Disturbi Specifici di Apprendimento: un aiuto concreto

Nuovi Orizzonti
Disturbi Specifici di Apprendimento:
un aiuto concreto
Riassunto
Gli Autori, dopo aver introdotto il tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, espongono un modello di
diagnosi psicologica per ottenere una valutazione accurata della persona e progettare adeguatamente un
intervento clinico. Si suggerisce una modalità diagnostica non orientata alla ricerca del deficit e all’inquadramento
nosografico, ma una valutazione capace di descrivere non solo gli aspetti strettamente legati agli apprendimenti
curriculari, ma anche alle caratteristiche funzionali. Infine, vengono indicati alcuni riferimenti metodologici per
l’intervento clinico, modalità adeguate per contrastare efficacemente i disturbi specifici dell’apprendimento.
Abstract
The authors, after an introduction about Specific Learning Disabilities, show a model of psychological
diagnosis to obtain an accurate assessment of the person and to design appropriate clinical intervention. This
diagnosis is not oriented to deficit but to an assessment can describe not only the strictly related to curricular
learning, but also to the functional characteristics. Finally, are some methodological references for clinical
intervention, appropriate arrangements to deal effectively with the specific learning disabilities.
I
Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) possono
costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana. La macro-categoria dei
DSA raggruppa disturbi quali la dislessia, che si caratterizza con una difficoltà nella lettura, in particolare
nella decifrazione dei segni linguistici, nella correttezza
o nella rapidità; la disgrafia, disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione
grafica; la disortografia, disturbo specifico di scrittura
che si concretizza in difficoltà nei processi linguistici di
transcodifica; e la discalculia, che si manifesta con una
difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri (Legge 170/2010). I DSA vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti dal soggetto in test
standardizzati, somministrati individualmente, su lettura, calcolo o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età,
all’istruzione e al livello di intelligenza (APA, 2000).
In presenza di un Disturbo specifico, così come, di
una difficoltà negli apprendimenti curriculari, l’insegnante ha un ruolo fondamentale, che nasce dalla
conoscenza del soggetto e dalla finalità di operare
un’azione pedagogica personalizzata. Tuttavia, impegnato com’è in un ruolo educativo rivolto ad una
pluralità, può non essere sufficiente al recupero delle
difficoltà: è consigliabile, pertanto, affiancare al lavoro dell’insegnante un intervento clinico, il quale
sarà tanto più efficace quanto più precoce.
La diagnosi specialistica
Per quel che riguarda il processo diagnostico Gergen,
Hoffman e Anderson (1996) in disaccordo con l’uti-
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lizzo delle classificazioni nosografiche, si chiedono
se la diagnosi tradizionale non sia un “disastro”, argomentando, all’interno di un loro articolo, che definire una persona attraverso una etichetta diagnostica comporta costruire la persona attraverso quella
definizione e, cosa forse anche più grave, che la persona, percependosi essa stessa nei termini di quella
etichetta, non riesce a costruirsi in altri modi, non
trova soluzioni alternative. La diagnosi nosografica,
proseguono gli autori, può essere considerata una
forma di potere esercitata non del tutto consapevolmente in nome della scienza. Sulle classificazioni si
era soffermato, molti anni prima, anche Vygotskij
(1930) che le definisce “elenchi”, frutto di una vecchia impostazione di tipo statistico e puramente
quantitativo, contrarie ad una nuova concezione dinamica che riveli i complicati meccanismi attraverso
i quali si vengono a formare le “turbe” del comportamento e indichi la via per modificarle.
La scuola, conformatasi all’opinione comune che il
soggetto in difficoltà è un “diverso”, ha spesso innescato una divisione anticipatoria e indiscriminata fra
soggetti capaci e incapaci, avvalendosi di etichette
classificatorie che decidono le sorti della personalità
di coloro ai quali sono applicate (Vygotskij, 1986).
