mantenere l’ordine era quella dell’esercito. Da questo ci si aspettava, dunque, sia l’arricchimento delle casse dello Stato, sia il mantenimento della pace politica e della tranquillità interna. Era quindi evidente che chi avesse conquistato la fiducia dell’esercito si sarebbe di fatto trovato alla guida della Francia. L’età napoleonica La Francia nel 1789 Conquiste del 1792 (annessi nel 1796) Conquiste del 1793 (annessi nel 1797) Le campagne di Napoleone in Italia (1796-1797) Conquiste tra il 1796 e il 1798 (annessi nel 1802) Nel 1796 il progetto di espansione francese verso est portò il Direttorio a elaborare un duplice piano di attacco all’Austria. Un’armata francese avrebbe attraversato i deboli e divisi Stati tedeschi puntando su Vienna, mentre un’altra armata avrebbe dovuto indebolire l’Austria nei suoi domini italiani penetrando dal Piemonte in Lombardia e nel Veneto. Le truppe francesi che combattevano in Germania furono tuttavia fermate dagli austriaci. Quelle che avevano invaso la Lombardia, il principale dominio austriaco in Italia, ottennero invece importanti vittorie. Alla guida di queste truppe c’era un giovane generale: Napoleone Bonaparte (1769-1821). Napoleone si era già messo in mostra sia combattendo da capitano per conto della Convenzione giacobina contro la ribellione girondina della città di Tolone (1794), sia stroncando – ormai generale – per le vie di Parigi i realisti in marcia contro il Direttorio (5 ottobre 1795). Giovane e molto ambizioso, in quegli anni egli aveva dimostrato sia una certa abilità nel muoversi tra gli intrighi politici della Francia rivoluzionaria, sia una straordinaria autorevolezza e competenza militare, guadagnandosi il profondo rispetto delle truppe a lui affidate. Mentre dunque in Germania l’armata francese rimaneva bloccata, in Italia Napoleone riuscì a mantenere unite le sue forze, inferiori numericamente a quelle austriache, e a manovrare così rapidamente da dividere i reparti nemici. Il 15 maggio 1796 entrò a Milano e poi sconfisse gli austriaci ad Arcole e a Rivoli Veronese (gennaio 1797). Occupate Bologna e Ferrara, strappò allo Stato della Chiesa l’Emilia e la Romagna. In seguito, ormai padrone incontrastato dell’Italia settentrionale, passò le Alpi e giunse a soli cento chilometri da Vienna, eseguendo alla Territori ceduti all’Austria dopo Campoformio Repubbliche vassalle R E G NO DI G R A N B R E TAG N A Brema Repubblica Batava Londra Berlino Amsterdam Offensive austro-prussiane REGNO DI PRUSSIA Bruxelles Offensive francesi Sbarchi inglesi Parigi Versailles Campagna di Napoleone Oceano Vittorie francesi Sconfitte francesi Nantes Atlantico IMPERO GERMANICO Paesi Bassi Austriaci Valmy Praga Metz I M P E R O Monaco REPUBBLICA FRANCESE Lione Bordeaux D’ A U S T R I A Repubblica Elvetica Savoia Piemonte Torino Avignone Pavia Rep. Ligure Rep. Cisalpina Venezia IMPERO OTTO MANO Toscana Corsica Barcellona Rep. Romana Roma REGNO DI SARDEGNA Mar e Campoformio Milano Marsiglia Tolone R E G NO D I S PAG N A Vienna Napoli Repubblica Napoletana Me di t e r ran e o REGNO DI SICILIA La politica di espansione francese fino al 1797 5.1 I primi successi di Napoleone Bonaparte L’importanza dell’esercito per il controllo della Francia rivoluzionaria Con la Costituzione moderata del 1795 la borghesia francese sperava di dare pace e stabilità al paese dopo gli eccessi del periodo del Terrore. Tuttavia non mancavano problemi e gravi tensioni. La situazione economica era così grave che il Direttorio decise di impegnare l’esercito in nuove guerre in Germania e in Italia per conquistare territori e depredarne le ricchezze (attraverso l’imposizione di tasse e di relazioni commerciali vantaggiose per le imprese francesi). All’interno, intanto, si susseguivano sollevazioni da parte dei democratici, eredi dei giacobini, o da parte dei nostalgici della monarchia. Era quindi possibile che si ripetessero nuovi conflitti civili e che una parte politica prendesse il sopravvento sulle altre avviando un nuovo periodo di stragi e violenze. In questa situazione l’unica forza sulla quale il Direttorio poteva contare per Il passaggio del ponte d’Arcole durante la campagna napoleonica del 1796, Versailles, Musée National du Château. La firma del Trattato di Campoformio fra Francia (rappresentata da Napoleone) e l’Austria (rappresentata da Cobentzel) nel 1797. perfezione il piano anti-austriaco originario e costringendo il nemico a chiedere la pace. Il 17 ottobre 1797 Napoleone firmò con l’Austria il trattato di Campoformio. L’Austria cedette alla Francia il Belgio, ampi territori in Germania sulla riva sinistra del Reno e la Lombardia. In cambio, agli austriaci fu permesso di occupare la Repubblica di Venezia, l’Istria e la Dalmazia. Napoleone guadagnò molta fama tra i francesi e cominciò la sua inarrestabile carriera politica. Nel perseguire questi obiettivi, egli agì con un ampio margine di indipendenza rispetto al Direttorio (fu lui, infatti, a condurre le trattative con l’Austria). Le «Repubbliche giacobine» La sconfitta degli austriaci suscitò grandi speranze nei patrioti italiani che sull’onda delle prime vittorie francesi, avevano fondato alcune repubbliche che si ispiravano al modello di quella francese (e che per questo vennero dette dai loro avversari politici conservatori «Repubbliche giacobine»). © Loescher Editore – Torino 124 1750 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 125 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Nel novembre 1797 Napoleone rientrò in Francia, ma il predominio francese nella penisola continuò a rafforzarsi. Nel febbraio 1798 i francesi imposero nello Stato della Chiesa la Repubblica Romana: papa Pio VI – già nemico della Costituzione civile del clero francese – fu arrestato e trasferito prima in Toscana e poi in Francia, dove morì nel 1799. Nel gennaio 1799, dopo che il Regno di Napoli si era unito a una nuova coalizione anti-francese e aveva attaccato la Repubblica Romana, i francesi sconfissero le truppe di re Ferdinando IV e proclamarono la Repubblica Partenopea . L’Italia «liberata» dai francesi L’ingresso delle truppe francesi a Napoli, 1799, Parigi, Bibliothèque Nationale. cispadana: «che si trova al di qua della pianura padana». cisalpina: «che si trova al di qua delle Alpi». G. de Prenner, Il cardinale Tommaso Ruffo, Napoli, Museo di San Martino. Tweet Storia p. 358 Nel dicembre 1796 a Reggio Emilia era nata la Repubblica Cispadana comprendente Emilia e Romagna (ad esclusione di Parma e Piacenza), che aveva adottato una bandiera tricolore ispirata a quella francese, con la banda verde al posto di quella blu. Nel giugno 1797, dopo la definitiva sconfitta austriaca, erano sorte in Lombardia la Repubblica Cisalpina (che presto fece corpo unico con i territori della Repubblica cispadana, comprendendo quindi Lombardia, Emilia e Romagna) e a Genova la Repubblica Ligure. A sostenere i nuovi governi in questi Stati era una parte della borghesia illuminata e ricca delle città, che vedeva nella Francia rivoluzionaria una speranza di cambiamento e libertà. Ostili al nuovo ordinamento erano ovviamente i nobili, il clero e una parte crescente della popolazione rurale. Nonostante il loro appellativo, le «Repubbliche giacobine» si basarono quasi tutte su Costituzioni che imitavano quella francese del 1795. Erano dunque repubbliche moderate, che difendevano la proprietà e i diritti della borghesia. Tuttavia esse recepivano dalla Francia l’abolizione dei privilegi della nobiltà e del clero (di cui si cominciò a requisire e vendere i beni), ma erano guidate, nei ruoli chiave dell’amministrazione e del governo, da uomini graditi ai francesi. Il vero scopo delle campagne napoleoniche era chiaro: sottomettere alla Francia terre straniere e imporre loro le tasse e l’obbligo di fornire soldati all’esercito dei conquistatori (seppur introducendo in qualche campo nuove libertà e modernizzazioni). Negli anni successivi al trattato di Campoformio, l’Italia era di fatto stata sottomessa al dominio francese . A parte la ex Repubblica di Venezia (sotto dominio austriaco), i territori della penisola erano dunque o direttamente governati da Parigi (come l’ex regno dei Savoia o la Toscana) o sottoposti al rigido controllo francese (come le «Repubbliche giacobine»), pur restando formalmente indipendenti. Ai Savoia, cacciati dal Piemonte, restava solo la Sardegna, ai Borboni la Sicilia. Nei territori sottomessi alla loro influenza (definiti «Repubbliche sorelle») i francesi introdussero Costituzioni repubblicane e stimolarono in qualche misura la partecipazione al governo di intellettuali e patrioti italiani. I privilegi feudali della nobiltà furono cancellati, furono confiscate le proprietà della Chiesa e furono proclamate la libertà di pensiero e di stampa. Ma a causa delle tasse e dell’arruolamento obbligatorio di migliaia di giovani le «Repubbliche sorelle» finirono per impoverirsi: scoppiarono frequenti rivolte, sempre represse con la forza. Queste rivolte si indirizzarono, inevitabilmente, anche contro le nuove classi dirigenti italiane, colpevoli di mantenersi al potere con l’appoggio francese. Si rivelava così l’estrema fragilità delle Repubbliche appena nate e con scarso seguito popolare. Le ribellioni furono particolarmente diffuse ed ebbero in parte successo nel periodo tra 1798 e 1799, quando una Seconda coalizione europea anti-francese (la prima era quella creatasi nel 1793) portò i dominatori a subire importanti sconfitte in Italia settentrionale. Nella pianura padana si ebbero le prime «insorgenze» popolari, ma a Napoli i contadini formarono una vera e propria armata, detta «armata della Santa Fede» (i suoi membri erano detti «sanfedisti»), guidata dal cardinale Fabrizio Ruffo. I sanfedisti abbatterono la Repubblica e consentirono il ritorno del re, che procedette a una feroce repressione in cui caddero vittime patrioti come Mario Pagano (estensore della Costituzione più democratica tra quelle italiane), Vincenzo Russo, Francesco Caracciolo. Lo scrittore politico Vincenzo Cuoco scrisse nel 1801 un Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, in cui denunciava i limiti del tentativo dei patrioti «giacobini» di guidare i loro Stati senza essere riusciti a ottenere il consenso delle masse. L’esperienza politica delle Repubbliche giacobine fu un vero laboratorio politico (con circoli, salotti, giornali in piena attività) in vista della successiva lotta per l’indipendenza dell’Italia. La classe dirigente intellettuale e politica, che in parte sopravvisse a quel periodo, si divise in moderati riformatori (come Melchiorre Gioia, attivo a Milano) e in rivoluzionari più radicali (come Filippo Buonarroti, già protagonista in Francia della «congiura degli eguali», Giovanni Ranza e il già citato Vincenzo Russo). Inoltre si misurò per la prima volta con la difficoltà di sposare le aspirazioni popolari e con i pericoli di un sostegno straniero nella lotta contro i dominatori austriaci. L’Italia sottomessa alla Francia Domini diretti «Repubbliche sorelle» 5.2 Dalla spedizione in Egitto al colpo di Stato del 1799 Napoleone in Egitto e la Seconda coalizione antifrancese (1798-1799) Nel frattempo, sconfitta l’Austria, il Direttorio decise di colpire il Regno Unito nei suoi possedimenti coloniali. La Francia progettò quindi di conquistare l’Egitto per ottenere il controllo sul Mar Rosso e danneggiare i collegamenti degli inglesi con i possedimenti in India. La guida della spedizione fu affidata a Napoleone, che fu così allontanato da Parigi e dalla Francia, dove la sua popolarità cominciava a renderlo un temibile avversario politico del Direttorio. Nel luglio 1798 Napoleone sconfisse l’esercito egiziano dei Mamelucchi, una dinastia legata agli ottomani, e occupò il Cairo. Ma la flotta inglese, guidata dall’ammiraglio Horatio Nelson, sorprese e distrusse ad Abukir le navi francesi che dovevano rifornire l’esercito di uomini e provviste. Napoleone si vide così costretto a proseguire la sua avanzata fino in Siria, ma la sua impresa rischiava di intrappolarlo lontano dall’Europa. I primi successi francesi in Egitto provocarono la reazione di molte potenze europee, preoccupate anche per la crescente supremazia della Francia sull’Italia. Come abbiaLa campagna di Napoleone in Egitto (1798-1799) San Giovanni d’Acri Ag os to 17 98 Ag os B to o locc 17 9 n le ava els di N on Ex Regno dei Savoia e Toscana Mare Mediterraneo Gaza Abukir Rosetta 1750 Nazareth Gerusalemme Mar Morto Siria El Salhiya El Arish Heliopolis Il Cairo Piramidi E g i t t o S i n a i Vittorie francesi Sconfitta francese Asyut © Loescher Editore – Torino 126 Giaffa 9 Alessandria Repubblica Cisalpina, Repubblica Ligure, Repubblica Romana, Repubblica Partenopea L’età napoleonica Nilo 2 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 127 2 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Campagna napoleonica in Egitto: alcuni soldati dell’esercito francese che si aggirano tra imponenti rovine. A. Appiani, Napoleone