Introduzione L’ oceanografia è la scienza che ha per oggetto lo studio dell'ambiente marino e dei processi fisici, chimici e biologici che si sviluppano in esso e ne mantengono la struttura e i movimenti. Essa si divide in tre grandi settori : - l'oceanografia dell’ambiente fisico contenitore degli oceani (vaso oceanografico), studia i rilievi, la natura e la genesi dei fondali oceanici fino agli zoccoli dei continenti; - l'oceanografia del liquido, o idrologia marina, si occupa delle proprietà fisiche e dei movimenti delle masse d'acqua marina (maree, correnti), e delle interazioni tra gli oceani e l'atmosfera terrestre; - l'oceanografia del vivente, infine, studia le specie vegetali e animali che vivono nel mare. Questa dispensa si prefigge di fornire una generale conoscenza di questi settori, limitatamente a quanto potrà essere utile per il raggiungimento delle finalità di questo corso. Giova ricordare che l’oceanografia è una scienza giovane, che si è sviluppata considerevolmente negli ultimi trenta anni, grazie alla odierna tecnologia (batiscafi, satelliti). Questi sofisticati mezzi, collegati ad efficienti strumentazioni elettroniche(radar,sonar ed altri dispositivi), ci hanno permesso di raccogliere una grande massa di informazioni sugli oceani ed i suoi abitanti. Abbiamo carte topografiche dei fondali marini, tabelle delle correnti, mappe dei flussi migratori dei branchi di vari tipi di animali, dalle balene al plancton. Grandi prospettive future ci offrono i R.O.V. (Remote Operating Vehicle), veicoli telecomandati per l’esplorazione dei fondali. Jacques Piccard ed il batiscafo “Trieste” con cui nel 1960 ha raggiunto il fondo della Fossa delle Marianne, a 11.000 mt. di profondità. I programmi di ricerca internazionali, coordinati dall’ UNESCO, vengono attuati dai numerosi Istituti di ricerca oceanografica, che oltre alla ricerca pura si impegnano anche in studi per il reperimento di giacimenti minerari e per lo sviluppo dell’ itticultura, attività di rilevante interesse economico, svolte coi contributi finanziari di diversi paesi. PARTE I : GEOFISICA MARINA La deriva dei continenti All'inizio degli anni Venti Alfred Wegener (1880-1930), un geofisico tedesco, ipotizzò che 200 milioni di anni fa fosse esistito un unico grande continente detto Pangea, il quale si sarebbe poi frazionato in due zolle (Laurasia a nord e Gondwana a sud) le quali, a loro volta, si sarebbero lentamente separate, formando gli odierni continenti e oceani. La crosta terrestre è costituita in sostanza da due tipi di associazione rocciosa: il sima, a base di silicati di magnesio (basalto), caratteristico della crosta oceanica, e il sial, a base di silicati di alluminio (granito), caratteristico della crosta continentale. Wegener pensava che le zolle continentali sialiche andassero alla deriva attraverso la crosta oceanica simatica come iceberg in un oceano. Wegener presentò a sostegno della sua teoria la perfetta corrispondenza di forme tra la costa orientale dell'America meridionale e quella occidentale dell'Africa, che sembrano proprio le parti di un incastro. Inoltre provò anche che le formazioni rocciose delle opposte sponde atlantiche del Brasile e dell'Africa occidentale erano della medesima era geologica, presentavano uguale struttura e consistenza e vi si trovavano le stesse specie di fossili di animali e piante, tutte testimonianze del fatto che un tempo l'America meridionale e l'Africa erano unite. Nei decenni successivi, varie scoperte scientifiche convalidarono la teoria di Wegener. I geologi dimostrarono infatti l'esistenza dell'astenosfera sotto la superficie terrestre, e, utilizzando il sonar per misurare la profondità e la struttura dei fondali oceanici, scoprirono la Dorsale Medio-Atlantica, che costituisce un tratto della dorsale che si estende in tutti i fondali oceanici. Tutto ciò portò, negli anni ’60, alla formulazione della teoria della tettonica a zolle. Le dorsali oceaniche La tettonica a zolle Secondo la teoria della tettonica a zolle, la crosta terrestre è costituita da una dozzina di zolle (o placche) rigide, che si muovono, indipendentemente l'una dall'altra, su uno strato di magma (roccia allo stato fluido per l’alta temperatura), detto astenosfera, che ha uno spessore variabile fra i 50 e i 150 km. Si ritiene che il movimento delle zolle in superficie sia causato da correnti di convezione, processo ciclico che spinge il magma più caldo e fluido verso la superficie ove si raffredda per poi tornare nel profondo dell’astenosfera a rifondersi. Parte del magma che risale in superficie lungo i margini delle zolle, riesce a solidificarsi, aggiungendosi alla crosta terrestre, e provocando tensioni tettoniche che spesso si traducono in terremoti ed eruzioni vulcaniche. I margini delle zolle non coincidono necessariamente con i margini dei continenti. Una zolla può essere composta da crosta continentale, da crosta oceanica o da entrambi i tipi di crosta. In genere i continenti costituiscono solo una parte della zolla cui appartengono, che può estendersi per centinaia di chilometri al largo delle coste. I margini delle zolle possono essere di tre tipi: divergenti, convergenti e trasformi. I margini divergenti appartengono a zolle che si allontanano l'una dall'altra a causa del magma che risale in superficie dall'astenosfera. Il magma che affiora presso i margini divergenti solidifica, aggiungendo quindi nuova crosta alle estremità delle zolle che si allontanano, per cui spesso gli scienziati li definiscono margini di accrescimento, dato che in corrispondenza di essi avviene la formazione di nuovo materiale. Le dorsali medioceaniche sono un esempio di questo tipo di margini, che in genere assumono la forma di catene montuose sottomarine, alcuni tratti delle quali raggiungono altitudini tali da emergere dalle acque, formando isole come l'Islanda, nell'Atlantico settentrionale. Margini divergenti possono trovarsi anche in terre emerse: ne è un esempio la Rift Valley, che si estende per oltre 4.830 km dalla Siria al Mozambico. La divergenza ha reso sottile la crosta terrestre, che si frattura e sprofonda lungo questi margini. I margini convergenti appartengono a due zolle che si muovono una verso l'altra, entrando in collisione. Quando una zolla oceanica, come la Zolla di Nazca, che si muove verso est sotto l'Oceano Pacifico sudorientale, incontra il margine di una zolla continentale, come quella dell'America meridionale, la placca oceanica, più spessa e più pesante scivola sotto quella continentale, sprofonda nell'astenosfera e subisce un parziale processo di fusione. In corrispondenza dei margini si formano spesso profonde fosse oceaniche, mentre sulla zolla continentale si innalzano catene montuose e possono verificarsi terremoti, capaci di spostare le zolle fino a 5 m. Faglie di questo tipo si trovano in Cile, Giappone, Taiwan, Filippine, Nuova Zelanda e Sumatra. I margini trasformi appartengono a zolle che scivolano l'una accanto all'altra in direzioni opposte. Tale movimento non provoca fenomeni vulcanici, ma violenti terremoti. Un esempio di margine trasforme è la Faglia di San Andrea in California e le dorsali medioceaniche sono incise da centinaia di piccole faglie trasformi. La rivoluzionaria teoria della tettonica a zolle è alla base della geologia moderna, giacché spiega l'origine di varie formazioni della superficie terrestre, la causa dei movimenti dei continenti, l'attività dei vulcani e l'origine dei terremoti. La maggior parte delle eruzioni vulcaniche e dei terremoti si verifica, infatti, lungo i margini delle zolle. L’espansione dei fondali oceanici L’esame delle dorsali oceaniche portò alla scoperta che le rocce più vicine alla cresta della dorsale erano di formazione più recente di quelle più lontane, inoltre la struttura geomagnetica di un versante della dorsale è speculare e di orientamento contrario a quello del versante opposto . Altra scoperta fu che non vi sono sedimenti marini sulle creste, ma essi aumentano man mano che ci si allontana dall’asse della dorsale e, per finire, lungo l’asse si è osservato un notevole flusso di calore. Tutto ciò, oltre a confermare ulteriormente la teoria della tettonica a zolle, prova l’espansione continua dei