Occorre fare chiarezza pertanto tra impegno educativo/riabilitativo e definizioni nosografiche, tra partizione tipologica e dimensione prescrittiva, per agire nel rispetto delle Potenzialità, Abilità e Disponibilità (PAD): ciò richiede uno studio dinamico che aiuti a formulare una definizione positiva della persona,
percepire la sua originalità qualitativa, apprendere
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dalle difficoltà e dai disagi, per interpretare la struttura interna della persona determinata da essi, in
un’analisi dei bisogni necessaria a originare suggerimenti operativi e propositivi (Pesci, 2011).
La diagnosi specialistica, nei casi di DSA, può coinvolgere una pluralità di professionisti che, per prima
cosa, hanno il compito di assicurarsi se siano o meno
presenti deficit sensoriali o neurologici tali da compromettere le funzioni specifiche sottese alla lettura,
alla scrittura e al calcolo. Un processo diagnostico ben
condotto, a seguito di questa prima analisi, può così
articolarsi in un primo incontro nel quale si procede
all’analisi della domanda e vengono raccolte le informazioni anamnestiche; successivamente, in ulteriori
sessioni, si prosegue con gli approfondimenti necessari per comprendere quali sono le risorse e le difficoltà della persona, le sue competenze psicomotorie e le
caratteristiche personologiche e psicorelazionali. Ciò
non può prescindere dal fare una valutazione cognitiva adeguata, uno studio che però non si fermi al solo
“livello” intellettivo, ma che consideri le peculiarità
dell’intelligenza o, meglio, delle intelligenze. Infine,
occorre valutare le competenze nella lettura, nell’ortografia, nel controllo del gesto tracciante e nell’elaborazione logico-matematica.
Tutto il processo diagnostico, tuttavia, non può e
non deve essere finalizzato a “scovare” il disturbo,
ad etichettarlo con un nome piuttosto che con un
altro, ma dovrebbe descrivere un’ipotesi transitoria e
transitiva delle caratteristiche dell’individuo che presenta difficoltà negli apprendimenti curriculari (Pesci, 2006). Ciò darà la possibilità di predisporre un
intervento fondato sulle specificità dell’altro, un aiuto che non potrà essere settoriale (cioè orientato al
singolo elemento problematico) né statico, cioè fatto
al banco, con schede pre-costituite o con esercizi ripetuti e ripetitivi, ma che dovrà essere un percorso
orientato alla gestalt della persona, realizzato in uno
spazio più ampio in situazioni dinamiche di scambio
(Pesci, Benoni Degl’Innocenti, Mani e Pesci, 2009).
Per riassumere, una articolazione del processo diagnostico per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento
può essere la seguente:
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Dentro la diagnosi
Le insufficienze e le inadeguatezze ad apprendere
possono presentarsi in gran numero, con molteplici
sfaccettature ed essere spesso associate, con effetti
conseguenti di mortificazioni e cadute dell’autostima. All’attenzione dello specialista possono presentarsi, ad esempio, soggetti che dimostrano difficoltà
negli adempimenti del calcolo, nel lasciare traccia
segnica, che sono ostacolati nel rispettare le regole
grammaticali nello scrivere o sono insufficienti nella
decodifica scrittoria (Pesci et al., 2009). L’analisi delle potenzialità, abilità e disponibilità ci permetterà di
capire se ci si trova o meno di fronte a persone con
difficoltà a indicare verbalmente termini e relazioni
matematiche, da imputare ai canali sensoriali o motori verbali, a disordini elocutori e mnestico-verbali.
Altri individui possono palesare disagi nel vivere
con il proprio corpo i valori del pensiero logico-matematico, soggetti che manifestano disordini nella
coordinazione dei movimenti bilaterali, dello schema corporeo, sincinesie, difficoltà nella manipolazione di oggetti e impacci motori, oppure che hanno
impedimenti nell’enunciazione, nella presentazione
o nell’illustrazione delle proprietà degli oggetti, nell’estimazione delle quantità, nell’apprezzamento di
distanze, nella distinzione destra/sinistra, nell’acquisizione delle nozioni di conservazione delle qualità e
quantità fisiche, nonché nel mancato controllo delle
nozioni di interiorità/esteriorità, che li porta a confondere perimetro, superficie e volume (Pesci e Mani,
2011).
