10. Strumenti per valutare la competenza di auto

Corso di Didattica generale
Anno Accademico 2008-2009
TERZA PARTE
Dirigere il proprio apprendimento
Per una valorizzazione dei processi di auto-formazione
1. Introduzione
In questi ultimi decenni i temi dell’autodeterminazione e dell’autoregolazione nell’apprendimento
scolastico e professionale sono diventati progressivamente sempre più presenti nelle attività di
indagine sia psicologiche, sia pedagogiche, sia riferite all’educazione degli adulti. Essi in qualche
modo riassumono una serie di evoluzioni della ricerca internazionale. All’attenzione verso i
processi cognitivi e metacognitivi, che ha caratterizzato la seconda metà del secolo passato, si è a
poco a poco accostato l’interesse per i processi affettivi e volitivi. Le due principali correnti
psicologiche che hanno dominato la scena di questi ultimi anni, quella socio-cognitiva avviata da
Albert Bandura e quella socio-culturale di impostazione neo-vygotskiana, hanno certamente fornito
molti spunti per una loro valorizzazione sul piano degli interventi educativi; ma in questa
prospettiva sono stati determinanti, a mio avviso, anche gli apporti della psicologia umanistica
rappresentata dalle istanze avanzate da Edward L. Deci e Richard M. Ryan e quelli provenienti
dalla scuola tedesca avviata da Heinz Heckhausen e oggi rappresentata in particolare da Julius
Kuhl. In campo pedagogico l’esigenza di valorizzare l’iniziativa e l’impegno del soggetto in età
evolutiva soprattutto in contesti scolastici e formativi, ha le sue radici nei movimenti delle “scuole
nuove” e dei “metodi attivi” e, in genere, in una progressiva sempre più chiara comprensione del
ruolo centrale della persona che apprende, persona caratterizzata da aspirazioni, interessi, significati
e valori esistenziali, sentimenti e atteggiamenti di fondo, stili di apprendimento e forme di
intelligenza. Nel campo dell’educazione degli adulti dagli anni settanta è diventato vivissimo
l’interesse per i processi di autoformazione e di autodeterminazione nell’apprendimento culturale e
professionale sulla scia delle sollecitazioni derivanti dagli interventi di Malcolm S. Knowles.
L’espressione che sembra inglobare queste tendenze suona più o meno così: imparare a dirigere se
stessi nell’apprendere. Dirigere se stessi nel proprio apprendimento culturale e/o professionale può
essere riletto secondo due prospettive complementari, integrando tra loro i concetti di
autodeterminazione e di autoregolazione. Con il termine “autodeterminazione” si segnala la
dimensione della scelta, del controllo di senso e di valore, della intenzionalità dell’azione: è il
registro della motivazione, della decisione, del progetto, anche esistenziale. Con il termine
“autoregolazione”, che evoca monitoraggio, valutazione, pilotaggio di un sistema d’azione si
insiste di più sul registro del controllo strumentale dell’azione, anche se alcuni autori, come J. Kuhl,
adottano quest’ultima espressione in maniera più complessa e inclusiva. Al primo livello, nel dare
senso, finalità, scopo all’azione ci si colloca sul piano del controllo di tipo “strategico”, che mette in
evidenza la componente motivazionale, di senso, di valore. Al secondo livello si richiede, invece, di
sorvegliare la coerenza, la tenuta, l’orientamento dell’azione e regolarne il funzionamento o
pilotarla; si tratta di un livello “tattico”.
In questa prospettiva, per molti versi evolutiva, ciò che emerge con sempre più evidenza è il gioco
complesso tra l’influenza che può e deve esercitare il sistema educativo e formativo, in particolare
l’insieme dei docenti e dei formatori, e il ruolo del soggetto che apprende. I docenti e i formatori
sono sempre più visti come responsabili della costituzione di uno spazio o contesto nel quale gli
studenti possano e vogliano imparare quanto viene loro proposto. In quanto facilitatori
dell’apprendimento hanno un ruolo di orientamento, guida, sostegno e valutazione di natura
prevalentemente educativa o formativa. Per questo essi debbono cercare di sviluppare un sistema di
governo dell’apprendimento che risulti valido e produttivo, ma non possono e non potranno mai
sostituirsi all’impegno e all’attività che devono mettere in campo gli studenti. Questi, d’altra parte,
devono imparare progressivamente a gestire se stessi in tale contesto. Si delinea di conseguenza un
sistema assai complesso di interazioni tra le azioni di insegnamento e di apprendimento. Tali
interazioni possono risultare congruenti e rapportarsi dinamicamente in maniera feconda, oppure
dare origine a tensioni e contrasti anche distruttivi dal punto di vista del conseguimento degli
obiettivi educativi e formativi proposti. Per questo all’attenzione posta negli ultimi decenni ai
processi di autoregolazione dell’apprendimento si è accompagnata sempre più una considerazione
maggiormente comprensiva dell’intero sistema di rapporti esistente tra istituzione educante e/o
formativa, docenti e/o formatori, ambiente materiale e tecnologico, studenti considerati
globalmente, individualmente o secondo gruppi particolari e singoli soggetti apprendenti.
Il quadro che ne deriva può essere descritto in questo modo. Al livello più esterno e generale, ma
non meno influente, sta l’ambiente nel quale si attuano le azioni di insegnamento e di
apprendimento. E’ un contesto costituito certamente dall’ambiente fisico, ma soprattutto dai
caratteri istituzionali e di impianto educativo e formativo che lo contraddistinguono. Basti pensare
alla diversità tra una scuola comprensiva che includa i livelli infantile, primario e secondario di
primo grado, e una scuola superiore di natura liceale; tra una istituzione di formazione professionale
iniziale e un sistema di formazione continua a distanza e on line. Si parla spesso di contratto
educativo e didattico implicito, che guida tali contesti formativi, nel senso che ci si aspetta lo
svolgersi di ruoli specifici non solo da parte dei docenti e dei dirigenti, ma anche da parte degli
stessi studenti. Le attese di regolazione esterna dell’apprendimento esercitata dal contesto rispetto a
quelle di autoregolazione sviluppata dai singoli possono essere a seconda dei casi del tutto diverse e
assumere specificità assai differenziate.
Un ulteriore livello di interazione tra regolazione esterna e interna è dato dalla tipologia dei rapporti
che vengono instaurati dai singoli docenti all’interno della classe o del sistema formativo, con i
singoli e con i gruppi. Un controllo forte e sistematico può risultare valido e produttivo nel caso in
cui gli studenti non hanno ancora sviluppato capacità autonoma di studio e di autogoverno del
proprio apprendimento, soprattutto in quanto non conoscono, non sono in grado di individuare o
non sanno gestire i processi e le strategie cognitive, metacognitive, affettive e volitive implicate nel
loro apprendimento. Più profondamente ciò si manifesta quando il loro sistema di attese, significati
e valori, di prospettive e finalità esistenziali è ancora in fase di sviluppo, ed è più facile che i
docenti prospettino finalità e obiettivi, assegnino impegni e attività, controllino le acquisizioni,
elaborino giudizi valutativi, che vengono accettati senza particolari tensioni e difficoltà. Quando gli
studenti, invece, giungono a uno grado sufficiente di consapevolezza di sé, di volontà e capacità di
gestione autonoma della loro attività di apprendimento, di sviluppo del proprio sistema di significati
e valori esistenziali e prospettici, diventa sempre più complesso e dinamico il processo di
negoziazione e di ricerca di accordo tra determinazione e regolazione da parte dei docenti e
determinazione e regolazione da parte degli studenti.
A un livello più interno entrano in gioco le interazioni tra studenti e tra studenti e strumenti e
materiali di apprendimento. Le modalità didattiche attivate nella gestione della classe possono
favorire o impedire una serie non indifferente di forme di apprendimento collaborativo,
individualistico o competitivo per i singoli o per i gruppi. Gestire se stessi nei diversi contesti
sociali attivati implica comprensione e sensibilità per i processi emozionali e sociali coinvolti e
capacità di regolare se stessi e gli altri in maniera positiva. Sono diverse le abilità implicate in
attività di tutoraggio di compagni, di insegnamento reciproco, di apprendimento cooperativo, di
lavoro di gruppo per progetti, di richiesta di aiuto, ecc. La comprensione e la capacità di gestire i
diversi ruoli che ciascuno viene ad assumere in situazioni di rapporto sociale differenziato è
anch’essa una componente non indifferente dello sviluppo delle competenze autoregolative. A ciò si
può collegare anche l’interazione con i materiali e gli strumenti che vengono più o meno
sistematicamente messi in campo da parte dei docenti e che diventano vere e proprie risorse, talora
essenziali, per poter acquisire conoscenze e abilità specifiche. Basti qui evocare le esigenze poste
dalla fruizione delle varie forma di insegnamento e formazione a distanza e delle modalità di
apprendimento denominate e-lerning.
Si giunge così al livello proprio del soggetto che apprende e alla considerazione delle competenze
di autodeterminazione e di autoregolazione che ciascuno possiede o pensa di possedere. Nel seguito
la nostra attenzione si concentrerà su questo livello.
2. Processi di auto-direzione nell’apprendimento e sistemi formativi
In un celebre passo del primo libro dell’Emilio di J. J. Rousseau si indicano tre riferimenti
fondamentali, che stanno alla base del processo educativo e più in generale di quello formativo
dell’uomo: “L’educazione ci deriva dalla natura o dagli uomini o dalle cose” 1. E più avanti: “La
formazione di ciascuno di noi viene così assicurata da tre maestri diversi. Quando le rispettive
lezioni risultano contrastanti, il discepolo riceve una cattiva educazione e sarà sempre in contrasto
con se stesso. Solo quando esse si svolgono concordemente perseguendo gli stessi fini, il discepolo
raggiunge la mèta e vie in modo coerente: solo in questo caso si può parlare di educazione
riuscita”2. Nella letteratura francese dedicata all’analisi dei sistemi e dei processi formativi di questi
ultimi anni viene sempre più valorizzato questo approccio tripolare, riletto nella prospettiva
dell’auto-formazione, dell’etero-formazione e dell’eco-formazione. A esempio, M. Fabre3 insiste su
una dinamica tripolare tesa tra l’auto-formazione e le istanze del soggetto, l’etero-formazione messa
in atto dal dispositivo formativo e la formazione dovuta all’ambiente di vita e di lavoro.
Analogamente P. Carré, A. Moisan e D. Poisson4 descrivono lo spazio formativo mediante un
diagramma triangolare.
Autoformazione
Eteroformazione
Ecoformazion
ee
J.J. Rousseau, Emilio o dell’educazione, Edizione integrale a cura di E.Nardi, Firenze, La Nuova Italia, 1995, p. 8.
Ibidem, 9.
3
M. Fabre, Penser la formation, Paris, PUF, 1995.
4
P. Carré, A. Moisan, D. Poisson, L’autoformation. Psychopédagogie, Ingénierie, Sociologie, Paris, PUF, 2002, p. 106.
1
2
Fig. 1. Schema di riferimento utile a descrivere lo spazio formativo
Questo diagramma può essere adattato al nostro caso per costituire un quadro di riferimento assai
funzionale per un’analisi dei differenti sistemi formativi (Fig.2).
Nel seguito della mia esposizione insisterò sull’importanza di garantire che i sistemi formativi
costituiscano uno spazio che dia il giusto ruolo ai tre riferimenti sopra evocati e favorisca positive
interazioni tra loro. Il diagramma triangolare, d’altra parte, si presta bene per impostare un’analisi
delle caratteristiche intenzionali o di fatto che definiscono la qualità del sistema in esame. Sarebbe
anche interessante approfondire il tutto applicando al caso in esame le indicazioni provenienti dalle
procedure di calcolo baricentrico, ma in questa occasione è sufficiente sviluppare una sua
valorizzazione di tipo più qualitativo. Per far questo prenderò in considerazione alcuni modelli di
processi e sistemi formativi esaminandone le accentuazioni e indicando in questo modo una
possibile metodologia di analisi della loro natura.
Soggetto in
formazione
Sistema
formativo
Dispositivo
formativo
Contesto
sociale/lavorati
vo
Fig. 2 Schema di riferimento adottato
Utilizzando il riferimento triangolare precedente esploriamo alcune impostazioni che possono
essere descritte come basate su un peso prevalente dato alla componente soggettiva del processo
formativo.
Soggetto in
formazione
Sistema
formativo
Dispositivo
formativo
Contesto
sociale/lavorati
vo
Fig.3. Caso di valorizzazione dell’autodirezione e autoregolazione del m soggetto
In questo caso nel triangolo la distanza del Sistema formativo dal Soggetto in formazione è minima,
mentre quella dal Dispositivo formativo e dal Contesto sociale e lavorativo è massima. I sistemi
ispirati a tale approccio possono a loro volta essere disposti secondo un continuo che va da una
centratura sulle attese trasformative profonde del sé, come suggerito da una proposta recente di
G.P.Quaglino5, a una centratura sulle competenze personali da acquisire quali emergono dal
contesto sociale e professionale.
Diversa è la caratterizzazione dei sistemi che rendono minima la distanza dal contesto sociale e
lavorativo rispetto alle altre due polarità considerate.
Soggetto in
formazione
Sistema
formativo
Dispositivo
formativo
Contesto
sociale/lavorati
vo
Fig.4 Prevalenza del contesto sociale e/o lavorativo
Anche in questo caso si può pensare a un continuo ai cui estremi si collocano da una parte sistemi
che valorizzano metodologie ispirate all’apprendimento esperienziale di Kolb o all’Action learning
di Revans; mentre dall’altra parte di possono considerare approcci più direttamente legati alla
domanda di riqualificazione o riconversione professionale richieste esplicitamente dal contesto
lavorativo. E’ abbastanza evidente che un estremo prende in considerazione in maniera più incisiva
l’apporto del singolo al processo formativo, come si può constatare rileggendo la dinamica del
cosiddetto apprendimento esperienziale.
Anche la polarità che mette l’accento sulle caratteristiche e la qualità del dispositivo formativo può
essere esaminata a partire dal precedente diagramma triangolare.
G.P. Quaglino nella “Postfazione” dell’edizione 2005 del suo Fare formazione (Milano, Cortina, 2005, pp. 171-227)
traccia l’ipotesi di un percorso formativo circolare che collega l’esperienza alla riflessione su di essa, per giungere a una
sua interpretazione e narrazione, in cui le componenti clinica e critica sollecitano un processo formativo di natura più o
meno profondamente trasformativa.
5
Soggetto in
formazione
Sistema
formativo
Dispositivo
formativo
Contesto
sociale/lavorati
vo
Fig.5 Caso della prevalenza del sistema formativo
Sistemi di tale orientamento possono essere distribuiti su un continuo che va da forme fondate su
processi formativi basati prevalentemente su attività d’aula, forme di insegnamento diretto o
modalità di lavoro a gruppi a sistemi altamente ingegnerizzati di formazione a distanza
esclusivamente o parzialmente centrate su forme di e-learning. E’ facile capire l’altra ampia gamma
di pratiche formative che possono essere incluse in questa direzione. Basti esaminare gran parte
delle pratiche formative presenti nelle istituzioni universitarie tradizionali e quelle denominate
ispirate a forme di apprendimento aperto e a distanza. A questo proposito si può osservare come
oggi sia a livello universitario, sia nell’ambito della formazione continua, esista un forte spinta
economico-istituzionale europea a diffondere non solo esperienze, ma sistemi stabili e ben
strutturati di questa natura, anche se molte volte caratterizzati da metodologie cosiddette miste o
blended.
L’impressione che si trae da un’analisi dei sistemi formativi proposti, e almeno in parte attuati, è
che spesso essi si presentano sbilanciati verso una delle polarità sopra richiamate. Ciò che però
sembra comune a molti di essi è la scarsa considerazione del ruolo del soggetto in formazione. E ciò
da vari punti di vista. In primo luogo si nota una scarsa attenzione verso la capacità di autodirezione dell’apprendimento (auto-determinazione e auto-regolazione) e relative esigenze
formative. In secondo luogo non sempre si prevede una vera e propria diagnosi o bilancio delle
conoscenze, abilità e competenze effettivamente già disponibili e di conseguenza un valido
orientamento nella scelta e nella fruizione del percorso formativo.
