LA VALUTAZIONE MONETARIA DELLE RISORSE NATURALI GIANNI CICIA§ 1 - Premessa Secondo alcuni economisti la teoria del valore non è semplicemente una parte della scienza economica, ma è il principio stesso da cui essa deriva (Napoleoni, 1976). D’altro canto è innegabile che, a partire dalle opere degli economisti classici, la teoria del valore ha rivestito un ruolo chiave nelle analisi economiche, e lo scontro tra il concetto di valore-lavoro e quello di valorescarsità è stato sicuramente tra i più accesi e proficui nella storia dell’Economia. Con l'avvento del pensiero neoclassico la teoria del valore diventerà addirittura una delle travi di volta per legittimare l’efficienza dell’economia di mercato, il valore di un bene, infatti, dipende, secondo la nota argomentazione di Marshall, dall’incrocio tra la domanda che riflette l'utilità marginale e l’offerta che riflette i costi marginali di produzione. La nuova economia del benessere che si affermerà negli anni ‘30 farà sua questa visione del valore, e con le misure di variazione del benessere marshalliane ed hicksiane fornirà degli strumenti molto potenti per poter classificare le diverse configurazioni del sistema economico sulla base delle preferenze monetizzate del consumatore. Tale teoria del valore è ancora oggi dominante nella ricerca economica anche se negli anni ha subito attacchi molto duri. Il dibattito su questo argomento è molto vasto ed è stato trattato approfonditamente sia nella letteratura italiana che in quella internazionale1, per cui non riteniamo utile riprendere gli aspetti più noti di questa discussione; focalizzeremo l'attenzione, invece, su un aspetto poco esplorato in letteratura e cioè la duplice necessità da cui è derivata l'esigenza di una stima monetaria delle risorse naturali: supporto § Gianni Cicia è Professore Associato di Economia delle Risorse Naturali presso l’Università di Napoli Federico II. 1 Il lettore interessato può consultare, tra i tanti lavori, Sagoff (1988); Goodin (1992); Cicia (1993); Zanoli, (1995). Gianni Cicia all'allocazione ex-ante e stima del danno ex-post. Queste due motivazioni benché possano essere fatte discendere da un'unica matrice andrebbero tenute ben distinte, poiché le implicazioni morali che derivano dall'uso delle metriche monetarie delle risorse naturali, nei due casi, sono profondamente diverse, e questo, come vedremo, ha forti implicazioni nella stima del valore di una risorsa naturale. Affronteremo questo argomento partendo da una breve sintesi storica sull'origine delle misure monetarie delle risorse naturali, sintesi che ben mette in evidenza le due diverse necessità da cui sorge. Nella parte finale, invece, vedremo come le implicazioni etiche nei due casi siano profondamente diverse. 2 - Un valore monetario per le risorse naturali: una storia americana Anche se il concetto di valutazione monetaria di un bene in base alle preferenze monetizzate degli individui sia di ampia portata e permetta di affrontare, in linea teorica, anche i beni ambientali, questi ultimi per lungo tempo ne sono rimasti esclusi. Essendo le risorse naturali in nessun modo scambiate sui mercati, sono state ritenute per lungo tempo non commensurabili. Difatti solamente alla fine degli anni ‘40 viene proposto il primo metodo per valutare i benefici derivanti dal "consumo" di una risorsa naturale: il metodo del costo di viaggio (MCV). L’origine dell'MCV, ricordata in un bel lavoro di sintesi storica da Hanemann (1992), è utile per capire come negli Stati Uniti il legame tra Politica Ambientale e ricerca sui metodi di valutazione monetaria delle risorse naturali sia stato strettissimo fin dalle origini. Tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900, il Servizio dei Parchi Nazionali statunitense (SPN) aveva protetto una parte molto ampia del territorio nord americano; tale cosa appare particolarmente evidente se si opera un confronto con la politica dei parchi naturali portata avanti in quegli stessi anni dai paesi europei, che centellinavano nel proteggere parti del territorio. Questa politica, però, era anche onerosa, per cui non pochi si chiedevano se non fosse il caso di ridimensionare l’azione di conservazione del territorio tramite parchi. Nel 1947 la direzione dell’SPN decise di studiare la possibilità di valutare in termini monetari i benefici derivanti dall’istituzione