La cena pasquale ebraica è un antico rito che ancora oggi, tutti gli

La cena pasquale ebraica è un antico rito che ancora oggi, tutti gli anni, gli ebrei celebrano per
ricordare l’evento della loro liberazione dalla schiavitù dell’Egitto.
Per la pasqua, che inizia con il plenilunio di marzo e dura per otto giorni, il popolo giudaico rivive in
famiglia la liberazione dall’Egitto e l’inizio di un viaggio lungo 40 anni alla volta della terra promessa.
Il Nuovo Testamento dice che anche Gesù era fedele all’osservanza della Pasqua e la celebrò anche nel
giorno dell’Ultima Cena, il giorno in cui lasciò alla sua comunità il dono dell’Eucaristia.
Nel giorno del giovedì santo, i giovani della parrocchia San Germano di Podenzano celebrano proprio la
cena pasquale ebraica celebrata da Gesù e i suoi discepoli, con l’intento di vivere e comprendere
meglio la Pasqua cristiana.
Dopo aver partecipato alla Cena Domini, i giovani si riuniscono al tramonto in un ambiente raccolto (il
salone della casa del giovane messo a disposizione dalla parrocchia) adornato per l’occasione con fiori
e rami di ulivo e illuminato da tante candele.
Con musiche ebraiche di sottofondo e canti di festa rivivono la celebrazione presieduta da un sacerdote
che impersona Gesù, e due ragazzi, gli apostoli, che durante la cena pongono domande al sacerdote e
recitano insieme ai presenti le preghiere rituali e di ringraziamento.
Il popolo di Israele ha mangiato pane azzimo, erbe amare e agnello arrostito prima di partire per
l’Egitto. Così anche Gesù e i suoi apostoli nel cenacolo, durante l’Ultima Cena.
Anche i giovani vogliono ripetere quell’esperienza, consumando quei cibi che hanno un significato
simbolico: il pane azzimo è in relazione al fatto che al momento della liberazione dalla schiavitù
d’Egitto non ci fu il tempo necessario per fare lievitare il pane; le erbe amare (sedano e prezzemolo)
ricordano le amarezze durante la schiavitù e l’agnello ricorda come Dio abbia oltrepassato le case degli
Ebrei al momento della morte dei primogeniti d’Egitto.
Pasqua e Ultima Cena
Le discussioni intorno al carattere dell'Ultima Cena si sono accese fin dai tempi più antichi, e già presso i Padri si
trovano dissensi al riguardo; mentre Girolamo e Ambrogio pensano a una coincidenza tra Ultima Cena e pasqua
ebraica, Ireneo ritiene che Gesù sia morto nel giorno della pasqua, e quindi l'Ultima Cena sarebbe avvenuta durante
la vigilia della festa. La cosa non risulta chiara già nei Vangeli: secondo i sinottici sembra che Gesù abbia celebrato il
banchetto il primo giorno degli azzimi; invece, secondo Giovanni, sembra che la crocifissione sia avvenuta nel primo
giorno degli azzimi cioè nello stesso giorno e, più o meno, nella stessa ora in cui nel Tempio si immolavano gli agnelli,
che sarebbero stati consumati durante la cena pasquale.
La questione si complica ancor più se si tiene presente quello che è stato messo recentemente in evidenza, e cioè
che, al tempo di Gesù, gli ebrei avevano due calendari, uno ufficiale e un altro che conosciamo dai testi di Qumran, e
che poteva essere usato anche al di fuori della stretta cerchia di quella comunità. Le discussioni al riguardo sono ben
lungi dall'essere esaurite, anche se si può dire che la tendenza generale è quella di vedere nell'Ultima Cena un vero
e proprio banchetto pasquale.
La sobrietà dei racconti evangelici al riguardo può essere considerata una riprova di questa asserzione; essi infatti ci
dicono soltanto quello che di nuovo avvenne in quella occasione, sorvolando su tutti gli altri particolari, perché,
trattandosi di un vero e proprio banchetto rituale, che si celebrava ogni anno, hanno ritenuto superfluo descriverlo in
dettaglio.
Comunque si siano svolte realmente le cose, è certo che l'Ultima Cena si svolge su uno sfondo pasquale. Siamo nel
mese di nisan (marzo-aprile), il mese in cui - secondo la tradizione ebraica più corrente - il mondo è stato creato, il
mese cioè della primavera astronomica e della primavera del mondo. Ma il pensiero ebraico, l'abbiamo già detto, non
si volge mai al passato in un atteggiamento nostalgico; se lo fa, è per animare la speranza che spinge a guardare al
futuro. Nel mese di nisan infatti, quando la natura si rinnova, il Messia verrà, portando agli uomini e alle cose quel
rinnovamento di cui hanno parlato i profeti. I monti si abbasseranno e le valli si innalzeranno per appianare e facilitare
la strada al Messia; i cieli e la terra si rinnoveranno, e gli uomini stessi saranno trasformati: non ci sarà più violenza,
la pace regnerà fra gli uomini egli animali; i ciechi potranno leggere le parole dei libri e gli zoppi salteranno come
cervi. Si ritornerà a quello stato paradisiaco che ha preceduto il peccato, e il ristabilimento dell'ordine morale
nell'uomo si rifletterà sulla natura, che entrerà in una nuova fase, simile a una nuova ed eterna primavera. Sarà una
creazione nuova, che si contrapporrà a quella primigenia e la completerà. li fatto che - secondo la tradizione - i due
avvenimenti coincidano anche nella stagione dell'anno rende la relazione fra di essi più evidente.
Il rinnovamento primaverile della natura e l'atteggiamento pasquale degli animi, atteggiamento fatto di attesa e di
speranza, fanno da sfondo all'atto centrale della vita di Gesù, quell'atto con cui egli rilancia il mondo in una nuova
creazione.
Gli elementi di quella natura, che il primo Adamo aveva contaminato con il suo peccato, tanto da attirare su di essa la
maledizione di Dio, diventano ora strumenti di quella creazione nuova, che si opera nella persona del nuovo Adamo e
che darà vita a una umanità nuova. Pane e vino diventano da allora i mezzi con cui gli uomini potranno, in terra, sotto
il velo dei segni, anticipare e realizzare nel tempo l'unione con Dio. Gli elementi della natura, affrancati dalla
maledizione, sono messi a servizio della nuova opera creativa. È la vera primavera del creato, una primavera in cui la
natura si risveglia non solo dal letargo invernale, ma da quello stato di morte in cui il peccato l'aveva gettata, e ritorna
a nuova vita, trasformata al punto da divenire strumento di redenzione. La vera primavera non è quella che gonfia di
linfa i germogli sugli alberi, ma quella che rende il pane e il vino capaci di dare la vita eterna.
Come nella tradizione ebraica, anche per i cristiani la nuova primavera corrisponde a quella primigenia, perché nello
stesso giorno in cui il mondo fu creato, Cristo fu concepito e soffrì la passione (1). Come l'antico Adamo, padre
dell'umanità peccatrice, domina il campo della creazione primigenia, così Cristo sta al centro della creazione
rinnovata.
Si è parlato anche di una relazione tra l'elemento che Gesù consacra a salvezza del genere umano e l'albero che fu
occasione del peccato di Adamo: Origene stesso dice che l'albero della conoscenza del bene e del male era la vite,
altri pensano al grano, e si spiega che questo avvenne perché il debito si sciogliesse con lo stesso mezzo con cui era
stato contratto. Anche la più antica tradizione ebraica vede un rapporto tra il pane e il vino - i due più importanti
elementi della liturgia pasquale - e l'albero della conoscenza del bene e del male: quella pianta era la vite, dice R.
Meir; era il grano dice R. Jehudah (2). Il peccato di Adamo fu un peccato di ubriachezza, affermano altri (3). Ma quello
che era stato per l'umanità pietra d'inciampo sarebbe diventato nel futuro causa di gioia (4), perché, nel quadro del
rinnovamento primaverile escatologico, anche il vino si sarebbe rinnovato, sarebbe diventato « mosto » cioè « vino
nuovo » (5). Fra il vino bevuto da Adamo alle origini del mondo, a rovina del genere umano, e quello che si attende «
rinnovato » a compenso della rovina passata, si pone il vino pasquale, che ogni ebreo consuma durante il rito
domestico insieme con il pane azzimo.
All'ultima Cena il vino è così « rinnovato » che diventa velo della presenza salvifica di Cristo.
Il banchetto pasquale ebraico
La sobrietà dei racconti evangelici riguardo all'Ultima Cena delude un poco il lettore moderno che, così lontano dal
tempo in cui Gesù ha vissuto la sua vita terrena, desidererebbe tuttavia poterne ricostruire l'ambiente e la storia nel
modo più preciso possibile. Davanti al silenzio degli evangelisti ci volgeremo quindi a interrogare quei testi che,
facendoci conoscere la vita religiosa degli ebrei intorno sorgere dell'era cristiana, illuminano per riflesso la stessa
figura di Gesù. Testi contemporanei di Gesù non ne abbiamo, ma il corpus di regole religiose e civili, che si chiama
Mishnah - in particolare il trattato sulla pasqua (Pesahim) - le aggiunte ad esso (Tosefta), e un testo interpretativo
(Sifrè) (6), nei quali troviamo lo schema del banchetto pasquale o alcuni elementi di esso, redatti entro i primi due
secoli dell'era cristiana, ci danno sufficiente garanzia di rispecchiare gli usi pasquali, che Gesù stesso e i suoi apostoli
avranno seguito. È ad essi dunque che dovremo rivolgerci se vogliamo inquadrare nel loro contesto vitale le notizie
date dagli evangelisti.
