mantenere l’ordine era quella dell’esercito.
Da questo ci si aspettava, dunque, sia l’arricchimento delle casse dello Stato, sia il
mantenimento della pace politica e della
tranquillità interna. Era quindi evidente che
chi avesse conquistato la fiducia dell’esercito si sarebbe di fatto trovato alla guida della
Francia.
L’età napoleonica
La Francia nel 1789
Conquiste del 1792
(annessi nel 1796)
Conquiste del 1793
(annessi nel 1797)
Le campagne di Napoleone
in Italia (1796-1797)
Conquiste tra il 1796
e il 1798 (annessi nel 1802)
Nel 1796 il progetto di espansione francese
verso est portò il Direttorio a elaborare un
duplice piano di attacco all’Austria. Un’armata francese avrebbe attraversato i deboli
e divisi Stati tedeschi puntando su Vienna,
mentre un’altra armata avrebbe dovuto indebolire l’Austria nei suoi domini italiani
penetrando dal Piemonte in Lombardia e
nel Veneto.
Le truppe francesi che combattevano in
Germania furono tuttavia fermate dagli austriaci. Quelle che avevano invaso la Lombardia, il principale dominio austriaco in Italia, ottennero invece importanti vittorie. Alla
guida di queste truppe c’era un giovane generale: Napoleone Bonaparte (1769-1821).
Napoleone si era già messo in mostra sia
combattendo da capitano per conto della
Convenzione giacobina contro la ribellione
girondina della città di Tolone (1794), sia
stroncando – ormai generale – per le vie di
Parigi i realisti in marcia contro il Direttorio
(5 ottobre 1795).
Giovane e molto ambizioso, in quegli
anni egli aveva dimostrato sia una certa abilità nel muoversi tra gli intrighi politici della
Francia rivoluzionaria, sia una straordinaria
autorevolezza e competenza militare, guadagnandosi il profondo rispetto delle truppe a lui affidate.
Mentre dunque in Germania l’armata
francese rimaneva bloccata, in Italia Napoleone riuscì a mantenere unite le sue forze,
inferiori numericamente a quelle austriache,
e a manovrare così rapidamente da dividere
i reparti nemici. Il 15 maggio 1796 entrò a
Milano e poi sconfisse gli austriaci ad Arcole
e a Rivoli Veronese (gennaio 1797). Occupate Bologna e Ferrara, strappò allo Stato della Chiesa l’Emilia e la Romagna. In seguito, ormai padrone incontrastato dell’Italia
settentrionale, passò le Alpi e giunse a soli
cento chilometri da Vienna, eseguendo alla
Territori ceduti all’Austria
dopo Campoformio
Repubbliche vassalle
R E G NO DI
G R A N B R E TAG N A
Brema
Repubblica
Batava
Londra
Berlino
Amsterdam
Offensive austro-prussiane
REGNO DI PRUSSIA
Bruxelles
Offensive francesi
Sbarchi inglesi
Parigi
Versailles
Campagna di Napoleone
Oceano
Vittorie francesi
Sconfitte francesi
Nantes
Atlantico
IMPERO GERMANICO
Paesi Bassi
Austriaci
Valmy
Praga
Metz
I M P E R O
Monaco
REPUBBLICA FRANCESE
Lione
Bordeaux
D’ A U S T R I A
Repubblica
Elvetica
Savoia
Piemonte
Torino
Avignone
Pavia
Rep.
Ligure
Rep.
Cisalpina
Venezia
IMPERO
OTTO MANO
Toscana
Corsica
Barcellona
Rep.
Romana
Roma
REGNO DI
SARDEGNA
Mar e
Campoformio
Milano
Marsiglia
Tolone
R E G NO D I S PAG N A
Vienna
Napoli
Repubblica
Napoletana
Me di t e r ran e o
REGNO DI
SICILIA
La politica di espansione francese fino al 1797
5.1 I primi successi
di Napoleone Bonaparte
L’importanza dell’esercito
per il controllo della Francia
rivoluzionaria
Con la Costituzione moderata del 1795 la
borghesia francese sperava di dare pace e
stabilità al paese dopo gli eccessi del periodo del Terrore. Tuttavia non mancavano problemi e gravi tensioni. La situazione economica era così grave che il Direttorio decise
di impegnare l’esercito in nuove guerre in
Germania e in Italia per conquistare territori e depredarne le ricchezze (attraverso l’imposizione di tasse e di relazioni commerciali
vantaggiose per le imprese francesi).
All’interno, intanto, si susseguivano sollevazioni da parte dei democratici, eredi
dei giacobini, o da parte dei nostalgici della monarchia. Era quindi possibile che si
ripetessero nuovi conflitti civili e che una
parte politica prendesse il sopravvento sulle
altre avviando un nuovo periodo di stragi e
violenze. In questa situazione l’unica forza
sulla quale il Direttorio poteva contare per
Il passaggio del ponte d’Arcole durante la campagna
napoleonica del 1796, Versailles, Musée National du Château.
La firma del Trattato di Campoformio fra Francia (rappresentata
da Napoleone) e l’Austria (rappresentata da Cobentzel) nel 1797.
perfezione il piano anti-austriaco originario
e costringendo il nemico a chiedere la pace.
Il 17 ottobre 1797 Napoleone firmò con
l’Austria il trattato di Campoformio. L’Austria cedette alla Francia il Belgio, ampi territori in Germania sulla riva sinistra del Reno
e la Lombardia. In cambio, agli austriaci fu
permesso di occupare la Repubblica di Venezia, l’Istria e la Dalmazia.
Napoleone guadagnò molta fama tra i
francesi e cominciò la sua inarrestabile carriera politica. Nel perseguire questi obiettivi, egli agì con un ampio margine di indipendenza rispetto al Direttorio (fu lui, infatti, a
condurre le trattative con l’Austria).
Le «Repubbliche giacobine»
La sconfitta degli austriaci suscitò grandi
speranze nei patrioti italiani che sull’onda
delle prime vittorie francesi, avevano fondato alcune repubbliche che si ispiravano al
modello di quella francese (e che per questo
vennero dette dai loro avversari politici conservatori «Repubbliche giacobine»).
© Loescher Editore – Torino
124
1750
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
125
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Nel novembre 1797 Napoleone rientrò
in Francia, ma il predominio francese nella
penisola continuò a rafforzarsi. Nel febbraio 1798 i francesi imposero nello Stato della Chiesa la Repubblica Romana: papa Pio
VI – già nemico della Costituzione civile del
clero francese – fu arrestato e trasferito prima in Toscana e poi in Francia, dove morì
nel 1799.
Nel gennaio 1799, dopo che il Regno di
Napoli si era unito a una nuova coalizione
anti-francese e aveva attaccato la Repubblica Romana, i francesi sconfissero le truppe
di re Ferdinando IV e proclamarono la Repubblica Partenopea  .
L’Italia «liberata» dai francesi
L’ingresso delle truppe francesi a Napoli, 1799, Parigi, Bibliothèque Nationale.
cispadana: «che
si trova al di qua della
pianura padana».
cisalpina: «che si
trova al di qua delle Alpi».
G. de Prenner, Il cardinale
Tommaso Ruffo, Napoli,
Museo di San Martino.
 Tweet Storia p. 358
Nel dicembre 1796 a Reggio Emilia era
nata la Repubblica Cispadana comprendente Emilia e Romagna (ad esclusione di
Parma e Piacenza), che aveva adottato una
bandiera tricolore ispirata a quella francese, con la banda verde al posto di quella blu.
Nel giugno 1797, dopo la definitiva sconfitta
austriaca, erano sorte in Lombardia la Repubblica Cisalpina (che presto fece corpo
unico con i territori della Repubblica cispadana, comprendendo quindi Lombardia,
Emilia e Romagna) e a Genova la Repubblica Ligure.
A sostenere i nuovi governi in questi Stati
era una parte della borghesia illuminata e
ricca delle città, che vedeva nella Francia rivoluzionaria una speranza di cambiamento
e libertà. Ostili al nuovo ordinamento erano
ovviamente i nobili, il clero e una parte crescente della popolazione rurale.
Nonostante il loro appellativo, le «Repubbliche giacobine» si basarono quasi tutte su
Costituzioni che imitavano quella francese
del 1795. Erano dunque repubbliche moderate, che difendevano la proprietà e i diritti
della borghesia. Tuttavia esse recepivano
dalla Francia l’abolizione dei privilegi della
nobiltà e del clero (di cui si cominciò a requisire e vendere i beni), ma erano guidate,
nei ruoli chiave dell’amministrazione e del
governo, da uomini graditi ai francesi.
Il vero scopo delle campagne napoleoniche
era chiaro: sottomettere alla Francia terre
straniere e imporre loro le tasse e l’obbligo
di fornire soldati all’esercito dei conquistatori (seppur introducendo in qualche campo nuove libertà e modernizzazioni). Negli
anni successivi al trattato di Campoformio,
l’Italia era di fatto stata sottomessa al dominio francese  . A parte la ex Repubblica di
Venezia (sotto dominio austriaco), i territori
della penisola erano dunque o direttamente governati da Parigi (come l’ex regno dei
Savoia o la Toscana) o sottoposti al rigido
controllo francese (come le «Repubbliche
giacobine»), pur restando formalmente indipendenti. Ai Savoia, cacciati dal Piemonte, restava solo la Sardegna, ai Borboni la
Sicilia.
Nei territori sottomessi alla loro influenza (definiti «Repubbliche sorelle») i francesi
introdussero Costituzioni repubblicane e
stimolarono in qualche misura la partecipazione al governo di intellettuali e patrioti
italiani. I privilegi feudali della nobiltà furono cancellati, furono confiscate le proprietà
della Chiesa e furono proclamate la libertà di
pensiero e di stampa. Ma a causa delle tasse
e dell’arruolamento obbligatorio di migliaia
di giovani le «Repubbliche sorelle» finirono
per impoverirsi: scoppiarono frequenti rivolte, sempre represse con la forza. Queste
rivolte si indirizzarono, inevitabilmente, anche contro le nuove classi dirigenti italiane,
colpevoli di mantenersi al potere con l’appoggio francese. Si rivelava così l’estrema
fragilità delle Repubbliche appena nate e
con scarso seguito popolare.
Le ribellioni furono particolarmente diffuse ed ebbero in parte successo nel periodo
tra 1798 e 1799, quando una Seconda coalizione europea anti-francese (la prima era
quella creatasi nel 1793) portò i dominatori
a subire importanti sconfitte in Italia settentrionale. Nella pianura padana si ebbero le
prime «insorgenze» popolari, ma a Napoli i
contadini formarono una vera e propria armata, detta «armata della Santa Fede» (i suoi
membri erano detti «sanfedisti»), guidata
dal cardinale Fabrizio Ruffo. I sanfedisti abbatterono la Repubblica e consentirono il
ritorno del re, che procedette a una feroce
repressione in cui caddero vittime patrioti
come Mario Pagano (estensore della Costituzione più democratica tra quelle italiane),
Vincenzo Russo, Francesco Caracciolo.
Lo scrittore politico Vincenzo Cuoco
scrisse nel 1801 un Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, in cui denunciava i limiti del tentativo dei patrioti «giacobini» di guidare i loro Stati senza essere
riusciti a ottenere il consenso delle masse.
L’esperienza politica delle Repubbliche
giacobine fu un vero laboratorio politico
(con circoli, salotti, giornali in piena attività) in vista della successiva lotta per l’indipendenza dell’Italia. La classe dirigente
intellettuale e politica, che in parte sopravvisse a quel periodo, si divise in moderati
riformatori (come Melchiorre Gioia, attivo a Milano) e in rivoluzionari più radicali
(come Filippo Buonarroti, già protagonista
in Francia della «congiura degli eguali», Giovanni Ranza e il già citato Vincenzo Russo).
Inoltre si misurò per la prima volta con la
difficoltà di sposare le aspirazioni popolari e
con i pericoli di un sostegno straniero nella
lotta contro i dominatori austriaci.
L’Italia sottomessa alla Francia
Domini diretti
«Repubbliche
sorelle»
5.2 Dalla spedizione
in Egitto al colpo
di Stato del 1799
Napoleone in Egitto
e la Seconda coalizione
antifrancese (1798-1799)
Nel frattempo, sconfitta l’Austria, il Direttorio decise di colpire il Regno Unito nei suoi
possedimenti coloniali. La Francia progettò
quindi di conquistare l’Egitto per ottenere il
controllo sul Mar Rosso e danneggiare i collegamenti degli inglesi con i possedimenti
in India.
La guida della spedizione fu affidata a
Napoleone, che fu così allontanato da Parigi
e dalla Francia, dove la sua popolarità cominciava a renderlo un temibile avversario
politico del Direttorio. Nel luglio 1798 Napoleone sconfisse l’esercito egiziano dei Mamelucchi, una dinastia legata agli ottomani,
e occupò il Cairo. Ma la flotta inglese, guidata dall’ammiraglio Horatio Nelson, sorprese e distrusse ad Abukir le navi francesi
che dovevano rifornire l’esercito di uomini
e provviste. Napoleone si vide così costretto a proseguire la sua avanzata fino in Siria,
ma la sua impresa rischiava di intrappolarlo
lontano dall’Europa.