fondali oceanici : quando il magma raggiunge il fondo oceanico dalle profondità della Terra, subisce un rapido raffreddamento e si solidifica, formando nuova crosta e spingendo le placche ai lati della dorsale che si allontanano l'una dall'altra. Nella dorsale Atlantico settentrionale la creazione di nuova crosta provoca lo spostamento dei margini delle zolle interessate di quasi 2 cm l'anno, mentre nella dorsale del Pacifico può superare i 6 cm annui. Questi movimenti così lenti, provocati dalle correnti di convezione che hanno origine nel mantello o astenosfera, hanno dato luogo – nel corso di milioni di anni – al fenomeno della deriva dei continenti. L’esplorazione del fondo oceanico ha anche rivelato che la cresta della dorsale oceanica presenta anche profonde zone di frattura trasversali. Queste fratture corrispondono alle cosiddette faglie trasformi, che si sviluppano per scaricare le tensioni diseguali di espansione oceanica. La maggior parte di queste faglie è situata sotto gli oceani; una di esse (la faglia di San Andrea), tuttavia, emerge dall'oceano Pacifico in prossimità della città di San Francisco e continua per centinaia di chilometri sul territorio californiano. California – La faglia di San Andrea La subduzione La subduzione si verifica quando due placche si scontrano e una delle due scivola sotto l'altra, sprofondando nell'astenosfera, dove viene parzialmente fusa, formando nuovo magma, che successivamente risale in superficie con fenomeni eruttivi. Quando, delle due zolle, una è oceanica e l’altra continentale, è quella oceanica, costituita da roccia basaltica più densa, ad andare in subduzione al di sotto dell’altra; nel punto di contatto si forma una fossa oceanica, mentre al di là di questa si innalza a poco a poco una catena vulcanica, derivante dall’accumulo del materiale magmatico risalito in superficie in seguito alla fusione della zolla sprofondata. È questo il caso della catene delle Ande, formatasi circa 60 milioni di anni fa in seguito alla convergenza della placca di Nazca contro quella sudamericana. Se invece le due zolle convergenti sono entrambe oceaniche, quella che va in subduzione produce quello che va sotto il nome di sistema arco-fossa: una fossa e un arco insulare dall’andamento quasi parallelo. È questo il caso delle fosse oceaniche delle Marianne (11.000 mt.), di Tonga (10.800 m), delle Filippine (10.500 m), delle Curili (10.500 m), tutte associate a un arco di isole vulcaniche. Quando si scontrano due zolle continentali, i margini di entrambe sono sottoposti a una pressione verso l'alto che determina la formazione di catene montuose. La collisione della zolla dell'India con quella dell'Asia, ad esempio, ha formato l'Himalaya e, poiché tale processo non si è ancora concluso, le catena himalayana è ancora in fase di innalzamento. Il fenomeno della subduzione si rileva lungo quasi tutte le fasce costiere del Pacifico. La maggior parte di queste fasce presenta un sistema di faglie principali disposte parallelamente ai sistemi montuosi. A intervalli di tempo variabili, queste faglie si mettono in movimento lento o repentino, producendo episodi sismici con spostamento delle faglie anche di 5 m. Un fenomeno interessante che avviene per la subduzione, è che la crosta oceanica viene continuamente trascinata nel mantello, dove va incontro alla fusione e risale formando nuovo fondo oceanico e, dato questo continuo riciclo, nessuna porzione dell'attuale crosta oceanica supera l'età di 200 milioni di anni. CURIOSITA’ La recentissima ripresa dell'attività vulcanica intorno all'isola di Panarea, nella primavera 2003, rende di grande attualità gli argomenti sopra trattati. La Sicilia, con i suoi vulcani (Etna, Vulcano, Stromboli e numerosi altri sommersi, molti dei quali attivi), è una zona soggetta a tali fenomeni : ricordiamo quanto accaduto nel banco Graham, a circa 30 miglia a sud di Sciacca nel 1831, allorché emerse un'isola del tutto nuova che venne chiamata Ferdinandea in onore di re Ferdinando II, re delle Due Sicilie, e che essendo posta al crocevia di rotte e traffici mercantili di non scarsa importanza finì quasi per mettere a rischio i nostri rapporti internazionali con il Regno Unito. L'isola poi risprofondò in breve tempo e ora sta pian piano riemergendo (nel 2003 era a soli 8 mt. sotto la superficie), ma non si tratta dell'unico episodio del genere dal momento che si può ricordare tanto il fenomeno dell'isola di Surtsey (Islanda) verificatosi negli anni '60, quanto quello verificatosi nelle isole Salomone dove c'è un'isola comparsa e scomparsa ben 9 volte dal 1939 ad oggi. Questi episodi sono comuni nei mari, considerato che al di sotto degli oceani scorrono ben 70.000 km. di dorsali oceaniche che determinano circa l'80% del magmatismo che si verifica annualmente sul pianeta. PARTE II : IDROLOGIA Oceani Gli oceani sono grandi masse di acqua salata che si trovano in profondi bacini fra i vari continenti. Essi occupano circa i tre quarti dell’intera superficie terrestre e, pur essendo tutti comunicanti fra loro, vengono suddivisi per comodità in oceano Atlantico, Pacifico e Indiano in base alla loro collocazione geografica. Porzioni di oceano semichiuse da terraferma vengono parimenti denominate mari (Mediterraneo, Baltico, Artico,ecc.). La profondità media dei bacini contenenti gli oceani è di 3.960 metri. Gli oceani contengono il 97% dell’acqua esistente sulla Terra e sono pertanto essenziali per il mantenimento di tutte le forme di vita. L’acqua si trova in natura sia allo stato solido (ghiacci), sia liquido, sia gassoso (nubi, vapore). Salinità La salinità media dell'acqua degli oceani è pari al 35 per mille (35 g di sali per 1 kg di acqua). La maggiore o minore salinità dipende dalle precipitazioni e dall'evaporazione. Tra i mari più salati c'è il Mar Rosso, che supera i 40 ‰, ma anche il nostro Mediterraneo presenta una notevole salinità (37‰). Ancora più salati sono i mari interni, i laghi salati, e quelli che non fruiscono di ricambi d'acqua. Il Gran Lago Salato ed il Mar Morto arrivano perfino al 300 ‰ ! Una certa variazione di salinità la si può notare anche tra gli strati superiori e quelli inferiori dell'acqua. Per calcolare la salinità di un bacino si fa evaporare una certa quantità di acqua e si rapporta con il sale che rimane. Tra l'acqua di mare e l'atmosfera vi è anche uno scambio di ioni, sono proprio quelle particelle, legate alla continua evaporazione, a determinare quella particolare "aria di mare" che si avverte in prossimità delle coste. Movimento dell’acqua marina L’acqua degli oceani sotto l’azione di forze diverse quali : il vento, l’attrazione gravitazionale, la rotazione terrestre, l’attività vulcanica/sismica e la convezione termica, è necessariamente in continuo movimento. I movimenti più significativi sono : - il moto ondoso; - le maree; - le correnti. Moto ondoso Le onde sono generate dal vento che soffia sulla superficie dell’acqua e trasferisce ad essa la sua energia. L’altezza delle onde dipende da tre fattori : -la velocità del vento; -la durata del vento; -la distanza o area coperta dal vento (fetch). Le onde in genere si formano ad una certa distanza dalla costa; crescono fino a frantumarsi in frangenti spumeggianti vicino alle rive; le creste delle onde, separate da concavità (ventri o solchi), si succedono con regolarità, secondo un ritmo o periodo che può oscillare da uno a venti secondi. Tipicamente un’onda lunga di alto mare ha una lunghezza d’onda di 600 mt., un periodo di 20 secondi ed una velocità di 30 mt/s., mentre un onda alimentata dal vento ha di norma una lunghezza di 70 mt, un periodo dei 7 secondi ed una velocità di 10/15 mt/secondo. Nell'interazione tra vento e onde, quanto più cresce la barriera di onde sollevata dal vento, tanto più diventa possente la forza esercitata dal vento sulla superficie marina come se - dovendosi opporre ad un muro più alto di acqua - il vento stesso dovesse acquistare più vigore. I tre parametri essenziali per la misurazione delle onde sono altezza, lunghezza e periodo. Le onde proseguono, anche per tutta la lunghezza dell’oceano, finché non trovano una costa su cui infrangersi e scaricare l’energia accumulata. In un’onda l’acqua effettua