ANIMA INTERVISTA Neurologi e filosofi della mente ne negano l'esistenza. Parla Vaccaro Ma questa scienza non ha più l'anima Roberto Righetto Tempi difficili per l'anima. Filosofi e teologi se ne occupano sempre meno, e gli uomini di scienza sembrano volerla cancellare, come se fosse un realtà - o un concetto - appartenente al passato, a quel mondo pre-cibernetico ormai superato. Sono i filosofi della mente, i neuroscienziati e i teorici dell'intelligenza artificiale, soprattutto americani o comunque appartenenti all'area anglosassone - da sempre contrapposta al filone di pensiero europeo- i protagonisti di questo tentativo di abolizione. Che vogliono insegnarci come il cervello sia solo «materia», un «aggregato di molecole». Una mappa del fenomeno- ed insieme un grido d'allarme per le tendenze che si stanno profilando viene da un giovane studioso di Pistoia, Andrea Vaccaro, che di recente ha scritto per le Edizioni Dehoniane di Bologna un saggio dal titolo provocatorio, Perché rinunziare all'anima? (pagine 134, lire 19.000, euro 9,81). L'abbiamo intervistato. Le moderne acquisizioni della scienza (delle neuroscienze in particolare) sembrano far dimenticare la realtà dell'anima. Come valuta il quadro generale della vicenda? «L'impatto più immediato con le neuroscienze lo abbiamo nel riscontro farmaceutico. Apatia, timidezza, eccitazione e simili, fino a poco fa, erano "stati d'animo", oggi sono "stati chimici regolabili farmaceuticamente". Gli studi sul cervello, però, vanno molto più in profondità. Certi resoconti non possono non inquietare. Lo studioso Antonio Damasio ci notifica casi in cui particolari lesioni cerebrali non alterano capacità cognitive o di movimento: modificano proprio la personalità del soggetto, il suo modo di relazionarsi, di vivere le emozioni, finanche il suo codice di valori morali. Francis Crick riduce tutto il nostro cosmo interiore - gioie, ricordi, autocoscienza e libero arbitrio - a un semplice assembramento di cellule nervose, riecheggiando un noto motto di Tyndal per cui come la bile è una secrezione del fegato, così l'anima è una secrezione del cervello. Il quadro generale è presto delineato: i neuroscienziati più aggressivi mirano all'obiettivo di dimostrare come tutte le funzioni finora ascritte all'anima - umore, sentimenti, autocoscienza, intuizione degli universali - sono, in realtà, operazioni del cervello. Operazioni oggi da censire, domani da riprodurre artificialmente». Quali sono le conseguenze di queste posizioni sul piano antropologico? «È abbastanza recente la notizia, proveniente da un settore subito denominato "neuroteologia", per cui anche le esperienze mistiche non sono altro che un'alterazione delle aree cerebrali regolanti l'orientamento spazio-temporale. Il paradigma di ricerca è netto: ogni stato mentale o spirituale è uno stato fisico o, al massimo, concedendo generosamente, è determinato da uno stato fisico. La visione antropologica è quella di un uomo senz'anima. L'anima come concetto superfluo. Per spiegare l'uomo è sufficiente conoscere dettagliatamente il suo cervello. Cervello che, è pleonastica la precisazione, non ha alcuna possibilità di sopravvivere alla morte». Come si pongono da parte loro i teorici dell'intelligenza artificiale rispetto alla questione dell'anima? «Dall'intelligenza artificiale proviene l'altra violenta scossa alla tradizionale impostazione della questione dell'anima. Se i neuroscienziati spiccano i loro balzi dal principio "anima uguale cervello uguale materia", i teorici dell'intelligenza artificiale si spingono ancora più in alto. Il loro dogma è questo: poiché la mente è materia, non si vede perché un altro tipo di materia, debitamente assemblato e organizzato, non possa svolgere le medesime funzioni della materia cerebrale. E se non è, al momento, costruibile un cervello artificiale, a causa del numero stratosferico dei neuroni e delle loro connessioni, maggiormente abbordabile