3. L’azione di apprendimento
“L’apprendimento socialmente più utile nel mondo moderno è l’apprendimento del processo di
apprendimento, una costante apertura all’esperienza, una costante acquisizione del processo di
mutamento” (C.Rogers, 1973, 195). Apprendere ad apprendere è lo slogan più volte ripetuto a vari
livelli di responsabilità: da quella relativa alle politiche dello sviluppo e della formazione
permanente a quella della progettazione e realizzazione di percorsi educativi nell’ambito
dell’autonomia scolastica d’istituto. Tuttavia, a mio avviso in questi anni è mancato un adeguato
approfondimento teorico circa la natura stessa del processo di apprendimento e della capacità di
gestirlo in maniera valida e feconda. Anche le tendenze di alcuni movimenti educativi recenti, che
parlano di apprendimento “autentico”, sembrano sottolineare l’importanza di forme di
apprendimento che siano compatibili, se non identiche, con quello proprie del mondo adulto, senza
indagare la dinamica complessa tra mondo interiore del soggetto e mondo esteriore nel quale egli è
immerso, e ignorando un secolo di indagini sui processi evolutivi nell’ambito delle capacità di
apprendimento concettuale e operativo proprie delle varie età.
La conoscenza della dinamica peculiare di un processo di apprendimento costituisce il riferimento
di base per ogni azione formativa, che miri a sviluppare o a consolidare quella che è stata chiamata
la competenza delle competenze: cioè la capacità di far proprie nuove conoscenze, abilità e
disposizioni interne stabili, e di valorizzarle nell’affrontare situazioni e problemi più o meno
complessi e poco famigliari. Fortunatamente la ricerca teorica e quella sperimentale hanno
sollecitato in questi ultimi decenni una riconsiderazione della centralità dell’intenzionalità umana in
tutti i contesti nei quali i soggetti agiscono e interagiscono. Anche l’apprendimento viene riletto
come azione intenzionale sviluppata dalla persona a un sufficiente grado di autonomia personale.
Naturalmente occorre distinguere con cura la dinamica propria dell’apprendimento nelle varie fasi
dello sviluppo. Anche da un punto di vista osservativo ingenuo si coglie immediatamente la
differenza tra il modo di apprendere di una bambino di tre ani, da quello di uno di sette, e così via.
Tuttavia esistono aspetti che caratterizzano comunque l’azione umana e quella di apprendimento, in
particolare. A esempio la ricerca sulle spinte motivazionali intrinseche ha messo in luce come la
percezione di autonomia, di competenza e di positiva relazionalità giochino un ruolo essenziale fin
dalla prima infanzia (Deci-Ryan, 1995). Per questo ritengo necessario prima di esplorare un insieme
di indagini di natura empirica portate a termine nell’ultimo decennio direttamente da me o sotto la
mia direzione, offrire un quadro di riferimento che consenta da una parte una descrizione attenta del
processo motivazionale, decisionale e di autoregolazione dell’agire umano in generale e di quello di
apprendimento, in particolare; dall’altra, un’interpretazione delle ricerche riportate alla luce di tale
quadro teorico. Esse, infatti, tendono a fornirne elementi di riscontro empirico e,
contemporaneamente, offrire strumenti di rilevazione circa lo stato di sviluppo personale della
capacità di apprendere in maniera autonoma e significativa.
J. Nuttin (1980) ha evidenziato come la generazione dell’intenzione di agire, di impegnare le
proprie energie in una direzione, derivi dall’interazione tra il sistema del sé (conoscenze concettuali
e operative; motivi, valori e convinzioni; attribuzioni di valore nei riguardi di sé, degli altri e del
contesto nel quale si opera; senso di efficacia nel portare a termine i compiti richiesti, ecc.) e la
percezione della situazione specifica che sollecita la nostra interpretazione e azione. Ciò vale anche
in riferimento ai vari contesti di studio e di lavoro, e ai diversi compiti da affrontare secondo le loro
caratteristiche peculiari. La componente di natura interpretativa che entra in gioco mira a dare senso
a una situazione (o a una problema), cogliendone gli aspetti che implicano un intervento atto a
promuovere una situazione modificata secondo un obiettivo preciso (o a risolvere uno specifico
problema).
L’impostazione prefigurata da J. Nuttin si ricollega a quella già evidenziata a suo tempo da
K.Lewin (1951), per il quale la dinamica motivazionale ha luogo in funzione della persona e della
situazione. “Dal punto di vista della persona si devono prendere in considerazione i tratti
motivazionali, come i motivi riferibili alla competenza […], gli interessi personali […], gli obiettivi
superordinati […], le convinzioni di autoefficacia […], gli orientamenti motivazionali […], e
variabili simili che descrivono caratteristiche piuttosto stabili della persona. Dal punto di vista della
situazione si debbono prendere in considerazione le caratteristiche del compito, come i contenuti, la
struttura e la difficoltà del compito, […] gli aspetti generali della situazione come il contesto sociale
[…] e i potenziali guadagni e perdite che lo studente deve affrontare o prevedere” (Rheineberg,
Vollmayer, Rollett, 2000, 504).
Questa dinamica di natura motivazionale era già stata chiaramente individuata e descritta da
Aristotele, quando aveva sottolineato i caratteri energizzanti della percezione di possedere le risorse
interne necessarie per conseguire l’obiettivo prospettico individuato. J. Kuhl ha evocato la posizione
aristotelica in questi termini: “Le rappresentazioni cognitive degli obiettivi e le attività prefigurate a
questi strumentali non sono sostenute da proprietà dinamiche, cioè non danno energia o facilitano
l’azione, finché non sia stata stabilita la loro compatibilità con la struttura significativa personale (il
sé) e/o finché esse non siano state tradotte in routine comportamentali disponibili all’organismo”
(Kuhl, 2000, 122). Questa descrizione appare più ricca di quanto da alcuni decenni è stato proposto
da molte teorie motivazionali dell’apprendimento, in particolare scolastico, in quanto un vero e
influente stato motivazionale implica da una parte il dare senso o valore all’obiettivo che
costituisce la base della decisione e, dall’altra, riconoscere che si hanno a disposizione risorse
pratiche adeguate (capacità operative, strumenti, schemi d’azione) per poterlo raggiungere.
Se in tale dinamica entra in gioco una componente di natura interpretativa che dia senso a una
situazione o a una problema, cogliendone gli aspetti che sollecitano un proprio intervento, una volta
decisa un’azione, occorre saper mettere in atto strategie adeguate per portarla a termine in maniera
efficace ed efficiente. Si tratta di componenti della competenza di natura progettuale pratica, che
implicano l’avere a disposizione schemi d’azione adeguati da orchestrare in vista del
raggiungimento dell’obiettivo inteso.
Una versione recente, anche se semplificata, dell’impostazione sopra descritta risale agli psicologi
che si rifanno al modello moltiplicativo della motivazione, cioè alla formula M = P x V, dove M sta
per motivazione, P sta per percezione di possedere la competenza necessaria per conseguire un
obiettivo o portare a termine positivamente un compito, V sta per valore attribuito all’obiettivo o al
portare a termine positivamente il compito. P può essere espresso in maniera più sofisticata come
probabilità soggettiva di essere in grado di conseguire l’obiettivo o di portare a termine
positivamente il compito. In altri termini, P esprime il grado di fiducia che si ha nel verificarsi dell’
evento raggiungimento dell’obiettivo o dell’evento conclusione positiva del compito. L’aspetto
moltiplicativo del modello sta nell’analogia stabilita con la legge di annullamento del prodotto: se
uno dei termini è zero, o tende a zero, il prodotto vale zero, o tende a zero. In altre parole se la
percezione di competenza o il valore attribuito all’obiettivo (o tutti e due) sono deboli o inesistenti
anche la motivazione è fragile o assente.
Eccles ha sviluppato nel 1983 un modello definito “attesa-valore”, che esprime sostanzialmente la
stessa prospettiva nel campo della motivazione scolastica. Le prestazioni scolastiche positive, la
perseveranza, e la stessa scelta della difficoltà dei compiti da svolgere, possono essere inferite a
partire dalle attese di successo in tali impegni e dal valore soggettivo a esso attribuito (WigfliedEccles, 2002d, 92). Molti dei modelli sviluppati nel corso degli ultimi trenta anni evocano
impostazioni analoghe come la teoria dell’autoefficacia di A. Bandura (1997), quella della valore
del sé di Convington (1992). L’impostazione aristotelica appare, però, più penetrante perché lega le
proprietà dinamiche della motivazione nei riguardi del conseguimento di un risultato alla sua
coerenza sia con la struttura soggettiva di senso, sia con la percezione di possedere le risorse interne
necessarie per poterlo conseguire. In una rilettura odierna di questo approccio si può mettere in
evidenza come il fine dell’azione, nella quale si intende essere coinvolti per attivare e mantenere lo
stato motivazionale, debba rimanere costantemente e positivamente in contatto con il sistema del sé,
considerato soprattutto nella sua strutturazione di senso (Kuhl, 2000). Gli psicologi umanisti
sottolineerebbero la congruenza necessaria tra prestazione attesa e organismo psicologico personale.
Tuttavia, ciò non è sufficiente per decidersi effettivamente di lasciarsi coinvolgere in un processo
attuativo, se non si abbia contemporaneamente la percezione di possedere in grado adeguato le
conoscenze, le abilità, le competenze e le altre qualità disposizionali necessarie. Di conseguenza un
processo formativo deve tener conto degli influssi che sull’apprendimento derivano dalla
percezione di sé rispetto ai compiti che la situazione implica, come giudizi di autoefficacia e
attribuzioni di valore. Occorre, inoltre, che vengano sviluppate particolari capacità di percezione dei
caratteri e delle esigenze poste dalla situazione stessa e favorire l’acquisizione effettiva delle abilità
necessarie per affrontarla efficacemente.
Si è constatato anche che la concezione che si ha della propria intelligenza e della propria capacità
influiscono grandemente sulla disponibilità a impegnarsi in un'attività o in un compito da svolgere e
sul livello e continuità dello sforzo messo in atto. Il percepire la propria intelligenza e capacità
come deboli e contemporaneamente pensare che esse siano un tratto stabile della persona, porta
generalmente a un fragile impegno e a un'incostanza nello sforzo. Viceversa, chi pensa di possedere
una buona intelligenza e un'elevata capacità e queste sono ritenute doti stabili, di fronte ai successi
coltiva maggiori attese di successo, anche se non sempre queste possono essere collegate a maggiori
sforzi e impegni di studio6.
La percezione della propria competenza influenza notevolmente non solo il comportamento dei
soggetti, ma anche i loro pensieri e le loro emozioni (Bandura, 1997). La gente tende a evitare
compiti e situazioni che ritiene superiori alle proprie capacità, mentre cerca attività nelle quali pensa
di essere in grado di agire positivamente. I giudizi di auto-efficacia sono direttamente collegati alla
motivazione. La percezione di riuscire a controllare o dominare una situazione nuova e sfidante
provoca un'emozione positiva in grado di generare nuove tendenze a cimentarsi in compiti analoghi.
In particolare, la percezione di una crescita di competenza in un settore specifico è una potente
molla a impegnarsi sempre più e con sempre più costanza in compiti simili. Analoghe osservazioni
si possono trarre dalle teorie piagetiane relative allo sviluppo delle conoscenze e delle abilità
nell'interazione con l'ambiente. Il sentirsi capaci è fonte di gioia e di orgoglio e il soggetto di
conseguenza cerca situazioni e compiti che possano offrirgli le stesse esperienze o, anche, superiori.
Le teorie motivazionali odierne mettono in evidenza quello che è stato chiamato l’orientamento
motivazionale: se ci si impegna, cioè, perché interessati a portare a termine in maniera valida ed
efficace il compito da svolgere in quanto ciò è considerato valido in se stesso; oppure l’energia è
attivata dalla ricerca di primeggiare, di prevalere sugli altri, di ottenere giudizi positivi e
riconoscimenti sociali. Si distingue in questo caso tra orientamento al compito e orientamento
all’io7. Nelle situazioni concrete di apprendimento i due orientamenti spesso coesistono, in quanto
normalmente non solo si desidera imparare, ma anche ottenere un riconoscimento adeguato del
risultato del proprio impegno. Dal punto di vista, però, dell’apprendimento scolastico è importante
tener conto dell’intenzione che nello studente prevale quando questi si impegna nello studio. Se
prevale in maniera eccessiva il solo orientamento al risultato, può insinuarsi la tendenza a mettere in
atto tutte le strategie utili a tale fine, talvolta utilizzando anche modalità di azione non corrette, a
esempio copiando da altri. Più pericolosamente, può emergere una forma di preparazione che tiene
conto solo del superamento di un’interrogazione o di un esame, con il sottinteso che, ottenuto tale
scopo, ci si può dimenticare di quanto è stato ormai oggetto di accertamento. In questo senso è
centrale in un percorso di apprendimento che il soggetto abbia l’intenzione di acquisire
effettivamente una determinata competenza e non solo di ottenere un qualche riconoscimento o
certificazione sulla carta.
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In questa dinamica entra in gioco anche la concezione che si ha della natura plastica o rigida della propria intelligenza
e della capacità di apprendere, in particolare nell’abito di specifiche discipline. Vari indagini hanno messo in luce la
tendenza presente in molti soggetti sia in età evolutiva, sia adulti a considerare l’intelligenza come un dote fissa. E’
evidente l’influsso di una tale concezione sulla motivazione: se mi ritengo limitato nell’apprendere in generale, o in un
ambito settoriale specifico, è ben difficile che mi impegno a farlo in quanto le mie attese di successo sono assai limitate.
(Cfr. a esempio: Dweck, 1999; Dweck e Elliott, 1983).
7
La distinzione è spesso ripresa sotto una prospettiva un po’ diversa differenziando un orientamento alla padronanza o
all’apprendimento rispetto a un orientamento al risultato. In realtà i due orientamenti nella realtà soggettiva tendono a
convivere. A seconda dei contesti specifici l’uno tende e prendere il sopravvento sull’altro.
Gli studi sui processi motivazionali si sono concentrati in genere sugli aspetti incoativi dell’azione,
cioè sull’attivazione delle proprie energie interne verso il conseguimento di uno scopo, sulle forze
che portano alla decisione di conseguire un certo obiettivo8. Ma la ricerca degli ultimi trenta anni ha
anche evidenziato che, una volta presa una decisione, i giochi non sono conclusi, anzi. Occorre
promuovere, e non è poca cosa, una forte capacità di autogoverno e di perseveranza nel portare a
termine le imprese decise e avviate. Si giunge così al nodo dell’autoregolazione
dell’apprendimento. In generale, essa può essere intesa come capacità di scegliere (o costruire),
mettere in moto e controllare nel loro svolgersi strategie regolative dei processi cognitivi,
metacognitivi, affettivi e volitivi, che siano in grado di rendere valida e produttiva l’azione di
apprendimento. Implica in primo luogo la conoscenza non solo dei processi coinvolti, ma anche del
loro ruolo. Dunque, l’apprendimento è visto in una prospettiva che pone l’accento sull’azione vede
l’alunno, o in genere il soggetto, come l’attivo costruttore non solo delle proprie conoscenze, ma
anche delle proprie capacità di apprendere.
Occorre ricordare a questo punto che con il termine apprendimento, in particolare scolastico, si
intende generalmente un’acquisizione significativa, stabile e fruibile di conoscenze concettuali
(fatti, concetti, principi, teorie), di conoscenze procedurali (abilità intellettuali e pratiche) e di
atteggiamenti (disponibilità positive o negative verso cose, persone, situazioni, azioni) e valori. Si
tratta, quindi, di cambiamenti più o meno profondi che incidono sul patrimonio conoscitivo,
operativo ed emozionale del soggetto e che non possono essere ricondotti soltanto al suo sviluppo
biologico o psicologico. In genere si apprende sollecitati, guidati e sostenuti da un altro più esperto
e competente. Qui si apre il capitolo dell’influenza del contesto educativo nel quale di vive:
’impianto istituzionale, l’organizzazione della classe, l’interazione con il docente e con i propri
compagni, sono tutti fattori che tendono a regolare l’intero processo. Tuttavia, tutto ciò se entra in
gioco nello sviluppo delle conoscenze, delle abilità e delle competenze dello studente, non può mai
sostituirsi all’impegno e alla gestione personale governo dello studente, il quale non solo deve
essere in possesso delle conoscenze, della abilità e delle competenze che fanno da base di supporto
per quelle nuove da acquisire, ma anche deve voler effettivamente far proprio quanto di nuovo gli è
proposto e mettere in moto le strategie necessarie per farlo.