un movimento circolare uguale all’altezza dell’onda, coinvolgendo nel suo movimento anche l’acqua sottostante, fino ad una profondità pari alla metà della lunghezza d’onda. Ad esempio se un’onda ha una lunghezza di 60 metri, al di sotto dei (60/2) 30 mt. l’acqua è immobile. Quando le onde arrivano in acque basse, la lunghezza d’onda e la velocità diminuiscono col diminuire della profondità e infine quando la parte inferiore dell’onda fa attrito col fondo rallenta, mentre la parte superiore, più veloce, si infrange, ricadendo su se stessa. Giunta a terra, l’acqua sale su per la spiaggia o urta contro la roccia; in entrambi i casi, viene respinta indietro e torna in mare. Tale fenomeno è chiamato risacca ed è caratterizzato spesso da acqua tumultuosa e spumeggiante. La risacca può costituire un vero problema per i nuotatori e/o subacquei, perché, oltre a rendere l’acqua torbida, può trascinarli sott’acqua o al largo velocemente. Se le onde si infrangono in un punto lontano dalla costa, ciò può essere dovuto ad una secca, uno scoglio sommerso, un relitto. Particolare attenzione va prestata alla condizione del mare in caso di immersione nelle loro vicinanze. La lunghezza delle onde generate dal vento può essere minore o maggiore della profondità dell'acqua in cui esse si propagano; nel primo caso si parla di onde corte, nel secondo di onde lunghe. Queste ultime comprendono fenomeni di tipo, entità e origine diversi, a partire dalle piccole oscillazioni del livello del mare, limitate alle insenature, fino alle maree, estese agli oceani nella loro globalità. Un esempio importante di onde lunghe è dato poi dagli tsunami. Generati da terremoti sottomarini, sono onde che attraversano l'oceano ad altissima velocità (di norma 200 m/s) : queste onde, molto lunghe e basse, possono risultare impercettibili per le navi in alto mare, ma hanno effetti devastanti quando si abbattono sulle coste, specialmente quelle insulari. Marea La marea è quel fenomeno di innalzamento delle acque dell'oceano, sia in mare aperto, sia nelle insenature, prodotto dall'attrazione gravitazionale della Luna . Anche il Sole esercita attrazione, anche se in misura molto inferiore a causa dell’enorme distanza dalla Terra. Quando i due astri sono allineati , al plenilunio ed al novilunio, le due forze si sommano dando origine a maree più grandi (maree equinoziali). Quando la Luna è al suo primo o terzo quarto, invece, si trova ad angolo retto rispetto al Sole e le due forze di attrazione interferiscono negativamente. Questa condizione produce le maree di quadratura, durante le quali l'acqua alta è più bassa del normale e l'acqua bassa più alta. La Luna passando sulla verticale di un punto della superficie terrestre, esercita una forza di attrazione sulle acque, che pertanto si sollevano al di sopra del loro livello normale (marea diretta). Anche le acque che si trovano dal lato diametralmente opposto della Terra, subiscono un innalzamento a seguito della forza centrifuga esercitata dalla rotazione del sistema Terra-Luna (marea opposta). Esistono altri fattori che agiscono sull’ampiezza delle maree e giustificano le loro diverse oscillazioni nei vari luoghi della Terra: l’inclinazione dell’asse terrestre, l’orbita ellittica della luna, la differente conformazione dei mari. Perpendicolarmente all’asse marea diretta-opposta si verifica il fenomeno di abbassamento del livello normale del mare. Le acque basse (riflusso) e alte (flusso) si alternano generalmente con intervalli di circa 12 ore e la differenza tra il massimo e il minimo livello si chiama escursione di marea . Le escursioni di marea oceaniche sono nettamente più alte rispetto a quelle dei mari interni. La più grande in assoluto si riscontra nella baia di Fundy, in Canada, dove l’escursione supera i 18 mt.! Correnti di marea Ai movimenti verticali dell'acqua si associano vari movimenti orizzontali o laterali, denominati correnti di marea, completamente diversi dalle comuni correnti oceaniche, descritte più avanti. In zone circoscritte, una corrente di marea scorre in una direzione per circa 6 ore e 12 minuti, dopodiché si inverte e scorre in senso opposto per lo stesso tempo; in corrispondenza dell'inversione, l'acqua resta per alcuni secondi ferma. Sconosciuta è finora la causa per cui non tutte le coste hanno correnti di marea, mentre altre, invece, hanno correnti ma non maree. Certo è che alcune caratteristiche fisiche della costa possono accentuare il fenomeno : baie ed estuari con l’imboccatura a forma di imbuto amplificano gli effetti delle maree e delle correnti; lo stesso accade nei canali e negli stretti (canale di Sicilia, stretto di Messina, ecc.). L'energia delle maree può essere sfruttata per la produzione di elettricità. L'onda di marea, passando attraverso una diga, aziona un sistema di turbine, quindi viene bloccata mediante chiuse. Quando la marea si abbassa, l'acqua viene rilasciata riaprendo le chiuse della diga e mette nuovamente in funzione le turbine. Tale impianto è efficiente solo se l'escursione di marea è notevole. Un esempio è costituito dall’impianto sulla foce del fiume Rance, in Francia, che fornisce 240.000 Kw, con una escursione di marea di oltre 8 mt. Correnti oceaniche Poiché l’acqua dei mari equatoriali riceve più calore di quelle polari, si forma un movimento convettivo che va dalle acque più calde verso quelle meno calde. Tale movimento si aggiunge a quello, anche più intenso, dei venti costanti, generando un complesso e potente movimento circolare delle acque. Le correnti dell’emisfero settentrionale si muovono in senso orario, e quelle dell’emisfero meridionale in senso antiorario, sia per l’influenza dei venti dominanti che della rotazione della Terra (forza di Coriolis). Le correnti oceaniche sono fondamentali perché con il trasferimento del calore determinano il clima della Terra. La calda corrente del Golfo, che ha origine nel golfo del Messico, attraversa tutto l'oceano Atlantico in direzione nord-est e giunge fino al Nord Europeo mitigandone il clima . Ricordare che in alcuni casi la corrente può raggiungere la velocità di alcuni nodi, rendendo impossibile risalirne il corso anche al più veloce nuotatore o subacqueo, ma anche la velocità di un nodo (1,82 km/h) rende estremamente difficoltoso contrastare la corrente. Nella cartina è evidenziata la cosiddetta cintura di convezione oceanica, l'ampio circuito di correnti marine che ridistribuiscono il calore da un oceano all'altro e dagli strati profondi a quelli superficiali. Le correnti oceaniche dell'estremità dell’emisfero australe, circolando in senso antiorario tra gli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano, si mescolano generando una corrente fredda che circola in senso orario intorno all'Antartide e che viene denominata corrente circumpolare antartica. La temperatura del mare e il termoclino Le acque oceaniche dell'emisfero boreale hanno una temperatura media di poco superiore a 19°, mentre quelle australi superano di poco i 16°. La temperatura dell'acqua marina diminuisce di circa 0,3 °C per ogni grado di latitudine : di conseguenza, è in media di 27 °C presso l'equatore (lat. = 0°) e di – 2 °C presso i poli (lat.