IDONEITA’ ALLA CLASSE 5 SCIENZA DELLA NATURA INDICE O.G.M. ATMOSFERA TERRESTRE OZONOSERA LA SISMOGRAFIA I MOVIMENTI DELLA TERRA FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE LA TERRA IL BIG BANG LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE LA CELLULA ANIMALE E VEGETALE LA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA LA DIVISIONE CELLULARE MITOSI E MEIOSI IL METABOLISMO CELLULARE LA TRASMISSIONE DEI CARATTERI EREDITARI TESSUTI LE TRE LEGGI DI KEPLERO GLI OGM Gli organismi geneticamente modificati (OGM), sono organismi caratterizzati da un patrimonio genetico (genoma) alterato rispetto a quello tipico della propria specie, per l’introduzione artificiale di uno o più geni provenienti da altri organismi Per ottenere organismi transgenici si utilizzano le tecniche dell’ingegneria genetica. Il frammento di DNA in cui si trova il gene da inserire viene iniettato in una cellula batterica, o in una cellula uovo (che verrà successivamente fecondata) o in un embrione. Per potere essere attivo, il frammento di DNA deve essere associato a un vettore d’espressione, ossia a un’altra porzione di DNA specifica che controlla le modalità di espressione del gene da trasferire; ad esempio, esso permette che il gene si esprima (cioè svolga la propria attività) soltanto in determinati tessuti. Il DNA estraneo viene inoculato per microiniezione nella cellula ricevente; dopo l’inoculazione, il nuovo gene si integra con il DNA di questa, e può di conseguenza venire trasmesso a tutte le cellule che derivano per successive mitosi dalla cellula ricevente. Nel caso si utilizzino embrioni, i frammenti di DNA contenenti i geni possono essere anche inseriti tramite un virus-vettore, ossia tramite un virus infettivo nel quale, a sua volta, è stato inoculato il frammento di DNA. Si calcola che la percentuale di successo di questa tecnica, che si traduce con il numero di organismi transgenici vitali e nei quali i geni estranei sono funzionanti, sia dell’1%. Il controllo dell’avvenuta integrazione del gene nel patrimonio genetico dell’organismo ricevente può essere fatto prelevando da alcune cellule transgeniche campioni di DNA ed esaminandoli, in genere mediante la tecnica nota come reazione a catena della polimerasi (PCR). L’IMPIEGO DEGLI ORGANISMI TRANSGENICI Nella ricerca biologica e genetica, l’impiego di organismi transgenici è rilevante nell’ambito degli studi sulla funzione di geni specifici; infatti, l’immissione di un gene estraneo in un organismo determina l’insorgenza in questo di particolari caratteristiche (come la resistenza a un erbicida o la capacità di sintetizzare una data proteina) che, confrontate con quelle degli individui della stessa specie, permettono la comprensione del ruolo di quel gene. A scopo di ricerca, sono impiegati anche particolari tipi di organismi transgenici, i cosiddetti knock-out, in cui un gene dell’organismo viene eliminato o inattivato; alcuni topi così modificati, ad esempio, sono stati utilizzati per studiare il ruolo funzionale di alcuni geni specifici nello sviluppo embrionale. Disattivando in animali da laboratorio il gene corrispondente a un gene non funzionale nei pazienti affetti da una particolare malattia, si possono creare modelli utili a fini diagnostici e terapeutici. UNA QUESTIONE CONTROVERSA L’impiego di organismi geneticamente modificati è uno dei più dibattuti temi della bioetica. Infatti, già da tempo la creazione di nuove culture vegetali o di microrganismi modificati può essere siglata da brevetto; la possibilità di estendere questa pratica anche a organismi più complessi, e ai procedimenti industriali che ne permettono l’ottenimento, suscita attualmente atteggiamenti diversi: da un lato entusiasmo, per le nuove prospettive economiche e scientifiche che potrebbero derivarne; dall’altro, preoccupazione, per tutte le implicazioni, soprattutto etiche e sociali. Si ritiene che la questione dell’impiego delle specie transgeniche non debba limitarsi a un’analisi dei costi e dei benefici economici, e che le attuali leggi sui brevetti, relative a strumentazioni, non possano essere semplicemente estese a organismi viventi. Sono inoltre oggetto di discussione le possibili conseguenze sulla biodiversità e sugli equilibri degli ecosistemi dell’immissione nell’ambiente di organismi modificati, con caratteri che potrebbero venire trasmessi alla discendenza; inoltre, suscitano perplessità i possibili effetti a lungo termine sulla salute umana del consumo di prodotti derivanti da organismi geneticamente modificati L'ATMOSFERA TERRESTE Tra tutti i pianeti del Sistema Solare la Terra è l'unico a possedere un'atmosfera ricca di ossigeno e di azoto, elementi fondamentali per consentire la presenza della vita in tutte le sue forme, animali e vegetali (almeno come la concepiamo noi). L'atmosfera svolge anche un ruolo essenziale per garantire la protezione della vita: essa costituisce infatti uno schermo estremamente efficiente per assorbire le radiazioni ultraviolette e per il flusso di particelle provenienti dal Sole, che altrimenti la distruggerebbero quasi immediatamente. L'atmosfera protegge inoltre la superficie terrestre dall'impatto delle meteoriti che, a eccezione di alcune di dimensioni particolarmente rilevanti, si disintegrano per l'attrito con gli strati superiori. L'atmosfera svolge anche un ruolo molto rilevante nella definizione della morfologia della superficie terrestre: i moti, i fenomeni meteorologici, le reazioni chimiche che hanno luogo nella bassa atmosfera costituiscono una delle cause più importanti delle continue trasformazioni della litosfera e della idrosfera. L'atmosfera interviene infatti in modo quasi esclusivo nei processi di erosione e di sedimentazione oltreché nel ciclo dell'acqua. Composizione dell'atmosfera Lo strato di atmosfera che circonda la Terra è estremamente sottile. Se si considera solo la parte più densa che giunge sino a circa 60 km al di sopra della superficie terrestre, si ha uno spessore che è pari a solo un centesimo del raggio terrestre all'equatore, che è di 6.378 km. In realtà, non si può definire un vero e proprio limite superiore dell'atmosfera, ma solo una regione di transizione in cui essa si confonde con lo spazio interplanetario. La composizione chimica e le caratteristiche fisiche dell'atmosfera variano secondo la quota. La composizione dell'atmosfera tra il suolo e 10-12 km può però considerarsi pressoché costante e formata da un miscuglio di gas tra i quali dominano nettamente l'azoto e l' ossigeno. Pressione atmosferica Peso esercitato sull'unità di superficie dalla colonna d'aria al di sopra del punto che si considera. La pressione atmosferica viene generalmente misurata in millimetri di mercurio o millibar. Un millibar (mb) è un millesimo di bar. Un bar è la pressione esercitata da 750,06 mm di mercurio (mmHg) alla temperatura di 0°C (760 mm di mercurio corrispondono a 1.013 millibar). La pressione atmosferica è un importante fattore che influenza l'andamento del tempo meteorologico e che svolge pure un ruolo nella sua previsione. Umidità atmosferica Ai costituenti dell'atmosfera va aggiunta l'acqua che, sotto forma di vapore e di nubi, ne rappresenta circa lo 0,33% della massa totale e determina la cosiddetta umidità atmosferica. La presenza dell'acqua è l'elemento determinante ai fini della considerazione dei fenomeni meteorologici. Anche l'umidità atmosferica varia con la quota. Al livello del suolo e in prossimità di esso la quantità di vapore acqueo dipende dalle condizioni climatiche e dalla posizione geografica e può raggiungere una percentuale in volume pari al 4%. Nei primi 8 km di atmosfera l'umidità varia, nelle zone temperate, da 6,8 a 0,1 g/m³. La diminuzione continua sino a circa 15 km, dove si ha uno strato molto secco. Da 15 a 30 km si ha un certo aumento con la presenza di un tipo particolare di nubi, le nubi madreperlacee, che si formano tra i 25 e i 30 km. Una certa quantità di umidità è presente anche a un'altezza di circa 80 km, dove si osservano talvolta le cosiddette "nubi nottilucenti". Elettricità atmosferica L'atmosfera è sede di un campo elettrico, cioé è una zona di spazio dove si risente l'azione di forze elettriche. Tale campo è prodotto dalle cariche elettriche negative accumulate sulla Terra e dalle cariche, costituite soprattutto da ioni positivi, presenti nell'aria. La struttura del campo elettrico atmosferico è soggetta a notevoli e brusche variazioni per effetto delle pereturbazioni atmosferiche. La capacità dell'aria di poter condurre la corrente elettrica varia poi notevolmente con l'altezza. Tale conducibilità è bassa in prossimità del suolo, ma aumenta rapidamente con l'altezza per effetto della ionizzazione dell'aria prodotta dalle radiazioni cosmiche. Negli strati superiori è addirittura presente una zona in cui i gas sono ionizzati e che quindi ha un'altissima conducibilità elettrica. Temperatura atmosferica Il calore dell'atmosfera è dovuto all'irraggiamento solare. Il 30% della radiazione solare viene riflesso e diffuso nello spazio esterno dalle nubi; il restante viene assorbito dall'aria e dalla superficie terrestre. L'atmosfera ha anche un'azione selettiva sulle radiazioni solari. L'assorbimento dei raggi ultravioletti avviene nell'alta atmosfera e vi provoca un tipico riscaldamento. La radiazione infrarossa fortemente calorifica, viene invece assorbita nella zona più bassa dell'atmosfera dall'anidride carbonica e dal vapore acqueo presenti vicino alla superficie terrestre. Queste due sostanze si comportano come il tetto di vetro di una serra e favorisce l'immagazzinamento di calore in prossimità del suolo. Questo effetto, noto come "effetto serra", contribuisce notevolmente a determinare la temperatura diurna sulla superficie terrestre, che risulta in media di circa 20 °C, mentre senza di esso dovrebbe essere di circa -23 °C. La temperatura dell'aria è variabile fortemente con l'altezza; fino a una quota di 10-12 km diminuisce regolarmente di 0,5-0,7 °C ogni 100 m sino a raggiungere -55 °C circa; da 12 km a 50 km aumenta sino a raggiungere 0 °C circa. Da questo punto la temperatura riprende nuovamente a diminuire sino a giungere a valori tra -70 e -100 °C a 80-90 km di quota. Ha allora inizio un rapido aumento che raggiunge negli strati atmosferici più alti i 1.000-2.000 °C circa. Data però l'estrema rarefazione delle molecole a queste altezze, il termine temperatura non ha riferimento alcuno con sensazioni fisiologiche, me è correlato unicamente all'energia di agitazione termica delle singole molecole. Il modo in cui varia la temperatura con l'altezza viene usato per definire i diversi strati dell'atmosfera stessa. OZONOSFERA Ozonosfera Strato dell'atmosfera terrestre compreso tra i 20 e i 50 km di quota, caratterizzato da una concentrazione di ozono relativamente alta, che può raggiungere le 10 ppm (parti per milione). A queste quote, l'ozono si forma naturalmente per effetto dell'interazione delle molecole di ossigeno presenti nell'atmosfera con le radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. La concentrazione naturale di ozono rimane pressoché costante grazie all’equilibrio tra il processo di produzione e quello di distruzione operato da alcuni composti dell'azoto, anch’essi presenti in atmosfera. L’assorbimento della radiazione ultravioletta nell’ozonosfera produce un’inversione nell’andamento della temperatura in funzione della quota: mentre nella troposfera la temperatura diminuisce al crescere della quota, nell’ambito dell’ozonosfera essa aumenta al crescere della distanza dalla superficie terrestre. Importanza dell’ozonosfera per gli esseri viventi A livello della stratosfera, lo strato di ozono crea una sorta di schermo protettivo che assorbe le dannose radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole, consentendo la vita sulla Terra. Questo tipo di radiazioni, infatti, altamente energetiche e penetranti, possono alterare e danneggiare il DNA degli esseri viventi. Nella troposfera, invece, la formazione dell’ozono è correlata soprattutto alle emissioni inquinanti degli autoveicoli e delle industrie, che rilasciano nell’aria anidride solforosa (SO2), ossidi di azoto (NOx) e composti organici volatili. Questo ozono ha un notevole potere ossidante e risulta nocivo per la salute degli organismi, uomo compreso. Il “buco nell’ozono” Negli anni Settanta del Novecento alcuni ricercatori rilevarono che il naturale assottigliamento stagionale dello strato di ozono, che periodicamente si osserva al di sopra del continente antartico nei mesi di settembre e ottobre (la cosiddetta “primavera australe”), stava assumendo dimensioni allarmanti. Il fenomeno, chiamato deplezione ma comunemente noto come “buco nell'ozono”, avviene naturalmente e ha un’origine ancora non chiara, e può perdurare anche per parecchi mesi; tuttavia, nel 1985, i rilevamenti compiuti dalla stazione scientifica inglese Antarctica Survey evidenziarono una diminuzione del 65% della concentrazione dell'ozono, localizzata per il 95% negli strati atmosferici compresi tra 13 e 22 km di distanza dalla superficie del pianeta. L'estensione e la durata di questa variazione stanno assumendo dimensioni sempre più ampie, come hanno confermato i rilevamenti eseguiti con palloni aerostatici e satelliti meteorologici; la concentrazione complessiva dell'ozono nell'ozonosfera è in costante diminuzione e non solo al di sopra del continente antartico, ma anche in corrispondenza delle regioni artiche. Quali responsabili dell’alterazione della molecola dell’ozono sono stati ritenuti i clorofluorocarburi o CFC (ampiamente impiegati come propellenti nelle bombolette spray, come fluidi refrigeranti nei frigoriferi e come agenti schiumogeni) e un gruppo di altre sostanze chiamate genericamente ODS (Ozone-Depleting Substances). Tra queste vi sono: gli HCFC (idroclorofluorocarburi); i cosiddetti halons (composti estinguenti come il bromoclorodifluorometano, bromotrifluorometano, dibromotetrafluoroetano); il metilbromuro; il tetracloruro di carbonio; il metilcloroformio. Queste molecole complesse sono in grado di raggiungere l'ozonosfera e di decomporre le molecole di ozono. Sotto l'azione dei raggi ultravioletti, infatti, le molecole dei CFC si decompongono in atomi di cloro e in altri derivati clorurati, che, a loro volta, reagiscono con l'ozono e lo convertono in ossigeno biatomico, liberando monossido di cloro che va a degradare altre molecole di ozono. Gli ODS sono molto stabili nella troposfera e si degradano solo per effetto degli intensi UV della stratosfera. La necessità di affrontare il fenomeno considerandone tutti gli aspetti e le ripercussioni su scala globale ha spinto i rappresentanti delle comunità scientifica, politica ed economica a confrontarsi in periodici incontri, che hanno l’obiettivo di stabilire strategie comuni di intervento. Il primo incontro riguardante il buco nell’ozono fu la Conferenza di Vienna, tenutasi nel 1985. Nel 1987 il Protocollo di Montréal segnò la messa