è la simulazione del cervello al computer. È questo lo specifico compito del modello "neural net". È una guerra aperta mossa contro l'anima spirituale. Una battuta circolante in questi ambienti ridicolizza i detrattori dell'intelligenza artificiale, costretti a ritirare le truppe dell'anima su terreni sempre più marginali. Era proprio ed esclusivo dell'anima il pensiero logico, ma appena si è visto che il computer surclassa l'uomo in quest'attività, allora le mansioni specifiche dell'anima sono state ritirate su altri territori: percezione sensoriale, conversazione, creatività. Piano piano, però, il cervello elettronico copre anche queste attività, fino a svuotare del tutto il concetto di anima». Dunque anche per i seguaci di Marvin Minsky la questione dell'anima non si pone... «Vi sono due metafore tipiche dell'intelligenza artificiale. La prima: il concetto di anima è come il concetto di zona inesplorata di una giungla: svanisce appena l'esploriamo. La seconda: le facoltà dell'anima scorreranno fluidamente dall'uomo al robot ed è giusto così perché, come nella transizione fra vinile e il cd, è la musica che conta e non ciò che la veicola. Il dibattito sull'intelligenza artificiale e sull'equivalenza uomocomputer è, comunque, molto caldo e crepitante. S'infiamma addirittura, quando coinvolge il tema della realtà virtuale». Come la filosofia della mente tratta la questione dell'anima? Con quali differenti accenti e posizioni? «La filosofia della mente rappresenta, ai nostri giorni, il nuovo corso della riflessione filosofica. I filosofi della mente, usando l'immagine di Bacone, sono api che raccolgono la loro materia dai laboratori delle neuroscienze e dell'intelligenza artificiale, per poi trasformarla secondo la propria capacità. È facile immaginare la qualità del prodotto che risulta da questo nutrimento. Il ventaglio delle posizioni è ampio, anche se il punto di partenza, per i più, consiste nella netta negazione del dualismo corpo-anima e nella conseguente riduzione dell'anima a stato fisico. Cartesio è diventato il novello Adamo, che introduce il peccato originale nel cosmo filosofico». Possiamo descrivere nel dettaglio le varie posizioni che si confrontano? «I materialisti eliminativisti impongono anche all'anima la legge del progresso conoscitivo, dove l'infantile spiegazione mitologica deve sempre cedere il passo alla descrizione scientifica adulta. I fisicalisti moderati, con minor aggressività, ricalcano la stessa convinzione. I comportamentisti logici, pur affinando la terminologia, rimangono ancorati al presentimento di William James, per cui il dibattito attuale è solo una pura eco dell'ultimo grido lasciato nell'aere filosofica dall'anima che scompare. I neurofilosofi, capitanati da Churchland, vedono l'anima come una perfetta e squisita danza neurocomputazionale. Altre correnti ribadiscono, variamente, il concetto. Nel dibattito, tuttavia, si sollevano anche voci contrarie, che difendono un concetto di anima peraltro non sempre in linea con quello cristiano. È la schiera degli antiriduzionisti, tra cui Nagel, Mc Ginn, Flanagan, Jackson, Chalmers, Edelman, che rimarcano il diritto all'esistenza anche per ciò che trascende i limiti della conoscenza umana; che ricordano come la scienza, proprio per la sua pretesa di oggettività, esclude di principio ciò che attiene al soggettivo, quindi all'anima, ed è ovvio che, dopo averla esclusa, non riesca più a trovarla; che notano come il conoscere ciò che corrisponde fisiologicamente a sentimenti e moti spirituali non significa conoscere ciò che tali sentimenti e moti spirituali essenzialmente siano». Mi pare che uomini di Chiesa e teologi siano un po' in difficoltà di fronte a tutte queste sfide. Lei cosa ne pensa? «Ho il presentimento e il timore che uomini di Chiesa e teologi non siano ancora del tutto pronti ad affrontare ciò che ci sta investendo. E questo è rischioso. Occorre verificare cosa dicono all'uomo di oggi spiegazioni sull'anima tipo "forma sostanziale del corpo". Bisognerà tenere conto delle esperienze passate. La Chiesa ha dimostrato di sapersi attualizzare. Sull'origine del mondo, fino al 1909, la Pontificia Commissione Biblica negava seccamente l'ipotesi che i primi tre capitoli della Genesi non contenessero narrazioni di avvenimenti veramente accaduti. Nel 1989, però, la stessa si dichiarava d'accordo a non vedervi storia nel senso classico. Sulla questione dell'evoluzionismo o sul caso Galilei, lo schema si è ripetuto: contrapposizioni, anatemi e poi, lentamente, accettazione, purificazione e richiesta di perdono». Ma come vede possibile una nuova elaborazione del pensiero cristiano su questi temi? «La Chiesa corre il rischio di ritirarsi nel "villaggio dell'anima". Ora che anche questo sta per essere assalito, sarà un vaglio comunque utile per riconoscere ciò che è veramente essenziale nel cristianesimo. Il romanzo di Eco Il nome della rosa termina con le parole: "Stat rosa pristina nomine / nomina nuda tenemus". Sulla nostra questione potremmo invece dire: "Sta la cosa (cioè l'anima, l'impronta di Dio nell'uomo) prima del nome / solo la cosa teniamo". Il vecchio nome non regge più. Occorrerà un enorme sforzo di intelligenza ed umiltà per trovarne uno adeguato». IDEE Filosofi della mente e neurobiologi affermano che il cervello è solo materia: intervengono un teologo e uno scienziato Un chip salverà l'anima? Arriva dall'area anglosassone la sfida alla teologia sulla questione dell'anima. Come documentato sull'«Avvenire» di domenica, con un'intervista allo studioso Andra Vaccaro (autore del saggio di recente pubblicato dalle Edb col titolo «Perché rinunziare all'anima?»), le nuove frontiere dei neuroscienziati, dei filosofi della mente e dei teorici dell'intelligenza artificiale tendono sempre più a ridurre lo spazio per il concetto di anima secondo la visione tradizionale. In nome del fatto che il cervello è solo materia, un aggregato di molecole. E così le nostre esperienze, emozionali e cognitive, non avrebbero un sostrato metafisico. In questa pagina diamo spazio agli interventi del teologo Giacomo Canobbio, presidente dell'Ati (Associazione teologi italiani) e al neurobiologo Alberto Oliverio Canobbio: non si cancella la nostra vita interiore Giacomo Canobbio E' inevitabile che la mente funzioni quando il cervello funziona: l'unità psicofisica umana impedisce di pensare a una mente che prescinda da un corpo. Ma la mente non è l'anima, se vogliamo continuare a usare questo termine. L'anima o, se si vuole assumere la distinzione tricotomica che si trova anche nel Nuovo Testamento, lo spirito, non è altro che la cifra della singolarità della persona umana all'interno della realtà; si tratta di un modo di dire che la persona umana non è equiparabile agli animali e alle cose, perché è capace di relazione "pensata", di libertà, di relativa autodeterminazione... Quando nell'antichità si è introdotta la coppia "animacorpo" per dire la realtà umana, si è voluto indicare che gli umani si stagliano al di sopra degli altri esseri e quindi che la loro particolarità richiede un'origine diversa rispetto a quella di questi ultimi; e ciò serve, nell'ambito "religioso", non solo a dire che l'anima (la vita singolare degli umani) viene da Dio, bensì anche che gli umani sono capaci di una relazione consapevole con la loro origine. Tutto questo non può essere provato studiando il funzionamento del cervello: tale studio può dire cosa succede quando si pensa, si provano emozioni, si decide, ma non perché si pensa, si provano emozioni, si decide. I fisici potranno dirci che il cervello è il principio del pensare, eccetera, ma senza un salto qualitativo non riescono a dirci perché gli umani hanno un cervello che funziona così. Dire «perché essi hanno l'anima» può essere una spiegazione ingenua, ma solo se non si comprende che con questo termine si vuole semplicemente indicare che c'è una originalità insopprimibile, fondata su un'origine e un orientamento singolari. E ciò non può ridursi alla descrizione della mente proposta da Marvin Minsky: la mente potrà anche essere «ciò che fa il cervello», ma ci si dovrà domandare perché il cervello umano procede in questo modo. Rispondere che lo fa perché ha una composizione più complessa, significa spostare solo la domanda. Certo, mentre si dorme non si decide, non si vivono relazioni come quando si è svegli... il che ci ricorda il legame che esiste tra la vita interiore e il nostro fisico; ma resta aperto il problema circa la nostra capacità di decidere, di vivere relazioni consapevoli. Senza voler pregiudicare il futuro, quanti affermano che si potrà costruire una intelligenza artificiale pari a quella degli umani sembrano simili ai medici dell'Ottocento che pensavano di vincere tutte le malattie e quindi di dare l'immortalità alle persone umane. In tal senso l'anima non è «una secrezione del cervello», ma è il principio di tutte le secrezioni del cervello e non può essere misurata come tutte queste. Quanto poi alla descrizione dell'anima come «unica forma sostanziale del corpo» forse non è così banale e demodé come potrebbe apparire: si tratta di una formula che voleva indicare che ogni persona è strutturata in modo originale (anche fisicamente) grazie a una disposizione di Dio creatore. Insomma, l'anima è la traccia della nostra singolare origine, la spiegazione della nostra particolarità nel novero degli esseri. Oliverio: la psiche non è un gioco di molecole Alberto Oliverio L'intervista ad Andrea Vaccaro, uscita su «Avvenire» di domenica scorsa, sottolinea come gran parte delle neuroscienze si stiano movendo nella direzione di un riduzionismo totale, un fisicalismo che lascia ben scarso spazio alla metafisica. Nell'interrogarsi se il termine "anima" risponda ancora a una categoria riconoscibile, se lo stesso nome, non ovviamente ciò cui il termine allude, non sia ormai superato, Vaccaro porta anche una giusta critica a quelle teorie della mente improntate a un eccessivo, semplificante riduzionismo. Il problema dell'esclusione dell'anima può essere affrontato da due punti di vista: il primo non è tanto nominalista quanto linguistico. Cosa intendiamo infatti per anima? Per i francesi, beati loro, il problema non si pone in quanto l'âme occupa il posto della mente, termine inesistente nella loro lingua: il problema, semmai si pone per quelle lingue in cui mente ed anima sono due cose diverse come l'inglese, dove the soul è tutt'altra cosa rispetto a the mind e l'italiano in cui la distinzione tra l'essenza metafisica e la mente è abbastanza netta. Anche se pensiamo all'uso comune del termine anima, a ciò cui intendiamo quando ci riferiamo ai limiti del fisicalismo o dello scientismo, ad esempio a una psicologia senz'anima o a una teoria della mente senz'anima, ci rendiamo conto che questo termine sottolinea una concezione semplificate, impoverita dell'essere umano. Molti di noi ritengono in effetti che la conoscenza delle "leggi" del comportamento, dei meccanismi cerebrali, delle procedure mentali, non sia sufficiente a descrivere la ricchezza del comportamento umano, gli slanci, i desideri, le passioni, i sensi di colpa: quanto cioè sfugge al più estremo riduzionismo, alla pretesa di ridurre la psiche a un gioco di molecole, di assimilarla a un computer che ci svelerà la sua natura quando ne conosceremo appieno il programma, il software. L'approccio riduzionista ha fatto passi da gigante ponendo in luce diversi aspetti della struttura e del funzionamento cerebrale: ma il filosofo Paul Ricoeur ci mette in guardia nei riguardi di un possibile slittamento dal materialismo metodologico al materialismo dottrinale, ontologico, una prospettiva in cui ogni sapere che riguardi l'essere umano dipenda dal sapere sull'uomo neuronale. Per quanto entusiasmanti e suggestive siano le scoperte delle