dei parchi, in modo da contrapporre dei benefici monetizzati ai costi. Poiché la questione si presentava alquanto controversa la direzione dell’SPN decise di inviare una lettera a 10 emeriti economisti chiedendo suggerimento. Nove di questi risposero in accordo con l’opinione dominante in quel periodo: le risorse 2 La valutazione monetaria delle risorse naturali ambientali sono impossibili da valutate in termini monetari e qualsiasi tentativo è destinato al fallimento. Da questa visione si discostò solamente Harold Hotelling il quale vide una chiara similitudine tra il problema sottopostogli e quello che già aveva dovuto affrontare Jules Dupuit quasi un secolo prima. Quest’ultimo, un ingegnere del Genio Civile francese, nella prima metà dell’800 si era trovato a dover valutare i benefici derivanti dalla costruzione di ponti, e per primo suggerì di utilizzare l’area al disotto della curva di domanda per stimare i benefici derivanti dall’offerta di un bene pubblico, cosa però non facile, visto che non esiste un mercato per questo tipo di beni. Hotelling suggerì che si poteva giungere comunque ad una stima della domanda utilizzando le informazioni relative alle spese di viaggio dei singoli visitatori. Se un consumatore sostiene una determinata spesa per poter visitare un’area ricreativa, la disponibilità a pagare per fruire di quella esperienza deve essere al meno uguale al costo sostenuto. Era nato il Metodo del Costo di Viaggio (MCV). L’SPN, però, di fronte ad una netta maggioranza a favore dell’impossibilità della stima fece sua l’opinione allora dominante e concluse che qualsiasi tentativo sarebbe risultato infruttuoso, per cui l’istituzione ed il mantenimento dei parchi andava giustificata in altro modo. Come è noto l’idea di Hotelling rimase quiescente per un decennio prima che il MCV diventasse lo strumento per eccellenza di valutazione dei benefici ricreativi. Ritornando alla questione dell’SPN, bisogna sottolineare che le conclusioni cui giunse non erano del tutto scorrette. Infatti, il MCV permette di giungere ad una stima accettabile dei benefici monetari che derivano dall’attività ricreativa collegata ad una risorsa naturale quale un Parco Nazionale, ma può la decisone collegata all’istituzione e al mantenimento di un parco essere collegata solamente ai benefici ricreativi? Si deve innanzitutto sottolineare che l’idea di Hotelling derivava dal fatto che negli Stati Uniti, molto più che in qualsiasi parte del mondo, i parchi erano e sono in primis un luogo di attività ricreativa. L’idea che l’istituzione di un parco possa essere definita su base ricreativa può lasciare perplesso un ambientalista europeo. In Europa, ed in special modo in Italia, l’istituzione dei parchi è nata da un’esigenza del tutto diversa: proteggere parti residue del territorio dall’assalto delle attività umane. Solamente di recente si è visto nei parchi una possibilità di sviluppo economico-ricreativa, mentre fino al recente passato erano visti come veri e propri santuari della natura in cui l’uomo doveva introdursi con rispetto “quasi religioso”, un’idea del tutto estranea alla cultura americana dei parchi. 3 Gianni Cicia Comunque sia, è innegabile che i benefici ricreativi sono solamente una quota, più o meno rilevante a seconda dei contesti considerati, dei benefici che i “consumatori” derivavano dall’istituzione di un parco. Esiste tutta un’ampia gamma di benefici intangibili che derivano dalla preservazione di una risorsa naturale che non sono catturati dal MCV. Il termine “consumo” nel caso di un bene ambientale risulta alquanto articolato. Un consumatore potrebbe essere disposto a pagare per poterne fruire nel presente (valore d'uso); ma allo stesso tempo, potrebbe essere disposto a pagare anche se ora non è in grado di fruirne per lasciarsi aperta la possibilità di farlo in futuro (valore d'opzione); oppure è disposto a pagare perché la sua discendenza possa godere di quel bene (valore di lascito), o ha semplicemente piacere che altri possano goderne (valore vicario); potrebbe essere disposto a pagare perché gli fa piacere sapere che quel bene esista (valore di esistenza); o, infine, perché vuole rimandare la possibilità che una risorsa naturale venga danneggiata ad un futuro in cui si abbiano maggiori informazioni sulle conseguenze che questo danno potrebbe arrecare (valore di