Secondo questi testi, il banchetto pasquale ( che gli ebrei chiamano seder, cioè ordo ), si svolgeva all'inizio dell'era
cristiana sostanzialmente come adesso, ad eccezione di alcune aggiunte, prive di importanza, fatte nel corso dei
secoli. Eccone in breve la descrizione: dopo la benedizione del giorno, recitata sulla prima coppa di vino, si portano
davanti al capo del banchetto tutti i cibi particolari richiesti dall'occasione, fra cui naturalmente il pane non lievitato
(masah). Secondo un uso che troviamo documentato in epoca tarda, si presentavano al capo della mensa tre
azzime; egli ne spezzava una, coprendone una parte con un tovagliolo, e lasciando l'altra parte con le azzime intere.
Sulle azzime si recitava la formula consueta per la benedizione del pane: "Benedetto Tu, Signore Iddio nostro, che fai
uscire il pane dalla terra" nota, già in periodo molto antico (7); ma l'azzima spezzata sembra avere importanza
particolare, perché su di essa si pronuncia subito dopo un'altra benedizione: "Benedetto Tu, Signore, Dio nostro, che
ci hai santificato con i Tuoi precetti e ci hai comandato di mangiare l'azzima"; dopo di questo il capo della mensa
mangia l'azzima e ne dà a tutti i commensali (8). Quella parte di azzima che era stata riposta sotto il tovagliolo, veniva
ripresa solo dopo il pasto e si consumava senza altre benedizioni particolari, introducendo con tale atto la
benedizione finale sul cibo. Questi particolari ci sono noti solo da un testo relativamente tardo; ma, data la scarsità di
documenti liturgici precedenti, non possiamo escludere che essi non rispecchino una prassi assai più antica.
Dopo tutto ciò, il figlio più giovane deve interrogare il padre riguardo al carattere particolare della notte di pasqua,
durante la quale - a differenza delle altre sere - si mangia solo pane azzimo, erbe amare ad esclusione di altre erbe,
carne arrostita e non anche bollita. La domanda del ragazzo serve per dare lo spunto al padre di famiglia per
spiegare il significato della festività, ed egli deve farlo - prescrive la Mishnah - « cominciando dalla disgrazia e
concludendo con l'esaltazione »; egli deve spiegare cioè o il brano del Deuteronomio (26, 5ss.) (9): « Un arameo
errante era nostro padre... scese in Egitto divenne lì un popolo grande, forte e numeroso. Ci angariarono gli
Egiziani... E ci fece uscire il Signore dall'Egitto con mano forte e braccio teso »... oppure di Giosuè (24, 2ss.) (10). «
Di là dal Fiume (Eufrate) abitavano i vostri padri... E io presi vostro padre Abramo di là dal Fiume e lo feci andare
nella terra di Canaan... E mandai Mosè ed Aronne... e vi feci uscire dall'Egitto... e vi detti una terra sulla quale non vi
eravate affaticati, case che non avevate costruito e vi abitaste; e voi mangiaste i frutti di vigne e di oliveti che non
avevate piantato ».
Sono le due più antiche redazioni della storia della salvezza d'Israele (11), che prendono in considerazione i due punti
principali di essa: la vocazione dei padri, tratti dal Signore da una terra idolatra, perché prendessero possesso della
terra promessa al popolo di Dio; la liberazione dalla schiavitù egiziana, momento in cui Israele diventa veramente il
libero popolo di Dio. Già Esodo (13, 14) prevedeva che i figli interrogassero i padri sulla ragione di determinate regole
cultuali, ma lì la risposta, determinata dall'obbligo del riscatto dei primogeniti, è limitata al secondo punto della storia
della salvezza, la liberazione dall'Egitto, perché fu in quell'occasione che i primogeniti degli ebrei furono
prodigiosamente risparmiati dal flagello, che portò alla morte i primogeniti egiziani.
Rievocata cosi brevemente la storia d'Israele, il capo del banchetto avrà modo di spiegare il perché dell'uso di
mangiare l'agnello arrostito, il pane azzimo e le erbe amare, collegandosi a quegli antichi avvenimenti: il rito
pasquale, di cui quei cibi speciali fanno parte, è il modo con cui ogni ebreo rivive e attualizza la storia passata.
L'agnello pasquale (pesah) ricorda come il Signore abbia « saltato » ( in ebraico pesah) le case degli ebrei al
momento della morte dei primogeniti d'Egitto; il pane azzimo è in relazione al fatto che, all'atto dell’uscita dall'Egitto,
non si ebbe tempo di far fermentare il pane; e le erbe amare ricordano le amarezze sofferte durante la schiavitù. Ma
quella storia passata non è mai del tutto passata, perché si riattualizza in ogni ebreo che compie il rito di pasqua, in
ogni ebreo che - secondo quanto dice la Mishnah - deve « considerare se stesso come uscito dall'Egitto ». La
liberazione operata dal Signore al tempo di Mosè è liberazione di ogni singolo israelita, e il rito è il modo di prenderne
coscienza e di partecipare ad esso.
Perciò ogni ebreo « ha il dovere di ringraziare, di lodare, di pregare, di glorificare, di esaltare, di magnificare, di
benedire e sublimare Colui che ha fatto per i nostri padri e per noi tutti questi prodigi: ci ha fatto uscire dalla schiavitù
verso la libertà, dall'angoscia alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce splendente, dalla soggezione alla
redenzione. Diciamo dunque al Suo cospetto: Allelujah ». Con queste parole si inizia la recita della prima parte dei
salmi di lode (chiamati in ebraico hallel) cioè i Salmi 113 e 114, che devono concludersi con la menzione della
"redenzione", menzione a cui già Rabbi Aqiba dava un evidente carattere messianico, con le seguenti parole:
« Così, Signore Dio nostro e Dio dei nostri padri, facci arrivare in pace alle altre feste e solennità che verranno
davanti a noi; rallegraci con la ricostruzione della Tua Città e facci lieti con il Tuo servizio; fa che possiamo mangiare
lì i sacrifici e le offerte pasquali... Benedetto Tu che redimi Israele » (12).
La storia passata, rievocata dalle parole del capo del banchetto, si continua in ogni ebreo, che nel tempo presente
partecipa al rito, ma si proietta nello stesso tempo verso il tempo avvenire, quando, secondo la parola dei profeti,
Gerusalemme sarà ricostruita e in essa si celebrerà un culto che non avrà più fine.
Si benedice a questo momento una seconda coppa di vino e si inizia il pasto, che è un vero e proprio pasto rituale,
preceduto e seguito com'è da letture e da preghiere; è il rito che dà modo all'ebreo di partecipare in ogni tempo alla
liberazione operata dal Signore a vantaggio del Suo popolo. Segue la "benedizione sul cibo", cioè il ringraziamento
su quanto si è mangiato, accompagnata dalla benedizione su una terza coppa di vino, da una benedizione per la
terra e da una che comincia con le parole" Colui che riedifica Gerusalemme" (13); ogni pasto infatti è un partecipare ai
beni di Dio, e come tale è un atto di culto; ma il culto per l'ebreo è collegato al Tempio e quindi alla sua ricostruzione
nella città santa di Gerusalemme.
Il ringraziamento si completa con la benedizione di una altra coppa di vino, la quarta; è la più solenne, è quella di cui
gli ebrei dicevano che solo David sarebbe stato degno di benedirla, attribuendole quindi chiaramente un carattere
messianico. Essa viene accompagnata dalla recita degli altri salmi di lode, cioè dal 115 ("Non a noi, Signore, non a
noi, ma al Tuo Nome dà gloria ") fino al 118, il salmo cioè che al verso 13 contiene le parole, che ancora oggi il
sacerdote ripete durante la Messa: "Che cosa renderò al Signore, per tutti i benefici che Egli mi ha fatto? Innalzerò il
calice della salvezza e invocherò il Nome del Signore".
Segue ancora una preghiera, riguardo alla quale la Mishnah non ci fornisce che il nome: « La benedizione del canto
», ma già R. Johanan (III sec.) (14) sapeva trattarsi della preghiera che conchiude, si può dire in ogni rito, i salmi di
lode e quindi anche il banchetto pasquale :
« L'anima di ogni vivente benedica il Tuo Nome, signore, Iddio nostro, e lo spirito di ogni creatura magnifichi ed esalti
la Tua memoria, o nostro Re, sempre. Dall'eternità e in eterno tu sei Dio, e all'infuori di Te non abbiamo re, né
redentore, né salvatore, né liberatore, che ci salvi, ci nutra, e abbia pietà di noi in ogni momento d'angustia e bisogno.
Non abbiamo re all'infuori di Te, Dio dei tempi primordiali e dei tempi ultimi. Dio di ogni creatura, Signore di tutte le
generazioni, lodato con molte lodi, che conduce il Suo mondo con grazia e le Sue creature con misericordia. Il
Signore non sonnecchia, né dorme; Egli sveglia i dormienti, desta i torpidi; fa parlare i sordi, libera i prigionieri,
sostiene i cadenti, rialza i curvi.