= 90°). Ciò per il diverso riscaldamento del mare da parte dei raggi solari Anche con la profondità si ha una progressiva diminuzione di temperatura, fino a raggiungere valori compresi tra 1 e 3 °C oltre i 4000 metri. Questa progressione tuttavia non è costante, ma dipende dalla profondità alla quale si trova il cosiddetto termoclino. Questo è un sottile strato d’acqua che, come un mantello, divide la massa d’acqua soprastante (più calda), da quella sottostante (più fredda). La differenza di temperatura tra l’acqua sopra il termoclino e quella di sotto è notevole (fino a 10°C circa). Scendendo, la temperatura si abbassa ancora, ma costantemente, fino al minimo di 1°C. Questo fenomeno si riscontra a varie profondità a seconda della latitudine : pochi metri all’ equatore, da 100 a 1000 metri per le basse e medie latitudini, non si riscontra oltre il 50°N e oltre il 50°S, zone ove già l’acqua si trova costantemente alla minima temperatura. La circolazione per convezione avviene esclusivamente negli strati superiori al termoclino, non c’è alcuno scambio fra i due strati, come se fossero divisi da un contenitore trasparente. Le cause del fenomeno sono ancora oggetto di studio. PARTE III : IDROBIOLOGIA L’enorme quantità di specie vegetali ed animali viventi negli oceani rende impossibile anche la semplice elencazione del loro nome : esistono oltre 60.000 specie di molluschi, 26.000 di crostacei, 22.000 di pesci, 20.000 di protozoi, 10.000 di celenterati, 5.000 di poriferi e, fra le piante 8.000 diatomee, 7.000 alghe verdi, 4.000 alghe rosse e 1.500 brune. L’idrobiologia o biologia marina, nata con l’oceanografia, è diventata una branca specialistica autonoma e va dividendosi sempre più in sub-specializzazioni. Ci limiteremo, pertanto, in questo testo, a fornire delle semplici schede su alcuni organismi vegetali ed animali fra i più comuni. Posidonia Classificazione scientifica: La specie Posidonia oceanica appartiene al genere Posidonia; famiglia potamogetonacee; ordine elobie; classe monocotiledoni; divisione angiosperme. E’ endemica del mar Mediterraneo. Vive sui sedimenti sabbiosi, la posidonia può formare praterie, o posidonieti, molto dense (oltre 700 piante per metro quadrato) fino a circa 40 m di profondità. Presenta caratteristiche morfologiche simili alle piante terrestri, avendo vere e proprie radici, un fusto rizomatoso, foglie nastriformi che, raggruppate in ciuffi di 6-7, possono raggiungere anche un metro di lunghezza, nonché fiori (in autunno) e frutti galleggianti (in primavera), volgarmente chiamati “olive di mare” . Per il ruolo ecologico che svolge nel mantenimento dell’equilibrio della fascia costiera mediterranea, la Posidonia è una specie protetta dall’Unione Europea. Tuttavia, essendo particolarmente sensibile all’abbassamento della salinità, è particolarmente minacciata da diverse attività umane, quali la costruzione di porti, la discarica di sostanze varie lungo la costa e la pesca a strascico, spesso illegale. Avrete certamente notato le foglie accumulate dal moto ondoso lungo il litorale, dove possono costituire banchi spessi anche alcuni metri. Le fibre delle foglie, sbriciolate e compattate dal mare, possono dare origine a formazioni tondeggianti di consistenza fibrosa, dette egagropili o, comunemente, "palle di mare", facilmente visibili sui litorali. L’elevata produzione di ossigeno (20 l/g/m2) fa sì che la prateria costituisca un ambiente di grande interesse trofico per molte specie. In realtà sono pochi gli animali che si cibano delle foglie, come la salpa (Sarpa salpa) e il riccio (Paracentrotus lividus); le foglie, infatti, contengono composti chimici che ne scoraggiano il consumo, e un alto contenuto di cellulosa che non ne favorisce la digeribilità. Abbondante è invece la fauna che attinge nel posidonieto dove trova una notevole ricchezza di prede: molluschi, crostacei, ecc. annidati fra le foglie e i rizomi. Le alghe Particolarmente ricco e differenziato è anche il mondo delle alghe, organismi mono o pluricellulari autotrofi, formati da cellule non differenziate in diversi organi, capaci di compiere la fotosintesi e caratterizzati da un'organizzazione strutturale molto primitiva. Le alghe unicellulari sono diffuse nei mari e nelle acque dolci, e costituiscono una componente importante del plancton e il primo anello delle catene alimentari acquatiche. Le alghe pluricellulari sono diffuse in tutti i mari e i corpi d’acqua dolce, nella maggior parte dei casi ancorate a un substrato; crescono nelle zone dalla superficie fino a profondità superiori a 250 m, a seconda della penetrazione della luce. La branca della biologia dedicata allo studio delle alghe prende il nome di ficologia o algologia. Le alghe pluricellulari si dividono in alghe verdi (Clorofite), alghe rosse (Rodofite) e alghe brune (Neofite). Le alghe verdi sono considerate le alghe più affini alle piante superiori: oltre a essere dotate degli stessi tipi di clorofilla, infatti, immagazzinano le sostanze di riserva nello stesso modo, vale a dire sotto forma di amido, e hanno pareti cellulari di composizione chimica simile. Sulla base di queste e altre somiglianze, è riconosciuta al gruppo una notevole importanza evolutiva: da esso si sarebbero originate, circa 450 milioni di anni fa, le piante terrestri briofite e tracheofite. Alcune presentano pareti impregnate di aragonite (una forma di carbonato di calcio) e hanno un ruolo importante nella formazione delle barriere coralline. Vivono a bassa profondità, fino a 30 metri. Una specie marina molto diffusa lungo le coste sabbiose del Mediterraneo è Ulva lactucae (“lattuga di mare”), dal tallo laminare, che vediamo spesso utilizzata come decorazione della merce nelle pescherie. Le alghe rosse sono caratterizzate da pigmenti fotosintetici accessori rossi (ficoeritrina) e blu, che conferiscono un colore rosso scuro nascondendo il verde della clorofilla. Vivono a profondità tra i 40 e i 60 metri. La maggior parte sono commestibili e rappresentano un alimento importante nella tradizione gastronomica soprattutto dell’Estremo Oriente. L'agar, anch'esso tratto dalle alghe rosse, è una sostanza zuccherina consumata come prelibatezza in Asia e usato in laboratorio come mezzo colturale per i microrganismi. Dalle pareti cellulari delle alghe rosse si estrae anche un altro polisaccaride, la carragenina , con proprietà emulsionanti, stabilizzanti e gelificanti, usata nella produzione dei latticini, nonché nell'industria cosmetica, farmaceutica e tessile. Le alghe brune sono caratterizzate da clorofilla a e c e da pigmenti fotosintetici gialli del gruppo delle xantofille, a cui devono il tipico colore bruno. Si tratta di specie perlopiù marine, diffuse principalmente nelle acque costiere delle regioni fredde del pianeta, fino a una profondità di circa 30 m. Le alghe brune sono note per le grandi dimensioni che possono raggiungere. Esse sono impiegate come fertilizzanti e per l'alimentazione del bestiame. L'acido alginico, estratto da queste alghe, può essere lavorato per ottenere fibre simili alla seta e un materiale plastico insolubile in acqua, impiegato per produrre pellicole, gel, gomme e linoleum; o ancora, può essere impiegato come colloide nei cosmetici, nei prodotti per lucidare la carrozzeria delle automobili e nelle vernici. I derivati organici degli alginati sono usati come gomme alimentari nella produzione di gelati, budini e formaggi lavorati. Alcune grandi alghe brune, ricche di vitamine e minerali, sono anche utilizzate come alimento umano. Alga verde : Lattuga di mare Alga bruna : Cystoseira Alga bruna : Sargasso Alga verde : Caulerpa Alga bruna : Coda di pavone Alga verde : Cymodocea Alga rossa : Piumino A. verde : Ventaglio di mare A. verde : Ombrellino di mare A. rossa : Lichene marino Il plancton ed il krill Il plancton è l’insieme dei piccoli organismi animali e vegetali, unicellulari e pluricellulari, che vivono sospesi nelle acque dei mari, dei fiumi e dei laghi, fino a profondità di 200 mt., trasportati dalle maree e dalle correnti. Le due componenti vegetale e animale del plancton si chiamano rispettivamente fitoplancton e zooplancton; la prima comprende cianobatteri, alghe microscopiche e protisti come le diatomee, che producono attivamente il proprio nutrimento attraverso il processo di fotosintesi. Si stima che il 90% di tutti i processi fotosintetici che avvengono sul pianeta, con la conseguente liberazione di ossigeno, abbia luogo nelle acque marine e sia dovuto in gran parte agli organismi del fitoplancton. Quest’ultimo, inoltre, rappresenta il primo anello della grande rete alimentare acquatica: trasforma infatti l’energia della luce che filtra negli strati più superficiali delle acque, in materia organica utilizzabile dagli altri organismi. La seconda componente, lo zooplancton, è costituita da protozoi come i dinoflagellati e i foraminiferi, piccoli crostacei come i copepodi, meduse, molluschi, nonché le uova e le larve della maggior parte delle specie acquatiche. I primi consumatori del fitoplancton sono i membri dello zooplancton; insieme, a loro volta, costituiscono l'alimento base di molti animali acquatici, invertebrati e vertebrati, che si nutrono attraverso un meccanismo di filtrazione: ne sono alcuni esempi i