al bando dei CFC; la persistenza di questi composti in atmosfera, d’altra parte, fa sì che eventuali effetti positivi dei provvedimenti in favore dell’atmosfera si manifestino dopo numerosi anni (Vedi Clima). Per monitorare costantemente il fenomeno del buco nell’ozono, nel 1991 la NASA lanciò in orbita un satellite artificiale di 7 tonnellate di peso (l'Upper Atmosphere Research Satellite, satellite per la ricerca sull'alta atmosfera). Da una quota di 600 km, il satellite continua a inviare a terra dati sulle variazioni della concentrazione di ozono ad altitudini differenti, oltre ad altri dati che hanno consentito di tracciare una mappa completa della composizione chimica degli strati più alti dell'atmosfera. La riduzione dello strato di ozono viene osservata ogni anno nel periodo compreso tra settembre e ottobre. Un preoccupante fenomeno è stato registrato nel settembre 2002: il buco antartico si è suddiviso in due parti, assumendo una forma “a otto”, ciascuna delle quali si è estesa allontanandosi dalla zona occupata originariamente. L’anomalia è stata osservata per la prima volta da quando è iniziato il monitoraggio della deplezione dell’ozono, e sembra causata dalle intense perturbazioni dell’atmosfera verificatesi nei mesi precedenti. Solo qualche mese prima, le rilevazioni del CSIRO australiano (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation) avevano indicato che il buco si era ristretto, probabilmente a seguito di un periodo prolungato di temperature atmosferiche insolitamente elevate. SISMOGRAFIA Il fenomeno dei terremoti è strettamente legato al processo globale che è responsabile degli impercettibili mutamenti che ininterrottamente modificano la struttura interna ed esterna della terra. Questa continua trasformazione si realizza attraverso il movimento relativo di ampie zone della superficie terrestre (placche) che scivolano l’una sull’altra lungo le “faglie”, grandi e profonde spaccature della superficie terrestre, sottoponendo in questo modo gli strati interni delle rocce a sforzi enormi. Quando tali sforzi raggiungono la limite della resistenza offerta dalle rocce, si produce un’improvvisa frattura che libera energia elastica accumulata nella fase di compressione. Parte dell’energia rilasciata viene trasformata in onde di pressione, dette onde sismiche che, a partire dal punto di frattura interno alla terra detto “ipocentro”, si propagano lungo tutte le possibili direzioni. I terremoti sono provocati dalle onde sismiche che, giungendo sulla superficie terrestre, determinano scosse e bruschi movimenti del suolo. L’area maggiormente coinvolta dall’evento sismico è detta “epicentro del terremoto” e corrisponde al punto sulla superficie più vicino all’ipocentro. Esistono tre tipi di onde sismiche: le onde P o primarie, che giungono per prime avendo velocità maggiore, le onde S o secondarie, che giungono per seconde e le onde di superficie che sono generate dalle onde P e S quando queste incontrano la superficie terrestre. I sismologi impiegano opportuni strumenti, detti sismografi, per misurare il momento di arrivo e l’intensità delle varie componenti (fasi) delle onde sismiche. Queste misure vengono impiegate per determinare le caratteristiche fondamentali di un terremoto quali ad esempio la posizione dell’ipocentro, dell’epicentro e la sua intensità. La registrazione dello onde sismiche per mezzo di sismografi è detta sismogramma. In figura si mostra un esempio molto semplificato di sismogramma nel quale è possibile individuare l’arrivo dei fronti d’onda delle componenti P ed S. E’ importante osservare che, poiché le onde P viaggiano più velocemente delle onde S, l’intervallo temporale tra l’arrivo dei due treni d’onda diventa sempre più grande man mano che aumenta la distanza tra l’epicentro del terremoto e il punto di misurazione. In altri termini conoscendo l’intervallo temporale e la velocità di propagazione delle due onde è possibile determinare la distanza trala stazione di osservazione e l’epicentro del terremoto (distanza epicentrale) . Tuttavia questo metodo non permette di stabilire la direzione di provenienza dell'onda per cui l’epicentro del terremoto può trovarsi in un punto qualsiasi sulla circonferenza centrata attorno alla stazione di osservazione e con raggio pari alla distanza epicentrale. Per determinare le coordinate dell’epicentro di un terremoto è necessario conosce almeno tre distanze epicentrali calcolate in altrettante stazioni sismografiche. La posizione dell’epicentro viene quindi ottenuta con il metodo della “triangolazione” e coincide con il punto in cui, con buona approssimazione, si incrociano le circonferenze centrate attorno alle tre diverse stazioni di osservazione. I MOVIMENTI DELLA TERRA IL MOVIMENTO DI ROTAZIONE La Terra ruota su se stessa intorno ad un asse immaginario detto ASSE DI ROTAZIONE che passa per i poli; il periodo di rotazione è detto GIORNO SIDEREO; è un moto periodico che avviene da ovest verso est, osservato dal polo nord celeste ed in senso antiorario. La VELOCITA’ ANGOLARE di rotazione è uguale in ogni luogo della Terra (360° in un giorno). Ciascun punto della superficie percorre in un giorno un circonferenza più o meno lunga a seconda della latitudine e dell’altitudine; quindi varia la VELOCITA’ LINEARE DI ROTAZIONE; essa aumenta man mano che ci si allontana dall’asse di rotazione ed aumenta con l’altitudine. Il periodo di rotazione attualmente ha una durata di 23h 56 min 4sec, ma sta rallentando progressivamente di millesimi di secondo ogni secolo. LE CONSEGUENZE DELLA ROTAZIONE TERRESTRE: • L’ALTERNARSI DEL GIORNO E DELLA NOTTE: la terra ha forma pressoché sferica, così in ogni istante solo metà della sua superficie riceve luce e calore dal sole; la linea che separa le due zone è detta CIRCOLO DI ILLUMINAZIONE. Ogni punto della terra passa continuamente da una zona all’altra e vede alternarsi ogni giorno il dì e la notte. Per la presenza dell’atmosfera che provoca fenomeni di diffusione il passaggio è graduale. Per questo il circolo di illuminazione è una fascia in cui il dì e la notte sono divisi da un debole chiarore detto CREPUSCOLO. A causa della rifrazione il sole è visibile un po’ prima dell’alba ed un po’ dopo il tramonto. La durata del crepuscolo aumenta con la latitudine. Il piano del circolo di illuminazione è in ogni istante perpendicolare ai raggi solari. • L’APPARENTE MOVIMENTO GIORNALIERO DELLA TERRA: ogni giorno la sfera celeste sembra ruotare da est verso ovest intorno al prolungamento dell’asse terrestre. Questo movimento è apparente ed è provocato dal fatto che la Terra ruota intorno al suo asse nel verso opposto. • LA FORZA CENTRIFUGA: è una forza fittizia ovvero apparente, del cui movimento risentono solo i corpi solidali con il sistema di rotazione. Agisce in direzione perpendicolare all’asse di rotazione ed è diretta verso l’esterno. Il suo valore aumenta con l’altitudine e con l’allontanarsi dall’asse. A livello del mare la forza centrifuga ha intensità diverse a seconda della latitudine. E’ nulla ai poli e massima all’equatore. Essa provoca due importanti effetti: 1. ha contribuito a formare lo schiacciamento polare ed il rigonfiamento equatoriale; 2. contrasta parzialmente la forza gravitazionale, riducendo il valore dell’accelerazione di gravità. Essa si oppone alla forza di gravità perfettamente solo all’equatore essendo diretta dall’asse e non dal centro verso l’esterno. • LA FORZA DI CORIOLIS: è una forza fittizia che interessa i corpi che non sono vincolati alla superficie terrestre; ogni corpo che si muove dall’equatore ai poli viene deviato verso destra nell’emisfero settentrionale e verso sinistra nell’emisfero meridionale. La forza si fa sentire anche lungo i paralleli, ma è nulla all’equatore; il suo valore dipende dalla latitudine e dalla velocità del corpo. Ha una notevole influenza sulla direzione della circolazione atmosferica e dei grandi circuiti delle correnti oceaniche. IL MOVIMENTO DI RIVOLUZIONE La terra descrive un’orbita ellittica intorno al sole, che ne occupa uno dei due fuochi; il piano dell’orbita della Terra intorno al sole è detto PINO DELL’ECLITTICA. ANNO SIDEREO: periodo di 365 d 6 h 9 min 9,5 s che la terra impiega per la rivoluzione. AFELIO: punto in cui la Terra si trova più distante dal Sole. PERIELIO: punto il cui la terra è più vicina al Sole. La linea che idealmente li congiunge è la LINEA DEGLI APSIDI. La VELOCITA’ DI RIVOLUZIONE non è costante, è massima al perielio e minima all’afelio. L’asse di rotazione terrestre è inclinato rispetto al piano dell’eclittica di 66° 33’ e durante il moto di rivoluzione si può considerare sempre parallelo a se stesso. Conseguenza è che il piano dell’equatore è inclinato rispetto al piano dell’eclittica di 23°27’. Durante l’anno cambia la direzione della Terra rispetto alla direzione dei raggi solari, quindi si modifica la posizione del circolo di illuminazione rispetto all’asse terrestre. EQUINOZIO DI PRIMAVERA: 21 marzo EQUINOZIO D’AUTUNNO: 23 settembre In questi giorni la durata del dì e della notte sono uguali. Il sole è allo ZENIT(raggi perpendicolari al piano dell’osservatore) a mezzogiorno sull’equatore. In questi giorni il circolo di illuminazione è tangente ai poli. SOLSTIZIO D’ESTATE: 21 giugno; il sole è allo zenit a mezzogiorno sul TROPICO DEL CANCRO. SOLSTIZIO D’INVERNO: 22 dicembre; il sole è allo Zenit a mezzogiorno sul TROPICO DEL CAPRICORNO. In queste due posizioni il circolo di illuminazione è alla massima distanza dai poli; si ha la massima differenza tra la durata del dì e della notte; il circolo di illuminazione è tangente al circolo polare artico e al circolo polare antartico. LE CONSEGUENZE DEL MOTO DI RIVOLUZIONE: • GIORNO SOLARE E GIORNO SIDEREO: Il GIORNO SIDEREO è l’intervallo di tempo che intercorre tra due passaggi successivi della medesima stella sul meridiano del luogo; 23h 56m 4s. Il GIORNO SOLARE è l’intervallo di tempo tra due culminazioni( punto di massima altezza raggiunto da un corpo celeste sull’orizzonte) consecutive del sole sullo stesso meridiano: 24h. Quando la Terra ha compiuto un’intera rotazione, l’osservatore non si trova più nella stessa posizione del giorno precedente rispetto al Sole, dal momento che la terra si è mossa lungo la sua orbita di rivoluzione. Poiché la terra impiega 4 min per ruotare di 1° il girono solare risulta più lungo del giorno sidereo di 4 minuti. Il giorno solare modifica la sua durata perché la velocità di rivoluzione non è costante. • IL MOVIMENTO APPARENTE DEL SOLE SULLO SFONDO DELLO ZODIACO: Il Sole (movimento apparente) ritarda ogni giorno di 4 minuti rispetto allo sfondo delle stelle. Ogni notte troveremo in opposizione al sole stelle diverse; se ogni giorno fissiamo la posizione del sole a mezzogiorno sullo sfondo celeste, osserveremo che in un anno descrive in cielo una linea chiusa che giace su un piano (eclittica) inclinato di 23°27’ rispetto all’0equatore. Lo sfondo di stelle si chiama ZODIACO. Quando il sole si trova in una costellazione, questa non è visibile. Poiché l’eclittica è inclinata rispetto all’equatore, la declinazione del Sole, cioè la sua distanza angolare dall’equatore celeste, cambia durante l’anno. Il sole per sei mesi si trova nell’emisfero celeste boreale e per sei mesi in quello astrale FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE In tutti i Paesi industrializzati vengono svolte ricerche per trovare fonti energetiche alternative, che possano sostituire quelle dei combustibili fossili usati fino ad oggi. Oggi, alcuni scienziati, però, hanno capito che si possono utilizzare anche altre risorse, ad esempio: -L’ ENERGIA EOLICA: i venti, che sono enormi spostamenti di masse d’aria provocati dal riscaldamento solare, sono una fonte che l’ uomo ha sfruttato anche in passato, nella navigazione a vela e nei mulini. Oggi si è scoperto che l’energia eolica serve anche nelle centrali, infatti l’ energia elettrica verrebbe prodotta da alternatori mossi dalla forza del vento. Ma per essere conveniente, queste centrali richiedono un’ istallazione in luoghi esposti al vento. In alcune zone in cui il vento è molto forte, si stanno costruendo centrali di elevata potenza che ormai sono in fase di sperimentazione o addirittura in esercizio. In Italia, invece, non essendoci zone appropriate per la costruzione di queste centrali, l’ ENEL ha in programma di costruire in Sardegna una centrale eolica costituita da dieci aeromotori, come fonte alternativa per le utilizzazioni agricole, industriali e civili. -L’ ENERGIA DELLE MAREE: a causa dell’ attrazione del sole e della luna, le acque degli oceani si sollevano formando onde di maree che si ripetono due volte a giorno. Il sollevamento delle maree, racchiude una grande quantità di energia che può essere anche sfruttata, ad esempio sulle coste inglesi sono nati dei mulini che erano azionati dalla corrente delle maree. In Francia, invece, è stata costruita una centrale mareomotrice. Il funzionamento è molto semplice. Una diga chiude l’ estuario di un fiume, quindi si forma un bacino che si riempie durante l’ alta marea. Durante la bassa marea, invece, l’ acqua accumulata si riversa nel mare, quindi si mettono in movimento le turbine ad elica alloggiate in apposite camere alla base della diga. Molti paesi si stanno preoccupando di sfruttare l’ energia delle maree non solo come gli impianti francesi, ma anche attraverso dispositivi galleggianti, atti a sfruttare il moto ondoso. -L’ ENERGIA DELLE BIOMASSE: per biomasse si intendono tutti i rifiuti organici, urbani, industriali e agricoli. Da queste sostanze si possono ricavare nuovi combustibili, cioè attraverso alcuni procedimenti termochimici e con alcuni procedimenti biochimici. Con i procedimenti termochimici possiamo trasformare le biomasse attraverso la combustione diretta dei rifiuti. Tra i processi biochimici, invece, il più importante è la digestione anaerobica, che consiste nel far fermentare i rifiuti in assenza d’ ossigeno, così le sostanze organiche si attaccano ai batteri anaerobici trasformandole in biogas. Questo particolare trattamento si rivela anche un metodo economico anche in agricoltura, infatti sono stati sperimentati impianti in cui i rifiuti organici delle stalle vengono convogliati in un apposito digestore, dove subisce l’azione dei batteri anaerobici. I residui del processo di digestione sono utilizzati come fertilizzante per i terreni e anche come alimento per la piscicoltura. -IMPIEGO DELL’ IDROGENO: l’ idrogeno è un gas che brucia facilmente, sviluppando una notevole quantità di calore senza produrre residui inquinanti. In natura, l’ idrogeno non si trova in nessun luogo e quindi per essere utilizzato, deve essere ricavato decomponendo le sostanze che lo contengono(ad esempio l’ acqua). Però ci sono molti problemi per la produzione, il trasporto, l’ immagazzinamento e l’ utilizzazione. La produzione potrebbe avvenire scomponendo l’ acqua del mare nei suoi componenti attraverso processi elettrochimici. Così si