Primo console, 1803, Bellagio, Villa Melzi, collezione Gallarati Scotti. plebiscito: consultazione diretta del popolo, chiamato a pronunciarsi su specifiche scelte. mo già accennato, si formò dunque una Seconda coalizione antifrancese, formata da Inghilterra, Austria, Russia, Svezia, Turchia e, dopo il crollo della Repubblica Partenopea nel luglio del 1799, dal Regno di Napoli. Senza la guida di Napoleone, trattenuto in Egitto, l’esercito francese fu sconfitto più volte in Italia settentrionale dall’esercito russo comandato dal generale Aleksander Suvorov e fu sul punto di perdere le conquiste nella penisola. Nell’aprile del 1799 gli austro-russi entrarono a Milano e nel mese di maggio occuparono Torino, suscitando l’entusiasmo delle vecchie classi dirigenti e di ampi strati della popolazione rurale. Il colpo di Stato del 18 brumaio p. 216 triumvirato: gruppo di tre persone ai quali è affidato il potere politico. p. 314 Il 9 ottobre 1799 Napoleone fece ritorno in Francia, preceduto da una campagna di stampa che esaltava le sue vittorie in Egitto (in realtà molto parziali). Accolto come un salvatore, approfittò del forte consenso popolare e della situazione di pericolo per attuare, appoggiato dall’esercito, dalla borghesia e da una minoranza dei membri del Direttorio, un colpo di Stato. Il 18 brumaio (9 novembre 1799), dopo che i deputati del Consiglio sfavorevoli a questa svolta furono dispersi da un reparto dell’esercito, i restanti deputati deliberarono, vista la situazione eccezionale del paese, di affidare pieni poteri a un triumvirato , formato da Napoleone, Sieyès e Roger Ducos, i due membri del Direttorio che sostenevano il generale vittorioso. Si decise anche di istituire due commissioni che avrebbero redatto una nuova Costituzione. La nuova legge fondamentale (detta «dell’anno VIII») entrò in vigore già nel 1799 e poi fu approvata con un plebiscito nel 1800. Essa conferiva i pieni poteri, per dieci anni, a tre «consoli». Tra questi, Napoleone ebbe il titolo e la funzione suprema di «Primo console». [Testimonianze documento 4, p. 149] Il Primo console esercitava il potere esecutivo: sceglieva i ministri e i funzionari pubblici, i «prefetti», incaricati di dirigere i dipartimenti (si riaffermava quindi una struttura amministrativa fortemente accentrata, sotto il rigido controllo del governo) ed era il solo a proporre le leggi. Il potere legislativo veniva affidato a un insieme di tre Camere: Senato, Tribunato e Corpo legislativo. A tutti i cittadini maschi si garantiva il diritto di voto per eleggere le Camere: un’apertura democratica solo apparente, dal momento che essi potevano semplicemente indicare delle «liste dei notabili», dalle quali erano poi i consoli (sempre con la preminenza di Napoleone) a scegliere i membri del corpo legislativo. Anche il potere giudiziario era posto sotto controllo del governo: i consoli stessi sceglievano i giudici, i quali mantenevano come unica garanzia di autonomia l’impossibilità di essere trasferiti dalle loro sedi. Con questa riforma Napoleone diventava un vero e proprio dittatore, con un assoluto controllo su tutti i poteri dello Stato. Dopo i lunghi anni della Rivoluzione la Francia sceglieva dunque la via della stabilità e seguiva Napoleone nel suo progetto di condurre la nazione con il pugno di ferro (a Parigi furono chiusi 60 giornali su 73) e di proiettarla all’esterno con un’efficace (e lucrosa) politica di potenza. A Napoleone i francesi affidavano da un lato il compito di concludere la Rivoluzione, dall’altro quello di raccoglierne i frutti: uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, partecipazione di tutti al bene supremo della nazione, affermazione dell’autorità superiore delle leggi contro l’arbitrio dei privilegi tipico dell’Ancien régime. Lo Stato napoleonico Lo strumento di potere più importante per Napoleone era la rete, da lui costruita e di- retta personalmente, dei prefetti. Essi eseguivano fedelmente le direttive del governo centrale ed esercitavano, con ampi poteri personali, il controllo su ogni aspetto della vita delle province, compreso il controllo di polizia sulle opposizioni politiche. Certo della saldezza del suo regime, Napoleone provvide a dare impulso ad alcune riforme che sapeva gradite alla borghesia e che andavano a tutto vantaggio dello Stato. Si può infatti affermare che la presenza e l’autorevolezza dello Stato, inteso in senso moderno, fu proprio la principale eredità che il regime napoleonico lasciò, come modello, alla politica europea. Fin dall’agosto del 1800 venne creata una commissione che provvedesse, come da tempo richiesto dai cittadini, alla stesura di un nuovo, completo e unico Codice civile. Un altro campo di rapido ed efficace intervento fu la riforma dell’istruzione, sia di base che avanzata. Vennero istituiti i licei, per dare le basi umanistiche e scientifiche della futura classe dirigente, e furono rafforzate le università e gli istituti di formazione superiore. Tra questi fu dato particolare prestigio all’École Polytechnique, per la formazione di ingegneri militari e civili, che nei decenni successivi si sarebbero poi dedicati ad arricchire il paese di miniere, ferrovie e altre infrastrutture . Lo Stato si assunse anche responsabilità e poteri nel campo dell’assistenza sociale (controllo e limitazione del numero dei mendicanti) e sanitaria, ormai affidata a strutture pubbliche (ospizi, ospedali) in sostituzione di quelle religiose che per secoli avevano supplito a queste funzioni. I cittadini furono sottoposti a controllo statistico attraverso censimenti che mettevano lo Stato in grado di misurare l’andamento della vita economica e sociale. In ogni aspetto della vita, sia privata sia pubblica, lo Stato diventava protagonista. vincendo la guerra contro la Seconda coalizione anti-francese. Un esercito francese tentò di nuovo, come nel 1796, di avanzare in Germania, mentre lo stesso Napoleone guidò la spedizione che riteneva più importante, verso l’Italia. Nel maggio del 1800 egli passò le Alpi al passo del Gran San Bernardo e piombò sulle forze austriache rimaste sole dopo il ritiro dell’esercito russo voluto dallo zar Paolo I. Gli austriaci furono aggirati, Napoleone entrò all’inizio di giugno a Milano e poi sconfisse il nemico a Marengo, nei pressi di Alessandria. Gli austriaci si ritirarono e finirono per chiedere la pace. Subito rinacquero la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Ligure, anche se la politica francese, già ambigua e orientata al controllo e allo sfruttamento tra 1797 e 1798, con Napoleone al potere divenne ancora più rigida nei confronti delle «Repubbliche sorelle». Inoltre, per volontà del Primo console, la Toscana divenne «Regno d’Etruria» e fu concessa a Ludovico di Borbone, sposo dell’erede al trono di Spagna Maria Luisa. 1750 infrastrutture: il complesso dei servizi e degli impianti necessari allo sviluppo sociale ed economico di un paese La vittoria contro la Seconda coalizione In breve tempo il regime napoleonico si consolidò, anche grazie alla vittoria sugli ultimi fuochi della rivolta in Vandea, alla repressione dei monarchici e all’esilio dei capi giacobini più pericolosi. Tuttavia, Napoleone doveva dimostrare di essere una sicura guida per la nazione J.-L. David, Napoleone al passo del San Bernardo, 1800-1801, Rueil-Malmaison, Musée National du Château de Malmaison. © Loescher Editore – Torino 128 L’età napoleonica © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 129 2 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni L’Austria, battuta anche in Germania, firmò la pace di Lunéville (febbraio 1801) e cedette la riva orientale del Reno e l’Italia settentrionale. In seguito accettarono accordi vantaggiosi per la Francia anche la Russia e la Turchia. Il Regno Unito fu l’ultimo ad accordarsi con Napoleone, ma nel marzo 1802, per non disperdere le proprie energie in una guerra solitaria e per difendere i propri interessi commerciali, Londra accettò di firmare la pace di Amiens: la Francia si vedeva riconosciute le conquiste in Europa, mentre l’Egitto tornava sotto controllo turco. L’opera di riforma interna: il concordato e il completamento del Codice civile Dossier 10 p. 346 Tweet Storia p. 358 Tornato nuovamente in patria da trionfatore, Napoleone proseguì nella sua opera di pacificatore sociale e riformatore. Un primo obiettivo fu la pacificazione religiosa, dopo gli anni della contrapposizione tra Rivoluzione e Chiesa cattolica. Nel luglio 1801 fu firmato un concordato con Roma: il nuovo papa Pio VII (1800-1823) riconosceva la Repubblica francese e l’acquisizione dei beni della Chiesa in Francia. I vescovi furono sostituiti con uomini scelti da Napoleone e consacrati dal papa. In cambio, il cattolicesimo veniva riconosciuto come la religione della maggioranza del popolo francese e il suo clero sarebbe stato mantenuto a spese dello Stato. Napoleone regolò anche la posizione dei pastori luterani e calvinisti, ai quali garantì, come funzionari dello Stato, uno stipendio pubblico. Il 2 agosto 1802 Napoleone fu proclamato «console a vita» e il Senato deliberò il suo diritto di scegliere il proprio successore e nominare nuovi membri del Senato. Intanto prendeva corpo il nuovo Codice civile, destinato a diventare anch’esso un modello per le legislazioni europee. Nel marzo 1804 il nuovo testo unico delle leggi civili fu emanato, diventando il simbolo dell’opera riformatrice napoleonica. Il Codice civile ordinava tutte le questioni relative alla proprietà dei beni (eredità, contratti, donazioni, rapporti commerciali, contratti di lavoro) e a tutte le questioni relative al diritto di famiglia (regolamento del matrimonio come atto civile – e quindi non più affidato solo alla Chiesa –, divorzio , statuto giuridico e quindi diritti e doveri dei coniugi e dei figli). D10 Tre novità importanti erano la possibilità anche per la moglie di chiedere il divorzio e il diritto all’eredità anche dei figli minori e delle femmine al pari dei maschi. Il Codice civile e le altre riforme di Napoleone gli fecero guadagnare presso molti intellettuali europei la fama di illuminato legislatore, di uomo di buon governo e di efficiente amministratore dello Stato. J.-J. Avril, La firma del concordato del 15 luglio 1801, Parigi, Bibliothèque Nationale. Pio VII, XIX secolo, Recanati, Pinacoteca Civica. 5.3 L’apogeo di Napoleone Bonaparte Napoleone «imperatore dei francesi» Tra 1802 e 1804 Napoleone concepì sempre più la sua funzione come quella del supremo garante del rapporto diretto tra lo Stato e i cittadini. Tutte le innovazioni costituzionali erano infatti state approvate tramite plebisciti (anche quando Napoleone era divenuto «console a vita» nel 1802), che rappresentavano ormai l’unica formula attraverso la quale si esprimeva a grandissima maggioranza un consenso popolare scontato e sempre motivato dal gradimento della nazione nei suoi confronti. Era dunque aperta la strada per l’assunzione di pieni poteri personali in quanto principe eletto, scelto e voluto dal popolo. Il 4 aprile 1804 il Senato approvò una solenne risoluzione con la quale il governo della Repubblica veniva affidato a un «imperatore dei francesi». La strada che portava definitivamente lontano dall’idea di una investitura divina del potere dei re era compiuta, ma al sovrano assoluto si sostituiva non un complesso e equilibrato sistema di cariche istituzionali, ma un uomo che avrebbe rappresentato l’incarnazione della volontà generale. Napoleone, quindi, si presentava alla nazione come l’unico sicuro interprete della volontà prevalente e del bene comune. Nel plebiscito che doveva approvare l’importante novità si ebbero oltre tre milioni e mezzo di «sì» contro poco più di 2500 «no». E il 2 dicembre 1804, nella cattedrale di Nôtre Dame a Parigi, alla presenza di papa Pio VII, Napoleone fu solennemente incoronato. A Le leve del potere erano saldamente nelle mani del sovrano e dei suoi fedelissimi. Il controllo di polizia su ogni forma di opposizione era saldamente organizzato e diretto da Joseph Fouché, un abile ex giacobino passato al fianco di Napoleone. Lo Stato faceva sentire la sua presenza capillare attraverso i prefetti. L’economia godeva della protezione delle autorità, che attraverso i progressi della politica di espansione e investendo denaro nelle infrastrutture e nelle ingenti forniture per l’esercito sempre in guerra garantiva guadagni alla borghesia più intraprendente. [ I NODI DELLA STORIA p. 138] J.