molluschi bivalvi, che setacciano le acque attraverso le lamelle delle loro branchie, e grandi mammiferi come le balene, che filtrano le acque attraverso apposite strutture boccali chiamate fanoni. L'elevato contenuto proteico del plancton ha indotto alcuni scienziati a condurre ricerche sulle possibilità di impiegarlo come risorsa alimentare anche per gli esseri umani. La densità del plancton varia a seconda della disponibilità di sostanze nutrienti, della stabilità e della temperatura : un metro cubo d'acqua può contenere anche 500 miliardi di organismi planctonici. Talvolta si verificano aumenti improvvisi della popolazione planctonica di un corpo d’acqua, chiamati "maree", che in certi casi colorano le acque. Le cosiddette maree rosse, causate da miliardi di dinoflagellati di diverse specie, rappresentano un pericolo di intossicazione sia per i pesci che per gli esseri umani. Il fenomeno di arrossamento delle acque per effetto della proliferazione di un dinoflagellato è tipico del lago di Tovel, in Trentino, che ospita una nutrita popolazione di Glenodinium sanguineum. A volte le cianofite del genere Trichodesmus muoiono in massa, conferendo un colore rossastro all'acqua: il Mar Rosso deve il suo nome proprio a questo fenomeno. Fitoplancton Dinoflagellato Foraminiferi Krill Nome collettivo usato per indicare piccoli crostacei marini simili a gamberetti, che nuotano in banchi fittissimi soprattutto nelle acque dell'Antartico. Hanno una lunghezza media tra gli 8 e i 70 mm e arti dall'aspetto piumoso, che usano per filtrare le minuscole diatomee delle quali si cibano. Generalmente emettono una forte luce verde-azzurra che probabilmente svolge un ruolo importante nell'accoppiamento. Il krill vive in mare aperto e rappresenta un importante elemento delle catene alimentari: questi animali vengono, infatti, predati dai pesci, dagli uccelli e soprattutto da alcuni tipi di balene, che possono consumarne fino a 2 tonnellate per pasto. I banchi di krill hanno una densità di 20 kg/m3; alcune specie restano in prossimità della superficie, mentre altre si trovano anche a profondità di 2000 m. Di grande importanza come fonte di proteine alimentari, il krill viene oggi pescato in modo intensivo; la pesca di krill sottrae, tuttavia, cibo prezioso alla sopravvivenza di molte balene e per questo molte organizzazioni ed enti internazionali stanno cercando di regolamentare questa pratica in tutto il mondo. Krill Celenterati Più del 90% delle ferite subite dai subacquei sono provocate da questa specie di animali invertebrati acquatici caratterizzati da una struttura corporea molto semplice, comprendente tra gli altri i coralli, le idre, le meduse e gli anemoni di mare . Comprendono oltre 10.000 specie, distribuite in tutti i mari e gli oceani; pochissime sono le varietà adattate all'ambiente delle acque dolci. Esistono due forme strutturali di celenterati: quella del polipo, con corpo cilindrico, sèssile, e quella della medusa, a campana, liberamente natante grazie al movimento dei tentacoli. Il polipo è inferiormente ancorato a un substrato e rivolge la bocca verso l'alto; nella medusa la bocca è invece rivolta verso il basso . Il tessuto interno, quello gastrico, tappezza il celenteron (da cui il nome ), una cavità a cui conduce l'apertura boccale. Il tessuto epidermico e quello gastrico sono separati da un terzo strato, che può essere sottile e rigido (coralli) o, più spesso, di consistenza gelatinosa (meduse). I celenterati coi tentacoli coperti di cnidociti, sono predatori attivi che attaccano piccoli crostacei, altri invertebrati e pesci. A loro volta sono preda di crostacei, molluschi, echinodermi e pesci. Sono inoltre diffusi casi di simbiosi in cui alcune specie di celenterati sessili, in particolare le attinie, offrono ospitalità a piccoli invertebrati o addirittura a pesci, come il pesce pagliaccio. Meduse La trasparenza del loro corpo è dovuta soprattutto al fatto che contengono meno dell'1% di materia organica, mentre il resto è rappresentato da acqua. Ha una forma a ombrella che può raggiungere, in alcune specie, i 2 m di diametro. Numerosi tentacoli dal margine dell'ombrella si prolungano verso il basso. Si muovono lentamente o vengono trasportati dalla corrente. Nello strato di tessuto, che riveste esternamente il corpo, vi sono particolari cellule specializzate dette cnidociti; queste ultime, appena sfiorate, emettono repentinamente un filamento uncinato che pungono la pelle ed iniettano le sostanze urticanti utilizzate come arma di difesa e di offesa. Le meduse che si arenano, anche se morte, restano urticanti per molto tempo. Caravella portoghese Spesso scambiata per medusa, invece è composta da migliaia di animali individuali (idroidi) che si adattano a formare una struttura con tentacoli, lunghi anche diversi metri, e un manto gelatinoso galleggiante che ha la forma di una vela ed usa il vento per spostarsi. Le caravelle sono stagionali e solitamente arrivano sottocosta a centinaia. Le loro cellule urticanti contengono un potente veleno e le loro ferite sono pericolose. Coralli Nome comune di alcuni celenterati di forma polipoide appartenenti alla classe degli antozoi, caratterizzati da uno scheletro protettivo di carbonato di calcio e del loro stesso scheletro, ampiamente utilizzato come gemma in gioielleria. Gli antozoi si dividono in due sottoclassi: quella degli ottocoralli, forniti di otto tentacoli ciascuno; e quella degli esacoralli, dotati di sei tentacoli o a multipli di sei. Alla prima sottoclasse appartiene uno dei coralli più noti e preziosi, il corallo nobile, o corallo rosso (Corallium rubrum). Oltre ad essere urticanti, i coralli sono particolarmente taglienti e le ferite che possono provocare sono lunghe a guarire. Anemoni di mare Si tratta di invertebrati marini di forma polipoide, caratterizzati da un corpo cilindrico simile a un vaso, da cui si dipartono numerosi tentacoli. Molte specie sono vivacemente colorate e gli esemplari di grosse dimensioni possono raggiungere il diametro di 1 m. Sono organismi solitari, sessili, che con l’estremità inferiore del corpo aderiscono alle rocce o ai coralli, ma che vantano una seppur limitata capacità di movimento. Attinie Si tratta di organismi sessili dal corpo cilindrico, recanti all’estremità superiore un’apertura circondata da tentacoli. L'attinia aderisce al substrato attraverso una struttura specializzata posta alla base del corpo, detta disco pedale. l tentacoli sono 6 o un multiplo di 6. Sono animali privi delle formazioni scheletriche caratteristiche dei coralli a essi affini. Sono piuttosto resistenti alle condizioni ambientali avverse e riescono a sopravvivere anche a brevi periodi di emersione. Raccomandazioni importanti I subacquei dovrebbero evitare ogni contatto con questi esseri e indossare la muta intera con guanti e calzari. I sintomi prodotti dalle cellule urticanti di questi animali in genere provocano irritazioni locali dolorose, e le specie più pericolose possono provocare convulsioni, shock, paralisi ed anche svenimenti. Le tecniche di pronto soccorso sono : 1. Lavare e pulire la zona colpita con ammoniaca o alcool evitando di usare le mani nude poiché le cellule non ancora scaricate possono ancora ferire; 2. Applicare una crema antistaminica e analgesica sulla ferita; 3. Controllare la vittima e in caso di shock o altri sintomi gravi, ricorrere al medico. Molluschi Conidi Molluschi gasteropodi marini, carnivori, con conchiglia di forma conica regolare, con una apertura estesa lateralmente, attraverso la quale la lumaca può spingersi verso l'esterno. Si trovano prevalentemente sotto rocce e coralli in tutti i mari tropicali. Uno dei generi più importanti, Conus, comprende diverse specie secernenti una tossina potenzialmente letale anche per l'uomo. Molte specie hanno conchiglie bellissime e quotate fra i collezionisti. Il Polpo Mollusco marino carnivoro, diffuso ovunque nelle acque delle regioni calde e temperate. È caratterizzato da un corpo molle, con un cervello ben sviluppato e otto tentacoli dotati di ventose. I polpi passano gran parte delle loro vita nascosti e quando escono si mimetizzano cambiando rapidamente il colore e l'aspetto della loro cute. Il comune Octopus vulgaris