IL 1848 E IL SECONDO IMPERO IN FRANCIA Crisi economico

IL 1848 E IL SECONDO IMPERO IN FRANCIA
Crisi economico-politica. Sotto la spinta di una pressante crisi economica,
iniziata a metà degli anni quaranta del secolo XIX con la penuria di grano, il
regno di Francia, sul cui trono sedeva Luigi Filippo d’Orleans, entrò in una crisi
che comportò la chiusura di molte fabbriche, l’aumento della disoccupazione e
il generale aumento della povertà fra i francesi. Di pari passo alla crisi
economica, vi era una crisi politica, dovuta sia alla maturazione della classe
proletaria francese sia alla richiesta, da parte dei repubblicani e socialisti, di
un’estensione del diritto di voto.
La rivoluzione. Il 24 febbraio 1848 a mezzogiorno, dopo tre giorni di lotta per
le strade di Parigi, era deciso il trionfo della rivoluzione. Sulla piazza della
Bastiglia fu bruciato dal popolo il trono regio di Luigi Filippo e, come la cenere,
fu dispersa ai quattro venti la monarchia degli Orleans. Tutto era iniziato con il
divieto, da parte del re, di tenere i cosiddetti banchetti politici, previsti a Parigi
per il 22 febbraio a cui il popolo rispose insorgendo e decretando la caduta
della Monarchia di Luglio e la fuga di Luigi Filippo d’Orleans.
Repubblica e costituente. La sera del 24 febbraio, nell’Hotel de Ville – il
municipio di Parigi – fu costituito un governo provvisorio che si pronunciò in
favore dell’istituto repubblicano e che annunciò la convocazione di
un’Assemblea Costituente da eleggersi a suffragio universale maschile. Il
governo provvisorio indisse le elezioni dell’Assemblea Costituente per il 23
aprile. Il 4 maggio del 1848, appena eletta, la Costituente presentò una
maggioranza composta da repubblicani moderati (450 membri), seguita dai
socialisti (250) e orleanisti (200). Dopo il fallimento degli opifici nazionali che,
secondo alcuni, avrebbero risolto la crescente disoccupazione, l’assemblea
diede pieni poteri al generale Cavaignac che represse le varie manifestazioni
scoppiate in seguito alla chiusura degli opifici.
Nuova Costituzione francese. Il 4 novembre fu promulgata la nuova
costituzione della Seconda Repubblica Francese che sanciva il suffragio
universale maschile e la separazione dei poteri. Inoltre, dichiarava che, per
quanto concerneva il legislativo, esso sarebbe stato destinato ad un’unica
camera di 750 membri eletti ogni tre anni. Il potere esecutivo era delegato ad
un presidente eletto direttamente, tramite suffragio universale maschile, non
sottoposto ad alcuna sfiducia e non rieleggibile più di una volta.
Pericolo autoritarismo. Quest’ultimo punto, come vedremo empiricamente in
seguito, desterà scalpore tra i pochi membri di quella Costituente che
vedevano in quell’elezione diretta il pericolo di ricreare, dietro il simbolo del
presidente, un monarca. È da aggiungere poi che non mancarono proteste per
la mancata esclusione, dai candidati alla presidenza, dei membri delle famiglie
reali che avevano regnato in passato in Francia. Tali proteste rimasero
inascoltate sia per l’esile numero di coloro che erano preoccupati di questo
potenziale pericolo, sia per la difficoltà di modificare quel dettato
costituzionale, tramite un procedimento assembleare aggravato (servivano
infatti i tre quarti dell’Assemblea per tre volte di seguito). Tutto ciò rese la
presidenza francese dipendente solo e soltanto dal consenso popolare e quindi
incline a derive autoritarie.
Carlo Luigi Napoleone. Durante la campagna elettorale presidenziale, le
varie forze politiche presentarono i nomi dei loro candidati: il generale
Cavaignac per i repubblicani, Ledru-Rollin per i socialisti e, il risorto dopo anni
di prigionia e damnatio memoriae, Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del
grande Napoleone. Questi, durante gli anni degli Orleans, aveva trascorso la
sua vita tra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Svizzera e le carceri francesi;
famosa rimane la lunga prigionia nella fortezza di Ham. Luigi Napoleone veniva
appoggiato dal nascente Partito Imperiale e visto con simpatia da una parte
dalla classe lavoratrice, per la quale, durante gli anni di prigionia, scrisse dei
libretti di ispirazione socialista e, durante le sommosse del giugno 1848, si
schierò apertamente contro il governo repressivo del generale Cavaignac.
Programma. Il programma di Luigi Napoleone era chiaro: governo forte,
pacificazione, consolidamento sociale e ritorno al mito napoleonico della
Grandeur, ovvero la grandezza della nazione. Questa euforia fu sentita
particolarmente tra i membri dell’esercito ancora legati a quella tradizione
sogno di grandezza di cui Napoleone Bonaparte aveva fatto grande la Francia
nei primi anni del XIX secolo. Ma fu anche sentita dalla popolazione contadina,
alla quale Luigi Napoleone prometteva la diminuzione delle oppressive tasse
fondiarie e soprattutto il mantenimento dell’ordine nel paese; alle classi
borghesi egli prometteva energicamente il suo appoggio; al clero fu accennato
un intervento in favore della minacciata sovranità temporale del papa e alla
libertà di insegnamento nelle scuole laiche, tanto cara al conte di
Montalembert.
L’attenta propaganda bonapartista venne coronata con l’elezione, il 10
dicembre del 1848, di Carlo Luigi Napoleone alla presidenza della Francia. Il
principe ebbe circa il 74% dei voti – più di cinque milioni- staccando di gran
lunga il suo sfidante Cavaignac. Il trionfo di Luigi Napoleone Bonaparte
dimostrò chiaramente che la grande borghesia finanziaria e industriale fu
disposta a tutto, anche a rinnegare la rivoluzione, pur di assicurarsi solide
posizioni di predominio all’interno del paese. Inoltre, oltre ai voti della grande
borghesia, confluirono indistintamente i voti di monarchici, bonapartisti,
repubblicano-conservatori e clericali che vedevano oramai in lui l’unico
baluardo contro la minaccia popolare e socialista.
Trionfo reazionario. La reazione tornava così a trionfare anche in Francia,
dove la stessa borghesia, che pochi mesi prima aveva scacciato il re Luigi
Filippo, non aveva voluto spingersi oltre e, a rivoluzione conclusa, era rimasta
insensibile dei problemi che affliggevano le classi operaie. Dal canto suo il
“Petit Napoleon” così come lo chiamava ironicamente Victor Hugo, grazie anche
alla larga maggioranza ottenuta in Parlamento nel maggio del 1849, poté
applicare una politica decisamente reazionaria: dalla repressione della
Repubblica romana alla difesa della prerogativa del clero sull’istruzione e la
soppressione del suffragio universale maschile, avvenuta nel 1850, in risposta
al successo parziale della sinistra parlamentare.
La strategia. Passò, infatti, una legge che impediva di votare coloro che non
avessero avuto un domicilio di tre anni nel collegio, privando così del voto una
buona fetta degli operai che normalmente non era stanziale. Per evitare di non
essere rieletto – dati i dettami costituzionali – il presidente propose delle
riforme costituzionali necessarie a concedere al presidente eletto di candidarsi
per più mandati, ma una forte opposizione parlamentare si oppose a tale atto.
Napoleone III e Il colpo di Stato. A ciò seguì il colpo di stato organizzato non a caso- per il 2 dicembre 1851 (ricorreva l’incoronazione di suo zio a
imperatore dei francesi), a cui seguirono sanguinose repressioni, arresti,
processi e deportazioni ai danni degli oppositori del regime. Una volta
ristabilito l’ordine, il presidente volle che fossero direttamente i cittadini di
Francia, tramite il plebiscito, a dare il loro consenso alle modifiche
costituzionali pensate dal presidente, tra le quali spiccavano il drastico
ridimensionamento dei poteri dell’Assemblea Nazionale e che fosse conferito a
lui un mandato decennale.
La nuova Costituzione. Il 20 dicembre 1851, su circa otto milioni di elettori,
sette milioni e mezzo votarono per il Si. Una volta ottenuto il consenso
plebiscitario, il presidente diede il via ai lavori per una nuova costituzione,
entrata poi in vigore nel gennaio 1852, che assegnava al presidente sia il
potere esecutivo che, de facto, il legislativo per il quale il presidente agiva per
senatoconsulti, cioè degli atti aventi forza di legge e deputati anche a
modificare la costituzione.
Imperatore. Gli ultimi rintocchi della Seconda Repubblica – e il susseguente
passaggio al Secondo Impero Francese- si udirono il 7 novembre 1852,
quando, tramite un altro plebiscito, Luigi Napoleone, sempre nella data sacra
del 2 dicembre, assurse al titolo di Imperatori dei Francesi. Egli prese il nome
di Napoleone III in segno di quella continuità dinastica iniziata con suo zio
Napoleone I Bonaparte con la proclamazione del Primo Impero Francese e
continuata, seppure de iure, da suo cugino, il conte di Reichstadt, Napoleone
II, morto nel 1832 prigioniero degli Asburgo. Questo atto rappresentò il trionfo
di tutto un processo reazionario, iniziato all’indomani dei moti parigini del ’48 e
proseguito fino alla proclamazione dell’Impero, appoggiato in toto oltre che dai
conservatori, da gran parte dell’esercito e dalla borghesia industriale, timorosa
di ogni novità politico-sociale. A vantaggio di quest’ultima, l’Imperatore favorì,
nel corso degli anni, lo sviluppo industriale del paese, l’accumulazione di
capitali (banche, ferrovie, campagne di navigazione, industrie) e un rapido
sviluppo dei commerci con l’estero.