-A. Ingres, Napoleone sul trono imperiale, 1806, Parigi, Musée de l’Armée. La guerra come forma di finanziamento dello Stato La guerra rappresentava per la Francia di Napoleone sia un inevitabile impegno per difendere il paese dai suoi nemici sia una fonte di entrate per le casse statali e per i venditori di forniture militari. L’esercito francese era ormai divenuto un esercito permanente basato sull’arruolamento stabile di circa 500.000 uomini, con un ricambio di oltre 100.000 nuove reclute ogni anno. La carriera militare era uno dei canali privilegiati per migliorare la propria posizione sociale e per guadagnare meriti che facilitassero l’ingresso nell’amministrazione pubblica. © Loescher Editore – Torino 130 1750 L’età napoleonica Album p. 140 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 131 2 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Mantenere una simile forza comportava una spesa enorme che Napoleone non poteva sostenere aumentando le tasse, già alte, sulle proprietà terriere e immobiliari. Le uniche imposte che furono reintrodotte (e presto aumentarono) dai tempi dell’antico regime furono quelle indirette, per esempio sul tabacco e sul sale. Ma anche questo non bastava. Dunque la Francia napoleonica si trovò, tra 1804 e 1813 in quasi permanente stato di guerra perché ormai solo con le campagne militari era possibile finanziare l’esercito (che operava requisizioni nei territori invasi) e incamerare le risorse necessarie al funzionamento dello Stato. La vittoria contro la Terza coalizione antifrancese L’equilibrio di forze in Europa dopo il 1802 non poteva mantenersi stabile, perché la Francia aveva bisogno di estendere costantemente i territori sottomessi, cosa che ovviamente suscitava i costanti timori delle potenze continentali. Da parte sua, l’Inghilterra desiderava avere mano libera sui mercati europei e sapeva di costituire il principale ostacolo alle aspirazioni di potenza (anche marittima) francesi. A.-L. Girodet-Trioson, Apoteosi degli eroi francesi morti per la patria durante la guerra per la Libertà, 1802. Nel 1803 Napoleone concepì un piano di invasione dell’Inghilterra e cominciò a radunare truppe a questo scopo, ma l’impresa apparve piena di incognite e fu abbandonata. L’imperatore puntò allora su un accerchiamento navale delle flotte inglesi, guadagnandosi a questo scopo l’appoggio della Spagna. Tuttavia, il 21 ottobre 1805 le flotte francese e spagnola furono sconfitte e distrutte a Trafalgar, presso Cadice. L’ammiraglio inglese Horatio Nelson, che perse la vita nello scontro, riuscì così a togliere alla Francia ogni speranza di guadagnare la supremazia sui mari, che rimase in mani inglesi. Il Regno Unito era da poco riuscito a radunare intorno a sé una Terza coalizione anti-francese (1805), cui si erano unite l’Austria, la Russia, la Svezia e il Regno di Napoli. Tuttavia, negli scontri a terra la superiorità tattica di Napoleone era schiacciante: egli riusciva a manovrare le sue truppe con rapidità e questa guerra di movimento era in grado di rompere il fronte dei suoi avversari. Inoltre, una volta ingaggiato il combattimento, le truppe francesi si rivelavano ben addestrate e molto motivate, oltre a comprendere un certo numero di reparti d’élite – come la Guardia imperiale, formata da La colonna di Nelson a Trafalgar Square, Londra. J.-A. Gros, Napoleone sul campo di battaglia di Eylau il 9 febbraio 1807, 1808, Parigi, Musée du Louvre. S. Weygandt, Girolamo e Caterina, re e regina di Westfalia, 1810, collezione privata. soldati di lunga esperienza – una formidabile cavalleria e ottimi reparti del genio militare . La Terza coalizione fu sbaragliata a Ulm il 20 ottobre 1805 e soprattutto nella grande battaglia di Austerlitz del 2 dicembre successivo. La vittoria contro la Quarta coalizione antifrancese Al principio del 1806 un esercito francese discese nel Regno di Napoli, alleato della Terza coalizione, e costrinse re Ferdinando IV a fuggire in Sicilia sotto la protezione inglese. Il 15 febbraio 1806 Napoleone pose sul trono di Napoli Giuseppe, suo fratello. Era l’inizio di una politica di occupazione dei troni di alcuni paesi d’Europa da parte di parenti e fedeli generali, in modo da legare più fortemente a sé gli sviluppi della politica estera francese. Nel contempo la Prussia, fino ad allora neutrale, decise di organizzare una Quarta coalizione antifrancese perché preoccupata dell’espansione napoleonica negli Stati tedeschi. Ai prussiani si unirono il Regno Unito e la Russia, ma il re Federico Guglielmo III marciò subito contro Napoleone in Baviera e fu sconfitto a Jena e a Auerstedt (ottobre 1806). Napoleone entrò a Berlino da conquistatore, salutato in un primo momento da molti intellettuali tedeschi come un innovatore. La guerra continuò contro la sola Russia, che fu battuta a Eylau (febbraio 1807) e a Friedland (giungo successivo). La Russia ac- cettò quindi la pace di Tilsit e inaugurò, con lo zar Alessandro I, un periodo di prudente collaborazione con la Francia. La Prussia subì le conseguenze più gravi della sconfitta: con i territori ad essa sottratti nacque un Regno di Westfalia affidato a un altro fratello di Napoleone, Gerolamo Bonaparte. La politica familiare: fratelli e parenti al potere in tutta Europa Di vittoria in vittoria, Napoleone andava ridisegnando la carta d’Europa. Egli creò in Germania una «confederazione del Reno», da lui completamente dominata, nella quale fece confluire anche un neonato granducato di Varsavia. Nella nostra penisola, le Repubbliche giacobine vennero accorpate in un «Regno d’Italia» di cui lo stesso Napoleone cinse la corona e che ebbe Eugenio di Beauharnais, figlio della moglie di Napoleone, Giuseppina, come viceré. Nel 1807 la Toscana divenne un granducato annesso all’Impero e affidato alla sorella di Napoleone Elisa. Roma e il Lazio e l’Umbria furono annessi alla Francia, mentre papa Pio VII, in aperto contrasto con Napoleone, fu imprigionato nel 1809. Infine, Luigi, un altro fratello di Napoleone, divenne re d’Olanda. Dopo la pace con la Russia (1807), che riconosceva tutte le conquiste francesi in cambio della propria sicurezza e dell’appoggio alla propria espansione ai danni della Turchia, a Napoleone si opponeva solo il Regno Unito. © Loescher Editore – Torino 132 1750 L’età napoleonica genio militare: il genio è una formazione dedicata al supporto tecnico alle unità combattenti: si occupa dell’apertura di varchi nelle opere difensive avversarie; della realizzazione di ponti per il superamento di ostacoli, canali, fiumi; del ripristino o del blocco delle principali vie di comunicazione; della realizzazione di opere difensive o di demolizioni. © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 133 2 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni La lotta contro gli inglesi: il «blocco continentale» Stampa del 1806 che raffigura le mercanzie inglesi bruciate nel porto di Amsterdam, in base al blocco continentale voluto da Napoleone. Tweet Storia p. 358 L’unico modo per colpire l’Inghilterra era di escluderla dal commercio sul continente europeo. Napoleone era padrone di quasi tutta l’Europa e alleato con la Russia. Poteva dunque chiudere alle navi e alle merci inglesi quasi tutti i porti. Tra 1806 e 1807 l’imperatore decise dunque di istituire un « blocco continentale ». L’obiettivo di questa guerra commerciale era sia di soffocare l’economia inglese, sia di costringere tutta l’economia europea a gravitare su quella francese. La Francia avrebbe dovuto diventare il centro industriale del continente, assorbendo a questo scopo le materie prime dagli Stati satelliti e usandoli come mercati riservati per i propri prodotti. Il blocco doveva essere mantenuto con piena coordinazione dal Mediterraneo al Baltico. Oltre alla Francia e agli Stati da essa direttamente dipendenti vi aderirono anche la Russia e la Spagna. Tuttavia, gli effetti non furono quelli sperati. In Europa diminuì fortemente, ma non venne mai meno del tutto, la circolazione di prodotti che provenivano solo dalle colonie d’oltreoceano (come il caffè e lo zucchero prodotto dalla canna da zucchero). Un limite all’efficacia del blocco fu rappresentato dall’intensa e crescente attività di contrabbando che si sviluppò su molte coste europee. Gli eserciti napoleonici tentarono di arginare il fenomeno e intervennero contro quei principi alleati che si mostravano tiepidi nell’applicare il blocco (fu una delle motivazioni della completa sottomissione dell’Italia e dell’attacco al papa). Per sopperire alla penuria di alcuni prodotti si svilupparono nuove produzioni, come quella dello zucchero ricavato dalla barbabietola. A soffrire, tuttavia, erano soprattutto i paesi europei sottomessi, dove il controllo di polizia degli occupanti e la loro invadenza sull’economia risvegliavano il sentimento antifrancese e patriottico anche di coloro che inizialmente avevano sostenuto gli invasori. Dal 1807 in poi, proprio per rendere totale il blocco continentale, Napoleone si impegnò, come vedremo, su due fronti lontanissimi, prima in Spagna e poi in Russia, finendo per esaurire la spinta espansiva del proprio impero. ostili al tradimento degli ideali rivoluzionari e alla propria cultura nazionale e borghesi danneggiati nei loro affari. Nacquero società segrete, che cominciarono a preparare nella clandestinità la riscossa nazionale. Aspirazioni libertarie e patriottiche in Europa Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone Bonaparte. 5.4 La fine del predominio napoleonico (1808-1815) L’invasione della Spagna Nel marzo 1808 un esercito francese, già respinto dalle truppe inglesi sbarcate in Portogallo, rovesciò per ordine di Napoleone il re di Spagna Carlo IV. Sul trono di Madrid salì Giuseppe Bonaparte, che lasciò il Regno di Napoli al fedele generale Gioacchino Murat, cognato di Napoleone. Tra i primi provvedimenti degli occupanti francesi della Spagna vi fu lo scioglimento dell’esercito regolare spagnolo. Ufficiali e parte della truppa, animati da sentimenti patriottici, diedero vita a una intensa guerriglia contro gli invasori. La rivolta contro gli stranieri ebbe anche risultati eclatanti, come la temporanea cacciata del nuovo re da Madrid, e comunque costrinse Napoleone a mantenere costantemente impegnato in Spagna un esercito di 300.000 uomini. Neppure la più feroce repressione riuscì a domare gli insorti, ottenendo soltanto di accendere ancor più il popolo spagnolo contro il nemico comune, odiato dai nobili, dalla Chiesa, dall’esercito e dal popolo. Dalla Spagna alla Germania, l’Europa dei popoli si andava risvegliando sotto la pressione sempre meno tollerata dei dominatori francesi. Al dispotismo napoleonico reagirono intellettuali Vi furono tuttavia anche pronunciamenti ufficiali, che dovevano fare da modello per le lotte libertarie e patriottiche nel corso del XIX secolo. Nel 1812 a Cadice, assediata dai francesi, le cortes spagnole (cioè i rappresentanti della nazione, nobili e soprattutto borghesi) si diedero una Costituzione modellata sull’esempio di quelle inglese e francese del 1791: fine dei privilegi nobiliari, suffragio censitario, monarchia costituzionale. In Prussia, dove pure l’occupazione francese aveva modernizzato in parte la società (fu per esempio abolita definitivamente la servitù della gleba), si ebbe un risveglio dello spirito patriottico tedesco che ebbe nel Discorso alla nazione tedesca (1808) del filosofo Johann Gottlieb Fichte la sua più orgogliosa espressione. L’imperialismo napoleonico stava cedendo per l’impossibilità di vincere la guerra del blocco continentale e mostrava il suo volto dispotico e antipopolare. Ma proprio per questo stava involontariamente avviando un anelito di autonomia nazionale e di riforme che sarebbe sopravvissuto alle vittorie napoleoniche. F. Goya, Il 3 maggio 1808: fucilazione alla Montagna del Principe Pio, 1814, Madrid, Prado. B. de Boisdenier, Episodio della ritirata di Russia, 1835, Rouen, Musée des Beaux-Arts. La vittoria contro la Quinta coalizione (1809) Nell’aprile del 1809 Regno Unito e Austria riaprirono lo ostilità contro la Francia con una Quinta coalizione. Gli austriaci persero prima la loro capitale, poi furono battuti a Wagram (luglio 1809). La vittoria dell’ennesima guerra e le crescenti difficoltà del blocco continentale e dell’occupazione della Spagna spinsero Napoleone a cercare anche una legittimazione dinastica al suo domino continentale. Perciò, su iniziativa del primo ministro austriaco Klemens von Metternich, il 1° aprile 1810 sposò Maria Luisa (aveva divorziato dalla prima moglie Giuseppina alla fine del 1809), figlia dell’imperatore d’Austria Francesco I. Un anno dopo Napoleone ebbe un erede, Francesco Carlo Giuseppe, cui diede il titolo di «re di Roma». Il sistema continentale mantenuto dalla Francia con un costante dispendio di energie era, tuttavia, solo in apparenza solido. All’interno della stessa Francia crescevano la stanchezza per il continuo stato di guerra e la consapevolezza che la lotta contro l’Inghilterra non era vinta. In Spagna continuava una resistenza che costava ai francesi perdite e ingenti spese. A est, invece, la Russia si mostrava un alleato sempre meno convinto, specie dopo la nascita del granducato di Varsavia, che sottraeva alla Russia il suo tradizionale dominio sulla Polonia. Quando i contrasti con lo zar Alessandro I si fecero più aspri per l’accusa mossa da Napoleone alla Russia di non impegnarsi abbastanza nel blocco contro l’Inghilterra, una nuova guerra divenne