può raggiungere la lunghezza di 1 m, e vive in tana fra le rocce o i detriti. Il polpo si nutre di crostacei e molluschi bivalvi. I polpi sono a loro volta preda di numerosi pesci, tra cui le murene. Quando un polpo viene attaccato aspira acqua nella cavità del mantello, che poi espelle con grande forza dal sifone: in questo modo produce un moto a reazione, durante il quale generalmente viene anche liberata, a scopo difensivo, una nube di "inchiostro" nero. Il Calamaro e la Seppia Molluschi carnivori inclusi nella classe dei cefalopodi, a cui appartiene anche il polpo Il calamaro comune( Loligo vulgaris), diffuso anche nel mar Mediterraneo, è lungo dai 30 ai 45 cm; il calamaro gigante, Architeuthis princeps, può raggiungere i 18 m di lunghezza e le 2 t di peso, ed è il più grande invertebrato vivente. Vive in fondali medio-alti, fino a 600m. La seppia comune, Sepia officinalis, è simile al calamaro, ma con tentacoli più piccoli e vive a più bassa profondità. Le dimensioni variano mediamente tra i 15 e i 25 cm; le specie più grandi possono raggiungere i 60 cm di lunghezza. Entrambi sono animali carnivori, predatori di altri molluschi e crostacei. Hanno corpo lungo e affusolato. Intorno alla bocca recano 10 tentacoli muniti di ventose, due dei quali sono più lunghi e presentano ventose solo alle estremità e sono utilizzati per colpire e afferrare la preda. La bocca è dotata di due forti mandibole di forma simile a quella del becco di un pappagallo. La regione cefalica è distinta e voluminosa e il cervello è relativamente ben sviluppato. La conchiglia, un carattere comune a quasi tutti i molluschi, nel calamaro è ridotta a una piastra sottile, detta gladio, inclusa nello spessore del mantello. Nella seppia invece è rigida, schiacciata e ovale. Questi molluschi nuotano in modo molto efficiente, con un sistema di propulsione basato sulla rapida espulsione dell'acqua attraverso un imbuto, detto sifone, situato nella cavità corporea. Questo può essere spostato, permettendo cambiamenti di direzione. Nella cavità del mantello si trova la ghiandola del nero, tipica di tutti i cefalopodi dibranchiati, che secerne la sostanza scura utilizzata per disorientare i predatori in caso di pericolo. Molto apprezzate le loro carni. La melanina contenuta nella ghiandola del nero è utilizzata in diversi processi industriali come pigmento. Echinodermi Ricci di mare Classe di invertebrati marini della famiglia echinodermi, caratterizzati da un corpo di forma tonda ricoperto di aculei. Ne esistono circa 850 specie, differenti per forma, dimensioni e consistenza del guscio. Alcune specie contengono al loro interno file di uova commestibili. La stella marina Stelle di mare o Asteroidei Classe della famiglia degli echinodermi comprendente animali marini dal corpo a forma di stella, spesso ricoperto di spine e aculei. Le dimensioni di questi invertebrati variano dai 2 cm di apertura delle specie più piccole, ai 65 cm di quelle più grandi. La classe è suddivisa in cinque ordini e circa 1500 specie viventi, distribuite nei mari di tutto il mondo. Ogni braccio reca sul lato ventrale da due a quattro file di pedicelli , permettendo l’appoggio e il movimento sui fondali marini. Tutte le stelle marine sono in grado di rigenerare parti del corpo danneggiate. Si nutrono di detriti organici che trovano sui fondali e di molluschi, in particolare di bivalvi, al contrario, pochi animali si nutrono delle stelle di mare adulte, che non costituiscono un cibo appetibile, né nutriente. Oloturia L’oloturia o cetriolo di mare, della famiglia degli echinodermi, la stessa dei ricci e delle stelle marine, è un animale marino dal corpo molle di forma tubolare allungata. Il nome comune si deve al fatto che il corpo, gommoso, elastico e verrucoso, ricorda vagamente l'aspetto dei cetrioli. Esistono oltre 1100 specie di cetrioli di mare o oloturie, diffusi sui fondali marini di tutto il mondo. Si nutre di piccoli microrganismi che cattura con i pedicelli vischiosi, dall'acqua o dai sedimenti. Le dimensioni dei cetrioli di mare variano dai 2 cm ai 2 mt di lunghezza. Alcuni dei cetrioli di mare più comuni sono quelli diffusi nelle acque basse, caratterizzati da tegumento coriaceo e tentacoli ramificati. Tra le specie più conosciute, Thyrone briareus è lunga circa 13 cm e larga 4. Le specie che vivono sulle barriere coralline del Pacifico sono note come trepang; hanno carni commestibili, che vengono generalmente essiccate, e sono molto apprezzate dalla cucina orientale. Crostacei I crostacei sono organismi caratterizzati da un guscio rigido, chiamato carapace, e da appendici (zampe) articolate che servono per la locomozione, per l’alimentazione, per la riproduzione e come organi sensori. Dei crostacei fanno parte animali ben noti : i granchi, le aragoste, i gamberi. Quasi tutte le specie sono commestibili e ricche di lipidi e protidi. I granchi Presentano un singolare sistema di locomozione laterale; oltre che nel nuoto, sono specializzati nello scavo. Il corpo è per lo più coperto da un guscio chitinoso, detto carapace, dotato di una copertura cerosa. L'addome ridotto, che in molte specie non è più usato per la locomozione, è ripiegato sotto il corpo e serve principalmente come tasca per tenere le uova. Il corpo segmentato di un granchio reca diverse paia di appendici, di cui cinque servono per la locomozione e due per la percezione sensoriale. Le appendici più vicine al capo portano delle chele, che vengono utilizzate per la presa del cibo, come armi di difesa, e inoltre vengono sfoggiate nelle parate che precedono l'accoppiamento. Le aragoste L’aragosta (Palinurus vulgaris), particolarmente apprezzata in gastronomia, viene pescata e allevata. E’ lunga fino a 60 cm, presenta un carapace di colore scuro striato di giallo e lunghe antenne sul capo. È distribuita in tutte le acque dell’oceano Atlantico settentrionale e del Mediterraneo; vive a profondità variabili tra i 15 e i 100 m, nutrendosi di molluschi bivalvi e di ricci di mare. Poriferi (spugne) Le spugne presentano un’organizzazione molto primitiva: si tratta di strutture sacciformi, la cui parete corporea è costituita da uno strato esterno di cellule epiteliali di rivestimento e da uno strato interno di cellule flagellate; queste, dette coanociti, tappezzano la cavità interna dell'animale e vi fanno circolare l'acqua. I due strati sono separati da uno strato intermedio di consistenza gelatinosa, detto mesoglea, che contiene numerose cellule ameboidi capaci di muoversi e piccole strutture scheletriche di supporto, dette spicole. Queste ultime, costituite essenzialmente da carbonato di calcio o da silice, possono avere forme differenti: esistono circa 5000 specie di spugne, suddivise in tre classi a seconda della composizion chimica SPUGNA delle spicole. La classe delle calcisponge comprende spugne di piccole dimensioni, con spicole calcaree. La classe delle silicospongie riunisce le spugne con scheletro costituito unicamente da spicole di silice . La classe delle demospongie, infine, comprende le spugne più evolute, con spicole di calcare, di aragonite o di silice. Le spugne dotate di valore commerciale sono quelle la cui struttura scheletrica è composta unicamente di spongina (un SPUGNA LAVORATA materiale proteico flessibile). Le spugne del Mediterraneo sono le più morbide e quindi le più pregiate; subito dopo vengono quelle del Mar Rosso e poi quelle dell'oceano Indiano, che tuttavia sono più grossolane e meno durevoli. Le spugne vengono raccolte sui fondali da pescatori che si immergono in profondità, spesso in apnea. I loro tessuti viventi vengono lasciati decomporre e ciò che rimane, ossia lo scheletro di fibre di spongina, viene lavato, sbiancato, a volte colorato e tagliato nelle forme che si trovano comunemente in commercio. Pesci Animali vertebrati di cui si conoscono più di 22.000 specie, suddivisi in : · agnati, i più antichi vertebrati conosciuti (500 milioni di anni fa), nel Paleozoico costituivano un gruppo assai vasto e differenziato, formato da 4 classi diverse; di queste sopravvive oggi solo quella dei ciclostomi (lamprede e missine); sono caratterizzati dall’assenza di mascelle, corpo di forma allungata, simile a quello delle anguille, molle e