« Te, Te solo noi ringraziamo. Se le nostre bocche fossero piene di canto come il mare, e le nostre lingue di cantici
come la moltitudine delle sue onde, e le nostre labbra di lode come le distese del firmamento; se i nostri occhi fossero
lucenti come il sole e la luna e le nostre mani aperte come le ali delle aquile del cielo, e i nostri piedi veloci come
quelli delle gazzelle - non saremmo sufficienti a lodarti, Signore nostro Dio, e Dio dei nostri padri, e a benedire il Tuo
Nome per una sola delle miriadi e infinite volte che ci hai beneficati, noi e i nostri padri. Tu ci hai redento dall'Egitto,
Signore Iddio nostro, dalla casa di schiavitù ci hai liberato; nella fame ci hai nutrito, nell'abbondanza ci hai sostenuto;
ci hai salvato dalla spada, ci hai scampato dai flagelli e da gravi malattie; hai dato sollievo a noi fiduciosi. Fino ad ora
ci ha aiutato la Tua misericordia, ne ci ha abbandonato la Tua grazia. Non ci respingerai, Signore Dio nostro, in
eterno! Perciò ogni membro che ci hai dato, lo spirito e l'anima che hai spirato nelle nostre narici, e la lingua che hai
posto nella nostra bocca, ecco: esse confesseranno e benediranno e loderanno e magnificheranno ed esalteranno e
celebreranno il Tuo Nome, e proclameranno la Tua santità e la Tua regalità, o nostro re. Infatti ogni bocca Ti
confesserà; ogni lingua giurerà a Te, e ogni ginocchio si piegherà davanti a Te; ogni altezza si prostrerà al Tuo
cospetto, e ogni cuore Ti temerà. L 'interno di ogni uomo canterà lodi al Tuo Nome, come sta scritto: 'Ogni osso dirà:
Signore, chi come Te?'. Tu salvi il povero da chi è più forte di lui e il povero e il misero da chi lo depreda. Chi Ti
assomiglia o chi Ti pareggia, e chi può essere messo a confronto con Te, Dio grande e forte, venerando, Dio eccelso,
che hai creato il cielo e la terra? »
« Noi Ti lodiamo, Ti celebriamo, Ti magnifichiamo, benediciamo il Tuo Nome Santo, come è detto da David: 'Benedici,
anima mia il Signore, e tutto quello che è dentro di me benedica il Nome Suo santo' ».
Era diffusa nel Medio Evo la leggenda che questa preghiera fosse dovuta a San Pietro; si tratta naturalmente di un
fatto non controllabile, ma che comunque ci permette di immaginare che forse Pietro - l'unico a cui il Padre aveva
rivelato la vera natura del Messia (Mt. 16, 16ss.) - sia stato quello che in occasione dell'Ultima Cena abbia afferrato
più degli altri il significato di quanto era avvenuto, così che non trovando sufficienti le parole dei salmi, per esprimere
la sua gratitudine, avrebbe formulato una sua preghiera, nella quale il riconoscimento dell'incapacità dell'uomo di
lodare sufficientemente il Signore fosse la migliore espressione della sua riconoscenza.
Un altro testo (Tosephta) specifica invece che a questo momento si deve dire un versetto di un salmo di lode: «
Benedetto Colui che viene nel Nome del Signore », anticipando nell'invocazione e nel desiderio la venuta del Messia
e la sua salvezza; tutto poi si conclude con la lode a Dio che redime il Suo popolo.
L’Ultima Cena
Sono stati fatti vari tentativi per riuscire a individuare a quale punto del rito domestico pasquale ebraico Gesù abbia
inserito le sue parole, quelle parole che nessuno al mondo aveva mai udito: "Prendete e mangiate, questo è il mio
Corpo" e: "Prendete e bevete, questo è il mio Sangue", quelle parole che all'invocazione della redenzione messianica
venivano a rispondere: oggi essa si compie.
Dalle scarne notizie del Vangelo sappiamo che « durante il pasto » Gesù lava i piedi degli apostoli (Gv. 13, 1),
consacra il pane a distanza di tempo dal vino, che viene consacrato dopo il pasto (Lc. 22, 20), e che prima di uscire
dal Cenacolo recita dei cantici (Mc. 14, 26; Mt. 26, 30). Ci piacerebbe di poter piazzare questi momenti al loro posto
nel rituale ebraico, per poter ricostruire più al vivo quel banchetto pasquale unico nella storia del mondo. Ognuna di
quelle azioni di Gesù, che gli evangelisti menzionano, trovano riscontro in altrettante azioni abituali del banchetto,
azioni alle quali viene, nell'Ultima Cena, conferito un aspetto nuovo. Ci sembra di poter individuare il momento della
lavanda dei piedi in quello in cui viene porto al capo della messa un catino perché, all'inizio del pasto, si lavi le mani
prima di recitare la benedizione sul pane; Gesù fa un uso particolare di quel catino, ma la sua novità si innesta su
un'azione abituale.
Così pure ci domandiamo se le parole della consacrazione del pane - quelle parole che rompono i confini di qualsiasi
rituale tradizionale - non siano state dette di seguito alla formula che abbiamo riportato sopra e che ogni ebreo ancor
oggi recita, spezzando il pane: « Benedetto Tu, Signore Dio nostro, che fai uscire il pane della terra »; parole che, nel
contesto dell'Ultima Cena, quando " la morte incombeva - e gli apostoli, anche se ignari, dovevano sentirla passare
sopra di loro - sembrano quasi assumere il tono e il valore di profezia di risurrezione : l'identità fra quel pane e il
Corpo di Cristo era esplicita nelle parole di Gesù (e il fatto sarà poi messo in particolare evidenza da Paolo ), così che
si poteva intuire che come il Signore fa uscire dalla terra il pane, così ne avrebbe tratto fuori quel Corpo che solo
temporaneamente sarebbe sceso nel suo seno. Anche nell'ebraismo, del resto, la speculazione mistica dirà che il
pane e il vino sono Israele e il Messia stesso (15).
Se vogliamo cercare di scendere nei particolari, ci domandiamo se non sia possibile individuare nell'azzima spezzata,
che viene benedetta due volte e che quindi riveste già per se stessa un particolare carattere sacro, l'azzima che
Gesù ha consacrato, dandola a mangiare ai suoi apostoli. Ci induce a questa supposizione anche il fatto che essa
veniva mangiata con l'agnello, anzi col passare del tempo diventerà per gli ebrei il ricordo dell'agnello (16), tanto che
le si applicheranno tutte le prescrizioni previste per esso (17). Sarebbe quindi su di essa che l'Agnello di Dio, venuto a
perfezionare il sacrificio pasquale ebraico, avrebbe pronunciato le parole consacratorie.
Si tratta sempre solo di congetture, ma dato che Luca dice espressamente che il vino viene consacrato dopo il pasto,
ci sembra poter individuare la coppa che Gesù consacra in quella coppa che ogni ebreo benediceva, e benedice
tuttora, con particolare solennità, a chiusura del pasto rituale (18). Abbiamo detto che ad essa si attribuiva un
particolare carattere messianico, e che si aspettava che David - cioè il prototipo del Messia - venisse lui stesso a
benedirla.. I salmi di lode che ne accompagnano la benedizione sembrano particolarmente adatti al momento che i
commensali dell'Ultima Cena stanno vivendo, anzi sembra che alcuni di essi non si spieghino che in quel contesto:
...« Mi avvolsero lacci di morte,
le angustie degli inferi mi raggiunsero,
angustie e preoccupazioni incontrai.
Allora invocai il Nome del Signore:
'Orsù, Signore, salva l'anima mia'.
Ritorna, anima mia, alla tua quiete,
perché il Signore ti ha beneficato;
infatti Tu hai salvato la mia anima dalla morte,
il mio occhio dal pianto, il mio piede da caduta.
Camminerò davanti al Signore
nella terra dei viventi.
Ho detto nella mia trepidazione:
'Ogni uomo è mendace'.
Che cosa renderò al Signore per tutti i Suoi sacrifici?
Prenderò il calice della salvezza
e invocherò il Nome del Signore.
Preziosa è al cospetto del Signore
la morte dei Suoi fedeli »... (Sal. 116, 3ss).
Le angustie della morte si alternano in questo salmo con la sicurezza dell'aiuto del Signore, con una fede che
possiamo definire fede nella risurrezione. Forse solo Gesù sapeva tutto il significato di quelle parole, che gli apostoli
avranno ascoltato attoniti; in quell'atmosfera di tragedia incombente, forse ancora turbati dall'annuncio del tradimento,
saranno essi stati capaci di sentire la speranza e la promessa che esse contenevano?
Con la recita dei «cantici », di cui parlano gli evangelisti e nei quali dobbiamo ravvisare i salmi di lode, che chiudono il
banchetto pasquale, l'Ultima Cena ha termine; si conclude cioè quel rito, antico e nuovo nello stesso tempo, quel rito
che permette a ogni fedele di partecipare alla nuova e definitiva liberazione, operata dal Signore a vantaggio del Suo
popolo. Se l'azzima benedetta e il vino benedetto erano per l'ebreo il modo di riattualizzare in se stesso la redenzione
di Israele, anticipando nell'invocazione e nel desiderio il completamento di quella redenzione che il Messia avrebbe
portato, le parole nuove, pronunciate da Gesù durante la cena pasquale, il fatto nuovo da Lui operato, rendono
presente quel completamento. Quella sera gli apostoli hanno potuto rivolgere a una persona chiaramente individuata
quell'invocazione, nella quale ogni ebreo esprimeva il massimo dei suoi desideri: " Benedetto Colui che viene nel
Nome del Signore! " .
Ancora una volta Gesù inserisce il fatto nuovo che egli compie nel quadro della liturgia giudaica. Come a Nazareth
aveva voluto che il culto sinagogale costituisse lo sfondo, su cui annunciare che la salvezza preannunciata dai profeti
era presente nella sua persona, così anche il momento essenziale della sua vita terrena, quel momento in cui egli
celebra il suo Sacrificio sotto il velo dei segni, lo vuole inserito nella cornice del culto ebraico, culto che egli vive,
assomma in sé e perfeziona.