otterrebbero grandi quantità di ossigeno e di idrogeno. L’ idrogeno deve poi essere trasportato tramite gasdotti interrati, nei luoghi di consumo. Per quanto riguarda l’ impiego dell’ idrogeno, si possono prendere due vie: o si utilizza come combustibile, oppure si utilizza inserendolo in speciali pile che producono elettricità dalla combustione fredda tra idrogeno e ossigeno. Ma l’ idrogeno oggi risulta un gas molto interessante, quindi si è cercato di impiegarlo anche nel funzionamento delle macchine, infatti sono già state realizzate macchine con motore ad idrogeno. Per l’impiego automobilistico è indispensabile risolvere il problema dell’ immagazzinamento che deve essere effettuato necessariamente a bordo del veicolo. Scartate le bombole perché sono un metodo molto pericoloso, si è sperimentato che l’ idrogeno viene messo all’ interno di serbatoi contenenti leghe metalliche spugnose. Per effetto dell’ elevata pressione, la massa spugnosa assorbe il gas fino a saturarsi; conseguenza di una reazione chimica reversibile che si svolge durante la fase di assorbimento del gas. Quindi, scaldando la lega spugnosa, l’ idrogeno torna allo stato gassoso e può essere impiegato per alimentare il motore di un veicolo. FUSIONE NUCLEARE: nel corso degli ultimi anni, gli scienziati stanno cercando di utilizzare le reazioni atomiche di fusione al fine di produrre energia. Fino ad oggi, essa è stata impiegata solo nelle bombe all’ idrogeno, mentre nelle applicazioni a scopo pacifico sono rimaste a livello sperimentale, perché ancora non si è trovato il metodo per utilizzare il calore sviluppato dalla reazione che è identica a quella che si verifica all’ interno del Sole. Attualmente, gli studi sono orientati sulla progettazione di impianti chiamati di tipo “TOKAMAK” nei quali si cerca di confinare il plasma, stabilizzandolo per mezzo di elevatissime correnti prodotte dal plasma stesso. Nella fusione vengono risposte molte speranze, perché essa potrebbe risolvere il problema energetico, utilizzando l’ idrogeno, che è presente in grandi quantità di acqua. LA TERRA Terra Terzo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole; unico pianeta, allo stato attuale delle conoscenze, che ospiti la vita. Ha una composizione prevalentemente rocciosa e una forma irregolare, riconducibile in prima approssimazione a un ellissoide. Presenta una struttura a strati, con un nucleo pesante, un mantello intermedio e una crosta più leggera, ed è all’origine di una magnetosfera. Oltre che dal Sole, attinge energia per le sue complesse dinamiche da una riserva di calore immagazzinata al suo interno. Compie un complicato sistema di moti periodici nello spazio, i più importanti dei quali sono la rotazione intorno al proprio asse e la rivoluzione intorno al Sole. Forma della Terra Calcoli recenti basati sullo studio delle irregolarità orbitali di satelliti artificiali hanno permesso di appurare che la Terra presenta effettivamente una forma di ellissoide, ma lievemente deformata “a pera”: la differenza tra il raggio minimo equatoriale e il raggio polare (distanza tra il centro della Terra e il Polo Nord) è di circa 21 km, inoltre il Polo Nord “sporge” rispetto all’ellissoide regolare di circa 10 m, mentre il Polo Sud è “schiacciato” di 31 m. Lo studio della forma della Terra è oggetto di una disciplina che prende il nome di geodesia. Moti della Terra La posizione della Terra nello spazio non è stazionaria ma è il risultato di una complessa composizione di moti con caratteristiche e periodicità differenti. Insieme al suo satellite naturale, la Luna, il pianeta Terra orbita intorno al Sole, a una distanza media di 149.503.000 km e con una velocità media di 29,8 km/s, compiendo una rivoluzione completa in 365 giorni, 6 ore 9 minuti e 10 secondi (il periodo di rivoluzione è detto “anno sidereo”). La traiettoria di quest’orbita è un’ellisse lievemente eccentrica, ovvero pressoché circolare, con una lunghezza pari a circa 938.900.000 km. La Terra è inoltre in rotazione intorno al proprio asse; tale rotazione avviene in senso inverso rispetto all’apparente moto del Sole e della sfera celeste, vale a dire da occidente a oriente, e ha un periodo di 23 ore, 56 minuti e 4,1 secondi (giorno sidereo). La Terra segue il moto dell’intero sistema solare e si muove nello spazio a una velocità di circa 20,1 km/s nella direzione della costellazione di Ercole; inoltre partecipa al moto di recessione della galassia, e insieme alla Via Lattea si sposta verso la costellazione del Leone. Oltre che dai moti principali, la Terra è interessata dal moto di precessione degli equinozi e dalle nutazioni. Queste ultime sono variazioni periodiche dell’inclinazione dell’asse terrestre, dovute alla combinazione delle due forze di attrazione gravitazionale esercitate su di essa dal Sole e dalla Luna. Composizione della Terra Anteprima della sezione La Terra può essere schematicamente suddivisa, procedendo dall’esterno verso l’interno, in cinque porzioni: l’atmosfera (gassosa), l’idrosfera (liquida), la litosfera (solida), il mantello e il nucleo, in parte solidi. L’atmosfera, costituita prevalentemente da azoto (N2) e ossigeno (O2), è l’involucro gassoso che circonda il corpo del pianeta: ha uno spessore di oltre 1100 km, ma data la rarefazione progressiva all’aumentare della quota, circa la metà della sua massa è concentrata nei primi 5600 metri. Età e origine della Terra I metodi di datazione basati sullo studio dei radioisotopi hanno consentito agli scienziati di stimare l’età della Terra in 4,65 miliardi di anni. Benché le più vecchie rocce terrestri datate in questo modo non raggiungano i 4 miliardi di anni, alcune meteoriti, che sono simili geologicamente al nucleo del nostro pianeta, risalgono a circa 4,5 miliardi di anni fa e si ritiene che la loro cristallizzazione sia avvenuta approssimativamente 150 milioni di anni dopo la formazione della Terra e del sistema solare. Il nostro pianeta, subito dopo la sua formazione (avvenuta probabilmente per aggregazione gravitativa di materia libera nello spazio), doveva essere un corpo quasi omogeneo e relativamente freddo. La contrazione gravitazionale provocata dal progressivo accrescimento della sua massa produsse un aumento di temperatura, al quale contribuì senza dubbio il decadimento radioattivo di alcuni isotopi. L’aumento di temperatura giunse a un livello tale da innescare un processo di parziale fusione del pianeta e la conseguente riorganizzazione dei suoi componenti in strati concentrici – crosta, mantello e nucleo: i silicati, più leggeri, risalirono verso la superficie della massa fluida, formando il mantello e la crosta, mentre gli elementi pesanti, soprattutto ferro e nichel, affondarono perlopiù verso il centro. Al tempo stesso, tramite le eruzioni vulcaniche, gran parte dei gas leggeri furono espulsi dal mantello e dalla crosta. Alcuni di questi gas, in particolar modo l’anidride carbonica e l’azoto, andarono a costituire l’atmosfera primordiale, mentre il vapore acqueo condensava, dando origine ai primi oceani. Magnetismo terrestre La Terra nel suo insieme si comporta come un enorme magnete. Il campo magnetico terrestre, infatti, è molto simile a quello che si osserverebbe collocando al centro del pianeta una barra magnetica con l’asse inclinato di circa 11° rispetto all’asse di rotazione terrestre. Benché gli effetti del geomagnetismo siano noti e sfruttati da molte centinaia di anni (ad esempio con la bussola), i primi studi scientifici su questa proprietà del nostro pianeta furono compiuti intorno al 1600 dal fisico e filosofo britannico William Gilbert. Poli magnetici Il fatto che l’asse del campo magnetico terrestre non coincida con l’asse di rotazione fa sì che anche i poli magnetici siano distinti da quelli geografici. Il polo nord magnetico attualmente si trova al largo delle coste occidentali delle isole Bathurst, nei Territori del Nord-Ovest canadesi, quasi 1290 km a nord-ovest della baia di Hudson. Il polo sud magnetico si trova invece sul bordo del continente antartico, nella zona di Terra Adelia, circa 1930 km a nord-est di Little America. La posizione dei poli magnetici non è fissa, ma muta in modo sensibile da un anno all’altro. Il campo magnetico terrestre, infatti, varia in direzione con una periodicità di circa 960 anni, e inoltre compie piccole variazioni su scala giornaliera. Recenti studi effettuati sulla magnetizzazione fossile dei sedimenti marini hanno rilevato un’ulteriore periodicità nelle variazioni del campo geomagnetico, di 100.000 anni. Essa, secondo gli scienziati, potrebbe essere legata alla variazione di eccentricità dell’orbita terrestre, che avviene appunto secondo un ciclo di 100.000 anni. I dati raccolti dai satelliti rivelano che per il campo magnetico terrestre è in corso da circa 150 anni un lento processo di indebolimento destinato a risolversi con un’inversione di polarità. In sostanza, al termine di tale processo, che dovrebbe durare circa due millenni, il Nord magnetico non coinciderà più con il Nord geografico, ma con il Sud. Un campo magnetico meno intenso, nel frattempo, potrebbe significare una maggiore esposizione alle tempeste magnetiche provenienti dal Sole, difficoltà nella navigazione dei satelliti e, in campo biologico, difficoltà di orientamento per tutti gli animali che nelle migrazioni si affidano al magnetismo – uccelli, farfalle, balene e molti altri. Studi recenti del magnetismo residuo nelle rocce e delle anomalie magnetiche dei fondi oceanici dimostrano inoltre come, negli ultimi 100 milioni di anni, si siano verificate almeno 170 inversioni di polarità del campo magnetico terrestre. La conoscenza di queste inversioni, che possono essere datate per mezzo degli isotopi radioattivi contenuti nelle rocce, ha una grossa influenza sulle teorie della tettonica globale. Elettricità terrestre Sulla Terra e nell’atmosfera si manifestano fenomeni elettrici prodotti da processi naturali. L’elettricità atmosferica, eccetto quella associata alle cariche nelle nubi che genera i fulmini, deriva dalla ionizzazione prodotta dalla radiazione solare e dal movimento di nubi di ioni trasportate dalle maree atmosferiche; queste ultime sono prodotte, come le maree marine, dall’attrazione gravitazionale del Sole e della Luna sull’atmosfera della Terra. La ionizzazione (e quindi la conduttività elettrica) dell’atmosfera in prossimità della superficie terrestre è bassa, ma aumenta rapidamente con l’altitudine: tra i 40 e i 400 km la ionosfera forma un involucro sferico quasi perfettamente conduttore che riflette le onde radio permettendone la trasmissione a lunga distanza. La ionizzazione dell’atmosfera varia molto anche a seconda dell’ora e della latitudine. EVOLUZIONE In biologia, l'evoluzione delle specie è il fenomeno del cambiamento, non necessariamente migliorativo, del fenotipo, espressione visibile e diretta del genotipo (cioè del patrimonio genetico) degli individui di una specie. La teoria dell'evoluzione delle specie è uno dei pilastri della biologia moderna. Nelle sue linee essenziali, essa è riconducibile all'opera di Charles Darwin (che vide nella selezione naturale il motore fondamentale dell'evoluzione della vita sulla Terra) e alla genetica. Se i princìpi generali della teoria dell'evoluzione sono consolidati presso la comunità scientifica, aspetti secondari della teoria sono tutt'oggi ampiamente dibattuti, e costituiscono un campo di ricerca estremamente vitale. La definizione del concetto di evoluzione ha costituito una vera e propria rivoluzione nel pensiero scientifico in biologia, e ha ispirato numerose teorie e modelli in altri settori della conoscenza. Uno dei primi disegni di Darwin Sin da prima che Charles Darwin, il "padre" del moderno concetto di evoluzione biologica, pubblicasse la prima edizione de L'origine delle specie, le posizioni degli studiosi erano divise in due grandi correnti di pensiero che vedevano, da un lato, una natura dinamica ed in continuo cambiamento, dall'altro una natura sostanzialmente immutabile (la Scala Naturae di Linneo). Della prima corrente facevano parte scienziati e filosofi vicini all'Illuminismo francese, come Maupertuis, Buffon, La Mettrie, che rielaboravano il meccanismo di eliminazione dei viventi malformati proposto da Lucrezio nel De rerum natura ed ipotizzavano una derivazione delle specie le une dalle altre. Tuttavia, l'interpretazione di tali teorie come veri e proprî preannunci di evoluzionismo è discussa.[1] In ogni modo, ancora alla fine del 1700 la teoria predominante era quella "fissista" dello scienziato Linneo, che definiva le varie specie come entità create una volta per tutte e incapaci di modificarsi o capaci entro ben determinati limiti. Su questo tema oggi il mondo scientifico non è più diviso: le scoperte di Mendel e Morgan nel campo della genetica, i progressi della paleontologia e della biogeografia hanno conferito validità scientifica alla teoria dell'evoluzione delle specie. Il dibattito si è così spostato su un altro tema: ci si interroga sulle modalità e le dinamiche dell'evoluzione e quindi sulle teorie che la possono spiegare. Oggi sappiamo che l'evoluzione delle specie è avvenuta in seguito a trasformazioni, selezionate poi dall'ambiente; per arrivare a questa affermazione ci sono voluti molti anni. All'inizio del XIX secolo iniziarono a sorgere, negli studiosi di Scienze Naturali i primi dubbi concreti: negli strati rocciosi più antichi infatti mancano totalmente tracce (fossili) degli esseri attualmente viventi e se ne rinvengono altre appartenenti ad organismi attualmente non esistenti. Nel 1809, il naturalista Lamarck presentò per primo una teoria evoluzionista (detta lamarckismo) secondo cui gli organismi viventi si modificherebbero gradualmente nel tempo adattandosi all'ambiente: l'uso o il non uso di determinati organi porterebbe con il tempo ad un loro potenziamento o ad un'atrofia. Tale ipotesi implica quello che oggi viene considerato l'errore di fondo: l'ereditabilità dei caratteri acquisiti (esempio: un culturista non avrà necessariamente figli muscolosi; la muscolosità del culturista è infatti una manifestazione fenotipica, cioè morfologica, derivante dall'interazione dello sportivo con l'ambiente, il continuo sollevare pesi; ma il particolare sviluppo muscolare non è dettato dal suo patrimonio genetico, il genotipo). Lamarck trovò opposizione in Georges L. Chretien Cuvier, il quale aveva elaborato la 'teoria delle catastrofi naturali' secondo la quale la maggior parte degli organismi viventi nel passato sarebbero stati spazzati via da numerosi cataclismi e il mondo infatti sarebbe stato ripopolato dalle specie sopravvissute. Dopo cinquant'anni Darwin formulò una nuova teoria evoluzionista; il noto naturalista, durante il suo viaggio giovanile sul brigantino Beagle, fu colpito dalla variabilità delle forme viventi che aveva avuto modo di osservare nei loro ambienti naturali intorno al mondo. Riflettendo sugli appunti di viaggio e traendo spunto dagli scritti dell'economista