con pelle nuda, senza squame. Hanno scheletro interno cartilagineo. Privi di pinne pari, hanno una sola narice mediana e uno o due occhi. L’apparato boccale è modificato in un disco tappezzato di dentelli con cui aderisce al corpo di altri pesci, lacerandone l'epidermide e succhiandone il sangue. · condroitti (squali, razze e chimere), caratterizzati da scheletro cartilagineo. Ne fanno parte circa 650 specie, quasi esclusivamente marine e carnivore predatrici. I denti, scaglie placoidi modificate, non sono fusi con la mascella e vengono progressivamente sostituiti. Le fessure branchiali sono scoperte, non protette da un opercolo come nei pesci ossei. È inoltre presente uno spiracolo, vale a dire un’apertura da cui entra l’acqua destinata a bagnare le branchie. Il tubo digerente, pressoché privo di anse, è dotato di una valvola a spirale che ha la funzione di aumentare la superficie assorbente e migliorare l’efficienza digestiva. Manca la vescica natatoria, che negli altri pesci serve per regolare il galleggiamento a profondità diverse o, in alcuni casi, per respirare ossigeno atmosferico. · osteitti (pesci ossei). La principale caratteristica è la presenza di tessuto osseo nello scheletro: nelle forme più primitive, come negli storioni, esso ne rappresenta solo un componente, insieme al tessuto cartilagineo; nelle più evolute, l’unico. Il tessuto osseo è presente anche nelle scaglie, che sono di forma e natura diversa da quelle tipiche dei condroitti o pesci cartilaginei. Un’altra caratteristica esclusiva della classe è la vescica natatoria, una specie di sacco ripieno di gas (principalmente ossigeno), che consente al pesce di adattare il proprio peso specifico a quello dell'acqua, in modo da regolare il galleggiamento al variare della profondità. Gli osteitti, cui appartiene la maggior parte dei pesci, comparvero nel corso dell’Eocene, vale a dire intorno a 50 milioni di anni fa. Nelle pagine che seguono sono descritte più dettagliatamente alcune fra le specie più rappresentative dei pesci : Scorfano Lo scorfano è un predatore che vive facendo agguati, tendendo trappole alle sue vittime prendendo l'aspetto dei fondali che frequenta con le sue capacità mimetiche. Appartenente alla famiglia degli scorpenidi, nel Mediterraneo tre sono le specie di scorfano più comuni: lo scorfano rosso(scorpena scrofa), il più grande, che vive lungo le pareti rocciose profonde; lo scorfano nero(scorpena porcus), che si apposta invece fra le rocce più superficiali; lo scorfanotto, il più piccolo, che si nasconde lungo le pareti in ombra e alle alte profondità sui fondali di sabbia e fango. Avendo un'apertura della bocca enorme, con uno scatto in avanti della mandibola, la trasformano in un imbuto, risucchiando la preda. Un'arma ulteriore è costituita poi dal veleno che sono in grado di produrre come arma di difesa e che inoculano tramite le punte della pinna dorsale. La puntura degli scorfani provoca dolori martellanti e, a seconda delle dimensioni del pesce e del proprio stato di salute, la vittima può giungere a perdere conoscenza, soffrire di vertigini, ipotensione, abbassamento della frequenza cardiaca, disturbi della respirazione. La tossina - si tratta di una cardiotossina - viene disattivata con il calore. Murena Pesce osseo dal corpo lungo e affusolato, l’unico appartenente alla famiglia dei murenidi. Privo di scaglie come tutti gli anguilliformi, non ha pinne pettorali. Dotata di denti aguzzi e forti mascelle, è vorace predatore ed ha una vitalità incredibile. Vive comunemente in tutti i mari caldi e temperati, nascosta nei buchi fra le rocce, anche in bassissimi fondali. Se provocata o spaventata, infligge morsi dolorosi. Squali Ordine di pesci cartilaginei dal corpo fusiforme, comprendente circa 340 specie tra squali, pesci martello, pescecani e spinaroli. Nella maggior parte dei casi sono grandi predatori, capaci di cacciare sia in acqua bassa che in profondità; sono prevalentemente marini e abbondano soprattutto in acque tropicali e subtropicali. Sono noti come carnivori aggressivi, che attaccano addirittura membri della loro stessa specie; tuttavia le due specie di taglia maggiore, lo squalo gigante o pesce elefante (Cetorhinus maximus) e lo squalo balena (Rhyncodon typus) sono innocui consumatori di plancton, che filtrano dall'acqua attraverso le fessure branchiali. Razza Le dimensioni degli squali variano da 50 cm, a quelle dello squalo balena, con i suoi 15 m di lunghezza massima. La colorazione dominante è il grigio. La pelle, coriacea, è coperta di scaglie piccole e appuntite. La coda è asimmetrica con la parte superiore più sviluppata. I denti non sono di materiale osseo, ma dermico: si logorano rapidamente e vengono continuamente persi e sostituiti. Privi di vescica natatoria (l’organo che negli altri pesci regola il galleggiamento), gli squali devono sempre muoversi altrimenti tendono ad andare a fondo. Gli squali hanno un acuto senso dell'olfatto, che permette loro di individuare in acqua anche minuscole tracce di sangue. La vista è meno sviluppata. Per quanto riguarda l’udito, è finemente direzionale e particolarmente sensibile ai suoni di bassa frequenza. Gli attacchi all’uomo sono relativamente poco numerosi, ma di questi circa un terzo risulta mortale. Fra gli squali, i più pericolosi per l'uomo sono lo squalo bianco (Carcharodon carcharias), il pesce martello (Sphyrna zygaena), lo squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e la verdesca o squalo azzurro (Carcharias glaucus o Prionace glauca). La carne di squalo, simile a quella del pesce spada e tradizionalmente apprezzata nei paesi dell'Est asiatico, oggi si trova sempre più spesso anche sui mercati occidentali. Pesci cartilaginei dal corpo appiattito di forma romboidale, vivono ovunque nei mari caldi e temperati. Le razze sono gli unici animali in grado di produrre una forte corrente elettrica, ma non tutte le specie sono elettriche, molte invece hanno un pungiglione al termine della coda. La carne della razza bavosa o razza cappuccina (Raja batis) è molto apprezzata in Europa. Oltre a essa, nei mari italiani sono presenti altre specie, fra cui la razza bianca, la razza chiodata, la razza istrice. Ippocampo Ippocampo o Cavalluccio di mare, in realtà si tratta di un pesce (Hippocampus hippocampus) singnatiforme, stessa famiglia di cui fanno parte anche i pesci ago, dalla testa che ricorda quella di un piccolo cavallo. Dal punto di vista riproduttivo, essi presentano una caratteristica singolare per cui la femmina depone le uova in una tasca ventrale del maschio, che le custodisce fino alla schiusa. Il corpo è compresso, la coda allungata, il tegumento costituito da una serie di placche ossee rettangolari, con numerose spine e proiezioni lungo le linee di giunzione. In alcune specie, come il cavalluccio fillotterige (Phyllopterix eques), queste spine, insieme alle pinne divise e nastriformi, rendono l'animale molto simile alle alghe fra le quali vive. Nei mari temperati e caldi vivono circa 30 specie di cavallucci marini, tutti diffusi nei pressi delle coste. In questa famiglia i maschi si occupano della cura delle uova, che vengono protette in una tasca addominale o borsa incubatrice finché non si schiudono. Sono caratterizzati dal fatto di non avere una vera e propria dentatura, si cibano infatti di plancton. Il Cavalluccio marino si muove usando come propulsore la pinna dorsale, che batte intorno a 70 volte al minuto, ma ha anche due pinne pettorali vicino alla testa che utilizza per le manovre e una coda prensile che adopera per ancorarsi al corallo, alghe o gorgonie. Raggiungono una lunghezza di circa 15 cm e vivono in acque basse, non oltre i 60 m. Cetacei I Cetacei, mammiferi marini, vanno suddivisi in due gruppi: misticeti e odontoceti. I primi (balene, megattere e balenottere), privi di denti, si nutrono di plancton, filtrandolo con strutture ossee pendenti dal palato, chiamate fanoni . I secondi (capodogli, orche, delfini), provvisti di potente dentatura, sono predatori. Entrambi dispongono di un sistema di ecolocalizzazione che, sfruttando il principio del sonar, permette loro di percepire la profondità dei fondali, individuare gli ostacoli e i banchi di plancton. Le balene vere