Quella storia della salvezza che il capo della mensa riassumeva brevemente per i suoi commensali, menzionandone
l'inizio e il momento determinante dell'esodo, quella storia di cui la predicazione dei profeti faceva intravedere una
conclusione al tempo messianico, aveva raggiunto l'epilogo che Israele aveva per secoli invocato. La religione
ebraica è essenzialmente messianica, cioè volta all'avvenire, tesa dinamicamente verso il futuro; la storia passata
non viene evocata che per rivolgersi verso le cose che avverranno; la storia passata non si riattualizza nel rito che
per portarla avanti, verso il momento della sua maturazione. Quella sera, nella "stanza superiore" di una casa di
Gerusalemme, quel momento era arrivato; un nuovo periodo della storia della salvezza si era iniziato, punto di
maturazione e nello stesso tempo punto di partenza, volto all'attesa del completamento finale, verso il ritorno glorioso
di Cristo, la parusia.
Se fino a quel momento Israele aveva cercato, attraverso i molteplici mezzi suggeriti dalla Legge, l'unione con Dio, da
allora in poi tutti codesti mezzi si sarebbero riassunti in due elementi soltanto, quelli pasquali del pane e del vino.
Tutte le prescrizioni legali (la circoncisione, il sabato, i filatteri, ecc.), eseguite in obbedienza alla volontà esplicita di
Dio, avevano avuto fin allora un valore che potremmo chiamare quasi “sacramentale" per Israele, nel senso che si
trattava di segni ( othoth ) esteriori che esprimevano l'unione del popolo con il suo Dio. Da allora in poi tutto ciò si
sarebbe ricapitolato nella Persona stessa di Cristo, che lega la sua presenza ai veli del Pane e del Vino, in quella
Persona in cui l'unione con Dio diviene reale, in quella Persona che è il Verbo stesso di Dio, cioè l'espressione
vivente della Sua volontà, Colui che non è venuto ad abolire la Legge, ma a sintetizzarla in se stesso.
LA CENA PASQUALE EBRAICA (SEDER)
LA CENA PASQUALE EBRAICA SI SVOLGE ANCHE OGGI SECONDO UN RITO MOLTO ANTICO, CHE COMPRENDE TRE PARTI
PRINCIPALI: RACCONTO DELLA LIBERAZIONE DALLA SCHIAVITÚ D' EGITTO - CENA - PREGHIERE E CANTI FINALI.
DURANTE LA CENA VENGONO CONSUMATI CIBI E BEVANDE CHE HANNO UN SIGNIFICATO SIMBOLICO.
CIBI SPECIALI CHE FANNO RIVIVERE ALL’ EBREO LA SUA STORIA PASSATA E LA RENDONO ATTUALE.
L’ AGNELLO PASQUALE RICORDA COME JHWH ( DIO ) ABBIA “SALTATO” LE CASE DEGLI EBREI AL MOMENTO DELLA MORTE
DEI PRIMOGENITI D’ EGITTO.
IL PANE AZZIMO E’ IN RELAZIONE AL FATTO CHE , AL MOMENTO DELLA LIBERAZIONE DALLA
SCHIAVITÚ D’EGITTO , NON CI FU IL TEMPO NECESSARIO PER FARE LIEVITARE IL PANE .
QUESTO TIPO DI PANE RAPPRESENTA ANCHE IL PANE DELLA DEBOLEZZA IN RICORDO DELLA
SCHIAVITÚ, MENTRE IL LIEVITO E’ SIMBOLO DI FORZA.
LE ERBE AMARE (SEDANO E LATTUGA) RICORDANO LE AMAREZZE SOFFERTE
DURANTE LA SCHIAVITÚ.
QUELLA STORIA PASSATA NON E’ MAI DEL TUTTO PASSATA PERCHÉ SI
ATTUALIZZA IN OGNI EBREO CHE COMPIE IL RITO DI PASQUA.
LA LIBERAZIONE OPERATA DAL SIGNORE AL TEMPO DI MOSÉ É LIBERAZIONE DI OGNI SINGOLO ISRAELITA
E IL RITO É IL MODO DI PRENDERNE COSCIENZA E DI PARTECIPARE AD ESSO.
LA BENEDIZIONE , DI ALCUNE COPPE DI VINO A INIZIO PASTO, E’ PRECEDUTO E SEGUITO DA LETTURE E
PREGHIERE ùùù
HAGGADAH
QADDESH (consacrare).
Si riempie la prima coppa di vino. Poi si dice:
Benedetto sii tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che ci hai scelti fra tutti i popoli e ci hai innalzati sopra ogni lingua e ci hai santificati mediante
i tuoi comandamenti. Nel tuo amore per noi, Tu ci hai dato, o Signore nostro Dio, momenti di gioia, feste, tempi di letizia, questo giorno di festa delle
azzime, questo bel giorno di sacra riunione, festa della nostra libertà, sacra riunione in ricordo dell'uscita dall'Egitto. Veramente Tu hai scelto e
consacrato noi fra tutti i popoli e ci hai dato le tue sante feste da vivere in gioia ed allegrezza. Benedetto sii Tu, o Signore, che santifichi Israele e le sue
feste ...Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che ci fai vivere, ci conservi e ci hai fatti arrivare a questo giorno.
Ci si appoggia sul fianco destro e si beve la prima coppa.
2. URCHATZ (lavare).
Colui che presiede, il padre, si lava le mani .
3. KARPAS (sedano).
Colui che presiede, il padre, prende un pezzo di sedano, lo intinge nell'aceto o nell'acqua salata e dice:
Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, Tu che crei il frutto della terra.
Dopo aver mangiato, lo distribuisce ai commensali, i quali recitano la stessa benedizione.
4. YACHATZ (dividere).
Si divide in due la seconda azzima: una metà si pone sotto la tovaglia; l'altra metà si rimette tra le due.
5. MAGGHID (narrazione).
Si tolgono l'uovo e la zampa d'agnello dal vassoio, che viene sollevato mentre si recita:
Ecco il pane della sofferenza, che i nostri padri mangiarono in terra d'Egitto; chiunque ha fame venga e mangi; chiunque ha bisogno venga e faccia la
pasqua. Quest'anno, qui; l'anno prossimo in terra d'Israele. Questo anno qui come schiavi; l'anno prossimo in terra d'Israele come uomini liberi.
Si rimette il tutto sul vassoio. Si riempie la seconda coppa. Nel seder il più giovane dei partecipanti pone la domanda che noi cantiamo invece
alternandoci bambini e adulti con la melodia del canto del cammino neocatecumenale:
Canto pasquale dei bambini
Che cosa c'è di diverso questa notte
da tutte le altre notti? Da tutte le altre notti?
Che tutte le altre notti andiamo a letto presto
e non restiamo alzati. E non restiamo alzati.
Ma questa notte, questa notte
restiamo tutti alzati. Ma questa notte, questa notte restiamo tutti alzati.
Che cosa c'è di diverso questa notte
da tutte le altre notti? Da tutte le altre notti?
Che tutte le altre notti andiamo a letto presto
dopo aver cenato. Dopo aver cenato.
Ma questa notte, questa notte
abbiamo digiunato.
Che cosa c'è di diverso questa notte
da tutte le altre notti? Da tutte le altre notti?
Che tutte le altre notti andiamo a letto presto
e non aspettiamo niente. E non aspettiamo niente?
Ma questa notte, questa notte
restiamo ad aspettare. Ma questa notte, questa notte restiamo ad aspettare.
Che cosa c'è di diverso questa notte
da tutte le altre notti? Da tutte le altre notti?
Per restare alzati, per restare digiuni,
per restare ad aspettare. Per restare alzati, per restare digiuni, per restare ad aspettare
Gli adulti rispondono:
Schiavi fummo del Faraone in Egitto; ma di là ci fece uscire il Signore, nostro Dio, con mano forte e braccio disteso. Se il Santo - benedetto egli sia non avesse fatto uscire i nostri padri dall'Egitto, noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli saremmo ancora schiavi del Faraone in Egitto. Perciò, anche se
fossimo tutti saggi, tutti intelligenti, tutti esperti nella Legge, sarebbe ancora nostro dovere intrattenerci sull'uscita dall'Egitto; anzi quanto più ci si
sofferma a trattare dell'uscita dall'Egitto, tanto più si è degni di lode.
In principio i nostri padri furono idolatri, ma ora Dio ci ha portati al suo culto, come è detto: “Giosuè disse a tutto il popolo: Così ha detto il Signore,
Dio di Israele: i vostri padri, Terah, padre di Abramo e padre di Nahor, abitarono fin dall'antichità al di là dell'Eufrate e servirono dei stranieri. Ma io
ho tratto di là vostro padre Abramo e l'ho condotto per tutto il paese di Canaan e ho moltiplicato la sua discendenza e gli ho dato Isacco e ad Isacco
ho dato Giacobbe ed Esaù; e ad Esaù ho dato in possesso il monte Seir, mentre Giacobbe e i suoi figli discesero in Egitto” (Gs 24, 2-4)…
“Gli Egiziani ci fecero del male, ci affissero e ci imposero una dura servitù”(Dt 26,6). Gli Egiziani ci fecero del male, come è detto: “Orsù,
difendiamoci con astuzia da esso, affinché non si accresca e, se ci fosse una guerra, si unisca anch'esso con i nostri nemici e combatta contro di noi e ci
abbandoni” (Es 1,10). Ci afflissero, come è detto: “Posero su di esso degli aguzzini, che lo affliggessero con angherie; ed esso costruì delle cittàdeposito per il Faraone: Pitom e Ramses”(Es 1,11). E ci imposero una dura servitù, come è detto: “Gli Egiziani fecero servire i figli di Israele con
durezza” (Es 1,13).