quasi-opzione). In altri termini quando si vuole valutare monetariamente un bene ambientale gli economisti della mainstream utilitarista-neoclassica ricorrono al concetto di Valore Economico Totale (VET) che è dato dalla somma di tutte le componenti precedentemente enunciate (Pearce e Turner, 1991). La complessità del VET di un bene ambientale comporta non pochi problemi nel momento in cui si vuole portare a termine una stima monetaria dello stesso. Infatti, tranne il valore d'uso, nessuno degli altri valori ha una chiara relazione con il consumo di un qualche bene che ha mercato. I primi tentativi di arrivare ad una stima del VET risalgono agli stessi anni in cui Hotelling proponeva il MCV. Nel 1947, infatti, Cyriacy-Wantrup discutendo delle politiche per contrastare la desertificazione delle Grandi Pianure americane, concludeva che i benefici extra-mercato derivanti dalle pratiche di conservazione del suolo potevano essere stimati chiedendo ad un campione rappresentativo di “consumatori” quanto erano disposti a pagare per poter fruire dei beni e servizi collegati a tali politiche. Nasceva, in tale contesto, la Valutazione Contingente (VC)2. Anche qui bisognerà aspettare 10 anni per arrivare alla prima applicazione di questo metodo, ma la strada era stata aperta. Il concetto di Valutazione Contingente non era in assoluto nuovo, basti pensare che Hobbes nel Leviatano afferma che "il valore di un uomo è il prezzo che potrebbe essere pagato per l'uso del suo potere". Paradossalmente l'affermazione sembra anticipare l'idea cardine della valutazione contingente. 2 4 La valutazione monetaria delle risorse naturali Negli anni successivi verrà presentato anche un terzo metodo, quello del Prezzo Edonico (HP), anch’esso, come l'MCV, è legato alle preferenze rivelate, in questo caso, però, si assume che il bene ambientale sia una caratteristica che definisce la qualità di un altro bene che ha mercato. Per cui analizzando le variazioni di prezzo di questo secondo bene in relazione al valore assunto dalle sue caratteristiche, tra cui quella ambientale, è possibile risalire alla disponibilità a pagare per quest’ultima. Un esempio illustra al meglio questo metodo. Due appartamenti collocati in un medesimo stabile sono esattamente identici tranne che per l’esposizione. Uno di questi affaccia su un paesaggio naturale di grande pregio, mentre l’altro no. Se si rileva, come è probabile, una differenza nel prezzo di mercato dei due immobili, questa è essenzialmente imputabile alla presenza\assenza della caratteristica ambientale. Attraverso il metodo dell’HP è possibile risalire alla monetizzazione di una risorsa naturale il cui valore è incorporato nel prezzo di beni privati, quali sono gli immobili. Questo approccio, le cui prime applicazioni risalgono agli inzi del ‘900 nell’ambito dell’estimo fondiario, viene sviluppato nella sua forma moderna a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Infatti, la concezione moderna dell’HP ha le sue basi nella teoria delle transazioni dei beni eterogenei o differenziati elaborata da Lancaster (1967), mentre Rosen (1974), nell’articolo considerato seminale in questo campo di indagine, ne sviluppa le basi teoriche nel contesto dei beni ambientali3. Nei trent’anni successivi, l'interesse per questi tre metodi rimane essenzialmente in ambito accademico; infatti, la loro utilizzazione al di fuori della ricerca universitaria è del tutto marginale. Purtroppo non si può negare che i tre metodi, in special modo il Prezzo Edonico e la Valutazione Contingente, si presentavano ancora fragili e non molto affidabili. L’opinione dominante, in particolar modo nei paesi europei, era che i beni ambientali non fossero valutabili monetariamente, e che i tentativi in questo senso erano il frutto di “una tipica tendenza americana a voler quantificare ciò che è meglio lasciare non quantificato” (Hanemann, 1992). Ed infatti, proprio in risposta a questa incapacità della mainstream di offrire strumenti affidabili per la stima del valore monetario delle risorse naturali, si afferma a cavallo tra gli anni ‘70 ed ‘80 la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che a differenza dell’Analisi CostiBenefici, che è monocriteriale (la metrica comune è la moneta), utilizza un approccio multicriteriale, pur rimanendo in un ambito strettamente utilitarista. La prima applicazione dell’HP alla valutazione di una risorsa naturale viene ritenuta quella di Ridker (1967) per stimare il valore monetario di una riduzione dell’inquinamento atmosferico. 