e proprie sono prive di pinna dorsale mentre ne sono in possesso le balenottere, il cui nome significa proprio "balene con l'ala". Queste ultime, nonostante il nome, non sono più piccole delle balene, anzi l'Azzurra, che può raggiungere i 30 metri di lunghezza e pesare 130 tonnellate, è uno dei più grandi animali viventi; la comune arriva a 27 m. Famose per i loro spettacolari salti fuori dall'acqua, estremamente rare nel Mediterraneo, sono le megattere, balene dalle grandi pinne pettorali (fino a 1/3 del corpo del cetaceo). I cetacei comunicano fra loro emettendo suoni ad alta frequenza (fino a 300.000 Hz) non percettibili dall'orecchio umano. Megattera Il capodoglio è un animale di notevoli dimensioni, lungo 18 metri e pesa 50 tonnellate, riesce a scendere negli abissi fino a più di 1.000 metri di profondità, per un periodo variabile tra i 30 e gli 80 minuti, per cacciare i calamari giganti di cui si nutre. Delfino Mammifero agile e aggraziato, con una pinna dorsale triangolare, un tipico muso a becco e una straordinaria intelligenza. Si dividono in delfini maggiori, o tursiopi (Tursiops truncatus), dal muso a becco corto e delfini comuni (Delphinus delphis), i più diffusi: lunghi da 1,5 a 2,5 m e di peso fino a 120 kg. Presente in tutti i mari caldi e temperati del mondo, compreso il Mediterraneo, vive in popolosi gruppi nutrendosi di pesci che cattura in superficie. PARTE IV : ECOLOGIA MARINA La sequenza di rapporti alimentari esistente tra gli organismi di un ecosistema che si nutrono l’uno dell’altro è molto complessa. Dipende dal tenue equilibrio che in ambiente acquatico vi è fra materia organica ed inorganica; nell’acqua esistono in soluzione numerosi elementi inorganici (ossigeno, azoto, fosforo, carbonio, ecc.) che sono indispensabili per la formazione ed il successivo mantenimento di organismi viventi. Le forme di vita che si mantengono utilizzando gli elementi inorganici (ad es. le piante), a loro volta sono indispensabili perché costituiscono il cibo di forme di vita di livello superiore (animali), e così via, formando una ideale maglia di anelli collegati gli uni agli altri (catena alimentare). Ovviamente un fattore esterno che distrugge o modifica anche un solo anello di questa maglia, altera questo equilibrio, mettendo a rischio di estinzione una o più specie, e in casi estremi potrebbe anche minacciare tutte le forme di vita esistenti sul pianeta. Il fattore di pericolo principale è costituito dall’inquinamento del mare, dovuto alle immissioni accidentali o intenzionali di petrolio, all'apporto di sostanze inquinanti, fosfati, nitrati e composti azotati usati in agricoltura come fertilizzanti e trasportate fino al mare dai corsi d'acqua e agli scarichi urbani ed industriali degli insediamenti costieri. Questi ultimi, in particolare, contengono ogni sorta di contaminanti (metalli pesanti, sostanze chimiche tossiche, materiale radioattivo, agenti patogeni, pesticidi e materiali plastici). Gli inquinanti vengono trasportati dalle correnti marine fino a grande distanza. L’inquinamento urbano Alcuni dei principali inquinanti idrici sono: le acque di scarico contenenti materiali organici che per decomporsi assorbono grandi quantità di ossigeno; parassiti e batteri; i fertilizzanti e tutte le sostanze chimiche adoperate dalle aziende agricole che provocano il fenomeno dell’ eutrofizzazione (abnorme crescita delle alghe che, consumando tutto l’ossigeno presente nell’acqua provocano la morte propria e di tutti gli organismi circostanti, quindi, decomponendosi, formano grandi masse filamentose che vengono trasportate dalle correnti, rendendo inospitale l’ambiente: è noto il disastro provocato qualche anno fa dalla mucillagine nel mar Adriatico); i pesticidi e svariate sostanze chimiche organiche (residui industriali, tensioattivi contenuti nei detersivi, sottoprodotti della decomposizione dei composti organici); il petrolio e i suoi derivati; metalli, sali minerali e composti chimici inorganici; sabbie e detriti dilavati dai terreni agricoli, dai suoli spogli di vegetazione, da cave, sedi stradali e cantieri; sostanze o scorie radioattive provenienti dalle miniere di uranio e torio e dagli impianti di trasformazione di questi metalli, dalle centrali nucleari, dalle industrie e dai laboratori medici e di ricerca che fanno uso di materiali radioattivi. Da qualche tempo, tuttavia, una maggiore attenzione viene rivolta anche al delicato problema di riduzione dell’inquinamento urbano e industriale attraverso processi di depurazione, fortemente incentivati dalla comunità europea. L’inquinamento da idrocarburi Il petrolio e i suoi derivati riversati in mare formano sulla superficie dell'acqua pellicole oleose che, impedendo l'assorbimento della luce e dell'ossigeno atmosferico, provocano l’estinzione del fitoplancton, base alimentare di molti organismi marini. Nel petrolio, inoltre, sono presenti anche idrocarburi aromatici che possono costituire un grave pericolo per la salute dell'uomo, al quale giungono attraverso la catena alimentare marina. L'inquinamento da idrocarburi può essere sistematico o accidentale. Quello accidentale è prodotto, nella maggior parte dei casi, dal riversamento in mare di ingenti quantità di petrolio da petroliere coinvolte in incidenti di navigazione (collisioni, incagliamenti, incendi, esplosioni, naufragi) ed è causa di considerevoli danni agli ecosistemi marini e litorali. Il più grave episodio in assoluto fu, tuttavia, quello verificatosi nel 1979 nei pressi delle isole Trinidad e Tobago: la collisione di due superpetroliere, la Aegean Captain e l'Atlantic Empress, provocò la fuoriuscita di circa 2.160.000 barili (270.000 tonnellate) di petrolio. Solo il 10% degli idrocarburi che contaminano i mari proviene, tuttavia, da riversamenti accidentali. Il resto proviene da fonti croniche, quali la ricaduta di particelle inquinanti dall'atmosfera, infiltrazioni naturali, dilavamento degli oli minerali dispersi nell'ambiente, perdite di raffinerie o di impianti di trivellazione su piattaforme in mare aperto e, soprattutto, lo scarico a mare di acque di zavorra da parte di navi cisterna e petroliere : consegnato il proprio carico alle raffinerie, le petroliere pompano nelle cisterne acqua che serve da zavorra per il viaggio di ritorno e che viene scaricata in mare prima di giungere ai terminali di carico, contribuendo, così, a produrre un tipo di inquinamento sistematico, o cronico, spesso molto più grave di quello accidentale. A partire dagli anni Settanta, una serie di convenzioni internazionali hanno imposto la realizzazione di petroliere con impianti per la raccolta e il trattamento delle acque contaminate presso i terminali di carico del greggio e i porti di scalo, ma tali direttive, a causa del loro elevato costo, sono state attuate solo in parte. Oltre a ciò, durante la guerra del Golfo del 1991, gli irakeni riversarono nel golfo Persico 460.000 tonnellate di greggio; e gli stessi continuano a compiere attentati agli impianti, nel corso della guerra americo-irakena (2003). Le Aree Marine Protette ( A.M.P.) Le Aree Marine Protette (AMP) sono gli ambienti marini costituiti dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti, che presentano un rilevante interesse per le loro caratteristiche naturali, con particolare riguardo alla flora e alla fauna, e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono. Il principale obiettivo di un’AMP è la conservazione degli equilibri naturali e la protezione dei valori biologici ed ecologici, grazie al mantenimento della diversità biologica e genetica, alla protezione degli habitat e delle aree di riproduzione. Per ottenere questo risultato è necessario ricercare il consenso delle comunità coinvolte, sostenendo e valorizzando le attività produttive compatibili con l’equilibrio naturale e sviluppando programmi di educazione ambientale. L’Unione Europea tutela alcuni ambienti marini mediterranei, quali la prateria di Posidonia, le lagune, gli stagni e le dune. In Italia, le AMP costituiscono da decenni una questione dibattuta che ha portato alla promulgazione di due leggi nazionali (979/82 “Disposizioni sulla difesa del mare” e 394/91 “Legge quadro sulle aree protette”) e alcune regionali.