Thomas Malthus, Darwin si convinse che la “lotta per la vita” fosse uno dei motori principali dell'evoluzione intuendo il ruolo selettivo dell'ambiente sulle specie viventi. L'ambiente, infatti, non può essere la causa primaria nel processo di evoluzione (come invece sostenuto nella teoria di Lamarck) in quanto tale ruolo è giocato dalle mutazioni genetiche, in gran parte casuali. L'ambiente entra in azione in un secondo momento, nella determinazione del vantaggio o svantaggio riproduttivo che quelle mutazioni danno alla specie mutata, in poche parole, al loro migliore o peggiore adattamento (fitness in inglese). I principali meccanismi che partecipano in queste situazioni sono: • meccanismi genetici • meccanismi ecologici Neodarwinismo: la sintesi moderna La moderna teoria dell'evoluzione (detta anche sintesi moderna o neodarwinismo) è basata sulla teoria di Charles Darwin, che postulava l'evoluzione delle specie attraverso la selezione naturale, combinata con la teoria di Gregor Mendel sulla ereditarietà biologica. Altre personalità che hanno contribuito in modo importante allo sviluppo della sintesi moderna sono: Ronald Fisher, Theodosius Dobzhansky, J.B.S. Haldane, Sewall Wright, Julian Sorell Huxley, Ernst Mayr,George Gaylord Simpson e Motoo Kimura. La maggior parte dei biologi sostiene la tesi della discendenza comune: cioè che tutta la vita presente sulla Terra discenda da un comune antenato. Questa conclusione si basa sul fatto che molte caratteristiche degli organismi viventi, come il codice genetico, in apparenza arbitrari, sono invece condivisi da tutti gli organismi anche se qualcuno ha ipotizzato origini multiple della vita. I rapporti di discendenza comune tra specie o gruppi di ordine superiore si dicono rapporti filogenetici, e il processo di differenziazione della vita si chiama filogenesi. La paleontologia dà prove consistenti di tali processi. Organi con strutture interne radicalmente diverse possono avere una somiglianza superficiale e avere funzioni simili: si dicono allora analoghi. Esempi di organi analoghi sono le ali degli insetti e degli uccelli. Gli organi analoghi dimostrano che esistono molteplici modi per risolvere problemi di funzionalità. Nello stesso tempo esistono organi con struttura interna simile ma che servono a funzioni radicalmente diverse (organi omologhi). Confrontando organi omologhi di organismi dello stesso phylum, ad esempio gli arti di diversi Tetrapodi, si nota che presentano una struttura di base comune anche quando svolgono funzioni diverse, come la mano umana, l'ala di un uccello e la zampa anteriore di una lucertola. Poiché la somiglianza strutturale non risponde a necessità funzionali, la spiegazione più ragionevole è che tali strutture derivino da quella del comune progenitore. Inoltre, considerando gli organi vestigiali, risulta difficile ammettere che siano comparsi fin dall'inizio come organi inutili, mentre se si ammette che avessero una funzione in una specie progenitrice la loro esistenza risulta comprensibile. La mutazione (termine introdotto all'inizio del Novecento) consiste nella comparsa improvvisa, casuale ed ereditabile nelle future generazioni, di caratteristiche non possedute da antenati degli individui che le presentano. La ricombinazione genetica, che permette di creare nuove combinazioni di caratteristiche ereditarie, può aver luogo sia durante la meiosi (riproduzione sessuata) sia per trasferimento di materiale genetico da una cellula all'altra (coniugazione o trasformazione batterica). Con cladismo si intende la ramificazione evolutiva già figurata da Darwin nell'Origine della specie del 1859. Attualmente fonda la classificazione sulla prospettiva filogenetica. La paleontologia aiuta a comprendere con numerosi esempi come una specie madre possa dare origine a due o più specie figlie, per ramificazione dicotomica, utilizzando la distinzione fra caratteri primitivi e innovativi. Sopravvivenza differenziata delle caratteristiche [modifica] Con questo termine si intende quali caratteristiche sono presenti in una popolazione e se la frequenza di presenza aumenta o diminuisce (anche fino alla totale scomparsa). Due processi fondamentali determinano la sopravvivenza di caratteristiche: la selezione naturale e la deriva genetica. La selezione naturale è il fenomeno per cui organismi della stessa specie con caratteristiche differenti ottengono, in un dato ambiente, un diverso successo riproduttivo; di conseguenza, le caratteristiche che tendono ad avvantaggiare la riproduzione diventano più frequenti di generazione in generazione. Si ha selezione perché gli individui hanno diversa capacità di utilizzare le risorse dell'ambiente e di sfuggire a pericoli presenti (come predatori e avversità climatiche); infatti le risorse a disposizione sono limitate, e ogni popolazione tende ad incrementare la sua consistenza in progressione geometrica, per cui i cospecifici competono per le risorse (non solo alimentari). È importante notare che mutazione e selezione, prese singolarmente, non possono produrre un'evoluzione significativa. La prima, infatti, non farebbe che rendere le popolazioni sempre più eterogenee. Inoltre, per il suo carattere casuale, nella maggior parte dei casi essa è neutrale, oppure nociva, per la capacità dell'individuo che la esibisce di sopravvivere e/o riprodursi. La selezione, dal canto suo, non può introdurre nella popolazione nessuna nuova caratteristica: tende anzi ad uniformare le proprietà della specie. Solo grazie a sempre nuove mutazioni la selezione ha la possibilità di eliminare quelle dannose e propagare quelle (poche) vantaggiose. L'evoluzione è quindi il risultato dell'azione della selezione naturale sulla variabilità genetica creata dalle mutazioni (casuali, ovvero indipendenti dalle caratteristiche ambientali). L'azione della selezione naturale e delle mutazioni viene analizzata quantitativamente dalla genetica delle popolazioni. È anche importante sottolineare che la selezione è controllata dall'ambiente, che varia nello spazio e nel tempo e comprende anche gli altri organismi. Le mutazioni forniscono perciò il meccanismo che permette alla vita di perpetuarsi. Infatti gli ambienti sono in continuo cambiamento e le specie scomparirebbero se non fossero in grado di sviluppare adattamenti che permettono di sopravvivere e riprodursi nell'ambiente mutato. Deriva genetica La deriva genetica è la variazione, dovuta al caso, delle frequenze geniche in una piccola popolazione. Nelle piccole popolazioni derivanti da una più vasta è anche importante l'"effetto del fondatore", per cui esse possono avere casualmente frequenze geniche significativamente diverse da quelle della popolazione originaria. Grazie a questi due fenomeni piccole popolazioni possono "sperimentare" combinazioni genetiche improbabili in quelle grandi. Affinché specie oggi distinte possano discendere da un progenitore comune è necessario che le specie in qualche modo "si riproducano". Ciò richiede che una parte della specie subisca un'evoluzione divergente dal resto, in modo che ad un certo punto si siano accumulate tante variazioni da poterla considerare una specie distinta. Ogni specie (a meno che non sia in via di estinzione o residuale) è formata da più popolazioni mendeliane. Esse non coincidono con le popolazioni ecologiche e sono definite come parti della specie al cui interno si ha un'ampia possibilità di incrocio. La speciazione è possibile quando tra popolazioni o gruppi di popolazioni si instaura un isolamento riproduttivo, ossia vi è uno scambio genetico pressoché nullo. Se si realizza l'isolamento per un tempo abbastanza lungo, è impossibile che per puro caso si abbia la stessa evoluzione nelle due parti della specie. La divergenza evolutiva è ancor più marcata se i due gruppi vivono in ambienti diversi poiché la selezione agisce su di loro in modo diverso Speciazione allopatrica La speciazione allopatrica avviene quando l'evoluzione di parti diverse della specie madre avviene in territori diversi. È necessario che l'areale della specie sia discontinuo, ossia che sia diviso in porzioni disgiunte, separate da zone in cui la specie non può vivere. Si ha quindi un isolamento geografico. Più che l'isolamento geografico, il meccanismo di speciazione allopatrica sembra principalmente legato all'isolamento periferico: in seno ad una piccola subpopolazione, vivente ai margini dell'areale della specie in condizioni non ottimali, avviene la rapida differenziazione evolutiva e segregazione di una nuova specie in seguito al limitato scambio genetico con la popolazione principale. Speciazione simpatrica Si ha speciazione simpatrica quando due popolazioni si evolvono separatamente pur vivendo nello stesso territorio. L'isolamento riproduttivo senza separazione geografica si può avere in due modi. • L'isolamento ecologico è dovuto al fatto che le popolazioni occupano nicchie ecologiche differenti. Un esempio classico sono i fringuelli delle Galápagos, che han dato origine a specie diverse per alimentazione. Questo esempio non è ritenuto corretto dalla totalità degli ambienti scientifici, infatti, si potrebbe obiettare che la distanza tra le isole è una sorta di separazione geografica (quindi rientrerebbe nella categoria della speciazione allopatrica). • L'isolamento genetico è causato da riarrangiamenti cromosomici stabilizzatisi in un piccolo gruppo, che non si può più incrociare con i cospecifici pur avendo inizialmente lo stesso fenotipo (criptospecie). Prove Oggi l'evoluzione è considerata, dalla stragrande maggioranza dei biologi, un "fatto" supportato da una mole impressionante di prove di varia natura. Si tratta, perlomeno sino ad oggi, della migliore spiegazione scientifica (quindi falsificabile) della diversità dei viventi. Prove paleontologiche Esempio di successione evolutiva La successione degli ammoniti Hildoceratidi del Lias superiore (Giurassico) nell'Appennino umbro-marchigiano, mostra continue variazioni verticali (ossia nel tempo) con graduali modificazioni nella morfologia delle ammonite presenti, variazioni che sono state interpretate come evolutivi passaggi tra genere e genere. Qui, all'interno dell'unità litostratigrafica del Rosso Ammonitico, è presente una serie di ammoniti, ben conservate, raccogliendone sistematicamente varie centinaia di campioni, strato per strato, si e' osservato, muovendosi verso i termini più recenti, un adattamento funzionale verso una sempre maggiore idrodinamicità, interpretata con l'idea darwiniana della evoluzione gradualista per selezione naturale. Trattasi di una microevoluzione simpatrica in quanto queste specie sono presenti esclusivamente nell'area mediterranea della Tetide. I dati della paleontologia mostrano non solo che gli organismi fossili erano diversi da quelli attuali, ma anche che man mano che andiamo indietro nel tempo le differenze con gli organismi viventi sono maggiori. Ad esempio, fossili abbastanza recenti possono essere attribuiti generalmente a generi attuali, mentre quelli man mano più antichi sono sempre più diversi e sono attribuibili ad altri generi; permangono talora caratteristiche di base, per cui possono essere spesso attribuiti agli stessi gruppi tassonomici di ordine elevato attuali. Ciò si accorda bene con l'ipotesi generale, che, arretrando nel tempo, ci si avvicina alla radice dell'albero filogenetico. La paleontologia fornisce prove concrete dell'evoluzione, quando i fossili sono trovati nelle successioni stratigrafiche sedimentarie in abbondanza, laddove è rispettato il principio fondamentale geologico della sovrapposizione. I fossili dentro le rocce sedimentarie marine sono diffusi in tutte le parte del mondo e permettono indagini stratigrafiche molto dettagliate. Prove biogeografiche La distribuzione geografica delle specie viventi, anche alla luce delle conoscenze sulla deriva dei continenti, ben si accorda con l'evoluzione organica. L'enorme varietà di adattamenti dei marsupiali australiani, ad esempio, può essere spiegata col fatto che la separazione dell'Australia dagli altri continenti precede la comparsa degli euteri, per cui i marsupiali terrestri australiani hanno potuto adattarsi a nicchie ecologiche per cui non dovevano competere con altri ordini di mammiferi. Anche la presenza di grossi uccelli non volatori in grandi isole porta alle medesime conclusioni. Infatti, visto che esse erano già separate dai continenti alla comparsa degli omeotermi, solo gli uccelli hanno potuto raggiungerle ed occupare nicchie terrestri solitamente occupate da mammiferi. Alle prove biogeografiche si possono aggiungere quelle paleobiogeografiche. La paleobiogeografia si occupa della posizione paleogeografica dei fossili, a partire da quella geografica attuale. L'argomento ha enorme importanza quando i fossili sono molto antichi (per es. quelli del Paleozoico e del Mesozoico), e talora danno indizi di speciazione allopatrica per migrazione. Tali studi, ancora poco sviluppati, devono essere eseguiti con il concorso della biostratigrafia; in tal caso possono dare risultati eccezionali. Un caso diverso è quello della presenza degli stessi fossili in aree oggi separate; Sudamerica e Africa infatti presentano in successioni rocciose simili, di origine continentale, fossili di rettili sinapsidi simili del Permiano, 250 milioni di anni fa, a testimoniare che i due continenti erano uniti nel supercontinente Gondwana in quel lontano periodo. Prove matematico/informatiche Gli algoritmi genetici sono delle metaeuristiche per la ricerca della soluzione ottimale di un problema basate sulla logica del modello evoluzionistico. Studiando questo metodo si è visto come, partendo dalle ipotesi del modello evoluzionistico, si può arrivare all'evoluzione di più specie. Sono stati realizzati molti programmi per computer che simulano un ecosistema per diversi scopi (divertimento, studio dei meccanismi evolutivi naturali, studio degli algoritmi genetici). Anche questi hanno dimostrato la plausibilità del modello evoluzionistico. Inoltre, gli algoritmi genetici sono stati applicati in campi lontani dalla biologia, come i problemi di ottimizzazione di funzioni matematiche, in cui le soluzioni vengono fatte "competere" e "incrociare" tra di loro con particolari metodi. Evoluzione osservabile Uno dei pochi fenomeni di evoluzione osservabili, per via della estrema brevità dei cicli vitali in gioco e quindi della rapidità con cui è possibile osservare la successione delle generazioni, è quello relativo alla progressiva resistenza agli antibiotici da parte dei batteri. È necessario utilizzare sempre nuovi antibiotici per assicurare trattamenti efficaci e ciò è dovuto al fatto che i batteri, come tutte le specie, mutano, e in un ambiente a loro ostile come un corpo umano in terapia antibiotica, sopravvivono semplicemente quegli individui le cui mutazioni determinano una maggiore resistenza a quello specifico antibiotico. L'uso diffuso degli antibiotici (sia sugli uomini che sugli animali) non fa che selezionare