Tra le tante e diverse manifestazioni di inadeguatezza potrà essere presente anche quella nell’eseguire le
operazioni matematiche legata al ragionamento operazionale numerico, che si concretizza in impacci nel
mettere a profitto le esperienze acquisite e ad afferrare il contenuto logico delle operazioni di calcolo.
Sono soggetti che preferiscono fare calcoli scritti anche quando potrebbero farli a memoria o con le dita,
scambiano le operazioni, addizionano invece di moltiplicare o sottraggono invece di dividere (Pesci e
Pesci, 2010).
Si possono inoltre registrare difficoltà nella produzione e comunicazione segnica espressa in ogni occasione di lasciare traccia, ovvero sull’evoluzione
dei tracciati omolaterali ed eterolaterali, sull’estensione percettiva del tracciato, sulle capacità di controllo del flessore del pollice, sui tracciati lenti realizzati sul posto, sul tracciato del cerchio chiuso,
sull’irraggiamento e i segmenti concatenati, sulla
doppia rotazione in un movimento continuo per la
produzione di curve, arabeschi, spirali, sul tracciato
del quadrato e dei cerchi tangenti ecc. (Pesci, 1994).
Nella diagnosi non può mancare l’osservazione delle
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espressioni grafiche, l’annotazione delle deformazioni delle linee, delle insufficienze nella sequenzialità
e nelle proporzioni, dell’inadeguatezza del tracciato
segnico e della tipologia dei tracciati: stentato, rigido, allentato, impulsivo ecc.. Dimostrazioni che un
individuo offre di sé per denunciare la presenza di
possibili difficoltà oculo-manuali, nell’inseguimento
dell’occhio, nella strutturazione spaziale, nel controllo tonico, posturale, scarsa abilità organizzativoritmica, inadeguatezze nella prensione e pressione,
nella abilità rotatoria della mano ecc. Tutto ciò si
somma ai disagi socio-affettivi, alle disarmonie reattive, alle frustrazioni, all’instabilità psichica con
possibili eccessi comportamentali. Un documentario
diagnostico testimone di una persona che, nel lasciare traccia, svela il testo della sua soggettività, le sue
debolezze, le sue aspirazioni, i suoi pensieri e chiede
di essere riconosciuta (Pesci, 1994).
Il soggetto che sbrigativamente si indica come “disortografico” può rivelare di non avere acquisito
competenze nel dettato di suoni, di parole, di proposizioni semplici e composte, nell’autodettato ecc. Ciò
obbliga ad osservare il repertorio semiotico di relazione esposto nella comunicazione non verbale, senza trascurare ogni altro aspetto psicoemozionale o
cause da rintracciare nel pauperismo ambientale e
nell’inadeguatezza educativa (Pesci, 1989; Cornoldi,
2007; Pesci et al., 2009).
A questi disordini è frequente che si associno difficoltà nella lettura la cui analisi può portarci in presenza di persone con problemi di conversione grafema-fonema, deficit morfologici (segmentazione, manipolazione dei suoni), povertà nella memoria a breve termine e con un naming automatico lento, deficit
nella percezione dei suoni brevi o che variano rapidamente, nella discriminazione di frequenza e nel
giudizio dell’ordine temporale, oppure fissazioni binoculari instabili e povertà nella convergenza ecc.
(Cornoldi, 2007; Pesci e Pesci, 2010).
L’intervento clinico
Tutte le sfaccettature sopra descritte, che rappresentano solo alcune delle possibilità cui un professionista
può trovarsi di fronte, come si vede, stanno strette in
una etichetta nosografica e sono frutto di un approfondimento diagnostico attento e dettagliato, necessario alla definizione di un progetto clinico personalizzato. Quindi, dopo aver formulato una diagnosi
meticolosa, sarà possibile predisporre un intervento
che non trascuri ogni aspetto emerso e che si rivolga
alla persona piuttosto che al deficit. A titolo informativo, senza la pretesa di essere esaustivi, si riportano
metodi e metodologie che possono sostenere il professionista della salute nella sua azione di recupero.
