l`economia bergamasca in tempo di crisi

annuncio pubblicitario
‘‘,,
Osservatorio economico
L’ECONOMIA BERGAMASCA
IN TEMPO DI CRISI
Valbondione
Schilpario
Branzi
Cusio
Piazzatorre
Valtorta
Piazza Brembana
Ardesio
Castione
della Presolana
Brem
bo
Taleggio
Provincia di Brescia
Clusone
S.Giovanni
Bianco
Ponte Nossa
Se
rio
zza
rle
Bo
S.Omobono
Terme
S.Pellegrino
Terme
Brembilla
Lovere
Vertova
Gandino
Zogno
na
ag
Im
Leffe
Brembo
Sedrina
Lago di
Endine
Albino
Villa d’Almè
Nembro
rio
Se
bo
Pontida
Brem
Carvico
Lago d’Iseo
Alzano Lombardo
BERGAMO
erio
Seriate
Trescore Balneario
mbo
Orio al Serio
Gorlago
Sarnico
Bre
Suisio
Tavernola
Bergamasca
Ch
Ponte
S. Pietro
Dalmine
Grumello
del Monte
Grassobbio
Serio
Adda
Telgate
Verdello
rada A4
Autost
Cologno
al Serio
Provincia
di Milano
Au
tos
Urgnano
Brembate
tra
da
A4
Martinengo
Pontirolo
Nuovo
Provincia di Brescia
Brignano
Gera d’Adda
Cortenuova
Serio
32
Foppolo
Provincia
di Lecco
a
Treviglio
Aut. Brebemi A35
Romano
di Lombardia
Caravaggio
a
Antegnate
i A 35
bem
Bre
Aut.
Calcio
Add
Giancarlo Beltrame
È dal 1996 docente a contratto
presso lʼUniversità degli Studi di
Bergamo dove ha insegnato Storia Economica, Storia del Pensiero
Economico, Economia Monetaria
ed Economia Politica.
Dal 2012 è, inoltre, dottorando in
Economia della Produzione e dello Sviluppo presso la Facoltà di
Economia dellʼUniversità degli
Studi dellʼInsubria. Ha pubblicato:
Claudio Napoleoni - Il percorso intellettuale e biografico, Università
degli Studi di Bergamo, 2001; Giuseppe Piccinelli, tra imprenditorialità e impegno civico, Fondazione
per la Storia Economica e Sociale
di Bergamo, 2009; Esercizi di economia, Giappichelli Editore, 2011.
Provincia di Sondrio
Add
L’AUTORE
no generati dalla produzione di beni e
servizi attraverso il lavoro. Un modello
che ha coniugato la sovranità del libero
mercato con la “deregolamentazione”
dei mercati finanziari i quali, in tal modo, hanno potuto realizzare uno sviluppo esponenziale in termini sia di volumi sia di prodotti finanziari caratterizzatisi per una complessità e una sofisticazione che è cresciuta di pari passo
con il loro contenuto speculativo.
L’esplosione della bolla speculativa
generata da tale processo di deregolamentazione, avvenuta ormai nel lontano 2007, non ha determinato alcun significativo ripensamento circa il ruolo
che i mercati finanziari sono tenuti a
svolgere per poter garantire o quantomeno sostenere la stabilità e lo sviluppo del sistema economico. Mentre essi
si sono rapidamente ripresi dalla crisi,
sostenuti da massicci interventi pubblici ritenuti necessari in base a una prassi, divenuta “principio” da tutti condiviso, del too big to fail (troppo grande
per fallire), sebbene in evidente contrasto con la proclamata sovranità del libero mercato e delle sue leggi di efficienza che hanno ispirato la loro deregolamentazione, l’economia reale, in
molti Paesi, è tuttora incapace anche
solo di avviare un’inversione del ciclo
economico (non parliamo dei tempi indefinibili necessari per un ritorno ai livelli pre-crisi).