“Implorammo il Signore, Dio dei nostri padri, ed egli ascoltò la nostra voce e vide la nostra sofferenza e la nostra oppressione”. “II Signore ci fece
uscire dall'Egitto con mano forte, con braccio disteso, con terrore, con segni e prodigi” (Dt 26,8). Il Signore ci fece uscire dall'Egitto non per mezzo di
un angelo, non per mezzo di un serafino, non per mezzo di un inviato: ma il Santo - benedetto Egli sia – Egli stesso nella sua gloria e da se stesso,
come è detto: “Io passerò per la terra d'Egitto questa notte, colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, dall'uomo agli animali, e di tutti gli dei d'Egitto
farò giustizia: io sono il Signore!” (Es 12,12)
Io passerò per la terra d'Egitto: io stesso e non un angelo; colpirò ogni primogenito: io e non un serafino; e di tutti gli dei d'Egitto farò giustizia: io e
non un inviato; io sono il Signore: io e nessun altro...
Il seder pasquale ha qui il famoso testo " Dajenu", "A noi sarebbe bastato". Lo possiamo cantare in una versione cristiana, composta dal cammino
neocatecumenale:Dajenu
Di quanti beni ci ha colmato il Signore. (3 v.)
Se Cristo ci avesse fatto uscire dall'Egitto
e non avesse fatto giustizia del faraone:
Questo ci sarebbe bastato, ci sarebbe bastatoQuesto ci sarebbe bastato, ci sarebbe bastato ci sarebbe bastato, ci sarebbe bastato
dajenu, dajenu, dajenu..
Se avesse fatto giustizia del Faraone
e non ci avesse liberato da tutti gli idoli.
Se ci avesse liberato da tutti gli idoli
e non ci avesse dato le loro ricchezze.
Se non ci avesse dato le loro ricchezze
e non avesse aperto il mare per noi.
Se non avesse aperto il mare per noi
e non avesse affondato i nostri oppressori.
Se non avesse affondato i nostri oppressori
e non ci avesse dato un cammino nel deserto.
Se ci avesse dato un cammino nel deserto
e non ci avesse nutrito con il pane della vita.
Se ci avesse nutrito con il pane della vita
e non ci avesse dato il giorno del Signore.
Se ci avesse dato il giorno del Signore
e non avesse stretto con noi la nuova alleanza.
Se avesse stretto con noi la nuova alleanza
e non ci avesse fatto entrare nella Chiesa.
Se ci avesse fatto entrare nella Chiesa
e non avesse costruito in noi il suo tempio.
Se avesse costruito in noi il suo tempio
e non avesse riempito del suo Spirito Santo.
Tanto più dobbiamo ringraziare il Signore! (3 v.)
Che ci ha fatto uscire dall'Egitto (2v.)
Che ha fatto giustizia del faraone ...
Che ci ha liberato di tutti i nemici ...
Che ci ha dato le loro ricchezze ...
Che ha aperto il mare per noi ...
Che ci ha affondato i nostri oppressori ...
Che ci ha donato un cammino nel deserto ...
Che ci ha nutrito con il pane della vita ...
Che ci ha dato il giorno del Signore ...
Che ci ha donato la nuova alleanza ...
Che ci ha fatto entrare nella chiesa ...
Che ci ha costruito in noi il suo tempio ...
E lo ha riempito del suo Spirito santo
Nel perdono dei peccati.
Cristo nostra Pasqua è risorto per noi! (3v.) Cristo nostra Pasqua è risorto per noi! (3v.) nostra Pasqua è risorto per noi! (3v.)
Alleluia, alleluia, alleluia. (3v.)
Oppure lo possiamo recitare a cori alterni secondo il testo originario:
Di quanti benefici noi siamo debitori al Signore!
Se ci avesse fatti uscire dall'Egitto
e non avesse fatto giustizia di loro,
questo ci sarebbe bastato.
Se avesse fatto giustizia di loro
e non dei loro dèi,
questo ci sarebbe bastato.
Se avesse fatto giustizia dei loro dèi
e non avesse ucciso i loro primogeniti,
questo ci sarebbe bastato.
Se avesse ucciso i loro primogeniti
e non ci avesse dato le loro ricchezze,
questo ci sarebbe bastato.
Se ci avesse dato le loro ricchezze
e non avesse diviso il mare per noi,
questo ci sarebbe bastato.
Se avesse diviso il mare per noi
e non ci avesse fatto passare in mezzo ad esso
all'asciutto,
questo ci sarebbe bastato.
Se ci avesse fatto passare in mezzo ad esso
all'asciutto,
e non vi avesse fatto affogare i nostri persecutori,
questo ci sarebbe bastato.
Se vi avesse fatto affogare i nostri persecutori
e non avesse provveduto alle nostre necessità
nel deserto per 40 anni,
questo ci sarebbe bastato.
Se avesse provveduto alle nostre necessità
nel deserto per 40 anni
e non ci avesse dato da mangiare la manna,
questo ci sarebbe bastato.
Se ci avesse dato da mangiare la manna
e non ci avesse dato il sabato,
questo ci sarebbe bastato.
Se ci avesse dato il sabato
e non ci avesse condotto al monte Sinai,
questo ci sarebbe bastato.
Se ci avesse condotto al monte Sinai
e non ci avesse dato la Legge,
questo ci sarebbe bastato.
Se ci avesse dato la Legge
e non ci avesse fatto entrare in terra di Israele,
questo ci sarebbe bastato.
Se ci avesse fatto entrare in terra di Israele
e non avesse costruito per noi il Tempio,
questo ci sarebbe bastato.
INSIEME:
Quanto dunque dobbiamo essere riconoscenti a Dio dei benefici che ci ha accordato: ci fece uscire dall'Egitto, fece giustizia di loro e dei loro dèi,
uccise i loro primogeniti, ci diede le loro ricchezze, divise il mare per noi, ci fece passare in mezzo ad esso all'asciutto, vi fece affogare i nostri
persecutori, provvide alle nostre necessità nel deserto per 40 anni, ci diede da mangiare la manna, ci diede il sabato, ci condusse al monte Sinai, ci
diede la Legge, ci fece entrare in terra di Israele e costruì per noi il Tempio perché potessimo espiare i nostri peccati...
PADRE:
Si guarda il pezzo d'agnello arrostito e si dice :
L'agnello pasquale che i nostri padri mangiavano quando esisteva ancora il Tempio, perché lo mangiavano? Perché il Santo - benedetto Egli sia - passò
oltre le case dei nostri padri in Egitto, come è detto: “Voi direte: questo è il sacrificio pasquale per il Signore che passò oltre le case dei figli di Israele
in Egitto, quando sterminò gli Egiziani e preservò le nostre famiglie. E il popolo si inchinò e si prostrò” (Es 12,26-27).
Si prende in mano l'azzima e si dice:
Quest'azzima che noi mangiamo, perché la mangiamo? Perché la pasta dei nostri padri non ebbe il tempo di lievitare, poiché il Re dei Re, il Santo benedetto Egli sia - si manifestò e li liberò subito, come è detto: “Fecero cuocere con la pasta che avevano portato via dall'Egitto delle focacce azzime,
cioè non lievitate, perché erano stati cacciati dall'Egitto e non avevano potuto attendere (che lievitasse) e non si erano portati con sé altre provviste” (Es
12,39).
Si prende in mano dell'erba amara e si dice:
Quest'erba amara che noi mangiamo, perché la mangiamo? Perché gli Egiziani amareggiarono la vita dei nostri padri in Egitto, come è detto:
“Amareggiarono la loro vita con lavori pesanti costringendoli a preparare malta e mattoni e a lavorare la campagna: tutti i lavori che essi facevano
furono loro imposti” (Es 1,14). In ogni epoca ciascuno ha il dovere di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall'Egitto, come è detto: “In quel
giorno racconterai a tuo figlio: per quello che fece a me il Signore quando uscii dall'Egitto” (Es 13,8). Perché non solo i nostri padri liberò il Santo benedetto Egli sia – ma anche noi liberò insieme con loro, come è detto: “Anche noi Egli fece uscire di là per portarci qui e darci la terra che aveva
giurato ai nostri padri” (Dt 6,23).
Si alza la coppa di vino e si dice:
Perciò è nostro dovere ringraziare, lodare, celebrare, glorificare, esaltare, magnificare colui che fece per i nostri padri e per noi tutti questi prodigi: ci
trasse dalla schiavitù alla libertà, dalla soggezione alla redenzione, dal dolore alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre ad una luce fulgida.
Proclamiamo dunque davanti a Lui: ALLELUIA!
Si posa la coppa di vino.
Qui il seder chiede di recitare i salmi dell'Hallel (dal 113 al 118). Possiamo recitare a cori alterni il Sal 113:
ALLELUJA
Lodate, servi del Signore
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore
ora e sempre.
Dal sorgere del sole al suo tramonto
sia lodato il nome del Signore.
Su tutti i popoli eccelso è il Signore
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è pari al Signore nostro Dio
che siede nell'alto
e si china a guardare
nei cieli e sulla terra?
Solleva l'indigente della polvere
dall'immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i principi,
tra i principi del suo popolo.
Fa abitare la sterile nella sua casa
quale madre gioiosa di figli.
Si alza la coppa e si dice insieme:
Benedetto sei tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che hai liberato noi e i nostri padri dall'Egitto e ci hai fatto giungere a questa sera per mangiare
azzime ed erbe amare. Così, o Signore Dio nostro e Dio dei nostri padri, facci giungere in pace ad altre future feste e solennità, lieti per la restaurazione
della tua città e felici per il ristabilimento del tuo culto: là mangeremo animali sacrificati ed agnelli pasquali, il cui sangue sarà asperso sulle pareti
dell'altare in tuo onore; e in ringraziamento intoneremo un nuovo inno che canti la nostra liberazione ed il nostro riscatto: benedetto sii Tu o Signore,
redentore d'Israele.