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Disgrafia e Disortografia
Mantenendo vivo il rispetto della globalità, per aiutare i soggetti nei loro processi di apprendimento
verso l’efficienza grafo-segnica e codificatorio-scrittoria, possono essere tenuti presenti per esempio i
metodi Olivaux, Denner, Martenot, Bon Départ, Prismograph e Rieu (Pesci, 1989; 1994; Pesci et al.,
2009).
Il Metodo Olivaux (Olivaux, 1960; 1993), in particolare, si propone di sviluppare la distensione, l’elasticità, il ritmo, il rimodellamento del gesto e l’organizzazione ritmico-respiratoria per mezzo di esperienze
gestuali e grafiche. Le esperienze proposte dal Metodo Olivaux sono finalizzate al recupero della velocità, ad un diverso uso della pressione e al rispetto di
una respirazione ritmata. Viene chiesto al soggetto
di organizzarsi nella inspirazione ed espirazione secondo un modello dato (Pesci, 1989; 1994).
Il Metodo Denner (Denner, 1967; 1980) si propone di
sviluppare l’espressione arcaica e simbolica del messaggio grafico, l’educazione grafo-motoria del gesto,
la dinamica sociale e culturale attraverso esperienze
pittografiche che vengono distinte in esperienze di
distensione; esperienze di allungamento delle linee
rette ed esperienze di curvilinee.
Il Metodo Martenot (Bonistalli e Pesci, 1974) offre,
invece, al soggetto l’opportunità di liberare i gesti, di
dosarli e scoprirne l’intensità di pressione. Ogni attività richiede la contemporaneità del contributo organizzativo-respiratorio e della costruzione in stabilità posturale, oltre ad offrire l’occasione di dare figurazione al movimento rotatorio delle braccia. Le
esperienze previste dal Metodo Martenot si propongono lanci bimanuali diversamente orientati passanti per un punto dato, oscillazioni delle braccia con
movimenti coordinati e dissociati, oscillazioni braccio-gamba destra, braccio-gamba sinistra o incrociati, rotazione del braccio con pernio sulla spalla,
dopo avere fatto esperienze di alzata-caduta per vincere le tensioni.
Il Metodo Le Bon Depart (Pesci, S. 2011) è studiato
per liberare il soggetto dai disordini nel lasciare traccia, causati da eccessi tonici, da una scarsa definizione della lateralità, dall’inadeguatezza nell’orientamento, dalla scarsa conoscenza del proprio asse
corporeo, da disagi emotivi e di adattamento. Prevede l’utilizzo di cuscini di sabbia per vincere le contrazioni delle mani e delle dita, esperienze ritmiche e
gestuali, per raggiungere una abilità segnica di 27
figure geometriche complesse.
Il Metodo Prismograph (Pesci e Mani, 2001) offre
l’opportunità di vivere il proprio corpo, conoscerlo e
riconoscerlo, rappresentare il vissuto tonico-emozionale, affinare abilità senso-percettive e organizzati-
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vo-cinetiche in un clima in cui è possibile narrare i
giochi dei propri pensieri, avere garantita la trasmissione dei propri desideri e delle proprie paure, liberarsi dai sentimenti repressi.
Il Metodo Rieu (Rieu, 1979) si propone di far apprendere abilità distributivo-spaziali, ritmiche e figurative con esperienze da attuare in atelier realizzate secondo le immagini che vengono esposte: spostamenti nello spazio, ordine simmetrico delle posizioni,
percorsi per conseguire i simboli alfabetici ecc.
Oltre a questi e tanti altri metodi, il professionista
può avvalersi della prassi operativa desunta dalla
Psicomotricità Funzionale di Jean le Boulch (Pesci,
G., 2011) che, attraverso un’azione educativa che
parte dai movimenti spontanei e dalle personali attitudini corporee, aiuta ad assicurare uno sviluppo
funzionale ed emotivo-relazionale per vincere ogni
disagio nell’esposizione di sé attraverso il segno ed
ogni difficoltà nel realizzarlo.
Gli interventi clinici, qualunque sia il modello o il
metodo preso a riferimento, devono vincere ogni impaccio appercettivo e motorio, gestualizzazioni improprie e inibite che condizionano il significato del
movimento, per giungere alla capacità di organizzazione nello spazio e nel tempo (Bucher, Le Boulch,
Lunay e Gueritte, Pesci, Berges), per migliorare il linguaggio gestuale e posturale connotato da ordine e
struttura mediante gesti che radunano, separano, allineano, scelgono, classificano e organizzano. Linguaggi che nel rappresentarsi graficamente e cromaticamente provocano eccitazioni pitto-grafo-figurative, una vasta gamma di sollecitazioni, di vissuti
esperienziali corporei e emotivo-affettivi (Pesci e
Mani, 2011). Altre esperienze devono indirizzarsi a
far assaporare la forza, l’impeto, il dosaggio dell’aggressione, la pressione, a vivere, rianimare e raggiungere una tonicità muscolare contemporaneamente alla maturazione di un dinamismo respiratorio, a sentirsi nello stazionamento sul proprio asse
corporeo, definire la propria semiassialità, giungere
alla definizione di sé e del proprio Punto Egoico (Pesci et al., 2009).
Prima ancora, tuttavia, di rivolgersi a interventi mirati sarà necessario uno sviluppo delle abilità di base
come il conoscere e manipolare oggetti e gruppi di
oggetti, risvegliare la tattilità delle mani e delle dita
(Camusat, Leopold, Pesci), riconoscere e mettere in
corrispondenza la proprietà degli oggetti, classificare, ordinare, seriare, promuovere esperienze di relatività (Karplus), fare giochi di strutturazione corporea nello spazio, spostamenti, itinerari, percorsi, direzionalità, curve, cerchi chiusi e aperti (Rieu), sperimentare il rapporto tra colori, forme, orientamento,
apprezzamento di uguaglianze e ritmo (Papy), sco-
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prire le collocazioni e le relazioni, il confronto, il
gioco delle differenze e dei contrasti (Prignot) (Pesci,
1989).
Dislessia
Per soddisfare le esigenze della persona con disturbi
nella lettura i metodi e le tecniche utilizzabili sono
in gran numero e in grado di superare gli effetti ritardanti o ostacolanti, suggerimenti tecnico-metodologici come la “fonetica impressiva”, la lettura dei
segni immaginifici, le unità significative universali
figurate, i suoni alfabetici come immagini sonore, la
visualizzazione dell’astratto, l’educazione figurativa
e l’organicità musicale nella formazione del rigo (Pesci et al., 2009; Pesci e Mani, 2011).
In letteratura, espressamente mirati ad ottenere miglioramenti funzionali specifici, si rintracciano trattamenti percettivo-motori, che prevedono esercizi di
discriminazione visiva al fine di favorire lo sviluppo
di pattern motori che stanno alla base della motricità grossolana; trattamenti linguistici generici che,
attraverso esercizi di lettura, scrittura, ricerca e correzione di errori, composizione e scomposizione di
parole mirano allo sviluppo della meta-fonologia;
trattamenti lessicali che prevedono la presentazione
tachistoscopica di parole; trattamenti sublessicali e
lessicali, basati su esercizi per favorire l’automatizzazione nel riconoscimento di gruppi di grafemi linguisticamente rilevanti sempre più complessi, come
le sillabe. Oltre a questi il Metodo Davis-Piccoli propone esercizi per la rilevazione rapida delle parole,
esercizi di discriminazione spaziale dei grafemi e altri per lo sviluppo delle abilità di sintesi fonetica;
mentre il Modello Balance si ispira al metodo Bakker
e è strutturato sulla stimolazione dell’emisfero ipoattivato presentando parole nell’emicampo opposto
(Mogentale e Chiesa, 2009).
Un ulteriore tipologia di intervento (Mogentale e
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Chiesa, 2009) combina un protocollo clinico di tipo
neuropsicologico ad uno di tipo sublessicale: elementi fondanti di questo tipo di azione di recupero sono il
potenziamento delle abilità di memoria visuo-spaziale
tramite esperienze che implicano il lavoro sulle immagini mentali come ad esempio le rotazioni e le simmetrie; il potenziamento della capacità di memoria a
breve termine e di lavoro verbale; il potenziamento
delle capacità di attenzione selettiva e sostenuta, tramite esercizi i di attenzione divisa, resistenza alla distrazione, attenzione selettiva visiva e uditiva, barrage
ecc.; la progressiva automatizzazione nella decodifica
attraverso la presentazione tachistoscopica di grafemi/fonemi, di sillabe ecc., l’analisi e la sintesi fonemica e sillabica, il completamento di parole in cui mancano una o più lettere ecc.
Unitamente a questi, si aggiungono sempre di più
metodologie che usufruiscono delle potenzialità dei
software per supportare gli interventi neuropsicologici, lessicali e sub lessicali (Tressoldi e Vio, 2011;
Allamandri et al., 2007).
Altri metodi, come riportato in Brotini (1986) e in
Pesci (1993), possono inoltre favorire le abilità di decodifica scrittoria:
Il Metodo fono-mimico Borel-Maysonny (BorelMaysonny, 1966), basato sull’utilizzazione di gesti
intermediari, sullo sviluppo del linguaggio orale e
sulle abilità di decodifica.
Il Metodo della lettura in colori Caleb Gattegno (Gattegno, 1966) che utilizza gli effetti cromatici come
intermediario, basato soprattutto sull’apprendimento
e l’interiorizzazione dell’ordine temporale, delle sequenze spaziali e dei rapporto tra elementi.
Il Metodo Chassagny (Chassagny, 1963; 1968) che
prevede attività combinatorie di riconoscimento delle strutture linguistiche, ricerca nell’ambito delle parole ecc., considerando strettamente connessi linguaggio orale e espressione scritta.
Il Metodo Delacato (Delacato, 1980), basato soprattutto sulla monolateralità, sulle esperienze di sviluppo senso-percettive e motorie e sui processi di memorizzazione.
Il Metodo Tomatis (Tomatis, 1980), basato essenzialmente sull’audizione, nel senso di ascolto, comprensione, registrazione, integrazione, e sulla lateralizzazione.
Il Metodo di lettura verticale di La Spisa e Sartori (La
Spisa e Sartori, 1979), fondato sull’ipotesi che le difficoltà di lettura sono da attribuirsi ad un malfunzionamento dei processi di memoria a carico del rallentato immagazzinamento delle immagini. Tale metodo si dedica primariamente al perfezionamento visivo e successivamente alla lettura verticale vera e
propria.
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Il Metodo Mucchielli-Bourcier (Mucchielli e Bourcier, 1974), orientato al decondizionamento, al progressivo perfezionamento della relazione spaziotemporale, al perfezionamento dei processi simbolici,
fino alla ristrutturazione delle relazioni sociali.
Discalculia
Alcune delle esperienze sopra descritte, come è facile intuire, hanno un effetto positivo anche per chi
presenta disturbi nel calcolo, ma altre metodologie,
più specifiche, possono però essere prese in esame
quale riferimento per interventi su soggetti con discalculia.
In accordo con Brodini (1986) il trattamento delle
discalculia dovrebbe essere orientato a “far ripercorrere le tappe mancate dello sviluppo delle abilità sottostanti” (p. 157), rendendo a tal scopo necessario il
ritorno all’esperienza concreta su oggetti e immagini, per quella che si configura essere una “matematica senza numeri”. Solo dopo aver fatto queste esperienze sarà possibile far acquisire le regole e i procedimenti aritmetici per poi generalizzarli alle più svariate situazioni. Un intervento finalizzato a migliorare le abilità nel recupero di fatti aritmetici, appunto, deve tenere in considerazione l’attivazione di
processi semantici e di ragionamento legati alle conoscenze numeriche e di calcolo così come l’automatizzazione basata sull’esposizione ripetuta nei diversi contesti. Caobelli et al. (2006), per il trattamento delle difficoltà nel recupero dei fatti aritmetici,
propongono un training mirato all’attivazione di
processi semantici e di ragionamento legati alle conoscenze numeriche e di calcolo coadiuvato da una
seconda fase di automatizzazione basata sull’esposizione ripetuta nei diversi contesti per la stabilizzazione delle informazioni in memoria. Secondo Ripamonti Riccardi et al. (2008) il trattamento della discalculia deve comprendere esperienze tese a consolidare e interiorizzare il concetto di quantità e gli
strumenti alla base delle operazioni di calcolo mentale. In particolare, attraverso l’utilizzo di materiali
stimolo quali Torri da 1 a 10 elementi costruite con i
mattoncini, Carte raffiguranti le torri stesse ecc., è
possibile consolidare, interiorizzare e potenziare le
competenze quantitative, raggiungere la padronanza
del codice per la transcodifica numerica, far acquisire la capacità di scomporre il numero lavorando sulle quantità, sviluppare capacità di quantificare (subitizing) per il calcolo mentale veloce e permettere al
soggetto l’organizzazione delle quantità in un quadro di riferimento su cui collocare gli elementi da
contare. A questi primi obiettivi si somma in un secondo tempo un lavoro maggiormente orientato a
consolidare e automatizzare le abilità acquisite nella
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prima fase, sviluppare competenze di calcolo complesso, suggerire e promuovere l’uso di strategie diversificate secondo il compito e allenare alla previsione, alla pianificazione e al monitoraggio (Ripamonti Riccardi et al., 2008).
Come sostengono Pesci e Pesci (2010), l’aiuto specialistico non può limitarsi a protocolli per la stimolazione sensoriale, con particolare riferimento alla
percezione di forme nella diversa struttura spaziale,
ma occorre favorire la percezione dello spazio euclideo; garantire percezioni e sensazioni di grandezza
in ordine crescente e decrescente; fare esperienze su
base temporo-spaziale con oggetti; fare esperienze
di numerazione progressiva e regressiva; esercitarsi
in astrazioni del concetto di quantità e di rapporto
tra queste e il numero o la cifra quale simbolo rappresentato; fare esperienze sui rapporti tra gruppi
quantitativi (composizioni e scomposizioni di quantità e struttura delle diverse grandezze quantitative);
proporre calcoli con oggetti concreti, con realtà figurate, con simboli e numeri; proporre ripetuti calcoli orali e facili quesiti aritmetici; chiedere di fare
esperienze di misurazione ecc.
Gli stessi autori (Pesci e Pesci, 2010) riportano una
rassegna degli interventi proposti da diversi studiosi
in ambito psicologico e pedagogico. Tra questi il Metodo Audemars (1972) suggerisce esercizi sulle percezioni di grandezze, sulle seriazioni, sui rapporti tra
gruppi quantitativi ed esercizi di composizione e
scomposizione di quantità; il Metodo Montessori
(Montessori, 1971) propone, ad esempio, esercizi con i
“fuselli” e le “marchette”; Cervellati (Cervellati, 1968)
ha indicato l’utilizzo delle forme rappresentative favoleggianti; mentre il Metodo Rovigatti (Rovigatti,
1966; 1971) propone dei modelli per esperienze di sovrapposizione, costruzione di cifre, ricerca di cifre con
diversi caratteri tipografici, oltre all’uso di asticciole
per consolidare il rapporto fra numero e quantità che
anticipano i segni delle quattro operazioni.
Conclusioni
Da questa articolata rassegna, per niente esaustiva
né tantomeno definitiva, è facile comprendere come
vi siano numerose possibilità per coloro che si trovano ad avere un Disturbo Specifico dell’Apprendimento specialmente se i professionisti non si limitano ad una diagnosi classificatoria del deficit, finalizzata, nella maggior parte delle occasioni, al solo
dépistage in percorsi differenziati o facilitati, ma si
indirizzano a progettare un piano di recupero che
tenga presente la globalità della persona. Un intervento, quello dei professionisti, che non può accontentarsi di risultati quali scaturiscono dalla valutazione prima-dopo della velocità e della correttezza
nella decodifica o nella codifica né alla comparazione dei tempi di elaborazione del sistema di produzione di calcoli: la persona chiede di essere presa in
carico in senso complessivo, accompagnata in un
processo di crescita e di sviluppo, dove gli apprendimenti non sono che una parte, seppur rilevante, di
un tutto.
Simone Pesci
Valentina Benoni Degl’Innocenti
Guido Pesci
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LUGLIO-DICEMBRE 2012