ANIMA
INTERVISTA Neurologi e filosofi della mente ne
negano l'esistenza. Parla Vaccaro
Ma questa scienza non ha più l'anima
Roberto Righetto
Tempi difficili per l'anima. Filosofi e teologi se ne
occupano sempre meno, e gli uomini di scienza
sembrano volerla cancellare, come se fosse un realtà - o
un concetto - appartenente al passato, a quel mondo
pre-cibernetico ormai superato. Sono i filosofi della
mente, i neuroscienziati e i teorici dell'intelligenza
artificiale, soprattutto americani o comunque
appartenenti all'area anglosassone - da sempre
contrapposta al filone di pensiero europeo- i
protagonisti di questo tentativo di abolizione. Che
vogliono insegnarci come il cervello sia solo «materia»,
un «aggregato di molecole».
Una mappa del fenomeno- ed insieme un grido
d'allarme per le tendenze che si stanno profilando viene da un giovane studioso di Pistoia, Andrea
Vaccaro, che di recente ha scritto per le Edizioni
Dehoniane di Bologna un saggio dal titolo
provocatorio, Perché rinunziare all'anima? (pagine
134, lire 19.000, euro 9,81). L'abbiamo intervistato.
Le moderne acquisizioni della scienza (delle
neuroscienze in particolare) sembrano far
dimenticare la realtà dell'anima. Come valuta il
quadro generale della vicenda?
«L'impatto più immediato con le neuroscienze lo
abbiamo nel riscontro farmaceutico. Apatia, timidezza,
eccitazione e simili, fino a poco fa, erano "stati
d'animo", oggi sono "stati chimici regolabili
farmaceuticamente". Gli studi sul cervello, però, vanno
molto più in profondità. Certi resoconti non possono
non inquietare. Lo studioso Antonio Damasio ci
notifica casi in cui particolari lesioni cerebrali non
alterano capacità cognitive o di movimento: modificano
proprio la personalità del soggetto, il suo modo di
relazionarsi, di vivere le emozioni, finanche il suo
codice di valori morali. Francis Crick riduce tutto il
nostro cosmo interiore - gioie, ricordi, autocoscienza e
libero arbitrio - a un semplice assembramento di cellule
nervose, riecheggiando un noto motto di Tyndal per cui
come la bile è una secrezione del fegato, così l'anima è
una secrezione del cervello. Il quadro generale è presto
delineato: i neuroscienziati più aggressivi mirano
all'obiettivo di dimostrare come tutte le funzioni finora
ascritte all'anima - umore, sentimenti, autocoscienza,
intuizione degli universali - sono, in realtà, operazioni
del cervello. Operazioni oggi da censire, domani da
riprodurre artificialmente».
Quali sono le conseguenze di queste posizioni sul
piano antropologico?
«È abbastanza recente la notizia, proveniente da un
settore subito denominato "neuroteologia", per cui
anche le esperienze mistiche non sono altro che
un'alterazione delle aree cerebrali regolanti
l'orientamento spazio-temporale. Il paradigma di ricerca
è netto: ogni stato mentale o spirituale è uno stato fisico
o, al massimo, concedendo generosamente, è
determinato da uno stato fisico. La visione
antropologica è quella di un uomo senz'anima. L'anima
come concetto superfluo. Per spiegare l'uomo è
sufficiente conoscere dettagliatamente il suo cervello.
Cervello che, è pleonastica la precisazione, non ha
alcuna possibilità di sopravvivere alla morte».
Come si pongono da parte loro i teorici
dell'intelligenza artificiale rispetto alla questione
dell'anima?
«Dall'intelligenza artificiale proviene l'altra violenta
scossa alla tradizionale impostazione della questione
dell'anima. Se i neuroscienziati spiccano i loro balzi dal
principio "anima uguale cervello uguale materia", i
teorici dell'intelligenza artificiale si spingono ancora più
in alto. Il loro dogma è questo: poiché la mente è
materia, non si vede perché un altro tipo di materia,
debitamente assemblato e organizzato, non possa
svolgere le medesime funzioni della materia cerebrale.