i ceppi batterici più resistenti, con drammatica diminuzione dell'efficacia. L'introduzione di un nuovo e più potente antibiotico non farà che riproporre lo schema già descritto: tra le infinite mutazioni ve ne saranno sempre alcune che daranno un vantaggio riproduttivo (che renderanno cioè più "adatti") agli individui che le hanno subite. Anche i virus mutano rapidamente, producendo sempre nuovi ceppi, cosa che rende ancor più difficile cercare di contrastarli. Per questo motivo è difficile riuscire a produrre vaccini definitivamente efficaci contro l'influenza, visto che i tempi di mutazione del virus sono paragonabili ai tempi necessari per mettere in commercio un vaccino. L'impatto culturale del moderno concetto di evoluzione L'evoluzionismo filosofico Il concetto di evoluzione definito in biologia da Darwin è andato estendendosi, nel tempo, come paradigma di intelligibilità applicabile a tutta la storia dell'universo (vedi per esempio, in astrofisica, il concetto di evoluzione stellare). Anche le discipline umanistiche come la filosofia hanno recepito il modello interpretativo evoluzionistico, così accanto alla versione filosofica dell'evoluzione di tipo materialistico (quella di Herbert Spencer), il concetto di evoluzione in filosofia portò anche a reinterpretare le manifestazioni spirituali in senso evoluzionistico (due esempi emblematici: il pensiero del filosofo e premio Nobel Henri Bergson e del teologo gesuita, nonché paleoantropologo, Teilhard de Chardin, i quali hanno utilizzato la teoria dell'evoluzione come uno strumento utile a descrivere il ruolo del divino negli accadimenti della storia). Il nuovo approccio evoluzionistico nelle scienze umane Anche Karl Marx dedicò Il capitale a Darwin, ritenendo il proprio studio dell'economia in qualche modo corrispondente al darwinismo in biologia. Anche l'antropologia culturale nello studio dell'evoluzione dei gruppi umani e delle organizzazioni sociali trovò molto produttivo adottare il punto di vista evoluzionista come è il caso dell'antropologia americana con Lewis Henry Morgan e la sua scuola. Critiche e alternative Antievoluzionismo Il concetto di Evoluzionismo ha ricevuto critiche sia per motivi strettamente religiosi (Creazionismo biblico, professato dall'Ebraismo ortodosso e da alcune Chiese protestanti americane, ma non più dalla Chiesa cattolica, la quale non ha tuttavia una posizione unitaria e definita sul darwinismo [v. Evoluzione e chiesa cattolica]), ma anche per opinioni riguardanti l'adeguatezza del meccanismo esplicativo neodarwiniano, o riguardanti la presunta insufficienza di prove della teoria di Darwin. Malgrado queste opinioni siano decisamente minoritarie nella comunità scientifica, e spesso non tengano conto di quanto la teoria originale di Darwin sia evoluta nel tempo, è giusto ricordare alcune di queste teorie alternative. Tra esse vi sono il Disegno intelligente e il Devoluzionismo del biologo italiano Giuseppe Sermonti. La teoria di Darwin è anche avversata dal fisico italiano Antonino Zichichi, che ne nega la solidità matematica e ne attacca le prove biologiche e paleontologiche. D'altra parte Zichichi ha criticato la teoria di Darwin solo su pubblicazioni divulgative e non su riviste scientifiche sottostanti al meccanismo del peer review. Evoluzione e casualità Il biologo Jacques Monod nel suo libro "Il caso e la necessità", asserì che la teoria scientifica evoluzionistica andava intesa come una teoria che concepiva l'evoluzione come una somma di eventi casuali, selezionati dalle necessità ambientali, che nulla avrebbe quindi a che fare con qualunque concezione finalistica sia riguardo all'uomo sia riguardo al mondo. La casualità evolutiva, che deriva dalla casualità delle modifiche naturali del patrimonio genetico, che sono responsabili della differenziazione dei diversi individui entro la singola specie, viene rigettata, con considerazioni diverse dai sostenitori di una prospettiva finalistica dell'evoluzione. Evoluzione dell'uomo Per l'evoluzione che dagli insettivori ha condotto all'homo sapiens sapiens, e dall'H.s.s. in poi ha proseguito con la storia, vedere le voci Evoluzione umana e Storia dell'uomo. Evoluzione umana L'evoluzione della vita sulla Terra, a quanto attualmente noto, parte circa 4 miliardi di anni fa. Prima dell'uomo Circa 70 milioni di anni fa (mya), proseguendo per un albero filogenetico che affonda le radici alle origini della vita sulla terra, da esponenti insettivori appartenenti alla classe dei mammiferi ebbe origine il ramo dei primati, ordine di cui fanno parte con l'uomo tutte le scimmie. Nel Miocene, da appartenenti a questa classe, 18 mya, (con Proconsul, un arboricolo e frugivoro candidato ad entrare nella biforcazione evolutiva) si diramarono le attuali scimmie antropomorfe, (gibbone 18 mya, orango 14 mya, gorilla 7 mya, scimpanzé e bonobo 3-5 mya), attualmente riuniti con l'uomo in un'unica famiglia. Ardipithecus ramidus e Ardipithecus kadabba paiono essere anelli importanti nella transizione ad australopiteco, mentre Kenyanthropus platyops sembra fondamentale per spiegare la successiva transizione ad Homo. Secondo un recente studio [1] l’andatura bipede è molto più antica di quanto si pensasse. Alcuni fossili di Morotopithecus bishopi, un primate arboricolo vissuto circa 21 milioni di anni fa nell’attuale Uganda, presentano nella struttura dello scheletro e delle vertebre forti analogie con le caratteristiche che nell’essere umano consentono di assumere la posizione eretta. Queste analogie potrebbero essere dovute a convergenza evolutiva, giacché lo stato attuale delle conoscenze (anche a causa della frammentarietà dei resti fossili) non permette di chiarire questo dubbio. Circa 20-15 milioni di anni fa, gli ominidi iniziarono a vagare per le savane in cerca di cibo: qui la pressione selettiva favorì quegli individui capaci di ergersi sugli arti posteriori potendo così, ad esempio, avvistare in anticipo un predatore. Iniziò così l'evoluzione fisiologica e culturale di questi primati: impararono infatti ad afferrare, trasportare, scegliere piante e cibo ed osservare la natura. Scala in migliaia di anni Le età degli spazi * sono stimati. - I tratti verticali rappresentano le possibili separazioni (ipotesi "splitter", dell'origine unica) (1) o Homo sapiens arcaico antico - (2) o Homo sapiens arcaico recente • Pierolapithecus catalaunicus (13 milioni di anni fa) [specie ancora in fase di studio] o • "Pau" Oreopithecus bambolii (8,5 milioni di anni fa) [anche se la sua appartenenza al ramo umano è controversa] o • "Proto" e "Sandrone" Sahelanthropus tchadensis (fra 7 e 6 milioni di anni fa) o "Toumaï" • Orrorin tugenensis (6 milioni di anni fa) • Ardipithecus kadabba (fra 6 e 5,5 milioni di anni fa) • Ardipithecus ramidus (4,5 milioni di anni fa) La specie più antica che conosciamo è quella dell'australopiteco, cioè le scimmie dell'emisfero australe, che quasi sicuramente vissero in Tanzania ed in Etiopia per almeno 3 milioni di anni, finché non si estinsero circa 1 milione di anni fa. L'australopiteco non era capace di costruire utensili, ma utilizzava ciottoli per scopi semplici come spezzare o percuotere; inoltre faceva vita di gruppo, dava la caccia ad animali di piccola stazza e raccoglieva uova e semi. • Australopithecus anamensis (4 milioni di anni fa) • Kenyanthropus platyops (3,5 milioni di anni fa) • Australopithecus afarensis (fra 4 e 3 milioni di anni fa) o "Lucy" • Australopithecus bahrelghazali (fra 3,5 e 3 milioni di anni fa) • Australopithecus africanus (fra 3 e 2 milioni di anni fa) • Australopithecus garhi (2,5 milioni di anni fa) • Australopithecus aethiopicus - Parantropo (2.5 milioni di anni fa) • Australopithecus boisei - Parantropo (fra 1.7 ed 1.4 milioni di anni fa) • Australopithecus robustus - Parantropo (fra 2 ed 1.5 milioni di anni fa) Distribuzione temporale e geografica delle popolazioni di ominidi, basata sui fossili rinvenuti La prima specie del genere homo conosciuta è l' Homo habilis (ca 2 milioni di anni fa). Molto simile all'australopiteco, l' Homo habilis viene già ritenuto uomo per le sue abilità manuali: utilizzava infatti strumenti rudimentali per la caccia. Un'evoluzione arriva con l' Homo erectus (ca 1 - 1,5 milioni di anni fa). L' erectus ha posizione eretta e una maggior capacità intellettiva, testimoniata anche dal maggior sviluppo della tecnologia rispetto all'homo habilis. • Homo habilis (fra 2,5 ed 1 milione di anni fa) • Homo rudolfensis (2 milioni di anni fa) • Homo ergaster (fra 2 milioni e 600.000 anni fa) • Homo erectus (fra 2 milioni e 300.000 anni fa) o "Argil", o Uomo di Ceprano • Homo antecessor (800.000 anni fa) • Homo heidelbergensis (fra 600.000 e 200.000 anni fa) o "Ciampate del Diavolo" • Homo neanderthalensis (fra 250.000 e 30.000 anni fa) • Homo floresiensis (da 95.000 a 18.000 anni fa) o • "Ebu", o Uomo di Flores Homo sapiens (da 200.000 anni fa ad oggi) Tabella comparativa delle specie Homo I nomi delle specie in grassetto indicano l'esistenza di numerosi fossili. LA CELLULA ANIMALE E VEGETALE La cellula (dal latino, piccola camera) è l'unità fondamentale di tutti gli organismi viventi[1], la più piccola struttura ad essere classificabile come vivente. Alcuni organismi, come ad esempio i batteri acidoplastici o i protozoi, possono consistere di una singola cellula ed essere definiti unicellulari. Altri organismi, come l'uomo (formato da circa 100 mila miliardi di cellule), sono invece pluricellulari. I principali organismi pluricellulari appartengono tipicamente ai regni animale, vegetale e dei funghi. Le cellule degli organismi unicellulari presentano caratteri morfologici solitamente uniformi. Con l'aumentare del numero di cellule di un organismo, invece, le cellule che lo compongono si differenziano in forma, grandezza, rapporti e funzioni specializzate, fino alla costituzione di tessuti ed organi. Il termine cellula è legato all'analogia che Robert Hooke immaginò tra le microstrutture che osservò nel sughero, utilizzando un microscopio di sua invenzione, e le piccole camere che caratterizzano molti monasteri. Ogni cellula può esser definita come un'entità chiusa ed autosufficiente: essa è infatti in grado di assumere nutrienti, di convertirli in energia, di svolgere funzioni specializzate e di riprodursi se necessario. Per fare ciò, ogni cellula contiene al suo interno tutte le informazioni necessarie. Tutte le cellule mostrano alcune caratteristiche comuni:Fotosintesi clorofilliana FOTOSINTESI CLOROFILLIANA La fotosintesi clorofilliana è l’insieme delle reazioni durante le quali le piante verdi producono sostanze organiche a partire da CO2 e dall’acqua, in presenza di luce. Mediante la clorofilla, l'energia solare (luce) viene trasformata in uno zucchero definito glucosio fondamentale per la vita della pianta la cui formula chimica è:C6H12O6,ovvero 6 atomi di carbonio,12 di idrogeno e 6 di ossigeno.Inoltre alla pianta(detta autotrofa)rimangono 6 atomi di ossigeno atmosferico di cui si libera grazie agli stomi delle sue foglie. Oggi questo processo è quello nettamente dominante sulla Terra, per la produzione di composti organici da sostanze inorganiche e, probabilmente, rappresenta la prima forma di processo anabolico sviluppato dagli organismi viventi. Inoltre, la fotosintesi è l'unico processo biologicamente importante in grado di raccogliere l'energia solare, da cui, fondamentalmente, dipende la vita sulla Terra. Reazione complessiva Il prodotto organico della fotosintesi ossigenica è il glucosio (C6H12O6), il carboidrato monosaccaride più diffuso sul nostro pianeta. In seguito da questo sono assemblate varie altre macromolecole, quali l'amido (la forma di accumulo del carbonio nelle piante) e il saccarosio (la forma di trasporto principale del carbonio nelle piante). Il carbonio e l'idrogeno solfurato e fluorescente da convertire in sostanza organica sono forniti rispettivamente dall'anidride carbonica (CO2) atmosferica e dall'acqua(H20). La quasi totalità della fotosintesi ossigenica è compiuta da piante e alghe che ricavano l'idrogeno dall'acqua (H2O). In questo caso l'equazione chimica che riassume il processo è: 6 CO2 + 6 H2O + 686 Kilocalorie/mole → C6H12O6 + 6 O2 Forme di fotosintesi Esistono, soprattutto fra gli organismi procarioti autotrofi, varie forme di fotosintesi, oltre alla fotosintesi clorofilliana ossigenica descritta qui. In alcune specie di batteri autotrofi, l'idrogeno proviene non dall'acqua ma dall'acido solfidrico, che nella fotosintesi viene ossidato a zolfo elementare (S8) 6 CO2 + 12 H2S → C6H12O6 + 12 S + 6 H2O Si noti che questi batteri sono anaerobi obbligati. Le forme di fotosintesi clorofilliana che vengono effettuate con lo zolfo (o in alcuni casi anche con l'azoto) vengono dette fotosintesi anossigeniche. Anche fra le piante si riscontrano vari tipi di fotosintesi clorofilliana. Le piante sono suddivise, in base alla forma di fotosintesi clorofilliana da esse compiuta, in tre gruppi principali, che hanno diverse caratteristiche: le piante C3, C4 e CAM. Vi è anche una forma di fotosintesi, la chemiosintesi, in cui l'energia chimica è data dalla demolizione di molecole organiche anziché dalla radiazione elettromagnetica. Fasi della fotosintesi La fotosintesi clorofilliana avviene per tappe riunibili in due fasi: la fase luminosa (o fase luce-dipendente), dipendente dalla luce; la fase di fissazione del carbonio (o fase oscura, indipendente dalla luce) di cui fa parte il ciclo di Calvin. La seconda fase viene anche definita fase al buio; il termine, tuttavia, potrebbe essere fuorviante, in quanto non si riferisce all'assenza della luce dato che alcuni enzimi coinvolti in questa fase sono direttamente attivati proprio dalla luce, tanto che avviene contemporaneamente alla fase luminosa e non di notte. Infatti in assenza di luce si ha scarsità di ATP e NADPH, che si formano durante la fase luminosa e gli stomi si chiudono, dunque non vi è accesso di CO2; inoltre si verifica anche l'inattività di alcuni enzimi che sono luce-dipendenti (RuBisCO, 3-PGA deidrogenasi, fosfatasi e ribulosio 1,5 bis-fosfato chinasi). Fase luminosa Le reazioni della fase luce dipendente della fotosintesi clorofilliana. Il processo fotosintetico si svolge all'interno dei cloroplasti. All'interno di questi si trova un sistema di membrane che formano pile di sacchetti appiattiti (tilacoidi), dette grani, e delle lamelle di collegamento dei grani (lamelle intergrana). All'interno di queste membrane troviamo delle molecole di clorofilla, aggregate a formare i cosiddetti fotosistemi. Si possono distinguere il fotosistema I e il fotosistema II. I fotosistemi sono un insieme di molecole di pigmenti in cui l’energia viene convogliata verso una molecola di clorofilla "a" trappola. Nel fotosistema I la molecola trappola viene eccitata da una lunghezza d’onda di 700 nm, il fotosistema II da 680 nm. Il fotosistema I è formato da un LHC (complesso che cattura la luce) costituito da circa 70 molecole di clorofilla a e b e da 13 