neuroscienze esse si limitano spesso ad individuare le sedi di un'attività mentale o a descriverne i meccanismi di base. Conosciamo ad esempio i meccanismi dell'emozione, il gioco di molecole che ne sono alla base, i centri nervosi che vi sono coinvolti: ma cosa possiamo dire del significato soggettivo dell'emozione, dei suoi rapporti con lontane esperienze, del modo in cui le emozioni contribuiscono a dare un senso alla nostra esistenza, ad orientare i nostri fini, a strutturare i nostri schemi mentali? Perciò, la mente cui guarda il filosofo attento alla dimensione fenomenologica o lo stesso uomo della strada attento ai significati e al mondo della soggettività è spesso diversa rispetto a quella che ci descrive il neuroscienziato: anche se individuassimo tutti i circuiti cui fa capo un fenomeno mentale o conoscessimo i codici che ad esso corrisponde, anche nel caso in cui gli studiosi del cervello ne descrivessero ogni suo dettaglio, dovremmo sempre utilizzare spiegazioni "mentaliste", di tipo psicologico, per comprendere la mente umana. In altre parole, la ricchezza della psiche "trascende" quelle spiegazioni riduzionistiche che vengono spesso avanzate per spiegare il cervello e le sue funzioni mentali. Non si tratta, ovviamente, di una trascendenza metafisica, ma di un livello di complessità che non si esaurisce all'interno del sistema cervello: senza che ciò implichi invocare la presenza di «uno spettro nella macchina», un dualismo cartesiano in cui un'anima immateriale tira i fili del cervello. Credo però che anche i teologi non ritengano più di poter spiegare la fisica alla luce della metafisica il che apre un terreno di confronto, soprattutto se i neuroscienziati rinunceranno a un monismo semplificante, alla concezione di una mente informatica, «senz'anima». IDEE Alcuni filosofi e scienziati sostengono che l'anima non esiste: prosegue il dibattito aperto su queste pagine Se la coscienza crea imbarazzo Riccardo Manzotti «Perché rinunziare all'anima?»: è a partire dal titolo di un saggio di Andrea Vaccaro - pubblicato dalle Edizioni Dehoniane di Bologna - che da alcuni giorni sulle pagine di «Agorà» stiamo indagando sull'atteggiamento dei filosofi della mente e dei neuroscienziati verso la questione dell'anima. I più infatti sembrano negarne l'esistenza. Sul tema sono intervenuti il teologo Giacomo Canobbio e lo psicobiologo Alberto Oliverio. Un riferimento esplicito alla questione è stato fatto anche dal presidente della Cei cardinale Camillo Ruini nell'ultima prolusione. Oggi pubblichiamo i contributi dello scienziato Riccardo Manzotti (università di Genova) e del teologo Gianni Baget Bozzo. La scienza, sosteneva Thomas Khun, è fatta di periodi ordinari e di periodi straordinari in cui i suoi stessi fondamenti devono essere criticati e, a volte, modificati. Quasi sempre il momento critico giunge sottoforma di un problema fondamentale che, con gli strumenti tradizionali, non sembra ammettere soluzioni. Esempi di questi momenti epocali sono stati la rivoluzione copernicana, la nascita del metodo scientifico con Galileo, l'evoluzione di Darwin e la scoperta della replicazione del dna. In questi anni stiamo attraversando un momento straordinario e il problema che devono affrontare scienziati e filosofi è il problema della natura della coscienza umana. Può sembrare strano a chi non se ne occupa, ma tutti i progressi compiuti nello studio del cervello negli ultimi anni (tecniche di visualizzazione dell'attività del cervello, neuroscienze, studi sulle proprietà delle reti neurali e artificiali) non sono riusciti a gettare la minima luce sul perché noi esseri umani siamo coscienti. La cosa suscita imbarazzo fra gli scienziati al punto che lo stesso Francis Crick, lo scopritore del dna e premio Nobel, ammette che la coscienza sembra sfuggire completamente al metodo scientifico. Chiariamo alcuni punti fondamentali. La coscienza di cui parlano scienziati e filosofi