Per quanto riguarda l’acquisizione significativa, stabile e fruibile di concetti, principi, teorie si può
riallacciare il discorso a quanto accennato a proposito del pensiero in generale. Occorre tuttavia
evidenziare in maniera più perspicua il ruolo delle convinzioni, dei motivi o valori che costituiscono
e caratterizzano il soggetto e, nel contesto dell’azione di apprendimento, della motivazione e delle
intenzioni personali che sono presenti, anche se si danno casi di apprendimento che non implicano
motivazione. Si tratta in quest’ultimo caso di quelli che sono stati chiamati apprendimenti
incidentali, cioè acquisizioni di conoscenze o di convinzioni non direttamente cercate, ma che sono
state interiorizzate per il coinvolgimento non intenzionale in situazioni ed esperienze sollecitanti
dall’esterno.
Per quanto concerne le conoscenze operative o procedurali, queste in genere si sviluppano
trasformando una sequenza di azioni rappresentate sotto forma dichiarativa in produzioni
effettivamente eseguite e concatenate tra loro. Una produzione, nell’accezione elaborata da
Anderson sulla base di una proposta di Minsky, è una rappresentazione condizionale di una o più
operazioni concatenate tra loro (Gagnè, 1989). Essa ha una struttura che si articola secondo una
clausola condizionale se, seguita da una o più condizioni di esecuzione, e una clausola
consequenziale allora, che non conduce a una conclusione logica, bensì a una sequenza di azioni. Il
sapere, come si svolge una certa procedura, viene trasformato nell’abilità operativa corrispondente
Nell’ultimo capitolo esamineremo più puntualmente il ruolo complesso che hanno le riflessioni retrospettive circa le
cause del successo o fallimento delle proprie iniziative.
8
per mezzo dell’esercizio, fino al punto, se la cosa è richiesta, di renderla automatica. La
rappresentazione interna della procedura sotto forma di produzioni permette quindi non solo di
saperla eseguire, ma anche di sapere quando metterla in atto quando necessario e/o opportuno e
perché. Cioè vengono espressi gli obiettivi che si vogliono raggiungere per mezzo di tali procedure
e le condizioni nelle quali esse possono o debbono essere messe in moto. Queste ultime vengono
spesso esplicitate come conoscenze condizionali.
È chiaro nell’un caso o nell’altro che è implicato un ruolo attivo del soggetto, il quale deve
rappresentare in maniera conveniente le conoscenze da acquisire, collegarle con quelle che già
possiede, organizzarle in modi sempre più compatti ed economicamente funzionali, richiamarle una
volta immagazzinate nella propria memoria permanente, saperle utilizzare per interpretare nuove
esperienze, per risolvere nuovi problemi, per eseguire procedure note in nuovi contesti.
E’ stato proposto da Borkowski & Thorpe (1994) un quadro di riferimento abbastanza comprensivo
per illustrare la dinamica dell’azione di apprendimento. Esso evidenzia alcune componenti
fondamentali del processo. In primo luogo viene indicato il sistema del sé, cioè l’insieme delle
concezioni e delle convinzioni che caratterizzano il soggetto dal punto di vista cognitivo (concetto
di sé), affettivo (stima di sé), valoriale (valori personali) e prospettico (possibili sé). Questo sistema
interagisce con gli impegni di apprendimento che vengono proposti in un dato contesto generando
stati motivazionali personali influenzati, in particolare, dalla percezione della propria competenza in
relazione al compito proposto, dal valore attribuito a un risultato positivo, dalle motivazioni
intrinseche riferite al tipo di impegno considerato, ecc. Ne nasce un orientamento all’azione di
apprendimento, che può essere prevalentemente diretto a proteggere o sviluppare il sistema del sé,
oppure ad acquisire nuove conoscenze e nuove competenze. Alla decisione di impegnarsi
effettivamente nel compito assegnato segue l’attivazione di specifiche strategie d’apprendimento
progettate e gestite a livello metacognitivo. I risultati ottenuti, e soprattutto il feedback ricevuto,
sollecitano un processo di autovalutazione che influisce sullo stile attributivo, cioè sul giudizio di
responsabilità causale circa i successi o i fallimenti incontrati: se si tratti cioè di cause interne o
esterne modificabili e controllabili oppure di cause interne o esterne stabili e non controllabili. Ciò
influisce sia sul sistema del sé, sia sui futuri stati motivazionali.
Si giunge in questo modo ad attivare un’azione intellettuale che risponde alle caratteristiche di un
dialogo esteriore (o interiore), diretto al raggiungimento di un obiettivo. Tale dialogo viene quindi
sviluppato utilizzando opportune tattiche e strategie cognitive, affettive e volitive. Anche in questo
caso l’insorgere della domanda deriva da uno stato di tensione verso un obiettivo, che viene a
definirsi sulla base dello stato di conoscenze e convinzioni presente e di circostanze locali e
temporali precise. Una volta posta la domanda, implicita o esplicita, viene sviluppato un gioco
intellettuale più o meno ben pianificato che a poco a poco dovrebbe portare all’obiettivo inteso, cioè
alla risposta. Questa può essere a sua volta valutata, stimolare reazioni emotive di soddisfazione o
di delusione, oppure nuove domande. D’altra parte, il porsi chiari obiettivi d’azione significa
mettere in gioco un attento calcolo prudenziale dei mezzi che nel contesto specifico permettono di
raggiungere finalità o valori di fondo che si desidera raggiungere.
4. Autodirezione e autoregolazione nell’apprendimento
La tematica dell’autodirezione e dell’autoregolazione nell’apprendimento è stata sviluppata negli
ultimi trent’anni anche, se non soprattutto, in ambito della formazione degli adulti a partire
dall’opera che ha costituito nel 1975 come il dischiudersi di una nuova e promettente prospettiva di
indagine, il volume di M.S.Knowles intitolato appunto Self-directed Learning9. Philippe Carré ha
9
M.S.Knowles, Self-directed Learning, Association Press, New York, 1975.
fornito un quadro degli studi sviluppati da allora su un tema che è definito in ambito francofono
”autoformation”, mentre nei paesi anglofobi viene ormai utilizzata generalmente l’espressione
conianta da Knowles “Self-directed Learning, SDL”, anche se sono fiorite nel tempo molte altre
espressioni analoghe (Carré, 2002). Le varie modalità di denominazione tendono a mettere in luce il
rovesciamento di prospettiva, che inevitabilmente occorre assumere, quando si parla di
apprendimento adulto. “Si passa così da concezioni «eteronome» della formazione, ereditate dal
modello scolare, che fanno del «formato» adulto uno «studente anziano» della «scuola della
perpetuità» a una concezione dell’autonomia del «soggetto sociale che apprende». L’«auto», o «sé»,
diventa allora il centro di gravità del fenomeno della formazione, che si caratterizza per la presa del
potere, della responsabilità o del controllo del soggetto adulto, al cuore di una filosofia della libertà
d’apprendimento ereditata da C. Rogers” (Ibidem, 20). E’ bene partire da questo quadro di
riferimento perché in fin dei conti il processo educativo scolastico e di formazione professionale
iniziale deve progressivamente portare i singoli ad assumersi la responsabilità fondamentale di
progettare e gestire la propria identità personale lungo l’arco della propria esistenza. Passare da
etero-formazione ad auto-formazione evoca il passaggio dall’assumere una forma personale, una
identità culturale e professionale, sulla base di progetto prospettato e gestito solo o prevalentemente
dall’esterno a una forma scelta e promossa con consapevolezza e sistematicità anche se spesso sulla
base di una partecipazione negoziale alla sua definizione.
La sottolineatura del processo di autoformazione e del ruolo attivo del soggetto nel processo di
apprendimento è però presente nella letteratura pedagogica da molto tempo. Ci si può riferire a
J.J.Rousseau, che pose nella sua teoria dei tre maestri il fondamento per una concezione aperta
dell’autoformazione. Egli, infatti, indicò tre riferimenti fondamentali che interagiscono nel processo
educativo: quello del soggetto che apprende, gli altri e la loro influenza, l’ambiente con il quale si
interagisce. E’ un paesaggio che è stato spesso evocato da Pineau (2004), che lo descrive sotto tre
dimensioni: l’autoformazione, l’eteroformazione, l’ecoformazione.
Le cosiddette “nuove pedagogie” e le impostazioni proprie dei “metodi attivi” della prima metà del
secolo passato hanno ulteriormente definito ed evidenziato il ruolo centrale del soggetto che
apprende10. In questa prospettiva vanno molte sollecitazioni provenienti dall’impostazione teoricopratica di molti pedagogisti come: l’autogoverno sollecitato nell’esperienza delle “scuole nuove”
vissuta nel contesto anglosassone; il ruolo dell’esperienza e dell’azione dello studente nelle
indicazioni di J.Dewey, la conquista personale del sapere attraverso il lavoro indicata da
Kerchesteiner nella Arbeitschule. Cousinet, attraverso il metodo del lavoro libero nei gruppi, voleva
sostituire una pedagogia dell’apprendimento a un pedagogia dell’insegnamento, fino al punto di
dichiarare “se l’insegnante vuole che l’allievo apprenda, occorre che lui stesso si astenga
dell’insegnare”11 D’altra parte Freinet, già nel 1928, poneva l’auto-organizzazione degli studenti
alla base della sua pedagogia, prefigurando gli elementi costitutivi che cauterizzano attualmente
un’organizzazione che apprende e un processo di autoformazione collettiva. A buon titolo egli può
essere considerato come il precursore più esplicito delle tematiche di autoformazione “educativa”,
cioè delle modalità di formazione aperta e dei loro legami con l’autodirezione (Leray, 2001). Le
ricerca didattica francese ha a questo proposito elaborato il concetto di situazioni a-didattiche per
indicare momenti nei quali l’insegnante rinuncia al suo ruolo specifico di trasmissione della
conoscenza per lasciare gli studenti liberi di lavorare in piena autonomia, affrontando questioni e
problemi non di routine, anche se compatibili con il loro stato di preparazione 12. E’ quello che è
A questo proposito è interessante il saggio di Brouet e Carré “Faut-il avoir peur de l’autoformation?” apparso sui
Cahiers pédagogiques del 1999 (370, 8-55).
11
Passo citato da Brouet e Carré. o.c., 36.
12
Il concetto di situazione a-didattica è stato elaborato inizialmente da G. Brousseau nel quadro della sua teoria delle
situazioni didattiche.
10
stato definito processo di “devoluzione” della responsabilità didattica del docente all’attività di
apprendimento autonoma individuale o collettiva.
La rivalutazione del ruolo attivo del soggetto che apprende non è stato nel secolo ventesimo oggetto
solo di riflessione pedagogico-didattica. Anche in campo psicologico nel corso dei suoi ultimi
decenni si è evidenziata sempre più la dinamica costruttiva del processo di apprendimento. La
corrente umanista, e in particolare G. W. Allport, ha sempre contrapposto, già a partire dagli anni
trenta, una concezione proattiva della persona a una concezione reattiva, quale era presente sia nelle
impostazioni psicoanalitiche, che esaltavano la centralità gli impulsi interni, sia nelle prospettive
comportamentiste, che evidenziavano il condizionamento esterno dell’agire umano. Lo sviluppo di
approcci cognitivi ha permesso di esplorare le dinamiche interne del pensiero e dell’apprendimento,
favorendo una percezione più chiara del ruolo sia dell’intenzionalità, sia del comportamento
strategico nei processi apprenditivi. D.P.Ausubel nel 196813 metteva in evidenza come un
apprendimento significativo implicava, accanto alla significatività del materiale da apprendere e alla
disponibilità nel patrimonio conoscitivo dello studente di perni di ancoraggio per quanto di nuovo
gli viene proposto, anche la volontà di apprenderlo non in maniera meccanica e ripetitiva, bensì
comprendendo il suo senso e la sua interrelazione con i contenuti collegati e/o collegabili. Pure i
vigotskiani riconoscono il ruolo della consapevolezza interna del soggetto nello sviluppo, a partire
dall’interazione linguistica e culturale, dei processi cognitivi superiori. Si è giunti, nella visione del
costruttivismo radicale ispirato a J.Piaget, a ipotizzare un ruolo ancor più forte del soggetto, il quale
sviluppa una sua specifica e peculiare interpretazione della realtà con la quale interagisce. Il
costruttivismo sociale, più vicino all’impostazione di L.S. Vygotskij, individua, invece,
nell’interazione e nella partecipazione ai discorsi sociali la base di sviluppo della conoscenza.
La visione prevalente oggi in ambito psicologico mette l’accento su un soggetto attivo costruttore
della sue conoscenze e delle sue abilità, mosso in questa impresa da motivi più endogeni che
esogeni, orientato a conseguire obiettivi che vengono percepiti come desiderabili, mentre egli si
riconosce capace di conseguirli, mettendo in atto sforzi personali e strategie d’apprendimento
appropriate. Il ruolo del docente, come dell’educatore, è quello di sostegno e di facilitatore. Si
giunge così a poter riconoscere alcuni capisaldi di quanto descritto precedentemente: il ruolo del sé
considerato in tutte le sue dimensioni (cognitiva, metacognitive, affettive e volitive), il processo
motivazionale che conduce alla scelta intenzionale, l’elaborazione di un progetto d’azione basato su
strategie e tattiche adeguate, la capacità di gestire in maniera sistematica e perseverante la
realizzazione delle intenzioni d’azione. Questo quadro è oggi, in particolare sotto l’influsso degli
approcci socioculturali, assai più complessificato a causa dell’intervento di molteplici influssi di
natura istituzionale e sociale.
Queste qualità del processo di apprendimento governato dal soggetto sono evidentemente oggetto di
formazione nel corso dell’esperienza scolastica ed extrascolastica propria del periodo evolutivo. Ma
esse dovrebbero caratterizzare ormai la condotta dell’adulto. Da quest’ultimo punto di vista, Carré
(2002) ha tracciato un percorso di analisi che mette in evidenza cinque concezioni di riferimento e
tre livelli di analisi. Le cinque concezioni sono riassumibili nel seguente modo14.
a) Un orientamento autodidattico, che nelle sue evoluzioni più recenti (proprio grazie alle
aumentate possibilità fornite dalla tecnologia) rende possibile un’indipendenza radicale del discente
rispetto alle istituzioni e agli agenti educativi formali; viene esaltata l’autonomia radicale del
soggetto che apprende;
13
Cfr. D.P.Ausubel, Educational Psychology. A cognitive view, Holt, Rinehart & Winston, New York, 1968.
L’elaborazione della sua teoria dell’apprendimento significativo rimane il fondamento ancor valido di una impostazione
didattica che garantisca una adeguata comprensione dei concetti e delle teorie. L’opera a cui ci si riferisce è stata
tradotta in italiano con il titolo Educazione e processi cognitivi (F.Angeli, Milano, 1979).
14
Cfr. anche Pellerey , 2004, 154 e Quaglino, 2004, XIX.
b) Un orientamento educativo; esso raccoglie le soluzioni auto-formative che hanno luogo in
contesti pedagogici strutturati secondo forme di intervento aperte e flessibili, caratterizzate da
modalità specifiche di accompagnamento e di assistenza; è l’impianto favorito nelle attività di
insegnamento a distanza.
c) Un orientamento esistenziale, maggiormente interessato a comprendere il processo di formazione
di sé e a focalizzare l’attenzione su quegli aspetti istruttivi che richiamano processi di costruzione di
senso; la cura di sé si realizza attraverso attività e interventi di natura riflessiva, narrativa,
problematizzante, clinica.
d) Un orientamento socio-organizzativo, più attento alle dimensioni e alle forme collettive
dell’autoformazione e ai legami di questa con i processi di apprendimento organizzativo o in
contesti di cooperazione regolata; viene enfatizzato il momento delle scambio, della messa in
comune delle esperienze, della condivisione.
e) Un orientamento cognitivo, che raccoglie sotto la sua etichetta gli sviluppi più recenti di quelle
che sono state le origini degli studi sull’apprendimento autodiretto, maggiormente interessate alle
dimensioni psicologiche connesse con l’autoefficacia; è attento allo sviluppo delle competenze
metacognitive, metalinguistiche, metacomunicative.
Long (1991) identifica tre livelli di analisi o dimensioni che fanno riferimento alla considerazione
delle problematiche di tipo:
a) psicologico, centrate sull’analisi dei processi di apprendimento e sul grado di controllo
psicologico soggettivo;
b) pedagogico, attente ai dispositivi pedagogico-didattici messi in opera e alla possibilità di un
controllo personale da parte del soggetto;
c) sociologico, che tengono conto dell’autoformazione come fatto sociale, specialmente se attuata
nel contesto di organizzazioni sociali.
E afferma: “L’elemento critico nell’apprendimento auto-diretto non sta nella variabile sociologica,
né nel fattore pedagogico: la distinzione fondamentale è la variabile psicologica, cioè il livello nel
quale l’apprendente, o il sé, mantiene un controllo attivo del processo di apprendimento” (Ibidem,
25)15.
Carré al termine della sua rassegna sottolinea gli apporti che possono essere valorizzati in chiave
formativa, provenienti dalla teoria dell’auto-determinazione di E.L. Deci e R.M. Ryan (1985) e da
quella dell’auto-regolazione di B. Zimmerman (1989, 2000). Essi consentono di prospettare una
chiave interpretativa che non solo tiene conto dei vari studi, ma permette una loro più chiara
collocazione. Carré, infatti, rileva in primo luogo come i termini “determinazione”, che indica
scelta, controllo di senso, intenzionalità dell’azione (registro della motivazione, della scelta, del
15
Se viene assunta una prospettiva prevalentemente psicologica, anche se aperta al sociale e
all’esistenziale, si possono esaminare di studiosi che vanno da Tough (1971), Knowles (1975),
Guglielmino (1977b), Long (1991), Garrison (1989), Foucher e Tremblay (1995), Straka (1997b,
2000a), Confessore (2002), Carré e Moisan (2002), Mezirov (1991). G. Quaglino (2004) ne offre
un’antologia assai significativa che evidenzia alcuni passaggi fondamentali in tema di
autoformazione: il soggetto, la finalizzazione, il quadro contestuale, il metodo. In primo luogo viene
affermata la negazione dell’assunzione di una forma o modello precostituito: “la ricerca di diventare
copia è la negazione di ogni autentico percorso autoformativo”. Poi un telos , una finalizzazione
come “inclinazione alla conoscenza di sé, all’interrogazione profonda di alcune utilità, se non
all’esplorazione, al rispecchiamento, all’introspezione”. Ciò non vuol dire isolamento e negazione
“della presenza, del ruolo, dell’esercizio del formatore” ma tra autonomia e dipendenza una
“dipendente autonomia”. Infine, “autoformazione è coltivazione di sé ovvero polarità tra
conoscenza di sé (critica) e cura di sé (clinica)” (Ibidem, XX-XXI).
progetto), e “ regolazione”, che evoca monitoraggio, valutazione, pilotaggio di un sistema d’azione
(registro del controllo strumentale dell’azione), possono essere sintetizzati nel termine “direzione”,
se questa indica la possibilità di prendere decisioni a due livelli. A un primo livello nel dare senso,
finalità, scopo all’azione; si tratta, dunque, di un livello di controllo di tipo “strategico”, che mette
in evidenza la componente “conativa”. A un secondo livello si richiede di sorvegliare la coerenza, la
tenuta, l’orientamento dell’azione e regolarne il funzionamento o pilotarla; si tratta di un livello
“tattico”.
La proposta di Carré di integrare nel concetto di auto-direzione i concetti di autodeterminazione e di
autoregolazione sembra assai utile, anche perché limitarsi a identificare, come fanno alcuni, il
concetto di auto-direzione con quello di auto-regolazione può aprire la strada a visioni riduzioniste.
A esempio, il paradigma cibernetico ricordato da J.B.Vancouver (2000), spesso utilizzato in studi
che focalizzano la loro attenzione sull’autoregolazione dei contesti organizzativi e industriali, si
riferisce sostanzialmente alla ricerca di sistemi di tipo omeostatico che garantiscano il
mantenimento costante del valore di una variabile, nonostante le possibili influenze disturbanti su di
essa. I modelli più utilizzati derivano dal classico circuito a feedback di N. Wiener (1948),
rielaborato nel tempo per includere ogni stimolo che perturba il sistema, non solo quindi reazioni
dell’ambiente al comportamento del sistema, oppure per evidenziare la considerazione dello stato
desiderato come obiettivo da raggiungere da parte del sistema, superando il concetto di omeostasi.
Una prospettiva simile a questa sembra essere evocata dagli studi sulla dinamica della volizione
portata avanti da molti anni da Julius Kuhl, che, come vedremo più in dettaglio nel seguito, mette in
guardia da un esercizio del controllo dell’azione centrato esclusivamente sul raggiungimento
dell’obiettivo inteso, in una tensione che tende a ignorare o trascurare il sé. In altre parole occorre
che non si perda mai il contatto con il senso e l’aspirazione profonda che guida le nostre scelte per
rimanere prigionieri di una prospettiva si natura efficientistica.
D’altra parte la sollecitazione a centrale i processi educativi prima e formativi, poi, su processi di
autodirezione e autoregolazione dell’apprendimento deriva anche dalle profonde trasformazioni in
corso nel mondo del lavoro e delle professioni. La transizione da una società industriale a una
società, che viene ormai definita postindustriale e postmoderna sia a livello socio-economico, sia
culturale e sociale, è riconducibile, insieme ad altri fattori, a una profonda trasformazione della
natura del lavoro e delle professioni. Così si possono evidenziare: il ruolo centrale della tecnologia e
dei servizi; la mondializzazione delle relazioni e degli scambi economici segnati dalla dinamicità
dei tempi e dalle nuove modalità di scambio; la crucialità dei processi di produzione e di gestione
dell’informazione. Ciò porta a forme di deindustrializzazione e di terziarizzazione, di
moltiplicazione della velocità dei processi di innovazione a tutti i livelli, di differenziazione e
complessificazione a livello sociale ed economico, di crescente flessibilizzazione dei processi
produttivi legata a fenomeni di decentramento e frammentazione, di potenziamento della logica di
organizzazione a rete,…
Tutto ciò conduce a una crescente instabilità dell’impiego e delle conoscenze e competenze già
acquisite e di conseguenza alla necessità di sviluppare una capacità di gestione autonoma del
proprio percorso personale formativo e professionale, scegliendo gli obiettivi professionali e le
esperienze di formazione e di lavoro, che consentono di conseguirli, e di rendere così più spendibile
la propria professionalità. Anche per questo va sostenuto un passaggio progressivo del discente
verso: a) un apprendimento autodiretto; b) la costruzione di conoscenze profonde e spendibili in uno
specifico dominio; c) la valorizzazione della dimensione emotiva; d) il considerare i risultati e il
fenomeno stesso di apprendimento come fenomeni sociali (Bolhuis, 2003).
Le tendenze più recenti nella teorizzazione dell’apprendimento adulto possono essere descritte
come postomoderne e critiche nel senso di concepire il percorso di costruzione della conoscenza e
di se stessi partecipando a forme di conversazione e a discorsi molteplici e progressivamente
allargati, e valorizzando la riflessione critica e la crescita nella consapevolezza (Kilgore, 2001). La
costruzione della propria identità assume in questo contesto un ruolo centrale rispetto alle forme
tradizionali di identità collettiva. (Benadusi, 1998). La conseguenza a livello di processi formativi è:
a) il passaggio da una logica lineare, sequenziale e razionale a una basata sulla relazionalità e la
soggettività; b) un’attenzione specifica verso i processi di costruzione di significato e di
interpretazione del mondo e verso l’emotività personale; c) un metodologia più incline a seguire le
articolazioni del processo riflessivo e di quello narrativo; d) modalità valutative più articolate e
basata su una raccolta di dati relativi alle azioni e alle relazioni attivate nel processo formativo.
5. Il processo di autodirezione
Nel quadro di riferimento sopra presentato il processo di autodirezione coinvolge direttamente il
sistema del Sé. Esso infatti implica l’attivazione del proprio mondo interiore nei confronti della
situazione in cui ci si trova o compito che si deve affrontare. Il processo che si attua, definito
motivazionale da Heckausen e colleghi (Heckhausen, 1992) porta infatti alla “determinazione” degli
obiettivi da conseguire. Ciò indica scelta, controllo di senso, intenzionalità dell’azione; si tratta,
cioè, del registro della motivazione e della scelta.
In questo ambito la possibilità di provare esperienze positive, sia emozionalmente, sia
cognitivamente è legata profondamente alla percezione che si ha del valore di una data attività al
fine della propria crescita personale o di quella di altri a cui siamo legati affettivamente. La
psicologia cosiddetta umanistica ha messo in evidenza come questa percezione sia legata a un
insieme di motivazioni profonde e personali, che vengono denominate intrinseche. Deci e Ryan
(1985) e Deci e Flaste (1996) hanno esaminato in particolare tre tipi di motivazioni intrinseche
mettendone in luce il ruolo nell’esperimentare positivamente una determinata situazione di vita e
l’interazione tra queste e quelle che sono state definite motivazioni estrinseche.
Le principali motivazioni intrinseche, proprie di ogni essere umano e presenti fin dalla più tenera
infanzia, sono per questi Autori: il bisogno di sentirsi autonomi, il bisogno di percepirsi competenti,
il bisogno di relazionarsi con altri. Quanto alle motivazioni estrinseche, esse provengono dalle
sollecitazioni esterne e sono relative alle varie forme di convivenza sociale e ai valori che sono in
tali contesti prevalenti. Tra le motivazioni estrinseche, che spesso sono oggi evocate nel
contrapporle a quelle intrinseche, sembra che giochino un ruolo importante la ricerca di fama,
onore, ricchezza, potere, successo, attrazione fisica. Almeno per quanto concerne i contesti
occidentali e soprattutto quelli nord-americani. Ma non tutte le motivazioni estrinseche di per sé
sono corruttrici. Basti pensare alle conoscenze, alle competenze e ai valori di cui non si è mai avuta
esperienza diretta. Anzi, occorre con forza richiamare il ruolo essenziale dell’interiorizzazione di
motivazioni che provengono dai processi di inculturazione e di educazione e che orientano il
soggetto in età evolutiva a collocarsi nel contesto prima famigliare, poi, via via, più in quelli più
vasti e complessi della vita sociale e culturale della comunità di appartenenza, riuscendo ad
attribuire senso alle sue esperienze di vita e finalizzazione alle sue azioni e interazioni.
Il bambino secondo questa prospettiva è sollecitato dalla forza interiore delle motivazioni
intrinseche e nella valutazione della qualità delle sue esperienze utilizza come riferimento la
coerenza o congruenza tra queste ultime e le spinte interiori provenienti dal bisogno di percezione
di autonomia, di competenza, di relazione. Di qui la sua reazione emozionale e il costituirsi nel
tempo di un atteggiamento positivo o negativo verso persone, situazioni, luoghi, attività. L’adulto
ha quindi un ruolo educativo preciso nell’aiutare a canalizzare tali forze interiori secondo percorsi
validi dal punto di vista della crescita personale, sociale, culturale e professionale. A esempio, il
bisogno di sentirsi autonomi va guidato verso lo sviluppo di un proprio progetto di vita, di una
capacità di scelta basata su valori caratterizzanti la propria identità e di perseveranza nel portare a
termine le proprie scelte e i propri progetti. L’educazione alla libertà si innesta sul bisogno di
autodeterminazione e di autorealizzazione.
La strada che conduce a una integrazione positiva di motivazioni intrinseche e motivazioni
estrinseche si sviluppa secondo l’impostazione elaborata da Deci e Ryan secondo tre fondamentali
livelli.
Il primo livello è quello della introiezione di modalità d’azione e di comportamento. Il soggetto,
cioè, si regola nella sua condotta sulla base di influenze esterne (comandi, sollecitazioni,
suggerimenti, proposte, modelli, mode) senza che queste vengano percepite e assunte
personalmente, perché riconosciute congruenti con i propri bisogni fondamentali. Viene a mancare
un mediazione interiore che consenta di verificare se certe indicazioni, sollecitazioni o influenze
consentono un’autentica crescita di autonomia, di competenza o di capacità di rapporto personale. A
esempio, si introietta il culto per il denaro e si accettano acriticamente forme di comportamento che
sono prevalenti in contesti che fanno della ricchezza un valore dominante. Analoga
esemplificazione può essere fatta per la ricerca della forma fisica o per la scelta del modo di vestire,
di atteggiarsi o di esprimersi.
Un secondo livello di interiorizzazione delle motivazioni estrinseche deriva dalla identificazione di
sé con forme di condotta, modalità di valutazione, prospettive di vita che derivano dall’impatto con
gli altri, siano essi educatori o meno. Così una pratica sportiva può portare progressivamente all’identificazione di sé con i valori che sono propri di tale pratica; una pratica di aiuto agli altri
vissuta in un contesto di attività di volontariato può portare a percepire tale pratica come positiva
per la propria vita.
Il terzo livello di interiorizzazione conduce a una integrazione delle motivazioni estrinseche con le
motivazioni intrinseche originarie. A esempio, la motivazione alla ricchezza e al guadagno viene
moderata o integrata dal bisogno di sentirsi autonomi e competenti. Il riconoscimento economico
viene colto come un segnale di competenza, la disponibilità di risorse come mezzo per vivere una
vita famigliare serena e attenta ai bisogni dei singoli. Le motivazioni estrinseche in questo caso non
sono valutate nella loro specifica identità, bensì in relazione a un migliore e più maturo
soddisfacimento delle motivazioni intrinseche.
La prospettiva delineata da questi Autori può risultare utile, se riletta in maniera opportuna, per
impostare in maniera valida e feconda la conversazione educativa che orienta, guida e sostiene il
soggetto in età evolutiva. In questa prospettiva sembra, infatti, necessario aggiungere alle tre
motivazioni intrinseche individuate da Deci e Ryan un bisogno di attribuzione di senso e di finalità
alle proprie esperienze, che le attraversa tutte e fornisce loro quella forma che è propria del processo
educativo. Si tratta cioè di promuovere il possesso di riferimenti e disposizioni interne che
consentano di interpretare e orientare in maniera significativa le vicende quotidiane che si devono
affrontare. In altre parole si tratta di dare senso e prospettiva alle forze interne originarie o
motivazioni intrinseche. E’ forse questo il risultato principale delle ricerche che verranno presentate
nel secondo e terzo capitolo. Esse da una parte hanno condotto a una elaborazione e validazione di
due strumenti di rilevazione validi e affidabili riferiti il primo al ruolo delle motivazioni intrinseche
e il secondo al senso esistenziale posseduto; dall’altra hanno studiato le correlazioni esistenti
proprio tra motivazioni intrinseche e bisogno di dare senso e prospettiva alla propria vicenda
esistenziale.
6. Autodirezione e controllo dell’azione
Julius Kuhl ha approfondito l’analisi della fase postdecisionale che precede immediatamente la
realizzazione della scelta effettuata. Egli distingue in primo luogo due modi di viverla. Li indica con
le espressioni «orientamento all’azione» e «orientamento allo stato». Egli distingue, cioè, tra due
modi di procedere, uno più energico e chiaramente definito e uno più insicuro e incerto. Nel primo
caso la persona si concentra sul compito da svolgere e sulle strategie e schemi d’azione che sono
necessari o utili a raggiungere l’obiettivo. Nel secondo caso la persona rimane in una condizione
che si può definire pre-attiva, perché tendente a ruminare i suoi dubbi e le sue emozioni, a ritornare
sulle difficoltà passate o presenti, a considerare possibili strategie alternative, a non visualizzare se
stessi nell’azione da svolgere, ecc.
Più puntualmente Kuhl ha esplorato negli anni ottanta il processo di controllo delle azioni, mettendo
in evidenzia un sistema di autoregolazione di ordine metacognitivo. L’emergere di questo sistema si
verificherebbe intorno ai 9 anni. Kuhl (1983; 1984) ha individuato sei strategie di tipo
metacognitivo che permettono l’autocontrollo delle azioni.
a) Strategie di attenzione selettiva rivolte alle informazioni pertinenti, utili o necessarie a sviluppare
positivamente l’azione; parallelamente strategie di inibizione delle informazioni che possono
favorire tendenze competitive.
b) Strategie di mantenimento nella memoria di lavoro e di codificazione delle informazioni che
proteggono le intenzioni e migliorano o mantengono efficienti i piani d’azione correnti, mentre
eliminano elementi che potrebbero indebolirli o renderli inefficaci.
c) Strategie cognitive di governo, come una certa parsimonia nel ricercare le informazioni che
possono facilitare o inibire la realizzazione delle intenzioni, selezionando solo quelle fondamentali.
d) Strategie di controllo delle emozioni che possono ridurre la forza del processo volitivo sia nella
predisposizione di un piano d’azione, sia durante l’azione.
e) Strategie di controllo e di protezione delle motivazioni di fronte a motivazioni alternative che
entrano in concorrenza con quelle presenti. Oltre a strategie analoghe a quelle di attenzione
selettiva, ma che riguardano direttamente il rinforzo della motivazione, si possono ricordare
strategie di richiamo alla memoria delle ragioni e dei motivi che sono alla base delle scelte operate.
f) Strategie di organizzazione e governo dell’ambiente di apprendimento. In questo caso oltre alle
consuete forme di organizzazione di un ambiente non distraente, di evitamento di elementi o
persone che disturbano la concentrazione e l’attenzione, si possono ricordare forme di impegno
sociale, cioè il manifestare le decisioni prese a persone che sono per noi importanti e che possono a
loro volta costituire motivo di sollecitazione a portare a termine i nostri piani d’azione.