diversi tipi di catene polipeptidiche, e da un centro di reazione che comprende circa 130 molecole di clorofilla a e P700, un particolare tipo di clorofilla che ha il massimo assorbimento della luce a 700nm. Il fotosistema II è anch'esso composto da un LHC, formato da circa 200 molecole di clorofilla a e b, nonché da diverse catene polipeptidiche, e da un centro di reazione formato da circa 50 molecole di clorofilla a e di P680, che ha il massimo assorbimento della luce solare a 680nm. Tutte queste molecole sono in grado di catturare l'energia luminosa, ma solo quelle di clorofilla a sono in grado di passare ad uno stato eccitato che attiva la reazione fotosintetica. Le molecole che hanno solo funzione di captazione sono dette molecole antenna; quelle che attivano il processo fotosintetico sono definite centri di reazione. La "fase luminosa" è dominata dalla clorofilla a, le cui molecole assorbono selettivamente luce nelle porzioni rossa e blu-violetta dello spettro visibile, attraverso una serie di altri pigmenti coadiuvanti. L'energia catturata dalle molecole di clorofilla consente la promozione di elettroni da orbitali atomici a energia minore ad orbitali ad energia maggiore. Questi vengono subito sostituiti mediante idrolisi di molecole d'acqua (che, da H2O, si scinde in due protoni, due elettroni ed un ossigeno grazie alla fotolisi, operata dai due fotosistemi). Gli elettroni liberati dalla clorofilla del fotosistema II vengono immessi in una catena di trasporto costituita dal citocromo B6f, durante la quale perdono energia, passando ad un livello energetico inferiore. L'energia persa viene utilizzata per pompare protoni dallo stroma all'interno dello spazio del tilacoide, creando un gradiente protonico. Infine gli elettroni giungono al fotosistema I, che a sua volta, per effetto della luce, ha perso altri elettroni. Gli elettroni persi dal fotosistema I vengono trasferiti alle ferredossina, che riduce NADP+ in NADPH. Tramite la proteina di membrana ATP-sintetasi situata sulla membrana del tilacoide (strati membranosi interni al cloroplasto o, nel caso dei batteri autotrofi, distribuiti nel citoplasma), gli ioni H+ liberatisi dall'idrolisi dell'acqua passano dallo spazio del tilacoide allo stroma, cioè verso gradiente, sintetizzando ATP a partire da gruppi liberi di fosfato e ADP. Si può formare una molecola di ATP ogni due elettroni persi dai fotosistemi. Fase di fissazione del carbonio La fase di fissazione del carbonio o ciclo di Calvin (chiamata anche fase al buio o fase luce indipendente) comporta l'organicazione della CO2, ossia la sua incorporazione in composti organici e la riduzione del composto ottenuto grazie al ATP ricavato dalla fase luminosa. In questo ciclo è presente un composto organico fisso, il ribulosiobifosfato, o RuBP, che viene trasformato durante la reazione fino a tornare al suo stato iniziale. Le 12 molecole di ribulosio bifosfato presenti nel ciclo di Calvin reagiscono con l'acqua e l'anidride carbonica subendo una serie di trasformazioni ad opera dell'enzima ribulosio-bifosfato carbossilasi o rubisco. Alla fine del processo, oltre alle 12 RuBP nuovamente sintetizzate, si originano 2 molecole di gliceraldeide 3fosfato, che vengono espulse dal ciclo come prodotto netto della fissazione. Per essere attivato, il ciclo di Calvin necessita di energia chimica e supporto mediante l'idrolisi di 18 ATP in ADP e dell'ossidazione di 12 NADPH in NADP+ e ioni liberi di idrogeno H+ (che sono protoni). L'ATP e la NADPH consumate durante il ciclo di Calvin vengono prelevate da quelle prodotte durante la fase luminosa, e, una volta ossidate, tornano a far parte del pool disponibile per la riduzione. Complessivamente, nel ciclo di Calvin vengono consumate 6 molecole di CO2, 6 di acqua, 18 di ATP e 12 di NADPH per formare 2 gliceraldeide 3-fosfato (abbreviato in G3P), 18 gruppi liberi di fosfato, 18 ADP, 12 protoni, 12 NADP+. Sintesi di glucosio Le due molecole di gliceraldeide 3-fosfato formatesi durante il ciclo di Calvin vengono utilizzate per sintetizzare glucosio, in un processo perfettamente inverso alla glicolisi, o per formare lipidi quali acidi grassi oppure amminoacidi (aggiungendo un gruppo amminico nella struttura). I prodotti finali della fotosintesi, quindi, svolgono un ruolo di fondamentale importanza nei processi dell'anabolismo degli organismi autotrofi]. La divisione cellulare La divisione cellulare è un processo importantissimo per la vita, in quanto esso permette ad una cellula genitore (in inglese parent cell) si divida in due o più cellule figlie (in inglese daughter cells). Esistono fondamentalmente due tipi di divisione cellulare: • Divisione asessuata o per via vegetativa o fissione binaria ovvero la forma di riproduzione usata dagli organismi procarioti. Questo processo esita nella formazione di due parti, ognuna delle quali ha il potenziale di crescere fino alle dimensioni della cellula originale. Ed ognuna delle parti è un organismo completo. • o divisione multipla o gemmazione o frammentazione o rigenerazione o clonazione o poliembrionia o sporulazione Divisione sessuata o mitosi: ovvero divisione del nucleo genitore (in inglese parent nucleo) in due nuclei figli (inglese daughter nucleus), ognuno dei quali contiene un genoma identico al genoma genitoriale. o meiosi: ovvero la divisione del nucleo in cellule sessuali, le quali riducono il numero diploide di cromosomi ad un numero aploide. Nelle cellule eucariote multicellulari la mitosi permette la crescita e la riparazione cellulare. Il ciclo cellulare, o ciclo di divisione cellulare (CDC), è la serie di eventi che avvengono in una cellula eucariote tra una divisione cellulare e quella successiva. La durata del ciclo cellulare varia col variare della specie, del tipo di cellula e delle condizioni di crescita. Cenni generali Il ciclo cellulare è un processo geneticamente controllato, costituito da una serie di eventi coordinati e dipendenti tra loro, dai quali dipende la corretta proliferazione delle cellule eucariotiche. Gli eventi molecolari che controllano il ciclo cellulare sono ordinati e direzionali: ogni processo è la diretta conseguenza dell'evento precedente ed è la causa di quello successivo. Molti geni coinvolti nella progressione del ciclo cellulare sono stati individuati agli inizi degli anni settanta grazie ad uno studio condotto da Lee Hartwell e collaboratori sul lievito Saccharomyces cerevisiae, un microrganismo eucariotico unicellulare che si presta molto bene alle analisi genetiche; grazie a questo lavoro furono isolati e caratterizzati mutanti che presentavano alterazioni nelle diverse fasi del ciclo cellulare (Hartwell, 1974). Nelle cellule eucariotiche la progressione attraverso le varie fasi del ciclo cellulare risulta essere finemente regolata dalle chinasi ciclina-dipendenti o CDK (Cyclin-dependent Kinases) una famiglia di protein chinasi la cui attività dipende dalla loro associazione con delle subunità proteiche regolative dette cicline; queste ultime sono proteine instabili, sintetizzate e degradate periodicamente, che si accumulano in fasi del ciclo specifiche e che non solo attivano le CDK, ma ne determinano anche la specificità di substrato. Leland H. Hartwell, R. Timothy Hunt e Paul M. Nurse hanno vinto il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2001 per la loro scoperta del ruolo centrale di queste molecole nel ciclo cellulare. Le scoperte sono state ottenute studiando il ciclo cellulare rispettivamente nel lievito gemmante Saccharomyces cerevisiae, nelle uova del riccio di mare Sphaerechinus granularis ed nel lievito a fissione Schizosaccharomyces pombe Negli eucarioti multicellulari la necessità di rispondere a una maggiore quantità di stimoli esterni ed interni ha permesso l’evoluzione di molteplici e diverse CDK: i vari complessi CDK - ciclina che si formano durante il ciclo cellulare di tali organismi cambiano sia per quanto riguarda la subunità regolatoria (ciclina) sia per quanto riguarda la subunità catalitica (CDK). In ogni periodo del ciclo cellulare è presente quindi un solo tipo di complesso CDK - ciclina cataliticamente attivo e, a seconda del complesso formatosi, vengono fosforilate molecole bersaglio differenti . Oltre all’azione regolatoria della ciclina, il complesso CDK - ciclina è anche soggetto all’azione di inibitori in grado di legarsi a tale complesso e di renderne inattiva la subunità catalitica: questa classe di proteine prende il nome di CKI (CDK Inhibitors). Inoltre, determinati siti della subunità catalitica delle CDK risultano essere bersaglio di molte chinasi e fosfatasi che, determinando lo stato di fosforilazione del complesso, ne modulano più finemente la sua attività. Fasi del ciclo cellulare Il ciclo cellulare è un evento molto importante, per questo motivo è regolato in tutte le sue dimensioni. Affinché l’informazione genetica venga correttamente trasmessa dalla cellula madre alle cellule figlie, il genoma deve essere prima duplicato durante il periodo di tempo denominato fase S e in seguito i cromosomi devono venire segregati nelle due cellule figlie durante la fase M. La fase M è a sua volta composta da due processi, strettamente collegati: la mitosi, durante la quale i cromosomi della cellula sono divisi tra le due cellule figlie e la citodieresi, che comporta la divisione fisica del citoplasma della cellula. Esiste una fase chiamata G0 (g zero) in cui la cellula ferma il suo ciclo cellulare. Le cellule nervose e quelle muscolari (striate scheletriche) rimangono in questo stadio per tutta la vita dell'organismo. I punti di controllo Il ciclo cellulare è un processo estremamente importante; errori in questo processo potrebbero compromettere la vitalità cellulare. Per tale motivo, nel ciclo cellulare, sono presenti dei punti di controllo o checkpoints, localizzati a livello delle transizioni G1/S e G2/M. Infatti, tra le fasi S ed M ci sono normalmente due periodi di tempo detti "gap": G1 fra la fine della mitosi e l’inizio della fase S e G2 fra il termine della fase S e l’inizio della fase M. In questi periodi di tempo si ha la maggior parte della sintesi proteica con conseguente aumento della massa cellulare e la realizzazione dei controlli che impediscono l’inizio della fase successiva se non è stata completata quella precedente. Le fasi G1 e G2 sono quelle che possono subire la maggior variabilità di durata e in alcuni casi particolari possono anche essere eliminate, contrariamente alle fasi S e M che sono essenziali e che rappresentano due eventi chiave del ciclo cellulare. L'insieme delle fasi G1, S e G2 è collettivamente identificato come interfase. Si dice che le cellule che hanno smesso di dividersi, in modo temporaneo o irreversibile, sono in uno stato di quiescenza (fase G0); le cellule che non vanno più incontro a divisione in modo permanente, in seguito ad invecchiamento o a danni al DNA sono chiamate senescenti. È da osservare che la mitosi produce sempre due cellule geneticamente identiche alle cellula madre e che la maggior parte degli organuli citoplasmatici si distribuisce a caso nelle cellule figlie. Meccanismi molecolari comuni Uno fra i cicli cellulari più semplice è quello del lievito Saccharomyces cerevisiae, nel quale è presente una sola chinasi ciclina dipendente (CdK) chiamata Cdc28 e due sole classi di cicline: G1 (Cln) e B (Clb). Nella fase G1 del ciclo cellulare è attiva la trascrizione del gene che codifica per una particolare ciclina di fase G1 della Cln3, che sembra agire da sensore della massa cellulare. Infatti quando la cellula raggiunge la sua massa critica, la concentrazione di questa ciclina aumenta, ed associandosi con Cdc28 attiva un complesso programma trascrizionale che comprende fra gli altri i geni codificanti per le cicline Cln1, Cln2, Clb5 e Clb6. Ciò porta alla formazione dei complessi Cln1/2-Cdc28 responsabili della formazione della gemma (la cellula figlia) e della duplicazione del corpo polare del fuso. Anche le cicline Clb5/6 si associano alla CdK formando il complesso Clb5/6-Cdc28 la cui attività chinasica è però bloccata attraversi il legame dell'inibitore Sic1. Quando la concentrazione del complesso Cln1/2-Cdc28 ha raggiunto una soglia critica, questo è in grado di fosforilare Sic1, indirizzandolo verso la degradazione e permettendo l'attivazione dei complessi Clb5/6-Cdc28 sino a quel momento accumulati che a loro volta fosforilano e degradano Sic1, mantenendone bassi i livelli. Questa attivazione è direttamente responsabile dell'inizio della replicazione del DNA a livello delle origini di replicazione, sulle quali è assemblato il complesso pre-replicativo (preRC). In seguito all'utilizzo dell'origine di replicazione, il complesso Clb5/6-Cdc28 converte il pre-RC nel post-RC, impedendo che quella stessa origine sia riutilizzata prima della successiva fase S. In tarda fase S si ha la trascrizione dei geni codificanti per le cicline Clb3 e Clb4 ed alla loro associazione con Cdc28, necessaria per l'entrata in mitosi e l'allungamento del fuso mitotico, che in Saccharomyces cerevisiae avviene immediatamente al termine della fase S. In altri organismi, invece, a questo punto si ha la fosforilazione della CdK da parte della chinasi Wee1 (presente anche in lievito), la quale inattiva i complessi Clb-Cdc28 che si vanno via via accumulando. Quando giunge il segnale di "via libera" la fosfatasi Cdc25 interviene eliminando il gruppo fosfato sul complesso Clb-Cdc28, il quale attivandosi porta alla fosforilazione ed inattivazione di Swe1, in un feedback positivo che produce un rapido aumento della forma attiva di Clb-Cdc28, portando all'entrata in mitosi. Il complesso Clb-Cdc28 quindi attiva il complesso promuovente l'anafase (APC) il quale, grazie all'associazione con Cdc20, va ad indurre la degradazione di una serie di proteine fra cui la securina (Pds1). La degradazione di quest'ultima porta alla liberazione della separasi (Esp1) che permette il taglio delle coesine che mantengono legati i cromatidi fratelli, permettendone la migrazione ai poli opposti della cellula. L'associazione dell'APC con la proteina Cdh1 induce inoltre la degradazione di tutte le cicline di tipo B, provocando il crollo dell'attività di Cdc28, con la conseguente uscita dalla mitosi. La perdita di attività di Cdc28, privo di cicline, porta anche al riassemblamento dei complessi pre-RC sulle origini di replicazione, alla possibilità di accumulare nuovamente l'inibitore Sic1, nonché alla trascrizione delle cicline di fase G1 (Cln)... ed un altro ciclo può ricominciare Il ciclo cellulare negli eucarioti superiori [modifica] Gateway G1/S In questo punto, interviene il complesso cicline-CDK, il cui compito è quello di determinare la iperfosforilazione ed attivazione della proteina p105RB codificata dal gene RB1 (la cui mutazione può causare un tumore dell'età pediatrica, il retinoblastoma (RB)). Le cicline implicate in questo evento sono soprattutto le classi D1, D2, D3, della ciclina-D, la quale viene prodotta durante la