della mente non è la coscienza morale, ma la coscienza fenomenica. Quella che scompare, tanto per capirci, quando ci sottoponiamo a una anestesia. Gli anglosassoni, per non fare confusione, hanno due parole: conscience per la coscienza etico morale e consciousness per la coscienza fenomenica. In italiano si deve stare attenti a quale delle due ci si riferisce. Gli studi recenti sulla coscienza si riferiscono sempre alla seconda. Quanto alla coscienza artificiale, che sta oggi rimpiazzando il paradigma della intelligenza artificiale, è bene fare un paio di considerazioni. O la coscienza artificiale è qualcosa di diverso dalla coscienza naturale, e allora non suscita nessun imbarazzo; o è la stessa cosa, ma in tal caso non sarebbe più «artificiale» se non in senso nominalistico. Usando una analogia: se produciamo acqua, attraverso la reazione chimica tra ossigeno e idrogeno, non pensiamo di avere prodotto «acqua artificiale» in quanto il prodotto è indistinguibile dall'acqua, anzi è acqua. Nello stesso modo la coscienza artificiale non sarebbe creata dagli scienziati, ma si limiterebbe a porre in atto una possibilità della natura. Si è recentemente sostenuto su queste pagine che la filosofia della mente sia una possibile minaccia per la concezione cristiana dell'uomo in quanto essere dotato di anima. Non c'è motivo. L'anima non coincide né con il concetto di coscienza fenomenica né con il concetto più ampio di mente intesa come insieme di processi mentali (sia coscienti che inconsci). Riutilizzando l'esempio precedente, quando ci si sottopone a una anestesia sparisce la coscienza (fenomenica), ma non l'anima. Quanto alle correnti di pensiero che hanno recentemente cercato di spiegare la natura della mente (funzionalisti, comportamentisti, teorici dell'identità, etc.) è bene sottolineare che: 1) non sono riuscite a formulare nessuna teoria che colmasse il divario tra la dimensione dell'esperienza cosciente e il mondo fisico; 2) negano l'esistenza dell'anima non tanto nelle loro conclusioni quanto nelle loro premesse, cioè sono state formulate da filosofi o scienziati che facevano proprie le istanze del materialismo riduttivista oggettivista. Sarebbe interessante vedere l'esito di teorie della mente che fossero libere da simili pregiudizi. Oggi l'impostazione materialista nello studio della coscienza assomiglia fortemente al Don Ferrante manzoniano che, applicando rigidamente le categorie dell'aristotelismo a un fenomeno sconosciuto (la peste), concludeva che non esisteva. Non è diverso l'atteggiamento del filosofo eliminativista che, non riuscendo ad applicare le proprie categorie al fenomeno della coscienza, conclude che non esiste. E spesso è stato proprio questo l'atteggiamo di alcuni filosofi e scienziati. Ma la coscienza non è il prodotto di qualche elucubrazione mentale, come l'etere o il flogisto, bensì un dato empirico, forse il primo dato empirico. E quindi non può essere accettata o rifiutata, ma soltanto spiegata. Vista la difficoltà con cui la scienza affronta il problema della coscienza, al punto che un filosofo americano David Chalmers lo ha definito il «problema difficile» per antonomasia, si potrebbe formulare un'ipotesi coraggiosa. Non sarà la scienza a svuotare la coscienza, ma sarà la coscienza che richiederà e otterrà la rifondazione della scienza. Galileo stesso, in un famoso passo del Saggiatore, ammetteva di sapere «pochissimo se non nulla» della mente cosciente e di rimandare alle generazioni future per trattare con un tale enigma. Forse oggi i tempi sono maturi; lo stesso John Searle un "eroico" filosofo californiano della mente ha detto che la corsa è iniziata. Vorremmo aggiungere che nessuno oggi sa come si concluderà. OPINIONE L'intelligenza artificiale e le sfide poste a biblisti e uomini di Chiesa Teologi, dov'è l'anima? I materialisti si comportano come il Don Ferrante manzoniano Neppure i recenti progressi nello studio del cervello riescono