Accanto a queste forme esplicite di controllo delle proprie azioni, che mettono in luce quello che è
stato definito il processo volitivo o volizione, occorre considerare anche modalità più automatiche e
consolidate di gestione di sé nella realizzazione delle proprie decisioni. Le stesse scelte di agire in
circostanze specifiche possono rimanere implicite, tanto da far apparire l’azione come automatica,
perché immediata e realizzata senza una specifica consapevolezza critica. L’interazione tra il Sé e i
suoi orientamenti motivazionali di fondo (come valori, significati, desideri, atteggiamenti, ecc.) con
situazioni particolarmente sollecitanti la reazione operativa portano a comportamenti che visti
dall’esterno appaiono come immediati e non riflessi. Questi spesso possono essere ricondotti
nell’ambito di quelli che vengono definiti “abiti”, cioè tendenze consolidate a agire e reagire in
maniera coerente con il proprio quadro di riferimento interiore.
Più recentemente (Kuhl, 2000), ha esaminato in maniera più puntuale la dinamica tra il controllo
delle azioni e congruenza con il proprio Io. Egli ha infatti esplorato più in profondità i meccanismi
che entrano in gioco nel processo attuativo della proprie scelte, nel quadro di un teoria della
personalità che randa conto non solo dei processi volitivi, ma anche di dinamiche interne più
profonde. A un succinta presentazione della sua teoria è dedicato il terzo capitolo, che presenta la
messa a punto di uno strumento di rilevazione della percezione soggettiva degli elementi più
significativi caratterizzanti queste dinamiche e la sua applicazione a un campione di studenti
universitari.
7 Il processo di autoregolazione
Quanto al processo di autoregolazione, che indica monitoraggio, valutazione, pilotaggio di un
sistema d’azione, si è già chiarito che esso evidenzia il ruolo del registro del controllo strumentale
dell’azione. In questa direzione uno dei contributi più significativi è quello derivato dagli studi
condotti nell’ambito della psicologia sociocognitiva e in particolare da B.J. Zimmerman che
descriveva già nel 1986 il costrutto in questi termini “L’auto-regolazione si riferisce al grado o
livello secondo il quale i soggetti sono attivi partecipanti al processo del proprio apprendimento
metacognitivamente, motivazionalmente e operativamente”(Zimmerman, 1989). Gli studi collegati
a questa prospettiva hanno evidenziato la complessità dei percorsi formativi che portano gli studenti
ad essere capaci e vogliosi di assumersi la responsabilità della gestione del proprio apprendimento.
A esempio, sono state evidenziate alcune variabili che incidono significativamente sulla capacità di
autoregolazione come la gestione del tempo di studio, la pratica sviluppata, la padronanza di metodi
per imparare, il ruolo degli obiettivi che personalmente si intende raggiungere, la percezione di
efficacia (Zimmerman, 2002a, 5).
P. Pintrich e A. Zusho hanno descritto un apprendimento auto-regolato in questi termini: «processo
attivo, costruttivo secondo il quale i soggetti che apprendono pongono gli obiettivi del loro
apprendimento e quindi cercano di seguire, regolare e tenere sotto controllo la propria cognizione,
motivazione e il proprio comportamento al loro servizio, guidati e condizionati dalle caratteristiche
personali e dagli aspetti contestuali dell’ambiente» (Pintrich e Zusho, 2002, p.250). La definizione è
analoga a quella sviluppata da B. Zimmerman (2000), che considera tre fasi o passaggi
fondamentali, secondo i quali si manifesta in genere una competenza auto-regolativa
nell’apprendimento sia scolastico, sia professionale. La prima fase conduce all’elaborazione di un
progetto d’azione, che collega la capacità di integrare sul piano decisionale le varie dimensioni del
sé e la percezione della situazione da affrontare (Nuttin, 1983; Pellerey, 1999). La seconda fase
concerne la realizzazione dell’azione caratterizzata da alcuni specifici processi regolativi e volitivi.
La terza fase comprende i processi di riflessione al termine dell’azione: valutazioni e reazioni
emozionali di varia natura. Queste fasi o passaggi fondamentali si svolgono generalmente in forma
ciclica. In particolare la fase di riflessione dopo l’azione influisce fortemente sulla prima, e
specificamente sul sistema del sé sia dal punto di vista del concetto di sé, sia su quello delle
tendenze motivazionali (Fig.1).
In questa prospettiva ciclica, i processi di anticipazione o di preparazione precedono le azioni di
apprendimento e ne fissano il quadro, o cornice di riferimento. I processi della fase d’azione o di
attuazione si svolgono durante gli sforzi di apprendimento e influenzano l’attenzione e l’attività, e i
processi di auto-riflessione sopravvengono dopo gli sforzi di apprendimento e influenzano le
reazioni della persona di fronte a essi. Queste auto-riflessioni, a loro volta, influenzano
l’anticipazione relativa all’impegno messo in atto nelle azioni di apprendimento ulteriori,
completando in questo modo un processo auto-regolatore. Grazie alla sua natura ciclica, questo
modello cerca di spiegare l’apprendimento non solo e non tanto in contesti formali di formazione,
quanto, se non soprattutto, in quelli informali, in cui la prospettiva è più spesso un processo di
sviluppo continuo che un risultato ben preciso.
Fase di attuazione:
- uso di strategie di
auto-osservazione e
di autocontrollo
Fase di preparazione:
Fase di riflessione:
- ruolo delle
- autovalutazione
convinzioni e delle
- elaborazione delle
motivazioni
attribuzioni causali
- definizione degli
obiettivi
Fig. 1. Lo schema ciclico del processo di autoregolazione (adattato da B. J. Zimmerman e M.
Campillo, 2003, p.239).
a) La fase dell’anticipazione o di preparazione dell’azione
I processi di anticipazione, secondo Zimmerman, possono essere raggruppati secondo due tipologie:
a) quelli che si riferiscono all’analisi del compito e dei compiti da affrontare e alla conseguente
presa di decisione circa gli obiettivi da raggiungere; b) quelli che derivano dalle convinzioni di tipo
motivazionale, che sono in grado di dare energia e direzione all’azione da intraprendere. Secondo la
teoria socio-cognitiva (Bandura, 1991), gli obiettivi posti da soggetti altamente auto-regolati sono
organizzati secondo una struttura gerarchica, in modo tale che i processi strategici e gli obiettivi dei
sotto-processi servono da regolatori di prossimità in vista di finalità più lontane dall’azione
immediata. In altre parole gli obiettivi più a lungo termine sono visti come raggiungibili, se
riusciamo a considerare e conquistare obiettivi più vicini e più facilmente conseguibili. Al contrario,
i soggetti mal regolati si fissano spesso mete lontane, vaghe e poco strutturate, rimanendo senza
riferimenti strategici immediati e, quindi, incerti sul da farsi.
I processi anticipatori di soggetti altamente auto-regolati si basano, poi, su convinzioni automotivazionali favorevoli come percezioni più acute della loro auto-efficacia, desiderio e attesa di
giungere ai risultati prefigurati, interesse intrinseco per l’attività da svolgere e orientamento verso il
raggiungimento di un reale apprendimento personale. L’auto-efficacia rimanda alla fiducia
personale che si ha nella propria capacità di imparare o di realizzare l’azione in modo efficace
(Bandura, 1997). Una fonte di motivazione che vi si avvicina molto è l’aspettativa di essere in grado
di ottenere il risultato inteso, che rimanda a una fiducia che viene consolidata sulla base degli ultimi
risultati ottenuti. Un orientamento motivazionale rivolto verso l’obiettivo dell’apprendimento
caratterizza l’intenzione degli allievi di costruire effettivamente le loro competenze come un
patrimonio personale permanente. Infine, l’interesse intrinseco riporta al fatto di accordare maggior
valore al compito in se stesso che alle sue qualità strumentali nel conseguimento di altri risultati. I
soggetti poco auto-regolati percepiscono poca auto-efficacia personale, nutrono deboli aspettative di
ottenere risultati dal loro impegno, sono orientati più verso i riconoscimenti esterni che verso
l’apprendimento considerato in se stesso e mostrano poco interesse intrinseco nei compiti di
apprendimento.
b) La fase di attuazione dell’azione o del progetto
Secondo Zimmerman i processi relativi alla fase attiva e di controllo dell’azione possono essere
raggruppati secondo due grandi categorie di riferimento: l’auto-controllo e l’auto-osservazione. I
processi di auto-controllo a cui egli fa riferimento sono soprattutto l’auto-istruzione, l’uso di
immagini mentali, la focalizzazione dell’attenzione e le strategie più direttamente legate alla
realizzazione dei propri obiettivi. Tali processi aiutano i soggetti a concentrarsi sul compito e a
ottimizzare i propri sforzi. L’auto-istruzione coinvolge apertamente o implicitamente una
descrizione di come si debba procedere nel portare a termine la propria attività. Evidentemente ciò
può evocare l’essere in possesso di modelli d’azione, o di routine di condotta, che già sono stati
interiorizzati dal soggetto e che possono essere richiamati nel corso dell’azione; oppure indicare
disponibilità e capacità di elaborazione più o meno creativa di percorsi non ancora sperimentati o
resi disponibili nel proprio repertorio di competenze.
L’uso di immagini mentali interne è un’altra tecnica di auto-controllo ampiamente usata nell’aiutare
l’attività di acquisizione significativa delle conoscenze e di sviluppo delle prestazioni. La
focalizzazione dell’attenzione, è utilizzata per facilitare la concentrazione e l’esame di altri processi
ed eventi interni ed esterni. Kuhl e Beckmann (1985) hanno esplorato tecniche di questo tipo
evidenziandone la validità. Essi, in particolare Kuhl, hanno studiato e proposto varie modalità di
controllo e di regolazione del proprio agire in questa fase (Pellerey, 2001). Le strategie riferite al
compito da svolgere hanno anch’esse un ruolo non indifferente nel favorire l’azione di
apprendimento e di lavoro in quanto mirano a mettere in risalto gli elementi essenziali verso cui
concentrare la propria attenzione. Si tratta in genere di comportamenti di natura strategica che
mirano a coordinare la propria attività in maniera più efficace ed efficiente al fine di raggiungere
l’obiettivo o la finalità intesa. È stato, d’altronde, notato come gli allievi mal auto-regolati non
avessero un approccio strategico dell’apprendimento.
La seconda categoria di processi della fase d’azione è l’auto-osservazione, che rimanda al
sorvegliare gli aspetti specifici dell’attività, le condizioni circostanti e gli effetti che produce. Dal
momento che i soggetti debolmente auto-regolati non si pongono mete specifiche, sono spesso
sovraccaricati dalla quantità di informazioni da controllare e si rivelano incapaci di ottimizzare le
loro strategie. L’auto-monitoraggio dei propri sforzi nella risoluzione di problemi è suscettibile di
aumentare in modo significativo la prossimità, l’interesse, la precisione e il valore delle retroazioni.
I soggetti altamente auto-regolati, infatti, si dedicano a delle attività di auto-monitoraggio, più di
quelli debolmente auto-regolati.
c) La fase della riflessione successiva all’azione
Bandura (1986) ha identificato due fondamentali processi auto-riflessivi: il primo è di natura
valutativa e riguarda vari aspetti dell’agire apprenditivo e dei risultati conseguiti; il secondo
concerne le reazioni soggettive di natura cognitiva, affettiva e motivazionale relative alla ricerca
delle cause che sono state all’origine dei risultati conseguiti.
In primo luogo l’auto-valutazione può appoggiarsi su alcuni criteri che la gente normalmente
utilizza per esprimere un giudizio relativo alle proprie prestazioni: la padronanza raggiunta, le
prestazioni precedenti, quelle degli altri, la collaborazione attuata. La valutazione della padronanza
raggiunta è facilitata da un piano di apprendimento che sia articolato in maniera tale da poter
verificare se qualche livello intermedio di competenza è stato raggiunto. Si ha così un quadro di
riferimento che consente di valorizzare anche progressi modesti, ma reali. Di diversa natura, ma
ugualmente importante, è una valutazione che si confronta con le proprie prestazioni precedenti.
Ciò può avere un effetto motivazionale non indifferente, se si constata che effettivamente le ultime
prestazioni sono migliori delle precedenti. Il confronto con le prestazioni degli altri o con
riferimenti o standard generali ha anch’esso un ruolo importante in questo tipo di giudizi. In tal caso
si possono avere non poche reazioni negative, se ci si accorge di un livello di prestazioni inferiori a
quanto socialmente considerato. Tuttavia, questo tipo di valutazioni può assumere un ruolo assai
positivo se il confronto viene fatto con un modello di comportamento o di azioni da seguire. È
questo il caso dell’apprendistato sia pratico, sia cognitivo. Infine, può essere presa in considerazione
anche la componente collaborativa, soprattutto se questa risulta centrale sia come obiettivo, sia
come strategia di apprendimento.
La valutazione delle cause che hanno consentito di raggiungere i risultati conseguiti, siano essi
positivi o negativi, porta direttamente alla considerazione del capitolo riferibile alle attribuzioni
causali. Queste hanno un ruolo determinante non solo dal punto di vista motivazionale, ma anche
emozionale e morale (Weiner, 1986). Su questo aspetto del processo di autoregolazione
concentreremo nel seguito la nostra attenzione.
Una serie di indagini sviluppate su queste tematiche sono presentate nei capitoli quinto, sesto e
settimo. In particolare sono stati esaminati alcuni di questi processi nella loro percezione e gestione
da parte di soggetti in età evolutiva e di adulti, costruendo e validando i relativi strumenti di
rilevazione.
8. Riflessioni intermedie
Il quadro sintetico presentato nelle pagine precedenti se tende da una parte a mettere in luce la
complessità della problematica sollevata, evidenziando la centralità del soggetto che apprende,
dall’altra, non può far perdere di vista che questi è collocato in un contesto istituzionale, sociale e
materiale specifico. I processi di autodirezione e di autoregolazione, nelle varie eccezioni proposte
da singole correnti psicologiche e pedagogiche, hanno caratteristiche peculiari per ogni individuo,
sia perché questi è portatore di una particolare visione di sé e del mondo e di una più o meno
consapevole e definita prospettiva esistenziale personale, sia perché egli si trova a interagire sia con
un ambiente definito istituzionalmente e organizzativamente, sia con una pluralità di adulti
impegnati nelle attività didattico e formative predisposte nei suoi riguardi, sia con compagni in
varie forme di interazione e comunicazione interpersonale, sia con strumenti e le tecnologie
didattiche adottate in maniera più o meno perspicua. Nuttin, come abbiamo notato, aveva messo in
luce come uno stato motivazionale emerga nell’impatto tra il sistema del sé e l’ambiente quale è dal
soggetto percepito. Più generalmente, possiamo aprire l’orizzonte ai rapporti instaurati dal soggetto
con tutto il contesto istituzionale, culturale, sociale, fisico e tecnologico nel quale è immerso. Se
l’ambiente, considerato in tutte le sue componenti, tende a orientare e regolare il processo di
apprendimento esso, però rimarrà inefficace, se non controproducente, qualora lo studente non
riesca a entrare in una positiva interazione con esso. In altre parole l’influsso degli altri, come del
contesto fisico, deve fare i conti con le competenze autoregolatrici dello studente e con la sua
volontà di farlo. Un eccesso di controllo e regolazione dell’apprendimento proveniente
dall’ambiente può provocare tensioni e conflitti distruttivi se lo studente ha già raggiunto sufficienti
capacità di gestione di sé, fino a provocare cadute pericolose di impegno e interesse. Meno
problematico è il caso di forme di gestione esterna quando il soggetto è più incerto e non riecce a
dominare le strategie di pensiero e di apprendimento necessarie. Tuttavia a lungo andare questi
diventerà sempre più dipendente dagli altri e incapace di affrontare autonomamente situazioni anche
moderatamente sfidanti16.
La partecipazione continuativa a un particolare spazio o ambiente di insegnamento e apprendimento
porta progressivamente a una rappresentazione interna degli impegni richiesti al fine di far propri i
contenuti proposti. Ciò può ulteriormente articolarsi in relazione a tematiche disciplinari specifiche,
alla presenza di docenti che attuano metodologie didattiche e modalità di interazione diversificate, a
forme di lavoro collettivo o individuale, ai sistemi di valutazione adottati, ecc. In altre parole lo
16
Un esame delle tensioni costruttive o distruttive che possono essere presenti nel gioco tra regolazione esterna ed
interna del processo di apprendimento è stato affrontato in un mio articolo di alcuni anni fa: M. Pellerey, "Controllo e
autocontrollo nell’apprendimento scolastico. Il gioco tra regolazione interna ed esterna", Orientamenti Pedagogici,
1990(37), 3, 473-491.
studente tende a interpretare il suo ruolo nel contesto educativo e formativo cercando di individuare
le linea di minor tensione possibile e di maggiore utilità personale. Si tratta di un vero e proprio
inquadramento delle situazione che, a seconda del sistema di attese personale e di attribuzione di
significato e valore, delle richieste più o meno esplicite poste dall’istituzione, dai docenti, dalle
modalità di attuazione delle relazione tra compagni condizioni, conduce a una personale
collocazione sul piano cognitivo, metacognitivo, emozionale e motivazionale. L’intervento
educativo e didattico deve tener conto di questo stato soggettivo e cercare di impostare un progetto
di azione che a seconda dei casi può essere congruente con esso, oppure può richiedere il rischio di
una sollecitazione, anche fonte di tensioni, per promuoverne una modificazione anche profonda.
9. La capacità di auto-regolazione nell’apprendimento e nel trasferimento di competenze
scolastiche e professionali.
Come ricordato precedentemente, Zimmerman (1989b) ha descritto la persona autoregolata come
una persona che è motivata alla riuscita di un compito, che si fissa degli obiettivi realisti per ciò che
concerne il compimento del compito, che utilizza delle strategie per realizzarlo, che controlla la sua
attività per poter misurare l’efficacia delle sue strategie e quando è necessario sostituisce una
strategia inefficace o adatta il suo comportamento di utilizzazione di una strategia.
Nel caso di studenti, le indagini finora svolte (Corno, 2001; Zimmerman, 2000, 2001, 2002) hanno
messo in luce le caratteristiche che distinguono gli studenti che sono in grado di autoregolare il
proprio apprendimento da quelli che non lo sono. Ecco alcune delle principali indicazioni emerse.
1) Essi hanno famigliarità e sanno utilizzare un insieme di strategie cognitive (memorizzazione,
elaborazione, organizzazione), che li aiutano a considerare, trasformare, elaborare, organizzare e
recuperare le informazioni.
2) Sono in grado di pianificare, controllare e dirigere i propri processi mentali al fine di conseguire
obiettivi personalmente scelti.
3) Mostrano un insieme di convinzioni motivazionali ed emozioni favorevoli, come senso di
autoefficacia scolastica, orientamento ad apprendere e non solo a conseguire buoni voti, sviluppo di
emozioni positive nei riguardi dei compiti da affrontare (gioia, soddisfazione,entusiasmo, ecc.) e la
capacità di controllarle e modificarle secondo le esigenze dei compiti e delle situazioni.
4) Sanno pianificare e controllare il tempo e lo sforzo coerentemente con gli impegni assunti,
riuscendo a strutturare ambienti favorevoli all’apprendimento e cercando nelle difficoltà l’aiuto
degli insegnanti e/o dei propri compagni.
5) In base alle possibilità esistenti, mostrano grande impegno nel partecipare alla gestione degli
impegni scolastici, del clima della classe e della sua organizzazione.
6) Sono capaci di mettere in atto una serie di strategie volitive, dirette ad evitare distrazioni interne
ed esterne, a mantenere la concentrazione, lo sforzo e la motivazione, mentre portano a termine i
loro compiti.
Come si può facilmente notare, le prime due indicazioni si riferiscono ad aspetti comportamentali di
tipo metacognitivo, in quanto tengono conto di conoscenze, sensibilità, monitoraggio e governo di
processi di natura cognitiva. La terza indicazione tocca aspetti di gestione della dimensione
emozionale e motivazionale. La quarta e la sesta coprono competenze di natura volitiva, mentre la
quinta evoca sneso di partecipazione e responsabilità alla vita della comunità di apprendimento.
Schunk (1996) ha sottolineato come l’elemento critico nell’auto-regolazione stia nel fatto che il
soggetto può esercitare le sue scelte in almeno alcuni degli aspetti presi in considerazione nella
prima colonna della Fig.1 e sottolineati nella terza. Se tutti questi aspetti sono controllati
dall’esterno ci si ritrova in situazioni nelle quali non si può né esercitare, né sviluppare la
competenza auto-regolativa. L’ultima colonna indica alcuni dei processi che caratterizzano la
capacità di autoregolazione.
Aspetti
dell’apprendimento
Perché
Dimensioni dell’apprendimento
Condizioni
dell’apprendimento
Sceglie di
partecipare
Carattere dell’autoregolazione
Processi
auto-regolativi
E’auto-motivato
Sceglie il
Metodo
Sceglie i limiti di tempo
Sceglie il comportamento finale
E’ pianificato o
automatizzato
E’ tempestivo ed
Efficiente
E’ consapevole
della prestazione
Ambiente fisico
Sceglie il
contesto
Ambiente sociale
Sceglie il
compagno,
il modello,
il docente
E’ sensibile all’ambiente e
adattabile
E’ sensibile all’ambiente e
adattabile
Auto-efficacia e
auto-orientamento
Uso di strategie
e/o di routine
Gestione del
tempo
Autoosservazione,
auto-valutazione,
auto-reazione
Strutturazione
dell’ambiente
Come
Metodo
Quando
Tempo
Che cosa
Comportamento
Dove
Con chi
Motivi
Selettività nella
ricerca d’aiuto
Tab.1 Quadro di riferimento per i processi di autoregolazione adattato da Schunk (1996, 340).
D’altra parte, gli apporti di J, Kuhl hanno messo in luce come nel processo di autoregolazione la
fase decisionale e volitiva non possa essere disgiunta dalla considerazione delle attese, dei
significati, delle finalità generali esistenziali che caratterizzano il sistema del sé. Non si può ridurre
l’autoregolazione alla sola gestione funzionale del processo apprenditivo di obiettivi definiti dal
sistema educativo ignorando o trascurando il sistema di significati e di finalità generali presenti nel
soggetto.
B. Zimmerman, lo ricordiamo, considera tre fasi o passaggi fondamentali nei quali si attua una
competenza auto-regolativa nell’apprendimento: la fase in cui si giunge all’elaborazione di un
progetto d’azione e che implica la capacità di integrare sul piano decisionale le varie dimensioni del
Sé e la percezione della situazione da affrontare; la fase della realizzazione dell’azione,
caratterizzata da alcuni specifici processi regolativi e volitivi; la fase della riflessione al termine
dell’azione, che coinvolge valutazioni e reazioni emozionali di varia natura. In questa prospettiva
ciclica, i processi di anticipazione precedono gli sforzi di apprendimento e ne fissano il quadro, o
cornice di riferimento. I processi della fase d’azione si svolgono durante gli sforzi di apprendimento
e influenzano l’attenzione e l’attività, e i processi di auto-riflessione sopravvengono dopo gli sforzi
di apprendimento e influenzano le reazioni della persona di fronte a essi. Queste auto-riflessioni, a
loro volta, influenzano l’anticipazione relativa agli sforzi di apprendimento ulteriori, completando
in questo modo un processo auto-regolatore. Grazie alla sua natura ciclica, questo modello cerca di
spiegare l’apprendimento non solo e non tanto in contesti formali di formazione, quanto, se non
soprattutto, in quelli informali, in cui la prospettiva è più spesso un processo di sviluppo continuo
che un risultato ben preciso.
P.R. Pintrich (2000, 454) ha riassunto nel quadro di Fig.2 le fasi e le aree del processo di
apprendimento auto-regolato, articolando la fase dell’azione in due sottofasi: il monitoraggio e il
controllo.
Aree di auto-regolazione
Fasi
Anticipazione,
pianificazione,
attivazione
Cognitiva
Motivazionale
Voltitiva
Contesto
Definizione degli Adozione di un Pianificazione del Percezione
obiettivi
orientamento
tempo
compito
motivazionale
del
Controllo della
attivazione della
conoscenza
del
Giudizi di efficacia
Pianificazione
Percezione
dell’autoefficacia contesto
Percezione della
difficoltà del
compito
Attivazione della
meta-cognizione
Monitoraggio
Attivazione del
valore del
compito
Attivazione
dell’interesse
Consapevolezza
metacognitiva e
monitoraggio
della cognizione
Consapevolezza e
monitoraggio
della motivazione
e delle emozioni
Controllo
Reazione e
riflessione
Consapevolezza e
monitoraggio
dello sforzo, uso
del tempo,
bisogno di aiuto
Monitoraggio dei
cambiamenti
delle condizioni
del compito e/o
del contesto
Autoosservazione del
comportamento
Selezione e
adattamento delle
strategie per
apprendere e
pensare
Selezione e
adattamento delle
strategie per
gestire la
motivazione e le
emozioni
Giudizi cognitivi
Reazioni affettive Scelta del
comportamento
Attribuzioni
causali
Attribuzioni
causali
Aumento o
diminuzione
dell’impegno
Cambiamento o
rinegoziazione
del compito
Persistenza,
Cambiamento o
rinuncia, richiesta abbandono
del
di aiuto
contesto
Valutazione
compito
Valutazione
contesto
del
del
Tab. 2 Le aree di autoregolazione nelle varie fasi dell’azione di apprendimento. Adattamento da
Pintrich (2000, 454).
10. Strumenti per valutare la competenza di auto-direzione nell’apprendimento professionale.
Nel corso dei tre decenni passati sono stati sviluppati vari strumenti per diagnosticare il livello
raggiunto nella capacità di auto-dirigere e/o auto-regolare il proprio apprendimento. Spesso tuttavia
è venuto a mancare un quadro teorico sufficientemente organico di riferimento, così sono stati
elaborati spesso strumenti di auto-valutazione centrati su singoli aspetti o fasi del processo autoregolativo. Inoltre, altrettanto spesso ci si è rivolti prevalentemente a soggetti in età scolare (1) o a
soggetti adulti, cioè superiori a diciotto anni, che frequentano corsi di livello universitario. Meno
spesso sono stati elaborati e validati strumenti diagnostici prendendo in considerazione
specificatamente soggetti adulti già coinvolti in attività lavorative. Inoltre, le metodologie utilizzate
hanno puntato soprattutto su questionari di autovalutazione, meno diffusi sono stati metodi basati su
interviste, osservazioni sistematiche, giudizi dei docenti, uso di riflessioni parlate o pensare ad alta
voce (thinking aloud), diari e narrazioni. Occorre segnalere, però, che queste due ultime forme di
documentazione sono sempre più presenti nelle ricerche che puntano sulla promozione di
competenze autoriflessive da parte degli studenti.
Nel contesto scolastico hanno avuto una notevole diffusione il Questionario di efficienza nello
studio (QES) di W.Brown e W.Holtzman tradotto, adattato e validato da K.Polacek (1971); il
LASSI, Learning and Study Strategies Inventory elaborato da C.E.Weinstein, A.C.Schulte e
D.R.Palmer (1987); il MSLQ, The Motivational Strategies for Learning Questionnaire, di
P.Pintrich el alii; il CSRL, The Components of Self-Regulated Learning, di Niemivirta (1998);
questi ultimi tre non tradotti in italiano. Di questi il più sistematicamente validato e valorizzato è
stato il MSLQ che comprendeva le seguenti dimensioni e scale.
1) Aspetti motivazionali: attese (convinzioni relative al controllo, auto-efficacia); valori (obiettivi
intrinseci, obiettivi estrinseci, valore del compito); Ansietà
2) Aspetti strategici: cognitivi e metacognitivi (ripetizione, elaborazione, organizzazione,
pensiero critico, metacognizione); strategie gestionali (gestione del tempo e dello spazio,
regolazione dello sforzo, apprendimento con compagni, ricerca di aiuto).
Le indagini internazionali promosse dall’OCSE e denominate Pisa 2000 e Pisa 2003 hanno
tenuto conto anche di processi e strategie generali denominate cross-curriculari. In particolare
sono state considerati alcuni processi collegati all’autoregolazione come la memorizzazione,
l’elaborazione, la gestione del proprio apprendimento, l’adozione di strategie collaborative o
competitive. In Italia numerosi questionari sono stati sviluppati in questo ambito da parte di C.
Cornoldi, R. De Beni e collaboratori e pubblicati dalla casa editrice Erickson17. Nel quinto
capitolo verrà diffusamente presentato il QSA, Questionario di Strategie di Apprendimento,
progettato e validato da M. Pellerey con la collaborazione di F.Orio.
Quanto al campo dell’autoformazione e della valutazione della competenze di autodirezione e
autoregolazione, Guglielmino nel 1977 (Guglielmino 1977a; Guglielmino 1977b) ha avviato la
costruzione della sua Self Directed Learning Readiness Scale (SDLRS), prendendo in
considerazione alcuni fattori fondamentali che caratterizzano un soggetto altamente capace di autodirezione nell’apprendimento. Essi comprendono oltre le dimensioni motivazionali e cognitive e
metacognitive, altre dimensioni più generali come l’apertura, la passione, la creatività, la capacità di
base. La scala è stata applicata in molti contesti formativi adulti e tradotta in molte lingue. Negli
anni novanta, a esempio, lo strumento è stato utilizzato in una indagine circa la sua validità e
affidabilità nei riguardi di soggetti frequentanti corsi di formazione universitaria e post-universitaria
in medicina negli Stati Uniti (Guglielmino et alii, 2002). La scala, nella sua redazione attuale, è
17
Si possono citare: il Test AMOS di Rossana de Beni, Angelica Moè e Cesare Cornoldi e il volume Imparare a
studiare 2 di Cesare Cornoldi, Rossana De Beni e il gruppo MT.
formata da 58 item che mirano a evidenziare gli atteggiamenti, i valori, le competenze, e le
caratteristiche della personalità che favoriscono l’auto-direzione nell’apprendimento. Non risulta
che sia stato sviluppato un adattamento al contesto italiano.
Nella ricerca dei fattori che caratterizzano un soggetto adulto capace di auto-direzione
nell’apprendimento professionale è utile ricordare il concetto pluridimensionale di Straka (2000a),
che comprende 4 dimensioni fondamentali: la dimensione motivazionale, la dimensione strategica,
la dimensione metacognitiva e la dimensione emozionale.
Un ulteriore strumento che mette al centro la valutazione del grado di autonomia
nell’apprendimento di un soggetto è stato sviluppato da Gary J. Confessore. Egli stesso ne ha
riassunto recentemente le caratteristiche principali (Confessore, 2002), segnalando come basi
originarie teoriche di riferimento per la costruzione del suo Learner Profile Questionnaire, o LPQ,
quattro costrutti: il desiderio di apprendere, la capacità di sbrogliarsela (resourcefulness), lo spirito
di iniziativa e la perseveranza nell’impegno. Il Questionario mira a valutare l’autonomia del
soggetto, che deve essere compresa come riferita a una sua iniziativa o intenzione di agire. Per
questo è essenziale comprendere il legame tra le cognizioni, le attitudini, le intenzioni di
comportamento e il comportamento stesso. Seguendo Fishbein e Ajzen (1975), vengono evidenziati
tre fattori che influenzano il livello di correlazione tra le intenzioni d’azione e i comportamenti che
ne risultano: “il livello di corrispondenza tra l’intenzione e il comportamento dal punto di vista della
loro specificità; la stabilità dell’intenzione; il grado di controllo da parte della volontà della persona
della realizzazione dell’intenzione”. Se questi fattori sono presenti in grado sufficiente, vengono
realizzati i comportamenti intenzionali in rapporto con l’oggetto.
La costruzione teorica di ciascuno dei quattro fattori del LAP è stata ottenuta a partire da un’ampia
rassegna delle pubblicazioni su questo argomento. L’autonomia del soggetto che apprende è stata
definita come la capacità relativa a partecipare in modo produttivo alle diverse esperienze di
apprendimento. Questa capacità consiste in un ventaglio di stati dell’autonomia funzionale, i cui
due estremi rappresentano due stati relativamente disfunzionali: la dipendenza disfunzionale e
l’indipendenza disfunzionale. La dipendenza disfunzionale è caratterizzata dall’incapacità o dalla
mancanza di motivazione a iniziare un apprendimento senza essere considerevolmente diretto. In
caso estremo una tale persona conta sugli altri per regolare tutti gli aspetti del processo di
apprendimento. L’indipendenza disfunzionale è caratterizzata dall’incapacità o dalla mancanza di
motivazione ad accettare aiuto o guida di qualsiasi genere in rapporto con il processo di
apprendimento. In caso estremo una tale persona non permette agli altri di partecipare a nessun
aspetto della messa a punto del piano di lavoro del suo apprendimento.