inevitabile. © Loescher Editore – Torino 134 1750 L’età napoleonica © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 135 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni IMPERO Lazio Roma Napoli Ragusa OTTOMANO REGNO DI NAPOLI Mediterraneo La disastrosa guerra contro la Russia (1812) Atene Alla fine di ottobre Napoleone decise di ritirarsi e nelle settimane successive il freddo, la fame e le continue incursioni dei russi sterminarono l’armata degli invasori. Circa 500.000 soldati morirono o furono imprigionati. A dicembre Napoleone era di nuovo a Parigi, sconfitto per la prima volta e sul punto di essere attaccato dall’ennesima coalizione antifrancese. La Sesta coalizione antifrancese e la fine dell’impero napoleonico Nel marzo 1815 Napoleone fuggì dall’Elba e, sostenuto dall’entusiasmo popolare, si riappropriò del potere. La prospettiva di un ritorno dell’Ancien régime con il re Luigi XVIII aveva infatti già scontentato la borghesia e spaventava i contadini che vedevano tornare i nobili e riaffermarsi almeno in parte i privilegi dei grandi proprietari terrieri. La campagna di Russia (1812-1813) 1812 Avanzata dell’esercito di Napoleone Ritirata dell’esercito russo Ritirata dell’esercito di Napoleone Inseguimento dell’esercito russo Tallinn Stoccolma giugno luglio agosto sett. 14 sett. 19 ott. 3 nov. 9 nov. 28 nov. 10 dic. ritirata M a Vilno Danzica Grodno en Ni em Minsk Nerviz 1750 I M PE RO R U S SO Visto l a Varsavia Kiev © Loescher Editore – Torino 136 Smolensk Krasnoe Beresina Kovno Königsberg Malejaroslavec Vitebsk Kèdainiaia na esi Ber avanzata Mosca Borodino Vjazma Riga ina Si costituì prontamente, infatti, una Sesta coalizione, che per diversi popoli (i tedeschi in primo luogo) assunse il carattere di una «guerra patriottica». Regno Unito, Prussia, Russia, e ben presto anche l’Austria, attaccarono insieme e nella battaglia di Lipsia (1618 ottobre 1813) Napoleone fu sconfitto. Avvenne quindi quello che la Francia rivoluzionaria era sempre riuscita ad evitare anche nei suoi momenti di maggiore debolezza: a marzo del 1814 Parigi fu occupata dagli eserciti stranieri. Il 6 aprile 1814 Napoleone abdicò e i vincitori affidarono il potere a Luigi XVIII, fratello di quel Luigi XVI ghigliottinato durante Il ritorno di Napoleone e la sconfitta di Waterloo (18 giugno 1815) Dv Contro la Russia Napoleone armò un esercito di circa 600.000 mila uomini. Il 24 giugno 1812 egli passò il confine polacco e penetrò nella pianura russa, convinto di poter rapidamente impegnare le truppe nemiche in una battaglia vittoriosa e di ottenere presto una vittoria risolutiva. L’esercito russo, tuttavia, seguì la strategia dettata dal generale Michail Kutuzov e si ritirò per centinaia di chilometri, attirando i francesi ben all’interno dello sconfinato paese e quindi molto lontano dalle loro linee di rifornimento, e sfuggendo uno scontro decisivo. Il 12 settembre, finalmente, i russi si impegnarono in battaglia a Borodino, ormai a soli cento chilometri da Mosca. I francesi stremati, vinsero ma subirono gravi perdite. Napoleone entrò a Mosca pochi giorni dopo, ma la trovò deserta e priva di riserve di cibo per rifornire le truppe. Inoltre, i russi in ritirata avevano appiccato il fuoco in molte abitazioni e strutture della città, la quale fu quindi devastata da incendi che resero impossibile per i francesi una sistemazione in vista del terribile inverno ormai alle porte. REGNO DI SICILIA Anche l’esercito mostrò di essere rimasto fedele al suo comandante supremo. Napoleone promise riforme liberali e si preparò ad affrontare l’inevitabile ostilità delle potenze europee. Queste ultime, riunite a Vienna, formarono dunque la Settima coalizione antifrancese. La Francia era completamente circondata da nemici: Spagna, Portogallo, Regno di Sardegna, Paesi Bassi, Austria, Prussia, Russia, Svezia e Regno Unito. Tra il 15 e il 18 giugno 1815 a Waterloo, in Belgio, Napoleone fu definitivamente sconfitto da inglesi e prussiani. L’ultimo tentativo di riconquistare il potere era durato cento giorni. Quest’ultima impresa, che portò all’esilio definitivo di Napoleone sulla sperduta Ba ltic o Corsica Bucarest r Mare Etruria Belgrado 5000 (1805) PROVINCE Firenze ILLIRICHE REGNO DI SARDEGNA Baleari Trafalgar Venezia Njemen Valencia REPUBBLICA ITALIANA Trieste 30.000 REGNO DI SPAGNA Marsiglia Catalogna Barcellona Budapest L’età napoleonica La battaglia di Waterloo. Beresina Lisbona Madrid IMPERO D’AUSTRIA 37.000 Tolosa Milano Torino Genova Nizza Vienna Smolensk Lione Bordeaux Monaco CONF. ELVETICA 50.000 FRANCIA Vjazma DEL RENO Leopoli 100.000 Atlantico Austerlitz (1805) Mosca Parigi Jena (1806) Francoforte CONFED. Praga Strasburgo Colonia 110.000 Rouen Brest RUSSO GRANDUCATO DI VARSAVIA Mosca Oceano I M PE RO Varsavia 130.000 REGNO DI PRUSSIA Borodino Amburgo 155.000 Olanda REGNO DI (Regno dal 1804 al 1810) Brema Berlino REGNO DI GRAN BRETAGNA Amsterdam WESTFALIA Lipsia Bruxelles Smolensk Stati sotto influenza francese Riga 375.000 Alleati M ar Bal t i c o REGNO DI DANIMARCA Copenaghen Danzica Vitebsk Stati dipendenti dalla Francia REGNO DI SVEZIA 475.000 Mare del Nord 610.000 soldati L’Impero francese nel 1812 la Rivoluzione nel 1793. Con questa mossa i sovrani europei volevano far comprendere all’Europa intera che si tornava all’Ancien régime. La Francia vide ridimensionati i suoi confini e tornò all’estensione che aveva nel 1792. A Napoleone fu assegnato il Regno dell’isola d’Elba, davanti alle coste della Toscana, dove gli alleati erano convinti di poterlo controllare. Alla moglie Maria Luisa e al figlio fu assegnato il ducato di Parma. In Italia il viceré Eugenio fu cacciato da una sommossa popolare scoppiata a Milano. In Lombardia e nel Veneto tornarono le truppe austriache. Ferdinando III, re di Sardegna, riprese possesso del suo Stato e così fece il papa Pio VII. Nell’ottobre 1814 si aprì a Vienna un congresso tra le potenze europee che doveva decidere tutte le questioni politiche aperte dalla fine della ventennale supremazia francese e della stagione rivoluzionaria. Fiume Njemen L’Europa nel 1812 La «Grande Armata» 2 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 137 2 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Villa Napoleone all’Isola d’Elba. 1796-1797 Campagne di Napoleone in Italia 1796-1799 Repubbliche giacobine in Italia Il maresciallo Blucher e l’ammiraglio Wellington si abbracciano sul campo di battaglia di La Belle Alliance (Waterloo), 18 giugno 1815, Berlino, Staatsbibliothek. Tweet Storia p. 358 isola di Sant’Elena (dove morì il 5 maggio 1821), ebbe tuttavia un importante significato politico. L’entusiasmo popolare con cui Napoleone era stato accolto dopo la sua fuga dall’Elba indicava alle potenze europee, intenzionate a riportare l’Europa all’ordine delle monarchie assolute, che dopo la Rivoluzione francese e la stagione napoleonica un completo ritorno al passato era impossibile. Dopo la lunga stagione che era cominciata nel 1789, i rapporti tra i cittadini e i loro Stati erano, almeno nella visione a tutti nota e da molti condivisa, cambiati per sempre. Inoltre, nelle guerre napoleoniche e nella reazione al dispotismo francese si era diffuso il senso di appartenenza nazionale cui si ispirarono, come vedremo nei prossimi capitoli, numerose rivolte nei decenni successivi. Napoleone: liberatore o dittatore? 138 © Loescher Editore – Torino 1798-1799 Spedizione di Napoleone in Egitto 1799-1804 Napoleone Primo console 1802-1809 Successi militari di Napoleone contro varie coalizioni antifrancesi I NODI DELLA STORIA Pochi grandi personaggi della storia universale hanno avuto l’ambivalenza che ha caratterizzato la vicenda di Napoleone Bonaparte. La sua immagine di figlio prediletto della Rivoluzione francese, di liberatore dei popoli dalle catene dell’assolutismo, di modernizzatore fecondo della società europea stride con l’altra faccia della medaglia della sua intensa esperienza storica. C’è un personaggio, nella letteratura italiana d’inizio Ottocento, che bene riassume i sentimenti contradditori verso l’imperatore-liberatore transalpino: lo Jacopo Ortis di Ugo Foscolo. L’amara delusione di Jacopo per il tradimento di Campoformio, quando cioè il giovane generale francese cedette la Repubblica veneziana agli austriaci per la fretta di tornare in patria a capitalizzare politicamente i successi militari della campagna d’Italia, è paradigmatica del sentimento di tanti contemporanei nei confronti del figlio dell’Ottantonove. Non meno dura sarebbe stata la delusione di tanti liberali tedeschi, «romanticamente» innamorati degli ideali rivoluzionari, alla scoperta del duro realismo politico del nuovo ordine politico napoleonico. Napoleone interpretò perfettamente le contraddizioni di quella nuova fase della storia mondiale. Esportò la Rivoluzione ma ne cancellò l’utopia democratica; distrusse i regimi assolutistici d’Ancien régime, ma li sostituì con governi altrettanto, se non più, illiberali. Praticò la fratellanza tra i popoli con l’ausilio di fucili e can- 1797 Trattato di Campoformio: Napoleone cede la Repubblica di Venezia all’Austria noni, rendendo subalterna ogni esigenza di riscossa nazionale ai supremi ed egoistici interessi della Francia. Per certi versi riuscì a ottenere quell’egemonia politica e militare sull’Europa che era stata il sogno, non avveratosi, di Luigi XIV, il campione dell’assolutismo monarchico seicentesco. Risuscitò il modello universalistico imperiale e creò, intorno ad esso, la fortuna di amici fedeli e parenti devoti. E tuttavia modernizzò incredibilmente l’Europa sotto il suo dominio. Introdusse principi giuridici avanzati e pragmatici; s’interessò di scienza e di tecnica; promosse l’istruzione superiore in una prospettiva coerente con gli insegnamenti della cultura illuminista. Ma, soprattutto, garantì una notevole mobilità sociale permettendo, anche a persone di umili origini, di fare carriere impensabili nella sclerotizzata società precedente. In definitiva l’avventura napoleonica rappresentò la fine della società d’Ancien régime e la premessa per l’egemonia borghese negli assetti sociali dell’Ottocento. Lo fece, però, confidando eccessivamente nella forza dei suoi eserciti e non capendo che la nuova sensibilità culturale che si stava affermando non avrebbe tollerato a lungo la frustrazione delle proprie identità nazionali e l’egemonia di una nazione che, pur essendo culla di quelle nuove idee di libertà e di autodeterminazione, restava pur sempre una potenza straniera e oppressiva. Marzo 1804 Promulgazione del Codice civile Dicembre 1804 Napoleone incoronato «Imperatore dei francesi» 1808 Spedizione in Spagna: inizio del declino di Napoleone 1812 Campagna di Russia 1813 Napoleone sconfitto a Lipsia L’età napoleonica 1 Durante gli anni del Direttorio, l’esercito garantisce l’ordine interno e le conquiste necessarie a sostenere le finanze statali. Cresce l’importanza di Napoleone Bonaparte. Dopo l’approvazione della Costituzione moderata del 1795, tra rivolte dei sostenitori della monarchia e tentativi di sollevazione popolare guidati dai giacobini, la borghesia francese si affidò all’esercito per mantenere il controllo del paese. Il ruolo delle forze armate fu decisivo anche sul fronte esterno, e assicurò le conquiste indispensabili ad arricchire le esangui finanze dello Stato. In questo contesto, il giovane generale Napoleone Bonaparte si mise in luce per le sue vittorie sull’Austria (1796-1797) e per l’abilità diplomatica che mostrò nelle trattative con Vienna (la Francia ottenne i territori sul Reno). Il sacrificio di Venezia, ceduta all’Austria, deluse le speranze dei patrioti italiani. 2 In Italia si apre la controversa stagione delle «Repubbliche giacobine», tra fragilità nel sostegno popolare e ingerenze francesi. In Italia sorsero le «Repubbliche sorelle» che la propaganda rivoluzionaria aveva da tempo sostenuto di voler creare ai confini con la Francia. Nacquero la Repubblica Cisalpina, la Repubblica Ligure, poi, tra 1798 e 1799, i francesi imposero in armi la nascita della Repubblica Romana e della Repubblica Partenopea. L’Italia era dunque in mano francese, ma proprio la dipendenza delle «Repubbliche giacobine» dai francesi fu uno dei motivi di maggiore debolezza. Furono introdotte riforme sul modello francese (abolizione dei diritti nobiliari e requisizione dei beni della Chiesa), ma i governi repubblicani non ottennero il favore popolare. Al contrario, il popolo animò ribellioni che, in occasione della guerra contro la Seconda coalizione antifrancese in Italia, portarono alla fine della Repubblica Partenopea. 