I primi successi francesi in Egitto provocarono la reazione di molte potenze europee,
preoccupate anche per la crescente supremazia della Francia sull’Italia. Come abbiaLa campagna di Napoleone in Egitto (1798-1799)
San Giovanni d’Acri
Ag
os
to
17
98
Ag
os
B
to
o
locc
17 9
n
le
ava
els
di N
on
Ex Regno
dei Savoia e
Toscana
Mare Mediterraneo
Gaza
Abukir Rosetta
1750
Nazareth
Gerusalemme
Mar Morto
Siria
El Salhiya
El Arish
Heliopolis
Il Cairo
Piramidi
E g i t t o
S i n a i
Vittorie francesi
Sconfitta francese
Asyut
© Loescher Editore – Torino
126
Giaffa
9
Alessandria
Repubblica
Cisalpina,
Repubblica
Ligure,
Repubblica
Romana,
Repubblica
Partenopea
L’età napoleonica
Nilo
2
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
127
2
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Campagna napoleonica in Egitto:
alcuni soldati dell’esercito francese
che si aggirano tra imponenti rovine.
A. Appiani, Napoleone Primo console,
1803, Bellagio, Villa Melzi, collezione
Gallarati Scotti.
plebiscito:
consultazione diretta
del popolo, chiamato a
pronunciarsi su specifiche
scelte.
mo già accennato, si formò dunque una Seconda coalizione antifrancese, formata da
Inghilterra, Austria, Russia, Svezia, Turchia
e, dopo il crollo della Repubblica Partenopea
nel luglio del 1799, dal Regno di Napoli.
Senza la guida di Napoleone, trattenuto
in Egitto, l’esercito francese fu sconfitto più
volte in Italia settentrionale dall’esercito
russo comandato dal generale Aleksander
Suvorov e fu sul punto di perdere le conquiste nella penisola. Nell’aprile del 1799 gli
austro-russi entrarono a Milano e nel mese
di maggio occuparono Torino, suscitando
l’entusiasmo delle vecchie classi dirigenti e
di ampi strati della popolazione rurale.
Il colpo di Stato
del 18 brumaio
p. 216
triumvirato: gruppo
di tre persone ai quali è
affidato il potere politico.
p. 314
Il 9 ottobre 1799 Napoleone fece ritorno
in Francia, preceduto da una campagna di
stampa che esaltava le sue vittorie in Egitto (in realtà molto parziali). Accolto come
un salvatore, approfittò del forte consenso
popolare e della situazione di pericolo per
attuare, appoggiato dall’esercito, dalla borghesia e da una minoranza dei membri del
Direttorio, un colpo di Stato. Il 18 brumaio
(9 novembre 1799), dopo che i deputati del
Consiglio sfavorevoli a questa svolta furono
dispersi da un reparto dell’esercito, i restanti deputati deliberarono, vista la situazione
eccezionale del paese, di affidare pieni poteri a un triumvirato , formato da Napoleone, Sieyès e Roger Ducos, i due membri del
Direttorio che sostenevano il generale vittorioso. Si decise anche di istituire due commissioni che avrebbero redatto una nuova
Costituzione. La nuova legge fondamentale
(detta «dell’anno VIII») entrò in vigore già nel
1799 e poi fu approvata con un plebiscito nel 1800. Essa conferiva i pieni poteri, per
dieci anni, a tre «consoli». Tra questi, Napoleone ebbe il titolo e la funzione suprema di
«Primo console». [Testimonianze  documento 4, p. 149]
Il Primo console esercitava il potere esecutivo: sceglieva i ministri e i funzionari
pubblici, i «prefetti», incaricati di dirigere
i dipartimenti (si riaffermava quindi una
struttura amministrativa fortemente accentrata, sotto il rigido controllo del governo)
ed era il solo a proporre le leggi.
Il potere legislativo veniva affidato a un
insieme di tre Camere: Senato, Tribunato e
Corpo legislativo. A tutti i cittadini maschi
si garantiva il diritto di voto per eleggere le
Camere: un’apertura democratica solo apparente, dal momento che essi potevano
semplicemente indicare delle «liste dei notabili», dalle quali erano poi i consoli (sempre con la preminenza di Napoleone) a scegliere i membri del corpo legislativo.
Anche il potere giudiziario era posto
sotto controllo del governo: i consoli stessi
sceglievano i giudici, i quali mantenevano
come unica garanzia di autonomia l’impossibilità di essere trasferiti dalle loro sedi.
Con questa riforma Napoleone diventava
un vero e proprio dittatore, con un assoluto
controllo su tutti i poteri dello Stato. Dopo i
lunghi anni della Rivoluzione la Francia sceglieva dunque la via della stabilità e seguiva
Napoleone nel suo progetto di condurre la
nazione con il pugno di ferro (a Parigi furono chiusi 60 giornali su 73) e di proiettarla
all’esterno con un’efficace (e lucrosa) politica di potenza. A Napoleone i francesi affidavano da un lato il compito di concludere la
Rivoluzione, dall’altro quello di raccoglierne
i frutti: uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge, partecipazione di tutti al bene supremo della nazione, affermazione dell’autorità superiore delle leggi contro l’arbitrio
dei privilegi tipico dell’Ancien régime.
Lo Stato napoleonico
Lo strumento di potere più importante per
Napoleone era la rete, da lui costruita e di-
retta personalmente, dei prefetti. Essi eseguivano fedelmente le direttive del governo
centrale ed esercitavano, con ampi poteri
personali, il controllo su ogni aspetto della
vita delle province, compreso il controllo di
polizia sulle opposizioni politiche.
Certo della saldezza del suo regime, Napoleone provvide a dare impulso ad alcune
riforme che sapeva gradite alla borghesia e
che andavano a tutto vantaggio dello Stato.
Si può infatti affermare che la presenza e
l’autorevolezza dello Stato, inteso in senso
moderno, fu proprio la principale eredità
che il regime napoleonico lasciò, come modello, alla politica europea.
Fin dall’agosto del 1800 venne creata una
commissione che provvedesse, come da
tempo richiesto dai cittadini, alla stesura di
un nuovo, completo e unico Codice civile.
Un altro campo di rapido ed efficace intervento fu la riforma dell’istruzione, sia di
base che avanzata. Vennero istituiti i licei,
per dare le basi umanistiche e scientifiche
della futura classe dirigente, e furono rafforzate le università e gli istituti di formazione
superiore. Tra questi fu dato particolare prestigio all’École Polytechnique, per la formazione di ingegneri militari e civili, che nei
decenni successivi si sarebbero poi dedicati
ad arricchire il paese di miniere, ferrovie e
altre infrastrutture .
Lo Stato si assunse anche responsabilità
e poteri nel campo dell’assistenza sociale (controllo e limitazione del numero dei
mendicanti) e sanitaria, ormai affidata a
strutture pubbliche (ospizi, ospedali) in sostituzione di quelle religiose che per secoli
avevano supplito a queste funzioni. I cittadini furono sottoposti a controllo statistico
attraverso censimenti che mettevano lo Stato in grado di misurare l’andamento della
vita economica e sociale.
In ogni aspetto della vita, sia privata sia
pubblica, lo Stato diventava protagonista.
vincendo la guerra contro la Seconda coalizione anti-francese. Un esercito francese
tentò di nuovo, come nel 1796, di avanzare
in Germania, mentre lo stesso Napoleone
guidò la spedizione che riteneva più importante, verso l’Italia. Nel maggio del 1800 egli
passò le Alpi al passo del Gran San Bernardo
e piombò sulle forze austriache rimaste sole
dopo il ritiro dell’esercito russo voluto dallo
zar Paolo I. Gli austriaci furono aggirati, Napoleone entrò all’inizio di giugno a Milano e
poi sconfisse il nemico a Marengo, nei pressi di Alessandria.
Gli austriaci si ritirarono e finirono per
chiedere la pace. Subito rinacquero la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Ligure,
anche se la politica francese, già ambigua e
orientata al controllo e allo sfruttamento tra
1797 e 1798, con Napoleone al potere divenne ancora più rigida nei confronti delle «Repubbliche sorelle». Inoltre, per volontà del
Primo console, la Toscana divenne «Regno
d’Etruria» e fu concessa a Ludovico di Borbone, sposo dell’erede al trono di Spagna
Maria Luisa.
1750
infrastrutture: il
complesso dei servizi e
degli impianti necessari
allo sviluppo sociale ed
economico di un paese
La vittoria contro la Seconda
coalizione
In breve tempo il regime napoleonico si
consolidò, anche grazie alla vittoria sugli
ultimi fuochi della rivolta in Vandea, alla repressione dei monarchici e all’esilio dei capi
giacobini più pericolosi.
Tuttavia, Napoleone doveva dimostrare
di essere una sicura guida per la nazione
J.-L. David, Napoleone al passo del San Bernardo, 1800-1801,
Rueil-Malmaison, Musée National du Château de Malmaison.
© Loescher Editore – Torino
128
L’età napoleonica
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
129
2
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
L’Austria, battuta anche in Germania, firmò la pace di Lunéville (febbraio 1801) e cedette la riva orientale del Reno e l’Italia settentrionale. In seguito accettarono accordi
vantaggiosi per la Francia anche la Russia e
la Turchia.
Il Regno Unito fu l’ultimo ad accordarsi
con Napoleone, ma nel marzo 1802, per non
disperdere le proprie energie in una guerra
solitaria e per difendere i propri interessi
commerciali, Londra accettò di firmare la
pace di Amiens: la Francia si vedeva riconosciute le conquiste in Europa, mentre l’Egitto tornava sotto controllo turco.
L’opera di riforma interna:
il concordato e il completamento
del Codice civile
Dossier 10 p. 346
 Tweet Storia p. 358
Tornato nuovamente in patria da trionfatore, Napoleone proseguì nella sua opera di
pacificatore sociale e riformatore.
Un primo obiettivo fu la pacificazione religiosa, dopo gli anni della contrapposizione
tra Rivoluzione e Chiesa cattolica. Nel luglio
1801 fu firmato un concordato con Roma: il
nuovo papa Pio VII (1800-1823) riconosceva
la Repubblica francese e l’acquisizione dei
beni della Chiesa in Francia. I vescovi furono sostituiti con uomini scelti da Napoleone
e consacrati dal papa. In cambio, il cattolicesimo veniva riconosciuto come la religione della maggioranza del popolo francese e
il suo clero sarebbe stato mantenuto a spese
dello Stato. Napoleone regolò anche la posizione dei pastori luterani e calvinisti, ai
quali garantì, come funzionari dello Stato,
uno stipendio pubblico.
Il 2 agosto 1802 Napoleone fu proclamato «console a vita» e il Senato deliberò il suo
diritto di scegliere il proprio successore e
nominare nuovi membri del Senato.
Intanto prendeva corpo il nuovo Codice civile, destinato a diventare anch’esso
un modello per le legislazioni europee. Nel
marzo 1804 il nuovo testo unico delle leggi civili fu emanato, diventando il simbolo
dell’opera riformatrice napoleonica. Il Codice civile ordinava tutte le questioni relative alla proprietà dei beni (eredità, contratti,
donazioni, rapporti commerciali, contratti
di lavoro) e a tutte le questioni relative al
diritto di famiglia (regolamento del matrimonio come atto civile – e quindi non più
affidato solo alla Chiesa –, divorzio  , statuto giuridico e quindi diritti e doveri dei coniugi e dei figli). D10 Tre novità importanti
erano la possibilità anche per la moglie di
chiedere il divorzio e il diritto all’eredità anche dei figli minori e delle femmine al pari
dei maschi. Il Codice civile e le altre riforme
di Napoleone gli fecero guadagnare presso
molti intellettuali europei la fama di illuminato legislatore, di uomo di buon governo e
di efficiente amministratore dello Stato.
J.-J. Avril, La firma del concordato del 15 luglio 1801, Parigi, Bibliothèque Nationale.
Pio VII, XIX secolo, Recanati, Pinacoteca Civica.
5.3 L’apogeo di
Napoleone Bonaparte
Napoleone «imperatore
dei francesi»
Tra 1802 e 1804 Napoleone concepì sempre più la sua funzione come quella del
supremo garante del rapporto diretto tra
lo Stato e i cittadini. Tutte le innovazioni
costituzionali erano infatti state approvate
tramite plebisciti (anche quando Napoleone era divenuto «console a vita» nel 1802),
che rappresentavano ormai l’unica formula
attraverso la quale si esprimeva a grandissima maggioranza un consenso popolare
scontato e sempre motivato dal gradimento
della nazione nei suoi confronti. Era dunque
aperta la strada per l’assunzione di pieni
poteri personali in quanto principe eletto,
scelto e voluto dal popolo.
Il 4 aprile 1804 il Senato approvò una
solenne risoluzione con la quale il governo
della Repubblica veniva affidato a un «imperatore dei francesi». La strada che portava
definitivamente lontano dall’idea di una investitura divina del potere dei re era compiuta, ma al sovrano assoluto si sostituiva non
un complesso e equilibrato sistema di cariche istituzionali, ma un uomo che avrebbe
rappresentato l’incarnazione della volontà
generale. Napoleone, quindi, si presentava
alla nazione come l’unico sicuro interprete
della volontà prevalente e del bene comune.
Nel plebiscito che doveva approvare l’importante novità si ebbero oltre tre milioni e
mezzo di «sì» contro poco più di 2500 «no». E
il 2 dicembre 1804, nella cattedrale di Nôtre
Dame a Parigi, alla presenza di papa Pio VII,
Napoleone fu solennemente incoronato. A
Le leve del potere erano saldamente nelle mani del sovrano e dei suoi fedelissimi. Il
controllo di polizia su ogni forma di opposizione era saldamente organizzato e diretto
da Joseph Fouché, un abile ex giacobino passato al fianco di Napoleone. Lo Stato faceva
sentire la sua presenza capillare attraverso i
prefetti. L’economia godeva della protezione delle autorità, che attraverso i progressi
della politica di espansione e investendo
denaro nelle infrastrutture e nelle ingenti forniture per l’esercito sempre in guerra
garantiva guadagni alla borghesia più intraprendente. [ I NODI DELLA STORIA p. 138]
J.-A. Ingres, Napoleone sul trono imperiale, 1806, Parigi, Musée de l’Armée.
La guerra come forma
di finanziamento dello Stato
La guerra rappresentava per la Francia di
Napoleone sia un inevitabile impegno per
difendere il paese dai suoi nemici sia una
fonte di entrate per le casse statali e per i
venditori di forniture militari.
L’esercito francese era ormai divenuto un
esercito permanente basato sull’arruolamento stabile di circa 500.000 uomini, con
un ricambio di oltre 100.000 nuove reclute
ogni anno. La carriera militare era uno dei
canali privilegiati per migliorare la propria
posizione sociale e per guadagnare meriti
che facilitassero l’ingresso nell’amministrazione pubblica.
© Loescher Editore – Torino
130
1750
L’età napoleonica
Album p. 140
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
131
2
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Mantenere una simile forza comportava
una spesa enorme che Napoleone non poteva sostenere aumentando le tasse, già alte,
sulle proprietà terriere e immobiliari. Le
uniche imposte che furono reintrodotte (e
presto aumentarono) dai tempi dell’antico
regime furono quelle indirette, per esempio
sul tabacco e sul sale. Ma anche questo non
bastava. Dunque la Francia napoleonica si
trovò, tra 1804 e 1813 in quasi permanente stato di guerra perché ormai solo con le
campagne militari era possibile finanziare
l’esercito (che operava requisizioni nei territori invasi) e incamerare le risorse necessarie al funzionamento dello Stato.
La vittoria contro la Terza
coalizione antifrancese
L’equilibrio di forze in Europa dopo il 1802
non poteva mantenersi stabile, perché la
Francia aveva bisogno di estendere costantemente i territori sottomessi, cosa che ovviamente suscitava i costanti timori delle
potenze continentali. Da parte sua, l’Inghilterra desiderava avere mano libera sui mercati europei e sapeva di costituire il principale ostacolo alle aspirazioni di potenza
(anche marittima) francesi.
A.-L. Girodet-Trioson, Apoteosi degli eroi francesi morti per la patria durante la guerra per la Libertà, 1802.
Nel 1803 Napoleone concepì un piano di
invasione dell’Inghilterra e cominciò a radunare truppe a questo scopo, ma l’impresa
apparve piena di incognite e fu abbandonata. L’imperatore puntò allora su un accerchiamento navale delle flotte inglesi, guadagnandosi a questo scopo l’appoggio della
Spagna. Tuttavia, il 21 ottobre 1805 le flotte
francese e spagnola furono sconfitte e distrutte a Trafalgar, presso Cadice. L’ammiraglio inglese Horatio Nelson, che perse la vita
nello scontro, riuscì così a togliere alla Francia ogni speranza di guadagnare la supremazia sui mari, che rimase in mani inglesi.
Il Regno Unito era da poco riuscito a radunare intorno a sé una Terza coalizione
anti-francese (1805), cui si erano unite l’Austria, la Russia, la Svezia e il Regno di Napoli.
Tuttavia, negli scontri a terra la superiorità
tattica di Napoleone era schiacciante: egli
riusciva a manovrare le sue truppe con rapidità e questa guerra di movimento era in
grado di rompere il fronte dei suoi avversari. Inoltre, una volta ingaggiato il combattimento, le truppe francesi si rivelavano ben
addestrate e molto motivate, oltre a comprendere un certo numero di reparti d’élite – come la Guardia imperiale, formata da
La colonna di Nelson a Trafalgar Square, Londra.
J.-A. Gros, Napoleone sul campo di battaglia di Eylau il 9 febbraio 1807, 1808, Parigi, Musée du Louvre.
S. Weygandt, Girolamo e Caterina, re e regina
di Westfalia, 1810, collezione privata.
soldati di lunga esperienza – una formidabile cavalleria e ottimi reparti del genio militare . La Terza coalizione fu sbaragliata a
Ulm il 20 ottobre 1805 e soprattutto nella
grande battaglia di Austerlitz del 2 dicembre successivo.
La vittoria contro la Quarta
coalizione antifrancese
Al principio del 1806 un esercito francese
discese nel Regno di Napoli, alleato della
Terza coalizione, e costrinse re Ferdinando
IV a fuggire in Sicilia sotto la protezione inglese.
Il 15 febbraio 1806 Napoleone pose sul
trono di Napoli Giuseppe, suo fratello. Era
l’inizio di una politica di occupazione dei
troni di alcuni paesi d’Europa da parte di
parenti e fedeli generali, in modo da legare
più fortemente a sé gli sviluppi della politica
estera francese.
Nel contempo la Prussia, fino ad allora
neutrale, decise di organizzare una Quarta
coalizione antifrancese perché preoccupata dell’espansione napoleonica negli Stati
tedeschi. Ai prussiani si unirono il Regno
Unito e la Russia, ma il re Federico Guglielmo III marciò subito contro Napoleone in
Baviera e fu sconfitto a Jena e a Auerstedt
(ottobre 1806). Napoleone entrò a Berlino
da conquistatore, salutato in un primo momento da molti intellettuali tedeschi come
un innovatore.
La guerra continuò contro la sola Russia,
che fu battuta a Eylau (febbraio 1807) e a
Friedland (giungo successivo). La Russia ac-
cettò quindi la pace di Tilsit e inaugurò, con
lo zar Alessandro I, un periodo di prudente
collaborazione con la Francia.
La Prussia subì le conseguenze più gravi
della sconfitta: con i territori ad essa sottratti nacque un Regno di Westfalia affidato
a un altro fratello di Napoleone, Gerolamo
Bonaparte.
La politica familiare: fratelli e
parenti al potere in tutta Europa
Di vittoria in vittoria, Napoleone andava ridisegnando la carta d’Europa. Egli creò in
Germania una «confederazione del Reno»,
da lui completamente dominata, nella quale fece confluire anche un neonato granducato di Varsavia.
Nella nostra penisola, le Repubbliche
giacobine vennero accorpate in un «Regno
d’Italia» di cui lo stesso Napoleone cinse la
corona e che ebbe Eugenio di Beauharnais,
figlio della moglie di Napoleone, Giuseppina, come viceré. Nel 1807 la Toscana divenne un granducato annesso all’Impero e affidato alla sorella di Napoleone Elisa. Roma e
il Lazio e l’Umbria furono annessi alla Francia, mentre papa Pio VII, in aperto contrasto
con Napoleone, fu imprigionato nel 1809.
Infine, Luigi, un altro fratello di Napoleone, divenne re d’Olanda.
Dopo la pace con la Russia (1807), che
riconosceva tutte le conquiste francesi in
cambio della propria sicurezza e dell’appoggio alla propria espansione ai danni della Turchia, a Napoleone si opponeva solo il
Regno Unito.
© Loescher Editore – Torino
132
1750
L’età napoleonica
genio militare: il
genio è una formazione
dedicata al supporto
tecnico alle unità
combattenti: si occupa
dell’apertura di varchi
nelle opere difensive
avversarie; della
realizzazione di ponti
per il superamento di
ostacoli, canali, fiumi;
del ripristino o del blocco
delle principali vie di
comunicazione; della
realizzazione di opere
difensive o di demolizioni.
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
133
2
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
La lotta contro gli inglesi:
il «blocco continentale»
Stampa del 1806 che raffigura
le mercanzie inglesi bruciate
nel porto di Amsterdam, in
base al blocco continentale
voluto da Napoleone.
 Tweet Storia p. 358
L’unico modo per colpire l’Inghilterra era
di escluderla dal commercio sul continente
europeo. Napoleone era padrone di quasi
tutta l’Europa e alleato con la Russia. Poteva dunque chiudere alle navi e alle merci
inglesi quasi tutti i porti. Tra 1806 e 1807
l’imperatore decise dunque di istituire un
« blocco continentale  ». L’obiettivo di questa guerra commerciale era sia di soffocare
l’economia inglese, sia di costringere tutta
l’economia europea a gravitare su quella
francese. La Francia avrebbe dovuto diventare il centro industriale del continente, assorbendo a questo scopo le materie prime
dagli Stati satelliti e usandoli come mercati
riservati per i propri prodotti.
Il blocco doveva essere mantenuto con
piena coordinazione dal Mediterraneo al
Baltico. Oltre alla Francia e agli Stati da essa
direttamente dipendenti vi aderirono anche
la Russia e la Spagna.
Tuttavia, gli effetti non furono quelli sperati. In Europa diminuì fortemente, ma non
venne mai meno del tutto, la circolazione di
prodotti che provenivano solo dalle colonie
d’oltreoceano (come il caffè e lo zucchero
prodotto dalla canna da zucchero). Un limite all’efficacia del blocco fu rappresentato
dall’intensa e crescente attività di contrabbando che si sviluppò su molte coste europee. Gli eserciti napoleonici tentarono di
arginare il fenomeno e intervennero contro
quei principi alleati che si mostravano tiepidi nell’applicare il blocco (fu una delle
motivazioni della completa sottomissione
dell’Italia e dell’attacco al papa).
Per sopperire alla penuria di alcuni prodotti si svilupparono nuove produzioni,
come quella dello zucchero ricavato dalla
barbabietola.
A soffrire, tuttavia, erano soprattutto i paesi europei sottomessi, dove il controllo di
polizia degli occupanti e la loro invadenza
sull’economia risvegliavano il sentimento
antifrancese e patriottico anche di coloro che
inizialmente avevano sostenuto gli invasori.
Dal 1807 in poi, proprio per rendere totale il blocco continentale, Napoleone si
impegnò, come vedremo, su due fronti lontanissimi, prima in Spagna e poi in Russia,
finendo per esaurire la spinta espansiva del
proprio impero.
ostili al tradimento degli ideali rivoluzionari
e alla propria cultura nazionale e borghesi
danneggiati nei loro affari. Nacquero società
segrete, che cominciarono a preparare nella
clandestinità la riscossa nazionale.
Aspirazioni libertarie
e patriottiche in Europa
Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone Bonaparte.
5.4 La fine del predominio
napoleonico (1808-1815)
L’invasione della Spagna
Nel marzo 1808 un esercito francese, già respinto dalle truppe inglesi sbarcate in Portogallo, rovesciò per ordine di Napoleone il
re di Spagna Carlo IV. Sul trono di Madrid
salì Giuseppe Bonaparte, che lasciò il Regno di Napoli al fedele generale Gioacchino
Murat, cognato di Napoleone.
Tra i primi provvedimenti degli occupanti francesi della Spagna vi fu lo scioglimento
dell’esercito regolare spagnolo. Ufficiali e
parte della truppa, animati da sentimenti
patriottici, diedero vita a una intensa guerriglia contro gli invasori. La rivolta contro
gli stranieri ebbe anche risultati eclatanti,
come la temporanea cacciata del nuovo re
da Madrid, e comunque costrinse Napoleone a mantenere costantemente impegnato
in Spagna un esercito di 300.000 uomini.
Neppure la più feroce repressione riuscì a
domare gli insorti, ottenendo soltanto di accendere ancor più il popolo spagnolo contro
il nemico comune, odiato dai nobili, dalla
Chiesa, dall’esercito e dal popolo. Dalla Spagna alla Germania, l’Europa dei popoli si andava risvegliando sotto la pressione sempre
meno tollerata dei dominatori francesi. Al dispotismo napoleonico reagirono intellettuali
Vi furono tuttavia anche pronunciamenti
ufficiali, che dovevano fare da modello per
le lotte libertarie e patriottiche nel corso del
XIX secolo. Nel 1812 a Cadice, assediata dai
francesi, le cortes spagnole (cioè i rappresentanti della nazione, nobili e soprattutto
borghesi) si diedero una Costituzione modellata sull’esempio di quelle inglese e francese del 1791: fine dei privilegi nobiliari, suffragio censitario, monarchia costituzionale.
In Prussia, dove pure l’occupazione francese aveva modernizzato in parte la società (fu per esempio abolita definitivamente
la servitù della gleba), si ebbe un risveglio
dello spirito patriottico tedesco che ebbe
nel Discorso alla nazione tedesca (1808) del
filosofo Johann Gottlieb Fichte la sua più orgogliosa espressione. L’imperialismo napoleonico stava cedendo per l’impossibilità di
vincere la guerra del blocco continentale e
mostrava il suo volto dispotico e antipopolare. Ma proprio per questo stava involontariamente avviando un anelito di autonomia
nazionale e di riforme che sarebbe sopravvissuto alle vittorie napoleoniche.
F. Goya, Il 3 maggio 1808: fucilazione alla Montagna del Principe Pio, 1814, Madrid, Prado.
B. de Boisdenier, Episodio della ritirata di Russia, 1835, Rouen, Musée des Beaux-Arts.
La vittoria contro la Quinta
coalizione (1809)
Nell’aprile del 1809 Regno Unito e Austria
riaprirono lo ostilità contro la Francia con
una Quinta coalizione. Gli austriaci persero
prima la loro capitale, poi furono battuti a
Wagram (luglio 1809). La vittoria dell’ennesima guerra e le crescenti difficoltà del blocco continentale e dell’occupazione della
Spagna spinsero Napoleone a cercare anche
una legittimazione dinastica al suo domino
continentale. Perciò, su iniziativa del primo
ministro austriaco Klemens von Metternich,
il 1° aprile 1810 sposò Maria Luisa (aveva divorziato dalla prima moglie Giuseppina alla
fine del 1809), figlia dell’imperatore d’Austria Francesco I. Un anno dopo Napoleone
ebbe un erede, Francesco Carlo Giuseppe,
cui diede il titolo di «re di Roma».
Il sistema continentale mantenuto dalla
Francia con un costante dispendio di energie era, tuttavia, solo in apparenza solido.
All’interno della stessa Francia crescevano
la stanchezza per il continuo stato di guerra e la consapevolezza che la lotta contro
l’Inghilterra non era vinta. In Spagna continuava una resistenza che costava ai francesi perdite e ingenti spese. A est, invece, la
Russia si mostrava un alleato sempre meno
convinto, specie dopo la nascita del granducato di Varsavia, che sottraeva alla Russia il
suo tradizionale dominio sulla Polonia.
Quando i contrasti con lo zar Alessandro
I si fecero più aspri per l’accusa mossa da
Napoleone alla Russia di non impegnarsi
abbastanza nel blocco contro l’Inghilterra,
una nuova guerra divenne inevitabile.
© Loescher Editore – Torino
134
1750
L’età napoleonica
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
135
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
IMPERO
Lazio
Roma
Napoli
Ragusa
OTTOMANO
REGNO
DI
NAPOLI
Mediterraneo
La disastrosa guerra contro
la Russia (1812)
Atene
Alla fine di ottobre Napoleone decise di
ritirarsi e nelle settimane successive il freddo, la fame e le continue incursioni dei russi
sterminarono l’armata degli invasori. Circa
500.000 soldati morirono o furono imprigionati. A dicembre Napoleone era di nuovo
a Parigi, sconfitto per la prima volta e sul
punto di essere attaccato dall’ennesima coalizione antifrancese.
La Sesta coalizione
antifrancese e la fine
dell’impero napoleonico
Nel marzo 1815 Napoleone fuggì dall’Elba e,
sostenuto dall’entusiasmo popolare, si riappropriò del potere. La prospettiva di un ritorno dell’Ancien régime con il re Luigi XVIII
aveva infatti già scontentato la borghesia e
spaventava i contadini che vedevano tornare i nobili e riaffermarsi almeno in parte i
privilegi dei grandi proprietari terrieri.
La campagna di Russia (1812-1813)
1812
Avanzata dell’esercito di Napoleone
Ritirata dell’esercito russo
Ritirata dell’esercito di Napoleone
Inseguimento dell’esercito russo
Tallinn
Stoccolma
giugno luglio agosto
sett.
14 sett. 19 ott. 3 nov. 9 nov. 28 nov. 10 dic.
ritirata
M
a
Vilno
Danzica
Grodno
en
Ni
em
Minsk
Nerviz
1750
I M PE RO
R U S SO
Visto
l
a
Varsavia
Kiev
© Loescher Editore – Torino
136
Smolensk
Krasnoe
Beresina
Kovno
Königsberg
Malejaroslavec
Vitebsk
Kèdainiaia
na
esi
Ber
avanzata
Mosca
Borodino
Vjazma
Riga
ina
Si costituì prontamente, infatti, una Sesta
coalizione, che per diversi popoli (i tedeschi
in primo luogo) assunse il carattere di una
«guerra patriottica». Regno Unito, Prussia,
Russia, e ben presto anche l’Austria, attaccarono insieme e nella battaglia di Lipsia (1618 ottobre 1813) Napoleone fu sconfitto.
Avvenne quindi quello che la Francia rivoluzionaria era sempre riuscita ad evitare
anche nei suoi momenti di maggiore debolezza: a marzo del 1814 Parigi fu occupata
dagli eserciti stranieri.
Il 6 aprile 1814 Napoleone abdicò e i vincitori affidarono il potere a Luigi XVIII, fratello di quel Luigi XVI ghigliottinato durante
Il ritorno di Napoleone
e la sconfitta di Waterloo
(18 giugno 1815)
Dv
Contro la Russia Napoleone armò un esercito di circa 600.000 mila uomini. Il 24 giugno
1812 egli passò il confine polacco e penetrò
nella pianura russa, convinto di poter rapidamente impegnare le truppe nemiche in
una battaglia vittoriosa e di ottenere presto
una vittoria risolutiva.
L’esercito russo, tuttavia, seguì la strategia dettata dal generale Michail Kutuzov e si
ritirò per centinaia di chilometri, attirando i
francesi ben all’interno dello sconfinato paese e quindi molto lontano dalle loro linee
di rifornimento, e sfuggendo uno scontro
decisivo.
Il 12 settembre, finalmente, i russi si impegnarono in battaglia a Borodino, ormai
a soli cento chilometri da Mosca. I francesi
stremati, vinsero ma subirono gravi perdite.
Napoleone entrò a Mosca pochi giorni dopo,
ma la trovò deserta e priva di riserve di cibo
per rifornire le truppe. Inoltre, i russi in ritirata avevano appiccato il fuoco in molte
abitazioni e strutture della città, la quale fu
quindi devastata da incendi che resero impossibile per i francesi una sistemazione in
vista del terribile inverno ormai alle porte.
REGNO DI
SICILIA
Anche l’esercito mostrò di essere rimasto
fedele al suo comandante supremo. Napoleone promise riforme liberali e si preparò ad
affrontare l’inevitabile ostilità delle potenze
europee. Queste ultime, riunite a Vienna,
formarono dunque la Settima coalizione
antifrancese. La Francia era completamente circondata da nemici: Spagna, Portogallo, Regno di Sardegna, Paesi Bassi, Austria,
Prussia, Russia, Svezia e Regno Unito.
Tra il 15 e il 18 giugno 1815 a Waterloo, in
Belgio, Napoleone fu definitivamente sconfitto da inglesi e prussiani. L’ultimo tentativo di riconquistare il potere era durato cento giorni.
Quest’ultima impresa, che portò all’esilio definitivo di Napoleone sulla sperduta
Ba
ltic
o
Corsica
Bucarest
r
Mare
Etruria
Belgrado
5000
(1805)
PROVINCE
Firenze ILLIRICHE
REGNO DI
SARDEGNA
Baleari
Trafalgar
Venezia
Njemen
Valencia
REPUBBLICA
ITALIANA Trieste
30.000
REGNO DI SPAGNA
Marsiglia
Catalogna
Barcellona
Budapest
L’età napoleonica
La battaglia di Waterloo.
Beresina
Lisbona
Madrid
IMPERO D’AUSTRIA
37.000
Tolosa
Milano
Torino
Genova
Nizza
Vienna
Smolensk
Lione
Bordeaux
Monaco
CONF.
ELVETICA
50.000
FRANCIA
Vjazma
DEL RENO
Leopoli
100.000
Atlantico
Austerlitz
(1805)
Mosca
Parigi
Jena
(1806)
Francoforte CONFED.
Praga
Strasburgo
Colonia
110.000
Rouen
Brest
RUSSO
GRANDUCATO
DI VARSAVIA
Mosca
Oceano
I M PE RO
Varsavia
130.000
REGNO DI PRUSSIA
Borodino
Amburgo
155.000
Olanda
REGNO DI (Regno dal 1804 al 1810) Brema
Berlino
REGNO DI
GRAN BRETAGNA Amsterdam
WESTFALIA Lipsia
Bruxelles
Smolensk
Stati sotto influenza francese
Riga
375.000
Alleati
M ar
Bal t i c o
REGNO DI
DANIMARCA Copenaghen
Danzica
Vitebsk
Stati dipendenti dalla Francia
REGNO DI
SVEZIA
475.000
Mare del Nord
610.000 soldati
L’Impero francese nel 1812
la Rivoluzione nel 1793. Con questa mossa
i sovrani europei volevano far comprendere
all’Europa intera che si tornava all’Ancien
régime.
La Francia vide ridimensionati i suoi
confini e tornò all’estensione che aveva nel
1792. A Napoleone fu assegnato il Regno
dell’isola d’Elba, davanti alle coste della Toscana, dove gli alleati erano convinti di poterlo controllare. Alla moglie Maria Luisa e
al figlio fu assegnato il ducato di Parma. In
Italia il viceré Eugenio fu cacciato da una
sommossa popolare scoppiata a Milano. In
Lombardia e nel Veneto tornarono le truppe
austriache. Ferdinando III, re di Sardegna,
riprese possesso del suo Stato e così fece il
papa Pio VII.
Nell’ottobre 1814 si aprì a Vienna un congresso tra le potenze europee che doveva
decidere tutte le questioni politiche aperte
dalla fine della ventennale supremazia francese e della stagione rivoluzionaria.
Fiume
Njemen
L’Europa nel 1812
La «Grande
Armata»
2
© Loescher Editore – Torino
XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi
XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà
1773 Thomas Paine pubblica Common Sense
1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo
1815
137
2
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Villa Napoleone all’Isola d’Elba.
1796-1797
Campagne di Napoleone in Italia
1796-1799
Repubbliche giacobine in Italia
Il maresciallo Blucher e l’ammiraglio Wellington si abbracciano sul campo
di battaglia di La Belle Alliance (Waterloo), 18 giugno 1815, Berlino, Staatsbibliothek.
 Tweet Storia p. 358
isola di Sant’Elena  (dove morì il 5 maggio 1821), ebbe tuttavia un importante significato politico. L’entusiasmo popolare
con cui Napoleone era stato accolto dopo
la sua fuga dall’Elba indicava alle potenze
europee, intenzionate a riportare l’Europa
all’ordine delle monarchie assolute, che
dopo la Rivoluzione francese e la stagione
napoleonica un completo ritorno al passato era impossibile.
Dopo la lunga stagione che era cominciata nel 1789, i rapporti tra i cittadini e i
loro Stati erano, almeno nella visione a tutti nota e da molti condivisa, cambiati per
sempre. Inoltre, nelle guerre napoleoniche
e nella reazione al dispotismo francese si
era diffuso il senso di appartenenza nazionale cui si ispirarono, come vedremo nei
prossimi capitoli, numerose rivolte nei decenni successivi.
Napoleone: liberatore o dittatore?
138
© Loescher Editore – Torino
1798-1799
Spedizione di Napoleone
in Egitto
1799-1804
Napoleone Primo console
1802-1809
Successi militari di Napoleone
contro varie coalizioni
antifrancesi
I NODI DELLA STORIA
Pochi grandi personaggi della storia universale hanno avuto
l’ambivalenza che ha caratterizzato la vicenda di Napoleone Bonaparte. La sua immagine di figlio prediletto della Rivoluzione
francese, di liberatore dei popoli dalle catene dell’assolutismo,
di modernizzatore fecondo della società europea stride con
l’altra faccia della medaglia della sua intensa esperienza storica.
C’è un personaggio, nella letteratura italiana d’inizio Ottocento,
che bene riassume i sentimenti contradditori verso l’imperatore-liberatore transalpino: lo Jacopo Ortis di Ugo Foscolo.
L’amara delusione di Jacopo per il tradimento di Campoformio,
quando cioè il giovane generale francese cedette la Repubblica veneziana agli austriaci per la fretta di tornare in patria a
capitalizzare politicamente i successi militari della campagna
d’Italia, è paradigmatica del sentimento di tanti contemporanei
nei confronti del figlio dell’Ottantonove. Non meno dura sarebbe
stata la delusione di tanti liberali tedeschi, «romanticamente»
innamorati degli ideali rivoluzionari, alla scoperta del duro realismo politico del nuovo ordine politico napoleonico. Napoleone
interpretò perfettamente le contraddizioni di quella nuova fase
della storia mondiale. Esportò la Rivoluzione ma ne cancellò
l’utopia democratica; distrusse i regimi assolutistici d’Ancien
régime, ma li sostituì con governi altrettanto, se non più, illiberali. Praticò la fratellanza tra i popoli con l’ausilio di fucili e can-
1797
Trattato di Campoformio:
Napoleone cede la Repubblica
di Venezia all’Austria
noni, rendendo subalterna ogni esigenza di riscossa nazionale
ai supremi ed egoistici interessi della Francia. Per certi versi
riuscì a ottenere quell’egemonia politica e militare sull’Europa
che era stata il sogno, non avveratosi, di Luigi XIV, il campione
dell’assolutismo monarchico seicentesco. Risuscitò il modello
universalistico imperiale e creò, intorno ad esso, la fortuna di
amici fedeli e parenti devoti. E tuttavia modernizzò incredibilmente l’Europa sotto il suo dominio. Introdusse principi giuridici
avanzati e pragmatici; s’interessò di scienza e di tecnica; promosse l’istruzione superiore in una prospettiva coerente con gli
insegnamenti della cultura illuminista. Ma, soprattutto, garantì
una notevole mobilità sociale permettendo, anche a persone
di umili origini, di fare carriere impensabili nella sclerotizzata
società precedente.
In definitiva l’avventura napoleonica rappresentò la fine della
società d’Ancien régime e la premessa per l’egemonia borghese negli assetti sociali dell’Ottocento. Lo fece, però, confidando eccessivamente nella forza dei suoi eserciti e non capendo che la nuova sensibilità culturale che si stava affermando
non avrebbe tollerato a lungo la frustrazione delle proprie identità nazionali e l’egemonia di una nazione che, pur essendo culla
di quelle nuove idee di libertà e di autodeterminazione, restava
pur sempre una potenza straniera e oppressiva.
Marzo 1804
Promulgazione del Codice civile
Dicembre 1804
Napoleone incoronato
«Imperatore dei francesi»
1808
Spedizione in Spagna: inizio
del declino di Napoleone
1812
Campagna di Russia
1813
Napoleone sconfitto a Lipsia
L’età napoleonica
1 Durante gli anni del Direttorio, l’esercito garantisce l’ordine interno e le
conquiste necessarie a sostenere le finanze statali. Cresce l’importanza di Napoleone Bonaparte. Dopo l’approvazione della Costituzione moderata del
1795, tra rivolte dei sostenitori della monarchia e tentativi di sollevazione popolare
guidati dai giacobini, la borghesia francese si affidò all’esercito per mantenere il controllo del paese. Il ruolo delle forze armate fu decisivo anche sul fronte esterno,
e assicurò le conquiste indispensabili ad arricchire le esangui finanze dello Stato.
In questo contesto, il giovane generale Napoleone Bonaparte si mise in luce per
le sue vittorie sull’Austria (1796-1797) e per l’abilità diplomatica che mostrò nelle
trattative con Vienna (la Francia ottenne i territori sul Reno). Il sacrificio di Venezia,
ceduta all’Austria, deluse le speranze dei patrioti italiani.
2 In Italia si apre la controversa stagione delle «Repubbliche giacobine», tra
fragilità nel sostegno popolare e ingerenze francesi. In Italia sorsero le «Repubbliche sorelle» che la propaganda rivoluzionaria aveva da tempo sostenuto di voler creare ai confini con la Francia. Nacquero la Repubblica Cisalpina, la Repubblica
Ligure, poi, tra 1798 e 1799, i francesi imposero in armi la nascita della Repubblica
Romana e della Repubblica Partenopea. L’Italia era dunque in mano francese, ma
proprio la dipendenza delle «Repubbliche giacobine» dai francesi fu uno dei motivi
di maggiore debolezza. Furono introdotte riforme sul modello francese (abolizione
dei diritti nobiliari e requisizione dei beni della Chiesa), ma i governi repubblicani non
ottennero il favore popolare. Al contrario, il popolo animò ribellioni che, in occasione
della guerra contro la Seconda coalizione antifrancese in Italia, portarono alla fine
della Repubblica Partenopea.
3 Con la spedizione in Egitto (1798) Napoleone conquista il favore dei francesi. Nel 1799 attua un colpo di Stato e nel 1804 diventa «Imperatore dei francesi». Con l’ulteriore prestigio guadagnato come comandante militare nella campagna d’Egitto (1798) Napoleone si accreditò come «uomo forte» in grado di dare
stabilità, pace e forza alla nazione francese. Il «18 brumaio» 1799 attuò un colpo di
Stato e fu nominato «Primo console». La nuova Costituzione (detta «dell’anno VIII»)
gli conferì il pieno potere esecutivo e il controllo dei poteri legislativo e giudiziario. Egli
modernizzò lo Stato e lo accentrò. Un progresso notevole fu l’introduzione del nuovo
Codice civile. In seguito, sconfisse in Italia la Seconda coalizione antifrancese, e
ormai padrone del paese, il 2 dicembre 1804 divenne «imperatore dei francesi».
4 L’età napoleonica vede la quasi completa sottomissione dell’Europa alla
Francia. La Francia napoleonica era considerata da molti un modello di Stato
moderno e portatrice dell’ideale di uguaglianza di fronte alla legge; per questo fu
duramente avversata dalle altre potenze europee. Battendo la Terza (1805), la Quarta
(1806) e la Quinta (1809) coalizione antifrancese, Napoleone ridisegnò di fatto la
carta d’Europa: i regni d’Olanda, Italia, Toscana, Napoli e Westfalia furono assunti da
lui o affidati a parenti o fedeli. Tuttavia, Napoleone non riuscì a vincere la resistenza
la del Regno Unito, superiore nei mari, e istituì per questo un «blocco continentale»
dei commerci inglesi che fu molto difficile far rispettare sulle coste d’Europa.
5 Per mantenere il blocco continentale Napoleone esaurisce la propria spinta propulsiva: l’intervento in Spagna (1808) e le sconfitte del 1812, 1813
e 1815 pongono fine all’età napoleonica. Per imporre l’osservanza del blocco
continentale, Napoleone invase la Spagna nel 1808. Ma questa iniziativa si rivelò
difficile e dispendiosa: in Spagna – e così in altri paesi – si risvegliò un forte spirito
patriottico che mise in seria difficoltà gli occupanti. Disastrosa poi si rivelò la guerra
contro la Russia (1812). Nel 1813 Napoleone fu infine sconfitto a Lipsia dalla Sesta
coalizione; nel 1815, dopo gli ultimi «cento giorni» fu definitivamente battuto a Waterloo dalla Settima coalizione.
© Loescher Editore – Torino
139
2
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Una nuova età imperiale
La proclamazione dell’impero di Francia, decisa da Napoleone Bonaparte nel 1804, fece rivivere per circa un
decennio l’ideale di un’unica autorità politica che, direttamente o indirettamente, esercitasse la sovranità su
tutto il continente europeo. Questo progetto si richiamava a una lunga tradizione che era nata con l’antico
Impero romano ed era proseguita con il Sacro romano impero fondato da Carlo Magno. Il predominio della
Francia sul continente europeo si fondava su valori e principi nuovi e ben diversi da quelli del passato antico
o medievale. L’Europa doveva essere infatti unificata sotto il segno degli ideali rivoluzionari: la sovranità della
nazione, l’eguaglianza giuridica dei cittadini, la libertà personale ed economica degli individui.
L’età napoleonica
Uniformare le regole
dell’economia e
del diritto
Uno dei simboli più rilevanti dell’innovazione radicale che il predominio francese cercò di estendere a
tutta l’Europa fu, senza dubbio, il
Codice civile del 1804. Questo
progetto condusse alla redazione di
una raccolta sistematica di tutte le
leggi del diritto civile in modo tale
che vi fosse un unico sistema di
norme, comune a tutta la società e
a tutti i cittadini senza distinzioni
di ricchezza o livello sociale. In
base alla stessa logica, l’impero
napoleonico impose a gran parte
dell’Europa anche un sistema unitario e condiviso di pesi e misure, concepito su base decimale,
al fine di favorire e semplificare gli
scambi commerciali tra le diverse
aree del continente.
Il Codice civile napoleonico.
Napoleone sigla il Codice delle riforme civili (Codice civile).
L’arte e la moda
L’età napoleonica rappresentò per tutta l’Europa una fase fondamentale di svolta anche nel campo
della tradizione artistica, culturale e della moda. Per segnare più chiaramente l’avvio di una nuova
stagione storica, si avvertì l’esigenza di modificare profondamente le forme estetiche ereditate
dall’Ancien régime. Si affermò così quello che viene chiamato lo «stile impero», un nuovo linguaggio dell’arte e della moda contraddistinto dal ritorno ai decori e alle tradizioni dell’età antica.
J.-L. David, L’incoronazione di Napoleone, 1805-1807, Parigi, Musée du Louvre.
Vasi da tavola e tripode in stile impero.
L’immagine
dell’imperatore
Si riteneva che l’impero napoleonico fosse l’erede della Rivoluzione e avesse la missione storica di
cancellare definitivamente l’Ancien
régime da tutti i paesi europei. Napoleone, capo carismatico di questo nuovo impero del XIX secolo,
ne era l’uomo-simbolo e, con la
propria immagine, era chiamato a
personificare la nuova era postrivoluzionaria con l’obiettivo di garantirne i valori e i principi.
J.-L. David, Napoleone distribuisce le aquile imperiali al Campo di Marte, 5 dicembre 1804,1810,
Versailles, Musée National du Château.
140
© Loescher Editore – Torino
T. Sully, Donna con arpa: Eliza Ridgely, 1818.
Letto in stile impero.
© Loescher Editore – Torino
141
2
5
Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
ATTIVITÀ
2
Osserva la cartina e il grafico a p. 137 e costruisci la cronologia della campagna di Russia.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Tra il
e il
Napoleone decide di istituire un «blocco continentale» per colpire i commerci inglesi
Nel marzo
viene emanato il Codice civile, simbolo dell’opera riformatrice di Napoleone
Nel giugno
Napoleone viene sconfitto da inglesi e prussiani a Waterloo
Nel luglio
viene firmato il concordato con Roma
Nel gennaio
i francesi proclamano la Repubblica Partenopea
Nell’ottobre del
Napoleone è sconfitto a Lipsia
Nel luglio
Napoleone sconfigge l’esercito egiziano dei Mamelucchi
Nel maggio del
Napoleone oltrepassa le Alpi e il mese seguente sconfigge il nemico a Marengo
Nel
nasce la Repubblica Cispadana comprendente Emilia e Romagna
Il 21 ottobre
gli inglesi sconfiggono le flotte francese e spagnola a Trafalgar, presso Cadice
Il 15 maggio
Napoleone entra a Milano e in seguito sconfigge gli austriaci ad Arcole e a Rivoli Veronese
Il 17 ottobre
Napoleone firma con l’Austria il trattato di Campoformio
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo dell’età napoleonica.
1
2
3
4
5
6
7
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento; poi distingui con tre colori diversi gli eventi
che si verificano prima del consolato di Napoleone, quelli che avvengono durante il suo consolato e quelli che
accadono dopo la sua incoronazione.
5
L’età napoleonica
Borghesia illuminata
Laboratorio politico
Pugno di ferro
Imposte indirette
Superiorità tattica
Guerra di movimento
Anelito
Prova a riflettere sul significato di «blocco continentale» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega in che
cosa si differenzia dal «blocco marittimo». Qual è l’obiettivo di entrambe le strategie? Conosci un provvedimento simile
previsto dallo statuto delle Nazioni Unite?
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa allo Stato napoleonico. Poi rispondi alle domande.
Le caratteristiche fondamentali dello Stato napoleonico
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
Sotto la guida di Napoleone, la Francia riprende la guerra contro l’intera Europa giungendo a stabilire
la propria egemonia su buona parte del continente. La (1)
, infatti, rappresenta
per la Francia sia un inevitabile impegno per difendere il paese dai suoi nemici, sia una fonte di
(2)
per le casse statali e per i venditori di forniture militari.
La sconfitta degli (2)
in Italia e i primi successi francesi in Egitto provocano la reazione
di molte potenze europee, preoccupate per la crescente supremazia della Francia. In Italia i nuovi
Stati sono sostenuti da una parte della (3)
illuminata e ricca delle città, che vede nella
Francia rivoluzionaria una speranza di cambiamento e libertà; tuttavia, il vero scopo delle campagne
napoleoniche è chiaro: sottomettere terre straniere e imporre loro le (4)
e l’obbligo di
fornire soldati all’esercito dei conquistatori.
Il principale ostacolo alle aspirazioni di potenza francesi è costituito dall’(5)
: Napoleone
tenta di colpirla istituendo un «blocco continentale» per danneggiarne i commerci, ma non riesce a
sottrarle la supremazia sui (6)
.
Nonostante alcune sconfitte, l’esercito napoleonico sbaraglia le diverse coalizioni anti-francesi e di
vittoria in vittoria va ridisegnando la carta d’(7)
. Tuttavia, a soffrire sono soprattutto i
paesi europei sottomessi, dove il controllo di polizia degli occupanti e la loro invadenza sull’economia
risvegliano il (8)
antifrancese e patriottico anche di coloro che inizialmente hanno
sostenuto gli invasori; l’imperialismo napoleonico, infatti, mostra il suo volto dispotico e antipopolare e
avvia involontariamente un anelito di autonomia nazionale e di riforme che sarebbe sopravvissuto alle
conquiste napoleoniche.
La vittoria di Regno Unito, Prussia, (9)
e Austria riunite nella Sesta coalizione, che per
diversi popoli (i tedeschi in primo luogo) assume il carattere di una «guerra patriottica», segna la fine
dell’impero napoleonico.
1 Quali aspetti richiamano gli ideali
della Rivoluzione?
2 Quale aspetto è in forte contrasto
con gli ideali della Rivoluzione?
3 Quali campi coinvolge l’opera
riformatrice di Napoleone?
Mostra quello che sai
7
142
© Loescher Editore – Torino
Osserva le immagini a p. 135 e, dopo averle contestualizzate, spiegane il valore simbolico: quale immagine della
Francia napoleonica vogliono comunicare?
© Loescher Editore – Torino
143
Documenti
La Costituzione degli Stati Uniti
La Costituzione degli Stati Uniti è stata la prima Costituzione scritta dell’epoca moderna. Una prima versione
provvisoria del 1777 (prima dell’indipendenza) dava al nuovo paese un profilo di uno Stato confederale, i cui aderenti conservavano l’indipendenza, e nel quale il potere centrale era assai debole. La Carta venne completata solo
dieci anni dopo: la Convenzione di Filadelfia, riunitasi tra il 16 maggio e il 17 settembre 1787, elaborò un testo che,
prevedendo un forte potere federale, realizzava una repubblica fondata sulla separazione dei poteri: l’esecutivo è prerogativa del Presidente eletto; il legislativo del Congresso, formato dalla Camera dei rappresentanti
e dal Senato; il giudiziario della Corte suprema. Il loro rapporto è regolato da una serie di meccanismi che ne
assicurano la convivenza. La pubblicazione di una serie di articoli raccolti poi nell’opuscolo Federalism, opera di
Alexander Hamilton, James Madison e John Jay ne fondò anche l’interpretazione autentica.
Nella Repubblica federale delineata dalla Costituzione americana, il Presidente è eletto in seconda istanza sulla
base del voto popolare: ciascuno Stato, in proporzione agli abitanti, dispone infatti di un numero di elettori che
vengono attribuiti al candidato alla presidenza che in esso prevale. Dura in carica quattro anni. Dopo la lunga presidenza di Franklin Delano Roosevelt (dal 1932 alla morte nel 1945), che aveva lanciato la politica del New Deal per
far fronte alla grande crisi economica incominciata nel 1929 e che aveva guidato gli Stati Uniti nella Seconda guerra
mondiale, fu approvato il XXII emendamento. In base a esso, il Presidente non può svolgere più di due mandati.
La Camera è composta di 435 deputati eletti nei diversi Stati in rapporto alla popolazione e dura in carica due
anni. Il Senato garantisce la rappresentanza degli Stati, ciascuno dei quali dispone di due seggi. I senatori, a
partire dal 1913 quando venne approvato il XVII emendamento, sono eletti a suffragio universale e durano in
carica sei anni. Ogni due anni un terzo dei seggi viene rinnovato.
Della Corte suprema fanno parte, a partire dal 1869, nove giudici, nominati dal Presidente degli Stati Uniti. La
Corte, a partire dall’inizio del XIX secolo, attua anche il controllo di legittimità costituzionale degli atti del Presidente e del Congresso.
Ciò che è caratteristico della Costituzione degli Stati Uniti è la sua durata nel tempo: nessuna Costituzione scritta
infatti ha resistito così a lungo come quella americana. La struttura essenziale e l’impostazione che la contrassegna configurano infatti un patto fondativo condiviso e radicato nella vicenda del paese. Del resto, il meccanismo previsto dall’articolo 5, cioè la possibilità di approvare emendamenti, ossia modifiche costituzionali, ha
consentito al testo di potersi adeguare ai mutamenti sociali, economici e culturali, preservando rigorosamente lo
spirito che lo informa.
Ciò non è avvenuto senza contrasti: da quello originario, che opponeva i federalisti sostenitori di un forte potere
centrale ai fautori delle prerogative degli Stati, dalla Guerra civile del 1861-1865, che si sviluppò intorno alla concezione medesima della comunità politica e della sua evoluzione, alla persistenza fino agli anni Sessanta del Novecento di una dura discriminazione razziale. E tuttavia la Costituzione americana ha mostrato una straordinaria
adattabilità allo scorrere del tempo, consentendo insieme l’allargamento inclusivo della sfera della cittadinanza:
i valori fondanti pensati dai bianchi discendenti degli inglesi ribellatisi alla terra d’origine e proclamati nella Costituzione sono stati pian piano allargati a tutti.
La Guerra di indipendenza delle colonie britanniche in America (1775-1783) è uno degli avvenimenti cruciali che segnano
la nascita del mondo contemporaneo. Non solo è qui, infatti, la prima origine dell’impetuoso sviluppo che doveva fare di
questo paese la potenza dominante del XX secolo; ma il riferimento agli ideali di libertà e di uguaglianza contenuto nella
Dichiarazione d’indipendenza del 1776 e l’adozione di una Costituzione federale dovevano agire come un potente stimolo
e accelerare la fine dell’Ancien régime in Europa.
1.I primi dieci emendamenti della Costituzione americana
La Costituzione, intesa come testo che organizza i poteri dello Stato, è stata accompagnata dall’approvazione dei primi dieci emendamenti, che fissano i principi fondanti della comunità nazionale. Eccone una selezione.
I – Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca il libero
esercizio di una religione; o che limiti la libertà di parola o di stampa;
o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente, e di rivolgere petizioni al governo per la riparazione di
torti.
II – Essendo necessaria, per la sicurezza di uno Stato libero, una Milizia ben organizzata, non sarà violato il diritto del popolo di tenere e
portare armi. […]
IV – Il diritto dei cittadini ad essere
assicurati nelle loro persone, case,
carte ed effetti contro perquisizio-
ni e sequestri non ragionevoli non
potrà essere violato, e non potranno essere emessi mandati se non su
motivi probabili, sostenuti da giuramenti o solenni affermazioni e
con una dettagliata descrizione del
luogo da perquisire e delle persone
o cose da prendere in custodia.
V – Nessuno sarà tenuto a rispondere per un reato capitale o altrimenti
infamante, se non su denuncia o
accusa di un Gran giurì, salvo che
per i casi che si ponessero presso
le forze di terra o di mare o presso
la Milizia, quando si trovino in servizio attivo in tempo di guerra o di
pericolo pubblico […];
VI – In ogni processo penale, l’accusato avrà il diritto ad un procedimento pronto e pubblico, con una
giuria imparziale di persone dello
Stato e del distretto in cui il delitto
sia stato commesso; il quale distretto dovrà essere previamente determinato dalla legge; e avrà il diritto
di essere informato della natura e
del motivo dell’accusa; di esser posto a confronto coi testi a suo carico; di avere strumenti cogenti per
ottenere testimonianze in proprio
favore, e di avere l’assistenza di un
avvocato per la sua difesa.
2.L’influenza della Rivoluzione americana in Europa
La Rivoluzione americana non fu soltanto politica ma anche sociale e segnò l’inizio di una nuova fase storica, nella quale si delinearono la prima forma di governo democratico e un nuovo tipo di società in cui sembrava non dovessero esistere barriere contro le
aspirazioni popolari alla giustizia e alla libertà. Il commento dello storico Franco Catalano.
Un esame, che può apparire molto
sicuro e convincente, delle cause
che hanno condotto alla ribellione
delle colonie americane è quello di
Adam Smith nel suo libro An Inquiry into the Nature and Causes of the
Wealth of Nation del 1776: «proibire
ad un gran popolo di fare tutto ciò
che egli può di qualunque parte del
suo proprio prodotto, o di impiegare i suoi fondi e la sua industria nel
modo che giudichi più vantaggioso
a se stesso, è una manifesta violazione dei più sacri diritti degli uomini». Era una schiavitù imposta ai
coloni, che derivava dall’aver considerato più l’interesse dei mercanti
che non quello delle colonie o della
stessa madrepatria. […] Pochi anni
dopo Gaetano Filangieri si lasciava
andare ad una profezia che avrebbe
dovuto far riflettere i governi europei, i quali non dovevano guardare
la rivoluzione dell’America anglicana come un «semplice castigo
dell’orgoglio inglese», bensì come
«una lezione terribile data a tutte le
potenze» se non avessero riformato
il sistema europeo e non avessero
abolito le leggi con cui si dirigeva, o
meglio si distruggeva, il commercio
delle nazioni europee con le loro
rispettive colonie. […] Il Filangieri
poteva proclamare alto e lanciare il
solenne avvertimento ai governi del
vecchio continente: se non mutere-
te il vostro «sistema erroneo» andrete incontro a una «fatale catastrofe
che separerà pur sempre un mondo
dall’altro». Fu proprio per questo
motivo che la rivoluzione americana segnò una data molto importante nella storia del Settecento perché
diede maggior slancio alle forze innovatrici e le rese sempre più chiaramente consapevoli di sé stesse.
Nacque il «mito americano» e parve
soprattutto in Francia, il paese dove
le correnti illuministiche sostenute
da un’attiva borghesia erano più intense, che i coloni avessero tradotto
nella realtà i principi di un Locke, di
un Montesquieu, di un Rousseau.
F. Catalano, La rivoluzione americana, in Stato e società nei secoli, Messina, D’Anna, 1966
1 Quali punti di forza hanno reso la Costituzione americana così longeva?
2 Quali istituzioni sono depositarie dei tre poteri fondamentali secondo la Costituzione degli Stati Uniti d’America?
144
© Loescher Editore – Torino
© Loescher Editore – Torino
145
Documenti
Libertà
Il significato della parola libertà è assenza di costrizioni e di vincoli. Era la condizione che, nell’antica Roma,
contrassegnava i liberi, cioè i non schiavi. Nell’antica Grecia i requisiti della libertà erano l’indipendenza dallo straniero e il non assoggettamento a un tiranno, che in termini positivi consisteva nella possibilità di prendere parte
alle assemblee. Anche in Roma antica, prima dell’ascesa di Cesare e la successiva trasformazione in principato, la
libertà contrassegnava chi viveva in un regime di indipendenza politica e di corretto funzionamento delle istituzioni.
Nell’età imperiale, la libertà esterna (la libertà dal potere) si affievolì. Si rafforzò invece, grazie ai filosofi stoici e ai primi pensatori cristiani, la riflessione intorno alla libertà interiore, dello spirito; erano le prime affermazioni della libertà
di coscienza e quindi della libertà di scegliere, di deliberare. Ritroviamo quindi nella libertà come assenza di vincoli e nella libertà come scelta i due sensi profondi del termine, riassunti dal filosofo Isaiah Berlin nella distinzione
tra libertà negativa (libertà da qualcosa) e libertà positiva (libertà di fare o essere qualcosa).
Nel Medioevo si affermò una concezione che legava in un rapporto essenziale la libertà con la legge: siamo
liberi in quanto siamo sottoposti alla legge. Di qui il parlare non più della libertà, ma delle libertà. Il concepire la
libertà al plurale rifletteva la realtà di quelle società, dominate dal particolarismo e quindi da una serie di statuti,
di prerogative, di franchigie di immunità delle molteplici società intermedie.
Con i conflitti religiosi seguenti la Riforma protestante, si affermò una concezione della libertà che delineava i limiti
dell’intervento statale in virtù del diritto di tutela della sfera privata, del foro interiore. Con le rivoluzioni del
XVII e del XVIII secolo le libertà trovarono consacrazione in documenti che hanno segnato la modernità e la cui
concezione fondata sulla tolleranza e sui limiti all’esercizio del potere hanno impregnato di sé la nostra visione
del rapporto tra pubblico e privato.
Le profonde radicali trasformazioni innescate dalla Rivoluzione industriale produssero in campo culturale la riflessione di Karl Marx, alle origini del socialismo scientifico, secondo cui la libertà, così come si era sviluppata
nelle società occidentali, era destinata a essere un mero fatto formale se non accompagnata a una sostanziale
liberazione che rendesse effettiva la libertà di scegliere. La libertà era strettamente connessa con l’uguaglianza:
l’una senza l’altra non potevano sussistere. Così come, nel corso del Novecento, specie in virtù della «Rivoluzione culturale» avviatasi alla fine degli anni Cinquanta si è affermato lo stretto nesso tra libertà e parità, all’origine
di diversi movimenti, a cominciare da quello femminista, da quello antirazzista, sia negli Stati Uniti sia in regimi
dominati dalla segregazione razziale come il Sudafrica (fino alla liberazione di Nelson Mandela nel 1990), ai diversi
movimenti di liberazione delle minoranze.
In questo senso va anche la recente riflessione dell’economista indiano Amartya Sen e della filosofa americana
Martha Nussbaum, per i quali la libertà consiste nell’effettiva possibilità di condurre l’esistenza che si desidera
e di potere disporre di un ventaglio effettivo di possibili scelte. Oltre alla libertà negativa e alla libertà positiva, si
direbbe operare una terza libertà della persona umana: la compiuta esplicazione delle effettive abilità soggettive.
La Costituzione giacobina del 24 giugno 1793, affermando l’eguaglianza dei diritti politici di «ogni uomo nato e domiciliato in Francia, in età di ventun anni compiuti», concedeva il suffragio universale maschile. L’affermazione di quel diritto
corrispondeva all’avvento della democrazia. Tuttavia negli anni a seguire il cammino verso un sistema politico democratico
e verso sempre maggiori libertà ai cittadini si rivelò assai difficile e tormentato in tutto il mondo. L’illuminista francese
Jean-Jacques Rousseau ha scritto che «l’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene»: ancora oggi la lotta per la libertà
è ardua in tante nazioni del mondo.
1 In alcuni paesi del mondo esistono ancora, o stanno tornando, forme di schiavitù e di sfruttamento delle persone: come pensi
che si potrebbero combattere e debellare?
2 In una società organizzata, il limite alla libertà di un individuo è che questi non comprometta i diritti fondamentali di altri
individui. Puoi fare un esempio?
146
© Loescher Editore – Torino
1.I borghesi affermano le libertà fondamentali
Questo contributo di George Duby e Robert Mandrou mostra con chiarezza quali furono i principali guadagni ottenuti dalla Rivoluzione borghese nel campo dei diritti fondamentali e nell’affermazione delle libertà quotidiane.
«Tutto ciò che non nuoce ad altri»
è la definizione più generale che i
costituenti [del 1789-91], allo scopo di far dimenticare ordinamenti,
restrizioni, fastidi dell’antico regime, sono riusciti a dare. Nella realtà
concreta, dare una delimitazione
altruistica all’uomo libero significa, nel 1789, una condanna formale
delle corporazioni, delle gabelle e
delle perquisizioni, delle consuetudini onorifiche che da secoli consentivano ai nobili di opprimere i
plebei. […] Basta l’insistenza con
cui la dichiarazione del 1789 torna
sulle coazioni che potrebbero essere
esercitate da alcuni gruppi sociali a
indicare che il problema più importante è questo: il francese del 1789
vuole sentirsi libero nella sua vita
quotidiana. La dichiarazione dei diritti pone la maggior cura a definire
non solo la libertà, ma le libertà che
sono indispensabili al cittadino. Per
prima cosa i legislatori rivoluzionari
hanno dovuto garantirsi un habeas
corpus all’inglese, per salvaguardare
la propria libertà individuale: la dichiarazione non ha la rigorosa precisione della legge britannica e non
fissa i termini né della detenzione
preventiva né della comparizione
in giudizio. Prudenza forse di quei
borghesi che temono gli eccessi po-
polari, non meno dei complotti aristocratici; difficoltà anche di liberarsi, in un momento, delle lentezze
della procedura francese. [...]. Resta
una delle più grandi conquiste della rivoluzione; nonostante tutte le
alterazioni subite dal 1792 al 1815,
la libertà individuale, nella sua definizione complessiva, si ritrova intatta nella Charte [la Costituzione]
che resse la Francia sino al 1848.
Altro riconoscimento che i francesi
hanno ottenuto dalla rivoluzione
è quello della libertà di coscienza:
«Nessuno può essere molestato per
le sue opinioni, neppure per quelle
religiose» è scritto fin dal 1789.
G. Duby, R. Mandrou, Storia della civiltà francese, Milano, Mondadori, 1994
2.La Costituzione giacobina
La Costituzione del 1793 venne redatta dalla Convenzione nazionale, ovvero dall’Assemblea parlamentare eletta a suffragio universale maschile che, il 21 settembre 1792, proclamò la Repubblica. Non entrò mai in vigore dal momento che, a causa dello «stato
d’eccezione», il potere restò saldamente nelle mani del Comitato di salute pubblica retto da Robespierre. Sotto certi aspetti si trattava
di una Carta assolutamente innovativa, che rompeva col passato, introducendo concetti che ancora oggi provocano dibattiti e discussioni tra giuristi, politici e nell’opinione pubblica. Per esempio garantiva la cittadinanza ai lavoratori stranieri che vivevano in Francia
da almeno un anno o che erano sposati con uno o una francese. Di seguito alcuni degli articoli di quella Costituzione.
Art. 15. La legge deve decretare solo
pene strettamente ed evidentemente necessarie: le pene devono essere
proporzionate al delitto, e utili alla
società.
Art. 16. Il diritto di proprietà è quello
che appartiene ad ogni cittadino di
godere e disporre a suo piacimento dei suoi beni, dei suoi redditi, del
frutto del suo lavoro e della sua operosità. […]
Art. 18. Ogni uomo può impegnare
i suoi servizi, il suo tempo; ma non
può vendersi, né essere venduto;
la sua persona non è una proprietà
alienabile.
Art. 19. Nessuno può essere privato
della benché minima parte della sua
proprietà, senza il suo consenso,
tranne quando la necessità pubblica legalmente constatata lo esige, e
sotto la condizione di una giusta e
preventiva indennità.
Art. 20. Nessun contributo può essere stabilito se non per l’utilità generale. Tutti i cittadini hanno il diritto
di concorrere alla determinazione
dei contributi, di sorvegliarne l’impiego, e di esigerne il rendiconto.
Art. 21. La società deve la sussistenza ai cittadini disgraziati, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che
non sono in condizione di poter
lavorare.
Art. 22. L’istruzione è il bisogno di
tutti. La società deve favorire con
tutto il suo potere i progressi della ragione pubblica, e mettere l’istruzione
alla portata di tutti i cittadini. […]
Art. 25. La sovranità risiede nel popolo; essa è una e indivisibile, imprescrittibile e inalienabile.
Art. 26. Nessuna frazione del popolo può esercitare il potere del popolo intero; ma ogni sezione del Sovrano riunita in assemblea deve godere
del diritto di esprimere la sua volontà con una completa libertà. […]
Art. 35. Quando il Governo viola i
diritti del popolo, l’insurrezione è
per il popolo e per ciascuna parte
del popolo il più sacro dei diritti e il
più indispensabile dei doveri.
© Loescher Editore – Torino
147
Testimonianze
Documento 1
Testimonianze
Chi erano e cosa volevano i Padri Pellegrini? (capitolo 3)
In questo brano, Alexis de Tocqueville, uno dei fondatori della moderna scienza politica, spiega quale importante ruolo ebbero nella
fondazione degli Stati Uniti le idee religiose e politiche dei Padri Pellegrini, i puritani che nel 1620 lasciarono l’Inghilterra per approdare sulle coste del nuovo continente. Dalle sue parole traspare tutta l’ammirazione dell’europeo per l’America, laboratorio di esperienze sociali difficili se non impossibili di qua dell’Oceano Atlantico. Gli Stati Uniti, dunque, come culla della democrazia occidentale.
Essi [i Padri Pellegrini] non erano
spinti a lasciare il paese nativo dalla
necessità, ma abbandonavano una
invidiabile posizione sociale e una
vita sicura; non andavano nel nuovo
mondo per migliorare la loro situazione o per accrescere le loro ricchezze, ma si staccavano dalle dolcezze della patria per obbedire a un
bisogno puramente spirituale […].
Gli emigranti o, come essi stessi si
chiamavano, i «pellegrini» appartenevano a quella setta inglese che, per
l’austerità dei suoi principi, era chiamata «puritana». Il puritanesimo non
è soltanto una dottrina religiosa, ma
si confonde anche in molti punti con
le teorie democratiche e repubblicane più assolute. Per questa ragione
esso aveva avversari pericolosissimi.
Perseguitati dal governo della madrepatria, […] i puritani cercavano
una terra barbara e abbandonata in
cui fosse ancora permesso di vivere
a loro modo e di pregare Dio liberamente […].
Appena sbarcati in queste rive inospitali […] la prima cura degli emigranti
fu di organizzarsi in società […]. La
popolazione della Nuova Inghilterra
cresceva rapidamente, e mentre la
gerarchia delle classi ripartiva ancora dispoticamente gli uomini nella
madrepatria, la colonia presentava
sempre più lo spettacolo nuovo di
una società omogenea in tutte le sue
parti. La democrazia, quale l’antichità non aveva osato sognare, scaturiva
già grande e armata dal cuore della
vecchia società feudale […].
Io ormai ho detto abbastanza per
mettere nella sua vera luce il carattere della civiltà anglo-americana.
Essa è il prodotto […] di due elementi perfettamente distinti, che altrove
si sono spesso combattuti, ma che in
America si sono incorporati in certo
modo l’uno nell’altro e combinati meravigliosamente. Voglio dire lo
«spirito di religione» e lo «spirito di
libertà».
A. de Tocqueville, La democrazia in America, Bologna, Cappelli, 1957
Documento 3
Robespierre chiede la condanna a morte di Luigi XVI (capitolo 4)
Robespierre si mise in mostra e arrivò al potere nella Francia della Rivoluzione popolare portando alle estreme conseguenze la ricerca dei giacobini di un completo rinnovamento delle istituzioni, della cultura e della moralità pubblica. Un rinnovamento che doveva
essere perseguito anche ricorrendo a mezzi estremi, giustificati dai superiori interessi della nazione. In questa visione non poteva
esserci spazio per alcuna indulgenza nei confronti del re, rappresentante di un mondo che doveva essere cancellato. Il discorso del
leader giacobino alla Convenzione rivela l’incrollabile fiducia di Robespierre nel sostegno popolare che presto avrebbe spazzato via
ogni resistenza al cambiamento.
Qui non c’è da fare un processo. Luigi
non è un imputato; voi non siete dei
giudici; voi siete e non potete essere
altro che uomini di Stato e rappresentanti della nazione. Non dovete emettere una sentenza a favore o contro un
uomo, dovete prendere una misura di
salute pubblica, dovete compiere un
atto di provvidenza nazionale […].
In effetti, qual è la decisione che una
sana politica prescrive per consolidare la Repubblica nascente? Quella di
imprimere profondamente nei cuori il disprezzo per la monarchia e di
impressionare tutti i partigiani del re.
Pertanto, presentare a tutto il mondo
il suo delitto come un problema, fare
della sua causa l’oggetto della discussione più impegnativa, più sacra, più
difficile […] significa precisamente
aver trovato il segreto per renderlo ancora pericoloso per la libertà.
Luigi fu re, e la Repubblica è stata fondata; la famosa questione che vi impegna è decisa da queste sole parole. Luigi è stato detronizzato per i suoi delitti;
Luigi ha denunciato il popolo francese
come ribelle e ha chiamato in suo aiuto per castigarlo le armi dei confratelli
tiranni. La vittoria del popolo ha deciso che soltanto lui era ribelle. Luigi
non può dunque essere giudicato: è
già giudicato. O egli è già condannato,
oppure la Repubblica non è assolta.
Proporre di fare il processo a Luigi XVI
in questa o quella maniera, vuol dire
retrocedere verso il dispotismo monarchico e costituzionale; è un’idea
controrivoluzionaria, poiché mette in
discussione la Rivoluzione stessa. In
effetti se Luigi può essere ancora oggetto di un processo, Luigi può essere
assolto; può essere innocente. Cosa
dico? E’ supposto innocente fino a che
non sia stato giudicato. Ma se Luigi
viene assolto, se Luigi può essere supposto innocente, che ne è della Rivoluzione?
Robespierre, Discorsi, in La rivoluzione giacobina, Milano, Rizzoli, 1990
Documento 2
Le richieste del popolo rurale e della borghesia di provincia
in uno dei Cahiers de doléances (capitolo 4)
I Cahiers de doléances furono lo strumento attraverso il quale tutti gli strati della popolazione affidarono ai loro rappresentanti le proprie speranze di veder cambiare almeno alcuni aspetti del sistema politico, giuridico, economico e sociale in cui vivevano da sempre.
La quasi totalità dei rappresentanti eletti per il Terzo Stato in vista degli Stati Generali erano borghesi di città: proprietari, mercanti,
professionisti. Tuttavia, essi portarono a Parigi anche la voce delle campagne. È quello che scopriamo leggendo alcuni articoli del
Cahier de doléances redatto dai cittadini della piccola città di Civray, nel Poitou (Francia occidentale).
Art. 1. I deputati di Civray lamenteranno che, dovendo le imposte essere
approvate dal popolo, e le leggi essere
il risultato della loro comune volontà,
siano state stabilite parecchie imposte
e fatte parecchie leggi senza il consenso della Nazione. […]
Art. 3. […] Lamenteranno che le imposte sono state ripartite […] in considerazione del minore potere e della
minore resistenza dei Corpi e degli
Stati, per cui è risultata una sperequazione soprattutto a danno della classe
più povera. Chiederanno che le imposte siano ripartite fra tutti i sudditi del
re, nobili, ecclesiastici ed altri, senza
distinzioni né privilegi, in maniera
uniforme, proporzionale, chiara […].
Art. 9. Chiederanno inoltre la riforma
delle leggi civili e criminali e di tutte
le altre e la compilazione di un codice penale.
Art. 10. Lamenteranno che le varietà
delle leggi e delle consuetudini danno
luogo a grandi difficoltà e provocano
una specie di disunione tra popoli
vicinissimi. Chiederanno che quelle
differenti leggi siano gradualmente
ravvicinate le une alle altre […].
Art. 11. Chiederanno la soppressione
delle bannalità [dazi imposti dai signori feudali delle campagne agli abi-
tanti nelle loro terre], delle corvées e
di altri diritti che si rifanno alla servitù
personale e al regime feudale […].
Art. 18. Lamenteranno che si invia da
Francia molto denaro a Roma per bolle, provvisioni, dispense.
Art. 19. Chiederanno che si provveda
alla sussistenza dei parroci soltanto
con i beni ecclesiastici, e che si affranchino da questa contribuzione le
decime feudali e laiche […] o meglio
ancora che si aumentino le entrate
con la soppressione di qualche ordine
regolare, le cui rendite potrebbero essere destinate a questo fine.
Documento 4
Napoleone ai francesi nel colpo di Stato del 18 brumaio (capitolo 5)
Il 18 brumaio del calendario rivoluzionario, Napoleone Bonaparte si fece eleggere Primo console di Francia e cominciò a esercitare
poteri dittatoriali. Riferiamo le parole che Bonaparte rivolse alla nazione all’atto dell’assunzione dell’incarico. Egli prospettò ordine,
giustizia e moderazione. E promise ai francesi che loro stessi avrebbero giudicato il suo operato: la strada era aperta verso l’acclamazione imperiale del 1804.
Rendere la Repubblica cara ai cittadini, rispettabile allo straniero, temibile ai nemici, questi sono gli impegni
che noi abbiamo preso accettando la
prima magistratura. Essa sarà cara ai
cittadini se le leggi e gli atti dell’autorità saranno sempre improntati allo
spirito dell’ordine, della giustizia e
della moderazione.
Senza ordine, l’amministrazione non
è che un caos: niente finanze, niente credito pubblico; e con le fortune
dello Stato crollano anche quelle dei
singoli cittadini. Senza giustizia non
ci sono che due partiti, degli oppressori e delle vittime. La moderazione
imprime un carattere augusto ai governi come alle nazioni; essa è sempre compagna della forza e garante
della durata delle istituzioni sociali.
La Repubblica sarà rispettata dagli
stranieri se saprà rispettare nella loro
indipendenza il fondamento della
sua propria indipendenza; se gli impegni, saggiamente preparati e francamente assunti, saranno mantenuti
con fedeltà. Essa infine sarà temuta
dai nemici, se i suoi eserciti di terra
e di mare saranno fortemente costituiti; se ognuno dei suoi difensori
troverà una famiglia nel corpo a cui
appartiene, e in questa famiglia una
condizione favorevole alla virtù ed
alla gloria; se l’ufficiale formato con
lunghi studi otterrà, con una regolare
carriera, la ricompensa dovuta al suo
talento ed al suo lavoro.
Su questi principi si basano la stabilità del governo, la prosperità del commercio e dell’agricoltura, la grandezza delle nazioni. Sviluppandoli,
abbiamo tracciato la regola secondo
la quale dobbiamo essere giudicati.
Francesi, noi abbiamo proclamato i
nostri doveri: spetterà a voi dirci se li
abbiamo adempiuti.
R. Villari, Storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1970
Cahiers de doléances, in Documenti e testimonianze, a cura di F. Gaeta, P. Villani, Milano, Principato, 1986
148
© Loescher Editore – Torino
© Loescher Editore – Torino
149
Interpretazioni
Interpretazioni
La Guerra di indipendenza americana: una «Rivoluzione» senza una carica ideologica dirompente?
(capitolo 3)
Le cause dello scoppio della ribellione dei coloni americani contro l’Inghilterra furono di carattere giuridico: il Parlamento di Londra,
dicevano i sudditi americani, non aveva il diritto di imporre tasse senza che nella decisione intervenissero legittimi rappresentanti del
popolo da tassare. In queste motivazioni non sembra che si possa trovare uno slogan trascinante, o una forte carica ideale. Eppure,
sostiene lo storico statunitense Daniel J. Boorstin, le origini e lo sviluppo della «Rivoluzione americana» vanno riconosciuti nella loro
unicità e originalità.
Lo studioso, che avvicina per la prima
volta la letteratura sulla nostra Rivoluzione, può essere probabilmente deluso dal tono grigio e legalistico di ciò
che deve leggere. […] Il tipico slogan
della Rivoluzione – se davvero fu uno
slogan – era: «niente tassazione senza
rappresentanza». Queste parole sono
un po’ troppo polisillabiche, un po’
troppo legalistiche per infiammare il
cuore del popolo. Ma se le confrontiamo con il principio «libertà, uguaglianza, fratellanza» della Rivoluzione
francese e con quella «pace, pane e
terra» della Rivoluzione russa possiamo avere una chiave per interpretare
lo spirito della Rivoluzione americana. Io sono convinto che il principale
oggetto in contestazione nella Rivoluzione americana fosse la natura della
costituzione dell’Impero inglese, cioè
qualcosa di squisitamente giuridico.
[…] La nostra Dichiarazione di indipendenza è essenzialmente un elenco di specifiche pretese storiche. Essa
non è diretta alla rigenerazione, ma
solo alle «opinioni» dell’umanità […].
Più si rilegge la Dichiarazione nel contesto, più essa si rivela un documento
di relazioni giuridiche con l’Impero
piuttosto che un esempio di elevata
filosofia politica. Il desiderio di rima-
nere fedeli ai principi del costituzionalismo inglese, a qualunque costo,
spiega perché, come è stato spesso
osservato, il documento fosse diretto
contro il re, nonostante le lagnanze
fossero rivolte contro il Parlamento;
forse anche perché, a questo punto,
non c’è più un esplicito appello ai
diritti degli Inglesi. La maggior parte
del documento è una enumerazione
degli errori, degli eccessi, dei reati di
Giorgio III in violazione della Costituzione e delle leggi della Gran Bretagna. Tutte queste accuse hanno senso
soltanto se si presuppone la struttura
del costituzionalismo inglese.
D.J. Boorstin, The Genius of American Politics, in N. Matteucci, La Rivoluzione americana, Bologna, Zanichelli, 1968
Al principio della Rivoluzione contadini e operai affidano le loro speranze alla borghesia ricca e colta
(capitolo 4)
Abbiamo visto che il carattere dominante della Rivoluzione francese fu il suo essere voluta e fondamentalmente guidata dalla classe
sociale emergente: la borghesia. Secondo lo storico A. Mathiez, era inevitabile che un simile sovvertimento fosse guidato dalla borghesia, la classe antagonista che – diversamente da contadini e operai – aveva cultura e mezzi per farlo scoppiare e dirigerlo.
La Rivoluzione non poteva venire
che dall’alto. Il popolo dei lavoratori,
il cui orizzonte limitato non andava
oltre il mestiere, era incapace di assumerne l’iniziativa e, a maggior ragione, di prenderne la direzione. Tutti gli appartenenti alle corporazioni
erano divisi in gruppi rivali […]. Gli
altri, quelli che cominciavano ad essere impiegati nelle «manifatture»,
erano in maggioranza dei contadini,
i quali consideravano il loro salario
industriale come un semplice complemento delle loro risorse agricole
[…]. Gli operai si lamentano senza
dubbio della modicità del salario
[…]; si agitano talvolta, ma non han-
no ancora la coscienza di formare
una classe distinta dal «Terzo Stato».
I contadini sono le bestie da soma di
questa società. Decime, censi [il costo dell’affitto della terra da pagare
al proprietario], prestazioni in natura, corvées, imposte regie, servizio
militare, tutti i carichi pesano su di
loro […].
Operai e contadini, capaci di bruschi
impeti di rivolta quando il giogo si fa
troppo pesante, non scorgono però
i mezzi per mutare l’ordine sociale:
cominciano appena ad imparare a
leggere. Ma al loro fianco, per istruirli e illuminarli, ci sono il curato e
l’«avvocatino» [nome che si dava al
praticante avvocato, povero e all’inizio della sua carriera]; il curato cui
essi confidano i loro dolori, il leguleio che difende davanti alla giustizia i
loro interessi. E il curato […] invece
di predicare alle sue pecorelle la rassegnazione come un tempo, riversa
nelle loro anime un po’ dell’indignazione e dell’amarezza di cui è ripiena la sua. L’avvocatino […] non può
fare a meno di stimare per quel che
valgono gli antichissimi titoli, sui
quali si fondano la ricchezza e l’oppressione […].
Si compie così un sordo lavoro di critica che precede di gran lunga e prepara l’esplosione.
La Repubblica giacobina salva l’unità della nazione (capitolo 4)
E.J. Hobsbawm propone una originale lettura del periodo del «Terrore» e sottolinea come la politica spietata dei Giacobini non fu
determinata dall’odio nei confronti del nemico, ma dalla necessità di garantire la sopravvivenza della nazione in un periodo di enorme
debolezza dello Stato.
I conservatori hanno creato un’immagine indimenticabile del «Terrore», periodo di dittatura e di furia
isterica e sanguinaria […]. I rivoluzionari, specialmente in Francia, hanno
visto nel «Terrore» […] l’ispirazione
di tutte le rivolte successive. Per tutti fu un’era che non si può misurare
con i consueti criteri umani.
Tutto questo è vero. Ma per la solida borghesia francese che si celava
dietro il «Terrore» esso non era né un
fatto patologico né un avvenimento apocalittico, ma innanzitutto e
soprattutto l’unico metodo efficace
per salvare il proprio paese. Questo
fece la Repubblica giacobina e i ri-
sultati conseguiti furono sovrumani.
Nel giugno del 1793, sessanta degli
ottanta dipartimenti francesi erano
in rivolta contro Parigi; gli eserciti
dei principi tedeschi invadevano la
Francia dal Nord e dall’Est; gli Inglesi attaccavano dal Sud e dall’Ovest; il
paese era debole ed economicamente rovinato. Quattordici mesi dopo la
Francia era tutta sotto energico controllo, gli invasori erano stati cacciati, gli eserciti francesi avevano a loro
volta occupato il Belgio e avevano
dato inizio a un periodo i venti anni
di trionfi militari quasi ininterrotti e
conseguiti senza sforzo. […]
La tragedia di Robespierre e della Re-
pubblica giacobina fu che entrambi
furono costretti a rinunciare all’appoggio delle masse. […] Le esigenze
economiche della guerra finirono
per allontanare l’appoggio del popolo. Nelle città, i calmieri e il razionamento favorivano le masse, ma il
corrispondente congelamento dei
salari le irritava. Nelle campagne, la
sistematica requisizione dei prodotti
alimentari – che i Sans-culottes delle
città erano i primi a sostenere – provocava il risentimento dei contadini.
Le masse perciò si ritirarono scontente o si chiusero in una perplessa e
risentita passività.
E.J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi (1789-1848), Milano, Il Saggiatore, 1963
Tra collaborazione con i francesi e estremismo giacobino si forma anche in Italia l’idea di patria
(capitolo 5)
Giorgio Candeloro mostra come nell’ambito del laboratorio politico delle «Repubbliche giacobine», le idee della Rivoluzione provenienti dalla Francia fossero alla base di una sorta di risveglio patriottico piuttosto diffuso e come a poco a poco si stesse formando
l’idea di Italia come paese unico.
L’estensione del movimento [giacobino] e la spontanea simpatia largamente diffusa per le idee rivoluzionarie
sono frequentemente notate nei dispacci dei rappresentanti diplomatici
francesi in Italia negli anni 1793-96. Il
più intelligente di questi agenti, Francois Cacault […], scriveva […] che la
Rivoluzione poteva contare non solo
su parecchi giovani, ardenti fautori
delle nuove idee, ma anche sulla simpatia della maggioranza della borghesia. […]. Ancora il 15 novembre 1795,
in un dispaccio da Genova, affermava […]: «I moti dei patrioti a Torino, a
Roma, a Napoli, nacquero spontanea-
mente, senza direttive straniere […]».
Effettivamente, se qualche aiuto francese vi fu […], esso si ridusse a consigli
e ad incoraggiamenti […].
Il repubblicanesimo democratico implicava inoltre un atteggiamento di
rottura col passato […] che è essenziale agli effetti delle origini del Risorgimento. I repubblicani si dicevano
comunemente «patrioti»; il loro concetto di patria era ancora in quei primi
anni vago e ondeggiante, permeato
di cosmopolitismo illuministico e influenzato dal vecchio particolarismo
tradizionale in Italia. […]
L’idea della liberazione dallo straniero
sembrava […] essere più d’ogni altra
radicata in Italia ad un ignoto informatore del governo francese, il quale
[…] diceva: «Fatta astrazione di alcuni
uomini che l’educazione ha innalzati
al livello di tutte le verità che la Rivoluzione francese ha sviluppato, in generale il più grande sforzo a cui si eleva il
patriottismo degli italiani è di liberarsi dal giogo straniero. Non si sa forse
come essi sono italiani? Come possono obbedire a dei tedeschi? […]». […]
Ed aggiungeva che se i francesi […]
«volessero stabilirsi in Italia prendendo il posto degli austriaci, sarebbero
odiati press’a poco come questi».
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. 1, Le origini del Risorgimento (1700-1815), Milano, Feltrinelli, 1956
A. Mathiez, La Rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1950.
150
© Loescher Editore – Torino
© Loescher Editore – Torino
151
Unità 2 • Il Settecento: l’età delle rivoluzioni
Verso la Prima prova: saggio breve
Verso la Terza prova: quesiti a risposta singola
1 Leggi attentamente i seguenti documenti, il primo tratto dalla Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776
2 Rispondi in tre/cinque righe ai seguenti quesiti.
e il secondo dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata nel 1789 dall’Assemblea nazionale
francese, e individua gli aspetti che hanno in comune. Poi scrivi un breve testo che metta in relazione i due documenti,
spiegando quali furono le cause che portarono alla formulazione di entrambi.
1 Come nacquero le tredici colonie inglesi nell’America settentrionale?
2 Perché avvenne e che cosa significò l’episodio del Boston Tea Party ?
3 Nella Francia del Settecento, chi faceva parte del «Terzo Stato»?
Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario a un popolo sciogliere i legami politici che lo hanno unito
a un altro e assumere fra le potenze della terra quella posizione separata e uguale a cui gli danno titolo le leggi della
natura e del Dio della natura, un doveroso rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso dichiari le cause
che lo spingono a tale separazione.
Noi riteniamo che queste verità siano di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dotati dal
Loro Creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità; che
per salvaguardarli vengono istituiti fra gli uomini i governi, i quali derivano i propri giusti poteri dal consenso dei
governati, che ogniqualvolta una forma di governo tende a distruggere questi fini è diritto del popolo modificarla o
abolirla e istituire un nuovo governo, fondandolo sui principi e organizzandone i poteri nel modo che gli paia più
conveniente a realizzare la propria sicurezza e felicità.
La prudenza senza dubbio detterà di non cambiare per ragioni lievi e transitorie governi che esistono da lungo tempo e infatti l’esperienza mostra che l’umanità è disposta a soffrire, finché i mali sono tollerabili, più che a farsi giustizia abolendo le forme di governo a cui è avvezza; ma quando una lunga serie di abusi e di arbitrii, perseguendo
invariabilmente lo stesso scopo, mostra un disegno volto a ridurla in uno stato di assoluto dispotismo è suo diritto, è
suo dovere liberarsi di un simile governo e garantirsi in altro modo protezione per il futuro.
4 Quali erano gli schieramenti politici che sedevano nell’Assemblea nazionale costituente?
5 Che cosa s’intende con l’espressione «regime del Terrore»?
6 In quale modo Napoleone arrivò al potere in Francia?
Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta
3 Costruisci una mappa concettuale sul ruolo dell’esercito e della guerra nello Stato napoleonico (capitolo 5).
Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale
4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sulla Costituzione americana
(capitolo 3), che potrai poi esporre oralmente.
I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il
disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno
stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo [...]:
Art. 1. – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate
che sull’utilità comune.
Art. 2. – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi
diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. [...]
Art. 4. – La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun
uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti.
Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge. [...]
Art. 6. – La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente
o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che
punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi
pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti. [...]
Art. 10. – Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non
turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.
Art. 11. – La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino
può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge. [...]
Art. 13. – Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d’amministrazione, è indispensabile un contributo
comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.
Art. 14. – Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del
contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata.
152
© Loescher Editore – Torino
Costituzione americana del 1787 à Autonomia
amministrativa degli Stati à Ordine pubblico, istruzione,
organizzazione interna dei commerci à Delega di
importanti poteri ad autorità centrali
Confederazione à Federazione à Repubblica
costituzionale
Congresso à Camera dei rappresentanti e Senato
à Potere legislativo
Montesquieu à Divisione dei poteri
Presidente della Repubblica à Potere esecutivo
Corte suprema federale à Potere giudiziario
à Rispetto della Costituzione à Difesa delle libertà
individuali à Emendamenti à Carta americana dei
diritti fondamentali
Congresso à Controllo del Presidente à Potere
di annullare il veto del Presidente su una sua legge;
conferma nomine dei ministri; ratifica dei trattati
internazionali; potere di mettere in stato di accusa
il Presidente
Controllo ed equilibrio dei poteri
Presidente della Repubblica à Diritto di veto nei
confronti delle leggi del Congresso
Corte suprema federale à Potere di dichiarare
incostituzionali gli atti legislativi
© Loescher Editore – Torino
153