3 5 Gianni Cicia Nei primi anni ‘80, però, avviene una duplice svolta che avrà conseguenze di grande portata nell’ambito della valutazione monetaria delle risorse naturali: in campo ambientale viene approvato dal Congresso americano il CERCLA, in campo metodologico si afferma la valutazione contingente dicotomica. Nel dicembre del 1980, negli ultimi atti della presidenza Carter, viene approvata una legge di fondamentale importanza in campo ambientale: Comprehensive Environmental Response, Compensation and Liability Act, più comunemente indicata con l’acronimo CERCLA. Con questa legge si afferma che nel caso di danno ad una risorsa naturale, dove con questo termine si intendeva terra, aria, acque superficiali e sotterranee, fauna selvatica, pesci e biota in genere, la cui gestione o controllo ricadeva sotto il governo federale o sotto uno di quelli statali, questi potevano citare in giudizio la parte potenzialmente responsabile del danno, la quale avrebbe dovuto rispondere, se colpevole, tramite una compensazione monetaria pari al danno commesso. Il CERCLA prevedeva, entro 2 anni dall’approvazione, la stesura di una vademecum per la stima monetaria del danno ambientale. L’avvento della presidenza Regan rallentò in maniera sostanziale la messa a regime del CERCLA. L’avversione dei principali gruppi industriali a questa nuova legge, favoriti dall’amministrazione in carica, fece sì che si arrivasse ad una pubblicazione del vademecum relativo alla stima solamente nel 1985, dopo che diversi Stati avevano citato in giudizio per inadempienza il Dipartimento degli Interni (DI), individuato dall’amministrazione Regan quale responsabile della gestione del CERCLA. Il manuale del DI era fortemente restrittivo, innanzitutto imponeva il principio del “minimo”, con il quale si obbligava la corte giudicante a scegliere come valore del danno quello minore tra costo di recupero ambientale e costo di perdita del valore d'uso. In secondo luogo si elencavano i metodi da utilizzare per la stima in maniera gerarchica: 1) metodi di mercato; 2) metodi non-di mercato basati sulle preferenze rivelate (MCV ed HP); 3) metodi non-di mercato basati sulle preferenze espresse (VC). Quindi, secondo le raccomandazioni del DI, i metodi di mercato precedevano strumenti quali il metodo del costo di viaggio ed il prezzo edonico, ed infine se non fosse stato possibile utilizzare alcun altro metodo si poteva ricorrere alla valutazione contingente. La figura 1 riporta la classificazione di Bateman (1994) dei tre differenti approcci. Nel grafico sono anche specificati quali sono i principali metodi di mercato: 1) il costo opportunità; 2) il costo dell’alternativa; 3) i progetti ombra; 4) la spesa pubblica; 5) il metodo della dose-risposta. 6 La valutazione monetaria delle risorse naturali Metodi di valutazione monetaria Metodi basati sui prezzi di mercato Metodi basati sulla curva di domanda Metodi delle Preferenze Espresse Valutazione Contingente Metodi delle Preferenze Rivelate Costo di Viaggio Prezzo Edonimetrico Costo Costo Opportunità Alternativa Prezzi Ombra Spesa Governativa Fig. 1: Metodi di valutazione monetaria (Bateman, 1994) Con il primo approccio si valuta il valore dei beni e servizi di mercato che vengono persi quando si preserva una risorsa naturale; con il secondo si valuta il costo da sopportare per offrire un servizio simile a quello offerto dal bene da valutare nel caso venga meno; con il terzo si valuta il bene come costo da sopportare per offrire lo stesso in un luogo diverso; il quarto assume che lo Stato sia un arbitro delle preferenze pubbliche per cui il valore di un bene può essere assunto come l’ammontare di denaro che questo devolve per proteggerlo; infine con l’ultimo approccio si stima la funzione (probabilistica) di danno e si valuta la relazione tra inquinante e danno subito da beni che hanno mercato. Nessuno di questi metodi è basato sulla moderna teoria del benessere e, conseguentemente, nessuno di loro è in grado di giungere ad una stima realistica del VET. Consideriamo uno dei casi di danno ambientale più clamorosi verificatosi in questi ultimi anni: il naufragio della nave Exxon Valdez nella Baia del Principe William in Alaska. Nel 1989 la petroliera Exxon Valdez naufragava sulle coste di uno degli angoli più belli e selvaggi dell’America del Nord. Il disastro ambientale fu di proporzioni gigantesche, migliaia di uccelli, pesci ed altri animali morirono, la linea di costa fu terribilmente deturpata. 