3 Con la spedizione in Egitto (1798) Napoleone conquista il favore dei francesi. Nel 1799 attua un colpo di Stato e nel 1804 diventa «Imperatore dei francesi». Con l’ulteriore prestigio guadagnato come comandante militare nella campagna d’Egitto (1798) Napoleone si accreditò come «uomo forte» in grado di dare stabilità, pace e forza alla nazione francese. Il «18 brumaio» 1799 attuò un colpo di Stato e fu nominato «Primo console». La nuova Costituzione (detta «dell’anno VIII») gli conferì il pieno potere esecutivo e il controllo dei poteri legislativo e giudiziario. Egli modernizzò lo Stato e lo accentrò. Un progresso notevole fu l’introduzione del nuovo Codice civile. In seguito, sconfisse in Italia la Seconda coalizione antifrancese, e ormai padrone del paese, il 2 dicembre 1804 divenne «imperatore dei francesi». 4 L’età napoleonica vede la quasi completa sottomissione dell’Europa alla Francia. La Francia napoleonica era considerata da molti un modello di Stato moderno e portatrice dell’ideale di uguaglianza di fronte alla legge; per questo fu duramente avversata dalle altre potenze europee. Battendo la Terza (1805), la Quarta (1806) e la Quinta (1809) coalizione antifrancese, Napoleone ridisegnò di fatto la carta d’Europa: i regni d’Olanda, Italia, Toscana, Napoli e Westfalia furono assunti da lui o affidati a parenti o fedeli. Tuttavia, Napoleone non riuscì a vincere la resistenza la del Regno Unito, superiore nei mari, e istituì per questo un «blocco continentale» dei commerci inglesi che fu molto difficile far rispettare sulle coste d’Europa. 5 Per mantenere il blocco continentale Napoleone esaurisce la propria spinta propulsiva: l’intervento in Spagna (1808) e le sconfitte del 1812, 1813 e 1815 pongono fine all’età napoleonica. Per imporre l’osservanza del blocco continentale, Napoleone invase la Spagna nel 1808. Ma questa iniziativa si rivelò difficile e dispendiosa: in Spagna – e così in altri paesi – si risvegliò un forte spirito patriottico che mise in seria difficoltà gli occupanti. Disastrosa poi si rivelò la guerra contro la Russia (1812). Nel 1813 Napoleone fu infine sconfitto a Lipsia dalla Sesta coalizione; nel 1815, dopo gli ultimi «cento giorni» fu definitivamente battuto a Waterloo dalla Settima coalizione. © Loescher Editore – Torino 139 2 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Una nuova età imperiale La proclamazione dell’impero di Francia, decisa da Napoleone Bonaparte nel 1804, fece rivivere per circa un decennio l’ideale di un’unica autorità politica che, direttamente o indirettamente, esercitasse la sovranità su tutto il continente europeo. Questo progetto si richiamava a una lunga tradizione che era nata con l’antico Impero romano ed era proseguita con il Sacro romano impero fondato da Carlo Magno. Il predominio della Francia sul continente europeo si fondava su valori e principi nuovi e ben diversi da quelli del passato antico o medievale. L’Europa doveva essere infatti unificata sotto il segno degli ideali rivoluzionari: la sovranità della nazione, l’eguaglianza giuridica dei cittadini, la libertà personale ed economica degli individui. L’età napoleonica Uniformare le regole dell’economia e del diritto Uno dei simboli più rilevanti dell’innovazione radicale che il predominio francese cercò di estendere a tutta l’Europa fu, senza dubbio, il Codice civile del 1804. Questo progetto condusse alla redazione di una raccolta sistematica di tutte le leggi del diritto civile in modo tale che vi fosse un unico sistema di norme, comune a tutta la società e a tutti i cittadini senza distinzioni di ricchezza o livello sociale. In base alla stessa logica, l’impero napoleonico impose a gran parte dell’Europa anche un sistema unitario e condiviso di pesi e misure, concepito su base decimale, al fine di favorire e semplificare gli scambi commerciali tra le diverse aree del continente. Il Codice civile napoleonico. Napoleone sigla il Codice delle riforme civili (Codice civile). L’arte e la moda L’età napoleonica rappresentò per tutta l’Europa una fase fondamentale di svolta anche nel campo della tradizione artistica, culturale e della moda. Per segnare più chiaramente l’avvio di una nuova stagione storica, si avvertì l’esigenza di modificare profondamente le forme estetiche ereditate dall’Ancien régime. Si affermò così quello che viene chiamato lo «stile impero», un nuovo linguaggio dell’arte e della moda contraddistinto dal ritorno ai decori e alle tradizioni dell’età antica. J.-L. David, L’incoronazione di Napoleone, 1805-1807, Parigi, Musée du Louvre. Vasi da tavola e tripode in stile impero. L’immagine dell’imperatore Si riteneva che l’impero napoleonico fosse l’erede della Rivoluzione e avesse la missione storica di cancellare definitivamente l’Ancien régime da tutti i paesi europei. Napoleone, capo carismatico di questo nuovo impero del XIX secolo, ne era l’uomo-simbolo e, con la propria immagine, era chiamato a personificare la nuova era postrivoluzionaria con l’obiettivo di garantirne i valori e i principi. J.-L. David, Napoleone distribuisce le aquile imperiali al Campo di Marte, 5 dicembre 1804,1810, Versailles, Musée National du Château. 140 © Loescher Editore – Torino T. Sully, Donna con arpa: Eliza Ridgely, 1818. Letto in stile impero. © Loescher Editore – Torino 141 2 5 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 ATTIVITÀ 2 Osserva la cartina e il grafico a p. 137 e costruisci la cronologia della campagna di Russia. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Tra il e il Napoleone decide di istituire un «blocco continentale» per colpire i commerci inglesi Nel marzo viene emanato il Codice civile, simbolo dell’opera riformatrice di Napoleone Nel giugno Napoleone viene sconfitto da inglesi e prussiani a Waterloo Nel luglio viene firmato il concordato con Roma Nel gennaio i francesi proclamano la Repubblica Partenopea Nell’ottobre del Napoleone è sconfitto a Lipsia Nel luglio Napoleone sconfigge l’esercito egiziano dei Mamelucchi Nel maggio del Napoleone oltrepassa le Alpi e il mese seguente sconfigge il nemico a Marengo Nel nasce la Repubblica Cispadana comprendente Emilia e Romagna Il 21 ottobre gli inglesi sconfiggono le flotte francese e spagnola a Trafalgar, presso Cadice Il 15 maggio Napoleone entra a Milano e in seguito sconfigge gli austriaci ad Arcole e a Rivoli Veronese Il 17 ottobre Napoleone firma con l’Austria il trattato di Campoformio Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo dell’età napoleonica. 1 2 3 4 5 6 7 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento; poi distingui con tre colori diversi gli eventi che si verificano prima del consolato di Napoleone, quelli che avvengono durante il suo consolato e quelli che accadono dopo la sua incoronazione. 5 L’età napoleonica Borghesia illuminata Laboratorio politico Pugno di ferro Imposte indirette Superiorità tattica Guerra di movimento Anelito Prova a riflettere sul significato di «blocco continentale» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega in che cosa si differenzia dal «blocco marittimo». Qual è l’obiettivo di entrambe le strategie? Conosci un provvedimento simile previsto dallo statuto delle Nazioni Unite? Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa allo Stato napoleonico. Poi rispondi alle domande. Le caratteristiche fondamentali dello Stato napoleonico Esplora il macrotema 3 Completa il testo. Sotto la guida di Napoleone, la Francia riprende la guerra contro l’intera Europa giungendo a stabilire la propria egemonia su buona parte del continente. La (1) , infatti, rappresenta per la Francia sia un inevitabile impegno per difendere il paese dai suoi nemici, sia una fonte di (2) per le casse statali e per i venditori di forniture militari. La sconfitta degli (2) in Italia e i primi successi francesi in Egitto provocano la reazione di molte potenze europee, preoccupate per la crescente supremazia della Francia. In Italia i nuovi Stati sono sostenuti da una parte della (3) illuminata e ricca delle città, che vede nella Francia rivoluzionaria una speranza di cambiamento e libertà; tuttavia, il vero scopo delle campagne napoleoniche è chiaro: sottomettere terre straniere e imporre loro le (4) e l’obbligo di fornire soldati all’esercito dei conquistatori. Il principale ostacolo alle aspirazioni di potenza francesi è costituito dall’(5) : Napoleone tenta di colpirla istituendo un «blocco continentale» per danneggiarne i commerci, ma non riesce a sottrarle la supremazia sui (6) . Nonostante alcune sconfitte, l’esercito napoleonico sbaraglia le diverse coalizioni anti-francesi e di vittoria in vittoria va ridisegnando la carta d’(7) . Tuttavia, a soffrire sono soprattutto i paesi europei sottomessi, dove il controllo di polizia degli occupanti e la loro invadenza sull’economia risvegliano il (8) antifrancese e patriottico anche di coloro che inizialmente hanno sostenuto gli invasori; l’imperialismo napoleonico, infatti, mostra il suo volto dispotico e antipopolare e avvia involontariamente un anelito di autonomia nazionale e di riforme che sarebbe sopravvissuto alle conquiste napoleoniche. La vittoria di Regno Unito, Prussia, (9) e Austria riunite nella Sesta coalizione, che per diversi popoli (i tedeschi in primo luogo) assume il carattere di una «guerra patriottica», segna la fine dell’impero napoleonico. 1 Quali aspetti richiamano gli ideali della Rivoluzione? 2 Quale aspetto è in forte contrasto con gli ideali della Rivoluzione? 3 Quali campi coinvolge l’opera riformatrice di Napoleone? Mostra quello che sai 7 142 © Loescher Editore – Torino Osserva le immagini a p. 135 e, dopo averle contestualizzate, spiegane il valore simbolico: quale immagine della Francia napoleonica vogliono comunicare? © Loescher Editore – Torino 143 Documenti La Costituzione degli Stati Uniti La Costituzione degli Stati Uniti è stata la prima Costituzione scritta dell’epoca moderna. Una prima versione provvisoria del 1777 (prima dell’indipendenza) dava al nuovo paese un profilo di uno Stato confederale, i cui aderenti conservavano l’indipendenza, e nel quale il potere centrale era assai debole. La Carta venne completata solo dieci anni dopo: la Convenzione di Filadelfia, riunitasi tra il 16 maggio e il 17 settembre 1787, elaborò un testo che, prevedendo un forte potere federale, realizzava una repubblica fondata sulla separazione dei poteri: l’esecutivo è prerogativa del Presidente eletto; il legislativo del Congresso, formato dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato; il giudiziario della Corte suprema. Il loro rapporto è regolato da una serie di meccanismi che ne assicurano la convivenza. La pubblicazione di una serie di articoli raccolti poi nell’opuscolo Federalism, opera di Alexander Hamilton, James Madison e John Jay ne fondò anche l’interpretazione autentica. Nella Repubblica federale delineata dalla Costituzione americana, il Presidente è eletto in seconda istanza sulla base del voto popolare: ciascuno Stato, in proporzione agli abitanti, dispone infatti di un numero di elettori che vengono attribuiti al candidato alla presidenza che in esso prevale. Dura in carica quattro anni. Dopo la lunga presidenza di Franklin Delano Roosevelt (dal 1932 alla morte nel 1945), che aveva lanciato la politica del New Deal per far fronte alla grande crisi economica incominciata nel 1929 e che aveva guidato gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, fu approvato il XXII emendamento. In base a esso, il Presidente non può svolgere più di due mandati. La Camera è composta di 435 deputati eletti nei diversi Stati in rapporto alla popolazione e dura in carica due anni. Il Senato garantisce la rappresentanza degli Stati, ciascuno dei quali dispone di due seggi. I senatori, a partire dal 1913 quando venne approvato il XVII emendamento, sono eletti a suffragio universale e durano in carica sei anni. Ogni due anni un terzo dei seggi viene rinnovato. Della Corte suprema fanno parte, a partire dal 1869, nove giudici, nominati dal Presidente degli Stati Uniti. La Corte, a partire dall’inizio del XIX secolo, attua anche il controllo di legittimità costituzionale degli atti del Presidente e del Congresso. Ciò che è caratteristico della Costituzione degli Stati Uniti è la sua durata nel tempo: nessuna Costituzione scritta infatti ha resistito così a lungo come quella americana. La struttura essenziale e l’impostazione che la contrassegna configurano infatti un patto fondativo condiviso e radicato nella vicenda del paese. Del resto, il meccanismo previsto dall’articolo 5, cioè la possibilità di approvare emendamenti, ossia modifiche costituzionali, ha consentito al testo di potersi adeguare ai mutamenti sociali, economici e culturali, preservando rigorosamente lo spirito che lo informa. Ciò non è avvenuto senza contrasti: da quello originario, che opponeva i federalisti sostenitori di un forte potere centrale ai fautori delle prerogative degli Stati, dalla Guerra civile del 1861-1865, che si sviluppò intorno alla concezione medesima della comunità politica e della sua evoluzione, alla persistenza fino agli anni Sessanta del Novecento di una dura discriminazione razziale. E tuttavia la Costituzione americana ha mostrato una straordinaria adattabilità allo scorrere del tempo, consentendo insieme l’allargamento inclusivo della sfera della cittadinanza: i valori fondanti pensati dai bianchi discendenti degli inglesi ribellatisi alla terra d’origine e proclamati nella Costituzione sono stati pian piano allargati a tutti. La Guerra di indipendenza delle colonie britanniche in America (1775-1783) è uno degli avvenimenti cruciali che segnano la nascita del mondo contemporaneo. Non solo è qui, infatti, la prima origine dell’impetuoso sviluppo che doveva fare di questo paese la potenza dominante del XX secolo; ma il riferimento agli ideali di libertà e di uguaglianza contenuto nella Dichiarazione d’indipendenza del 1776 e l’adozione di una Costituzione federale dovevano agire come un potente stimolo e accelerare la fine dell’Ancien régime in Europa. 