Ci si appoggia sul fianco destro e si beve la seconda coppa.
6. ROCHTZAH (lavare).
Tutti si lavano le mani dicendo queste parole :
Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che ci hai santificato con ì tuoi comandamenti e ci hai ordinato di lavarci le mani.
7. MOTZI MATZZAH (benedizione dell'azzima).
Colui che presiede, il padre, prende l'azzima superiore e dice:
Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che fai uscire il pane dalla terra.
Prende l'azzima divisa a metà e dice :
Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che ci hai santificato con i tuoi precetti e ci hai comandato di mangiare le azzime.
Rompe un pezzo della prima e un pezzo della seconda azzima e li mangia insieme; ne porge quindi un pezzo di ciascuna ai commensali, che li
mangiano insieme.
8. MAROR (erba amara).
Colui che presiede, il padre, intinge un pò d'erba amara nel haròset e dice:
Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che ci hai santificato con i tuoi precetti e ci hai comandato di mangiare erbe amare.
9. KOREK (avvolgere).
Colui che presiede, il padre, mette un po' di erba amara tra due pezzi dell'ultima azzima e dice:
In memoria dei tempio, come faceva Hillel il vecchio che avvolgeva e mangiava tutto insieme: agnello, azzima ed erbe amare, per conformarsi al
precetto che dice: “Con le azzime e le erbe amare si dovrà mangiare l'agnello pasquale“.
Dopo ne mangia lui e ne distribuisce a tutti i commensali.
10. SHULCHAN 'OREK (cena).
Si cena normalmente; se si può si inizia come antipasto con un uovo, cibo che richiama significati simbolici, e non solo nella cultura ebraica.
11. TZAFUN (nascosto).
Terminato il pasto si prende la metà dell'azzima nascosta e tutti ne ricevono un pezzo. Si dice:
In memoria dell'agnello pasquale lo afiqoman che viene mangiato quando si è sazi.
12. BAREK (benedizione).
PADRE:
Si riempie la terza coppa di vino e si recita la benedizione del pasto:
Benedetto sii tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo , che ci nutri non secondo le nostre opere e che ci alimenti non secondo i nostri meriti, che ci
elargisci oltre ogni misura la tua bontà, che nutri noi e il mondo intero con benevolenza, con grazia, con abbondanza e misericordia, che dai il pane ad
ogni creatura, perché il tuo amore è eterno. La tua infinita bontà non ci ha mai fatto mancare e non ci lascerà mai mancare il sostentamento, perché Tu
nutri ed alimenti ogni vivente; la tua tavola è preparata per tutti; Tu disponi cibo ed alimenti per tutti coloro che nella tua bontà e nella tua immensa
misericordia hai creato, come è detto: “Tu apri le tue mani e sazi amorevolmente ogni vivente” (Sal 145,16). Benedetto sii Tu, o Signore, che nutri con
bontà ogni creatura.
Per la nostra terra e per il paese dato in possesso ai nostri padri noi Ti ringraziamo, o Signore nostro Dio; noi Ti ringraziamo perché hai dato in
possesso ai nostri padri un paese di delizie, buono e spazioso, un patto e una Legge, la vita e gli alimenti,; perché ci hai fatto uscire dal paese d'Egitto e
ci hai liberati dalla condizione di schiavitù in cui ci trovavamo; perché hai suggellato il tuo patto con noi nella nostra carne; per la Legge che Tu ci hai
concesso e per i comandamenti della tua volontà che ci hai fatto conoscere; per la vita e per il cibo con cui Tu ci alimenti e ci nutri. Per tutto questo, o
Signore nostro Dio, noi Ti ringraziamo e benediciamo il tuo nome, come è detto: “Quando avrai mangiato e sarai sazio, allora benedirai il Signore, tuo
Dio, per la terra buona che ti ha dato” (Dt 8,10). Benedetto sii Tu, o Signore, per la terra e per il nutrimento.
Dio nostro e Dio dei nostri padri, salga, venga, arrivi, si presenti, sia gradita, sentita e ricercata e ricordata dinanzi a Te la memoria nostra e dei nostri
padri, la memoria di Gerusalemme la tua città, la memoria del Messia, figlio di Davide, tuo servo, la memoria di tutto il tuo popolo, la casa di Israele,
per salvezza, bene, grazia, pietà e misericordia in questo giorno di festa delle azzime, in questo giorno di sacra assemblea, perché Tu abbia pietà di noi
e venga in nostro soccorso. Ricordati di noi, o Signore, Dio nostro, in questo giorno per il nostro bene; visitaci e benedicici, salvaci perché possiamo
vivere degnamente; secondo la tua parola di salvezza e di misericordia, proteggici e concedici grazia, usa misericordia e compassione verso di noi e
salvaci, poiché a Te sono rivolti i nostri occhi, perché Tu sei un Dio misericordioso e pietoso.
Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo per sempre; Dio, nostro Padre, nostro Re, nostro Protettore, nostro Creatore, nostro Redentore,
nostro Santo, Santo di Giacobbe, nostro Pastore, Pastore d'Israele, Re buono e benefico verso tutti, che ogni giorno ci benefichi, ci hai beneficato e ci
beneficherai, ci colmi, ci hai colmato e ci colmerai sempre di favori, di grazie, di pietà, di benessere, di prosperità e di ogni bene.
INSIEME:
O Misericordioso
regna su di noi in eterno, sii benedetto sul tuo trono di gloria, sii lodato in cielo e in terra, sii glorificato da noi per sempre, rialza la dignità del tuo
popolo, salvaci dalla povertà, salvaci da morte violenta, salvaci dalle pene dell'inferno, alimentaci con dignità, stabilisci la pace tra di noi, fa'
prosperare ogni nostra iniziativa, spezza presto il giogo dell'esilio posto sul nostro collo, riconducici a testa alta alla nostra terra, estirpa la cattiva
inclinazione dal nostro cuore, proteggici ora e sempre, quando usciamo e quando rientriamo, apri in nostro favore la tua mano generosa, distendi su di
noi come una tenda la tua pace, stabilisci la tua Legge e l'amore verso di Te nel nostro cuore, benedici questa casa, questa mensa e noi che abbiamo
partecipato a qusta cena, manda il profeta Elia, di beata memoria, che rechi la buona novella di salvezza e di consolazione, benedici ciascuno di noi nel
tuo nome che è grande; come furono benedetti i nostri padri, Abramo, Isacco e Giacobbe in tutto, completamente, così benedici noi tutti insieme, con
una benedizione abbondante; così sia il tuo volere, e noi diciamo: AMEN!
Benedetto sii tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che crei il frutto della vite.
Si beve la terza coppa di vino, appoggiandosi sul fianco destro.
13. HALLEL (Lode).
Prima di riempire la quarta coppa se ne riempie un'altra, quella di Elia, che non sarà bevuta. Viene anche aperta una porta, perché, se mai Elia si
trovasse a passare di là, possa entrare senza dover attendere .
Si riempie la quarta coppa di vino e si continua :
“Riversa la tua collera sulle nazioni che non ti hanno riconosciuto e sui regni che non hanno invocato il tuo nome, poiché hanno divorato Giacobbe e
hanno distrutto la sua dimora“.
Nel seder si recitano qui i salmi dal 115 al 118 e poi il 136. Possiamo recitare a cori alterni il Sal 136 (è un salmo litanico, detto “Grande Hallel”;
parte integrante delle feste di Pasqua: esso ripropone i momenti salienti dell'uscita dall'Egitto e della conquista della terra promessa .)
ALLELUJA
Lodate il Signore perché è buono;
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio degli dei;
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Signore dei signori;
perché eterna è la sua misericordia.
Egli solo ha compiuto meraviglie;
perché eterna è la sua misericordia.
Ha creato i cieli con sapienza;
perché eterna è la sua misericordia.
Ha stabilito la terra sulle acque;
perché eterna è la sua misericordia.
Ha fatto i grandi luminari;
perché eterna è la sua misericordia.
Il sole per regolare il giorno;
perché eterna è la sua misericordia.
La luna e le stelle per regolare la notte;
perché eterna è la sua misericordia.
Percosse l'Egitto nei suoi primogeniti;
perché eterna è la sua misericordia.
Da loro liberò Israele;
perché eterna è la usa misericordia.
Con mano potente e braccio teso;
perché eterna è la sua misericordia.
Divise il mar rosso in due parti;
perché eterna è la sua misericordia.
In mezzo fece passare Israele;
perché eterna è la sua misericordia.
Travolse il faraone e il suo esercito nel mar rosso;
perché eterna è la sua misericordia.
Guidò il suo popolo nel deserto;
perché eterna è la sua misericordia.
Percosse grandi sovrani;
perché eterna è la sua misericordia.
Uccise re potenti;
perché eterna è la sua misericordia.
Seon, re degli Amorrei;
perché eterna è la sua misericordia.
Og, re di Basan;
perché eterna è la sua misericordia.
Diede in eredità il loro paese;
perché eterna è la sua misericordia.
In eredità a Israele suo servo;
perché eterna è la sua misericordia.
Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi;
perché eterna è la sua misericordia.
Ci ha liberati dai nostri nemici;
perché eterna è la sua misericordia.
Egli dà il cibo ad ogni vivente;
perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio del cielo;
perché eterna è la sua misericordia.