7 Dose Risposta Gianni Cicia Il recupero ambientale della Baia venne a costare circa 2 miliardi di dollari. È possibile affermare che questa cifra, valutata via mercato, equivalesse al valore del danno ambientale? La cosa anche ad un non-utilitarista appare poco corretta, infatti, il danno correlato alla morte degli animali e dei vegetali non è incluso, la riduzione del valore scenico e ricreativo che perdurerà per diversi anni non è inclusa, la sofferenza causata a milioni di individui dall’assistere impotenti ad un dramma ambientale di enormi proporzioni non è compresa. In altri termini, i 2 miliardi di dollari appaiono chiaramente una sottostima. Ed infatti, il tribunale aggiunse a questi 2 miliardi un ulteriore 1,125 miliardi di dollari di cui una piccola parte erano multe, e la restante parte derivava da una stima del danno provocato alla Baia fino al completo recupero, operata tramite valutazione contingente (Bockstael e Strand, 1994). È interessante notare che il percorso dalle regole restrittive imposte dal DI fino alla causa legale per la Exxon Valdez fu irto e contrasto. Numerosi Stati si opposero alla classificazione gerarchica presentata dal DI, in particolare rispetto alla VC4, e tali conflitti sfociarono in una causa legale che vide opposti il DI e lo Stato dell’Ohio, con quest’ultimo alla fine vincente. La corte, infatti, rigettò completamente l’approccio gerarchico alla stima imposto dal DI; inoltre, affermò la possibilità di utilizzare contemporaneamente più strumenti, purché non ci fosse duplicazione di valori, ed infine sostenne che la VC, correttamente utilizzata, dava luogo a stime attendibili. Il DI cercò successivamente di smontare le argomentazioni della Corte, ma il tentativo fu talmente maldestro che il Congresso decise di delegare la stesura di un nuovo manuale di valutazione dei danni ambientali ad un Dipartimento diverso, la scelta cadde sul NOAA (Department of Commerce’s National Oceanic & Atmospheric Administration). Il NOAA, seguendo un approccio già tracciato cinquat’anni prima dall’SPN, decise di commissionare ad un panel di super esperti un giudizio sulla VC (noto anche come blue ribbon panel). Il panel, al quale partecipavano ben tre premi Nobel, espresse un giudizio favorevole alla VC, purché utilizzata in maniera appropriata, e a tal proposito suggeriva anche dieci regole d’oro per la corretta esecuzione della stima. Contemporaneamente ai lavori del blue ribbon panel, la Exxon organizzò un convegno scientifico invitando tutti i maggiori economisti che si erano espressi in maniera critica nei confronti della VC. I lavori di questo convegno 4 Si deve notare che una forte insoddisfazione venne espressa anche dai gruppi industriali nei confronti dello stesso regolamento, ma per ragioni esattamente opposte. Questi ultimi si opponevano a qualsiasi ricorso alla VC. 8 La valutazione monetaria delle risorse naturali diedero luogo ad un vero e proprio contro-panel5 che però non incise sul giudizio favorevole che si stava ormai consolidando intorno alla VC. Il cambiamento di opinione, pubblica e scientifica, verificatosi nel corso degli anni ‘80 a favore della valutazione monetaria delle risorse naturali, ed in special modo della VC, non è però dovuto solamente al mutamento del clima politico. Infatti, durante gli anni ‘80 ci fu una fondamentale svolta nella metodologia della valutazione monetaria delle risorse naturali, che ha fatto sì che la VC da strumento da utilizzare in casi estremi diventasse di fatto il metodo principe per valutare un danno ambientale quando ci sia una componente non d’uso. Fino alla fine degli anni ‘70, negli studi in cui si ricorreva alla valutazione contingente, la disponibilità a pagare veniva inferita ponendo una domanda aperta, del tipo: “Lei quanto sarebbe disposto a pagare per.....?”