1.I primi dieci emendamenti della Costituzione americana La Costituzione, intesa come testo che organizza i poteri dello Stato, è stata accompagnata dall’approvazione dei primi dieci emendamenti, che fissano i principi fondanti della comunità nazionale. Eccone una selezione. I – Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca il libero esercizio di una religione; o che limiti la libertà di parola o di stampa; o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente, e di rivolgere petizioni al governo per la riparazione di torti. II – Essendo necessaria, per la sicurezza di uno Stato libero, una Milizia ben organizzata, non sarà violato il diritto del popolo di tenere e portare armi. […] IV – Il diritto dei cittadini ad essere assicurati nelle loro persone, case, carte ed effetti contro perquisizio- ni e sequestri non ragionevoli non potrà essere violato, e non potranno essere emessi mandati se non su motivi probabili, sostenuti da giuramenti o solenni affermazioni e con una dettagliata descrizione del luogo da perquisire e delle persone o cose da prendere in custodia. V – Nessuno sarà tenuto a rispondere per un reato capitale o altrimenti infamante, se non su denuncia o accusa di un Gran giurì, salvo che per i casi che si ponessero presso le forze di terra o di mare o presso la Milizia, quando si trovino in servizio attivo in tempo di guerra o di pericolo pubblico […]; VI – In ogni processo penale, l’accusato avrà il diritto ad un procedimento pronto e pubblico, con una giuria imparziale di persone dello Stato e del distretto in cui il delitto sia stato commesso; il quale distretto dovrà essere previamente determinato dalla legge; e avrà il diritto di essere informato della natura e del motivo dell’accusa; di esser posto a confronto coi testi a suo carico; di avere strumenti cogenti per ottenere testimonianze in proprio favore, e di avere l’assistenza di un avvocato per la sua difesa. 2.L’influenza della Rivoluzione americana in Europa La Rivoluzione americana non fu soltanto politica ma anche sociale e segnò l’inizio di una nuova fase storica, nella quale si delinearono la prima forma di governo democratico e un nuovo tipo di società in cui sembrava non dovessero esistere barriere contro le aspirazioni popolari alla giustizia e alla libertà. Il commento dello storico Franco Catalano. Un esame, che può apparire molto sicuro e convincente, delle cause che hanno condotto alla ribellione delle colonie americane è quello di Adam Smith nel suo libro An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nation del 1776: «proibire ad un gran popolo di fare tutto ciò che egli può di qualunque parte del suo proprio prodotto, o di impiegare i suoi fondi e la sua industria nel modo che giudichi più vantaggioso a se stesso, è una manifesta violazione dei più sacri diritti degli uomini». Era una schiavitù imposta ai coloni, che derivava dall’aver considerato più l’interesse dei mercanti che non quello delle colonie o della stessa madrepatria. […] Pochi anni dopo Gaetano Filangieri si lasciava andare ad una profezia che avrebbe dovuto far riflettere i governi europei, i quali non dovevano guardare la rivoluzione dell’America anglicana come un «semplice castigo dell’orgoglio inglese», bensì come «una lezione terribile data a tutte le potenze» se non avessero riformato il sistema europeo e non avessero abolito le leggi con cui si dirigeva, o meglio si distruggeva, il commercio delle nazioni europee con le loro rispettive colonie. […] Il Filangieri poteva proclamare alto e lanciare il solenne avvertimento ai governi del vecchio continente: se non mutere- te il vostro «sistema erroneo» andrete incontro a una «fatale catastrofe che separerà pur sempre un mondo dall’altro». Fu proprio per questo motivo che la rivoluzione americana segnò una data molto importante nella storia del Settecento perché diede maggior slancio alle forze innovatrici e le rese sempre più chiaramente consapevoli di sé stesse. Nacque il «mito americano» e parve soprattutto in Francia, il paese dove le correnti illuministiche sostenute da un’attiva borghesia erano più intense, che i coloni avessero tradotto nella realtà i principi di un Locke, di un Montesquieu, di un Rousseau. F. Catalano, La rivoluzione americana, in Stato e società nei secoli, Messina, D’Anna, 1966 1 Quali punti di forza hanno reso la Costituzione americana così longeva? 2 Quali istituzioni sono depositarie dei tre poteri fondamentali secondo la Costituzione degli Stati Uniti d’America? 144 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 145 Documenti Libertà Il significato della parola libertà è assenza di costrizioni e di vincoli. Era la condizione che, nell’antica Roma, contrassegnava i liberi, cioè i non schiavi. Nell’antica Grecia i requisiti della libertà erano l’indipendenza dallo straniero e il non assoggettamento a un tiranno, che in termini positivi consisteva nella possibilità di prendere parte alle assemblee. Anche in Roma antica, prima dell’ascesa di Cesare e la successiva trasformazione in principato, la libertà contrassegnava chi viveva in un regime di indipendenza politica e di corretto funzionamento delle istituzioni. Nell’età imperiale, la libertà esterna (la libertà dal potere) si affievolì. Si rafforzò invece, grazie ai filosofi stoici e ai primi pensatori cristiani, la riflessione intorno alla libertà interiore, dello spirito; erano le prime affermazioni della libertà di coscienza e quindi della libertà di scegliere, di deliberare. Ritroviamo quindi nella libertà come assenza di vincoli e nella libertà come scelta i due sensi profondi del termine, riassunti dal filosofo Isaiah Berlin nella distinzione tra libertà negativa (libertà da qualcosa) e libertà positiva (libertà di fare o essere qualcosa). Nel Medioevo si affermò una concezione che legava in un rapporto essenziale la libertà con la legge: siamo liberi in quanto siamo sottoposti alla legge. Di qui il parlare non più della libertà, ma delle libertà. Il concepire la libertà al plurale rifletteva la realtà di quelle società, dominate dal particolarismo e quindi da una serie di statuti, di prerogative, di franchigie di immunità delle molteplici società intermedie. Con i conflitti religiosi seguenti la Riforma protestante, si affermò una concezione della libertà che delineava i limiti dell’intervento statale in virtù del diritto di tutela della sfera privata, del foro interiore. Con le rivoluzioni del XVII e del XVIII secolo le libertà trovarono consacrazione in documenti che hanno segnato la modernità e la cui concezione fondata sulla tolleranza e sui limiti all’esercizio del potere hanno impregnato di sé la nostra visione del rapporto tra pubblico e privato. Le profonde radicali trasformazioni innescate dalla Rivoluzione industriale produssero in campo culturale la riflessione di Karl Marx, alle origini del socialismo scientifico, secondo cui la libertà, così come si era sviluppata nelle società occidentali, era destinata a essere un mero fatto formale se non accompagnata a una sostanziale liberazione che rendesse effettiva la libertà di scegliere. La libertà era strettamente connessa con l’uguaglianza: l’una senza l’altra non potevano sussistere. Così come, nel corso del Novecento, specie in virtù della «Rivoluzione culturale» avviatasi alla fine degli anni Cinquanta si è affermato lo stretto nesso tra libertà e parità, all’origine di diversi movimenti, a cominciare da quello femminista, da quello antirazzista, sia negli Stati Uniti sia in regimi dominati dalla segregazione razziale come il Sudafrica (fino alla liberazione di Nelson Mandela nel 1990), ai diversi movimenti di liberazione delle minoranze. In questo senso va anche la recente riflessione dell’economista indiano Amartya Sen e della filosofa americana Martha Nussbaum, per i quali la libertà consiste nell’effettiva possibilità di condurre l’esistenza che si desidera e di potere disporre di un ventaglio effettivo di possibili scelte. Oltre alla libertà negativa e alla libertà positiva, si direbbe operare una terza libertà della persona umana: la compiuta esplicazione delle effettive abilità soggettive. La Costituzione giacobina del 24 giugno 1793, affermando l’eguaglianza dei diritti politici di «ogni uomo nato e domiciliato in Francia, in età di ventun anni compiuti», concedeva il suffragio universale maschile. L’affermazione di quel diritto corrispondeva all’avvento della democrazia. Tuttavia negli anni a seguire il cammino verso un sistema politico democratico e verso sempre maggiori libertà ai cittadini si rivelò assai difficile e tormentato in tutto il mondo. L’illuminista francese Jean-Jacques Rousseau ha scritto che «l’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene»: ancora oggi la lotta per la libertà è ardua in tante nazioni del mondo. 1 In alcuni paesi del mondo esistono ancora, o stanno tornando, forme di schiavitù e di sfruttamento delle persone: come pensi che si potrebbero combattere e debellare? 2 In una società organizzata, il limite alla libertà di un individuo è che questi non comprometta i diritti fondamentali di altri individui. Puoi fare un esempio? 146 © Loescher Editore – Torino 1.I borghesi affermano le libertà fondamentali Questo contributo di George Duby e Robert Mandrou mostra con chiarezza quali furono i principali guadagni ottenuti dalla Rivoluzione borghese nel campo dei diritti fondamentali e nell’affermazione delle libertà quotidiane. «Tutto ciò che non nuoce ad altri» è la definizione più generale che i costituenti [del 1789-91], allo scopo di far dimenticare ordinamenti, restrizioni, fastidi dell’antico regime, sono riusciti a dare. Nella realtà concreta, dare una delimitazione altruistica all’uomo libero significa, nel 1789, una condanna formale delle corporazioni, delle gabelle e delle perquisizioni, delle consuetudini onorifiche che da secoli consentivano ai nobili di opprimere i plebei. […] Basta l’insistenza con cui la dichiarazione del 1789 torna sulle coazioni che potrebbero essere esercitate da alcuni gruppi sociali a indicare che il problema più importante è questo: il francese del 1789 vuole sentirsi libero nella sua vita quotidiana. La dichiarazione dei diritti pone la maggior cura a definire non solo la libertà, ma le libertà che sono indispensabili al cittadino. Per prima cosa i legislatori rivoluzionari hanno dovuto garantirsi un habeas corpus all’inglese, per salvaguardare la propria libertà individuale: la dichiarazione non ha la rigorosa precisione della legge britannica e non fissa i termini né della detenzione preventiva né della comparizione in giudizio. Prudenza forse di quei borghesi che temono gli eccessi po- polari, non meno dei complotti aristocratici; difficoltà anche di liberarsi, in un momento, delle lentezze della procedura francese. [...]. Resta una delle più grandi conquiste della rivoluzione; nonostante tutte le alterazioni subite dal 1792 al 1815, la libertà individuale, nella sua definizione complessiva, si ritrova intatta nella Charte [la Costituzione] che resse la Francia sino al 1848. Altro riconoscimento che i francesi hanno ottenuto dalla rivoluzione è quello della libertà di coscienza: «Nessuno può essere molestato per le sue opinioni, neppure per quelle religiose» è scritto fin dal 1789. G. Duby, R. Mandrou, Storia della civiltà francese, Milano, Mondadori, 1994 2.La Costituzione giacobina La Costituzione del 1793 venne redatta dalla Convenzione nazionale, ovvero dall’Assemblea parlamentare eletta a suffragio universale maschile che, il 21 settembre 1792, proclamò la Repubblica. Non entrò mai in vigore dal momento che, a causa dello «stato d’eccezione», il potere restò saldamente nelle mani del Comitato di salute pubblica retto da Robespierre. Sotto certi aspetti si trattava di una Carta assolutamente innovativa, che rompeva col passato, introducendo concetti che ancora oggi provocano dibattiti e discussioni tra giuristi, politici e nell’opinione pubblica. Per esempio garantiva la cittadinanza ai lavoratori stranieri che vivevano in Francia da almeno un anno o che erano sposati con uno o una francese. Di seguito alcuni degli articoli di quella Costituzione. Art. 15. La legge deve decretare solo pene strettamente ed evidentemente necessarie: le pene devono essere proporzionate al delitto, e utili alla società. Art. 16. Il diritto di proprietà è quello che appartiene ad ogni cittadino di godere e disporre a suo piacimento dei suoi beni, dei suoi redditi, del frutto del suo lavoro e della sua operosità. […] Art. 18. Ogni uomo può impegnare i suoi servizi, il suo tempo; ma non può vendersi, né essere venduto; la sua persona non è una proprietà alienabile. Art. 19. Nessuno può essere privato della benché minima parte della sua proprietà, senza il suo consenso, tranne quando la necessità pubblica legalmente constatata lo esige, e sotto la condizione di una giusta e preventiva indennità. Art. 20. Nessun contributo può essere stabilito se non per l’utilità generale. Tutti i cittadini hanno il diritto di concorrere alla determinazione dei contributi, di sorvegliarne l’impiego, e di esigerne il rendiconto. Art. 21. La società deve la sussistenza ai cittadini disgraziati, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che non sono in condizione di poter lavorare. Art. 22. L’istruzione è il bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo potere i progressi della ragione pubblica, e mettere l’istruzione alla portata di tutti i cittadini. […] Art. 25. La sovranità risiede nel popolo; essa è una e indivisibile, imprescrittibile e inalienabile. Art. 26. Nessuna frazione del popolo può esercitare il potere del popolo intero; ma ogni sezione del Sovrano riunita in assemblea deve godere del diritto di esprimere la sua volontà con una completa libertà. […] Art. 35. Quando il Governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri. © Loescher Editore – Torino 147 Testimonianze Documento 1 Testimonianze Chi erano e cosa volevano i Padri Pellegrini? (capitolo 3) In questo brano, Alexis de Tocqueville, uno dei fondatori della moderna scienza politica, spiega quale importante ruolo ebbero nella fondazione degli Stati Uniti le idee religiose e politiche dei Padri Pellegrini, i puritani che nel 1620 lasciarono l’Inghilterra per approdare sulle coste del nuovo continente. Dalle sue parole traspare tutta l’ammirazione dell’europeo per l’America, laboratorio di esperienze sociali difficili se non impossibili di qua dell’Oceano Atlantico. Gli Stati Uniti, dunque, come culla della democrazia occidentale. Essi [i Padri Pellegrini] non erano spinti a lasciare il paese nativo dalla necessità, ma abbandonavano una invidiabile posizione sociale e una vita sicura; non andavano nel nuovo mondo per migliorare la loro situazione o per accrescere le loro ricchezze, ma si staccavano dalle dolcezze della patria per obbedire a un bisogno puramente spirituale […]. Gli emigranti o, come essi stessi si chiamavano, i «pellegrini» appartenevano a quella setta inglese che, per l’austerità dei suoi principi, era chiamata «puritana». Il puritanesimo non è soltanto una dottrina religiosa, ma si confonde anche in molti punti con le teorie democratiche e repubblicane più assolute. Per questa ragione esso aveva avversari pericolosissimi. Perseguitati dal governo della madrepatria, […] i puritani cercavano una terra barbara e abbandonata in cui fosse ancora permesso di vivere a loro modo e di pregare Dio liberamente […]. Appena sbarcati in queste rive inospitali […] la prima cura degli emigranti fu di organizzarsi in società […]. La popolazione della Nuova Inghilterra cresceva rapidamente, e mentre la gerarchia delle classi ripartiva ancora dispoticamente gli uomini nella madrepatria, la colonia presentava sempre più lo spettacolo nuovo di una società omogenea in tutte le sue parti. La democrazia, quale l’antichità non aveva osato sognare, scaturiva già grande e armata dal cuore della vecchia società feudale […]. Io ormai ho detto abbastanza per mettere nella sua vera luce il carattere della civiltà anglo-americana. Essa è il prodotto […] di due elementi perfettamente distinti, che altrove si sono spesso combattuti, ma che in America si sono incorporati in certo modo l’uno nell’altro e combinati meravigliosamente. Voglio dire lo «spirito di religione» e lo «spirito di libertà». A. de Tocqueville, La democrazia in America, Bologna, Cappelli, 1957 Documento 3 Robespierre chiede la condanna a morte di Luigi XVI (capitolo 4) Robespierre si mise in mostra e arrivò al potere nella Francia della Rivoluzione popolare portando alle estreme conseguenze la ricerca dei giacobini di un completo rinnovamento delle istituzioni, della cultura e della moralità pubblica. Un rinnovamento che doveva essere perseguito anche ricorrendo a mezzi estremi, giustificati dai superiori interessi della nazione. In questa visione non poteva esserci spazio per alcuna indulgenza nei confronti del re, rappresentante di un mondo che doveva essere cancellato. Il discorso del leader giacobino alla Convenzione rivela l’incrollabile fiducia di Robespierre nel sostegno popolare che presto avrebbe spazzato via ogni resistenza al cambiamento. Qui non c’è da fare un processo. Luigi non è un imputato; voi non siete dei giudici; voi siete e non potete essere altro che uomini di Stato e rappresentanti della nazione. Non dovete emettere una sentenza a favore o contro un uomo, dovete prendere una misura di salute pubblica, dovete compiere un atto di provvidenza nazionale […]. In effetti, qual è la decisione che una sana politica prescrive per consolidare la Repubblica nascente? Quella di imprimere profondamente nei cuori il disprezzo per la monarchia e di impressionare tutti i partigiani del re. Pertanto, presentare a tutto il mondo il suo delitto come un problema, fare della sua causa l’oggetto della discussione più impegnativa, più sacra, più difficile […] significa precisamente aver trovato il segreto per renderlo ancora pericoloso per la libertà. Luigi fu re, e la Repubblica è stata fondata; la famosa questione che vi impegna è decisa da queste sole parole. Luigi è stato detronizzato per i suoi delitti; Luigi ha denunciato il popolo francese come ribelle e ha chiamato in suo aiuto per castigarlo le armi dei confratelli tiranni. La vittoria del popolo ha deciso che soltanto lui era ribelle. Luigi non può dunque essere giudicato: è già giudicato. O egli è già condannato, oppure la Repubblica non è assolta. Proporre di fare il processo a Luigi XVI in questa o quella maniera, vuol dire retrocedere verso il dispotismo monarchico e costituzionale; è un’idea controrivoluzionaria, poiché mette in discussione la Rivoluzione stessa. In effetti se Luigi può essere ancora oggetto di un processo, Luigi può essere assolto; può essere innocente. Cosa dico? E’ supposto innocente fino a che non sia stato giudicato. Ma se Luigi viene assolto, se Luigi può essere supposto innocente, che ne è della Rivoluzione? Robespierre, Discorsi, in La rivoluzione giacobina, Milano, Rizzoli, 1990 Documento 2 Le richieste del popolo rurale e della borghesia di provincia in uno dei Cahiers de doléances (capitolo 4) I Cahiers de doléances furono lo strumento attraverso il quale tutti gli strati della popolazione affidarono ai loro rappresentanti le proprie speranze di veder cambiare almeno alcuni aspetti del sistema politico, giuridico, economico e sociale in cui vivevano da sempre. La quasi totalità dei rappresentanti eletti per il Terzo Stato in vista degli Stati Generali erano borghesi di città: proprietari, mercanti, professionisti. Tuttavia, essi portarono a Parigi anche la voce delle campagne. È quello che scopriamo leggendo alcuni articoli del Cahier de doléances redatto dai cittadini della piccola città di Civray, nel Poitou (Francia occidentale). Art. 1. I deputati di Civray lamenteranno che, dovendo le imposte essere approvate dal popolo, e le leggi essere il risultato della loro comune volontà, siano state stabilite parecchie imposte e fatte parecchie leggi senza il consenso della Nazione. […] Art. 3. […] Lamenteranno che le imposte sono state ripartite […] in considerazione del minore potere e della minore resistenza dei Corpi e degli Stati, per cui è risultata una sperequazione soprattutto a danno della classe più povera. Chiederanno che le imposte siano ripartite fra tutti i sudditi del re, nobili, ecclesiastici ed altri, senza distinzioni né privilegi, in maniera uniforme, proporzionale, chiara […]. Art. 9. Chiederanno inoltre la riforma delle leggi civili e criminali e di tutte le altre e la compilazione di un codice penale. Art. 10. Lamenteranno che le varietà delle leggi e delle consuetudini danno luogo a grandi difficoltà e provocano una specie di disunione tra popoli vicinissimi. Chiederanno che quelle differenti leggi siano gradualmente ravvicinate le une alle altre […]. Art. 11. Chiederanno la soppressione delle bannalità [dazi imposti dai signori feudali delle campagne agli abi- tanti nelle loro terre], delle corvées e di altri diritti che si rifanno alla servitù personale e al regime feudale […]. Art. 18. Lamenteranno che si invia da Francia molto denaro a Roma per bolle, provvisioni, dispense. Art. 19. Chiederanno che si provveda alla sussistenza dei parroci soltanto con i beni ecclesiastici, e che si affranchino da questa contribuzione le decime feudali e laiche […] o meglio ancora che si aumentino le entrate con la soppressione di qualche ordine regolare, le cui rendite potrebbero essere destinate a questo fine. Documento 4 Napoleone ai francesi nel colpo di Stato del 18 brumaio (capitolo 5) Il 18 brumaio del calendario rivoluzionario, Napoleone Bonaparte si fece eleggere Primo console di Francia e cominciò a esercitare poteri dittatoriali. Riferiamo le parole che Bonaparte rivolse alla nazione all’atto dell’assunzione dell’incarico. Egli prospettò ordine, giustizia e moderazione. E promise ai francesi che loro stessi avrebbero giudicato il suo operato: la strada era aperta verso l’acclamazione imperiale del 1804. Rendere la Repubblica cara ai cittadini, rispettabile allo straniero, temibile ai nemici, questi sono gli impegni che noi abbiamo preso accettando la prima magistratura. Essa sarà cara ai cittadini se le leggi e gli atti dell’autorità saranno sempre improntati allo spirito dell’ordine, della giustizia e della moderazione. Senza ordine, l’amministrazione non è che un caos: niente finanze, niente credito pubblico; e con le fortune dello Stato crollano anche quelle dei singoli cittadini. Senza giustizia non ci sono che due partiti, degli oppressori e delle vittime. La moderazione imprime un carattere augusto ai governi come alle nazioni; essa è sempre compagna della forza e garante della durata delle istituzioni sociali. La Repubblica sarà rispettata dagli stranieri se saprà rispettare nella loro indipendenza il fondamento della sua propria indipendenza; se gli impegni, saggiamente preparati e francamente assunti, saranno mantenuti con fedeltà. Essa infine sarà temuta dai nemici, se i suoi eserciti di terra e di mare saranno fortemente costituiti; se ognuno dei suoi difensori troverà una famiglia nel corpo a cui appartiene, e in questa famiglia una condizione favorevole alla virtù ed alla gloria; se l’ufficiale formato con lunghi studi otterrà, con una regolare carriera, la ricompensa dovuta al suo talento ed al suo lavoro. Su questi principi si basano la stabilità del governo, la prosperità del commercio e dell’agricoltura, la grandezza delle nazioni. Sviluppandoli, abbiamo tracciato la regola secondo la quale dobbiamo essere giudicati. Francesi, noi abbiamo proclamato i nostri doveri: spetterà a voi dirci se li abbiamo adempiuti. R. Villari, Storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1970 Cahiers de doléances, in Documenti e testimonianze, a cura di F. Gaeta, P. Villani, Milano, Principato, 1986 148 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 149 Interpretazioni Interpretazioni La Guerra di indipendenza americana: una «Rivoluzione» senza una carica ideologica dirompente? (capitolo 3) Le cause dello scoppio della ribellione dei coloni americani contro l’Inghilterra furono di carattere giuridico: il Parlamento di Londra, dicevano i sudditi americani, non aveva il diritto di imporre tasse senza che nella decisione intervenissero legittimi rappresentanti del popolo da tassare. In queste motivazioni non sembra che si possa trovare uno slogan trascinante, o una forte carica ideale. Eppure, sostiene lo storico statunitense Daniel J. Boorstin, le origini e lo sviluppo della «Rivoluzione americana» vanno riconosciuti nella loro unicità e originalità. Lo studioso, che avvicina per la prima volta la letteratura sulla nostra Rivoluzione, può essere probabilmente deluso dal tono grigio e legalistico di ciò che deve leggere. […] Il tipico slogan della Rivoluzione – se davvero fu uno slogan – era: «niente tassazione senza rappresentanza». Queste parole sono un po’ troppo polisillabiche, un po’ troppo legalistiche per infiammare il cuore del popolo. Ma se le confrontiamo con il principio «libertà, uguaglianza, fratellanza» della Rivoluzione francese e con quella «pace, pane e terra» della Rivoluzione russa possiamo avere una chiave per interpretare lo spirito della Rivoluzione americana. Io