a spiegare tutto Gianni Baget Bozzo Uno dei libri di teologia biblica sull'anima che mi hanno più dilettato è quello dell'eminente teorico del linguaggio biblico James Barr, dal titolo The Garden od Eden anche the hope of immortality, in cui l'autore dimostrava che vi era una solida base nella Bibbia ebraica sia per l'esistenza dell'anima che per la sua immortalità, più di quel che non fosse comunemente ammesso. Ma ancor più interessante fu la lettura del libro di Richard Swinburne The evolution of the Soul, che costituisce una interpretazione filosofica dell'anima umana e dei suoi legami con l'evoluzione: «Quattro milioni di anni di evoluzione produssero l'uomo, in un corpo ed un'anima in continua interazione». Swinburne ragiona filosoficamente e non usa materiale biblico, ma alla fine del suo libro aggiunge una nota in cui egli indica che la posizione da lui elaborata è in accordo con la visione biblica dell'anima: «La teoria dell'evoluzione dell'anima umana che ho indicato in questo libro è, credo, quella della Bibbia». Queste citazioni mi servono per ricordare che esiste una letteratura, non di scuola tedesca o protestante, che ha un altro approccio al tema dell'uomo come composto di anima e di corpo. La negazione del «composto umano» (anima e corpo) e quindi la visione materialistica dell'uomo come solo corpo, che inevitabilmente ne risulta, non sono un dato culturale che debba governare la teologia biblica come un macigno. Ma per me il fatto straordinario è che nella Chiesa si torni a parlare dell'anima. Il pensiero della teologia come subalterna a qualsiasi cosa si dica in nome della scienza continua: e così l'anima è stata fatta fuori dalla teologia e dalla liturgia e sostituita dall'«unità» dell'uomo (metafora per dire che l'uomo è solo corpo). L'eliminazione dell'anima è divenuto un idolum scholae di certa teologia; e purtroppo persino della liturgia riformata che ha fatto semplicemente fuori la parola «anima». Infine, gli ebrei sarebbero stati i soli tra i popoli antichi a non credere nell'anima. Sembra veramente la tesi di Simone Weil, degli ebrei popolo non nominato da Erodoto perché maledetto. E questo nell'area che produsse Gilgamesh, il libro del desiderio della immortalità! Ma che cosa accade perché si torni a parlare di anima? Quando ho letto in un resoconto del consiglio permanente della Cei che il cardinale Ruini parlava del «composto umano» mi sono molto rallegrato. Il merito è del libro di Andrea Vaccaro: Perché rinunziare all'anima?, in cui da filosofo si pone criticamente verso la riduzione dell'intelligenza umana all'intelligenza artificiale. Il suo itinerario va da Searle a Popper, cioè in direzione favorevole all'anima. Ma quando deve attraversare i testi dei biblisti e dei teologi, l'anima sparisce. Qui si sente il peso del totale crollo della metafisica nell'insegnamento della teologia. Invece Vaccaro si dimostra vero teologo quando finalmente trova che san Tommaso è il vertice della tradizione e quindi ristabilisce nei suoi diritti il «composto umano». Come è stato possibile cancellare secoli di filosofia e di teologia dell'anima così rapidamente dal pensiero? Vaccaro, spaventato, si domanda: perché rinunciare all'anima? La Chiesa non rinuncia al «composto umano», come ha spiegato il cardinale Ruini: non può accadere all'anima quello che accadde all'eliocentrismo di Tolomeo o al creazionismo delle specie di Linneo. Vi è ben altro rapporto con la Rivelazione. Ma purtroppo vi è un'altra antica causa di questa sciagura: la nouvelle theologie, contro cui Pio XII aveva messo in guardia i teologi: la perdita della distinzione tra natura e grazia. Ciò ha distrutto l'antropologia naturale e ha sostituito l'anima con la grazia; un nuovo apollinarismo a livello antropologico. Apollinare negava l'anima di Cristo e la sostituiva con il Verbo. Oggi la teologia cattolica è piena di antropologia teologica apollinarista. L'eresia è ancora tra noi?