. Questo approccio presenta però una serie di limiti molto gravi che inficiavano seriamente la validità della stima. Il più grande di questi, probabilmente, è che pone l’intervistato di fronte ad un quesito del tutto estraneo ai normali meccanismi di decisione sia di mercato che politici. Sull’onda di queste critiche alla fine degli anni ‘70 venne proposto un nuovo paradigma. Anticipato in un pionieristico lavoro di Mack e Myers (1965) ed applicato per la prima volta da Bishop ed Heberlein (1979) si afferma il metodo dicotomico di scelta. La principale differenza con l'approccio precedente sta nel diverso modo di porre la domanda relativa alla disponibilità a pagare; infatti, viene chiesto all’intervistato se è d’accordo o meno con il pagamento di un certo ammontare di denaro, proposto dall’intervistatore, per poter usufruire di una determinata risorsa naturale. In altri termini l’intervistato viene posto di fronte ad un ipotetico referendum in cui il veicolo di pagamento può essere l’istituzione di una tassa ex-novo. Lo scenario prospettato assume, in questo modo, una forte carica di realismo, benché sia solo ipotetico. L’innovatività di questo approccio apparirà del tutto chiara nel 1984, quando Michael Hanemann lo inquadrerà all’interno della teoria dell’utilità stocastica. È la svolta decisiva: al realismo della struttura di indagine si aggiunge una solida base teorica che lega lo strumento dalla teoria neoclassica del consumatore ed all’economia del benessere. Nei 10 anni successivi verranno pubblicati migliaia di articoli sulla VC. Questo metodo sarà sviscerato in ogni suo aspetto, affinandosi sempre di più, fino a diventare, come afferma il NOAA panel nei primi anni ‘90, un metodo del tutto affidabile per stimare la distribuzione della 5 I risultati di questo contro-panel sono stati pubblicati in Hausmann (1994). 9 Gianni Cicia disponibilità a pagare di una determinata popolazione per poter usufruire di un determinato bene pubblico. La principale caratteristica innovativa dell’approccio dicotomico, come abbiamo già anticipato, è che esso simula un mercato referendario. Infatti, nella forma in cui si è oggi affermato, si sottopone all’intervistato un vero e proprio referendum relativo all’istituzione di una tassa, o di una qualche altra forma di pagamento, per poter usufruire di una determinata risorsa naturale. Benché il quesito referendario sia del tutto ipotetico esso viene strutturato in maniera tale da essere del tutto credibile e realistico. Posto il problema in questo modo è evidente che anche la lettura in termini di monetizzazione del valore della risorsa naturale diventa più elastica. Volendo utilizzare l'informazione ottenuta in una classica Analisi Costi-Benefici si utilizzerà il valore medio della disponibilità a pagare moltiplicata per il numero di unità che compongono la popolazione di riferimento; ma è anche possibile utilizzare il valore mediano della distribuzione o un percentile differente. In tal caso l’interpretazione è diversa; ad esempio, nel caso si utilizzi la mediana moltiplicata per le unità della popolazione, il valore stimato non è altro che l’ammontare di denaro che una collettività sarebbe disposta a pagare sotto forma di tassazione (veicolo più frequentemente utilizzato in uno scenario referendario), per preservare il bene stesso, ipotizzando che la decisione venga presa ricorrendo ad un classico referendum dove con il 50% dei voti +1 si ottiene la maggioranza qualificata. 3 - Commensurabilità delle risorse naturali La breve analisi storica dello sviluppo teorico-politico dei metodi di misurazione del valore monetario di una risorsa naturale ha posto in evidenza che tale esigenza scaturisce da due motivi ben distinti. Il primo è relativo alla necessità di definire ex-ante il livello "socialmente ottimale" di sfruttamento di queste risorse, mentre il secondo deriva dalla necessità di quantificare in termini monetari i danni arrecati a questi stessi beni. Anche se i metodi che vengono utilizzati sono esattamente gli stessi in entrambe le situazioni, i due casi sono profondamente differenti poiché generano implicazioni etiche diverse e di conseguenza anche il consenso intorno al loro utilizzo non è lo stesso. L'esigenza di stimare un danno ambientale può essere essenziale all'implementazione di politiche ambientali che comportano un diritto di risarcimento a favore della collettività. Molto spesso, come il CERCLA ha 10 La valutazione monetaria delle risorse naturali messo bene in evidenza, una politica che permetta l'utilizzo di una risorsa naturale sotto il vincolo