fase G1, ma nella fase S non è più possibile ritrovarla. La ciclina-D, si lega alla CDK4, il complesso risultante, determina la iperfosforilazione del RB ed il rilascio del fattore di trascrizione E2F. Successivamente alla sua attivazione, il fattore di trascrizione E2F viene rilasciato e favorisce l'entrata della cellula nel ciclo cellulare. Inoltre, alcuni fattori di crescita come il TGF-β e la p53, favoriscono l'aumento delle concentrazioni di p16, la quale blocca le CDK ed il ciclo cellulare. Altri fattori di crescita come il PDGF e l'FGF, favoriscono l'attivazione delle CDK. Meccanismo d'azione del retinoblastoma Il gene RB1 è un oncosoppressore localizzato sul cromosoma 13. La proteina del retinoblastoma p105RB da esso codificata, può essere o nella forma ipofosforilata (inattiva) o iperfosforilata (attiva). La forma inattiva è caratterizzata dal fatto che p105RB mantiene complessato nella sua struttura il fattore di trascrizione E2F, pertanto, il ciclo cellulare è inibito. Mentre, la forma attiva è caratterizzata dal fatto che non mantiene complessato nella sua struttura il fattore di trascrizione E2F, pertanto, il ciclo cellulare è favorito. Nelle forme mutate del RB, il fattore di trascrizione E2F è sempre libero, pertanto il ciclo cellulare non è controllato. Il fattore di trascrizione E2F, precedentemente rilasciato dal RB, favorisce la formazione del complesso ciclina-A-CDK2 che agisce sia a livello della mitosi che della profase, nella quale il complesso ciclina-BCDK1 favorisce la degradazione dell'involucro nucleare e consente l'avvio della mitosi. Inoltre questi ultimi due complessi, comportano la separazione dei centromeri e l'addossamento dei cromosomi. Successivamente, la cellula va incontro a divisione. Controllo della proliferazione cellulare Negli organismi pluricellulari le cellule, normalmente in uno stato quiescente, decidono di entrare in un nuovo ciclo cellulare in risposta ad eventi biochimici fra i quali ci sono ad esempio, la ricezione attraverso il meccanismo di trasduzione del segnale di fattori di crescita sintetizzati da altre cellule. Mitosi La mitosi (mitòsi) (dal greco mìtos, che significa filo, per l'aspetto filiforme dei cromosomi durante la metafase) è la riproduzione per divisione equazionale della cellula eucariote. Il termine viene spesso utilizzato anche per la riproduzione delle cellule procariote, un processo molto più semplice e più correttamente chiamato scissione binaria o amitosi. La mitosi, nell'uomo, riguarda le cellule somatiche dell'organismo (cioè tutte le cellule tranne quelle che hanno funzione riproduttiva, i gametociti primari, che invece vanno incontro alla meiosi) e le cellule germinali ancora indifferenziate. Il processo inizia con la condensazione della cromatina che avviene grazie alla presenza di proteine istoniche che fungono da centri primari di organizzazione del riavvolgimento del DNA, primo ordine di spiralizzazione, e della topoisomerasi II che, oltre alla sua funzione catalitica, agisce come centro di organizzazione del secondo ordine di spiralizzazione; poi seguono un terzo ordine di cui non si conoscono le proteine implicate e forse è conseguenza della tensione accumulata dalle precedenti spiralizzazioni; poi questo grosso superfilamento viene prima impaccato formando delle anse che poi si riuniscono formando il cromosoma visibile. La durata media di questo meccanismo di riproduzione cellulare varia in media, negli organismi superiori, tra le 15 e le 30 ore. La mitosi nel ciclo cellulare Il ciclo cellulare si suddivide in 3 parti: l'interfase, in cui la cellula si prepara alla divisione; la mitosi, periodo di gran lunga più breve in cui la cellula si divide che viene descritto nei particolari in questa pagina; il periodo detto G0, più o meno definitivo, in cui la cellula si specializza nella sua funzione e non è in grado o non è stimolata a riprodursi. Il processo inizia con la condensazione della cromatina che avviene grazie alla presenza di proteine istoniche che fungono da centri primari di organizzazione del riavvolgimento del DNA, primo ordine di spiralizzazione, e della topoisomerasi II che, oltre alla sua funzione catalitica, agisce come centro di organizzazione del secondo ordine di spiralizzazione; poi seguono un terzo ordine di cui non si conoscono le proteine implicate e forse è conseguenza della tensione accumulata dalle precedenti spiralizzazioni; poi questo grosso superfilamento viene prima impaccato formando delle anse che poi si riuniscono formando il cromosoma visibile. La durata media di questo meccanismo di riproduzione cellulare varia in media, negli organismi superiori, tra le 15 e le 30 ore. Eventi che precedono la mitosi Prima della mitosi avviene l'interfase, momento molto importante nella vita della cellula, infatti proprio in questa fase, che si suddivide in G1, S e G2, gli organelli della cellula aumentano e nella fase S il DNA si duplica. La differenza sostanziale tra la sottofase G1 e la sottofase G2, è che la sottofase G1 è interposta da dopo la mitosi precedente, e prima della sottofase S, mentre la sottofase G2 avviene dopo la sottofase S e prima dell'inizio della successiva mitosi Profase (pro- = prima) I cromosomi ( nel caso della specie umana), si condensano e sono visibili anche al microscopio ottico sotto forma di doppi bastoncelli basofili, (infatti "mitosi" dal greco mitos significa "filo") i cromatidi gemelli, che sono agganciati tra loro in un punto centrale detto centromero grazie ad un complesso sistema di interazioni tra il DNA e numerose proteine chiamatofuso acromatico. Viene sintetizzato un secondo centrosoma ed entrambi appaiono circondati da una coltre di microtubuli(Fuso,formato da dimeri di subunita proteiche tubulina alfa e beta dissassemblando il citoscheletro). Il ciclo si potrebbe interrompere in questo punto se alla coltura si aggiungesse la tossina falloidina che impedisce la formazione dei filamenti di microtubuli, questo si fa quando si vogliono visualizzare al microscopio i cromosomi per studiarne le caratteristiche. L'apparato del Golgi, il reticolo endoplasmatico in questa fase si scompongono in piccole vescicolette che si distribuiscono uniformemente in tutto il citoplasma; anche la membrana nucleare, grazie alla sua struttura a doppia membrana si scompone similmente agli organelli citati prima. Metafase (meta- = durante) Inizia anzitutto con una fase iniziale, detta prometafase, in cui avviene l'improvvisa dissoluzione della membrana nucleare, che si frammenta in tante vescicolette. Tale processo viene innescato dalla fosforilazione, attraverso delle chinasi, delle proteine dei filamenti intermedi (lamìne) che costituiscono la làmina nucleare; in conseguenza della fosforilazione i filamenti si dissociano negli elementi costitutivi. I due centrosomi si portano ai poli opposti della cellula ed agiscono come centri di organizzazione microtubulare, catalizzando l'allungamento ed assicurando il corretto orientamento dei microtubuli che andranno a breve a legarsi al centromero di uno dei due cromatidi gemelli. In questa fase si possono verificare degli errori e due microtubuli si possono agganciare allo stesso cromatidio dando poi una cellula figlia mutilata e non vitale. Questa fase viene chiamata anche prometafase, che significa prima parte della metafase. Le 23 coppie di cromatidi vengono portate nella parte mediana della cellula, formando la "piastra equatoriale" in cui un piano immaginario, passante per i centromeri, divide le coppie di DNA. È questo il momento più favorevole per lo studio dei cromosomi, che sono ora al massimo della loro spiralizzazione e affiancati ordinatamente lungo la piastra equatoriale posta al centro della cellula. Anafase (ana- = ulteriore) I cromatidi,migrano verso i due centrosomi ai poli opposti della cellula. Si riconoscono due momenti detti anafase A e anafase B. Nella prima si assiste alla separazione dei due cromatidi fratelli ad opera di un enzima detto separasi con relativa migrazione degli stessi grazie a proteine motore (tipo dineine citoplasmatiche) presenti a livello del cinetocore. Nell'anafase B si assiste al reciproco scorrimento dei microtubuli polari del fuso mitotico con conseguente allontanamento dei due centrosomi verso direzioni opposte. Pertanto si ottiene il ripristino, per ogni polo, del numero originario di cromosomi. Telofase (telo- = finale) I cromosomi si despiralizzano. Intorno ai due nuovi complessi cromosomici ricompaiono le membrane nucleari e gli organelli si ricompongono. La telofase si conclude con una sottofase: la citodieresi, in cui si separa il citoplasma in modo equivalente in entrambe le cellule. La cellula si divide al centro formandone due cellule figlie, esattamente identiche alla cellula madre ma più piccole. Questo avviene grazie ad un anello di actina creatosi al centro della cellula madre che contraendosi stringe la cellula al centro, a questo punto proteine specializzate operano la fusione e la separazione della membrana in punti specifici e le due cellule si separano. In alcune cellule la telofase non avviene e si accumulano all'interno di uno stesso nucleo di una stessa cellula da due ad alcune decine di corredi cromosomici. Questo tipo di cellule si chiamano plasmodi e l'esempio principale sono i protozoi del genere Plasmodium come il P. malariae; anche cellule umane vanno incontro a questo processo o patologicamente, come le cellule tumorali, o fisiologicamente come nel megacariocita e forse (in attesa di una conferma dalla ricerca) in una minoranza di cellule cardiache ed epatiche, anche i macrofagi iperattivati in un granuloma vanno incontro a questa "mitosi mutilata". L’importanza della mitosi consiste nel fatto che tutte le cellule discendenti da una cellula originaria ereditano lo stesso numero di cromosomi e risultano geneticamente identiche. Mitosi come modalità di accrescimento dell’organismo Negli organismi pluricellulari, durante lo sviluppo embrionale, tutti i blastomeri (cioè le cellule che derivano per la progressiva suddivisione di uno zigote, ovvero per segmentazione), ereditano gli stessi cromosomi. La mitosi costituisce in questi organismi la modalità di crescita dell’individuo; le cellule che ne derivano subiscono poi un processo di differenziamento che ne permette la specializzazione in differenti tessuti. Quando l’individuo ha completato la sua crescita, però, non tutte le sue cellule perdono la capacità di compiere mitosi e di suddividersi; ciò permette la possibilità per alcuni tessuti di rinnovarsi rapidamente e di riparare eventuali lesioni. Si possono distinguere, in tal senso, tre tipi di cellule: quelle cellule soggette al rinnovamento, o cellule staminali, che mantengono la capacità mitotica (ad esempio, le cellule dei meristemi vegetali e le cellule dello strato germinativo dell’epidermide umana); cellule in espansione, che hanno subito un processo di differenziamento ma possono riprendere in alcuni casi la capacità mitotica (ad esempio, le cellule che formano il callo dei tessuti vegetali lesionati, oppure gli epatociti umani); infine, le cellule statiche, che non possono riprodursi e, pertanto, se vengono danneggiate non possono essere sostituite (ad esempio, le cellule del mesofillo fogliare o i neuroni). MEIOSI Meiosi Processo caratteristico delle cellule eucarioti, durante il quale da una cellula si formano quattro cellule figlie, aventi la metà del patrimonio genetico di quella originaria. In altri termini, la meiosi determina la ripartizione di ciascuna coppia di cromosomi omologhi (cromosomi su cui si trovano geni corrispondenti) presenti nelle cellule diploidi. La meiosi si differenzia da un altro processo di divisione cellulare, la mitosi, nella quale si formano cellule figlie aventi lo stesso patrimonio genetico della cellula madre. La meiosi avviene in una determinata fase del ciclo vitale degli organismi. Negli organismi aplonti, caratterizzati da un patrimonio genetico aploide (con un’unica copia di ciascun gene), la meiosi è detta zigotica, perché interviene nello zigote diploide che si forma dopo la fusione di due cellule aploidi; in tal modo, la meiosi interviene a formare cellule aploidi da cui si svilupperanno per mitosi nuovi individui, e quindi permette di ripristinare il patrimonio genetico della specie. Negli organismi diplonti, caratterizzati da un patrimonio genetico diploide (con due copie di ciascun gene), la meiosi è detta gametica, perché si verifica in particolari cellule dell’organismo deputate alla formazione di cellule riproduttive aploidi (gameti); i gameti permettono l’attuazione della riproduzione sessuata e, fondendosi al momento della fecondazione, formano zigoti diploidi da cui si sviluppano i nuovi individui. La meiosi in questo caso è compresa nel processo di gametogenesi, che porta dalla formazione dei gameti aploidi alla loro completa maturazione. In particolare, i gameti maschili sono detti spermatozoi e quelli femminili cellule uovo. Negli organismi aplo-diplonti, la mitosi è detta intermedia: come nei diplonti, la meiosi avviene in una cellula particolare (cellula gonotoconte o zeugide) degli organismi della fase diploide (sporofiti) e porta alla formazione di spore aploidi (meiospore); in questo caso, però, le spore aploidi si moltiplicano per mitosi e danno origine a individui aplonti (gametofiti). Anteprima della sezione La meiosi avviene secondo due fasi principali, dette rispettivamente prima e seconda divisione meiotica, o meiosi I e meiosi II. L’evento fondamentale della prima divisione meiotica è la ripartizione dei due cromosomi di ciascuna coppia di omologhi nelle due cellule figlie derivanti dalla cellula originaria: dunque, si ottengono due cellule dotate ciascuna di un patrimonio genetico aploide, ovvero di un solo cromosoma per tipo. La cromatina visibile nel nucleo cellulare, che rappresenta la massa del DNA quando la cellula svolge le sue normali attività metaboliche, si condensa, in modo che si formano strutture bastoncellari, i cromosomi. Ciascun cromosoma appare a forma di X (stadio di tetrade), poiché è formato da due cromatidi fratelli, uniti in un punto detto centromero. I cromatidi derivano da un processo di duplicazione del DNA; pertanto, ciascuno è geneticamente identico all’altro. In questa fase, possono avvenire scambi di frammenti di cromosoma tra i cromatidi dei due cromosomi omologhi, fenomeno che prende il nome di crossing-over e di fondamentale importanza per il mantenimento della variabilità genetica tra individui della stessa specie. La membrana che avvolge il nucleo si disgrega. Si forma un fascio di microtubuli proteici (fuso), che si estende da un polo all’altro della cellula e le cui due estremità fanno capo a due coppie di organuli, detti centrioli. Le tetradi omologhe si dispongono simmetricamente lungo una immaginaria linea equatoriale, trasversale rispetto al fuso. In tal modo, ciascuna è rivolta verso uno dei due poli della cellula. Le fibre del fuso prendono contatto con i