In questo contesto l’Italia si è rivelata tra i Paesi più esposti alle conseguenze della crisi e il perdurare delle
difficoltà ha intaccato, infine, anche
quelle realtà del Paese che, meglio attrezzate dal punto di vista del tessuto
produttivo e sociale, avevano saputo
inizialmente resistere alla crisi. È il caso della Bergamasca, una provincia tra
le più industrializzate del Paese, caratterizzatasi storicamente da uno sviluppo “polivalente” quanto ai settori merceologici e “policentrico” quanto ai
luoghi di produzione, che ha permesso
la formazione di un tessuto produttivo
Adda
La crisi sistemica, conseguente alla finanziarizzazione patologica che ha caratterizzato gli ultimi decenni del (nostro) modello di sviluppo, è all’origine
del presente scritto che affronta alcune
delle ripercussioni, rivelatesi drammatiche, sul tessuto economico e sociale
con specifico riferimento alla provincia
bergamasca. All’origine di quanto oggi
stiamo vivendo è il mutamento della
relazione tra il sistema “finanziario”,
ormai in grado di generare profitti (e
perdite) autonomamente, e il sistema
“reale”, in cui i profitti (e le perdite) so-
O
Da un’interessante relazione del prof. Beltrame presentata al convegno “L’Europa dei territori”, evento
organizzato dal Laboratorio per il Bene Comune (Treviglio - Romano di Lombardia, 16 -17 maggio 2014)
Provincia di Cremona
territorialmente diffuso. Queste caratteristiche, unitamente a una spiccata
apertura ai mercati esteri, hanno assicurato l’affermarsi di una vocazione industriale in grado da subito di confrontarsi sul mercato internazionale.
Un’apertura che oggi segna la differenza tra chi riesce a reagire alla recessione in atto e chi subisce le conseguenze
del crollo della domanda interna. Una
specificità che ripropone a livello locale le difficoltà del nostro Paese.
L’economia bergamasca si caratterizza per una persistente vocazione industriale, sebbene il primato nel concorso al valore aggiunto realizzato nella provincia sia appannaggio del settore dei servizi. Nel 2012 il settore dei
servizi vi contribuisce per il 58% contro il 41% dell’industria e l’1% dell’agricoltura. Tuttavia l’industria si
mantiene a un livello significativamente superiore sia rispetto ai dati regionali (69% servizi, 30% industria, 1%
agricoltura) sia, e ancor più, rispetto ai
dati nazionali (74% servizi, 24% industria, 2% agricoltura).
L’andamento del valore aggiunto
(Grafico n. 1) è sintomatico della risposta alla crisi data dall’economia locale e trova una sostanziale conferma
nell’andamento del tasso di disoccupazione. Con lo scoppio della crisi il PIL
della provincia subisce una brusca caduta che, nel 2009, raggiunge il 10%
(a prezzi costanti 2005) rispetto all’ultimo anno di crescita rappresentato dal
2007. Dopo il biennio di stasi 2010 2011, che illuse i più fiduciosi in una
ripresa, la ricchezza economica prodotta nella provincia subisce un’ulteriore contrazione raggiungendo nel
2013 il suo valore minimo con una contrazione complessiva che supera il 13%,
nonostante la tenuta dell’export. Una recessione equamente ripartita tra il settore primario (agricoltura) e il settore secondario (industria) mentre il settore
terziario (servizi) si dimostra più reattivo e contiene i danni.
L’andamento congiunturale evidenziato dal PIL sembra in contraddizione
con quello relativo al numero complessivo di imprese attive nella provincia. Tuttavia l’analisi più dettagliata proposta
nella Tabella n. 1 (v. pagina successiva)
mette in evidenza significative specificità
che ne danno la spiegazione. L’analisi è
suddivisa nei due periodi individuabili
nell’andamento del Grafico n. 2: quello
della prima fase della crisi, 2007 -2011,
in cui il numero delle imprese attive continua a crescere, e quello della seconda
fase, 2011 - 2013, in cui l’andamento assume un segno negativo ritornando rapidamente verso i valori pre-crisi.
La lettura integrata dei dati permette
Grafico n.1
Valore aggiunto in provincia di Bergamo
(in milioni di euro e prezzi costanti 2005)
29.000
28.470
28.000
27.031
27.000
26.000
25.661
23.000
22.000
2007
2008
2009
innanzitutto di individuare settori che
mantengono un segno costante quanto
simmetrico nel loro andamento per l’intero periodo. Da un lato l’agricoltura, che si
conferma in costante declino in termini di
numero di aziende a fronte di una contribuzione pressoché costante quanto marginale sia al valore aggiunto (0,9% del to-
87.074
87.000
86.547
86.408
85.863
2008
2009
85.930
85.500
85.000
84.500
84.598
84.000
83.500
83.000
2007
Fonte: Istat, Prometeia
2010
2011
2012
2013
Fonte: Istat, Movimprese, Prometeia
87.500
85.869
24.694
24.000
Grafico n. 2
86.000
25.640
25.100
Numero imprese attive in provincia di Bergamo
86.500
25.656
25.000
2010
2011
2012
2013
tale) sia all’occupazione (1,6% del totale)
della provincia. Il dato rimanda, pertanto,
quale causa principale della riduzione, a
una concentrazione dimensionale. Dall’altro lato ci sono settori che, invece,
mantengono un costante andamento positivo ma con alcune differenziazioni: il
commercio registra una crescita complessiva contenuta al 2% e concentrata nel secondo sotto periodo a differenza dei servizi e del turismo, gli altri due settori in
crescita, che, pur caratterizzandosi rispettivamente per un +11,4% e, addirittura, +
37%, rallentano sensibilmente la loro crescita nel secondo sotto periodo. Nonostante i valori a due cifre, la loro contribuzione complessiva al valore aggiunto
provinciale non subisce variazioni significative, segno che, da un lato, il turismo
rimane un settore marginale nell’economia della provincia, dall’altro, quello dei
servizi è dilatato dal fenomeno delle nuove ‘partite IVA’, alimentate dalla crescente precarietà che caratterizza il mercato
OBIETTIVO DEL CREDITO COOPERATIVO È CREARE VALORE ECONO MICO, SOCIALE E CULTURALE A BENEFICIO DELLE COMUNITÀ LOCALI
33
Tabella n. 1
Numero imprese attive in provincia di Bergamo distinte per settore
Settore
2007
2011
2013
Variazione
2007/11
Variazione
2011/13
Variazione
totale
Variazione
%
Agricoltura
5.545
5.242
5.082
-303
-160
- 463
8,35%
-15,90%
Manifatturiero
13.418
11.750
11.289
-1.668
-461
- 2.129
Costruzioni
19.527
20.628
19.421
1.101
-1.207
- 106
-0,50%
Servizi
22.089
24.286
24.601
2.197
315
2.512
11,40%
Commercio
19.436
19.562
19.837
126
275
+ 401
2,00%
4.097
5.392
5.614
1.295
222
1.517
37,00%
486
214
86
-272
-128
- 400
---
84.598
87.074
85.930
2.476
- 1.144
1.332
Turismo
Altro
Totale
che cresce passando dai 477mila lavoratori del 2007 ai 500mila del 2013, il
numero dei disoccupati cresce, nello
stesso periodo, da 12.300 a 36.900.
Purtroppo un ulteriore approfondimento sulla composizione anagrafica
della forza lavoro e, soprattutto, della
disoccupazione, denuncia ulteriori
aspetti di drammaticità che dovrebbero
fare riflettere su responsabilità e conseguenti interventi regolamentativi. I dati
riportati negli ultimi due grafici prendono in considerazione le due fasce d’età
che segnano l’ingresso dei giovani nel
mondo del lavoro. Il Grafico n. 4 considera la fascia d’età che coinvolge i giovani neo-diplomati e neo-laureati. I tassi di disoccupazione sono più che raddoppiati ed è di scarsa consolazione la
constatazione che il divario rispetto ai
dati regionali e nazionali cresca.
Se, infine, andiamo ad analizzare
la fascia d’età che comprende tutti i
flussi di ingresso nel mondo del lavoro, come mostra il Grafico n. 5, a fronte di un dato nazionale che ha ormai
raggiunto il 40%, non lasciando più
dubbi circa l’involuzione in atto, l’impennata nel biennio 2012 - 2013 del
dato provinciale, che raddoppia rispetto al 2011, evidenzia un mercato del
lavoro che ormai esclude dall’opportunità di trovare un’occupazione quasi
un giovane su tre.
Fonte:
Atti Convegno “L’Europa dei territori”
Laboratorio per il Bene Comune
Treviglio - Romano di Lombardia,
16 -17 maggio 2014
L’ECONOMIA BERGAMASCA
Fonte: Istat, Prometeia
Un poʼ di storia: alle origini del decollo industriale
che si riflette sulla significativa distanza dai livelli regionali e nazionali
che proprio nel 2010 raggiunge i suoi
massimi valori: il differenziale percentuale è di -1,9% rispetto alla regione e - 4,7% rispetto al dato nazionale.
La dinamica precedentemente descritta in relazione alle imprese attive nella provincia ha la sua immediata lettura nella svolta occupazionale negativa
che si concretizza nel 2011 e prosegue
fino a oggi. Trainata dalla crisi del settore edilizio e manifatturiero, la provincia sembra oggi resistere solo come isola “meno infelice” di altre. In
effetti il tasso di disoccupazione, che
ha subito un drammatico incremento
pari a oltre 2,8 volte il livello del
2007, si mantiene di 4,8 punti percentuali al di sotto del livello nazionale e
resta inferiore anche al livello regionale, tuttavia è in preoccupante avvicinamento a quest’ultimo, segno che
la situazione della provincia sta peggiorando sia in termini assoluti sia in
termini relativi, per lo meno in ambito
regionale. Il passaggio dai dati percentuali ai valori assoluti permette di
avere un’idea più definita della gravità dell’attuale situazione nella nostra
provincia: a fronte di una forza lavoro
Grafico n. 3
Tasso di disoccupazione
14
12,2
12
10,7
10
8
6
4
2
8,4
7,8
8,4
6,7
6,1
5,4
5,6
5,8
3,7
3,7
4,1
2009
2010
2011
3,7
3,4
7,5
8,1
6,8
7,4
2012
2013
3
2,6
0
2007
2008
Bergamo
Lombardia
Italia
Fonte: Istat, Prometeia, CCIAA Bergamo
Grafico n. 4
Tasso di disoccupazione: classe di età 18 - 29 anni
35
30
29,3
25
24,9
20
15
10
5
19,9
17,9
14,1
14,9
11,6
12,7
7,5
6,2
7,9
5,6
7,1
6,5
2007
2008
2009
2010
20,2
12,5
20
16,8
16
15,2
2012
2013
9,7
0
Bergamo
Lombardia
2011
Il decollo industriale della provincia di Bergamo è stato il risultato di un insieme di fattori che reagirono positivamente. L’agricoltura presentava svantaggi naturali che avevano
spinto già molto prima della rivoluzione industriale a una diversificazione manifatturiera e mercantile. Da tali tradizioni
“protoindustriali”, tuttavia, non sarebbe emersa direttamente l’industrializzazione, se non si fossero innestate nell’area capacità imprenditoriali esterne (svizzeri e lombardi
di altre province). Ma tali imprenditori esterni scelsero il
Bergamasco proprio perché presentava le condizioni favorevoli, in relazione alla manodopera e all’energia, e anche
perché aveva una classe dirigente che si adoperava per
rammodernare le istituzioni locali in linea con le esigenze
del sistema economico.
L’avventura industriale bergamasca iniziò col tessile, ma
già da subito rivelò l’esistenza di un nucleo di imprese poco numeroso, ma qualificato, in altri settori; ricevette poi un
impulso notevole dalla prima guerra mondiale, riuscendo a
consolidarsi entro la vigilia della seconda. Alla fine degli
anni Trenta il tasso di industrializzazione relativo alla popolazione classificava Bergamo come quarta provincia della
Lombardia (dopo Varese, Milano e Como, ma prima di Brescia). Negli anni del “miracolo economico” il decollo sbocciò in una piena fioritura industriale, che ha tenuto il passo
con quella delle più importanti aree industriali del paese.
I principali motivi di successo del decollo industriale bergamasco stanno nelle tradizioni culturali che hanno prodotto un’ampia diversificazione delle attività produttive: da
un lato le tradizioni mezzadrili e dall’altro quelle commerciali e cittadine. Le prime abituarono la forza lavoro all’industriosità, alla parsimonia, alla molteplicità delle attività,
O
del lavoro e che rende estremamente
difficoltoso ottenere contratti di lavoro
subordinato. Rilevante, infine, soprattutto in termini di ricadute occupazionali, è
l’andamento dei due settori che più caratterizzano l’economia bergamasca: il
manifatturiero e le costruzioni. Il saldo
finale è per entrambi i settori negativo
anche se con un andamento intermedio
differenziato. Tuttavia entrambi raggiungono oggi valori drammatici che
determinano e spiegano l’impennata del
tasso di disoccupazione, raddoppiato
nel periodo 2010 - 2013. Il settore delle
costruzioni ha continuato a crescere in
numero di imprese, +5,6% nel periodo
2007-2011, ma il dato è influenzato
dalla trasformazione, forzata dalla situazione di crisi, di lavoratori dipendenti in
lavoratori autonomi che operano da terzisti per le stesse imprese edili di provenienza. Tale incremento è azzerato nel
successivo periodo 2011-2013 caratterizzato da un -5,9%. Complessivamente
il settore perde solo 106 imprese ma, nel
solo periodo 2011-2013, il saldo netto è
di - 1.207 imprese. La reale portata della crisi si rivela nel settore manifatturiero i cui dati, non influenzati dal fenomeno della precarizzazione del lavoro, mostrano per l’intero periodo un andamento negativo con una riduzione netta di n.
2.129 imprese pari al 15,9% del totale
del settore.
La conseguenza socialmente, oltre
che economicamente, più rilevante di
quanto sin qui descritto è la deflagrazione della disoccupazione involontaria.
Innanzitutto, ciò che emerge dal
Grafico n. 3 è che la Bergamasca non
è più un’”isola felice” nel panorama
nazionale come poteva apparire fino
al 2010 quando, nel pieno della crisi,
sembrava resistere con una crescita
della disoccupazione complessivamente limitata a un +0,7% contro il
+2,2% regionale e il +2,3% nazionale
rispetto ai valori pre-crisi. Una tenuta
Stabilimento della Dalmine: acciaieria, colata in fossa (1937).
alla cooperazione familiare nel raggiungere i risultati produttivi, alla solidarietà che costruisce una società coesa e
ricca di reti di rapporti di fiducia. Le seconde abituarono fin
da antica data gli operatori economici locali a rapportarsi al
mercato, cercando di “servirlo”, con flessibilità e capacità
di adattamento, in ciò di cui esso faceva domanda, e, nel
medesimo tempo, ad assumere anche responsabilità istituzionali, per adeguare le istituzioni locali ai nuovi bisogni
dell’economia.
Fonte:
“Storia economica e sociale di Bergamo - Fra Ottocento e Novecento. Il decollo industriale”
Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo. Istituto
di studi e ricerche, 1997
Italia
Fonte: CCIAA Bergamo
Grafico n. 5
Tasso di disoccupazione: classe di età 15 - 24 anni
45
40
40
35,3
35
30
25
20
15
10
27,8
25,4
21,3
20,3
12,9
9,1
12,5
18,5
19,8
11,6
11,9
29,1
20,7
26,6
30,8
29,4
24,9
14,7
8,5
5
0
2007
Bergamo
Fonte: CCIAA Bergamo
34
2008
Lombardia
2009
2010
2011
2012
2013
Italia
Marchio Legler: il cotonificio di Ponte San Pietro negli anni Quaranta.
OBIETTIVO DEL CREDITO COOPERATIVO È CREARE VALORE ECONO MICO, SOCIALE E CULTURALE A BENEFICIO DELLE COMUNITÀ LOCALI
35
Scarica