del risarcimento, in caso di danno, risulta particolarmente efficace per preservarla. Infatti, costringe le imprese potenzialmente inquinanti ad adottare adeguate misure per evitare danni alle risorse naturali. E' evidente che il risarcimento non può essere definito in maniera del tutto arbitraria, il caso della Exxon-Valdez, ha posto in evidenza che il ricorso a tecniche "non-demand curve", conduce ad una evidente sottostima, e quindi ad un livello di attenzione da parte delle imprese nei confronti delle risorse naturali "sub-ottimale". Quindi, in questi casi l'utilizzo di strumenti di valutazione "demand curve" con una particolare preferenza per la valutazione contingente è più che giustificabile anche su un piano etico6. Ben diversa è la seconda motivazione, quella riguardante la decisione ex-ante sull'allocazione delle risorse naturali. Tale problematica discende dall'incapacità del mercato di allocare in maniera efficiente i beni pubblici, tra cui le risorse naturali. Tale problema è più che noto; attualmente, infatti, si può affermare che esiste un'ampia convergenza sul fatto che la decisione sul livello socialmente ottimale di sfruttamento delle risorse naturali non può essere lasciato al mercato. Tale unanimità, però, viene meno nel momento in cui si deve decidere quale debba essere il livello di sfruttamento. La visone attualmente dominate tra gli economisti è sicuramente quella utilitaristaeconomica: l'allocazione deve essere decisa sulla base delle preferenze monetizzate degli individui interessati in qualche modo alla risorsa (Cicia, 1993). Tale approccio comporta la mercantilizzazione (commoditization) delle risorse naturali. Ed è proprio questo processo che viene rifiutato, in special modo in Europa, da una parte della collettività. In un recente articolo il premio nobel Kenneth Arrow (1997) ha posto in evidenza che le critiche alla mercantilizzazione degli aspetti più intimi e sacri della vita risalgono molto indietro nel tempo, addirittura ai tempi della Rivoluzione Francese. Nel secolo scorso questa visione avversa alla società fondata sul mercato ha visto su un terreno comune difensori della società feudale, come Edmund Burke e filosofi marxisti come Fiederich Engels, quest'ultimo a sua volta fortemente influenzato, nella sua visione contraria alla società di mercato, dal pensiero di Thomas Carlyle, filosofo e storico inglese che associava critiche argute, ed ancora attuali, contro la mercantilizzazione 6 Si badi bene che se si ritiene la risorsa naturale assolutamente essenziale, e quindi in nessun caso essa deve essere danneggiata, la si proteggerà con una forma di diritto inalienabile in luogo del diritto di risarcimento, ma l'esperienza americana suggerisce che un gran numero di risorse naturali sono ben protette dal diritto di risarcimento. 11 Gianni Cicia dei rapporti sociali, a strenue difese della monarchia retta dal "più forte" e dello schiavismo. La corrente di pensiero antimercantile non si è mai estinta, anzi negli ultimi decenni ha ripreso vigore proprio in relazione alla questione ambientale. Nella vastissima letteratura su questo argomento spicca in anni recenti il lavoro di Mark Sagoff (1988) che forse meglio di altri ha incarnato il nuovo sentimento di avversione nei confronti della mercantilizzazione delle risorse naturali. Sagoff, al contrario dei pensatori del secolo scorso non si scaglia in blocco contro la società di mercato, anzi ne riconosce alcuni pregi, ma focalizza la sua critica sull'uso del criterio di efficienza, così come utilizzato in economia, per definire l'allocazione delle risorse naturali. La questione riguardante la distruzione beni ambientali, secondo Sagoff, possiede in primo luogo una matrice morale, culturale, estetica e politica ed in questi termini andrebbe trattata. Affrontare il problema dell'uso delle risorse naturali come se queste ultime fossero normali beni di consumo è, secondo questo autore, un grave errore. Gli individui non si pongono nei confronti della biodiversità, ad esempio, come consumatori ma come "cittadini". Tale distinzione per Sagoff è fondamentale, perché come consumatori siamo essenzialmente interessati alla soddisfazione delle preferenze e dei desideri strettamente personali o familiari; ma questo non è sempre il nostro modo di pensare ed agire, ci sono situazioni che implicano un