centromeri; ciascuna tetrade migra verso un polo della cellula. Ai due poli della cellula madre si formano due agglomerati di cromosomi aploidi, in cui è presente un solo cromosoma per ciascun tipo. I cromosomi sono ancora allo stadio di tetrade. Il citoplasma delle due cellule si ripartisce e avviene la citodieresi, ossia la vera e propria divisione della cellula originaria in due cellule figlie distinte (in alcuni casi, questa ripartizione può essere incompleta). Le fibre del fuso si disgregano; i cromosomi si despiralizzano. Nella seconda divisione meiotica, in modo analogo alla mitosi, i cromatidi di ciascuna tetrade si separano e si ripartiscono in due cellule figlie. Spesso la seconda divisione meiotica avviene immediatamente dopo la prima divisione. Le due cellule che ne derivano risultano anch’esse aploidi. La cromatina si condensa nuovamente, in modo che si possono osservare i cromosomi, formati da due cromatidi uniti dal centromero. Si forma nuovamente il fuso di microtubuli. I cromosomi si dispongono su una linea equatoriale, trasversale rispetto alle fibre del fuso, in modo che ciascun cromatidio sia rivolto verso uno dei due poli della cellula. I centromeri prendono contatto con le fibre. I cromatidi migrano ciascuno verso un polo della cellula, spostandosi verso le fibre del fuso. In tal modo, ciascun cromatidio diviene un nuovo cromosoma. Ai poli della cellula, si formano due aggregati di cromosomi. Le fibre del fuso si disgregano, i cromosomi cominciano a decondensarsi, e si forma infine una membrana nucleare. Il citoplasma della cellula si ripartisce in due, così da portare alla formazione di due cellule figlie aploidi. Da un punto di vista genetico, la meiosi assume una grande importanza perché rappresenta il modo con cui possono formarsi nuove combinazioni di geni e, quindi, rende possibile la variabilità genetica tra individui di una stessa specie. Infatti, già con il crossing-over, ovvero con lo scambio di porzioni di DNA tra cromatidi di due cromosomi omologhi, al momento della profase I, avviene una prima modificazione dell’assortimento di geni rispetto a quello della cellula madre. Inoltre, occorre considerare che la divisione dei due cromosomi omologhi (allo stadio di tetrade) durante la fase di anafase I avviene in modo casuale: ciò significa che non è prestabilito il polo della cellula verso cui migrerà ciascun cromosoma. Dunque, a partire da una cellula madre, si formano con la prima divisione meiotica due cellule aploidi che sono geneticamente differenti tra loro e diverse da qualsiasi altra coppia di cellule che derivano dalla stessa cellula madre. La diversità genetica riguarda, precisamente, gli alleli presenti nel patrimonio di un individuo; in altri termini, ciò che è suscettibile di variazioni non è il numero di cromosomi o il numero di geni presenti (caratteristiche che devono restare costanti perché tipiche della specie), ma il tipo di allele che, per ciascun carattere, ciascuna cellula figlia può ereditare. La variabilità genetica, assicurata anche dai meccanismi di mutazione spontanea, assume un ruolo essenziale nei processi evolutivi, secondo il concetto di selezione naturale. Il metabolismo cellulare Con tale termine si indicano i continui processi, sia chimici che fisici, cui è soggetto il protoplasma e che danno luogo al continuo scambio di energia e di sostanze tra l'ambiente esterno e la cellula stessa. Si distingue: a) anabolismo cellulare, in cui si comprendono tutti i processi per mezzo dei quali la cellula si arricchisce di sostanze vitali per essa e immagazzina complesse molecole chimiche fondamentali per la sua evoluzione e per il suo trofismo; b) catabolismo cellulare, con cui si intendono tutti i processi distruttivi cui vanno incontro le molecole chimiche precedentemente immagazzinate; distruzione che porta alla formazione di energia con conseguente eliminazione dei rifiuti. Tutti questi processi si possono raccogliere sotto un comun denominatore: ricambio cellulare. L'assunzione di particelle solide avviene per mezzo della fagocitosi. Tale proprietà venne studiata per la prima volta sui leucociti di un mollusco da Haeckel, nel 1862, e consiste nella emissione di pseudopodi (prolungamenti, dovuti ad estroflessioni della membrana cellulare) o di membranelle ondulanti, per cui il materiale da inglobare viene circoscritto da tali prolungamenti ed infine inglobato entro il citoplasma. In base alle proprietà fagocitanti, le cellule sono state distinte in macrofagi e in microfagi: i primi sono in grado di assimilare cellule batteriche al completo, i microfagi, invece, solo parti corpuscolate o residui di cellule. Entrambi i tipi di cellule fagocitanti sono abbondantemente rappresentati nel corpo umano. Le funzioni a cui tali elementi sono deputati sono: difesa contro i germi e i microorganismi patogeni in genere, eliminazione di pulviscolo atmosferico che attraverso la respirazione perviene negli alveoli polmonari, eliminazione di detriti da organi in via di decomposizione (come avviene per esempio nella metamorfosi di alcuni animali) e infine l'assorbimento dei processi infiammatori. Il meccanismo principale per mezzo del quale la cellula si nutre avviene attraverso l'assorbimento di particelle liquide. A tale riguardo, la membrana cellulare svolge una funzione fondamentale. Essa si comporta infatti, come una membrana semipermeabile, come un filtro, permettendo il passaggio di determinate sostanze e non di altre, anche se con notevole affinità chimica. Si è notato inoltre che la disponibilità ad assorbire della membrana varia a seconda dello stato funzionale in cui essa si trova: per esempio, se la cellula, in un determinato stato, non avrà bisogno di lipidi, pur potendoli assorbire, non li introdurrà, in quanto il suo fabbisogno è per il momento espletato. Ereditarietà dei caratteri Le caratteristiche morfologiche, fisiologiche o psichiche di ogni organismo vivente sono determinate da due fattori: il patrimonio genetico ricevuto in eredità dai genitori e l’influenza ambientale. Il primo determina i cosiddetti “caratteri ereditari” ossia da un lato l’insieme delle caratteristiche generali che definiscono una determinata specie e dall’altro i numerosi caratteri che differenziano tra loro individui della stessa specie come ad esempio il colore degli occhi, il gruppo sanguigno ecc. nell’uomo La trasmissione dei caratteri ereditari obbedisce alle leggi formulate da G. Mendel verso la fine del XIX secolo. La conclusione principale a cui giunse Mendel è che il patrimonio genetico di ogni essere vivente, ossia il suo “genotipo”, è composto dalla successione di coppie di elementi, detti “geni”, che l’individuo riceve dai genitori al momento della fecondazione tramite le cellule seminali. Ogni coppia di geni stabilisce funzioni e proprietà di un dato organo (ad esempio il colore degli occhi) mentre ogni gene della coppia è responsabile della manifestazione di un carattere specifico (ad esempio il colore azzurro degli occhi). L’insieme dei caratteri mostrati dall’individuo, ossia il suo “fenotipo”, è il risultato della “competizione” che si stabilisce in ogni coppia tra i due geni preposti alla medesima funzione. Quando una coppia contiene due geni identici l’individuo manifesta il carattere trasmesso da entrambi i geni. Se invece sono presenti geni contrapposti, l’individuo manifesta solo il carattere del cosiddetto “gene dominate”. L’azione del secondo gene, detto recessivo, risulta dunque mascherata. Un carattere recessivo si manifesta quindi solo negli individui in possesso di un genotipo recessivo puro. Questo spiega perché un carattere recessivo si manifesta in genere con minor frequenza rispetto al corrispondente carattere dominate. D’altra parte, due genitori del fenotipo dominante possono generare figli che mostrano viceversa il carattere recessivo. Ad esempio incrociando due piante di pisello giallo si possono ottenere piante di pisello verde, un colore recessivo rispetto al primo. Questo accade quando entrambi i genitori possiedono un genotipo misto, avente cioè sia il gene dominante che quello recessivo. Al momento della fecondazione, ogni genitore trasmette al figlio un solo gene, in questo caso dominante o recessivo. Ogni gene è trasmesso con uguale probabilità per cui se il figlio riceve dai entrambi i genitori il gene recessivo, cosa che accade con una probabilità di uno su quattro, mostrerà il carattere che nella generazione dei genitori risulta invisibile. Infine l’osservazione, sempre dovuta a Mendel, che i vari caratteri ereditari non sono in genere correlati tra loro, ad esempio il carattere della buccia liscia o rugosa si trasmette in modo indipendente dal colore di essa, completa il quadro scientifico sull’ereditarietà dei caratteri. E’ opportuno tuttavia osservare che il quadro precedente è influenzato da vari fattori che ostacolano in genere la verifica diretta delle leggi di Mendel. Tra tutti ricordiamo il fenomeno della dominanza incompleta o lo presenza di caratteri determinati da un numero di geni maggiore di due. Questo si verifica ad esempio nell gruppo sanguigno dell’uomo che può presentare i fenotipi A, B, AB o 0 e che viene determinato da tre geni distinti caratterizzati da definiti rapporti di dominanza o condominanza (due geni che contribuiscono in modo paritario al fenotipo). TESSUTO Esempio di tessuto animale: tessuto nervoso. In biologia si definisce tessuto un insieme di cellule simili per struttura e funzione. Costituisce un livello superiore di organizzazione cellulare, deputato a svolgere un ruolo determinante all'interno di un organismo, e presente solo negli Animali e nelle Piante (in forma solo abbozzata nei Poriferi e nelle Briofite). Negli animali superiori, spesso più tessuti diversi si associano tra di loro a formare strutture ulteriormente organizzate, gli organi. Un tessuto, nell'accezione corrente è un solido, ma può essere ugualmente un fluido. Il sangue e la linfa sono anch'essi, dal punto di vista anatomico, tessuti. La scienza che studia i tessuti è chiamata istologia, ed una importante branca della medicina e della biologia. Lo studio dei tessuti a scopo prettamente diagnostico, invece, prende il nome di Anatomia patologica. Lo strumento classicamente più utilizzato per studiare i tessuti è il microscopio ottico; in tempi recenti, tuttavia, si è andato affermando sempre di più l'uso del microscopio elettronico, dell'immunochimica (l'utilizzo di anticorpi appositamente trattati che si legano ai diversi componenti cellulari, permettendone l'identificazione), e di tecniche di biologia molecolare e di genetica. Tessuti animali Esistono quattro tipi fondamentali di tessuti presenti in tutti gli animali, dall'uomo ai più semplici invertebrati. Questi tessuti sono a loro volta suddivisi in sotto-tipi, più specializzati, e, negli animali superiori, vanno a costituire i diversi organi. I quattro tessuti fondamentali sono: • il tessuto epiteliale, o epitelio, costituito da cellule strettamente ammassate e connesse tra loro, che costituisce il rivestimento di tutte le superfici esterne ed interne del corpo, dei vasi sanguigni, e che forma le ghiandole. • il tessuto connettivo, costituito da cellule di forma varia, caratterizzate dalla presenza di una abbondante sostanza intercellulare (o matrice) tra di esse. Come suggerisce il nome, la funzione primaria di questo tessuto è quella di connettere, sia strutturalmente che funzionalmente, gli altri tessuti e gli organi. Comunque, il tessuto connettivo si differenzia in numerosi sottotipi, che esplicano a loro volta funzioni molto varie. Alcuni esempi di questi sotto-tipi, oltre al tessuto connettivo propriamente detto, sono: il tessuto cartilagineo, il tessuto osseo, il tessuto adiposo ed il sangue. • il tessuto muscolare, costituito da cellule conteneti numerosi filamenti contrattili, capaci di scorrere fisicamente gli uni sugli altri e di cambiare la forma delle cellule stesse. Il tessuto muscolare permette il movimento dell'organismo, e la contrazione involontaria di diversi organi o apparati. Si divide in tre sotto-tipi: il muscolo striato (o scheletrico), il muscolo liscio ed il muscolo cardiaco. • il tessuto nervoso, costituito sia da cellule ricche di prolungamenti e facilmente eccitabili (i neuroni), capaci di ricevere e ritrasmettere gli impulsi nervosi, sia da cellule di più varia forma e funzione, le cellule della glia (o nevroglia). Insieme, queste cellule costituiscono il cervello ed il sistema nervoso. Tessuti vegetali I tessuti vegetali si distinguono in tre tipi fondamentali: • il tessuto tegumentale, che ha funzioni di rivestimento e di protezione. • il tessuto parenchimatico, che è il più diffuso e svolge sia funzioni di sostegno che di nutrimento per l'intera pianta. • il tessuto vascolare, che permette il trasporto a breve e a lunga distanza delle soluzioni e dei nutrienti all'interno della pianta, ed è costituito da due sottotipi: lo xilema ed il floema. Organo L'organo è l'unità definibile morfologicamente, costituita dall'associazione di tessuti che svolgono funzioni tra loro integrate. L'organo fa parte, ed opera, in un apparato o sistema, che riunisce organi differenti e che permette lo svolgersi in maniera coordinata del complesso di funzioni di più organi. Ad una relativa semplicità organizzativa presentata dagli organi presenti nelle Piante, fa riscontro una maggiore complessità con differenziazione di numerosi tipi di organi nel regno animale, l'organizzazione di tessuti in organi si realizza negli organismi pluricellulari a partire dal phylum dei Platelminti e raggiunge i maggiori livelli di complessità nei vertebrati superiori. L'organizzazione di tessuti in organi inizia nel periodo di sviluppo embrionale al termine della gastrulazione, e continua attraverso il processo di organogenesi che consiste nell'organizzazione spaziale, nella moltiplicazione e nella differenziazione di cellule derivanti dai tre diversi foglietti embrionali. Il processo di organogenesi assume caratteri specifici per ciascun organo ed è caratterizzato dall'integrazione fra differenziamento cellulare ed interazioni fra popolazioni cellulari. Anomalie di tale processo si possono tradurre in malformazioni con diversa rilevanza funzionale a seconda dell'organo coinvolto, sia che tali anomalie interessino le popolazioni di cellule indifferenziate che in via di differenziazione. Dal punto di vista strutturale, gli organi si distinguono in organi cavi e organi solidi. I primi sono costituiti da pareti che racchiudono un lume, idoneo ad accogliere un contenuto, mentre i secondi mancano di una cavità principale, con i tessuti organizzati in strutture compatte. LE LEGGI DI KEPLERO PRIMA LEGGE L'orbita descritta da un pianeta è un ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi. SECONDA LEGGE Il raggio vettore che unisce il centro del Sole con il centro del pianeta descrive aree uguali in tempi uguali. TERZA LEGGE I quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite.