisce da due motivi ben distinti. Il primo è relativo alla
necessità di definire ex-ante il livello "socialmente ottimale" di sfruttamento di
queste risorse, mentre il secondo deriva dalla necessità di quantificare in
termini monetari i danni arrecati a questi stessi beni. Anche se i metodi che
vengono utilizzati sono esattamente gli stessi in entrambe le situazioni, i due
casi sono profondamente differenti poiché generano implicazioni etiche
diverse e di conseguenza anche il consenso intorno al loro utilizzo non è lo
stesso.
L'esigenza di stimare un danno ambientale può essere essenziale
all'implementazione di politiche ambientali che comportano un diritto di
risarcimento a favore della collettività. Molto spesso, come il CERCLA ha
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La valutazione monetaria delle risorse naturali
messo bene in evidenza, una politica che permetta l'utilizzo di una risorsa
naturale sotto il vincolo del risarcimento, in caso di danno, risulta
particolarmente efficace per preservarla. Infatti, costringe le imprese
potenzialmente inquinanti ad adottare adeguate misure per evitare danni alle
risorse naturali.
E' evidente che il risarcimento non può essere definito in maniera del tutto
arbitraria, il caso della Exxon-Valdez, ha posto in evidenza che il ricorso a
tecniche "non-demand curve", conduce ad una evidente sottostima, e quindi
ad un livello di attenzione da parte delle imprese nei confronti delle risorse
naturali "sub-ottimale". Quindi, in questi casi l'utilizzo di strumenti di
valutazione "demand curve" con una particolare preferenza per la valutazione
contingente è più che giustificabile anche su un piano etico6.
Ben diversa è la seconda motivazione, quella riguardante la decisione ex-ante
sull'allocazione delle risorse naturali. Tale problematica discende
dall'incapacità del mercato di allocare in maniera efficiente i beni pubblici, tra
cui le risorse naturali. Tale problema è più che noto; attualmente, infatti, si
può affermare che esiste un'ampia convergenza sul fatto che la decisione sul
livello socialmente ottimale di sfruttamento delle risorse naturali non può
essere lasciato al mercato. Tale unanimità, però, viene meno nel momento in
cui si deve decidere quale debba essere il livello di sfruttamento. La visone
attualmente dominate tra gli economisti è sicuramente quella utilitaristaeconomica: l'allocazione deve essere decisa sulla base delle preferenze
monetizzate degli individui interessati in qualche modo alla risorsa (Cicia,
1993). Tale approccio comporta la mercantilizzazione (commoditization) delle
risorse naturali. Ed è proprio questo processo che viene rifiutato, in special
modo in Europa, da una parte della collettività.
In un recente articolo il premio nobel Kenneth Arrow (1997) ha posto in
evidenza che le critiche alla mercantilizzazione degli aspetti più intimi e sacri
della vita risalgono molto indietro nel tempo, addirittura ai tempi della
Rivoluzione Francese. Nel secolo scorso questa visione avversa alla società
fondata sul mercato ha visto su un terreno comune difensori della società
feudale, come Edmund Burke e filosofi marxisti come Fiederich Engels,
quest'ultimo a sua volta fortemente influenzato, nella sua visione contraria alla
società di mercato, dal pensiero di Thomas Carlyle, filosofo e storico inglese
che associava critiche argute, ed ancora attuali, contro la mercantilizzazione
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Si badi bene che se si ritiene la risorsa naturale assolutamente essenziale, e quindi in nessun caso essa
deve essere danneggiata, la si proteggerà con una forma di diritto inalienabile in luogo del diritto di
risarcimento, ma l'esperienza americana suggerisce che un gran numero di risorse naturali sono ben
protette dal diritto di risarcimento.
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Gianni Cicia
dei rapporti sociali, a strenue difese della monarchia retta dal "più forte" e
dello schiavismo.
La corrente di pensiero antimercantile non si è mai estinta, anzi negli ultimi
decenni ha ripreso vigore proprio in relazione alla questione ambientale. Nella
vastissima letteratura su questo argomento spicca in anni recenti il lavoro di
Mark Sagoff (1988) che forse meglio di altri ha incarnato il nuovo sentimento
di avversione nei confronti della mercantilizzazione delle risorse naturali.
Sagoff, al contrario dei pensatori del secolo scorso non si scaglia in blocco
contro la società di mercato, anzi ne riconosce alcuni pregi, ma focalizza la sua
critica sull'uso del criterio di efficienza, così come utilizzato in economia, per
definire l'allocazione delle risorse naturali. La questione riguardante la
distruzione beni ambientali, secondo Sagoff, possiede in primo luogo una
matrice morale, culturale, estetica e politica ed in questi termini andrebbe
trattata. Affrontare il problema dell'uso delle risorse naturali come se queste
ultime fossero normali beni di consumo è, secondo questo autore, un grave
errore. Gli individui non si pongono nei confronti della biodiversità, ad
esempio, come consumatori ma come "cittadini". Tale distinzione per Sagoff è
fondamentale, perché come consumatori siamo essenzialmente interessati alla
soddisfazione delle preferenze e dei desideri strettamente personali o familiari;
ma questo non è sempre il nostro modo di pensare ed agire, ci sono situazioni
che implicano un giudizio morale e politico delle nostre azioni, ed in questi
casi noi agiamo come "cittadini", cioè pensiamo ed agiamo secondo una
prospettiva che non è più circoscritta a noi stessi o alla nostra famiglia, ma con
una visione comunitaria, i nostri giudizi e le nostre scelte si formano in
relazione all'interesse per l'intera collettività, presente e futura. In tale
contesto, quindi, non è importante quanto le persone sono disposte a pagare
per preservare una risorsa, ma le motivazioni che sono dietro questa scelta, e
sulla base di queste che una collettività deve definire la gestione delle risorse
naturali.
Alcuni autori vanno oltre e si pongono il problema se sia moralmente
giustificabile gestire risorse fondamentali per la stessa sopravvivenza del
pianeta sulla base delle preferenze monetizzate di una comunità. Le preferenze
potrebbero essere del tutto artificiali ed irrazionali. Goodin (1992), uno dei più
noti teorici della teoria “verde” del valore, sostiene che i beni e servizi
ambientali non possono essere valutati solamente in relazione alle sensazioni
(utilità, disutilità) che gli esseri umani provano nei loro confronti, ma
andrebbero valutati in base alle caratteristiche intrinseche che essi possiedono.
A qualche anno di distanza non sembra che le preoccupazioni di Sagoff
abbiano trovato terreno fertile, anzi come ha ben messo in evidenza Margaret
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La valutazione monetaria delle risorse naturali
Jane Radin (1996) in un interessante contributo, il mercato sta
progressivamente sostituendo tutte le relazioni sociali, ed anche le azioni che
sono necessarie alla stessa definizione dell'individuo stanno progressivamente
ricadendo sotto la metrica monetaria, in altri termini il consumatore sta
sostituendo in maniera capillare il cittadino. Questo, secondo Radin, ha delle
conseguenze nefaste. Nel momento in cui la società tratta alcuni beni come
aventi un prezzo, allora l'atteggiamento dei singoli individui nei riguardi di
quegli stessi beni muta anche se essi non sono oggetto di scambio sul mercato,
tutto questo danneggia la stessa percezione che abbiamo di noi stessi.
E' indubbio che le critiche alla mercantilizzazione di tutti gli aspetti della vita
lanciano una sfida alla quale coloro che si occupano di valutazione delle
risorse naturali non possono sottrarsi. In altri termini chi si accinge ad
utilizzare le stime monetarie per la gestione delle risorse naturali ha sempre
l'onere di trovare anche solide argomentazioni al loro utilizzo.
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Gianni Cicia
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