Autonomia funzionale del soggetto
------------------------[---------------------------------------]---------------------Dipendenza
Indipendenza
disfunzionale
disfunzionale
del soggetto
del soggetto
Tab. 3 Autonomia funzionale del soggetto che apprende (Confessore, 2002, 123)
Di conseguenza l’autonomia funzionale del soggetto che apprende coinvolge un ventaglio di
capacità e di motivazioni da valorizzare nella selezione e nella messa a punto delle esperienze e
attività formative, nelle quali la persona può evolvere da sola o d’accordo con altri. Il grado
d’impegno di una persona nell’autonomia funzionale è espresso dal grado di ottimizzazione del
processo di apprendimento messo in atto, utilizzando in maniera appropriata ed efficace le sue
proprie risorse e quelle degli altri.
Numerose ricerche hanno convalidato l’ipotesi iniziale, che l’autonomia del soggetto che apprende
raggruppa e coordina quattro fattori: il desiderio di imparare, la capacità di sbrogliarsela,
l’iniziativa personale e la persistenza nell’impegno. Touchstone (2000) ha sviluppato e verificato
una costruzione teorica per il desiderio di apprendere che risponda alle questioni della formazione
delle intenzioni. Essa si basa su tre sotto-fattori: libertà di base (comprensione delle circostanze e
questioni di espressione), gestione del potere (identità di gruppo, sviluppo ed equilibrio, e questioni
delle relazioni amorose), competenze legate al cambiamento (competenze comunicative di base e
comportamenti di cambiamento di base).
Carr (1999) ha realizzato e verificato una costruzione teorica per la “capacità di sbrogliarsela”
dell’allievo che comprende quattro fattori: definizione di priorità delle opzioni di apprendimento;
scelta in favore dell’apprendimento quando c’è conflitto con altre attività; prospettiva dei benefici
in avvenire di un apprendimento intrapreso nel presente; risoluzione di problemi (pianificazione,
valutazione delle alternative e anticipazione delle conseguenze). Ponton (1999) ha realizzato e
verificato una costruzione teorica per l’iniziativa dell’allievo che si fonda sulle intenzioni di
impegnarsi in attività di apprendimento. La costruzione di Ponton comprende cinque fattori:
orientamento verso dei fini; orientamento verso l’azione; persistenza; approccio attivo; capacità
d’iniziativa. Derrick (2000) ha realizzato e verificato una costruzione teorica per la persistenza
nell’apprendimento che poggia/si basa sulle intenzioni di proseguire delle attività di apprendimento.
La costruzione di Derrick comprende tre fattori: volizione; orientamento verso dei fini;
autoregolazione. Ne sono derivati quattro strumenti di rilevazione, ampiamente validati sul piano
applicativo e dell’analisi statistica, valutando i legami dei punti di scala con l’età, il sesso, il livello
di studi e lo stato maritale. Utilizzati in batteria, questi strumenti forniscono un vasto profilo di
molteplici aspetti dell’autonomia del soggetto che apprende.
11. Il problema del transfer della conoscenze e delle competenze
Pellerey (2002) esaminando i concetti di sviluppo e di trasferimento delle conoscenze e delle
competenze in maniera abbastanza articolata da poter costituire la base per una serie d’indicazioni
d’ordine pratico in contesti formativi18, ha potuto affermare che la capacità di attivare un processo
di transfer delle competenze si configura come un tipo di meta-competenza, che implica almeno
quattro componenti fondamentali. In primo luogo, la disponibilità a considerare da un punto di vista
superiore le proprie competenze in relazione alle nuove situazioni esperite e alle esigenze che
queste prospettano da un punto di vista di una loro rimodulazione, di un loro adattamento o di una
loro trasformazione più o meno profonda. In secondo luogo, entra in gioco un’adeguata sensibilità
per avvertire, se c’è, la presenza di una distanza tra le competenze già acquisite e quelle che si
richiederebbero nella nuova situazione. Ciò non basta, occorre anche che si riesca ad avvertire
l’entità di tale distanza e quindi quanto impegnativo in termini di tempo e di sforzo personale potrà
essere l’adattare o il trasformare le proprie competenze. In terzo luogo è coinvolta una capacità di
tipo analitico-prospettico per individuare quali risorse interne o esterne debbono essere prese in
considerazione al fine di affrontare la sfida incontrata. Infine, è bene non dimenticarlo, è richiesta la
capacità non solo di giungere alla decisione effettiva di affrontare il lavoro necessario per adattare o
trasformare le competenze in oggetto, ma anche, e soprattutto, la capacità di impegnarsi per un
18
Per competenza, si è precisato in tale occasione, occorre intendere la capacità di mobilizzare, o attivare, e di
orchestrare, o combinare, le risorse interne possedute (conoscenze, abilità e disposizioni interne stabili) e quelle esterne
disponibili per far fronte a una classe o tipologia di situazioni formative e/o lavorative in maniera valida e produttiva.
Cfr anche: M.Pellerey, Competenze individuali e portfolio, La Nuova Italia, Scandicci, 2004.
tempo adeguato e mettendo in campo tutte le forme di controllo dell’azione che consentono di
portare a termine la decisione presa.
Non ci si può nascondere la difficoltà, di natura teorica e sperimentale, di individuare le
caratteristiche personali, che possono favorire il trasferimento delle competenze. In una rassegna
critica delle ricerche precedenti Ceci e Roazzi (1994) hanno, infatti, concluso che i loro “risultati
mostrano che spesso le capacità di riflessione sviluppate in un determinato contesto non si
trasferiscono ad altri contesti, per cui le capacità cognitive acquistate in un contesto specifico
potrebbero aver poco impatto sulla prestazione in campi attinenti”. Inoltre la loro “rassegna dei
lavori di ricerca, che si estendono a più continenti, classi sociali e livelli di studio, mostra che il
contesto nel quale si svolge l’apprendimento ha un’enorme influenza sulla cognizione, perché serve
a esemplificare strutture di conoscenza specifiche, attivando strategie legate al contesto e
influenzandone l’interpretazione dello stesso compito da parte del soggetto”. Ci si riferisce in
questo caso alla teoria, che sostiene che il trasferimento è legato al contesto. I difensori della teoria
dell’apprendimento situato (Brown, Collins & Duguid, 1989) hanno, però, suggerito un certo
numero di metodi per favorire il trasferimento, per esempio: l’insegnamento in condizioni simili a
quelle in cui l’informazione potrà essere utilizzata; la presentazione di esempi variati nel caso
dell’esposizione di un principio o di una generalizzazione; la lotta contro il trasferimento negativo
(in cui per esempio, l’abilità acquisita per colpire con una mazza da baseball interferisce con
l’apprendimento dello swing nel golf) aiutando l’allievo a differenziare delle capacità concorrenti
(Davis, 1984).
La nozione secondo la quale il trasferimento è legato al contesto ha avuto anche i suoi detrattori.
Anderson, Reder e Simon (1996), per esempio, hanno sostenuto, che la teoria dell’apprendimento
situato è troppo generale nella loro affermazione centrale; essa, infatti, non riconosce i numerosi
casi in cui il trasferimento ha luogo indipendentemente dalle differenze contestuali. Hanno così
fatto notare, a esempio, che si trasferiscono alla vita di ogni giorno le competenze di lettura e di
calcolo apprese a scuola. D’altronde, metodi come quelli suggeriti per favorire il trasferimento non
funzionano sempre. Ciò che è necessario, è una teoria che permetta ai formatori di prevedere
quando avrà luogo o no il trasferimento.
In ultima analisi, secondo Martinez-Pons (2002, 91), “le limitazioni alla nozione di trasferimento
potrebbero concernere la maniera con cui il fenomeno è stato concettualizzato: cioè come qualcosa
che viene spostato, nello stesso modo con cui una tazza può essere presa da una mensola e posata
sulla tavola della sala da pranzo – più che come partecipazione a un processo per mezzo del quale si
saggia l’utilità di combinazioni di informazioni o di modelli di comportamenti acquisiti
precedentemente, tentando di adattarsi a nuove situazioni”. Ci si trova nella stessa prospettiva
elaborata nel saggio citato (Pellerey, 2002) e che metteva al centro del processo di trasferimento
non i contesti, né le situazioni oggettive esterne al soggetto, bensì il soggetto stesso e la sua
intenzione di impegnarsi a decontestualizzare e ricontestualizzare le sue competenze. In effetti, il
processo di transfer, quando la distanza tra l’esperienza precedentemente acquisita e
concettualizzata e la nuova situazione è consistente, implica l’attivazione di processi di riflessione
critica e l’avvio di un processo decisionale centrato sull’elaborazione di un’intenzione consapevole
ed esplicita di affrontare una vera e propria trasformazione degli elementi caratterizzanti le proprie
competenze e della maniera di combinarli tra loro.
Le conclusioni a cui eravamo giunti in tale occasione hanno aperto la strada a un ulteriore
approfondimento delle condizioni che permettono non solo il trasferimento delle competenze già
acquisite, ma più in generale il processo stesso di sviluppo a livello adulto di competenze in
maniera auto-diretta. Avendo stabilito, infatti, che nel processo formativo è centrale
l’apprendimento e che l’insegnamento assume la connotazione di una sua facilitazione, mediante la
predisposizione di condizioni ottimali, nelle quali il soggetto possa e voglia impegnare se stesso
nella sua crescita personale e professionale, è necessario esaminare ora quali aspetti soggettivi
risultino fondamentali in un apprendimento a livello adulto, che non risulti solo risposta a
sollecitazioni esterne, ma implichi partecipazione competente e responsabile. D’altra parte A.
Alberici (2001, 107) ha evidenziato tra le componenti che caratterizzano l’apprendimento adulto “la
capacità di auto-dirigersi e l’autonomia come obiettivo e come pratica consapevole”. La tesi qui
sostenuta è che una meta formativa fondamentale oggi, nel contesto di un’accentuata mobilità sia
orizzontale, sia verticale del lavoro, sta proprio nella capacità di auto-dirigere il proprio
apprendimento professionale. Verrà, quindi, nel seguito del discorso esplorata tale competenza, che
ha evidentemente caratteri di natura strategica e che può essere definita una vera e propria metacompetenza.
Si può solo aggiungere, come fanno notare M. Boekaerts e M. Niemivirta (2000, 419), che
promuovere in contesti formativi l’approccio metodologico proprio dei processi di apprendimento
auto-diretto non risulta impresa molto agevole. I soggetti in formazione, anche adulti, molto spesso
considerano che rientri nel ruolo proprio di ogni formatore indicare gli obiettivi del processo
formativo, fornire le risorse necessarie all’apprendimento, motivare l’impegno di ciascuno, seguirne
le prestazioni e fornire a tempo e luogo i feedback necessari. Inoltre i soggetti in formazione spesso
non hanno una chiara idea dei loro bisogni formativi, anche perché le loro attese e i loro desideri
restano vaghi e poco orientati verso finalità ben definite.
Nella prospettiva socio-cognitiva, infatti, il punto focale del processo di transfer non è tanto la
capacità di una conoscenza o di una competenza a essere generalizzata o il potenziale di
trasferimento offerto da questa o quella tecnica di formazione, quanto piuttosto l’attività del
soggetto nel far fronte all’adattamento a nuove situazioni. Sotto questo punto di vista la questione
del “trasferimento” si riassume in quella di un comportamento auto-regolato, comportamento che si
ha quando la persona si sforza di adattarsi alle nuove condizioni, utilizzando da un lato le
combinazioni di altre risorse interne o competenze acquisite precedentemente e, d’altro lato,
entrando in possesso di nuove risorse interne e competenze.
La premessa di base di questa posizione, bene espressa da Martinez-Pons (2002), è che tutti gli
sforzi di adattamento non sono di primo acchito coronati da successo. Spesso i contenuti
precedentemente acquisiti, che il soggetto tenta di applicare a una nuova situazione, mostrano di
essere solo in parte, o talvolta ancora per nulla, applicabili al compito. Da questo punto di vista è a
causa degli insuccessi iniziali frequenti nei tentativi di adattarsi a delle nuove condizioni, che
l’autoregolazione di adattamento diviene un concetto importante nella descrizione, nella
spiegazione e nella predizione del successo del trasferimento.
Tenendo conto delle caratteristiche di una persona autoregolata, si può evidenziare come la riuscita
dell’adattamento a nuove situazioni, ricorrendo in parte a degli apprendimenti anteriori, non
dipenda dalle proprietà del compito da realizzare o anche dalla maniera con cui è stato insegnato il
contenuto, ma soprattutto dalle capacità di autoregolazione che il soggetto consacra al compito. Da
questo punto di vista la dinamica dell’attività di adattamento, compresovi anche il trasferimento, è
da collegare a un processo di autoregolazione per il quale il soggetto attua i seguenti comportamenti
1. Percepisce una situazione che richiede un’azione di adattamento da parte sua.
2. Analizza la situazione per determinare ciò che, nei suoi repertori cognitivi, affettivi o i
comportamento psicomotori, può essere applicato alla situazione in questione e la quantità di
esercizio richiesta da parte sua perché riesca lo sforzo di adattamento.
3. Seleziona e combina degli elementi d’insieme di informazioni o di modelli di comportamenti
acquisiti di recente che pensa possano servire al meglio lo sforzo di adattamento.
4. Utilizza l’informazione o mette in atto gli insiemi di comportamenti identificati al punto 3.
5. Controlla la sua prestazione per verificare in quale misura le attività del punto 4 contribuiscono
al successo dello sforzo di adattamento.
6. Modifica il suo sforzo per conseguire meglio il fine dell’adattamento. Realizza questo compito
mediante una modificazione degli insiemi di comportamento esistenti, mediante l’inclusione di
insiemi appresi di recente, o entrambi.
L’immagine socio-cognitiva del trasferimento sopra descritta differisce da altre interpretazioni sotto
molteplici aspetti. Per prima cosa in questi approcci l’impegno è considerato come un successo o un
insuccesso anche dopo un solo tentativo, secondo l’immagine socio-cognitiva l’insuccesso iniziale
ha poca importanza. In una prospettiva socio-cognitiva ciò che conta è l’adattamento del
comportamento che segue quando falliscono i primi sforzi di adattamento. Secondariamente, mentre
in molte interpretazioni l’ipotesi sembra essere che il trasferimento indica un’applicazione a delle
nuove situazioni di elementi intatti d’informazione o di competenze, l’immagine socio-cognitiva
sostiene che il comportamento di adattamento necessita spesso di una scomposizione degli elementi
di informazione acquisiti precedentemente e la loro ricomposizione in nuovi elementi per
rispondere ai bisogni della situazione. Questo processo richiede spesso la riorganizzazione di
contenuti acquisiti in precedenza in un dato contesto e in altri contesti. In terzo luogo, mentre in
altre prospettive è soltanto il tirocinio precedente che è considerato utile agli sforzi di adattamento a
nuove condizioni, l’immagine socio-cognitiva sostiene che l’adattamento a nuove situazioni
richiede spesso il controllo di nuovo materiale, talvolta “in sede di lavoro” perché riesca lo sforzo di
adattamento. Infine, mentre altrove il trasferimento è considerato automatico quando la nuova
situazione è sufficientemente vicina a quella della formazione precedente, nella prospettiva sociocognitiva il processo di adattamento servito dal trasferimento implica un comportamento cosciente
diretto verso un fine e auto-valutato, che comporta una modifica attiva dello sforzo di adattamento
in funzione delle condizioni.
L’immagine socio-cognitiva del trasferimento riconosce, dunque, un ruolo centrale, nel processo di
adattamento alla pianificazione strategica, all’utilizzazione di strategie e all’auto-controllo delle
prestazioni – al contrario delle immagini precedenti del trasferimento che consideravano dei
tentativi unici, automatici, riusciti o no, di applicare degli elementi d’informazione isolati e intatti a
delle nuove situazioni. Questa impostazione sembra potersi comporre armonicamente con le
conclusioni alle quali si era giunti precedentemente circa il ruolo centrale dell’intenzione di
sviluppo e trasferimento delle competenze, intenzione che consente di mettere in atto poi tutte le
strategie utili alla sua realizzazione. D’altra parte, come potremo subito constatare, il concetto di
autoregolazione di Zimmerman è abbastanza complesso da poter assumere apporti che vengono sia
dalla teoria dell’autodeterminazione di Deci e Ryan, sia dalla teoria dell’azione di H. Heckhausen e
J Kuhl.