sono convinto che il principale oggetto in contestazione nella Rivoluzione americana fosse la natura della costituzione dell’Impero inglese, cioè qualcosa di squisitamente giuridico. […] La nostra Dichiarazione di indipendenza è essenzialmente un elenco di specifiche pretese storiche. Essa non è diretta alla rigenerazione, ma solo alle «opinioni» dell’umanità […]. Più si rilegge la Dichiarazione nel contesto, più essa si rivela un documento di relazioni giuridiche con l’Impero piuttosto che un esempio di elevata filosofia politica. Il desiderio di rima- nere fedeli ai principi del costituzionalismo inglese, a qualunque costo, spiega perché, come è stato spesso osservato, il documento fosse diretto contro il re, nonostante le lagnanze fossero rivolte contro il Parlamento; forse anche perché, a questo punto, non c’è più un esplicito appello ai diritti degli Inglesi. La maggior parte del documento è una enumerazione degli errori, degli eccessi, dei reati di Giorgio III in violazione della Costituzione e delle leggi della Gran Bretagna. Tutte queste accuse hanno senso soltanto se si presuppone la struttura del costituzionalismo inglese. D.J. Boorstin, The Genius of American Politics, in N. Matteucci, La Rivoluzione americana, Bologna, Zanichelli, 1968 Al principio della Rivoluzione contadini e operai affidano le loro speranze alla borghesia ricca e colta (capitolo 4) Abbiamo visto che il carattere dominante della Rivoluzione francese fu il suo essere voluta e fondamentalmente guidata dalla classe sociale emergente: la borghesia. Secondo lo storico A. Mathiez, era inevitabile che un simile sovvertimento fosse guidato dalla borghesia, la classe antagonista che – diversamente da contadini e operai – aveva cultura e mezzi per farlo scoppiare e dirigerlo. La Rivoluzione non poteva venire che dall’alto. Il popolo dei lavoratori, il cui orizzonte limitato non andava oltre il mestiere, era incapace di assumerne l’iniziativa e, a maggior ragione, di prenderne la direzione. Tutti gli appartenenti alle corporazioni erano divisi in gruppi rivali […]. Gli altri, quelli che cominciavano ad essere impiegati nelle «manifatture», erano in maggioranza dei contadini, i quali consideravano il loro salario industriale come un semplice complemento delle loro risorse agricole […]. Gli operai si lamentano senza dubbio della modicità del salario […]; si agitano talvolta, ma non han- no ancora la coscienza di formare una classe distinta dal «Terzo Stato». I contadini sono le bestie da soma di questa società. Decime, censi [il costo dell’affitto della terra da pagare al proprietario], prestazioni in natura, corvées, imposte regie, servizio militare, tutti i carichi pesano su di loro […]. Operai e contadini, capaci di bruschi impeti di rivolta quando il giogo si fa troppo pesante, non scorgono però i mezzi per mutare l’ordine sociale: cominciano appena ad imparare a leggere. Ma al loro fianco, per istruirli e illuminarli, ci sono il curato e l’«avvocatino» [nome che si dava al praticante avvocato, povero e all’inizio della sua carriera]; il curato cui essi confidano i loro dolori, il leguleio che difende davanti alla giustizia i loro interessi. E il curato […] invece di predicare alle sue pecorelle la rassegnazione come un tempo, riversa nelle loro anime un po’ dell’indignazione e dell’amarezza di cui è ripiena la sua. L’avvocatino […] non può fare a meno di stimare per quel che valgono gli antichissimi titoli, sui quali si fondano la ricchezza e l’oppressione […]. Si compie così un sordo lavoro di critica che precede di gran lunga e prepara l’esplosione. La Repubblica giacobina salva l’unità della nazione (capitolo 4) E.J. Hobsbawm propone una originale lettura del periodo del «Terrore» e sottolinea come la politica spietata dei Giacobini non fu determinata dall’odio nei confronti del nemico, ma dalla necessità di garantire la sopravvivenza della nazione in un periodo di enorme debolezza dello Stato. I conservatori hanno creato un’immagine indimenticabile del «Terrore», periodo di dittatura e di furia isterica e sanguinaria […]. I rivoluzionari, specialmente in Francia, hanno visto nel «Terrore» […] l’ispirazione di tutte le rivolte successive. Per tutti fu un’era che non si può misurare con i consueti criteri umani. Tutto questo è vero. Ma per la solida borghesia francese che si celava dietro il «Terrore» esso non era né un fatto patologico né un avvenimento apocalittico, ma innanzitutto e soprattutto l’unico metodo efficace per salvare il proprio paese. Questo fece la Repubblica giacobina e i ri- sultati conseguiti furono sovrumani. Nel giugno del 1793, sessanta degli ottanta dipartimenti francesi erano in rivolta contro Parigi; gli eserciti dei principi tedeschi invadevano la Francia dal Nord e dall’Est; gli Inglesi attaccavano dal Sud e dall’Ovest; il paese era debole ed economicamente rovinato. Quattordici mesi dopo la Francia era tutta sotto energico controllo, gli invasori erano stati cacciati, gli eserciti francesi avevano a loro volta occupato il Belgio e avevano dato inizio a un periodo i venti anni di trionfi militari quasi ininterrotti e conseguiti senza sforzo. […] La tragedia di Robespierre e della Re- pubblica giacobina fu che entrambi furono costretti a rinunciare all’appoggio delle masse. […] Le esigenze economiche della guerra finirono per allontanare l’appoggio del popolo. Nelle città, i calmieri e il razionamento favorivano le masse, ma il corrispondente congelamento dei salari le irritava. Nelle campagne, la sistematica requisizione dei prodotti alimentari – che i Sans-culottes delle città erano i primi a sostenere – provocava il risentimento dei contadini. Le masse perciò si ritirarono scontente o si chiusero in una perplessa e risentita passività. E.J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi (1789-1848), Milano, Il Saggiatore, 1963 Tra collaborazione con i francesi e estremismo giacobino si forma anche in Italia l’idea di patria (capitolo 5) Giorgio Candeloro mostra come nell’ambito del laboratorio politico delle «Repubbliche giacobine», le idee della Rivoluzione provenienti dalla Francia fossero alla base di una sorta di risveglio patriottico piuttosto diffuso e come a poco a poco si stesse formando l’idea di Italia come paese unico. L’estensione del movimento [giacobino] e la spontanea simpatia largamente diffusa per le idee rivoluzionarie sono frequentemente notate nei dispacci dei rappresentanti diplomatici francesi in Italia negli anni 1793-96. Il più intelligente di questi agenti, Francois Cacault […], scriveva […] che la Rivoluzione poteva contare non solo su parecchi giovani, ardenti fautori delle nuove idee, ma anche sulla simpatia della maggioranza della borghesia. […]. Ancora il 15 novembre 1795, in un dispaccio da Genova, affermava […]: «I moti dei patrioti a Torino, a Roma, a Napoli, nacquero spontanea- mente, senza direttive straniere […]». Effettivamente, se qualche aiuto francese vi fu […], esso si ridusse a consigli e ad incoraggiamenti […]. Il repubblicanesimo democratico implicava inoltre un atteggiamento di rottura col passato […] che è essenziale agli effetti delle origini del Risorgimento. I repubblicani si dicevano comunemente «patrioti»; il loro concetto di patria era ancora in quei primi anni vago e ondeggiante, permeato di cosmopolitismo illuministico e influenzato dal vecchio particolarismo tradizionale in Italia. […] L’idea della liberazione dallo straniero sembrava […] essere più d’ogni altra radicata in Italia ad un ignoto informatore del governo francese, il quale […] diceva: «Fatta astrazione di alcuni uomini che l’educazione ha innalzati al livello di tutte le verità che la Rivoluzione francese ha sviluppato, in generale il più grande sforzo a cui si eleva il patriottismo degli italiani è di liberarsi dal giogo straniero. Non si sa forse come essi sono italiani? Come possono obbedire a dei tedeschi? […]». […] Ed aggiungeva che se i francesi […] «volessero stabilirsi in Italia prendendo il posto degli austriaci, sarebbero odiati press’a poco come questi». G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. 1, Le origini del Risorgimento (1700-1815), Milano, Feltrinelli, 1956 A. Mathiez, La Rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1950. 150 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 151 Unità 2 • Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Verso la Prima prova: saggio breve Verso la Terza prova: quesiti a risposta singola 1 Leggi attentamente i seguenti documenti, il primo tratto dalla Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776 2 Rispondi in tre/cinque righe ai seguenti quesiti. e il secondo dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata nel 1789 dall’Assemblea nazionale francese, e individua gli aspetti che hanno in comune. Poi scrivi un breve testo che metta in relazione i due documenti, spiegando quali furono le cause che portarono alla formulazione di entrambi. 1 Come nacquero le tredici colonie inglesi nell’America settentrionale? 2 Perché avvenne e che cosa significò l’episodio del Boston Tea Party ? 3 Nella Francia del Settecento, chi faceva parte del «Terzo Stato»? Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario a un popolo sciogliere i legami politici che lo hanno unito a un altro e assumere fra le potenze della terra quella posizione separata e uguale a cui gli danno titolo le leggi della natura e del Dio della natura, un doveroso rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso dichiari le cause che lo spingono a tale separazione. Noi riteniamo che queste verità siano di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dotati dal Loro Creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità; che per salvaguardarli vengono istituiti fra gli uomini i governi, i quali derivano i propri giusti poteri dal consenso dei governati, che ogniqualvolta una forma di governo tende a distruggere questi fini è diritto del popolo modificarla o abolirla e istituire un nuovo governo, fondandolo sui principi e organizzandone i poteri nel modo che gli paia più conveniente a realizzare la propria sicurezza e felicità. La prudenza senza dubbio detterà di non cambiare per ragioni lievi e transitorie governi che esistono da lungo tempo e infatti l’esperienza mostra che l’umanità è disposta a soffrire, finché i mali sono tollerabili, più che a farsi giustizia abolendo le forme di governo a cui è avvezza; ma quando una lunga serie di abusi e di arbitrii, perseguendo invariabilmente lo stesso scopo, mostra un disegno volto a ridurla in uno stato di assoluto dispotismo è suo diritto, è suo dovere liberarsi di un simile governo e garantirsi in altro modo protezione per il futuro. 4 Quali erano gli schieramenti politici che sedevano nell’Assemblea nazionale costituente? 5 Che cosa s’intende con l’espressione «regime del Terrore»? 6 In quale modo Napoleone arrivò al potere in Francia? Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta 3 Costruisci una mappa concettuale sul ruolo dell’esercito e della guerra nello Stato napoleonico (capitolo 5). Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale 4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sulla Costituzione americana (capitolo 3), che potrai poi esporre oralmente. I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo [...]: Art. 1. – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. Art. 2. – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. [...] Art. 4. – La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge. [...] Art. 6. – La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti. [...] Art. 10. – Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge. Art. 11. – La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge. [...] Art. 13. – Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d’amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze. Art. 14. – Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata. 152 © Loescher Editore – Torino Costituzione americana del 1787 à Autonomia amministrativa degli Stati à Ordine pubblico, istruzione, organizzazione interna dei commerci à Delega di importanti poteri ad autorità centrali Confederazione à Federazione à Repubblica costituzionale Congresso à Camera dei rappresentanti e Senato à Potere legislativo Montesquieu à Divisione dei poteri Presidente della Repubblica à Potere esecutivo Corte suprema federale à Potere giudiziario à Rispetto della Costituzione à Difesa delle libertà individuali à Emendamenti à Carta americana dei diritti fondamentali Congresso à Controllo del Presidente à Potere di annullare il veto del Presidente su una sua legge; conferma nomine dei ministri; ratifica dei trattati internazionali; potere di mettere in stato di accusa il Presidente Controllo ed equilibrio dei poteri Presidente della Repubblica à Diritto di veto nei confronti delle leggi del Congresso Corte suprema federale à Potere di dichiarare incostituzionali gli atti legislativi © Loescher Editore – Torino 153