E se non è, al momento, costruibile un cervello
artificiale, a causa del numero stratosferico dei neuroni
e delle loro connessioni, maggiormente abbordabile è la
simulazione del cervello al computer. È questo lo
specifico compito del modello "neural net". È una
guerra aperta mossa contro l'anima spirituale. Una
battuta circolante in questi ambienti ridicolizza i
detrattori dell'intelligenza artificiale, costretti a ritirare
le truppe dell'anima su terreni sempre più marginali. Era
proprio ed esclusivo dell'anima il pensiero logico, ma
appena si è visto che il computer surclassa l'uomo in
quest'attività, allora le mansioni specifiche dell'anima
sono state ritirate su altri territori: percezione
sensoriale, conversazione, creatività. Piano piano, però,
il cervello elettronico copre anche queste attività, fino a
svuotare del tutto il concetto di anima».
Dunque anche per i seguaci di Marvin Minsky la
questione dell'anima non si pone...
«Vi sono due metafore tipiche dell'intelligenza
artificiale. La prima: il concetto di anima è come il
concetto di zona inesplorata di una giungla: svanisce
appena l'esploriamo. La seconda: le facoltà dell'anima
scorreranno fluidamente dall'uomo al robot ed è giusto
così perché, come nella transizione fra vinile e il cd, è la
musica che conta e non ciò che la veicola. Il dibattito
sull'intelligenza artificiale e sull'equivalenza uomocomputer è, comunque, molto caldo e crepitante.
S'infiamma addirittura, quando coinvolge il tema della
realtà virtuale».
Come la filosofia della mente tratta la questione
dell'anima? Con quali differenti accenti e posizioni?
«La filosofia della mente rappresenta, ai nostri giorni, il
nuovo corso della riflessione filosofica. I filosofi della
mente, usando l'immagine di Bacone, sono api che
raccolgono la loro materia dai laboratori delle
neuroscienze e dell'intelligenza artificiale, per poi
trasformarla secondo la propria capacità. È facile
immaginare la qualità del prodotto che risulta da questo
nutrimento. Il ventaglio delle posizioni è ampio, anche
se il punto di partenza, per i più, consiste nella netta
negazione del dualismo corpo-anima e nella
conseguente riduzione dell'anima a stato fisico. Cartesio
è diventato il novello Adamo, che introduce il peccato
originale nel cosmo filosofico».
Possiamo descrivere nel dettaglio le varie posizioni
che si confrontano?
«I materialisti eliminativisti impongono anche all'anima
la legge del progresso conoscitivo, dove l'infantile
spiegazione mitologica deve sempre cedere il passo alla
descrizione scientifica adulta. I fisicalisti moderati, con
minor aggressività, ricalcano la stessa convinzione. I
comportamentisti logici, pur affinando la terminologia,
rimangono ancorati al presentimento di William James,
per cui il dibattito attuale è solo una pura eco
dell'ultimo grido lasciato nell'aere filosofica dall'anima
che scompare. I neurofilosofi, capitanati da Churchland,
vedono l'anima come una perfetta e squisita danza
neurocomputazionale. Altre correnti ribadiscono,
variamente, il concetto. Nel dibattito, tuttavia, si
sollevano anche voci contrarie, che difendono un
concetto di anima peraltro non sempre in linea con
quello cristiano. È la schiera degli antiriduzionisti, tra
cui Nagel, Mc Ginn, Flanagan, Jackson, Chalmers,
Edelman, che rimarcano il diritto all'esistenza anche per
ciò che trascende i limiti della conoscenza umana; che
ricordano come la scienza, proprio per la sua pretesa di
oggettività, esclude di principio ciò che attiene al
soggettivo, quindi all'anima, ed è ovvio che, dopo
averla esclusa, non riesca più a trovarla; che notano
come il conoscere ciò che corrisponde fisiologicamente
a sentimenti e moti spirituali non significa conoscere
ciò che tali sentimenti e moti spirituali essenzialmente
siano».
Mi pare che uomini di Chiesa e teologi siano un po'
in difficoltà di fronte a tutte queste sfide. Lei cosa ne
pensa?
«Ho il presentimento e il timore che uomini di Chiesa e
teologi non siano ancora del tutto pronti ad affrontare
ciò che ci sta investendo. E questo è rischioso. Occorre
verificare cosa dicono all'uomo di oggi spiegazioni
sull'anima tipo "forma sostanziale del corpo". Bisognerà
tenere conto delle esperienze passate. La Chiesa ha
dimostrato di sapersi attualizzare. Sull'origine del
mondo, fino al 1909, la Pontificia Commissione Biblica
negava seccamente l'ipotesi che i primi tre capitoli della
Genesi non contenessero narrazioni di avvenimenti
veramente accaduti. Nel 1989, però, la stessa si
dichiarava d'accordo a non vedervi storia nel senso
classico. Sulla questione dell'evoluzionismo o sul caso
Galilei, lo schema si è ripetuto: contrapposizioni,
anatemi e poi, lentamente, accettazione, purificazione e
richiesta di perdono».
Ma come vede possibile una nuova elaborazione del
pensiero cristiano su questi temi?
«La Chiesa corre il rischio di ritirarsi nel "villaggio
dell'anima". Ora che anche questo sta per essere
assalito, sarà un vaglio comunque utile per riconoscere
ciò che è veramente essenziale nel cristianesimo. Il
romanzo di Eco Il nome della rosa termina con le
parole: "Stat rosa pristina nomine / nomina nuda
tenemus". Sulla nostra questione potremmo invece dire:
"Sta la cosa (cioè l'anima, l'impronta di Dio nell'uomo)
prima del nome / solo la cosa teniamo". Il vecchio nome
non regge più. Occorrerà un enorme sforzo di
intelligenza ed umiltà per trovarne uno adeguato».
IDEE Filosofi della mente e neurobiologi affermano
che il cervello è solo materia: intervengono un teologo e
uno scienziato
Un chip salverà l'anima?
Arriva dall'area anglosassone la sfida alla teologia
sulla questione dell'anima. Come documentato
sull'«Avvenire» di domenica, con un'intervista allo
studioso Andra Vaccaro (autore del saggio di
recente pubblicato dalle Edb col titolo «Perché
rinunziare all'anima?»), le nuove frontiere dei
neuroscienziati, dei filosofi della mente e dei teorici
dell'intelligenza artificiale tendono sempre più a
ridurre lo spazio per il concetto di anima secondo
la visione tradizionale. In nome del fatto che il
cervello è solo materia, un aggregato di molecole.
E così le nostre esperienze, emozionali e cognitive,
non avrebbero un sostrato metafisico.
In questa pagina diamo spazio agli interventi del
teologo Giacomo Canobbio, presidente dell'Ati
(Associazione teologi italiani) e al neurobiologo
Alberto Oliverio
Canobbio: non si cancella la nostra vita interiore
Giacomo Canobbio
E' inevitabile che la mente funzioni quando il cervello
funziona: l'unità psicofisica umana impedisce di
pensare a una mente che prescinda da un corpo. Ma la
mente non è l'anima, se vogliamo continuare a usare
questo termine. L'anima o, se si vuole assumere la
distinzione tricotomica che si trova anche nel Nuovo
Testamento, lo spirito, non è altro che la cifra della
singolarità della persona umana all'interno della realtà;
si tratta di un modo di dire che la persona umana non è
equiparabile agli animali e alle cose, perché è capace di
relazione "pensata", di libertà, di relativa
autodeterminazione...
Quando nell'antichità si è introdotta la coppia "animacorpo" per dire la realtà umana, si è voluto indicare che
gli umani si stagliano al di sopra degli altri esseri e
quindi che la loro particolarità richiede un'origine
diversa rispetto a quella di questi ultimi; e ciò serve,
nell'ambito "religioso", non solo a dire che l'anima (la
vita singolare degli umani) viene da Dio, bensì anche
che gli umani sono capaci di una relazione consapevole
con la loro origine.
Tutto questo non può essere provato studiando il
funzionamento del cervello: tale studio può dire cosa
succede quando si pensa, si provano emozioni, si
decide, ma non perché si pensa, si provano emozioni, si
decide. I fisici potranno dirci che il cervello è il
principio del pensare, eccetera, ma senza un salto
qualitativo non riescono a dirci perché gli umani hanno
un cervello che funziona così.
Dire «perché essi hanno l'anima» può essere una
spiegazione ingenua, ma solo se non si comprende che
con questo termine si vuole semplicemente indicare che
c'è una originalità insopprimibile, fondata su un'origine
e un orientamento singolari. E ciò non può ridursi alla
descrizione della mente proposta da Marvin Minsky: la
mente potrà anche essere «ciò che fa il cervello», ma ci
si dovrà domandare perché il cervello umano procede in
questo modo. Rispondere che lo fa perché ha una
composizione più complessa, significa spostare solo la
domanda.
Certo, mentre si dorme non si decide, non si vivono
relazioni come quando si è svegli... il che ci ricorda il
legame che esiste tra la vita interiore e il nostro fisico;
ma resta aperto il problema circa la nostra capacità di
decidere, di vivere relazioni consapevoli. Senza voler
pregiudicare il futuro, quanti affermano che si potrà
costruire una intelligenza artificiale pari a quella degli
umani sembrano simili ai medici dell'Ottocento che
pensavano di vincere tutte le malattie e quindi di dare
l'immortalità alle persone umane.
In tal senso l'anima non è «una secrezione del cervello»,
ma è il principio di tutte le secrezioni del cervello e non
può essere misurata come tutte queste. Quanto poi alla
descrizione dell'anima come «unica forma sostanziale
del corpo» forse non è così banale e demodé come
potrebbe apparire: si tratta di una formula che voleva
indicare che ogni persona è strutturata in modo
originale (anche fisicamente) grazie a una disposizione
di Dio creatore.
Insomma, l'anima è la traccia della nostra singolare
origine, la spiegazione della nostra particolarità nel
novero degli esseri.
Oliverio: la psiche non è un gioco di molecole
Alberto Oliverio
L'intervista ad Andrea Vaccaro, uscita su «Avvenire»
di domenica scorsa, sottolinea come gran parte delle
neuroscienze si stiano movendo nella direzione di un
riduzionismo totale, un fisicalismo che lascia ben scarso
spazio alla metafisica. Nell'interrogarsi se il termine
"anima" risponda ancora a una categoria riconoscibile,
se lo stesso nome, non ovviamente ciò cui il termine
allude, non sia ormai superato, Vaccaro porta anche una
giusta critica a quelle teorie della mente improntate a un
eccessivo, semplificante riduzionismo.
Il problema dell'esclusione dell'anima può essere
affrontato da due punti di vista: il primo non è tanto
nominalista quanto linguistico. Cosa intendiamo infatti
per anima? Per i francesi, beati loro, il problema non si
pone in quanto l'âme occupa il posto della mente,
termine inesistente nella loro lingua: il problema,
semmai si pone per quelle lingue in cui mente ed anima
sono due cose diverse come l'inglese, dove the soul è
tutt'altra cosa rispetto a the mind e l'italiano in cui la
distinzione tra l'essenza metafisica e la mente è
abbastanza netta. Anche se pensiamo all'uso comune
del termine anima, a ciò cui intendiamo quando ci
riferiamo ai limiti del fisicalismo o dello scientismo, ad
esempio a una psicologia senz'anima o a una teoria
della mente senz'anima, ci rendiamo conto che questo
termine sottolinea una concezione semplificate,
impoverita dell'essere umano.
Molti di noi ritengono in effetti che la conoscenza delle
"leggi" del comportamento, dei meccanismi cerebrali,
delle procedure mentali, non sia sufficiente a descrivere
la ricchezza del comportamento umano, gli slanci, i
desideri, le passioni, i sensi di colpa: quanto cioè sfugge
al più estremo riduzionismo, alla pretesa di ridurre la
psiche a un gioco di molecole, di assimilarla a un
computer che ci svelerà la sua natura quando ne
conosceremo appieno il programma, il software.
L'approccio riduzionista ha fatto passi da gigante
ponendo in luce diversi aspetti della struttura e del
funzionamento cerebrale: ma il filosofo Paul Ricoeur ci
mette in guardia nei riguardi di un possibile slittamento
dal materialismo metodologico al materialismo
dottrinale, ontologico, una prospettiva in cui ogni
sapere che riguardi l'essere umano dipenda dal sapere
sull'uomo neuronale.
Per quanto entusiasmanti e suggestive siano le scoperte
delle neuroscienze esse si limitano spesso ad
individuare le sedi di un'attività mentale o a descriverne
i meccanismi di base. Conosciamo ad esempio i
meccanismi dell'emozione, il gioco di molecole che ne
sono alla base, i centri nervosi che vi sono coinvolti: ma
cosa possiamo dire del significato soggettivo
dell'emozione, dei suoi rapporti con lontane esperienze,
del modo in cui le emozioni contribuiscono a dare un
senso alla nostra esistenza, ad orientare i nostri fini, a
strutturare i nostri schemi mentali?
Perciò, la mente cui guarda il filosofo attento alla
dimensione fenomenologica o lo stesso uomo della
strada attento ai significati e al mondo della soggettività
è spesso diversa rispetto a quella che ci descrive il
neuroscienziato: anche se individuassimo tutti i circuiti
cui fa capo un fenomeno mentale o conoscessimo i
codici che ad esso corrisponde, anche nel caso in cui gli
studiosi del cervello ne descrivessero ogni suo
dettaglio, dovremmo sempre utilizzare spiegazioni
"mentaliste", di tipo psicologico, per comprendere la
mente umana.
In altre parole, la ricchezza della psiche "trascende"
quelle spiegazioni riduzionistiche che vengono spesso
avanzate per spiegare il cervello e le sue funzioni
mentali. Non si tratta, ovviamente, di una trascendenza
metafisica, ma di un livello di complessità che non si
esaurisce all'interno del sistema cervello: senza che ciò
implichi invocare la presenza di «uno spettro nella
macchina», un dualismo cartesiano in cui un'anima
immateriale tira i fili del cervello.
Credo però che anche i teologi non ritengano più di
poter spiegare la fisica alla luce della metafisica il che
apre un terreno di confronto, soprattutto se i
neuroscienziati rinunceranno a un monismo
semplificante, alla concezione di una mente
informatica, «senz'anima».
IDEE Alcuni filosofi e scienziati sostengono che
l'anima non esiste: prosegue il dibattito aperto su queste
pagine
Se la coscienza crea imbarazzo
Riccardo Manzotti
«Perché rinunziare all'anima?»: è a partire dal
titolo di un saggio di Andrea Vaccaro - pubblicato
dalle Edizioni Dehoniane di Bologna - che da alcuni
giorni sulle pagine di «Agorà» stiamo indagando
sull'atteggiamento dei filosofi della mente e dei
neuroscienziati verso la questione dell'anima. I più
infatti sembrano negarne l'esistenza. Sul tema
sono intervenuti il teologo Giacomo Canobbio e lo
psicobiologo Alberto Oliverio. Un riferimento
esplicito alla questione è stato fatto anche dal
presidente della Cei cardinale Camillo Ruini
nell'ultima prolusione. Oggi pubblichiamo i
contributi dello scienziato Riccardo Manzotti
(università di Genova) e del teologo Gianni Baget
Bozzo.
La scienza, sosteneva Thomas Khun, è fatta di periodi
ordinari e di periodi straordinari in cui i suoi stessi
fondamenti devono essere criticati e, a volte, modificati.
Quasi sempre il momento critico giunge sottoforma di
un problema fondamentale che, con gli strumenti
tradizionali, non sembra ammettere soluzioni. Esempi
di questi momenti epocali sono stati la rivoluzione
copernicana, la nascita del metodo scientifico con
Galileo, l'evoluzione di Darwin e la scoperta della
replicazione del dna. In questi anni stiamo
attraversando un momento straordinario e il problema
che devono affrontare scienziati e filosofi è il problema
della natura della coscienza umana.
Può sembrare strano a chi non se ne occupa, ma tutti i
progressi compiuti nello studio del cervello negli ultimi
anni (tecniche di visualizzazione dell'attività del
cervello, neuroscienze, studi sulle proprietà delle reti
neurali e artificiali) non sono riusciti a gettare la
minima luce sul perché noi esseri umani siamo
coscienti. La cosa suscita imbarazzo fra gli scienziati al
punto che lo stesso Francis Crick, lo scopritore del dna
e premio Nobel, ammette che la coscienza sembra
sfuggire completamente al metodo scientifico.
Chiariamo alcuni punti fondamentali. La coscienza
di cui parlano scienziati e filosofi della mente non è
la coscienza morale, ma la coscienza fenomenica.
Quella che scompare, tanto per capirci, quando ci
sottoponiamo a una anestesia. Gli anglosassoni, per
non fare confusione, hanno due parole: conscience
per la coscienza etico morale e consciousness per la
coscienza fenomenica. In italiano si deve stare attenti a
quale delle due ci si riferisce. Gli studi recenti sulla
coscienza si riferiscono sempre alla seconda.
Quanto alla coscienza artificiale, che sta oggi
rimpiazzando il paradigma della intelligenza artificiale,
è bene fare un paio di considerazioni. O la coscienza
artificiale è qualcosa di diverso dalla coscienza naturale,
e allora non suscita nessun imbarazzo; o è la stessa
cosa, ma in tal caso non sarebbe più «artificiale» se non
in senso nominalistico. Usando una analogia: se
produciamo acqua, attraverso la reazione chimica tra
ossigeno e idrogeno, non pensiamo di avere prodotto
«acqua artificiale» in quanto il prodotto è
indistinguibile dall'acqua, anzi è acqua. Nello stesso
modo la coscienza artificiale non sarebbe creata dagli
scienziati, ma si limiterebbe a porre in atto una
possibilità della natura.
Si è recentemente sostenuto su queste pagine che la
filosofia della mente sia una possibile minaccia per la
concezione cristiana dell'uomo in quanto essere dotato
di anima. Non c'è motivo. L'anima non coincide né con
il concetto di coscienza fenomenica né con il concetto
più ampio di mente intesa come insieme di processi
mentali (sia coscienti che inconsci). Riutilizzando
l'esempio precedente, quando ci si sottopone a una
anestesia sparisce la coscienza (fenomenica), ma non
l'anima.
Quanto alle correnti di pensiero che hanno
recentemente cercato di spiegare la natura della mente
(funzionalisti, comportamentisti, teorici dell'identità,
etc.) è bene sottolineare che: 1) non sono riuscite a
formulare nessuna teoria che colmasse il divario tra la
dimensione dell'esperienza cosciente e il mondo fisico;
2) negano l'esistenza dell'anima non tanto nelle loro
conclusioni quanto nelle loro premesse, cioè sono state
formulate da filosofi o scienziati che facevano proprie
le istanze del materialismo riduttivista oggettivista.
Sarebbe interessante vedere l'esito di teorie della mente
che fossero libere da simili pregiudizi.
Oggi l'impostazione materialista nello studio della
coscienza assomiglia fortemente al Don Ferrante
manzoniano che, applicando rigidamente le categorie
dell'aristotelismo a un fenomeno sconosciuto (la peste),
concludeva che non esisteva. Non è diverso
l'atteggiamento del filosofo eliminativista che, non
riuscendo ad applicare le proprie categorie al fenomeno
della coscienza, conclude che non esiste. E spesso è
stato proprio questo l'atteggiamo di alcuni filosofi e
scienziati.
Ma la coscienza non è il prodotto di qualche
elucubrazione mentale, come l'etere o il flogisto, bensì
un dato empirico, forse il primo dato empirico. E quindi
non può essere accettata o rifiutata, ma soltanto
spiegata.
Vista la difficoltà con cui la scienza affronta il
problema della coscienza, al punto che un filosofo
americano David Chalmers lo ha definito il «problema
difficile» per antonomasia, si potrebbe formulare
un'ipotesi coraggiosa. Non sarà la scienza a svuotare la
coscienza, ma sarà la coscienza che richiederà e otterrà
la rifondazione della scienza. Galileo stesso, in un
famoso passo del Saggiatore, ammetteva di sapere
«pochissimo se non nulla» della mente cosciente e di
rimandare alle generazioni future per trattare con un tale
enigma. Forse oggi i tempi sono maturi; lo stesso John
Searle un "eroico" filosofo californiano della mente ha
detto che la corsa è iniziata. Vorremmo aggiungere che
nessuno oggi sa come si concluderà.
OPINIONE L'intelligenza artificiale e le sfide poste a
biblisti e uomini di Chiesa
Teologi, dov'è l'anima?