PADRE:
L'anima di ogni vivente benedica il tuo nome, o Signore nostro Dio, e lo spirito di ogni creatura glorifichi ed esalti la tua memoria, o nostro Re,
continuamente. Per l'eternità Tu sei Dio e al di fuori di Te noi non abbiamo re, redentore o salvatore che ci riscatti, ci liberi, ci esaudisca ed abbia piega
di noi in ogni epoca di angustia e di difficoltà; non abbiamo un re che ci aiuti e ci soccorra, se non Te. O Dio del principio e della fine, Dio di tutte le
creature, Signore di tutti gli esseri, degno di illimitata lode, che governi il mondo con bontà e le sue creature con misericordia; o Signore sempre desto,
che non sonnecchi e non dormi, che anzi svegli i dormienti e ridesti coloro che sono assopiti, risusciti i morti, risani gli ammalati, dai la vista ai ciechi,
raddrizzi coloro che sono curvi, dai la parola ai muti, porti alla luce le cose più occulte, Te, Te solo noi lodiamo! Anche se la nostra bocca fosse piena
di inni come il mare è pieno d'acqua, la nostra lingua di canti come numerose sono le sue onde, le nostre labbra di lodi come esteso è il firmamento, i
nostri occhi luminosi come il sole e la luna, le nostre braccia estese come le ali delle aquile del cielo, e i nostri piedi veloci come quelli dei cervi, non
potremmo ringraziarti, o Signore nostro Dio, e benedire il tuo nome, o nostro Re, per uno solo delle mille migliaia e miriadi di benefici, prodigi e
meraviglie che Tu hai compiuto per noi e per i nostri padri lungo la nostra storia: dall'Egitto Tu ci hai liberato, o Signore nostro Dio, dalla condizione di
schiavi ci hai riscattato, nella carestia ci hai alimentato, con abbondanza hai provveduto a noi, ci hai salvato dalla spada, ci hai preservato dalla peste e
ci hai reso immuni da malattie gravi e numerose; fino a tal punto ci venne incontro la tua misericordia e non ci abbandonò la tua bontà; perciò le
membra che Tu hai distribuito in noi, l'alito e il respiro che hai soffiato in noi, la lingua che ci hai posto in bocca ringrazino, benedicano, lodino,
esaltino, cantino il tuo nome, o nostro Re, per sempre, perché ogni bocca deve ringraziarti e ogni lingua deve lodarti ogni occhio deve guardare a Te ed
ogni ginocchio deve piegarsi davanti a te: chiunque è diritto deve prostrarsi alla tua presenza. Tutti i cuori devono temerti; tutto l'essere deve inneggiare
al tuo nome, come è detto: “Tutte le mie ossa ripeteranno: o Signore, chi è come Te? Tu salvi il misero da chi è più forte di lui e il povero e l'afflitto da
chi vuol sopraffarlo” (Sal 35,10). Il gemito dei miseri Tu ascolti, al grido del povero porgi l'orecchio e lo salvi, come è detto: “Cantate, o giusti, al
Signore: ai retti di cuore si addice la lode” (Sal 33,1).
INSIEME:
L'ANNO
PROSSIMO
A
Benedetto sii tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che crei il frutto della vite.
GERUSALEMME!
Si beve la quarta coppa appoggiandosi sul fianco destro e si dice:
Benedetto sii tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, per la vite e per il frutto dalla vite, per i prodotti della terra e per il paese desiderabile, vasto e
fertile che hai dato in possesso ai nostri padri, perché ne godessero i frutti e si potessero saziare dei suoi beni. Abbi pietà, o Signore nostro Dio, di noi,
di Israele tuo popolo, di Gerusalemme tua città, del monte Sion dimora della tua gloria, del tuo altare e del tuo tempio. Ricostruisci Gerusalemme, la
città santa, presto, ai nostri giorni. Facci tornare ad essa e rallegraci per la tua ricostruzione: mangeremo dei suoi frutti, ci sazieremo dei suoi beni, ti
benediremo per essa in santità e purezza di cuore. Rallegraci, o Signore nostro Dio, in questo giorno di festa delle azzime, perché tu sei buono e
benefico con tutti. Noi ti ringraziamo per la terra, per la vite e per il frutto della vite: benedetto sii tu, o Signore, per la terra, per la vite e per il frutto
della vite.
14. NIRTZAH (accettazione).
La cerimonia del seder pasquale si è compiuta secondo tutte le norme e i riti. Come oggi ci è stato concesso di ricordare il sacrificio, così un giorno
possiamo
compierlo
realmente.
O Essere purissimo, che abiti i cieli, risolleva il popolo innumerevole; riconduci presto i virgulti della tua pianta, ormai redenta, in Sion con canti di
gioia.
Possiamo concludere con due canti della tradizione ebraica:
Yaase shalom, yaase shalom
shalom aléinu ve al col Israel
(traduzione: Dio mandi la pace su di noi e su tutto Israele).
Hinne ma tov umanaym
Shevet ahim gam yahad
(traduzione: Ecco quanto è buono e bello
Il sedersi dei fratelli l'uno con l'altro; è il testo del Sal 133).
EUCARISTIA, MISTERO DI AMORE
CAMINIAMO INSIEME VERSO IL MISTERO PASQUALE
L.1
Difficoltà a meditare sul Mistero Pasquale perché: non ne abbiamo esperienza diretta in
Quanto noi non siamo ancora dentro il Mistero Pasquale che si sta compiendo: è risorto ma noi ne cogliamo gli effetti solo gradualmente nella nostra vita fino alla
manifestazione piena e finale del Cristo. Il mistero della risurrezione come tale né ce lo descrive mai la Scrittura, né possiamo averne un'esperienza completa perché
il mondo è ancora in via di risorgere, stiamo passando dalla morte alla vita. Possiamo parlare di vita in quanto abbiamo già sperimentato alcuni effetti di vita del
Battesimo, ma non di Risurrezione definitiva ancora: è una realtà che attendiamo : le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che
dovrà essere rivelata in noi (Rm 8,18), aspettiamo la redenzione del nostro corpo per cui parliamo della Risurrezione come ne parliamo della meta del viaggio,
stando in treno. Siamo in una Risurrezione in divenire; si sta dipanando il mondo nuovo, la vita sta entrando nella morte, ma con ambiguità e con rigurgiti di morte
sulla vita. Ecco la nostra esperienza. Per questo nel racconto delle apparizioni del risorto i vangeli sottolineano il dubbio.
L 2.
Diversi modi di porsi di fronte al Mistero Pasquale. Un modo: entrare attraverso l’ esperienza di coloro che hanno fatto questa esperienza,
immedesimandoci nella loro esperienza. In Mt troviamo un gruppo di persone che di fronte al Mistero Pasquale sono presenti dall'esterno, quasi come ammiratori;'
altri sono presenti con timore; altri, ancora con amore. Alcuni onorano in Gesù che è morto un grande uomo da rimpiangere, un uomo che merita affetto e stima, ma
da lontano, un uomo che ha lasciato un solco e basta ; altri invece lo temono, altri lo amano e si lasciano guidare da questo amore.
(Canto Iniziale )
G.
Nel nome del Padre del Figlio......
G. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
T. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
G. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna
e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
T. La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui» (Gv 6,51ss).
G. Preghiamo.
T. Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre,
ravviva in noi il desiderio di te, fonte inesauribile di ogni bene:
fa’ che, sostenuti dal sacramento del Corpo e Sangue di Cristo,
viviamo in rendimento di grazie
e proclamiamo con le opere le meraviglie della tua salvezza. Amen.
G. «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo:
tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.
T. Chiunque in modo indegno mangia il pane e beve il calice del Signore,
sarà reo del corpo e del sangue del Signore» (1Cor 10,17; 11, 27).
1.
Giuseppe di Arimatea e Pilato sono modelli di una “partecipazione esteriore
G.1
Sono i due protagonisti della sepoltura di Gesù (Mt 27,57-61) in un atteggiamento di nobiltà e di una certa coerenza.
Giuseppe di Arimatea appare qui per la prima volta nel vangelo. Viene da Arimatea... è estraneo alla morte di Cristo, ma, tuttavia, si era commosso
per questa morte. E' un vero discepolo, anche se ricco. Arriva tardi, quando ormai era già morto. Non può fare altro che rendere onore alla salma, ed
essendo ricco e influente, può direttamente avere accesso a Pilato per chiedergli il corpo e ottenerlo. Compie quindi l'opera di misericordia del
seppellimento di Gesù. Pilato e Giuseppe sono già un primo effetto del mistero Pasquale. Giuseppe compie, effettivamente, atto di coraggio, perché
sapeva benissimo che non poteva essere gradito al Sinedrio questo suo rendere onore alla salma di Gesù; lo stesso Pilato, che dà il corpo: sapeva che
non era obbligato a darlo e che quel gesto lo avrebbe compromesso. La morte di Cristo comincia da lontano a produrre i primi effetti, ad agire, ad
aprire il cuore, a suscitare un coraggio postumo sia in Pilato, sia in Giuseppe. Giuseppe è arrivato in ritardo. Forse non poteva, forse ha temuto di
buttarsi nella mischia; in ogni caso, c'è già qui un primo effetto della morte di Cristo. Tuttavia, partecipano dall'esterno, quasi come ammiratori, al
Mistero Pasquale : Giuseppe sembra compiere questo gesto con deferenza, con rispetto, ma onora Gesù come un grande profeta e niente più. Anche
Pilato, che concede il corpo di Gesù, certo compie un atto buono, di rispetto e basta.
CANTO
L 1 . Mt 26,3.13 "Mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto
prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco? Lo si poteva vendere a caro prezzo
per darlo ai poveri!”; e Gesù, accortosene, disse loro: “Perché infastidite questa donna?” Essa ha compiuto un' azione buona verso di me. I poveri infatti li avete
sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. Versando quest’olio sul mio corpo lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà
predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei".
L1. Mt 27, 27 55-61 : Venuta La sera giunse un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato
e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua
tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia, rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Magdala e
l'altra Maria.
(Canto Meditativo)
G1. «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo:
tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.
T. Chiunque in modo indegno mangia il pane e beve il calice del Signore,
sarà reo del corpo e del sangue del Signore» (1Cor 10,17; 11, 27).
SILENZIO E ADORAZIONE
2. I sacerdoti del Tempio: l'inquietudine della coscienza (27,62-66).
G2 : I sacerdoti del Tempio: l'inquietudine della coscienza (27,62-66). Si pongono di fronte al Mistero Pasquale con cautela, a distanza, col timore che un fatto
nuovo li spinga ad ammettere che Cristo è veramente risorto. Anche questo è un frutto del Mistero Pasquale: l'inquietudine della coscienza di chi non lo vuole
accettare. Gesù, come si vede, opera in silenzio, la sua morte comincia ad agire e Lui, morto, suscita stranamente e irragionevolmente più paura adesso di prima. Si
tratta di una morte colta però da lontano, con occhi umani, con un atteggiamento non privo di superstizione e di difesa. Solo le donne, che andranno al Sepolcro per
onorare Gesù, sono capaci di cogliere gradualmente il significato delle cose che stanno avvenendo e che sono avvenute. I sacerdoti o Pilato e Giuseppe di Arimatea
ci aiutano a capire che uno dei modi prevalenti di collocarsi di fronte al Mistero Pasquale sia quello di cercare di difendersi, di assumere solo gli aspetti esteriori,
diremmo quasi folkloristici, o di coglierne solo qualche aspetto superficiale, senza lasciarsi trasformare completamente.
CANTO
L2.
(Mt 27, 62-66): Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: "Signore, ci siamo ricordati che
quell'impostore disse mentre era vivo:
Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al
popolo: è risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore dalla prima. Pilato disse loro: "Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come
credete. Ed essi andarono e assicurano il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.
(Canto Meditativo)
G 2. Ti rendiamo grazie, Padre santo,
per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori,
e per la conoscenza, la fede e l’immortalità
che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo servo.
T. Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa
a gloria del tuo nome;
hai dato agli uomini cibo e bevanda a loro conforto,
affinché ti rendano grazie.
G2. A noi hai donato un cibo e una bevanda spirituali
e la vita eterna per mezzo del tuo servo Gesù.
Soprattutto ti rendiamo grazie perché sei potente.
T. Ricordati, Signore, della tua chiesa:
preservala da ogni male
e rendila perfetta nel tuo amore;
santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno
che per lei hai preparato.
G.2 Benedici, Signore, la nostra comunità parrocchiale
che nella comune partecipazione
alla mensa del corpo e sangue del tuo Figlio
fortifica la sua unità e rafforza la carità.
T. A te, Padre onnipotente, eleviamo
il nostro rendimento di grazie
per i doni di salvezza che, in Cristo,
ci offri nel banchetto dell’Eucaristia,
radice e cardine del nostro vivere nella Chiesa.
L2. «Nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’Eucaristia che non si traduca in amore
concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente... il “comandamento” dell’amore diventa possibile solo perché non è
soltanto esigenza: l’amore può essere “comandato” perché prima è donato» (Deus caritas est 14).
T. Ti rendiamo grazie, o Signore Gesù,
perché ci hai amato
comunicando a noi l’amore infinito
con cui il Padre ti ama:
aiutaci a vivere il comandamento della carità
per rendere le nostre giornate veramente eucaristiche,
testimonianza del tuo amore oblativo
nel quale siamo coinvolti
nella celebrazione del tuo mistero
di morte e risurrezione.
L2. «Come il cibo del corpo serve a restaurare le forze perdute, l’Eucaristia fortifica la carità che, nella vita di ogni giorno, tende ad indebolirsi...
Donandosi a noi, Cristo ravviva il nostro amore...» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1394).
T. Ti benediciamo, o Signore Gesù,
che, nella tua bontà,
ci hai dato il tuo Corpo e il tuo Sangue,
sacramento di amore,
perché viviamo santi e immacolati al tuo cospetto.
Dirigi i nostri passi nella strada della tua volontà,
rendici forti contro le seduzioni del male,
sostieni la nostra volontà di comunione fra noi.
e fa’ che, nutriti di te, diventiamo
pane di vita e di speranza
per il nostro prossimo.
Gloria, onore e grazie a te,
nostro Dio, Signore e Redentore Gesù Cristo,
che sei benedetto con il Padre e lo Spirito,
ora e per tutti i secoli. Amen.
ADORAZIONE SILEZIOSA
3. Le "Tre Marie" ci propongono, invece, il modo della partecipazione affettiva
G.3 Le "Tre Marie" ci propongono, invece, il modo della partecipazione affettiva. Le donne del Vangelo sono guidate invece dalla consolazione del Signore ad
entrare davvero nel mistero, ed è quindi il loro atteggiamento che dobbiamo attentamente considerare. Che cosa potrebbe per noi significare questa “partecipazione
affettiva” rappresentata dalle tre Marie, ma che riguarda ogni persona che vuole entrare nel loro modo di agire e che non si oppone, ma si integra con la
partecipazione organizzativa della Chiesa al mistero del Signore, simbolizzata da Pietro. Abbiamo qui le due componenti della situazione ecclesiale: la
componente di efficienza, di organizzazione, di lavoro apostolico da portare avanti, che si esprime in Pietro e la partecipazione affettiva della Chiesa all'opera del
Signore nell'amore, nella preghiera, nella dedizione, nella scoperta delle realtà interiori, simboleggiata dalle "tre Marie". Si tratta di una visione simbolica della
Chiesa nelle sue varie componenti. Le accentuazioni indebite, del principio pietrino dell'efficienza o quello mariano dell'affettività, della comprensione, dell'amicizia
suscita litigi nella Chiesa. Senza l'equilibrio di questi due principi la Chiesa soffre. Von Balthsar vede precisamente nella mancanza della devozione mariana una
delle possibili cause della animosità, irritabilità e dell'incapacità a prendere le cose con calma, con pace e con serenità.
(CANTO)
L.3
(Mt 28, 9-10): Passato il sabato, all'alba del primo giorno; Maria di Magdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro... ed ecco Gesù venne loro
incontro dicendo: “Salute a voi”. Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli
che vadano in Gallilea e là mi vedranno”.
(Canto Meditativo )
G 3. Signore Gesù, noi ti adoriamo.
T. Mio Signore e mio Dio.
G3. Signore Gesù, noi crediamo in te.
T. Mio Signore e mio Dio.
G3. Signore Gesù, noi speriamo in te.
T. Mio Signore e mio Dio.
G3. Preghiamo.
T. Donaci, o Padre, la luce della fede
e la fiamma del tuo amore,
perché adoriamo in spirito e verità
il nostro Dio e Signore, Cristo Gesù,
presente in questo santo sacramento.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
Momento di Silenzio
G3. Gustate e vedete quanto è buono il Signore!
T. Il Signore è buono e grande nell’amore.
G3. Signore, tu sei il pane disceso dal cielo,
il pane che dà la vera vita.
T. Signore, tu benedici coloro che ti benedicono
e santifichi coloro che confidano in te.
Salva il tuo popolo, benedici la tua eredità.
Non abbandonare noi
qui raccolti davanti al tuo altare,
che mettiamo in te la nostra speranza.
Degnati di accordare la pace al mondo,
alla tua Chiesa, ai sacerdoti, ai consacrati,
ai governanti e a tutto il popolo.
Al Padre di tutte le cose,
a te, suo unico Figlio,
allo Spirito Santo noi diamo lode,
adorazione, gloria, ora e sempre, nei secoli. Amen. (Dalla Liturgia bizantina)
G3. Signore, tu sei la vera vite:
solo rimanendo in te portiamo molto frutto.
T. Gesù Cristo, Signore e Dio nostro,
che per amore degli uomini ti sei chinato fino a noi,
e nell’abbondanza della tua grazia e della tua bontà
hai voluto umiliarti, noi ti glorifichiamo.
Tu che ci hai concesso di essere partecipi
del tuo Corpo e del tuo Sangue
e di adorarti in questi santi misteri:
proteggi e segna i tuoi adoratori con la destra invincibile.
Conservaci senza peccato
per tutti i giorni della nostra vita.
Fa’ che non ritorniamo mai
alle colpe della carne e dello spirito,
ma siamo confermati in te, per rendere gloria eterna a te,
al Padre e allo Spirito Santo. Amen. (Dall’Anafora dei Dodici Apostoli)
ADORAZIONE
CANTO MEDITATIVO
S. Signore Gesù, agnello immolato per noi,
aumenta la nostra fede, speranza e carità.
T. Cristo Gesù, che sei asceso visibilmente al cielo
per prepararci un posto nella casa del Padre
e continui la tua presenza invisibile
nel sacramento eucaristico,
accresci in noi l’esperienza della fede.
S. Cristo Gesù, che sei vivente nell’Eucaristia,
consolida la nostra speranza
nel cammino verso il convito eterno
nel regno dei cieli.
T. Signore Gesù, che sei presente nell’Eucaristia
come mistero di amore
e fonte di acqua viva zampillante per la vita eterna,
ravviva in noi l’amore per te e per tutti gli uomini. Amen.
S . BENEDIZIONE FINALE
CANTO FINALE
INVITO AL SILENZIO E LA ADORAZIONE