giudizio morale e politico delle nostre azioni, ed in questi casi noi agiamo come "cittadini", cioè pensiamo ed agiamo secondo una prospettiva che non è più circoscritta a noi stessi o alla nostra famiglia, ma con una visione comunitaria, i nostri giudizi e le nostre scelte si formano in relazione all'interesse per l'intera collettività, presente e futura. In tale contesto, quindi, non è importante quanto le persone sono disposte a pagare per preservare una risorsa, ma le motivazioni che sono dietro questa scelta, e sulla base di queste che una collettività deve definire la gestione delle risorse naturali. Alcuni autori vanno oltre e si pongono il problema se sia moralmente giustificabile gestire risorse fondamentali per la stessa sopravvivenza del pianeta sulla base delle preferenze monetizzate di una comunità. Le preferenze potrebbero essere del tutto artificiali ed irrazionali. Goodin (1992), uno dei più noti teorici della teoria “verde” del valore, sostiene che i beni e servizi ambientali non possono essere valutati solamente in relazione alle sensazioni (utilità, disutilità) che gli esseri umani provano nei loro confronti, ma andrebbero valutati in base alle caratteristiche intrinseche che essi possiedono. A qualche anno di distanza non sembra che le preoccupazioni di Sagoff abbiano trovato terreno fertile, anzi come ha ben messo in evidenza Margaret 12 La valutazione monetaria delle risorse naturali Jane Radin (1996) in un interessante contributo, il mercato sta progressivamente sostituendo tutte le relazioni sociali, ed anche le azioni che sono necessarie alla stessa definizione dell'individuo stanno progressivamente ricadendo sotto la metrica monetaria, in altri termini il consumatore sta sostituendo in maniera capillare il cittadino. Questo, secondo Radin, ha delle conseguenze nefaste. Nel momento in cui la società tratta alcuni beni come aventi un prezzo, allora l'atteggiamento dei singoli individui nei riguardi di quegli stessi beni muta anche se essi non sono oggetto di scambio sul mercato, tutto questo danneggia la stessa percezione che abbiamo di noi stessi. E' indubbio che le critiche alla mercantilizzazione di tutti gli aspetti della vita lanciano una sfida alla quale coloro che si occupano di valutazione delle risorse naturali non possono sottrarsi. In altri termini chi si accinge ad utilizzare le stime monetarie per la gestione delle risorse naturali ha sempre l'onere di trovare anche solide argomentazioni al loro utilizzo. 13 Gianni Cicia Riferimenti bibliografici Arrow K. J. (1997): Invaluable goods, Journal of Economic Literature, vol. XXXV, pp. 757-765. Bateman I. (1994): Research methods for valuing environmental benefits, in Dubgaard A., Bateman I. & Merlo M. (edited by): Economic valuation of benefits from countryside stewardship, Kiel, Wiessenschaftsverlag Vauk. Bishop R., Haberlein T. (1979): Measuring values of extra-market goods, are indirect measures biased? American Journal of Agricultural Economics, vol 61, pp. 926-930. Bockstael N., Strand I. (1994): Environmental valuation and American experience, in Dubgaard A., Bateman I. & Merlo M. (edited by): Economic valuation of benefits from countryside stewardship, Kiel, Wiessenschaftsverlag Vauk. Cicia G. (1993): La sostenibilità in agricoltura: un confronto fra l'approccio utilitarista e quello ambientalista, Rivista di Economia Agraria, n. 4. Ciriacy-Wantrup S.V. (1947): Capital returns from soil conservation practices, Journal of Farm Economics, vol 29, pp. 1181-1196. Hanemann W. M. (1984): Welfare evaluation in contingent experiments with discrete choice, American Journal of Agricultural Economics, n. 3. Hanemann W. M. (1992): Preface, in Navrud S. (edited by): Pricing the European Environment, Scandinavian University Press. Hausmann J.H. (edited by) (1994): Contingent valuation: a critical assessment, New York, North Holland. Napoleoni C. (1976): Valore, Milano, ISEDI. Pearce D.W., Turner R. K. (1991): Economia delle risorse naturali e dell'ambiente, Bologna, il Mulino. Radin M.J. (1996): Contested Commodities, Cambridge, Harvard University Press. Mack R. P., Myers S. (1965): Outdoor Recreation, Dorfman R. (edited by): Measuring benefits of Government Investments, Whashington D.C., The Brooking Institution. Sagoff M. (1988): The economy of the earth, Cambridge, Cambridge University Press. 14