I materialisti si comportano come il Don Ferrante
manzoniano
Neppure i recenti progressi nello studio del cervello
riescono a spiegare tutto
Gianni Baget Bozzo
Uno dei libri di teologia biblica sull'anima che mi hanno
più dilettato è quello dell'eminente teorico del
linguaggio biblico James Barr, dal titolo The Garden od
Eden anche the hope of immortality, in cui l'autore
dimostrava che vi era una solida base nella Bibbia
ebraica sia per l'esistenza dell'anima che per la sua
immortalità, più di quel che non fosse comunemente
ammesso.
Ma ancor più interessante fu la lettura del libro di
Richard Swinburne The evolution of the Soul, che
costituisce una interpretazione filosofica dell'anima
umana e dei suoi legami con l'evoluzione: «Quattro
milioni di anni di evoluzione produssero l'uomo, in un
corpo ed un'anima in continua interazione». Swinburne
ragiona filosoficamente e non usa materiale biblico, ma
alla fine del suo libro aggiunge una nota in cui egli
indica che la posizione da lui elaborata è in accordo con
la visione biblica dell'anima: «La teoria dell'evoluzione
dell'anima umana che ho indicato in questo libro è,
credo, quella della Bibbia».
Queste citazioni mi servono per ricordare che esiste una
letteratura, non di scuola tedesca o protestante, che ha
un altro approccio al tema dell'uomo come composto di
anima e di corpo. La negazione del «composto umano»
(anima e corpo) e quindi la visione materialistica
dell'uomo come solo corpo, che inevitabilmente ne
risulta, non sono un dato culturale che debba governare
la teologia biblica come un macigno.
Ma per me il fatto straordinario è che nella Chiesa si
torni a parlare dell'anima. Il pensiero della teologia
come subalterna a qualsiasi cosa si dica in nome della
scienza continua: e così l'anima è stata fatta fuori dalla
teologia e dalla liturgia e sostituita dall'«unità»
dell'uomo (metafora per dire che l'uomo è solo corpo).
L'eliminazione dell'anima è divenuto un idolum scholae
di certa teologia; e purtroppo persino della liturgia
riformata che ha fatto semplicemente fuori la parola
«anima».
Infine, gli ebrei sarebbero stati i soli tra i popoli antichi
a non credere nell'anima. Sembra veramente la tesi di
Simone Weil, degli ebrei popolo non nominato da
Erodoto perché maledetto. E questo nell'area che
produsse Gilgamesh, il libro del desiderio della
immortalità!
Ma che cosa accade perché si torni a parlare di anima?
Quando ho letto in un resoconto del consiglio
permanente della Cei che il cardinale Ruini parlava del
«composto umano» mi sono molto rallegrato. Il merito
è del libro di Andrea Vaccaro: Perché rinunziare
all'anima?, in cui da filosofo si pone criticamente verso
la riduzione dell'intelligenza umana all'intelligenza
artificiale. Il suo itinerario va da Searle a Popper, cioè
in direzione favorevole all'anima. Ma quando deve
attraversare i testi dei biblisti e dei teologi, l'anima
sparisce. Qui si sente il peso del totale crollo della
metafisica nell'insegnamento della teologia.
Invece Vaccaro si dimostra vero teologo quando
finalmente trova che san Tommaso è il vertice della
tradizione e quindi ristabilisce nei suoi diritti il
«composto umano». Come è stato possibile cancellare
secoli di filosofia e di teologia dell'anima così
rapidamente dal pensiero? Vaccaro, spaventato, si
domanda: perché rinunciare all'anima? La Chiesa non
rinuncia al «composto umano», come ha spiegato il
cardinale Ruini: non può accadere all'anima quello che
accadde all'eliocentrismo di Tolomeo o al creazionismo
delle specie di Linneo. Vi è ben altro rapporto con la
Rivelazione.
Ma purtroppo vi è un'altra antica causa di questa
sciagura: la nouvelle theologie, contro cui Pio XII aveva
messo in guardia i teologi: la perdita della distinzione
tra natura e grazia. Ciò ha distrutto l'antropologia
naturale e ha sostituito l'anima con la grazia; un nuovo
apollinarismo a livello antropologico. Apollinare
negava l'anima di Cristo e la sostituiva con il Verbo.
Oggi la teologia cattolica è piena di antropologia
teologica apollinarista. L'eresia è ancora tra noi?