12. Promuovere la competenza di auto-regolazione nell’apprendimento
Dal momento che il processo di apprendimento di una nuove conoscenze e competenze e di un loro
trasferimento a nuove situazioni e contesti è basato soprattutto su competenze di autodeterminazione e autoregolazione, occorre promuovere queste ultime se si vuole conseguire un
risultato formativo valido, stabile e fecondo. L’approccio socio-cognitivo propone quattro livelli di
sviluppo delle abilità regolative del Sé. L’avvio del processo si ha in genere sulla base di influssi
sociali, di modelli di comportamento pratico, cognitivo e meta-cognitivo, di forme di guida
all’esercizio e di incoraggiamento. Il primo livello, infatti, è fondamentalmente legato
all’osservazione di modelli che inducono a ipotizzare gli elementi fondamentali che concorrono a
formare una competenza d’apprendimento professionale o di esercizio di un’attività lavorativa.
Livello
Nome
Descrizione
1
Osservazione
Si inducono le abilità tramite l’esperienza vicaria che si ha
osservando attentamente un modello
2
Imitazione
Prestazioni di tipo imitativo di forme generali o di stile di un
modello sotto modalità di guida sociale
3
Auto-controllo
Manifestazione di abilità riscontrate nel modello messe in
atto in maniera indipendente anche se in contesti strutturati
4
Auto-regolazione
Uso adattativo di abilità in condizioni personali e ambientali
variate
Tab. 4 Quadro sintetico dello sviluppo delle abilità di auto-regolazione.
L’esperienza vicaria attivata dalla presenza di un modello già competente permette di evidenziare e
interiorizzare abilità strategiche e processi auto-regolativi, come l’avere a disposizione standard di
valutazione della prestazione, seguire orientamenti motivazionali congruenti, essere sensibili a
valori di riferimento, persistere nell’attività nonostante elementi di disturbo sia cognitivo, che
emozionale, ecc. Zimmerman (2000, 29) ricorda i risultati di alcune ricerche che mostrano come la
perseveranza di un modello nel portare a termine un compito complesso e impegnativo influisca
sulla perseveranza di coloro che lo osservano.
La constatazione che l’esperienza vicaria non è sufficiente per passare all’effettiva capacità di autoregolazione implica come primo sviluppo la necessità di passare a prestazioni di natura imitativa di
modalità o stili generali d’azione legati ad abilità che possono essere guidate e corrette socialmente.
Si tratta del livello denominato dell’emulazione. Tuttavia ben difficilmente il soggetto che apprende
riesce a realizzare prestazioni che si avvicinano alla qualità generale di quelle del modello. Un
miglioramento si può avere se il modello adotta un ruolo docente e offre guida, feedback e sostegno
durante l’esercizio pratico. D’altra parte il riuscire a emulare almeno in alcuni aspetti generali il
modello ha effetto sulla motivazione a impegnarsi ulteriormente.
Occorre segnalare come a questi due primi livelli la fonte di apprendimento delle abilità autoregolatrici è esterna al soggetto che apprende. Negli ulteriori livelli di sviluppo di tali abilità, come
subito vedremo, il riferimento diventa interno.
Il terzo livello si raggiunge quando si è in grado di sviluppare forme indipendenti d’abilità,
esercitate in contesti e condizioni strutturate. E’ il livello denominato dell’autocontrollo. Non basta
infatti la presenza di un insegnante o di un modello, occorre una estesa e deliberata pratica
personalmente esercitata: prestazioni che si svolgono in contesti organizzati affinché i soggetti si
impegnino a migliorare e a auto-osservarsi. Il modello, o i modelli, non sono più presenti e il
riferimento a standard di qualità è interno, si tratti di immagini e di verbalizzazioni. Il raggiungere
livelli desiderati di qualità sostiene e alimenta la motivazione a impegnarsi.
Infine si raggiunge il livello dell’autoregolazione vera e propria quando il soggetto riesce ad
adattare da solo le sue prestazioni sulla base della condizioni soggettive e ambientali varianti. Egli
riesce a mutare le sue strategie in maniera autonoma. La motivazione può fare riferimento a
sentimenti di auto-efficacia. Non c’è più grande bisogno di auto-monitoraggio. D’altra parte, dal
momento che le abilità di auto-regolazione dipendono anche dalle condizioni esterne, possono
presentarsi nuove situazioni che mettono in luce i limiti delle competenze già acquisite ed esigono
nuovi apprendimenti.
Zimmerman (2000, 31) mette in luce il fatto che non sempre occorre passare attraverso i quattro
livelli, ma che questi indicano solo che la padronanza raggiunta in ognuno di essi facilita
l’apprendimento successivo. La intenzioni anticipatrici, gli sforzi per raggiungere prestazioni
migliori, e l’auto-riflessione sono attività assai esigenti e la persona può rinunciare a esse se si sente
stanca, disinteressata, non impegnata.
Le indicazioni che provengono dagli studi socio-cognitivi insistono, dunque, sul valore delle forme
di apprendistato pratico e cognitivo. D’altra parte, il concetto di competenza strategica assunto per
definire la capacità di auto-determinazione nell’apprendimento professionale può suggerire altre
forme di intervento formativo. Si può, infatti intervenire per rafforzare e migliorare i singoli
processi che si attuano nelle tre fasi ricordate, favorire la capacità di gestire tali processi in maniera
meglio coordinata e fluida al fine di raggiungere le finalità desiderate, sostenere le forme di autodeterminazione e di auto-regolazione che risultano carenti o inadeguate, arricchire e potenziare le
varie risorse interne che via via emergono come necessarie e sostenere la disponibilità a valersi di
risorse esterne come colleghi di lavoro o persone più esperte.
Ciò che occorre sottolineare, comunque, è l’importanza del passaggio al quarto livello indicato da
Zimmerman. In esso entra in gioco la capacità di interpretare in maniera penetrante e originale la
situazione o le situazioni nelle quali la competenza acquisita viene sfidata. La distinzione fatta da
Dreyfus e Dreyfus (1986) tra competenza e competenza esperta (Pellerey, 2001, 257-258) sta
proprio nella diversa sensibilità al contesto. Nel primo caso la competenza è legata a contesti e
situazioni già oggetto di esperienza, nel secondo caso si riesce a cogliere agevolmente i caratteri
peculiari della situazione sulla base non solo di conoscenze e competenze già consolidate in
maniera consapevole, bensì anche di forme conoscitive tacite e profonde, giungendo a ipotizzare
risposte originali, innovative e congruenti con le esigenze emerse.
A questo livello di fluidità di risposta alle sfide poste dal contesto sembra alludere R. Frega (2002)
quando contrappone la competenza come capacità di utilizzare regole e procedure con naturalezza
in compiti difficili, sapendo far fronte anche a situazioni non standard, cioè non perfettamente
previste all’expertise intesa come capacità di riflessione critica sulle esigenze poste dal contesto,
che conduce a risposte innovative a tali esigenze più congruenti, che il soggetto è anche in grado di
valutare autonomamente nella sua qualità. L’Autore evoca anche un distinzione introdotta la Le
Boterf tra competenza tecnica, tattica ed etica. Tale distinzione rimanda naturalmente alla
distinzione aristotelica tra competenza tecnico-pratica legata alla produzione di beni e servizi e
competenza etico-sociale legata alla capacità di scelta prudenziale del bene comune o del bene
personale. Ed è appunto su tale impostazione che avevano sviluppato i fratelli Dreyfus la loro
proposta di scala di sviluppo della competenza19.
19
Dreyfus e Dreyfus (1986), ricordando come in essa risultano centrali le abilità di percezione
selettiva delle caratteristiche salienti delle situazioni; hanno sviluppato una progressione che
sottolinea l’importanza di modalità di comprensione di tipo intuitivo rispetto a quelle di tipo
analitico.
Livello del principiante. Il soggetto tende a seguire regole, principi e procedure comunicati
dall'esterno senza tener conto in modo esplicito del contesto in cui opera; egli si presenta in genere
privo di flessibilità e di esperienza.
Livello del principiante avanzato. Il soggetto riesce a collegare quanto studia, o ha studiato, con
l'esperienza che sta progressivamente sviluppando nel contesto della sua attività e a selezionare i
comportamenti da adottare, a partire da una iniziale capacità di tener conto delle esigenze peculiari
Applicando queste indicazioni al caso della capacità di auto-determinazione
nell’apprendimento si può ricordare quanto G. Le Boterf (2000) ha indicato sulla progressione
nell’autonomia dell’apprendimento e sulle possibilità di promuovere tale autonomia (cfr. Pellerey,
2001, 268-270). Egli ha in primo luogo indicato tre forme di apprendimento.
1) La prima forma è definita a ciclo semplice: il soggetto apprende correggendo la sua azione sulla
base dei suoi obiettivi, ma senza cambiare sostanzialmente questi, né i valori o le “teorie
d’azione” che la guidano.
2) La seconda forma è a ciclo doppio: il soggetto apprende rimettendo in causa i suoi obiettivi e i
loro fondamenti. Egli è condotto a far evolvere i suoi schemi operatori e le sue rappresentazioni,
a rivedere le sue teorie d’azione.
3) La terza forma di apprendimento è a ciclo triplo: il soggetto apprende a modificare o a
sviluppare la sua maniera di apprendere, egli apprende ad apprendere migliorando il
funzionamento delle due forme precedenti di apprendimento.
Tenendo conto di questo quadro di riferimento l’Autore stesso propone sette modalità di
azione formativa che possono contribuire allo sviluppo delle competenze professionali. Il primo
contributo viene dall'acquisizione di risorse (conoscenze, saper fare, qualità, cultura, ecc.) che
favoriscano il saper agire in maniera pertinente. Certo, egli riconosce, è un contributo insufficiente,
ma esso rimane comunque necessario. Il secondo contributo viene dal coinvolgere i soggetti nel
saper combinare o orchestrare le risorse disponibili per costruire e mettere in opera risposte
pertinenti alle esigenze professionali poste anche da contesti nuovi o non ancora incontrati nella
propria esperienza. Il terzo contributo suggerisce di proporre obiettivi d’apprendimento delle
competenze che siano realistici, tengano conto cioè della possibilità soggettive e delle esigenze del
contesto. Il quarto contributo concerne il favorire lo sviluppo della capacità di riflessione e di
transfer. Il quinto contributo riguarda lo sviluppo della capacità di apprendere ad apprendere, cioè di
gestire il proprio apprendimento in maniera consapevole e autonoma. Il sesto sottolinea
l’importanza di dare un giusto posto all’autovalutazione. Infine, si evidenzia l’importanza di
sollecitare un progresso nella costruzione di un’identità professionale.
della diversità delle singole situazioni da affrontare; le varie caratteristiche e i differenti aspetti delle
situazioni sono trattati separatamente e dando loro ugual importanza.
Livello del competente. Le prestazioni sono basate su principi abbastanza generali derivati anche dallo studio, ma
soprattutto dall'esperienza; il soggetto sa adattarsi in maniera cosciente e congruente alle diverse circostanze; sapendo
specificare, in modo adeguato rispetto ai casi particolari affrontati, gli obiettivi da raggiungere, anche a lungo termine, e
i mezzi per raggiungerli; egli possiede anche le principali corrispondenti procedure di routine standardizzate; le
decisioni autonome comportano ancora un certo tempo e impegno.
Livello del competente avanzato. Si ha una notevole capacità di inquadrare le situazioni da affrontare, cogliendole nella
loro totalità e complessità e riconoscendo analogie e differenze che esse hanno con situazioni simili affrontate nel
passato; le decisioni sono prese con minore tempo e fatica; egli usa spesso principi generali riassunti in massime che
vengono interpretate secondo le circostanze.
Livello dell'esperto. Il soggetto si basa su una comprensione immediata della situazione basata su forme conoscitive
tacite e profonde; egli riesce a cogliere agevolmente un quadro completo e articolato delle situazioni e dei problemi da
affrontare e ad agire per affrontarle in modo fluido, appropriato e senza sforzo; egli non si basa più esplicitamente su
regole, principi guida o massime, ma sviluppa un lavoro più dettagliato di analisi solo quando si tratta di questioni del
tutto nuove; ha la visione del possibile.
13. Conclusione
E’ facile constatare leggendo la letteratura internazionale sull’argomento come gli approcci al
problema dello sviluppo dell’autoregolazione si muovono principalmente secondo due prospettive
fondamentali: quella socio-cognitiva che comprende molti allievi di Albert Bandura, come B.
Zimmerman, il recentemente scomparso Paul R. Pintrich, Dale H. Schunk e molti altri, e quella
socio-culturale che in gran parte fa riferimento a L. S. Vygotskij e agli apporti dei neo-vygotskiani.
A queste due correnti principali si deve aggiungere l’apporto della scuola tedesca avviata dallo
scomparso H. Heckhausen e che trova in J. Kuhl il continuatore di una esplorazione attenta delle
dinamiche volitive della persona. Data la complessità della considerazione del processo di
autodeterminazione e di autoregolazione non è auspicabile una contrapposizione tra le varie
correnti, bensì una loro integrazione feconda. “Distinguere per unire” era una acuta osservazione
proveniente dalla filosofia. Certamente l’analisi dei distinti processi che hanno luogo nel contesto
specifico delle istituzioni e attività formative è necessaria e, quindi, vanno collegate nell’azione
educativa in maniera feconda sia gli apporti più puntualmente diretti a mettere in luce i processi e le
dinamiche interne alla persona dello studente, sia quelli che esplorano più specificatamente i
processi di autoregolazione situata e sensibili all’interazione sociale, sia quelli che sottolineano il
ruolo dello sviluppo di strategie di governo personale delle motivazioni, delle emozioni,
dell’attenzione, dello sviluppo, consolidamento e fruizione delle conoscenze, abilità e competenze,
ecc.
Ciò che può essere assunto come conseguenza educativa generale, risultante dalla ricerca di questi
ultimi decenni, è la constatazione che le attività che mirano allo sviluppo della capacità di autodeterminazione e auto-regolazione nell’apprendimento scolastico e professionale sono certamente
centrali in un sistema di formazione che procede dalla scuola dell’infanzia fino alla formazione
continua degli adulti. Un apprendimento che accompagni tutto il ciclo della vita esige
un’impostazione che favorisca progressivamente capacità di decisione, gestione, controllo e
valutazione personale, valida e produttiva sul piano dell’innalzamento della qualità delle
competenze culturali, sociali e lavorative. Un impianto ispirato a questo principio, tuttavia, non è né
diffuso, né facilmente attivabile. Ostacoli si incontrano sia sul versante dell’offerta formativa, sia
della domanda. Da una parte è necessario, ma non facile, costituire un sistema di offerta educativa
che aiuti ciascuno a individuare i suoi bisogni, arricchendo le sue conoscenze e aspirazioni, a
delineare i propri obiettivi di apprendimento, ad attivare i piani di attuazione delle mete individuate,
a dedicare il tempo e le energie richieste con perseveranza e continuità, a monitorare, controllare e
valutare le proprie prestazioni, a gestire validamente i pensieri e le reazioni che derivano dai
risultati via via conseguiti. E, contemporaneamente, offrire supporti e materiali di apprendimento
congruenti con gli obiettivi e le strategie personali attivate.
Dall’altra, si richiede che i soggetti stessi si sentano e desiderino sentirsi ed essere protagonisti della
propria crescita personale, mettendo in gioco se stessi e il complesso delle proprie risorse personali.
Inoltre, queste ultime spesso risultano spesso assai carenti di fronte alle esigenze di una gestione
autonoma dell’apprendimento sia scolastico, sia professionale sollecitato dalle circostanze di vita e
dalle opportunità lavorative. Si tratta, dunque, di una sfida non indifferente all’intero sistema
educativo e formativo. Non basta affermare che la formazione culturale e professionale è uno dei
nodi cruciali dello sviluppo sociale e produttivo di una nazione. Occorre anche precisare i caratteri
peculiari che deve assumere tale processo educativo e formativo, perché questo non risulti
inadeguato e funzionale solo alla valorizzazione di un personale insegnante poco propenso a farsi
carico dell’innovazione conseguente alle trasformazioni del mondo vitale e di quello lavorativo.